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Dolomiti come perle ai porci? Malgoverno, maltempo o

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Dolomiti come perle ai porci? Malgoverno, maltempo o
[email protected] - www.altroeoltre.info - Redazione: Corso Italia 49 - cell. 349 8501228 - 32046 San Vito di Cadore (BL)
Iscr. Pub. Reg. Stampa nr.
866/11nr. R.G. 6 del 19.11.2011
settembre 2014 - anno III - nr.11
Euro 1,50
QUANDO
I PROFUGHI
ERAVAMO NOI
I
l centenario della Grande Guerra
dovrebbe valere a ricordarci non soltanto le battaglie, le alterne vicende,
la vittoriosa conclusione, ma anche e
soprattutto il dramma che per cinque
lunghi anni è stato vissuto dalle popolazioni
Dolomiti come
perle ai porci?
civili; in particolare quelle del Triveneto, sul
cui territorio è ricaduto pressoché interamente il peso del conflitto, e sulle cui esistenze
sono stati addossati i costi, economici ed
umani, di quella che nessuno meglio di papa
Benedetto XV ha saputo definire nel suo si-
4
FrancaMente
Malgoverno,
maltempo o
malamontagna?
7
Lotto
I Villaggi degli
alpinisti
8
Menegus
La testimonianza 13
di Bortolo
Redazione
Francesco Jori
continua in seconda pagina
Codivilla:
sperimentare o 16
non sperimentare?
Milani
Giovani di Pieve 23
per i bambini
di Gaza
Pefkou
2
settembre 2014
settembre 2014
3
dalla prima pagina
gnificato più profondo: l’inutile strage.
In particolare, in una stagione in cui si
polemizza aspramente e troppo spesso
squallidamente sul popolo dei disperati
che approda in casa nostra fuggendo dalla fame e dalla morte dei rispettivi Paesi,
dovremmo ricordarci l’esperienza da
profugo che a decine di migliaia i nostri
nonni hanno dovuto subire: in Trentino
fin dallo scoppio della guerra, nel 1914;
nel Friuli-Venezia Giulia e nel Veneto al
di sopra del Piave dopo la rotta di Caporetto del 1917.
Si calcola che oltre 600mila persone abbiano dovuto fuggire lasciando il proprio
paese. Un vero e proprio esodo biblico,
che ha dato origine anche ad alcune canzoni. Una di esse è intitolata “Il diciaoto
novembre - Addio Venezia addio”: registrata dal vivo e raccolta da Gualtiero
Bertelli nel 1965, si riferisce ai veneziani
che il 18 novembre 1917 hanno dovuto
lasciare la città, ed è in piccolo un racconto delle loro traversìe. Dicono le parole: “Il diciaoto novembre / una giornata
scura, / montando in vaporeto / i n’à fato
ciapar paura. / Col fischio de la sirena, /
col rombo del canone, / noialtri povari
profughi / intenti all’incursione… / Ed
arrivati a Chioggia / ci misero accampati
/ come fussimo stati / i povari soldati. /
Dopo tre ore bone, / rivata la tradota, / ai
poveri bambini / un poca de aqua sporca.
/ E a noi per colazione / la carne congelada / che dentro ghe conteneva / qualche
bona pissada… / Dopo quarantott’ore /
del nostro penoso viaggio / siamo arrivati
a Pesaro / uso pellegrinaggio”.
Anche gli esuli friulani hanno dato vita a
una loro “canzone del profugo” che così
dice: “Voi, del Tricesimo / opime viti / e
colli fertili / a noi rapiti. / I figli d’Attila /
ed il croato / barbaro insultano, / o suolo
amato: / e il duolo e il pianto / ci stringe
il cor”. E c’è chi è riuscito perfino a farci
dell’ironia, come l’anonimo autore di
uno stornello che circolava per i paesi
del Trevigiano evacuati: “Il 16 novembre
dell’anno ’17 / si vedevano i borghesi /
i borghesi a scappar via. / Come tiravan
giusto! / Ohi mama mia! / veder le nostre
case / che andavan giù par tera / alor ci
siamo acorti / acorti de ’sta guera”.
