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il trasferimento all`estero

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il trasferimento all`estero
CICCOPIEDI
STUDIO LEGALE
//2012
IL TRASFERIMENTO
ALL’ESTERO DELLA
SOCIETÀ
appunti di
DIRITTO COMMERCIALE INTERNAZIONALE
La libertà di stabilimento dell’iniziativa economica
la libertà di stabilimento nel diritto Italiano
la libertà di stabilimento nel diritto dell’Unione Europea
la concorrenza tra gli ordinamenti & il forum shopping
il trasferimento all’estero della società- Ciccopiedi Studio Legale -
INDICE
Il parere della giustizia europea
Libertà di stabilimento in entrata:
sentenza Sergers (1986)
Centros (1999)
Uberseering (2001)
Inspire Art (2003)
Sevic (2005)
Libertà di stabilimento in uscita:
Daily Mail (1988)
ICI, Marks & Spencerm Cdbury, Schweppes (1998, 2005, 2006)
Cartesio (2008)
Vale (2012)
Il trasferimento della società all’estero - modalità operative il trasferimento della sede & la trasformazione transnazionale
la fusione per incorporazione transfrontaliera
la Società Europea
Le conseguenze del trasferimento
la tutela dei creditori
la tutela dei soci di minoranza
la tutela dei lavoratori
i conflitti di giurisdizione
la successione nei rapporti giuridici
l’esterovestizione delle società comunitarie
profili delittuosi delle frodi realizzate mediante il trasferimento all’estero delle società
- le frodi fiscali - la bancarotta
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le operazioni elusive ed il vantaggio fiscale
exit Tax
l’insolvenza della “società trasferita”
la disciplina dell’insolvenza nel diritto internazionale
il COMI
la giurisdizione italiana e il regolamento 1346/200
l’onere di provare il COMI
il trasferimento all’estero della società- Ciccopiedi Studio Legale -
Profili fiscali del trasferimento all’estero
In conclusione
Lo Studio Legale Ciccopiedi
Riferimenti normativi
Bibliografia essenziale
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LA LIBERTÀ DI
STABILIMENTO DELL’INIZIATIVA
ECONOMICA
l’attività economica è e deve essere libera, a sancirlo non è solo il buon senso o la prassi commerciale, quanto la
disciplina internazionale.
l’utilizzo dei veicoli societari più idonei al raggiungimento dello scopo imprenditoriale non può incontrare limiti di
sorta.
Nel epoca della globalizzazione le imprese
che vogliono stare sul mercato devono
compete con tutti i mezzi che hanno a
disposizione, altrimenti soccombono.
Tra gli strumenti della concorrenza quelli più
efficaci riguardano il mercato delle regole!
accedere al mercato delle regole vuol dire
poter scegliere un mercato del lavoro
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migliore, un sistema che garantisca la
certezza del diritto, tutela della proprietà
intellettuale e tasse basse.
LA LIBERTÀ DI STABILIMENTO NEL
DIRITTO ITALIANO
L’Ordinamento Italiano è molto ambiguo e
contraddittorio in materia, tuttavia il
dell’imprenditore al libero esercizio
dell’iniziativa economica è un principio
ineluttabile cristallizzato già nella Carta
Costituzionale.
Art. 41
“l’iniziativa economica privata è
libera”
residenza nell'Unione Europea la libertà di
stabilimento nel territorio della Comunità. I
suddetti articoli sono tra le disposizioni
fondamentali della Comunità Europea e
hanno efficacia diretta negli ordinamenti degli
Stati membri.
Articolo 49 (ex articolo 43)
“Nel quadro delle disposizioni che seguono,
le restrizioni alla libertà di stabilimento dei
cittadini di uno Stato membro nel territorio
di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale divieto si estende altresì alle restrizioni
relative all’apertura di agenzie, succursali o
filiali, da parte dei cittadini di uno Stato
membro stabiliti sul territorio di uno Stato
membro.
tale affermazione, dal tono apodittico è
costantemente disattesa dal legislatore
italiano che a più riprese ha cercato di
contenere e di limitare tale libertà, con
particolare riguardo al tema in oggetto, con la
continua promulgazione di leggi volte ad
impedire la libera circolazione delle persone
giuridiche, la libera circolazione dei capitali,
nonché tentando di estendere all’infinito la
propria capacità impositiva e la propria
giurisdizione.
La libertà di stabilimento importa l’accesso
alle attività non salariate e al loro esercizio,
nonché la costituzione e la gestione di
imprese e in particolare di società ai sensi
dell’articolo 48, secondo comma, alle
condizioni definite dalla legislazione del
paese di stabilimento nei confronti dei
propri cittadini, fatte salve le disposizioni
del capo relativo ai capitali.”
Tutto ciò in palese contrasto con la continua
cessione di sovranità esercitata dai governi
nazionali in favore delle organizzazioni
internazionali ed in particolare della
legislazione europea.
“Le società costituite conformemente alla
legislazione di uno Stato membro e aventi la
sede sociale, l’amministrazione centrale o il
centro di attività principale all’interno della
Comunità, sono equiparate, ai fini
dell’applicazione delle disposizioni del
presente capo, alle persone fisiche aventi la
cittadinanza degli Stati membri.
La legge Italiana presuppone come sottostanti
alla sua giurisdizione tutte le persone fisiche e
giuridiche residenti nel paese, nonchè tutte
quelle che abbiano trasferito la propria sede,
salvo che non dimostrino l’effettività di tale
trasferimento. Tale atteggiamento è stato più e
più volte ammonito dalla Giustizia Europea.
LA LIBERTÀ DI STABILIMENTO NEL
DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
Gli articoli 43 e 48 del Trattato CE
garantiscono alle società aventi la loro
Articolo 54 (ex articolo 48)
Per società si intendono le società di diritto
civile o di diritto commerciale, ivi comprese
le società cooperative, e le altre persone
giuridiche contemplate dal diritto pubblico
o privato, ad eccezione delle società che
non si prefiggono scopi di lucro”.
Per le società la libertà di stabilimento
riconosciuta dal Trattato si esplica nella
possibilità di trasformarsi in una società di un
altro Stato membro, con soggezione al diritto
di quest’ultimo.
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L’articolo 43 garantisce la possibilità di
trasferimento in uno Stato membro diverso da
quello in cui la società è stata costituita.
L’articolo 48, invece, equipara ai fini della
libertà di stabilimento le persone giuridiche
alle persone fisiche aventi la cittadinanza
degli Stati membri.
La libertà di stabilimento consente di
scegliere fra le leggi societarie degli Stati
membri quella ritenuta più idonea per la
creazione di una società e per lo svolgimento
dell’attività imprenditoriale sul mercato unico.
Le leggi del Trattato si aprono, finalmente, ad
una vera concorrenza tra gli ordinamenti.
LA CONCORRENZA TRA GLI
ORDINAMENTI ED IL FORUM SHOPPING
Una disciplina come quella comunitaria è
particolarmente vulnerabile verso i fenomeni
di così detto Forum Shopping.
Il «forum-shopping» è una nozione propria
del diritto internazionale privato e disegna la
fattispecie di chi intenta un'azione in giudizio
scegliendo, l’ordinamenti statale e l'organo
giudiziario in funzione della legge che verrà
applicata.
Colui che intenta un'azione giudiziaria può
essere tentato a scegliere un foro, tra le varie
giurisdizioni disponibili, non perché sia
quello più appropriato per giudicare la
controversia, ma perché le norme sul conflitto
di leggi che questo tribunale utilizzerà
porteranno ad una applicazione della legge a
lui più favorevole.
Nel nostro caso il titolare della Società
potrebbe trasferendola da un ordinamento ad
un altro scegliere la disciplina più favorevole
al suo caso.
Tale situazione è tutt’altro che negativa! non
c’è dubbio che l’imprenditore cercherà il
sistema di regole tale da consentirgli di essere
più competitivo sul mercato e di realizzare
più utili.
L’ordinamento perfetto però non esiste! i vari
sistemi di norme rispondono ognuno a diverse
esigenze e cercano di contemperarle
mediando, spesso in maniera squilibrata. Non
c’è dubbio che un sistema che garantisce una
piena efficenza della forza lavoro a costi
notevolmente ridotti è un sistema che
risponde ottimamente alle esigenze
dell’imprenditore, ma molto male all’esigenza
di sicurezza sociale di cui necessitano i
lavoratori.
Un sistema con una blanda disciplina a tutela
dei crediti, può andare bene per le aziende
che fanno grande uso della leva creditizia, ma
sicuramente non è un buon mercato per
vendere le proprie merci, di esempi simili
potrebbero farsene diversi... Ogni
ordinamento infatti dovrà scegliere di
privilegiare una determinata categoria di
Stakeholder (portatori di interessi) a scapito di
altri, per questo la scelta della giurisdizione di
stabilimento va fatta con il supporto di
consulenti esperti.
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IL PARERE DELLA
GIUSTIZIA EUROPEA
La libertà di stabilimento in entrata : Sergers (1986); Centros (1999); Uberseering (2001); Inspire
Art (2003); Sevic (2005) - Libertà di stabilimento in uscita: Daily Mail (1988); ICI, Marks &
Spencerm Cdbury, Schweppes (1998, 2005, 2006) - Cartesio (2008)L’ultima pronuncia : Vale(2012)
la Corte di giustizia dell’Unione Europea si è
pronunciata più volte sul principio della
libertà di stabilimento riconosciuta alle
persone giuridiche ed in più occasioni ha
voluto rimarcare l’illegittimità dei limiti posti
dagli stati membri a tali trasferimenti.
Invero la posizione delle corti europee è stata
dapprima più tiepida per divenire con il
passare degli anni sempre più netta e rigida
nel condannare le condotte illegittime degli
ordinamenti nazionali.
La libertà di stabilimento in
entrata
nel capitale della società inglese appena
costituita il 100 per cento delle azioni della
società operativa olandese e di cui era egli
stesso amministratore), si era visto rifiutare il
trattamento previdenziale da egli richiesto alla
assicurazione pubblica olandese contro le
malattie poiché quest’ultima aveva ritenuto
egli era dipendente e amministratore di una
società straniera. La Corte ritenne che tale
trattamento riservato al sig. Segers costituisse
un ostacolo alla libertà di stabilimento della
società inglese (e ciò nonostante la
circostanza che la stessa fosse una semplice
“scatola vuota”) poiché <la discriminazione
del personale sotto il profilo della tutela
previdenziale restringe indirettamente la
libertà delle società di un altro stato membro
di stabilirsi nello stato membro di cui
trattasi>.
Segers (1986):
Per quanto concerne i tentativi degli Stati
membri di limitare o ostacolare lo “ingresso”
nel proprio ordinamento di società “straniere”
viene anzitutto in considerazione il caso
Segers del 1986, riguardante una società di
diritto inglese operante esclusivamente in
Olanda per il tramite di una società
controllata (di diritto olandese, essendo
costituita in Olanda). La questione giunse
all’esame della Corte di giustizia dell’Ue in
quanto il sig. Segers (il quale aveva conferito
Centros (1999)
La seconda sentenza in ordine cronologico in
materia di limitazioni ‘in ingresso’ è costituita
dalla decisione resa dai giudici di
Lussemburgo nel celebre caso Centros, che,
proprio in quanto esplicitamente “liberale” in
materia di libertà di stabilimento delle
società, ha impresso una decisiva
accelerazione all’approfondimento e alla
piena efficacia di tale libertà.
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Nel caso Centros due cittadini danesi, i
coniugi Bryde, avevano costituito e registrato
in Inghilterra una private limited company, la
Centros Ltd, con sede stabilita presso
l’abitazione di una loro conoscente in
Inghilterra, nominando la sig.ra Bryde quale
amministratore unico. La Centros si
proponeva di svolgere un’attività di
importazione ed esportazione di vini verso e
dalla Danimarca, in realtà senza svolgere
alcuna concreta attività sul territorio inglese.
Per i coniugi Bryde il vantaggio della
costituzione della società in Inghilterra era
rappresentato dalla circostanza che la
disciplina societaria inglese consentiva di non
liberare, né versare il capitale sociale (del
resto fissato in misura ridottissima) della Ltd,
sfuggendo in tal modo alla più rigorosa
disciplina danese che all’epoca prevedeva un
capitale sociale minimo di 200.000 corone
danesi. Costituita la Centros, i coniugi Bryde,
che come detto non intendevano far svolgere
alla Centros alcuna reale attività commerciale
in Inghilterra, avevano istituito una sede
secondaria in Danimarca, per svolgere con
quest’ultima l’effettiva attività di commercio
dei vini, mentre la sede sociale veniva lasciata
in Inghilterra.
Tu t t av i a , d i f r o n t e a l l a r i ch i e s t a d i
registrazione della sede secondaria le
competenti autorità amministrative danesi,
ritenendo la Centros una pseudo-foreign
company (ossia una società fittiziamente
straniera), che non esercitava alcuna concreta
attività operativa in Inghilterra, e valutando
che la costituzione in tale paese era avvenuta
al solo scopo di eludere l’applicazione della
disciplina danese in materia di capitale
sociale, avevano rifiutato l’iscrizione. Sorta la
controversia interna, la Corte di giustizia
dell’Ue è stata investita della questione se il
diniego di registrazione opposto dalle autorità
danesi contrastasse con la libertà di
stabilimento delle società riconosciuta dal
Trattato (all’epoca) CE.
Al riguardo la Corte di giustizia dell’Ue ha
ritenuto che lo svolgimento effettivo di
u n ’ a t t iv i t à e c o n o m i c a n e l p a e s e d i
costituzione della società non rappresenti
una condizione per l’esercizio della libertà di
stabilimento per il tramite di una succursale
e che le società sono libere di costituirsi nell’ordinamento da esse ritenuto più
favorevole, per poi aprire successivamente
filiali o succursali in altri Stati membri, senza
che ciò possa essere considerato un abuso del
proprio diritto di stabilimento. Per altro verso,
pur riconoscendo che gli Stati membri
possono adottare misure dirette a impedire
che i cittadini si avvalgano abusivamente o
fraudolentemente del diritto europeo per
sottrarsi a disposizioni imperative, la corte
europea ha ribadito che le normative
nazionali che limitano o ostacolano
l’esercizio delle libertà fondamentali garantite
dal trattato europeo devono soddisfare il c.d.
‘test Gebhard’ e, dunque, avere carattere non
discriminatorio, essere fondate su ragioni
imperative di interesse pubblico, essere
idonee rispetto allo scopo perseguito e
proporzionate al suo raggiungimento. In altre
termini, con la sentenza nel caso Centros i
giudici di Lussemburgo hanno legittimato
l’utilizzazione delle pseudo-foreign
companies da parte dei cittadini europei,
quest’ultimi essendo <liberi di costituire una
nuova società in qualsiasi Stato membro,
indipendentemente dal luogo in cui è
collocata la sede amministrativa o l’attività,
purchè il paese di costituzione ammetta
questa dissociazione tra sede amministrativa
e sede statutaria>.