<< ci guardano e
ci trattano peggio
delle bestie… >>
Alla disperazione per lo sradicamento feroce si sono aggiunte le difficoltà
dell’inserimento in un contesto sociale e
culturale radicalmente diverso, oltretutto
in una stagione in cui il peso della guerra
condizionava pesantemente l’economia
e quindi il tenore di vita della popolazione anche nelle regioni in cui non si
combatteva; dalle quali, tra l’altro, erano
partiti gli uomini validi, chiamati sotto le
armi. Ci sono mamme che minacciavano
i propri bambini: se fai il cattivo, ti faccio
mangiare dai profughi. Quali siano state
le condizioni nei luoghi di arrivo, lo fa
ben capire una nota che un gruppo di profughi padovani spediti a Monteodorisio,
in provincia di Chieti, inoltrava l’8 ottobre 1918 all’apposito ufficio del ministero
degli Interni: “Porci, capre, asini, tutto
frammischiato alla popolazione, strade
ricolme di letame, senza spassini né fognatura. I profughi abitano vere topaie…
In queste tane abbiamo passato l’estate,
causa che ben cinque di noi hanno lasciato la vita, rimanendo tra noi tredici
piccoli orfani, privi di tutto… I profughi
qui sono classificati come un intruso,
che venga a turbare la pace domestica,
dobbiamo elemosinare di famiglia in fa-
TRIMESTRALE DI SOCIOPOLITICA E CULTURA
Direzione editoriale
Associazione culturale “Altro&Oltre”
Corso Italia, 49
32046 San Vito di Cadore (BL)
tel. 349 8501228
Codice fiscale e Partiva IVA: 01118880259
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Vignette
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Segreteria amministrativa e di redazione
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Redazione
Sabrina Menegus, Nives Milani, Antonio Palatini, Barbara Pezzolla
Collaboratori
Paolo Bello, Modesto Bonan, Enzo Bozza, Riccardo Candeago,
Alessandra Cusinato, Katuscia Da Corte, Alfio De Sandre, Giulia M. Foresti,
Pietro Gai, Domenico Gentile, Daniele Giaffredo, Mauro Girardi
Taddeo Jacobi, Francesco Jori, Adriana Lotto, Ernesto Majoni, Gianni Mura,
Rossano Onano, Dominiki Pefkou, Paola Perucon, Marco Pozzali,
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Stampa
Grafica Sanvitese
Via Annibale De Lotto, 42
San Vito di Cadore
miglia per mangiare, le quali famiglie,
quando trattasi di profughi, aumentano il
prezzo ingordamente”. Una donna di San
Pietro del Natisone, nel Friuli orientale,
mandata in un paesino siciliano vicino a
Catania, denunciava: “Siamo abbastanza
mal visti che questa giente e peggio de le
bestie. Ci guardano male a noi e noialtri
non potiamo più soportare… Siamo qui
come i zingari anche peggio tuti straciati”. Solo in pochi casi il clima è stato di
accoglienza: lo ricordava Mario Rigoni
Stern, parlando dei suoi compaesani
dell’altopiano di Asiago spediti in un
comune della provincia di Varese, “dove
trovarono affetto, aiuto, comprensione e
anche lavoro”. Ad Angera, in particolare,
fu il sindaco in persona a voler fare da
padrino al primo nato di una famiglia di
profughi. Bisognerebbe anche ricordare
il dramma dei tanti trentini e friulani spediti nel territorio dell’impero asburgico, e
relegati nelle cosiddette “città di legno”:
baracche dove condividere il passare dei
giorni e dei mesi con la fame, il freddo,
le malattie, la morte. E infine, rivisitare il
durissimo impatto di chi è tornato dopo
la guerra. Per tutte, la testimonianza di
Rosa Russi, che alla fine del 1918 ri-
metteva piede nella sua casa di Begliano
(Bean in bisiàco), frazione di San Canzian d’Isonzo: “Non abbiamo trovato
nulla, tutto ci hanno portato via… così è
cominciata di nuovo una vita di fame, il
terreno per tre anni incolto, senza bestie
e senza niente, così di nuovo in cerca la
carità per le case”.
E’ un severo richiamo per il presente,
ispirandosi alle parole di papa Francesco:
i profughi sono persone, non numeri. Il
loro è un dramma davvero planetario. In
tutto il mondo erano 17 milioni nel 2003
e oggi hanno superato i 50; migliaia di
persone sono morte e continuano a morire in Mediterraneo, molte annegate, non
poche soffocate o accoltellate.
<< veri numeri di un
esodo biblico, di cui
l’Italia non è il centro >>
In questo esodo biblico, l’Italia non è
il centro devastato del mondo, anzi.
Abbiamo 27mila richieste di asilo, e i
rifugiati sono 78mila. Per restare ai Paesi
dell’Unione Europea, la Germania ne
ha rispettivamente 127mila e 187mila,
la Francia 100mila e 232mila, la Svezia
68mila e 114mila. Il piccolo Belgio ha più
domande di asilo di noi: 29mila. E la piccola Olanda ha quasi i nostri stessi rifugiati: 74mila. Il più grande campo-profughi al mondo, quello di Dadaab in Kenya,
non ha a che fare con le qualche centinaia
di persone dei nostri: ne ospita oltre mezzo milione. L’Occidente oggi preso d’assalto ha molte responsabilità, remote e
recenti, per i conflitti che dall’Est asiatico,
dal Medio Oriente e dall’Africa stanno
mettendo in fuga dalle loro terre milioni
di persone incolpevoli: non dovrebbe dimenticarsene.
Non dovremmo farlo neppure noi veneti,
che viviamo questa risacca umana come
una minaccia contro le nostre sicurezze.
Perché quelle sicurezze non ce le siamo
costruite oggi da soli: le fondamenta le
hanno gettate i nostri nonni, quelli usciti
da due guerre mondiali in trent’anni in
mezzo a macerie umane ed economiche di
ogni tipo; ma che hanno trovato la forza
per ricostruire. E che in questo percorso
non hanno mai dimenticato la materia prima della solidarietà, proprio perché tanti
di loro sono stati profughi.
Persone, non numeri. •
4
settembre 2014
Cortina D’Ampezzo
PERCHE’ LE DOLOMITI
NON SIANO…
FrancaMente
“PERLE AI PORCI”
Con un sospiro di sollievo, forse,
si è chiusa la stagione turistica
“I
dati dimostrano fin troppo chiaramente che non si
è mai verificato in così breve tempo un calo di presenze tanto consistente”: “È colpa del brutto tempo
e certamente si rimedierà con il presentarsi di fasi
meteorologicamente più favorevoli”; “Quest’ inverno difficilmente presenterà precipitazioni tanto abbondanti
quanto quelle della scorsa stagione”; “ L’economia prima o poi
si sistemerà e le cose andranno
meglio”.
Un breve campionario delle
frasi più ricorrenti tra operatori
e media. Tutto è attribuito al
caso o a cause indipendenti
dalla nostra volontà. Approfondendo, si può rilevare che
se la meteorologia non è controllabile, per quanto riguarda i
fattori economici, invece, ogni cittadino è responsabile, poiché
effettua delle scelte politiche, quali che siano. In altre parole,
al momento del voto ognuno di noi incide anche sugli indirizzi
macroeconomici, che a loro volta influiscono sul turismo. Questo apparirebbe di facile lettura e, detta così, non rimarrebbe
che starsene seduti e attendere tempi migliori. Ma così non è:
non andrebbe dimenticato che il turismo è un fenomeno in cui
la moda ricopre un ruolo importante, se non determinante. A
prescindere da tutte le analisi e le previsioni che possono essere
fatte, se un giorno diventasse chic trascorrere le vacanze a casa
propria, quasi tutte le attuali forme di turismo cesserebbero di
esistere. Ma, come tutte le mode, anche tale fenomeno andrebbe studiato in ogni particolare e in ogni sua minima trasformazione, ricordando che qualsiasi tendenza può essere creata
dal nulla qualora si possiedano conoscenze, capacità e mezzi
adatti per diffonderla. Ma
<< disinteresse verso ciò pare appartenere ad altri
la complessità del
mondi.
fenomeno turistico >> Anche in passato non si è
mai riflettuto su come il
turismo avrebbe potuto evolversi. Alla fine degli anni ’80 una
prestigiosa università italiana aveva offerto al non meno prestigioso consorzio turistico della nostra provincia di affiancarlo
con studi relativi alla conoscenza e al continuo cambiamento
del fenomeno. La ricerca non avrebbe comportato alcuna spesa se non la necessità (disturbo?) di fornire dei dati, comunque
già in possesso del consorzio stesso. La risposta fu, in sintesi,
che non c’era alcun bisogno di apporti esterni, in quanto gli interessati sapevano fin troppo bene come muoversi.
Nella “Rassegna Economica della Camera di Commercio di
settembre 2014
Belluno”, pubblicata nei mesi di gennaio-febbraio 1989, comparve un articolo nel quale si confrontavano i trend dell’invecchiamento della popolazione con il conseguente calo dell’interesse verso lo sci: “…emerge che la futura offerta di turismo
invernale dovrà misurarsi anche con il progressivo invecchiamento della popolazione. Infatti ne deriverà un inevitabile scemare dell’ interesse verso tale prodotto. E’ bene però precisare
che questo non significa necessariamente prevedere soltanto un
calo quantitativo del numero di clienti, ma invita a riflettere e a
reinventare una diversa è più nuova proposta del prodotto turistico…”. Tale previsione fu confermata dalle analisi effettuate
a metà degli anni ’90 dal Superski Dolomiti. Sorprende ora
leggere -sono trascorsi 25 anni!- che si è constatata la diminuzione di passaggi sugli impianti. E meno male che sono arrivati
i clienti dall’est Europa!
Qui si ritorna alle scelte politiche di ciascun cittadino, come
affermato in precedenza. Non possiamo che sperare nello stabilizzarsi della situazione nell’est Europa, nel sud del Mediterraneo, nel Medio Oriente… altrimenti senza clienti, senza gas
e forse anche con scarso petrolio, non ci rimarrà che “seminare
patate”, non dimenticando che per quest’anno è comunque
5
troppo tardi e che per il prossimo dovremmo iniziare con notevole sforzo in mancanza di conoscenze, terreni preparati e
mezzi meccanici adeguati. Questa è certamente una visione
catastrofica, ma non è male guardare avanti, poiché la migliore
forma di intelligenza è prevedere che cosa accadrà a seguito
delle attuali decisioni. Potrebbe essere un buon inizio, per non
essere colti impreparati. Guardare indietro non serve a nulla
in questo caso.
L’umiltà non può che essere il punto di partenza. Con essa
comprenderemo la complessità del fenomeno turistico nel suo
insieme e quanto numerose e profonde debbano essere le conoscenze. Contemporaneamente coglieremo come le scelte turistiche non possano essere affidate a persone convinte che sia
sufficiente saper fare un letto o saper somministrare un piatto
di canederli.
Forse un barlume di consapevolezza si sta facendo strada, se
l’ex assessore al turismo della Regione Veneto -per decenni
factotum del turismo provinciale- ha in questi giorni dichiarato
che bisogna affidare la gestione delle terme di Val Grande, in
Comelico Superiore, a chi lo sa fare, dopo averne constatato
l’insuccesso. Strano che, come al solito, non si sia detto che
in Alto Adige le cose vanno meglio perché ci sono più soldi a
disposizione. Affermazione sostanzialmente vera, ma è altrettanto sacrosanto che lì i finanziamenti sono usati bene, dopo
analisi e ricerche. Questa scusa da decenni ha nascosto le nostre pigrizie e incompetenze: come esempio potremmo citare
il Nevegal, che ha esaurito
<< valorizzare, razionalizzare, montagne di risorse. E tanto
incrementare incomparabili altro.
risorse ambientali e servizi >> La natura e le Dolomiti sono
state il motore scatenante
del nostro turismo e non potranno che continuare ad esserlo.
Dovremo comunque vederle con un’ottica diversa: non è possibile che nel Bellunese abbiano un peso marginale, mentre in
tutto il mondo sulle riserve naturalistiche e su ciò che fa loro
da cornice si basa una vivace economia. I turisti frequentano il
nord Europa per pescare i salmoni e da noi il Boite, torrente di
impareggiabile bellezza, non attira che attenzioni negative, per
un inquinamento che va diminuendo ma non sufficientemente.
La flora e la fauna dolomitiche per i più sono ancora un mistero
e invece offrirebbero ampie possibilità. Ma i safari fotografici
si fanno altrove.
Lo sci, nelle sue diverse forme, rimarrà un’ attrazione, ma si
dovrà prevedere una razionalizzazione degli impianti di risalita: sono troppi e la dispersione della clientela non permetterà a
tutti di mantenere i conti in ordine.
Le manifestazioni -diffuse in tutti i paesi e spesso anche di
buon livello- sono quasi sempre funzionali a soddisfare il turista già presente, e solo raramente fungono da catalizzatore per
una nuova e variegata clientela. Le masse si attirano solo se
si risponde alle loro necessità, se si solletica un bisogno, se si
risvegliano curiosità.