Überseering (2001)
Nel caso Überseering la Corte di giustizia
dell’Ue ha valutato la compatibilità con la
libertà di stabilimento dei limiti posti dalla
legislazione di uno Stato membro (la
Germania) al trasferimento sul proprio
territorio della sede amministrativa (così
ritenuta sulla base del diritto di detto Stato,
ossia dello Stato di destinazione) di una
società costituita in un altro Stato membro.
Nel caso di specie una società costituita e
registrata in Olanda (la Überseering BV) aveva
affidato a una società tedesca (la Nordic
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Construction Company Baumanagement
GmBh, o ‘NCC’) l’appalto per la
ristrutturazione di un motel di sua proprietà
(in realtà l’unica proprietà della Überseering)
sito in Germania. Durante l’esecuzione
dell’appalto la totalità delle quote della
Überseering veniva acquistata da due cittadini
tedeschi, entrambi residenti in Germania.
Rilevata la presenza, a suo dire, di alcuni vizi
nell’esecuzione dell’appalto, la Überseering
conveniva in giudizio la NCC di fronte a un
tribunale tedesco per ottenere il risarcimento
dei danni.
La questione pregiudiziale che giunge
all’esame della Corte di giustizia dell’Ue
discende dalla circostanza che, in ragione
dell’acquisto della totalità del capitale sociale
della Überseering da parte di due cittadini
tedeschi residenti in Germania, i giudici
tedeschi avevano ritenuto che la Überseering
avesse trasferito la propria sede
amministrativa in Germania e che, di
conseguenza, essa avesse perso la propria
capacità giuridica e, quindi, la propria
capacità processuale alla luce dell’applicabile
diritto tedesco. Infatti, seguendo una
(all’epoca) costante giurisprudenza della
Suprema Corte tedesca (condivisa dalla
dottrina dominante), la capacità giuridica
della Überseering era stata determinata in
base al diritto dello Stato in cui essa aveva
stabilito la sua sede amministrativa effettiva,
ossia sulla base del diritto tedesco (e non sulla
base del diritto del paese di costituzione,
ossia l’Olanda). Ebbene, in base al diritto
tedesco la Überseering non era costi- tuita
secondo una delle forme ritenute ammissibili
da detto diritto e non aveva, dunque, capacità
giuridica ai sensi dell’ordinamento tedesco;
per altro verso, avendo trasferito la propria
sede amministrativa effettiva in Germania la
Überseering non era considerata
dall’ordinamento tedesco neppure quale
società di diritto olandese. In definitiva, la
Überseering venne ritenuta sostanzialmente
come non esistente e, conseguentemente,
incapace di agire in giudizio di fronte ai
tribunali tedeschi per tutelare i propri diritti
nascenti dal contratto di appalto con la NCC.
Secondo i giudici tedeschi la Überseering
avrebbe potuto riacquistare la propria
capacità giuridica e processuale solo
attraverso uno scioglimento e (ri)costituzione
in ottemperanza ai dettami dell’ordinamento
tedesco, poiché in detto ordinamento aveva
trasferito la propria sede amministrativa
effettiva.
Alla Corte di giustizia dell’Ue viene richiesto
di valutare la compatibilità con il diritto di
stabilimento delle società garantito dal
Trattato della determinazione della capacità
giuridica e processuale di una società
validamente costituita in un altro Stato
membro sulla base delle norme dello Stato in
cui, a detta dei giudici di quest’ultimo Stato,
la società avrebbe trasferito la propria sede
amministrativa effettiva.
Al riguardo, distinguendo la fattispecie
sottoposta alla sua attenzione dai giudici di
rinvio tedeschi da quella già esaminata nel
caso Daily Mail, la Corte di giustizia dell’Ue
non ha palesato dubbi: tutti gli Stati membri
dell’Ue devono riconoscere la capacità
giuridica e processuale alle società
validamente costituite in un altro Stato
membro e non possono obbligare tali società
a ricostituirsi secondo i termini e le
condizioni del proprio diritto. I giudici
europei precisano che <non si può escludere
che ragioni imperative di interesse generale
quali la tutela degli interessi dei creditori, dei
soci di minoranza, dei lavoratori o ancora del
fisco possano, in talune circostanze e
rispettando talune condizioni, giustificare
restrizioni alla libertà di stabilimento. Tali
obiettivi non possono tuttavia giustificare il
fatto che venga negata la capacità giuridica e,
quindi, la capacità processuale ad una società
regolarmente costituita in un altro Stato
membro dove ha la sede sociale. Infatti, una
tale misura equivale alla negazione stessa
della libertà di stabilimento riconosciuta alle
società dagli artt. 43 CE e 48 CE>.
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Inspire Art (2003)
Con la sentenza resa nel caso ‘Inspire Art’ la
Corte di giustizia dell’Ue precisa e completa
la piena efficacia della libertà di stabilimento
di succursali di società costituite in uno degli
Stati membri dell’Unione europea in un altro
Stato membro.
La Inspire Art era una private limited company
costituita e registrata in Inghilterra, ma
operante nel settore delle vendite di oggetti
d’arte esclusivamente in Olanda per il tramite
di una succursale appositamente creata ad
Amsterdam. Nell’ordinamento olandese, allo
scopo di limitare l’utilizzo abusivo di forme
societarie straniere per l’esercizio di attività
imprenditoriali in realtà integralmente
olandesi, nel dicembre 1997 era stata
introdotta la legge sulle società formalmente
straniere (Wet op de formeel buitenlandse
vennootschappen, ‘WFBV’). Sulla base di tale
legge alle società di capitali costituite in un
ordinamento diverso da quello olandese e
svolgenti la propria intera attività (o parte
preponderante di essa) in Olanda senza aver
alcun legame effettivo con lo Stato di
costituzione erano imposti alcuni obblighi
(nonostante l’Olanda sia un ordinamento in
cui vige la ‘teoria dell’incorporazione’):
(i) iscrizione nel registro delle imprese
olandese come ‘società solo formalmente
straniera’;
(ii) un capitale nominale pari almeno a quello
minimo previsto dalla legge olandese per le
società a responsabilità limitata, anche nel
caso in cui la legge del paese di
costituzione preveda un capitale inferiore;
(iii) peculiari obblighi concernenti la tenuta e
la conservazione delle scritture contabili.
La legge prevedeva, infine, la responsabilità
solidale degli amministratori della società per
le obbligazioni sociali nel caso in cui i
predetti obblighi non fossero stati rispettati.
Impugnato da parte dell’Inspire Art di fronte ai
giudici olandesi il provvedimento della
camera di commercio olandese con cui
quest’ultima pretendeva l’integrazione
dell’iscrizione con l’indicazione Formeel
buitenlandse vennootschap e la conseguente
sottoposizione della Inspire Art alla disciplina
speciale, alla Corte di giustizia dell’Ue venne
sottoposta la questione della compatibilità
della WFBV con la libertà di stabilimento
delle società garantita dal Trattato.
La Corte di giustizia dell’Ue ha ribadito ed
esteso la giurisprudenza Centros ritenendo
che <gli artt. 43 CE e 48 CE ostano ad una
normativa nazionale, come la WFBV, che
subordini l’esercizio della libertà di stabilimento a titolo secondario in tale Stato
membro, da parte di una società costituita
secondo il diritto di un altro Stato membro, a
determinate condizioni, relative al capitale
minimo e alla responsabilità degli
amministratori, stabilite dal diritto nazionale
per la costituzione di società. I motivi per cui
la società è stata costituita nel primo Stato
membro, nonché il fatto che essa eserciti la
sua attività esclusivamente, o quasi, nello
Stato membro di stabilimento non la privano,
salvo abusi da stabilirsi caso per caso, del
diritto di avvalersi della libertà di stabilimento
garantita dal Trattato>.
Gli Stati non possono, dunque, applicare alle
società “provenienti” da altri Stati membri
dell’Ue proprie regole societarie, <né l’art.
46 CE, né la tutela dei creditori, né la
repressione dell’abuso della libertà di
stabilimento, né la tutela della lealtà nei
rapporti commerciali e dell’efficacia dei
controlli fiscali permettono di giustificare
l’ostacolo alla libertà di stabilimento,
garantita dal Trattato, rappresentato dalle
disposizioni di una legislazione nazionale,
come quella in esame, sul capitale minimo e
sulla responsabilità personale e solidale degli
amministratori>
nella misura in cui tali
motivi non siano stati riconosciuti in grado di
superare il ‘test Gebhard’.
Sevic (2005)
Con la decisione resa nel caso Sevic la Corte
di giustizia dell’Ue estende l’ambito di
applicazione della libertà di stabilimento
10 / 45
delle società anche alle ipotesi di fusione
transfrontaliera che viene riconosciuta
legittima modalità di esercizio del diritto di
stabilimento, in aggiunta all’apertura di filiali,
agenzie o succursali e al trasferimento della
sede amministrativa.
Nel corso del 2002 la Sevic System AG,
società costituita in Germania, aveva
incorporato la società Sevic Vision Concept
S.A., costituita nell’ordinamento
lussemburghese, ma il giudice del registro
delle imprese tedesco (seguendo l’opinione
dominante presso la dottrina tedesca 23)
aveva rifiutato l’iscrizione dell’atto di fusione,
in forza dell’art. 1 della legge tedesca sulle
trasformazioni (Umwandlungsgesetz –
UmwG, che disciplina anche la fusione delle
società) che veniva interpretato nel senso di
ammettere unicamente le fusioni c.d.
‘interne’, ossia fra società aventi tutte la sede
in Germania, vietando sia le fusioni
transfrontaliere “in arrivo” (ossia quando la
società incorporante è quella avente sede in
Germania), sia quelle “in uscita” (ossia
quando la società incorporante ha sede non
in Germania).
Investita della questione della compatibilità
con la libertà di stabilimento delle società del
provvedimento di rifiuto all’iscrizione
dell’atto di fusione, la Corte di giustizia
dell’Ue ha anzitutto affermato che <rientrano
nell’ambito di applicazione del diritto di
stabilimento tutte quelle misure che
permettono o anche solo facilitano l’accesso
ad un altro Stato membro e/o lo svolgimento
di attività economiche in tale Stato,
consentendo ai soggetti interessati di poter
partecipare effettivamente e alle stesse
condizioni degli operatori nazionali alla vita
economica del paese. Le operazioni di
fusione transfrontaliere, al pari delle altre
operazioni di trasformazione di società,
rispondono alle esigenze di cooperazione e di
raggruppamento di società stabilite in Stati
membri differenti. Esse costituiscono modalità
particolari di esercizio della libertà di
stabilimento, importanti per il buon
funzionamento del mercato interno, e
rientrano pertanto tra le attività economiche
per le quali gli Stati membri sono tenuti al
rispetto della libertà di stabilimento di cui
all’art. 43 CE>.
Sulla base di tale premessa, poiché la legge
tedesca regolamenta in modo diseguale le
operazioni di fusione a seconda che
riguardino solo società nazionali (con sede in
Germania) ovvero una società nazionale e
una società considerata estera (in quanto non
avente sede in Germania), con ciò creando
una disparità di trattamento di società a
seconda della natura interna o transfrontaliera
della fusione, la Corte di giustizia dell’Ue ha
ritenuto che la predetta <disparità di
trattamento costituisce una restrizione ai sensi
degli artt. 43 CE e 48 CE, la quale osta alla
libertà di stabilimento>. Né la limitazione
dell’ammissibilità delle fusioni solo fra società
aventi tutte sede in Germania è stata ritenuta
in grado di superare il vaglio del ‘test
Gebhard’, in particolare affermandosi che il
generale diniego, in uno Stato membro,
dell’iscrizione nel registro delle imprese di
una fusione tra una società stabilita in tale
Stato ed una avente sede in uno Stato
membro diverso finisce con l’impedire la
realizzazione di fusioni transfrontaliere
anche quando si tratta delle consuete ragioni
imperative d’interesse generale quali la tutela
degli interessi dei creditori, dei soci di
minoranza e dei lavoratori.
Merita di essere segnalato che la sentenza,
contrariamente a quanto espresso
dall’Avvocato generale Tizzano (il quale si era
espresso nel senso dell’equiparazione dei
limiti “in uscita” e di quelli “in arrivo”, con
un’ampia riflessione ricomprendente sia le
fusioni trasfrontaliere, sia i trasferimenti di
sede), nulla afferma su eventuali limitazioni
alle fusioni “in uscita”, prendendo posizione
solo sulle fusioni transfrontaliere “in entrata”.
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La libertà di stabilimento in uscita
Daily Mail (1988)
La sentenza della Corte di giustizia dell’Ue
nel caso Daily Mail viene considerata il
leading case per ciò che concerne le
limitazioni “in uscita” della libertà di
stabilimento.
Nel 1984 la società editrice del celebre
quotidiano ‘Daily Mail’, valida- mente
costituita e avente sede legale in Inghilterra, si
propose di trasferire la propria sede
amministrativa (coincidente con la residenza
fiscale) in Olanda; ciò al fine di poter
beneficiare di un più favorevole trattamento
fi- scale rispetto ad alcune operazioni su titoli
(anche propri) che essa aveva intenzione di
porre in essere. Tuttavia, ai sensi della
legislazione fiscale in- glese, il trasferimento
della sede amministrativa delle società era
subordi- nato all’autorizzazione del Ministero
del Tesoro, poiché il contestuale spostamento
della sede ai fini impositivi avrebbe
determinato (come vo- luto dalla Daily Mail)
il venir meno dell’assoggettamento al prelievo
fiscale.
A fronte del diniego dell’autorizzazione e alla
conseguente controversia di fronte alle corti
inglesi, giungeva di fronte alla Corte di
giustizia dell’Ue la questione se la disciplina
e il trattamento riservato alla Daily Mail
fossero contrastanti con il diritto di
stabilimento “in uscita”.