E’ necessario però migliorare la qualità dei servizi. E per servizi non si intenda solo l’albergo o l’appartamento con un’ offerta attenta alle nuove esigenze: ormai c’è bisogno di precedere
le richieste con proposte che possano incuriosire. Il prodotto
infatti è l’insieme di tutto ciò che circonda l’ospite e le nostre
trascuratezze urbanistiche non ci giovano. Aggiungiamo pure
un pizzico di antropologia: una calda ospitalità che rispecchi
qualche caratteristica culturale, un sorriso sincero e un buon
rapporto qualità-prezzo, così la situazione potrebbe già migliorare. E’ poi certamente possibile inventare delle attrazioni a carattere culturale che alimentino nuovi flussi. Interi paesi vivono
su eventi da loro inventati (es. la fiera del libro, la sagra di…)
Forse qualcuno ricorderà la crisi in cui era caduta Rimini qualche decennio fa. Si è reagito reinventando il prodotto e, anche
se non si è raggiunto chissà quale apice, la situazione è migliorata. Avevano a disposizione solo un mare e neppure tanto
attraente. Le nostre potenzialità sono infinitamente superiori.
Rimbocchiamoci le maniche e sforziamoci di imparare da chi
ne sa di più. Sarebbe una buona partenza. •
settembre 2014
San Vito
IL PALLONE
E’ SGONFIO
di
Cadore
MALGOVERNO, MALTEMPO
O MALAMONTAGNA? A L
Antonio Palatini
driana
A
bbiamo richiamato più volte, anche da queste
pagine, la necessità di tutelare il paesaggio, ovvero ciò che si vede, perché è fonte di godimento
estetico e nel contempo risorsa economica. E abbiamo altresì ribadito come la cura e la sicurezza
del territorio siano fondamentali per la vita e le attività degli
uomini. Eppure molti sono coloro che reputano tali appelli,
ammonimenti e suggerimenti niente più che filosofie spicciole
o fisse di ambientalisti antiprogressisti. E allora atteniamoci
ai fatti, a quelli che di recente sono giunti, puntuali, a dire essi
che cosa si deve e non si deve fare.
Partiamo da Cortina. Nel mese di agosto, si legge nelle cronache locali, le piogge torrenziali hanno scoperchiato le “fognature”. Hanno cioè riportato alla luce torrentelli e rii interrati nel
periodo di più intensa edificazione residenziale e spesso trasformati in collettori fognari. Un modo, insomma, assai economico e veloce (ah! le lungaggini burocratiche...) di regolamentare e di sfruttare le acque da un lato, di risolvere il problema
dello smaltimento delle acque reflue dall’altro.
E i turisti, che cosa avranno detto del puzzo avvertibile ogni
qual volta il sole faceva la sua comparsa? Scendiamo a Vodo.
Qui veniamo a sapere che anni addietro il Comune ha incanalato un rio dentro la condotta fognaria che passa rasente
un’abitazione. Sempre le piogge abbondanti hanno trascinato
una notevole quantità di materiale inerte dentro la tubazione
che, ostruita, alla fine ha fatto tracimare il liquame e allagato
l’abitazione a ridosso.
Normativa a parte, ci si chiede: è la pioggia la causa di tutto ciò
o la scarsa lungimiranza degli amministratori nel caso di Vodo
e la propensione alle facili e più immediate soluzioni nel caso
di Cortina?
Spostiamoci a Borca, dove la costruzione di un depuratore che
sostituisca le vecchie e perciò potenzialmente inquinanti vasche IMHOFF e tuteli l’ambiente non è più rinviabile, stante
anche la messa in stato d’infrazione della regione Veneto da
parte della comunità europea. Mancano però i finanziamenti
e così l’opera è lungi a venire, ma non la sanzione pecuniaria
cui la Regione sarà sottoposta.
Altro caso è quello di Venas. Il depuratore finanziato dalla
regione per un milione di euro non si farà, pur essendo stato
richiesto a suo tempo dal Comune. A qualcuno il sito individuato non piace più, vuoi perché vi transita la pista ciclabile,
vuoi perché una vecchia legge non consente di costruire nuove
abitazioni vicino al manufatto. Conclusione: non si potrà comunque edificare perché non sono più consentiti allacciamenti
alla esistente vasca IMHOFF, oramai satura, e il depuratore, se
E
nnesima estate calcistica a
San Vito: a riempirsi le scarpette degli aghi dei nostri
abeti sono stati i ragazzi della Salernitana, squadra che
milita in Lega Pro, girone C.
Creare turismo attraverso i ritiri delle
squadre di calcio è una tendenza da tempo in auge, vedi Cortina con la Fiorentina, Auronzo con la Lazio, solo per citare
realtà a noi vicine e recenti.
A San Vito, il tutto inizia nell’estate
2012 con il Siena: il progetto, che prevedeva l’accoglienza della squadra per
più anni, è però fallito per problemi della
società toscana. Nel 2013 la protagonista
fu lo Spezia e quest’anno, appunto, la
compagine campana.
Il ritiro nel nostro paese dei “pedatori”
della domenica ha comportato ovvi investimenti in denaro pubblico: si può
affermare che il totale impiegato nei
tre anni, tra ospitalità, organizzazione,
manutenzione delle strutture, affitto di
attrezzature, organizzazione, eventi collaterali…si aggiri sui 150.000 euro. Una
somma assolutamente importante, in
considerazione del periodo economico
che stiamo attraversando e, soprattutto,
dell’analisi del valore dell’indotto che ha
comportato.
La venuta del Siena, in verità, ha fatto
riecheggiare la valle più di qualche accento toscano, e la presenza costante di
TV anche nazionali e giornalisti ha dato
risposte concrete sul piano pubblicitario e mediatico. Altrettanto par difficile
Ma forse è il momento di proporre una
riflessione oggettiva su ciò che sono stati
i riscontri di tale scelta e se tali investimenti non meritassero fini diversi e a
favore di tutto il territorio. E oltre a chiederci cosa ci ha portato questa esperienza,
abbiamo il dovere di chiederci cosa ci
ha portato via e se non sarebbe stato più
opportuno guardare all’intero territorio e
alla tipologia di turisti che salgono da noi.