I giudici europei, accogliendo le istanze del
governo britannico, hanno ritenuto che
dall’interpretazione delle norme del Trattato
non potesse evincersi l’attribuzione alle
società costituite in uno degli Stati membri
del diritto a trasferire la sede
dell’amministrazione in un altro Stato
membro nel contempo conservando la qualità
di società nello Stato secondo la cui
legislazione sono state costituite. Elemento
centrale della decisione si ri- velarono essere
le considerazioni secondo cui <diversamente
dalle per- sone fisiche, le società sono enti
creati da un ordinamento giuridico e, allo
stato attuale del diritto comunitario, da un
ordinamento giuridico nazionale. Esse
esistono solo in forza delle diverse
legislazioni nazionali che ne disciplinano
costituzione e funzionamento> (punto 19) e
che <secondo il Trattato, la diversità delle
legislazioni nazionali sul criterio di
collegamento previsto per le loro società
nonché sulla facoltà, ed eventualmente le
modalità, di un trasferimento della sede,
legale o reale, di una società di diritto
nazionale da uno Stato membro all’altro
costituisce un problema la cui soluzione non
si trova nelle norme sul diritto di stabilimento,
dovendo invece essere affidata ad iniziative
legislative o pattizie, tuttavia non ancora realizzatesi>. Sicchè, in difetto di
regolamentazione europea in materia di
trasferimento della sede, i giudici europei
hanno riconosciuto che la regolamentazione
dello spostamento della sede di una società
da uno Stato membro ad un altro rimane di
competenza degli ordinamenti nazionali e, in
assenza di convenzioni di armonizzazione sul
trasferimento della sede, i singoli ordinamenti
nazionali sono liberi di stabilirne modalità,
limiti e procedure.
In altre parole, con la sentenza Daily Mail la
Corte di giustizia dell’Ue ha riconosciuto il
potere dello Stato di “origine”, ossia dello
Stato che ri- tiene una determinata società
quale esistente ai sensi e per gli effetti del
proprio diritto e che pretende di disciplinarla,
di porre condizioni ovvero finanche
impedimenti al trasferimento della sede
(sociale e/o amministra- tiva) di tale società,
senza che questi impedimenti vengano
considerati quali limitazioni al diritto di
stabilimento26.
ICI, Marks & Spencer, Cadbury
Schweppes (1998, 2005, 2006)
Fra le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue
concernenti limitazioni “in uscita” per le
società vanno segnalate alcune pronunce
relative alla disciplina inglese sulla tassazione
dei gruppi di società ed aventi ad oggetto
ostacoli “in uscita” di natura fiscale, ossia
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limiti fiscali posti dai singoli ordinamenti
nazionali all’esercizio del diritto di
stabilimento delle proprie società in un altro
Stato membro.
Nel caso Imperial Chimical Industries (‘ICI’)
del 1998 i giudici europei hanno ritenuto che
rappresentasse una restrizione all’esercizio
della libertà di stabilimento il rifiuto da parte
dell’amministrazione fiscale britannica di
concedere a una società holding costituita in
Inghilterra (l’ICI) una sgravio fiscale previsto
dalla legge inglese in favore delle società
holding per le perdite commerciali subite da
società del gruppo. Il diniego dello sgravio
fiscale – che indubbiamente limitava
l’esercizio della libertà di stabilimento dell’ICI
relativamente alla costituzione all’estero di
società controllate, disincentivandone
l’“uscita” - era fondato sulla circostanza che
<la maggior parte delle sue controllate, ossia
19 su 23, non sono società commerciali
stabilite nel Regno Unito e che la sua attività
principale non è pertanto quella a cui si
annette tale qualità>. Merita di essere
ricordato che nel caso di specie la Corte
richiamò il proprio precedente rappresentato
dalla sentenza Daily Mail, affermando che
<sebbene, cosi come formulate, le norme
relative alla libertà di stabilimento mirino in
special modo ad assicurare il beneficio della
disciplina nazionale dello Stato membro
ospitante, esse ostano parimenti a che lo Stato
d’origine ostacoli lo stabilimento in un altro
Stato membro di un proprio cittadino o di una
società costituita secondo la propria
legislazione e corrispondente alla definizione
dell’art. 58 del Trattato (sentenza 27 settembre
1988, causa 81/87, Daily Mail and General
Trust [...])>.
Nel caso Marks & Spencer del 2005
l’amministrazione fiscale inglese aveva
rifiutato alla società controllante costituita in
Inghilterra di poter usufruire di uno sgravio
fiscale di gruppo previsto dall’Income and
corporation tax act 1998 in quanto tale legge
consentiva di dedurre le perdite solo delle
società controllate costituite nel Regno Unito,
non di quelle costituite all’estero. Anche in tal
caso la Corte di giustizia dell’Ue ha ritenuto
che un diverso trattamento fiscale delle
società controllate costituite nello Stato e di
quelle costituite in altri Stati membri sia di
ostacolo all’esercizio della libertà di
stabilimento della società controllante, che
sarebbe disincentivata dal costituire
controllate in altri Stati membri.
Nel 2006, infine, nel caso Cadbury &
Schweppes la Corte di giustizia dell’Ue si è
trovata ad esaminare la compatibilità con la
libertà di stabilimento del diniego frapposto
dall’amministrazione fiscale britannica a una
società holding costituita in Inghilterra
rispetto alla richiesta di quest’ultima di
beneficiare del credito d’imposta previsto
dalla legge per le tasse pagate da due proprie
controllate costituite in Irlanda al fine di
beneficiare di un livello di tassazione
inferiore. Dopo aver riaffermato che la
costituzione di una società in un altro Stato
membro allo scopo di beneficiare di una
disciplina più favorevole non rappresenta un
abuso della libertà di stabilimento, i giudici
europei hanno dichiarato che il trattamento
posto in essere dall’amministrazione fiscale
inglese costituiva una restrizione ingiustificata
della libertà di stabilimento della società
controllante, precisando che <le disposizioni
del Trattato relative alla libertà di stabilimento
vietano parimenti che lo Stato d’origine
intralci lo stabilimento in un altro stato
membro di un proprio cittadino o di una
società costituita secondo la propria
legislazione>.
Cartesio (2008)
Una delle pronunce più significative della
Corte di giustizia dell’Ue in materia di diritto
di stabilimento delle società ha riguardato
una società ungherese, la Cartesio, che ha
visto limitato il proprio diritto di stabilimento
“in uscita”.
Costituita e con sede in Ungheria, nel 2005 la
Cartesio aveva presentato al competente
registro delle imprese domanda di modifica
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dell’iscrizione, chiedendo di trasferire la sua
sede in Italia, senza tuttavia richiedere la
cancellazione dal registro ungherese e senza
intenzione di riscriversi nel registro italiano
(così divenendo una società “italiana”). Pur
volendo trasferire in Italia la sede la Cartesio
intendeva, dunque, rimanere una società
ungherese iscritta nel registro del proprio
paese di costituzione.
Sotto il profilo della disciplina ungherese
all’epoca applicabile va osservato che la
legge ungherese sulla registrazione delle
società disponeva che la sede sociale
statutaria dovesse coincidere con la sede
amministrativa, mentre sotto il profilo
internazionalprivatistico l’ordinamento
ungherese prevedeva che la legge regolatrice
delle persone giuridiche fosse la legge del
luogo in cui queste sono registrate.
Il giudice del registro delle imprese ungherese
rigettò la richiesta di trasferimento della sede
della Cartesio, affermando che il diritto
ungherese non consentiva alle società
costituite in Ungheria di spostare all’estero la
sede (statutaria e amministrativa) nel
contempo continuando ad essere assoggettate
alla legge ungherese (considerato che, come
detto, la Cartesio non intendeva cancellarsi
dal registro delle imprese ungherese).
Secondo il giudice del registro delle imprese
ungherese il trasferimento di sede della
Cartesio avrebbe richiesto la previa
cessazione della società, la sua liquidazione
ed estinzione e la ricostituzione in conformità
della legislazione dello Stato nel cui territorio
aveva intenzione di stabilire la propria sede.
Investita della questione della compatibilità
con il diritto di stabilimento assicurato dal
Trattato della disciplina ungherese che vieta
alle società registrate in Ungheria di trasferire
in altro Stato membro dell’UE la propria sede
qualora tali società non intendano mutare il
proprio statuto personale, la Corte di Giustizia
ha confermato la propria giurisprudenza
contenuta nella decisione Daily Mail, non
accogliendo l’opinione dell’Avvocato
Generale che espressamente ne aveva chiesto
il superamento.
I giudici europei hanno ribadito che le società
esistono solo in forza delle scelte degli
ordinamenti nazionali e che gli ordinamenti
degli Stati membri divergono fortemente per
quanto concerne le norme di conflitto in
materia societaria, sicchè uno Stato membro
<dispone pertanto della facoltà di definire sia
il criterio di collegamento richiesto a una
società affinché essa possa ritenersi costituita
ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale
titolo, possa beneficiare del diritto di
stabilimento, sia quello necessario per
continuare a mantenere detto status. Tale
facoltà include la possibilità, per lo Stato
membro in parola, di non consentire a una
società soggetta al suo diritto nazionale di
conservare tale status qualora intenda
riorganizzarsi in un altro Stato membro
trasferendo la sede nel territorio di
quest’ultimo, sopprimendo in questo modo il
collegamento previsto dal diritto nazionale
dello Stato membro di costituzione>.
Per altro verso, sia pure incidentalmente, la
Corte di giustizia dell’Ue differenzia il caso
specifico sottoposto al suo esame (limiti al
trasferimento all’estero della sede senza
mutare legge applicabile, da essa ritenuti
compatibili con il diritto di stabilimento),
dall’ipotesi in cui la società non intenda solo
trasferire la sede, ma mutare la propria lex
societatis, “trasformandosi” in un tipo sociale
soggetto alla disciplina societaria di un altro
Stato membro. In questa ipotesi <la facoltà,
richiamata al punto 110 della presente
sentenza, lungi dall’implicare una qualsiasi
immunità della legislazione nazionale in
materia di costituzione e di scioglimento delle
società rispetto alle norme del Trattato CE
relative alla libertà di stabilimento, non può
segnatamente giustificare che lo Stato
membro di costituzione, imponendo lo
scioglimento e la liquidazione di tale società,
impedisca a quest’ultima di trasformarsi in
una società di diritto nazionale dell’altro Stato
membro nei limiti in cui detto diritto lo
consenta>, la Corte sostenendo ulteriormente
14 / 45
che <Un siffatto ostacolo all’effettiva
trasformazione di una società di questo tipo,
senza previo sciogli- mento e previa
liquidazione, in una società costituita a
norma della legge nazionale dello Stato
membro in cui intende trasferirsi
costituirebbe una restrizione alla libertà di
stabilimento della società interessata che, a
meno che non sia giustificata da ragioni
imperative di interesse pubblico, è vietata in
forza dell’art. 43 CE (v. in tal senso, in
particolare, sentenza CaixaBank France, cit.,
punti 11 e 17) > .
A ben vedere la sentenza Cartesio è dirimente
in ambito di trasformazioni transfrontaliere.
L’ULTIMA PRONUNCIA
VALE (2012)
Con sentenza del 12 luglio 2012, la Corte di
Giustizia dell’UE ha analizzato una
controversia in materia di trasformazione
transfrontaliera di una società di diritto
italiano in società di diritto ungherese.
La VALE Costruzioni Srl (una società a
responsabilità limitata di diritto italiano; in
prosieguo: «VALE Costruzioni») il 3 febbraio
2006 chiesto di essere cancellata dal Registro
delle imprese Italiano segnalando che
intendeva trasferire la propria sede sociale e
la propria attività in Ungheria, cessando
l’attività in Italia. Conformemente a tale
domanda, l’autorità incaricata della tenuta del
registro a Roma ha proceduto alla
cancellazione di tale società il 13 febbraio
2006.
Dato che la società costituita originariamente
in Italia, secondo il diritto italiano, aveva
deciso di trasferire la propria sede sociale in
Ungheria e di operarvi secondo il diritto
ungherese, il direttore della VALE Costruzioni
e un’altra persona fisica hanno approvato a
Roma, il 14 novembre 2006, lo statuto della
VALE Építési kft (una società a responsabilità
limitata di diritto ungherese; in prosieguo: la
«VALE Építési»), ai fini dell’iscrizione nel
registro delle imprese in Ungheria. Inoltre, il
capitale è stato versato nella misura richiesta,
secondo la legge ungherese, per la
registrazione.
Il 19 gennaio 2007, il rappresentante della
VALE Építési ha presentato una domanda
presso il Fővárosi Bíróság (Corte di Budapest),
in veste di cégbíróság (tribunale
commerciale), al fine di registrare la società
secondo il diritto ungherese. Nella domanda
egli indicava la VALE Costruzioni quale dante
causa della VALE Építési. Il Fővárosi Bíróság,
agendo in qualità di tribunale commerciale in
primo grado, ha respinto la domanda di
registrazione. In secondo grado, il Fővárosi
ítélő t ábla (Corte d’appello regionale di
Budapest), adito dalla VALE Építési, ha
confermato tale ordinanza di rigetto. Ai sensi
della normativa ungherese applicabile alle
società, una società costituita e registrata in
Italia non può trasferire la sua sede sociale in
Ungheria e non può farsi registrare in tale
paese nella forma richiesta. Secondo tale
giudice, ai sensi delle disposizioni di diritto
ungherese vigenti, nel registro delle imprese
possono figurare soltanto i dati elencati agli
articoli 24‐29 della legge V del 2006 e, di
conseguenza, non è possibile indicare quale
dante causa una società che non sia
ungherese.
La Corte Europea investita della questione ha
adottato il provvedimento più chiaro, della
sua, seppur breve, storia in materia di libertà
di stabilimento statuendo che:
1) Gli articoli 49 TFUE e 54 TFUE devono
essere interpretati nel senso che ostano a una
normativa nazionale che, pur prevedendo per
le società di diritto interno la facoltà di
trasformarsi, non consente, in generale, la
trasformazione di una società disciplinata dal
diritto di un altro Stato membro in società di
diritto nazionale mediante la costituzione di
quest’ultima.
2) Gli articoli 49 TFUE e 54 TFUE devono
essere interpretati, nel contesto di una
trasformazione transfrontaliera di una
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società, nel senso che lo Stato membro
ospitante è legittimato a determinare il
diritto interno relativo a un’operazione di
questo tipo e ad applicare quindi le
disposizioni del proprio diritto nazionale
relative alle trasformazioni interne che
disciplinano la costituzione e il
funzionamento di una società, come le
regole concernenti la preparazione del
bilancio e dell’inventario del patrimonio.
Tuttavia, i principi di equivalenza e di
effettività ostano, rispettivamente, a che lo
Stato membro ospitante:
– rifiuti di tenere debitamente conto dei
documenti che promanano dalle autorità
dello Stato membro d’origine nel corso del
procedimento di registrazione della società.
Con questa sentenza di estrema chiarezza la
corte ha inteso rimuovere ogni dubbio circa la
legittimità delle trasformazioni
Transfrontaliere, ma non solo, è andata ben
oltre configurando (legalizzando) una vera e
propria modalità operativa per le società che
intendano procedere a tale operazione.
– r i fi u t i , p e r l e t r a s f o r m a z i o n i
transfrontaliere, di ammettere la menzione
della società che ha chiesto la trasformazione
in quanto «dante causa», se tale menzione
della società dante causa nel registro delle
imprese è prevista per le trasformazioni
interne, e
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Ciccopiedi Studio Legale
IL TRASFERIMENTO DELLA
SOCIETÀ ALL’ESTERO,
MODALITÀ OPERATIVE
il trasferimento della sede all’estero & la trasformazione transnazionale - la fusione per
incorporazione transfrontaliera - la Società Europea
IL TRASFERIMENTO DELLA SEDE & LA
TRASFORMAZIONE INTERNAZIONALE
La società può abbandonare la giuridizione italiana in
favore di quella straniera mediante il semplice
spostamento della residenza, nello Stato di
destinazione.