Non sarebbe male se il nome di San Vito
venisse promosso e valorizzato anche e
soprattutto attraverso eventi ed appuntamenti di spessore culturale ed artistico,
valorizzando anche la cultura locale,
creando un ventaglio di proposte il più
ampio possibile, in modo da solleticare
l’interesse di un numero sempre maggiore
di possibili ospiti.
Non si vuole qui condannare il turismo
legato al pallone: il tentativo meritava di
esser fatto e va riconosciuto il massimo
impegno con cui è stato portato avanti.
La capacità e le potenzialità le abbiamo
tutte: vedremo se tutti insieme riusciremo
a metterci anche la volontà. •
foto Corriere delle Alpi
Vien da chiedersi se non sarebbe stato
più opportuno, considerando che non
possiamo puntare sulle squadre più blasonate, scegliere rappresentative di zone
i cui abitanti sono abituali frequentatori
del nostro paese, ma questo fa parte de
“se” e dei “ma”, e non ci sono controprove.
affermarlo per Spezia e soprattutto per
Salernitana. Va anche considerato che
in occasione dei ritiri il paese ha ruotato attorno alla squadra ospite, a volte a
scapito dei servizi resi ai cittadini: un
comportamento quasi generalizzato, che
ha fatto passare un messaggio che, senza darci il tono dei moralisti, possiamo
comunque definire alquanto superficiale,
fatto di giocatori (ragazzi giovani e ben
pagati) trattati e veicolati come eroi dei
tempi moderni. E questo è, forse, uno
dei tanti motivi che hanno concorso a
rendere il mondo calcistico italiano, in
tutti i suoi livelli, se non marcio, alquanto
discutibile e poco credibile. Senza andare
lontano, l’episodio vergognoso accaduto
ad Auronzo durante l’ amichevole (?)
Lazio-Perugia parla da sé.
otto
Riflessioni su disagi ambientali
di Cortina, Vodo, Borca e Venas
Vale la pena investire nel turismo calcistico?
Il presupposto fondamentale per cercare
di innestare un circuito virtuoso, che
però non ha la garanzia di risultato di una
formula matematica, sarebbe il ripetere
l’esperienza per più anni consecutivi con
la stessa squadra: è la formula applicata
da tutte le realtà che decidono di investire
in questo tipo di turismo, ma da noi non è
stato così.
7
settembre 2014
foto IL GAZZETTINO
6
costruito in altro luogo, costerà il doppio. Denaro tutto da trovare, visto che nel frattempo la Regione ha dirottato altrove in
provincia (acquedotto di Cortina e collettore fognario di Sappada) quanto stanziato per Venas.
Conclusioni: quando si vuol fare, non si può, quando si può,
non si vuol fare.
In questo tragico paradosso, in cui non di rado la tutela degli
interessi privati sopravanza la salvaguardia dei diritti dei cittadini, la montagna respinge più che attrarre. Perciò non diamo la
colpa solo al maltempo se il turismo langue e la gente se ne va,
ma alla mancanza di una politica oculata, lungimirante, progettuale, attenta ai bisogni collettivi, alle necessità del vivere in un
luogo bello e fragile che ogni giorno ci sfida. •
8
settembre 2014
9
settembre 2014
I “Villaggi
degli alpinisti”
dall’Austria
alle nostre Dolomiti
Sabrina Menegus
Una proposta alternativa per
i veri amanti della montagna
I
l termine Bergsteigerdörfer, in
italiano “Villaggi degli alpinisti”,
indica la nuova forma di accoglienza che ha recentemente preso
piede nella vicinissima Austria,
dando vita a ben venti località dedite a
questa pratica.
Il “Villaggio degli alpinisti” propone un
turismo differente, attuale, che ben si
adatta alle esigenze dei comuni montani
periferici, dove è possibile sviluppare
un’offerta qualificata ad ospitare una determinata categoria di frequentatori della
montagna, garantendo loro il rispetto
delle necessità (orari, spostamenti…), e
assicurando la possibilità di alloggiare
in centri dotati di indiscussa qualità paesaggistica, ambientale e culturale. Tutto
questo consente alle popolazioni locali
di fare della propria identità il punto di
forza nella promozione del territorio,
puntando sui valori più autentici, aumentando la compenetrazione uomo-natura
e incrementando i fattori fondamentali
che sono alla base dell’intero progetto:
la responsabilità insita in chi frequenta
la montagna, il rispetto innato dell’ambiente alpino e un naturale riguardo verso
le genti che lo popolano. Una forma di
turismo alternativo che non si ferma alle
teorie o alla mera sperimentazione, ma
che è sostenuta e garantita dall’esperienza pratica già collaudata nelle vallate au<< Cibiana, Zoppé striache.
Grazie al
e Forno di Zoldo progetto
ci credono… >>
Interreg IV
Italia-Austria “Bergsteigerdörfer ohne
Grenzen - Villaggi degli alpinisti senza
frontiere”, l’esperienza dei Bergsteigerdörfer ha attecchito anche nella nostra
provincia, nei comuni di Forno di Zoldo,
Cibiana e Zoppé di Cadore. I tre centri
hanno dimostrato di possedere i fondamentali requisiti del Villaggio degli
Alpinisti: ambiente incontaminato, centri abitati a misura d’uomo, mancanza
di infrastrutture e di opere invasive. In
collaborazione con le località austriache
di Kartitsch e Obertilliach, nella Valle di
Gail, e con il sostegno dell’Oesterreichischer Alpenverein, della Sezione di Sillian, del Club Alpino Val di Zoldo e del
CAI Veneto, i tre comuni bellunesi hanno
preso parte ad un progetto pilota, inaugurato nel settembre 2012 presso il Taulà
dei Bos a Cibiana davanti a personalità
istituzionali italiane e austriache, vertici
del CAI e dell’OAV, alpinisti e curiosi.