Questa procedura apparentemente semplice pone delle
problematiche insidiose e giuridicamente molto
antiche.
Nella pratica si procede mediante modifica dello statuto
e deliberando lo spostamento della sede con
conseguente modificazione dello status giuridico.
Si discute infatti tra i sistemi giuridici della possibilità
per una società costituita secondo la legge di uno Stato
di cambiare la sua giurisdizione in continuità con la sua
precedente identità. Sono invero diversi gli Stati che
riconoscono tale facoltà, tra i più importanti ci sono la
Spagna, la Romania e probabilmente la Bulgaria e la
Polonia, oltre che l’Italia.
A questo punto la modifica deve essere registrata sia
presso il Registro delle Imprese Italiano, sia presso il
Registro dello Stato di destinazione.
Altri stati invece in difformità da tale sede sostengono
che una Società per trasferirsi debba sciogliersi e
ricostituirsi nella nuova forma, nel nuovo Stato.
La società viene cancellata dal registro italiano con
l’iscrizione nel nuovo Stato.
Una soluzione pratica e spesso messa in uso è quella di
trasformare la società mediante costituzione di una
società nel paese di destinazione e registrandola quale
avente causa della società trasferita, procedendo poi
alla cancellazione di quest’ultima dai registri nazionali.
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Ciccopiedi Studio Legale
A tal riguardo la sentenza “Vale” pare essere dirimente,
pur tuttavia bisognerà ancora attendere che anche i
Registri delle Imprese dei sitemi meno permeabili al
diritto comunitario si adeguino alle pronunce dei
giudici del Lussemburgo.
LA FUSIONE PER INCORPORAZIONE
La fusione per incorporazione è quel processo mediante
il quale una società target viene assorbita con tutto il
suo patrimonio all’interno di un’altra società
fagocitante.
Mediante la fusione per incorporazione si può
m o d i fi c a r e l a g i u r i s d i z i o n e d i u n a s o c i e t à ,
preservandone la continuità dei rapporti giuridici, senza
quindi procedere alla liquidazione.
Operativamente: costituiremo la Società incorporante
nello Stato di destinazione, tale società incorporerà in
se la nostra società italiana.
Al termine della Fusione la società italiana non esisterà
più ed il suo patrimonio (insieme dei rapporti attivi e
passivi) sarà completamente trasferito in quello della
società estera incorporante.
LA SOCIETÀ’ EUROPEA
La SE è una particolare forma di società per azioni
disciplinata dal diritto comunitario. Essa si caratterizza
per il fatto che ha una disciplina di base comune per
tutti gli stati membri dell’Unione.
Con l’istituzione della SE gli Stati membri dispongono
ora di un organismo societario comune, che consente
alle società ivi residenti ed appartenenti a diversi Stati di
fondersi, di formare una holding o una filiale comune,
senza dover sottostare ai vincoli giuridici derivanti
dall’applicazione dei differenti ordinamenti, in quanto il
relativo regolamento comunitario risulta direttamente
applicabile in ogni Stato.
Ricordiamo brevemente che il regolamento prevede
quattro modi di costituzione di una SE:
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- scambio di partecipazioni : con costituzione di una SE
holding. Da un punto di vista tecnico, l’operazione si
realizza con il conferimento delle partecipazioni delle
società promotrici nella costituenda SE, che diventa così
controllante delle società fondatrici;
- costituzione di un’affiliata comune: l’ipotesi, che è
regolata tramite rinvio alle disposizioni interne dei
singoli Stati, e si sostanzia in un conferimento delle
società residenti promotrici a favore della costituenda
SE;
- trasformazione in SE di una società per azioni di
diritto nazionale, che abbia da almeno due anni
un’affiliata soggetta alla legge di un altro Stato membro.
Ed è proprio la trasformazione in SE di una società
azionaria, cui far seguire il trasferimento di sede
all’interno dell’UE, che costituisce una modalità con cui
realizzare il trasferimento della sede sociale in ambito
comunitario, senza alcuna problematica civilistica ed in
regime di neutralità fiscale .
La possibilità di trasferire la sede sociale di una SE in
uno altro Stato membro senza che questo comporti lo
scioglimento della società, è esplicitamente previsto
nell’art. 8 del Regolamento (CE) n. 2157/2001. È dettata
una particolare procedura che prevede tra l’altro:
l’elaborazione da parte dell’organo di direzione o di
amministrazione di un progetto di trasferimento, la
redazione di una relazione esplicativa, l’assunzione
della decisione di trasferimento solo dopo il decorso di
due mesi dalla pubblicazione del progetto, forme di
tutela per i creditori sociali, nonché l’attestazione da
parte dalle autorità competenti nello Stato membro
della sede sociale della SE, dell’espletamento di tutte le
formalità preliminari al trasferimento.
Ciccopiedi Studio Legale
- fusione - propria o per incorporazione : società per
azioni, di cui almeno due devono esse- re soggette alla
legge di Stati membri diversi;
Così la norma, pur con la sua rigida disciplina,
rappresenta la prima forma comunitaria “legalmente
vincolante” sul trasferimento di sede di una società
all’interno del territorio della Comunità. La SE è quindi
attualmente l’unica forma societaria europea in grado di
trasferire la sua sede sociale senza che questo comporti
lo scioglimento o la costituzione di una nuova persona
giuridica; questa è stata considerata una delle principali
innovazioni ed uno dei maggiori punti di forza di
questa figura giuridica societaria.
Occorre evidenziare che al trasferimento di sede della
SE deve necessariamente corrispondere anche il
trasferimento della sua amministrazione centrale, in
quanto l’art. 7 del regolamento prevede che: “La sede
sociale della SE deve essere situata all’interno della
Comunità, nello stesso Stato membro
dell’amministrazione centrale ...”. Eventuali violazioni
sulla necessaria coincidenza tra sede statutaria e sede
“reale”, sono severamente sanzionate potendo comportare anche la liquidazione della società. Peraltro
segnaliamo come l’utilizzo dell’espressione
“amministrazione centrale”, potrebbe essere causa di
problemi interpretativi, con conseguenti possibili
conflitti tra i vari ordinamenti.
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LE CONSEGUENZE DEL
TRASFERIMENTO
la successione nei rapporti giuridici - la tutela dei lavoratori - la tutela dei soci di minoranza - la
tutela dei creditori - i conflitti di giurisdizione - l’esterovestizione delle società comunitarie - profili
delittuosi delle frodi realizzate mediante il trasferimento all’estero delle società.
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La tutela dei creditori
Il Trasferimento all’estero che muti la lex societatis ha
senza dubbio un riflesso importante nei rapporti
venutisi a creare nella situazione precedente.
E’ quindi importante capire se, ed in che modo,
l’ordinamento italiano predisponga dei meccanismi per
tutelare i creditori sociali contro il mutamento della lex
societatis della società debitrice.
Nell’ordinamento italiano le regole del diritto societario
disciplinano anche i problemi d’agenzia tra soci e
creditori, motivo per cui il mutamento di lex societatis
rappresenta un mutamento delle rispettive regole
contrattuali implicite. Il trasferimento, quindi, potrebbe
essere opportunisticamente finalizzato a danneggiare i
creditori, i quali avevano contrattato con la società
basandosi sul presupposto che questa “appartenesse” a
un determinato ordinamento, adeguandosi e tutelandosi
nell’ambito di un sistema predefinito di norme positive
che tutte d’un tratto verranno arbitrariamente mutate.
Dobbiamo chiederci, quindi, se vi siano i presupposti
per estendere in via analogica alle “trasformazioni
internazionali” meccanismi di tutela dei creditori
previsti in altri istituti o fattispecie.
Di certo, il processo di trasformazione con cui una
società italiana muta l’ordinamento di riferimento, allo
stato attuale, non viene disciplinato in alcun modo. Il
procedimento potrebbe astrattamente funzionare anche
senza una tutela specifica dei creditori, ma questo
potrebbe far sorgere disparità di trattamento rispetto a
operazioni analoghe. Infatti, l’ordinamento italiano
conosce alcuni casi in cui una società, originariamente
regolata dalle norme italiane, muta ordinamento di
appartenenza o, comunque, la legge applicabile; si
tratta delle fusioni transfrontaliere in società di altri Stati
membri della UE e del trasferimento all'estero della
sede legale di una SE italiana.
L’operazione che, a prima vista, evidenzia le maggiori
analogie con la “trasformazione internazionale” é il
trasferimento all'estero della sede sociale di una SE
italiana. La ragione é che col trasferimento della sede
muta la legge applicabile in via sussidiaria, la quale,
vista la lacunosità del Regolamento SE, disciplina quasi
tutte le materie societarie e, dal punto di vista dei
creditori, equivale ad un mutamento della lex societatis.
Come si ricorderà, il Regolamento SE (così come il
Regolamento sulla SCE) rimette agli Stati membri il
compito di determinare i meccanismi di protezione dei
creditori, meccanismi che devono riguardare
necessariamente i creditori antecedenti all’iscrizione
del progetto di trasferimento di sede e che gli Stati
membri possono estendere ai crediti sorti sino
all’attuazione del trasferimento.
Il legislatore italiano, però, non ha adottato una legge
ad hoc di attuazione né del Regolamento SE né del
Regolamento sulla Società Cooperativa Europea,
cosicché, anche riguardo al trasferimento di sede di SE
(e di SCE) si pone lo stesso problema, sollevato dalle
“trasformazioni internazionali”, di applicare le forme di
tutela previste per i creditori in operazioni analoghe.
Restano in campo due sole alternative: (a) la disciplina
sulle trasformazioni domestiche; (b) la disciplina sulle
fusioni transfrontaliere.
Il rischio che corrono i creditori in tutte le ipotesi in cui
la società debitrice muti l'ordinamento d’appartenenza
é rappresentato dal mutamento in sé della legge
applicabile, la quale potrebbe essere meno protettiva
per le ragioni del credito.
Il pericolo che corrono i creditori qualora il loro
debitore muti ordinamento presenta forti analogie con i
rischi creati dalle trasformazioni domestiche, le quali
cambiano il set di regole che disciplinano i problemi
d’agenzia tra soci e creditori. Si potrebbe concludere
che la disciplina sulle trasformazioni domestiche
rappresenti il termine di paragone per le ipotesi di
mutamento di legge al fine di individuare i meccanismi
di tutela dei creditori.
Nel nostro ordinamento i creditori di società che
deliberano una trasformazione domestica vengono
protetti quando una società di persone si trasforma in
società di capitali, nel qual caso i creditori possono
continuare a fare affidamento sulla responsabilità
personale illimitata dei soci a meno che non
acconsentano alla loro liberazione, e nelle
trasformazioni “eterogenee”, in cui i creditori hanno
diritto di opposizione secondo la disciplina della
riduzione del capitale. In tutti gli altri casi i creditori
non hanno strumenti di tutela particolari e non godono
del diritto di opposizione, nonostante la trasformazione
potrebbe cambiare le regole sui problemi d’agenzia tra
essi e i soci in senso peggiorativo.
Se ritenessimo che la disciplina sulle trasformazioni
domestiche sia il termine di paragone per tutte le ipotesi
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di mutamento della legge applicabile, dovremmo
concludere che i creditori di SE italiane che
trasferiscono all’estero la sede sociale e i creditori di
società di capitali italiane che decidono di mutare
statuto personale non godano di alcuna protezione
particolare, a meno che la società italiana non effettui
anche una mutazione di “genere” divenendo un ente
non commerciale, ad esempio una fondazione o
un’associazione di diritto straniero, nel qual caso
dovremmo applicare il diritto d'opposizione previsto
per le trasformazioni eterogenee domestiche.
Singolarmente, però, farebbe eccezione la fusione
transfrontaliera, perché il decreto sulle fusioni
transfrontaliere espressamente estende a
quest’operazione il diritto di opposizione dei creditori
previsto per le fusioni domestiche. Questa singolare
asimmetria impone di sottoporre ad un’indagine
accurata l’ipotesi di estendere i meccanismi di tutela
dei creditori dettati per le trasformazioni domestiche.
La fusione transfrontaliera può condurre al risultato
pratico di mutare l'ordinamento di appartenenza delle
società che vi prendono parte motivo per cui è
quest’operazione quella che presenterebbe più analogie
con la “trasformazione internazionale”. La disciplina
della fusioni transfrontaliere prevede che, per quanto
non espressamente previsto dal decreto, alle società
italiane che partecipano all’operazione si applichino le
norme italiane sulla fusione e anche il meccanismo di
opposizione dei creditori previsto in tale sede. Il diritto
di opposizione dei creditori delle fusioni domestiche,
quindi, poiché viene applicato anche nelle fusioni
transfrontaliere, sembra godere di una significativa
capacità “espansiva”, cosicché e necessario valutare se
applicarlo, in via diretta o analogica, anche al
trasferimento della sede di SE e alle “trasformazioni
internazionali”.
La fusione transfrontaliera si differenzia dalle fusioni
domestiche, perché lo specifico rischio addossato ai
creditori non é che la società debitrice si fonda con una
società meno patrimonializzata o indebitata, bensì che
la società debitrice cambi l’ordinamento di
appartenenza in termini potenzialmente meno
vantaggiosi o protettivi per i creditori. Il rischio dei
creditori, quindi, non e di natura patrimoniale e
aziendale ma dipende dal mutamento di lex societatis,
ossia delle regole societarie e dei limiti all’autonomia
privata nei due ordinamenti.
Sotto questo profilo, dobbiamo tenere presente che il
Decreto Fusioni Transfrontaliere non distingue i mezzi
di tutela dei creditori a seconda che la società postfusione sia 0 meno italiana e, quindi, a seconda che la
società debitrice muti o meno la legge applicabile. Il
diritto d’opposizione dei Creditori previsto per le fusioni
domestiche si applica anche all’ipotesi in cui una
società italiana incorpori una società estera,nel qual
caso i creditori dell’incorporante corrono
semplicemente il “rischio tipico” delle fusioni (rischio
di carattere patrimoniale e aziendale, come abbiamo
visto), non il “rischio specifico” derivante dal
mutamento della lex societatis. In altri termini, il
legislatore italiano non ha predisposto alcuno strumento
a protezione dei creditori rivolto esclusivamente al
mutamento di lex societatis, bensì solo lo strumento di
tutela generale dei creditori in caso di fusione.
Questo escursus per comprendere quali ragionamenti
un legislatore saggio dovrebbe porre a tutela dei
creditori in una trasformazione internazionale, tuttavia
nel nostro caso, tanto la disciplina prevista in via
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generale per le SE, sia quelle per le fusioni
transfrontaliere appaiono inapplicabili.
Le fattispecie di cui discutiamo sono profondamente
diverse, le cui uniche somiglianze risiedono nel
risultato finale, ma con una profonda diversità di
procedure.
Tanto più che, in una situazione di normalità,
l’eventuale tutela delle obbligazioni contratte sotto
l’egida del diritto italiano, rimangono di competenza
dello stesso. La differenza sostanziale potrebbe risiedere
nelle eventuali procedure di insolvenza, tuttavia il
regolamento sull’insolvenza transfrontaliera, di cui
parleremo prossimamente, chiarisce molti dubbi.
La tutela dei soci di minoranza
I meccanismi di tutela dei soci di minoranza nei
Confronti del mutamento di statuto personale sono
previsti dal codice civile.
Anzitutto occorre precisare che la decisione con cui
una società decide di trasferire all’estero la propria sede
sociale deve essere assunta con le maggioranze
rafforzate previste dal codice stesso per le modifiche
statutarie.
In secondo luogo i soci non consenzienti con la
delibera hanno diritto di recedere dalla società. Si tratta,
però, di strumenti di tutela del socio che non si
rivolgono esclusivamente ed espressamente alle
“trasformazioni internazionali”, bensì al trasferimento
della sede sociale all’estero, che rappresenta un
presupposto necessario ma non sufficiente del
mutamento di lex societatis, tanto che — almeno
secondo una prassi applicativa — le società italiane
potrebbero trasferire all'estero la sede senza
necessariamente mutare l’ordinamento d’origine, come
abbiamo visto in precedenza .
Il diritto di recesso, quindi, sorge in seguito
all’iscrizione nel registro delle imprese della delibera
assembleare che trasferisce la sede all’estero,
nonostante questa delibera non produca da sola il
mutamento di lex societatis, poiché a tal fine
concorrono le scelte del paese d’arrivo e il rispetto delle
sue regole sostanziali e procedurali. Ma, come abbiamo
visto, la delibera di trasferimento della sede sociale può
produrre effetti ulteriori rispetto al mutamento di lex
societatis, quali l’obbligo di tenere le riunioni
assembleari e di depositare i documenti preparatori
presso la nuova sede all’estero, anche qualora la società
resti italiana. Pertanto, il recesso potrebbe svolgere la
funzione di proteggere il socio da situazioni in cui
risulti difficile esercitare materialmente i propri diritti,
anche se probabilmente questa ragione non é
sufficiente a giustificare una simile misura. In definitiva,
sarebbe opportuno che il legislatore precisasse questo
aspetto, garantendo il diritto di recesso solo in caso di
“trasformazione internazionale” ed escludendolo in
tutte le ipotesi in cui il trasferimento di sede non
determini un mutamento di lex societatis.
Riguardo al trasferimento all’estero della sede sociale di
una SE italiana, dobbiamo ricordare come l'Italia, a
differenza di tutti gli altri Stati membri, non abbia
introdotto una legge ad hoc per attuare il Regolamento
SE. Pertanto dobbiamo chiederci se gli azionisti assenti,
dissenzienti o astenuti di una SE che trasferisca la sede
sociale all’estero possano recedere dalla società, in
analogia con una delle possibili cause di recesso
previste per le s.p.a., quali il trasferimento della sede
sociale all'estero o la trasformazione eterogenea. A noi
pare fondata quest’ultima ipotesi visto l’ampio rinvio
della disciplina Comunitaria in favore di quella
nazionale in materia di Società per Azioni. Pare tuttavia
urgente ed opportuno sollecitare il legislatore nazionale
ad intervenire con un provvedimento chiarificatore.
La tutela dei lavoratori
Il trasferimento transnazionale d’azienda è uno degli
effetti della globalizzazione dell’economia e degli
ordinamenti nazionali che mettono in crisi le categorie
tradizionali del diritto del lavoro.
Le norme che proteggono i lavoratori sono norme
promananti dai singoli stati, laddove, oramai, l’impresa
delocalizzata travalica i confini degli stati nazionali. Il
trasferimento transnazionale d’azienda e’ uno dei
fenomeni che mette in luce più di altri l’inadeguatezza
delle attuali norme poste a tutela dei lavoratori.
Una prima via al fine di rimediare alla sostanziale
inefficacia delle tecniche di tutela dei singoli stati è
quella finalizzata ad approntare misure volte ad
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impedire le delocalizzazioni incontrollate. Tali misure
sono sostanzialmente di due tipi. Possono essere misure
che operano sul paese di origine oppure a livello
sovranazionale.
1) Le misure che agiscono sul paese di origine sono per
lo più misure che tendono a trovare un nuovo punto di
bilanciamento tra le ragioni dell’impresa e la tutela del
lavoratore attraverso una diminuzione del livello di
protezione al fine di rendere più competitive le imprese
italiane senza il ricorso alla delocalizzazione.
Esempi sono tutte le norme che consentono un
maggiore utilizzo ai rapporti di lavoro flessibili o le
proposte di riforma nel senso di rivedere le categorie
del diritto di lavoro attraverso la revisione tipologica dei
rapporti di lavoro e la redistribuzione delle tutele. Nella
stessa direzione si pongono quelle norme che vogliono
riformare gli assetti della contrattazione collettiva e
introdurre misurazioni della rappresentatività sindacale
ai fini dell’esercizio del diritto di sciopero
Ad ogni buon conto l’introduzione in Italia di una forte
dose di flessibilità, lasciando comunque elevatissimo il
costo del lavoro, non ha certamente scongiurato il
verificarsi di fenomeni massicci di delocalizzazione che
continuano, invece, a verificarsi.
2) La seconda strada è nel senso di prevedere forme di
tutela che travalicano i confini dei singoli stati e cioè
transnazionali.
La prospettazione di tali forme di protezione è
estremamente problematica ma è l’unica strada
percorribile per giungere ad una delocalizzazione più
controllata.
Un esempio in merito è dato dalla disciplina delle
fusioni transfrontaliere, a differenza di quanto accade
per la società europea, le società derivanti dalla fusione
transfrontaliera, come disciplinata dalla direttiva in
esame, saranno soggette al diritto nazionale di uno
Stato membro, quello in cui la nuova entità ha stabilito
la propria sede, e sarà anche quello a determinare le
regole di partecipazione dei lavoratori. A tal proposito
l’impasse che non ha consentito all’iniziale progetto di
direttiva in materia di fusioni transfrontaliere del 1984
di andare in porto è stato determinato proprio dalla
questione legata alla tutela dei lavoratori: si voleva
impedire che le fusioni transfrontaliere fossero
l’occasione per svincolare le imprese dall’osservanza di
norme interne poste a tutela dei lavoratori. In realtà i
diritti di questi ultimi sono oggi garantiti dalla
armonizzazione dei singoli diritti interni dovuta alla
emanazione di alcune direttive del 2001 e 2002 in
materia di “mantenimento dei diritti dei lavoratori in
caso di trasferimenti di imprese” e di “consultazione e
informazione dei lavoratori” in ambito europeo. In virtù
di tali norme (ma anche di quelle previste per la società
europea – procedura di negoziazione - e applicabili
all’operazione straordinaria in esame) il cambiamento
del datore di lavoro derivante dalla fusione non avrà
effetto alcuno sul contratto o sul rapporto di lavoro in
essere al momento della fusione, esso sarà
automaticamente attribuito alla nuova direzione
d’impresa derivante dalla fusione, con il mantenimento
dei diritti acquisiti tramite convenzione, collettiva
nonché diritti e prestazioni di anzianità, invalidità etc.
Come si può notare, però, quasi paradossalmente, la
tutela dei lavoratori sembra essere garantita attraverso
strumenti di regolazione del mercato e non attraverso
tutele giuslavoristiche.
I conflitti di giurisdizione
modificando la nazionalità del soggetto giuridico è
normale che vengano a crearsi dei conflitti tra le
giurisdizioni di più Stati. La risoluzione di tali conflitti
risulta spesso complicata in quanto è rimessa
totalmente ai tratti internazionali ed alle norme di
diritto privato internazionale. Molto spesso però la
differenza la fa la forza, politico economica, degli stati
in conflitto. Si prenda ad esempio il recente conflitto di
giurisdizione che ha visto coinvolte Italia ed India per la
vicenda penale dei due Marò Italiani. Sebbene
l'applicazione delle norme di diritto internazionale
comporterebbe la giurisdizione italiana, la debolezza
politica del governo nazionale, non è stato in grado di
farle valere, lasciando il compito di giudicare i due
soldati alle corti indiane.
Tornando ai nostri "trasferimenti" possiamo dire che la
norma di conflitto cui possiamo far ricorso si trova
sicuramente nell'articolo 25 della legge sul diritto
internazionale è molto chiara in fatto di giurisdizione.
" Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro
ente, pubblico o privato, anche se privo di natura
associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel
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cui territorio è stato perfezionato il procedimento di
costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la
sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se
in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti.
In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice
dell'ente:
a) la natura giuridica;
b) la denominazione o ragione sociale;
c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione;
d) la capacità;
e) la formazione, i poteri e le modalità di
funzionamento degli organi;
entrambi gli Stati avrebbero il diritto di rivendicare la
sussistenza della propria giurisdizione.
Tali conflitti possono essere quindi risolti solo alla luce
dei trattati internazionali (per lo più bilaterali) volti ad
evitare l'accavallarsi delle giurisdizioni. Si tratta per lo
più di trattati di natura fiscale volti ad evitare le "doppie
imposizioni".
Altrettanto utili sono le norme Europee che già abbiamo
avuto modi di analizzare, non vi è dubbio infatti che
anche un'eccessiva ultraterritorialità della giurisdizione
sia un limite alla libertà di stabilimento. I legislatori
nazionali dovrebbero profondamente ripensare talune
norme volte miranti ad una ultra attrattività della
propria giurisdizione.
f) la rappresentanza dell'ente;
g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di
associato o socio nonchè i diritti e gli obblighi
inerenti a tale qualità;
h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente;
i) le conseguenze delle violazioni della legge o
dell'atto costitutivo.
I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le
fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia
soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di
detti Stati interessati."
Questa norma, che già ci è tornata molto utile per
appurare l'ammissibilità delle trasformazioni
transnazionali, ci torna ancor più utile nelle fattispecie
come quella in questione, il conflitto di giurisdizione.
E' da premettere che se da un lato questa norma ci pare
esaustiva al fine di affermare che la giurisdizione
Italiana sussiste per tutte le società costituite in Italia e
per quelle che nello Stato italiano hanno la loro
amministrazione o il loro principale centro di interessi è
anche una norma molto limitata in quanto quasi ogni
paese si è dotato di una norma di conflitto di simile
potata talchè il conflitto di giurisdizione non possa
risolversi facendo ricorso a tali disciplina.
La successione nei rapporti giuridici
A seconda della modalità operativa scelta per realizzare
il trasferimento possono verificarsi conseguenze
lievemente diverse.
Si tratti comunque di una trasformazione internazionale
o di una Incorporazione transfrontaliera alla fine ci
troveremo difronte ad un soggetto giuridico
sostanzialmente diverso da quello precedente.
La nuova società sarà si il successore dei precedenti
rapporti giuridici ma sarà anche un soggetto presidiato
da norme (potenzialmente) molto diverse da quelle che
Una Srl italiana che si trasforma in una Ltd di diritto
irlandese, avrà una normativa sul capitale sociale
diversa, obblighi contabili diversi, un diverso diritto
penale d'impresa.
Una differenza di norme così forte, come abbiamo già
avuto modo di vedere in precedenza, potrebbe
modificare sostanzialmente i rapporti di forza tra l'ente
ed i terzi, rafforzandone o diminuendone le garanzie
normative.
Tuttavia le implicazioni più rilevanti sono quelle che
riguardano gli ambiti dell'insolvenza e della fiscalità,
che tratteremo separatamente nelle pagine a seguire.
Si immagini una società di diritto Bulgaro che svolge la
sua attività in Italia. Ebbene la Bulgaria ha una norma di
conflitto identica a quella Italiana, in questo caso
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L’esterovestizione delle società comunitarie
Il fenomeno dell’esterovestizione consiste nell’utilizzo
delle cosiddette società non residenti. Società costituite
o trasferite secondo la legge di uno Stato ma che
operano attivamente in un altro Paese.
Sono molti gli ordinamenti che hanno sviluppate una
disciplina volta a contrastare l’utilizzo di società solo
formalmente straniere, tra questi l’Italia ha una
posizione di particolare rilievo sopratutto per quanto
riguarda i profili fiscali e tributari.
Il sistema delle presunzioni che opera in Italia è, infatti,
particolarmente rigido e ad opinione di chi scrive del
tutto illegittima se attuata nei confronti di Società
Comunitarie.
La giursprudenza europea si è espressa riguardo al
fenomeno delle “pseudo foreign Company” diverse
volte, in particolare nei casi “Centros” e “Inspire Art”.
La fattispecie in cui si richiama al caso Centros in cui si
verteva, come noto, della legittimita` del provvedimento
di rifiuto di iscrizione da parte dell’ufficio del registro
danese di una sede secondaria di una societa`
britannica, svolgente integralmente la propria attivita` in
Danimarca, in quanto non rispondente alle norme
imperative di diritto danese, in particolare in tema di
capitale minimo.
La Corte in materia individua alcuni importanti
corollari.
Nella decisione Centros la Corte aveva affermato che il
combinato disposto degli artt. 43 e 48 del Trattato
riconosce alle società costituite conformemente alla
legislazione di uno Stato membro e aventi la sede
sociale, l’amministrazione centrale o il centro
dell'attività principale all’interno della Comunita` il
diritto di svolgere la propria attivita` in un altro Stato
membro, a prescindere dall’effettivo svolgimento di
attivita` nel Paese di costituzione.
La Corte, pur ammettendo, in linea di principio, che gli
Stati membri possono adottare misure volte ad impedire
che i cittadini si avvalgano fraudolentemente del diritto
comunitario per sottrarsi a disposizioni nazionali
imperative, affermava che la costituzione di una
societa`soggetta ad un ordinamento le cui norme
appaiano meno severe per poi svolgere attraverso
succursali una attivita` in Paesi dotati di ordinamenti
piu` rigidi, non costituisce di per se ́ abuso del diritto di
stabilimento, ma una sua legittima estrinsecazione.
Con la medesima decisione si ribadiva il principio che
gli eventuali provvedimenti nazionali che introducono
ostacoli all’esercizio del diritto di stabilimento delle
societa` sono ammissibili soltanto se soddisfano le
quattro condizioni della sussistenza di una
giustificazione fondata su motivi imperativi di interesse
generale, della natura non discriminatoria, della
idoneità a garantire il risultato che perseguono e della
proporzionalità rispetto allo scopo.