Il settembre 2013 ha dato il via all’iniziativa “Vivi il villaggio dell’Alpinismo”,
strutturata su incontri della durata di tre
o quattro giorni, nei quali i partecipanti
hanno alloggiato nelle strutture ricettive
locali. I seminari del settembre 2013 e
del febbraio 2014 sono stati impostati in
modo da affiancare all’attività alpinistica
ed escursionistica nei gruppi del Pelmo,
San Sebastiano e Bosconero, iniziative
culturali. Queste non si sono limitate ad
evidenziare le innegabili unicità ambientali, geologiche, botaniche o faunistiche,
ma hanno messo in luce, grazie ad interventi di esperti locali, la memoria storica
delle vallate, sottolineandone gli aspetti
antropologici, gli usi e le tradizioni. A
cavallo tra i mesi di giugno e luglio 2014,
inoltre, si sono svolte tre settimane dedicate ai giovani. L’iniziativa prevedeva
soggiorni diversificati in base alla fasce
d’età dei partecipanti, gratuiti per i giovani alpinisti e i loro accompagnatori. Gli
addetti ai lavori si sono prodigati nell’approfondire le peculiarità delle aree ospi-
tanti attraverso un’adeguata educazione
ambientale.
Un ulteriore passo tangibile è stato inoltre portato a termine dal “Gruppo di lavoro locale a carattere transfrontaliero”,
che ha definito in via ufficiale i criteri di
accoglienza che dovranno essere applicati sul territorio. Le strutture ricettive,
che entro il 2015 dovranno aver acquisito
gli elementi e gli strumenti necessari ad
ospitare il popolo degli alpinisti, sono
attualmente trentadue. Lo scorso aprile,
il “Gruppo” ha presentato agli interessati
le modalità di adesione all’iniziativa, garantendo inoltre una formazione costante
degli operatori, che dovranno possedere nozioni specifiche e, non da ultima,
un’adeguata conoscenza del territorio e
delle montagne locali.
Fermi restando i criteri di carattere generale che accomunano i villaggi italiani
e quelli austriaci, i tre centri bellunesi
avranno la possibilità di impiegare alcune specificità che le differenzieranno
da quelle della Valle di Gail, soprattutto
nell’ambito della ristorazione, che vedrà
un largo impiego dei prodotti enogastronomici di produzione locale. Sono inoltre
in fase di elaborazione pubblicazioni
specifiche in italiano e tedesco, e un sito
internet. •
Agenzia Immobiliare Cortinese
di Gianna Belli - Tel. 0436 863886
AGENZIA ASSOCIATA
FEDERAZIONE ITALIANA
AGENTI IMMOBILIARI
PROFESSIONALI
ASSOCIATO n. 1454
affittanze
compravendite
amministrazioni
32043 CORTINA D’AMPEZZO - Piazzetta S. Francesco, 15
Tel. 0436 863886 - Fax 0436 867554 - [email protected]
32046 S. VITO DI CADORE - Corso Italia, 8
Tel. 0436 99020 - Fax 0436 898042 - [email protected]
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settembre 2014
settembre 2014
Ho perso il mio cielo
E’ passato sui giorni
Come una tela bianca
Nessuna voce
E’ venuta a salvarmi
Che Dio mi cancelli
Da ogni memoria
Così che nessuno sappia
nzo
ozza
Come si muore.
C
on questi versi nel cuore, ogni giorno molte
persone vengono in ambulatorio con motivazioni varie e variegate. Molto spesso riferiscono
sintomi che vanno dalla cefalea alla acidità di
stomaco, dolore alla pancia, insonnia, perdita di
memoria, irritabilità, aggressività, sofferenze di varia natura.
Sappiamo benissimo che mente e corpo sono intimamente
legati nella persona ed è assolutamente artificioso dividere le
malattie del corpo da quelle della mente
Ogni giorno tantissime persone si recano dal proprio medico di
base, spinte da un senso di disagio più che da una malattia: dal
racconto emergono molte problematiche relazionali, affettive,
emozionali, un senso di affinità per la vita problematico e comunque doloroso.
Il medico di base conosce molto bene questo peculiare aspetto
della propria attività ambulatoriale, specifico del “setting” della
medicina di base, perché spesso egli è il primo professionista
che rileva il problema e, molto spesso, anche l’unico.
Questa dimensione “umana” e non solo tecnica del medico viene perlopiù riconosciuta nella definizione di medico della famiglia, missione che riconduce molto operato del professionista
nella capacità di gestire le relazioni, anche sul piano emotivo,
dell’individuo da solo e nel contesto famigliare.
Questa capacità ed empatia del medico, resta una “mezza”
professionalità: l’ascoltare, il guidare il paziente verso una
maggiore consapevolezza del proprio stato doloroso rivela dei
limiti molto importanti. Il medico di base non è uno psicologo,
non gestisce il disagio mentale con il bagaglio tecnico dello
psicoterapeuta formato per queste problematiche. Umanità,
comprensione, ascolto, empatia, sono doti che dovrebbero caratterizzarne comunque la professione, ovunque essa si applichi; tuttavia il percorso psicoterapeutico è ben altra cosa.
FABBRICA OCCHIALI SAN VITO DI CADORE
Per queste motivazioni il nostro gruppo di Medicina Generale,
il team di medici di base da Cortina al Centro Cadore, ha favorevolmente accolto l’idea di venir affiancati da uno psicologo.
Nasce così “Psicologi del Territorio”, un’iniziativa promossa
dalla USL bellunese, dai Comuni del Cadore (non tutti) e da
una cooperativa di specialisti del settore.