Sebbene, come fu subito avvertito, l’orientamento
adottato dalla Corte con Centros era suscettibile di
conseguenze ben al di la` del campo d’azione delineato
dalla fattispecie che aveva dato motivo al ricorso
p r e g i u d i z i a l e , c e r t a m e n t e i l ra d i c a l e r i fi u t o
dell’iscrizione della succursale opposto dalle autorità
danesi costituiva un elemento caratterizzante la
fattispecie e quindi la pronuncia non esauriva in toto il
problema dell'ammissibilità` di norme nazionali
potenzialmente contrastanti con gli art. 43 e 48 del
Trattato, ma semmai apriva il campo alla loro specifica
disamina, prefissandone i criteri di valutazione.
Piu` di recente, nel caso Überseering la Corte di
giustizia ha affermato che, in presenza di una societa`
costituita conformemente alla legislazione di uno Stato
membro, nella specie i Paesi Bassi, che venga
considerata dall’ordinamento di altro Stato membro,
nella specie la Germania, come se avesse trasferito la
sua sede effettiva in tale Stato, gli art. 43 e 48 del
Trattato si oppongono a che quest’ultimo Stato neghi
alla società la capacita` giuridica e la capacita` di stare
in giudizio dinanzi ai propri giudici nazionali. Più in
generale, nella stessa decisione la Corte ha statuito che,
allorché una società costituita conformemente alla
normativa di uno Stato membro sul cui territorio ha la
propria sede sociale, esercita la sua libertà di
stabilimento in un altro Stato membro, le stesse norme
del Trattato impongono che quest’ultimo rispetti la
capacita` giuridica e processuale che la società
possiede in forza del diritto del suo Stato di
costituzione.
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Profili delittuosi delle frodi realizzate
mediante il trasferimento all’estero delle
società
E’ sopratutto nella cronaca degli ultimi anni che
possiamo trovare numerosi esempi di reati realizzati
mediante il trasferimento della società.
La maggior parte di questi reati consistono in delitti in
danno del Fisco o dei creditori in generale.
Per quanto riguarda i reati fiscali occorre premettere
che un legislatore incoerente e populista negli ultimi
anni ha prodotto una serie di norme tali da creare un
gran caos giuridico senza trarne alcun effetto positivo!
I reati contro il fisco
Spesso si ricorre al trasferimento della società per
motivi fiscali, il che come abbiamo già visto, è in line di
massima legittimo, nella misura in cui si parli di
"imposizione futura".
Nulla può eccepirsi alla Società Italiana che scelga di
trasferirsi in Bulgaria per usufruire di una imposizione
notevolmente più favorevole (Flat Tax al 10%).
E' invece sicuramente discutibile il trasferimento della
società effettuato al fine di sottrarre beni, privilegi o
crediti al fisco.
Sottrazione fraudolenta di beni al pagamento
delle imposte
La fattispecie in cui potrebbe incorrere colui che
trasferisce al fine di sottrarsi alla riscossione dei tributi è
quella prevista nella fattispecie di "sottrazione
fraudolenta al pagamento delle imposte" di cui all'art.
11 Decreto delegato n.74/2000: <<È punito con la
reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine
di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul
valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni
amministrative relativi a dette imposte di ammontare
complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena
simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri
o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte
inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se
l'ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è
superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione
da un anno a sei anni.>>
La condotta in oggetto punisce coloro che compiono
degli atti al fine di sottrarre beni che potrebbero essere
aggrediti in fase di riscossione coatta da parte di
Equitalia.
Facciamo degli esempi:
a)una società nazionale indebitata nei confronti del
fisco italiano si fonde, fittiziamente, con una società
straniera ( anch'essa indebitata) al fine di sottrarre ogni
bene alla società italiana, cosicché quando l'agente
della riscossione andrà ad pignorare i beni della società
italiana non troverà più nulla.
b)una società italiana si trasferisce in un'altro Stato,
rinunciando alla giurisdizione nazionale, per poi
liquidare tutto il suo patrimonio, senza pagare le tasse e
senza adempiere al regime pubblicitario previsto in
Italia
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c)una società italiana crea delle passività fittizie tramite
una controllante estera che a acquisisce mediante
un'acquisto mediante indebitamento della controllata.
Questi esempi mostrano solo alcune delle condotte che
potrebbero configurare il reato in oggetto.
Naturalmente elemento fondamentale di questo tipo di
reato è il "dolo" occorre cioè che l'operazione di
trasferimento sia "finalizzata alla sottrazione dei beni al
fisco", fatto questo che la giurisprudenza ritene provato
allorquando le operazioni risultino fittizie o
ingiustificate da nessun altro motivo se non dal fine di
nascondere i beni.
Ben diverse sono le così dette "frodi fiscali
internazionali", vere e proprie macchine dell'evasione
fiscale, messe in piedi allo scopo di generare passività
a l t r i m e n t i i n e s i s t e n t i o p e r p r o d u r r e I VA
intracomunitaria da frodare agli stati Europei. Si tratta di
fattispecie totalmente estranee al trasferimento
internazionale delle società.
La Bancarotta
Un caso diverso rappresentano i reati fallimentari, quei
reati che sono inscindibilmente collegati con la
sentenza di fallimento e la cui condotta si tipizza in tre
ipotesi ben precise:
a) La Bancarotta fraudolenta
La condotta può essere messa in atto sia prima che
durante il fallimento: distraendo, occultando,
dissimulando, distruendo o dissipando, in tutto o in
parte, i beni della società, ovvero, al fine di arrecare
danno ai creditori, creando delle passività inesistenti;
c) La Bancarotta Documentale
La condotta tipica consiste nella sottrazione,
falsificazione, in tutto o in parte delle scritture contabili
da cui ricavare l'effettiva situazione patrimoniale del
fallito
Tali fattispecie criminose si intersecano con
l'operazione di trasferimento allorquando la stessa
risulti funzionale alle condotte in oggetto. Ovvero
quando la trasformazione transnazionale
risulti
finalizzata alla realizzazione del piano criminoso.
Occorre differenziare, però, con nettezza il caso
appena evidenziato in cui vi sia un nesso funzionale tra
il trasferimento e la condotta fraudolenta ed il caso in
cui il soggetto legittimamente trasferitosi (o
trasformatosi) incorra in una procedura d'insolvenza.
Può infatti accadere che la società trasferitasi poi
fallisca, ma questo non implica di per se una condotta
delittuosa. E' plausibile invece una vera e propria
operazione di pianificazione dell'insolvenza mediante
un'operazione di "forum shopping" in altri termini
l'impresa insolvente potrebbe scegliere di mutare la sua
lex societatis al fine di modificare anche il diritto
fallimentare, tuttavia ciò è molto difficile che accada!
Come vedremo a breve la disciplina europea
dell'insolvenza, e la giurisprudenza italiana (ancorpiù)
sono particolarmente impegnate nel prevenire fenomeni
di talfatta.
Riteniamo tuttavia che vi siano comunque gli spazi per
poter pianificare, nel rispetto di ogni norma,
un'insolvenza transfrontaliera.
b) La Bancarotta preferenziale
La condotta tipica si configura nell'attività di
discriminazione dei creditori, preferendone alcuni
piuttosto che altri, senza rispettare i legittimi privilegi
previsti per legge.
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PROFILI FISCALI DEL
TRASFERIMENTO ALL’ESTERO
operazioni elusive e vantaggio fiscale - “exit Tax” -
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Operazioni elusive e vantaggio fiscale
La disciplina fiscale italiana in materia di
residenza fiscale è particolarmente restrittiva,
prevede infatti una “presunzione” per cui il
trasferimento della residenza fiscale di una
persona fisica o giuridica è considerato un
comportamento elusivo, pertanto è il
contribuente trasferitosi a dover dare la prova
della effettività del trasferimento.
Da questa presunzione discende poi l’onere
ulteriore per la società che muti la sua
giurisdizione di provare che tale trasferimento
è giustificato da vantaggi concreti, reali e
dimostrabili, ritenendo il semplice vantaggio
fiscale un motivo non sufficiente per
giustificare il trasferimento di una società.
Questa normativa ha per anni ridotto di molto
la pianificazione fiscale internazionale delle
piccole e medie imprese. Posto che se una
grande industri trova grandi vantaggi nel
delocalizzare la produzione, lucrando oltre
che sul fisco, anche sul costo del lavoro e su
molteplici altri aspetti, le PMI italiane se
delocalizzano lo fanno principalmente per
motivi fiscali o di policy bancaria.
Negli ultimi anni molte cose sono cambiate,
principalmente nei confronti delle società
comunitarie. Infatti, come abbiamo avuto
modo di evidenziare la giurisprudenza
comunitaria ha escluso che costituisca un
abuso del “diritto di stabilimento” il creare
una società nello Stato membro le cui norme
di diritto societario appaiono meno severe, o
per fruire di una legislazione fiscale più
vantaggiosa. Data la diversità dei livelli di
imposizione negli Stati membri, la ricerca del
risparmio fiscale, mediante l’insediamento di
strutture societarie in Stati che adottano un
regime tributario favorevole, non costituisce
di per sé un comportamento riprovevole.
Come se non bastasse nella sentenza Centros
la corte ha puntualizzato anche sulla
legittimità delle cosiddette società non
residenti.
“Rientra, dunque, nell'ambito di applicazione
del diritto comunitario la situazione in cui una
società, costituita secondo il diritto dello Stato
membro nel quale ha la sua sede sociale,
intenda creare una succursale in un altro Stato
membro. Non ha rilievo a tal fine che la
società sia stata costituita nel primo Stato
membro al solo scopo di poter stabilire una
succursale nel secondo, nè il fatto che nella
succursale la società svolga la parte
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principale, se non il complesso, delle sue
attività economiche. Neppure la circostanza
che la società possa essere stata costituita (o
trasferita) nel primo Stato con l'intento di
eludere la normativa del secondo esclude che
la creazione della succursale rientri
nell'ambito della libertà di stabilimento
sancita dal trattato. Sebbene gli Stati membri
abbiano il diritto di adottare misure volte ad
impedire che, grazie alle possibilità offerte dal
trattato, taluni dei loro cittadini tentino di
sottrarsi all'impero delle leggi nazionali, nel
valutare tali comportamenti i giudici nazionali
devono tuttavia tener presenti le finalità
perseguite dalle disposizioni comunitarie di
cui trattasi. Pertanto, il fatto che un cittadino
di uno Stato membro costituisca (o trasferisca)
una società nello Stato membro le cui norme
di diritto societario gli sembrino meno severe
e crei poi succursali in altri Stati membri non
comporta, di per sè, un abuso del diritto di
stabilimento. Infatti, il diritto di costituire ( e
di trasferire) una società in conformità alla
normativa di uno Stato membro e di creare
succursali in altri Stati membri è inerente
all'esercizio della libertà di stabilimento
garantita dal trattato. La circostanza che una
società non svolga alcuna attività nello Stato
membro in cui essa ha la sede e svolga,
invece, le sue attività unicamente nello Stato
membro in cui opera la sua succursale non è
sufficiente a dimostrare l'esistenza di un
comportamento abusivo e fraudolento, che
consenta a quest'ultimo Stato membro di
negare a tale società di fruire delle
disposizioni comunitarie relative al diritto di
stabilimento.
Le “Exit tax”
Una "exit tax" (letteralmente "tassa di uscita")
è una norma intesa al fine di evitare notevoli
perdite di gettito in seguito ad un abbandono
della residenza di un Paese ad alta tassazione,
da parte di soggetti particolarmente
“attrezzati” come gli imprenditori o i
contribuenti ad alto reddito in genere,
richiedendogli un versamento di imposta sulle
plusvalenze latenti degli attivi posseduti.
In effetti, il vero scopo dovrebbe essere quello
di evitare degli abusi o delle frodi realizzati
mediante strategici cambi di residenza
concomitanti con operazioni che possano
generare rilevanti redditi.
Nella realtà, nei Paesi dove questa imposta
esiste, primi fra tutti gli Stati Uniti d'America,
la Francia, la Germania ed i Paesi Bassi, essa
si risolve molte volte in una limitazione alla
libertà di stabilimento che può avere delle
ricadute molto pesanti sul contribuente.
Del resto, la globalizzazione economica
favorita da accordi internazionali che
permettono la libera circolazione delle
persone, ha aumentato la mobilità degli
individui anche in cerca di interessanti
arbitraggi fiscali.
A questo riguardo sicuramente le disposizioni
in materia di libera circolazione delle persone
e dei capitali, così come le abbiamo viste si
presentano come fortemente incompatibili ad
una normativa in materia di Exit Tax così
come pensata fino ad ora. È per questo
motivo che in molti stati europei e tra questi,
ultima l’Italia, hanno fortemente modificato la
loro legislazione in merito.
L’articolo 91 del Dl 1/2012 (pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24.01.2012), e
nello specifico l’introduzione del comma 2quater, hanno modificato, significativamente,
la disciplina dell’exit tax italiana, in
precedenza regolata dall’articolo 166 del Tuir.
Il nome di questa imposta si deve al fatto che,
essendo collegata ad un trasferimento
interstatale di azienda, questa rappresenta di
fatto l’ultima pretesa fiscale dello Stato di
abbandono, ovvero l’ultima occasione per far
valere il principio di collegamento in base al
territorio dei redditi alla residenza
dell’imprenditore che migra.
L’exit tax attribuisce al trasferimento all’estero
della residenza di un’azienda (con
conseguente cambio di residenza anche ai
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fini d’imposta) il realizzo, a valori normali,
dei componenti e dei beni aziendali a meno
che non questi non siano confluiti in
un’organizzazione stabilmente collocata nel
territorio dello Stato.
Secondo quanto espressamente previsto dal
comma 2, la disciplina fiscale attuale prevede
che, in caso di chiusura di un’attività
economica in Italia per aprirne un’altra nel
territorio di uno degli Stati della Comunità
Europea, il trasferimento costituisce realizzo,
a l va l o r e n o r m a l e , d e i c o m p o n e n t i
dell’azienda. Questa previsione è
evidentemente un ostacolo al trasferimento
aziendale all’interno dell’Unione ed è quindi
in contrasto con il principio di libertà di
stabilimento, che permette di scegliere
appunto in quale Paese stabilire la propria
attività e rientrante nei diritti fondamentali
dell’UE. In particolare l’articolo 49 del trattato
di funzionamento dell’Unione Europea
stabilisce che “le restrizioni alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di un altro Stato
membro vengono vietate”.
Appare dunque lapalissiano come la modifica
legislativa sia stata dettata dalla necessità di
evitare che il nostro Paese fosse a rischio di
procedura d’infrazione, come già avvenuto
con la sentenza n. 2010/4141.
Il comma 2-quater ha eliminato proprio il
riferimento al “realizzo sistematico” per il
trasferimento della residenza aziendale in
Stati dell’Unione Europea o firmatari dello
Spazio economico europeo e rientranti nella
white list, con i quali quindi l’Italia ha
stipulato un accordo di reciproca assistenza
in tema di riscossione dei crediti tributari
(grazie a questi accordi tributari dunque lo
Stato di provenienza si assicura l’eventuale
futuro recupero delle imposte latenti, quando
(e qualora) si concretizzino le condizioni di
realizzo). In questi casi il titolare dell’azienda
può richiedere la sospensione degli effetti del
realizzo, ovvero dell’imposta dovuta sui
componenti positivi di reddito non realizzati
al momento del trasferimento di sede del
soggetto passivo.
Per molto tempo la tax exit è stata vista come
una illegittima imposta di uscita, pur
considerando che verosimilmente l’impresa
stia trasferendo la residenza verso un Paese
fiscalmente più conveniente. In realtà
tecnicamente si tratta di un’imposta di
chiusura delle componenti di reddito prodotte
fino al momento del trasferimento. La
situazione però diventa più delicata e
ambigua nel caso di redditi latenti, ovvero
non ancora effettivamente prodotti e quindi in
concreto non tassabili. All’uopo il legislatore
è intervenuto in primis l’articolo 20bis e, poi
di nuovo, con l’articolo 166 del Tuir,
stabilendo l’anticipazione della tassazione
delle poste latenti al momento del
trasferimento. Ma proprio questa
attualizzazione delle imposte è stata oggetto
di dispute dottrinali e giurisprudenziali.
In ogni caso la legge è stata modificata (anche
in seguito alle raccomandazioni della
Commissione europea del 2006). Nella stessa
direzione si era espressa anche la Corte di
giustizia, con sentenza del 29 novembre 2011
sottolineando come l’imprenditore che decida
di trasferire la sede dell’azienda all’estero non
possa essere penalizzato. Il regime della
sospensione appare sicuramente un passo in
avanti per la tutela dell’imprenditore, anche
se persistono i dubbi di larga parte della
dottrina, condivisi da chi scrive, riguardo a
questa forma di tassazione che è in ogni caso
un disincentivo ingiustificato alla libera
circolazione delle persone giuridiche.
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L’INSOLVENZA DELLA
SOCIETÀ TRASFERITA
la disciplina dell’insolvenza nel diritto internazionale comunitario - il COMI - la giurisdizione italiana e il
regolamento 1346/200 - l’onere di provare il COMI
La disciplina dell’insolvenza nel
diritto internazionale comunitario
Il regolamento 1346/2000 detta le regole
generali riguardanti la gestione delle
procedure d’insolvenza che coinvolgono due
o più Paesi comunitari.
I fallimenti, i concordati e le altre procedure
affini sono esclusi dal campo di applicazione
della convenzione di Bruxelles del
1968. Dal 1963 sono stati intrapresi vari
lavori per predisporre uno strumento
comunitario in materia. Il 23 novembre 1995
è stata firmata una convenzione relativa alle
procedure d’insolvenza. Detta convenzione
tuttavia non è potuta entrare in vigore in
quanto uno dei paesi dell’UE non l’ha firmata
entro i termini stabiliti.
Il trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre
1997, prevede nuove disposizioni per la
cooperazione giudiziaria in materia civile e su
questa base è stato adottato il regolamento
relativo alle procedure d’insolvenza.
Il regolamento si applica alle procedure di
insolvenza aperte dopo la sua entrata in
vigore (31 maggio 2002). Gli allegati del
regolamento elencano le procedure di
insolvenza contemplate dagli Stati membri
(allegato A), le procedure di liquidazione
(allegato B) e i curatori (allegato C).
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I casi di fallimento aventi effetti
transfrontalieri incidono sul buon
funzionamento del mercato interno. Per
giungere a procedure più uniformi, così da
evitare che le parti siano indotte a trasferire i
beni o i procedimenti giudiziari da un paese
dell’UE a un altro nell’intento di migliorare la
propria situazione giuridica , le soluzioni
proposte si basano sul principio
dell’universalità della procedura, pur
preservando la possibilità di avviare
procedure secondarie, limitate al territorio
membro del paese dell’UE in questione.
Il regolamento si applica alle "procedure
concorsuali fondate sull'insolvenza del
debitore che comportano lo spossessamento
parziale o totale del debitore stesso e la
designazione di un curatore" . Concerne tutte
le procedure, a prescindere che il debitore sia
una persona fisica o una persona giuridica, un
commerciante o un privato. Il “curatore” è
una persona o un organo che amministra o
liquida i beni dei quali il debitore è
spossessato o che sorveglia la gestione dei
suoi affari. L'allegato C del regolamento
precisa le persone o gli organi legittimati ad
adempiere a tale funzione in ogni paese
dell’UE.
S o n o t u t t av i a e s c l u s e l e p r o c e d u r e
d’insolvenza riguardanti:
• le imprese assicuratrici;
• gli enti creditizi;
• le imprese di investimento che forniscono
servizi implicanti la detenzione di fondi o
di valori mobiliari di terzi;
• gli organismi di investimento collettivo.
Il regolamento definisce la nozione di
"giudice" come la persona o l'organo
legittimato dalla legislazione nazionale ad
avviare una procedura d’insolvenza. I giudici
competenti ad avviare la procedura principale
sono quelli del paese dell’UE nel quale il
debitore ha il suo centro principale
d’interessi, che dovrebbe corrispondere al
luogo in cui il debitore esercita in modo
abituale e riconoscibile dai terzi la gestione
dei suoi interessi. Nel caso di società o di
persone giuridiche si tratta, salvo prova
contraria, del luogo in cui esse hanno la sede
sociale. In caso di persone fisiche si tratta, in
linea di principio, del luogo in cui esse hanno
il domicilio professionale o la residenza
abituale.
Successivamente si possono aprire procedure
secondarie (di cui all’allegato B) in un altro
Stato membro se il debitore ha una
d i p e n d e n z a n e l s u o t e r r i t o r i o . Pe r
“dipendenza” si intende qualsiasi luogo di
operazioni in cui il debitore esercita in
maniera non transitoria un'attività economica
con mezzi umani e con beni. Gli effetti della
procedura di liquidazione sono limitati ai
beni del debitore situati nel territorio.
L'apertura di tale procedura può essere
chiesta dal curatore della procedura
principale o da altre persone o autorità
legittimate a tal fine dalla legislazione del
paese in cui è chiesta l'apertura della
procedura. In certi casi è possibile avviare
una procedura territoriale di questo tipo in
modo indipendente prima della procedura
principale, se lo chiedono i creditori locali e i
creditori della dipendenza locale oppure se le
leggi del paese dell’UE nel quale il debitore
ha il centro principale d'interessi non
consentono di iniziare una procedura
principale. Questa procedura, tuttavia, sarà
convertita in procedura secondaria dopo
l'avvio della procedura principale.
La legge del paese dell’UE nel quale ha avuto
inizio la procedura di insolvenza disciplina
tutti gli effetti della procedura di insolvenza:
le condizioni di apertura, di svolgimento e di
chiusura della procedura stessa e le norme
sostanziali come la definizione dei debitori e
dei beni in causa, i poteri del debitore e del
curatore, gli effetti della procedura sui
contratti, le azioni giudiziarie individuali, i
crediti, ecc.
Alcune disposizioni garantiscono su tutto il
territorio comunitario i diritti reali dei terzi, il
d i r i t t o d e l c r e d i t o r e d i i nvo c a r e l a
compensazione e i diritti del venditore fondati
sulla riserva di proprietà, in modo che tali
diritti non sono pregiudicati dall'apertura
della procedura. Per quanto riguarda i beni
immobili, le norme da applicare sono
esclusivamente quelle del paese dell’UE nel
cui territorio si trova il bene. Allo stesso
modo, i contratti e i rapporti di lavoro, i diritti
e i doveri dei partecipanti a un sistema di
pagamento o a un mercato finanziario sono
disciplinati esclusivamente dalla legge
applicabile del paese dell’UE interessato (a
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titolo complementare si rinvia alle
disposizioni della direttiva del Consiglio
concernente il carattere definitivo del
regolamento nei sistemi di pagamento e nei
sistemi di regolamento delle operazioni su
titoli).
Riconoscimento della procedura di insolvenza
Le decisioni adottate dal giudice competente
per la procedura principale devono essere
riconosciute immediatamente da tutti i paesi
dell’UE senza controllo supplementare,
tranne nel caso che:
• un simile riconoscimento abbia effetti
contrari all’ordine pubblico di un paese;
• si tratti di decisioni che limitano il segreto
postale o la libertà individuale.
Tuttavia, una limitazione dei diritti dei
creditori (dilazione dei pagamenti, remissione
del debito) è possibile soltanto se gli
interessati manifestano il loro accordo al
riguardo.
Quando un giudice di un paese dell’UE
decide di aprire una procedura di insolvenza,
la decisione è riconosciuta in tutti gli altri
paesi, anche se il debitore non può essere
assoggettato a tale procedura negli altri paesi.
Gli effetti della decisione sono quelli previsti
dalla legge del paese di apertura e cessano in
caso di avvio di una procedura secondaria in
un altro paese.
Il curatore designato da un giudice
competente può agire negli altri paesi dell’UE
nell'ambito dei poteri che gli sono attribuiti
dalla legge del paese dell’UE di apertura, ma
deve rispettare la legge dello Stato nel cui
territorio agisce. In particolare, può trasferire i
beni del debitore ed esercitare ogni azione
revocatoria nell’interesse dei creditori
qualora, dopo l'apertura della procedura, i
beni siano stati trasferiti dallo Stato della
procedura principale, fatti salvi i diritti reali
dei terzi o la riserva di proprietà.
Ogni creditore domiciliato nell’UE cha abbia
ottenuto soddisfazione totale o parziale dei
suoi crediti su beni del debitore, è tenuto a
restituire al curatore quanto ha ottenuto (fatti
salvi i diritti reali o la riserva di proprietà),
poiché per l’intera Unione viene stabilito un
conto consolidato dei beni disponibili, così
da assicurare che i creditori ottengano quote
equivalenti.
A richiesta del curatore, si può provvedere
alla pubblicità negli altri paesi (pubblicazione
della decisione di apertura della procedura di
insolvenza, annotazione in un registro
pubblico). La pubblicazione può essere
richiesta a titolo obbligatorio, ma non
costituisce in nessun caso la condizione per il
riconoscimento della procedura in un altro
Stato membro.
Una persona che non è a conoscenza
dell’apertura della procedura, può essere
considerato in buona fede (adempiendo
obbligazioni a favore del debitore invece che
del curatore in un altro paese dell’UE). Se
l’adempimento di simili obbligazioni avviene
prima della pubblicazione della decisione, si
considera che il terzo non ne fosse informato.
Se invece tale adempimento avviene dopo la
pubblicazione, si presume, salvo prova
contraria, che la persona fosse a conoscenza
dell’apertura della procedura.
Il COMI
Il COMI o centro principale degli interessi del
debitore è il punto fermo intorno al quale
ruota tutta la disciplina dell’insolvenza
intracomunitaria.
Il Regolamento 1346/200 all’art. 3, disciplina
la competenza internazionale ad aprire una
procedura di insolvenza principale
prevedendo che: «sono competenti ad aprire
la procedura di insolvenza i giudici dello Stato
membro nel cui territorio e` situato il centro
degli interessi principali del debitore. Per le
societa` e le persone giuridiche si presume che
il centro degli interessi principali sia, fino a
prova contraria, il luogo in cui si trova la sede
statutaria».
Tale norma prevede dunque una presunzione
juris tantum, prevede cioe` che il centro degli
interessi principali del debitore o COMI,
secondo l’acronimo dell’inglese Center Of
Main Interests, sia localizzato ove si trova la
sede statutaria. Si tratta di una presunzione
semplice nel senso che il creditore puo`
proporre elementi idonei a dimostrare che
non vi sia la coincidenza tra il COMI e la
sede formale della societa`.
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Per comprendere in base a quali elementi
possa essere superata la presunzione della
sede statutaria occorre in primo luogo vedere
cosa si intenda per «interessi del debitore» ed
in particolare che cosa si intenda con
l’aggettivo «principali».
La questione ha dato luogo a diversi dubbi
interpretativi anche perche ́ il regolamento
comunitario non fornisce una nozione di
«centro degli interessi principali del debitore»
in una specifica disposizione e si limita a
stabilire la presunzione anzidetta. Una
indicazione e` stata fornita al considerando n.
13, ove si legge che per il COMI «si dovrebbe
intendere il luogo in cui il debitore esercita in
modo abituale, e pertanto riconoscibile da
parte dei terzi, la gestione dei suoi interessi».
S u b i t o d o p o l ’ e n t ra t a i n v i g o r e d e l
regolamento, quando i giudici di uno Stato
hanno affermato la propria competenza ad
aprire una procedura principale a carico di
una persona giuridica secondo il criterio del
centro degli interessi principali, hanno deciso
per il superamento della presunzione della
sede formale in base a criteri molto diversi
partendo da una analisi dettagliata degli
elementi da essi ritenuti idonei. In proposito,
di particolare rilevanza sono stati ritenuti: il
luogo nel quale e` situato il centro operativo e
direzionale, il centro propulsore dell’impresa
ove operano gli amministratori, il luogo in cui
vengono prese le decisioni sull’attivita`
imprenditoriale, il luogo in cui vengono
negoziati e stipulati i contratti, il luogo in cui
sono stati assunti i dipendenti; il luogo in cui
la societa` entra in rapporto con i creditori e
con i terzi e, per le controllate, anche il luogo
delle decisioni relative alla loro gestione
finanziaria, della direzione strategica e del
coordinamento, nonche ́ delle garanzie date
dalla controllante a favore della controllata.
Non e` stata invece ritenuta sufficiente a superare la presunzione della sede statutaria la
localizzazione di beni immobili di proprieta`
del debitore insolvente.