Presso gli ambulatori di medicina generale lo psicologo potrà
ricevere i pazienti segnalati dal medico di base o quanti vorranno accedervi direttamente: il servizio, gratuito, si rivolge a tutte
quelle persone che sentono di dover esporre disagio, sofferenza
relazionale, comunque problematiche che necessitano di un approccio psicoterapeutico .
Questa opzione si aggiunge al lavoro del medico di base: una
valutazione a quattro mani che completa il lavoro dei due professionisti nei riguardi del paziente, con un continuo scambio
di informazioni che arricchiscono il contratto terapeutico.
La decisione di munire gli ambulatori di psicologo è una esperienza relativamente nuova: si parte da una sperimentazione
fatta in altra Usl che ha dato risultati ottimi, con grande soddisfazione dell’utenza e degli operatori. Questa del nostro territorio è la seconda sperimentazione in Italia e i risultati verranno
continuamente monitorati dal personale e dalla Usl.
Per i Comuni di San Vito, Bor<< quando, dove
ca e Vodo di Cadore è già in
e a chi rivolgersi >> funzione il punto di accesso
numero 1, con sede a Borca di
Cadore, nell’ambulatorio medico di via Roma 82: è possibile
accedervi direttamente o telefonando al numero 338 1991489,
in orario di ambulatorio, il venerdì dalla ore 10 alle ore 15,
contattando la psicologa, dottoressa Milena Maia.
La richiesta di aiuto può partire dal medico di base, dall’assistente sociale o direttamente dal cittadino; il servizio è totalmente gratuito e non necessita di alcuna “impegnativa” scritta.
Naturalmente, questo potrà essere il primo approccio al problema; molto dipenderà dalla valutazione globale clinica,
psicologica e assistenziale del paziente; ove sarà necessario
un ulteriore contatto con altri professionisti (per esempio: psichiatra), il medico di base e lo psicologo metteranno il paziente
in contatto con quanto sarà necessario per il completamento di
questo approccio che, pertanto, può definirsi olistico, aperto e
completo.
Non è casuale il progetto del duplice approccio medico-psicologico nel nostro territorio: si è voluto rispondere a una richiesta che si intuiva nella crescente domanda da parte della gente
del Cadore, un territorio difficile sia dal punto di vista logistico
che per le condizioni di vita più disagiate rispetto ad altre realtà
della provincia, anche alla luce di quanto propone la cronaca
ogni giorno, come scotto da pagare per una crisi sempre più
grave, economica, sociale ed istituzionale.
La crisi del lavoro, la realtà giovanile, l’isolamento montano, le
dinamiche famigliari nuove, come crisi delle coppie e famiglie
allargate, sono fonti di grande disagio: ci sembrava naturale
guarnire l’ambulatorio di medicina generale con qualcosa di
specifico e dedicato a queste problematiche da affrontare con
minor improvvisazione e con strumenti idonei, perché il medico non si trovi da solo a dover fronteggiare una valanga di
psicosomatismi che esonda ogni giorno in ambulatorio.
La consapevolezza del proprio disagio è già un passo verso la
guarigione: non tutto è malattia e la malattia non è tutto.
Questo ci guida verso un altro e nuovo impegno. •
12
San Vito
settembre 2014
Quando
le cose
funzionano
Ernesto Majoni
F
ar pesare, criticare, demolire
a ogni pie’ sospinto storture e
malfunzionamenti di gruppi,
persone e società, nel vivere
civile è divenuto un esercizio
ricorrente, orale come scritto (le “chiacchiere da osteria”, tante lettere inviate
ai giornali, tanti commenti “postati” sul
web). Sarebbe scontato inveire anche su
queste pagine contro qualcosa di ciò che,
nella nostra realtà valliva, non funziona
o funziona male. Per fortuna, però, oggi
non tutto va proprio a rotoli: qui si vuole
sottolineare invece la positività di uno
dei servizi del Bellunese, che attualmente
funziona a dovere e riscuote consensi
dalla maggioranza degli utenti.
Non sarà “politicamente scorretto” farne
pubblicità, anche perché l’esperienza
legata al servizio, ripetuta ormai diverse
volte, è autonoma e personale, e ogni volta colpisce favorevolmente lo scrivente.
Oggetto dell’apprezzamento sono le autolinee Cortina Express, che si presentano come “... the really express way to the
Dolomites”. Cortina Express è un’azienda con sede a Marghera, giunta nel
Bellunese da non molto e specializzata
nel noleggio di autobus con conducente,
ma principalmente nelle autolinee a lunga percorrenza. Per ora è l’unica realtà
imprenditoriale del settore che si fregia
di avere una base strutturata nel cuore
delle Dolomiti, a Cortina, ma
possiede sedi anche
a Venezia,
Bologna e nelle Marche, garantendo una
rete di servizi e assistenza sull’intero
territorio nazionale. Presentandosi on
line, la ditta usa alcuni concetti che ne
delineano la mission e sono senz’altro
condivisibili: rispetto dell’ambiente,
passione e comfort, rapidità e comodità,
flessibilità e cordialità. In un momento
storico in cui il trasporto di passeggeri su
gomma e rotaia, anche nella nostra martoriata provincia, accusa spesso carenze
e non soddisfa le esigenze delle fasce più
deboli (pendolari e studenti in primis,
ma comunque anche turisti), Cortina Express si è ritagliata uno spazio fornendo
servizi apprezzabili e sicuramente concorrenziali: si potrà obiettare che sono
privati, e quindi costano più del servizio
pubblico, ma anche qui, come ovunque,
la qualità si deve pagare. Il servizio si
muove su varie direttrici, tra le quali
la più robusta e frequente è la CortinaVenezia-Bologna; ve ne sono comunque
da/per Cortina, Alta Badia, Alta Pusteria,
Belluno, Bologna e Genova. Molte linee
assicurano una comoda circolazione lungo tutto l’arco dell’anno, e - scivolando
sul personale - per chi scrive è stato un
vero piacere trovarsi in un tardo e piovoso pomeriggio di fine autunno a Mestre
e poter anticipare il rientro a Cortina con
due ore e qualche minuto di autopullman,
contro le quasi cinque della obsoleta e
rumorosa littorina che - se tutto
va bene e non vi sono
intoppi sulla linea - attraversa veloce Treviso, rallenta a Vittorio Veneto, inizia una
stanca risalita verso Belluno, spesso cambia a Ponte nelle Alpi e alla fine scodella
a Calalzo, dove poi attende il servizio di
linea, i cui orari talvolta non collimano
con quelli ferroviari. Beninteso, lungi da
chi scrive voler demolire le altre concessionarie di trasporto che operano in provincia e nel Veneto, sulle quali comunque
si deve fare affidamento, anche nell’ottica
del contenimento delle spese. Resta il
fatto che lo sbarco a Cortina della Cortina
Express, i cui partner sono molti e qualificati (Cortina Turismo, Consorzio Alta
Pusteria, Consorzio Alta Badia, Servizi
Ampezzo, SAPS Srl, NTV S.p.A., www.