La questione e` presto finita avanti la Corte di
giustizia delle Comunita` europee, la quale
nel caso Eurofood si e` espressa sulla nozione
in parola. Come e` noto, tale caso ha dato
origine ad una complessa e delicata vicenda
giudiziaria decisa con la sentenza in via
pregiudiziale del 2 maggio 2006
Qualsiasi discussione intorno al COMI non
puo` prescindere dalla sentenza della Corte di
giustizia delle Comunita` europee sul caso
Eurofood: una sentenza assai complessa nella
quale tra l’altro e` stato affrontato il tema del
superamento della presunzione per cui il
COMI corrisponda alla sede statutaria,
«quando un debitore e` una societa`
controllata la cui sede statutaria e` situata in
uno Stato membro diverso da quello in cui ha
sede la sua societa` madre, la presunzione
contenuta nell’art. 3, n. 1, seconda frase, del
Regolamento CE n. 1346/2000, secondo la
quale il centro degli interessi principali di
detta controllata e` collocato nello Stato
membro in cui si trova la sua sede statutaria,
puo` essere superata soltanto se elementi
obiettivi e verificabili da parte di terzi
consentono di determinare l’esistenza di una
situazione reale diversa da quella che si
ritiene corrispondere alla collocazione in
detta sede statutaria. Cio` potrebbe, in
particolare, valere per una societa` che non
svolgesse alcuna attivita` sul territorio dello
Stato membro in cui e` collocata la sua sede
sociale. Per contro, quando una societa`
svolge la propria attivita` sul territorio dello
Stato membro in cui ha sede, il fatto che le
sue scelte gestionali siano o possano essere
controllate da una societa` madre stabilita in
un altro Stato membro non e` sufficiente per
superare la presunzione stabilita da detto
Regolamento».
Ricordiamo brevemente che Eurofood era una
societa` con sede in Irlanda, facente parte
pero` del gruppo italiano Parmalat, e si
trattava di decidere se il suo COMI fosse in
Irlanda, oppure in Italia. Il commissario
straordinario di Parmalat aveva a sostegno
della competenza internazionale italiana
allegato che Eurofood, nonostante la sede
statutaria in Irlanda, era societa` di fatto
gestita dall’Italia, e la cui unica attivita`
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consisteva nel procurare dal mercato
internazionale finanziamenti al gruppo
italiano. La Corte di giustizia ha pero` negato
rilievo alla dedotta circostanza, e cioe` che
«la societa` madre, grazie al suo azionariato
ed al potere di nominare gli amministratori, e`
in grado di controllare e di fatto controlla la
gestione della controllata»: e infatti la Corte
ha in pratica circoscritto il superamento della
p r e s u n z i o n e d e l l ’ a r t . 1 , p a r. 1 d e l
Regolamento alla sola ipotesi della «societa`
fantasma, la quale non svolgesse alcuna
attivita` sul territorio dello Stato membro in
cui si trova la sua sede sociale».
Purtroppo però tale principio viene
sistematicamente disatteso dalle corti
nazionali.
A nostro parere, Eurofood sta offrendo con
ogni probabilita` uno dei rarissimi esempi di
giurisprudenza della Corte europea che venga
sistematicamente e generalmente disattesa, o
quantomeno elusa, dai giudici nazionali.
Probabilmente pero` si tratta di esito, se non
inevitabile, quantomeno ben prevedibile di
fronte ad una massima cos`ı inelastica e
tranchante quale quella che ha limitato la
possibilita` di superamento della presunzione
della coincidenza del COMI con la sede
legale in pratica alla sola ipotesi estrema della
«societa` fantasma».
Ma a sua volta forse, temiamo, l’errore e` non
tanto della Corte di giustizia quanto piuttosto
del legislatore europeo, il quale ha introdotto
il criterio di giurisdizione del centro degli
interessi principali attribuendogli una portata
generale, indifferente cioe` alla enorme
varieta` dei casi in cui esso sarebbe stato
chiamato a funzionare: debitori persone
fi s i c h e , d e b i t o r i n o n i m p r e n d i t o r i ,
societa`piccole e grandi, e, soprattutto,
societa` facenti parte di gruppi di portata
transnazionale, e tutto questo spalmato su
ventisette ordinamenti nazionali diversi.
La giurisdizione italiana ed il
regolamento 1346/200
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ,
in merito al regolamento di giurisdizione, ha
considerato il trasferimento come realmente
avvenuto sulla base di elementi oggettivi e
inequivocabili.
Ad esempio nell’ordinanza 26287 del 2009,
riguardante il trasferimento in Svizzera di una
società Italiana, la societa` aveva disdetto il
contratto di locazione; aveva presentato
denunzie di cessazione dell’at-tivita` all’Inps,
all’Inail, all’Enasarco, volturato le utenze,
chiuso i conti bancari ed era stata
regolarmente iscritta nel registro delle
imprese. In situazioni come queste,
trattandosi di trasferimento della sede legale
in uno Stato extracomunitario, il Regolamento
CE n. 1346/2000 non trova applicazione, a
meno che allo spostamento della sede non sia
seguito anche il mutamento del COMI.
Se, infatti il centro degli interessai principali
del debitore e` rimasto nel paese comunitario
di provenienza, pur essendo stata trasferita la
sede statutaria, la disciplina dell’Unione
europea continuera` ad applicarsi.
Ricordiamo che il Regolamento neppure
influenza l’aspetto della giurisdizione con
riferimento alle procedure escluse dal suo
campo di operativita`. Per tutte queste ipotesi,
trova applicazione la legislazione nazionale.
Il successo dello spostamento della sede
sara`, comunque, sempre basato sul criterio
dell’effettivita`, considerato che la
giurisdizione italiana, in materia di procedure
di insolvenza, e` fondata sull’art. 9 l.fall., che
adotta come criterio quello della sede
principale dell’impresa.
Pertanto il giudice dovra` procedere all’esame
di fattispecie con riguardo alla reale natura e
finalita` del trasferimento del debitore in stato
di insolvenza. Se lo spostamento nella nuova
sede sara` solo apparente o fittizio, la
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giurisdizione internazionale del giudice
italiano continuera` a permanere.
Gia` piu` volte la nostra Corte di Cassazione
ha rilevato che lo spostamento all’estero in un
paese esterno all’Unione europea non
preclude la dichiarazione di fallimento in
Italia, purche ́ sia provata la fittizieta` del
trasferimento.
Va osservato che la Suprema Corte, a
fondamento della sua ordinanza nel caso
della societa` trasferitasi in svizzera (di cui
sopra), come gia` aveva fatto in sue
precedenti decisioni, non ha richiamato solo
l’art. 9 l.fall., ma anche l’art. 25 L. n.
218/1995, ritenendo che «tale norma induce
ad affermare che, in mancanza di una
effettiva attivita` imprenditoriale, svolta dalla
societa` trasferitasi all’estero (e dunque in
presenza di un trasferimento soltanto fittizio),
permane la competenza giurisdizionale del
giudice italiano». In questo modo, la Corte
sembra ravvisare nell’art. 25 una norma non
solo di diritto internazionale privato, volta
dunque a determinare il diritto sostanziale
applicabile, ma anche una norma di diritto
internazionale processuale chiamata a
determinare la competenza giurisdizionale.
Si tratta invece di una norma che, a nostro
avviso, non e` idonea ad individuare la
giurisdizione ed in ogni caso non necessaria,
visto che l’art. 9, richiamato dall’art. 3 L. n.
218/1995 stabilisce la competenza del
tribunale nel quale il debitore ha la sua sede
principale, indipendentemente dalla
nazionalita` italiana o estera del debitore.
Passando all’ipotesi di spostamento reale ed
effettivo, va osservato che l’ultimo comma
dell’art. 9 prevede che il trasferimento della
sede all’estero non pregiudica la competenza
internazionale del giudice italiano quando
l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento
sia stata avviata prima del trasferimento . Si ha
in questa ipotesi una perpetuatio
jurisdictionis, ex art. 5 c.p.c. ed ex art. 8 L. n.
218/1995 di riforma del diritto internazionale
privato italiano. Risulta così del tutto
ininfluente, con riguardo alla giurisdizione, il
trasferimento della sede legale attuato in
epoca posteriore alla data di deposito
dell’istanza di fallimento, che si pone quindi
come evento impeditivo rispetto a successivi
mutamenti della situazione di fatto della
societa`.
Sempre nel caso di trasferimento effettivo e
non artificioso della sede dell’impresa, il
secondo comma dell’art. 9 stabilisce
l’irrilevanza ai fini della competenza dello
spostamento intervenuto nell’anno
precedente l’iniziativa per la dichiarazione
del fallimento. Si determina in questa ipotesi
una prorogatio jurisdictionis nel senso che la
competenza del giudice italiano continua a
sussistere ancora per un anno dopo il
trasferimento.
Va infine rammentato che, nell’ipotesi di
cessazione dell’esercizio dell’impresa,
decorso un anno dalla cancellazione dal
registro delle imprese, la societa` non potra`
piu` essere dichiarata fallita. In una situazione
del genere, la possibilita` di richiedere la
dichiarazione di fallimento cessa in caso di
trasferimento sia reale che fittizio.
L’onere di provare il COMI
Con riferimento al superamento della
presunzione della sede statutaria, appare
condivisibile e` il procedimento in materia di
prova seguito dalla Corte Europea. I giudici
del lussemburgo hanno ritenuto che, quando
un creditore istante fornisca la prova che
nello Stato richiesto il debitore ha alcuni
interessi, si pone a carico del debitore stesso
l’onere (la Corte usa l’espressione «suo
ineludibile interesse») di fornire a sua volta la
prova della sussistenza, nello Stato della sede
statutaria, di interessi preminenti rispetto a
quelli presenti nel primo Stato. Quando tale
prova non sia fornita la presunzione non puo`
considerarsi superata.
Correttamente la Corte ha messo a confronto,
da una parte, gli interessi che il creditore
istante ha individuato ed ha addotto al fine di
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radicare la giurisdizione nello Stato richiesto
e, dall’altra, quelli affermati dal debitore per
sostenere il mancato superamento della
presunzione della sede statutaria.
Gli elementi considerati utili al fine di
determinare la diversa localizzazione del
COMI, devono essere tutti elementi obiettivi e
verificabili dai terzi creditori e rispondenti,
pertanto, all’esigenza di garantire «la certezza
del diritto e la prevedibilita`
dell’individuazione del giudice competente
ad aprire una procedura di insolvenza», cos`ı
come richiesto dalla Corte di giustizia.
La localizzazione cos`ı individuata permette
di assicurare le aspettative e gli interessi dei
creditori della sede effettiva che verrebbero
invece pregiudicate dalla pronuncia della
dichiarazione di fallimento nel Paese della
sede statutaria ove il debitore si e` trasferito e
ove non vi sono situazioni reali
contrapponibili a quelle addotte dai creditori
stessi.
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IN CONCLUSIONE
Alla luce di quanto fino ad ora analizzato
dobbiamo trarre alcune importanti
conclusioni:
• non è, più, possibile nutrire alcun dubbio
riguardo la legittimità delle operazioni di
trasferimento delle società; tuttavia
permangono notevoli diffocoltà dovute alla
s c a r s a c o m p a t i b i l i t à t r a i d iv e r s i
ordinamenti nazionali;
• all’interno dell’Unione Europea gli stati
membri sono obbligate a riconoscere e
registrare i trasferimenti societari e ad
evitare di porre in essere ogni ostacolo
legislativo o burocratico a tali operazioni;
• i trasferimenti possono avvenire, e sono
pienamente legittimi, anche se finalizzati
esclusivamente ad un mero vantaggio
fiscale;
• la normativa europea in tema di società
estere detta una disciplina talvolta molto
differente a secondo che si abbia riguardo
alla legislazione societaria o a quella
fallimentare. E’ il caso delle societa
esterovestite, per le quali viene
riconosciuta la piena legittimità a livello
civilistico-societario, ma la cui
esterovestizione a nulla vale in ambito
fallimentare.
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bancario, fallimentare, tributario, amministrativo, del lavoro, comunitario e antitrust,
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penale e comunitario, nonché negli arbitrati nazionali e internazionali. RIFERIMENTI NORMATIVI
Legge sul diritto internazionale privato 218/1995
CAPO III - Persone giuridiche Art. 25 - Società ed altri enti 1. Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura
associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di
costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in
Italia si trova l'oggetto principale di tali enti.
2. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente:
a) la natura giuridica;
b) la denominazione o ragione sociale;
c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione;
d) la capacità;
e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi;
f) la rappresentanza dell'ente;
g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale
qualità;
h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente;
i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo.
3. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia
soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati.
Trattato sul Funzionamento della Comunità Europea (TFCE) già (TCE)
CAPO 2 - IL DIRITTO DI STABILIMENTO Articolo 49 (ex articolo 43 del TCE)
Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni
relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio
di un altro Stato membro.
La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la
gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite
dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo
relativo ai capitali.
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Articolo 54 (ex articolo 48 del TCE)
Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale,
l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini
dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati
membri.
Per società si intendono le società di diritto civile o di diritto commerciale, ivi comprese le società cooperative, e le
altre persone giuridiche contemplate dal diritto pubblico o privato, ad eccezione delle società che non si
prefiggono scopi di lucro.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
SOCIETÀ DI CAPITALI: IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLE SEDE SOCIALE E ARBITRAGGI NORMATIVI - MUCCIARELLI FEDERICO/
GIUFFRÈ 2010 CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO - WWW. CONSIGLIONOTARILEDIMILANO .IT
IL TRASFERIMENTO TRANSNAZIONALE DELLA SEDE SOCIALE -
ALBERTO RIGHINI
IL TRASFERIMENTO DELLA SEDE SOCIALE ALL’ESTERO - WWW. NOTARIATO . IT
BULGARIA, IL TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA SEDE SOCIALE - DIACRON
FUSIONI INTERNAZIONALI E TRASFERIMENTO ALL’ESTERO DELLA SEDE DELL’IMPRESA. PROFILI CIVILISTICI E FISCALI COMPARATI A
CONFRONTO E PROBLEMATICHE LEGATE ALLE LIBERTÀ FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA. L’ESEMPIO GRANDUCATO DI
LUSSEMBURGO – ITALIA. - GIANCARLO CERVINO IL TRASFERIMENTO ALL'ESTERO DELLA SEDE LEGALE DELL'IMPRESA INSOLVENTE - PATRIZIA DE CESARI
ELUSIONE E TRASFERIMENTO ALL'ESTERO DELLA SEDE DELLA SOCIETÀ: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL
TOPOLINO - MARCO MICCINESI
LA SENTENZA ÜBERSEERING: UN TENTATIVO DI RISCRIVERE IL D.I.P. PER LE SOCIETÀ COMUNITARIE? - IL
COMMENTO - CESARE LICINI
LE (AS)SIMMETRIE DI CARTESIO E LA «NUOVA» LIBERTÀ DI STABILIMENTO DELLE SOCIETÀ NELLA
PROSPETTIVA DEL TRATTATO DI LISBONA - STEFANO LOMBARDO
TRASFERIMENTO DELLA SEDE DELLE SOCIET À TRA LIBERT À DI STABILIMENTO E NORME
INTERNAZIONALPRIVATISTICHE - MARIA BEATRICE DELI E FEDERICO PERNAZZA
LIBERTÀ DI STABILIMENTO COMUNITARIA IN UN CASO DI FUSIONE TRANSFRONTALIERA - CESARE LICINI
LIBERTÀ DI STABILIMENTO E MOBILITÀ DELLE SOCIETÀ IN EUROPA - STEFANO LOMBARDO
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