adorabilebelluno.it) ha sicuramente offerto una marcia in più a chi, per età, salute
o altro, non può o non vuole intasare le
strade d’Italia con un veicolo proprio.
Quindi, rispetto dell’ambiente, passione e
comfort, rapidità e comodità, flessibilità e
cordialità, sono sette affermazioni che integrano un’offerta apprezzabile e sicura.
Come afferma la società, la soddisfazione
del cliente sta alla base del proprio lavoro
e dei propri obiettivi, ed è il criterio per
valutare la qualità dei servizi, che costituisce l’elemento fondamentale in mano
all’utenza per affidarvisi. •
di
Cadore
settembre 2014
13
Un uomo da non dimenticare,
una testimonianza R
da non disperdere
edazione
Q
uattro anni fa, era settembre, mancava Bortolo De
Vido. La cerimonia funebre, intensa e partecipata,
manifestò in maniera visibile non solo i sentimenti privati o individuali, ma anche il legame profondo tra il giornalista e la comunità intera, da lui
osservata e descritta in più di cinquant’anni di attività.
Di quel lavoro lungo decenni si possono oggi cogliere alcune
cifre distintive, più facili forse da fissare dopo un silenzio che
comincia a essere lungo. Il dovere del servizio, in primo luogo, l’idea cioè che l’informazione fosse un luogo necessario al
vivere civile, un’opportunità, perché la notizia, data al lettore
in piena libertà e autonomia, diventasse a sua volta occasione
per riflettere. Il senso dell’appartenenza a una patria piccola ma
tutta egualmente preziosa, il Cadore, da esplorare, percorrere e
raccontare per intero fino alle sue propaggini più remote, anche
nei paesi più ardui da raggiungere o per certi versi marginali (e
dove, non a caso, il ricordo di Bortolo è particolarmente vivo).
L’uso di tutti i mezzi espressivi utili a cogliere il momento e
a fare di esso e con esso ‘notizia’: non solo scrittura, ma anche foto, diapositive e riprese video; parole e immagini che si
rincorrono e si fanno eco nel tentativo di leggere la realtà in
ogni suo aspetto e di darne testimonianza. E infine, o forse alla
radice di tutto, l’immensa curiosità per l’uomo, per ogni sua
espressione o esperienza; questo, in fondo, cercava Bortolo.
Un lavoro tenace e incessante, che ha dato voce alla Magnifica
Comunità (di cui è stato a lungo addetto stampa), alla Comunità Montana, ai paesi dell’Oltrechiusa e che si è tradotto in una
documentazione a dir poco imponente, conservata nella casa di
Resinego a San Vito. La moglie, Giuliana Gatticchi, ci ha fornito qualche numero: 5000 diapositive, 1600 rullini in b/n (dal
1963 al 2000), 400 album circa di foto stampate (e centinaia
di immagini digitali), 500 videocassette VHS, qualche metro
lineare di materiale cartaceo, una piccola biblioteca di volumi
relativi alla storia e alla cultura del Cadore. Materiale ben ordinato, catalogato secondo criteri personali ma facilmente comprensibili, in cui ben si riconoscono impronta e piglio di uno
sguardo personale e ben definito sul mondo. Ma proprio per le
sue caratteristiche e per la sua stratificazione decennale, questo
archivio privato è una inesauribile miniera di materiali e di storie: al di là di filoni ben evidenti (un paese, un personaggio, una
manifestazione) altri, più nascosti, si aprono, scoprendo così
profili individuali, vicende dimenticate, scorci di paesaggi umani, eventi su cui si è inceppata, o accelerata, la storia cadorina.
Qualunque sia la prospettiva di ricerca o la chiave di interesse,
sullo sfondo resta, comunque, la storia di cinquant’anni di un
territorio che a partire da una coesa, e ormai consolidata, identità si è trovato a vivere potenti trasformazioni economiche e
sociali, il trapasso, cioè, verso la complessità dettata dalle nuove prospettive di benessere aperte dall’industria dell’occhiale
e da quella del turismo. Un passaggio decisivo verso diffuso
benessere e dinamismo, a prezzo di un ripensamento profondo
e non sempre sereno di tutti gli elementi costitutivi del quadro
tradizionale, quali l’uso del paesaggio e delle risorse naturali,
principi e premesse del vivere comunitario, orizzonte culturale messo alla prova di una più stretta relazione con realtà
differenti. I segnali di questo cambiamento, che ormai è lecito
leggere con la misura della storia, si possono cogliere in ciascuno dei molti livelli su cui si sono mosse, cambiando, queste
comunità: da quello più evidente delle istituzioni, delle scelte
politiche e delle persone, non poche, che di volta in volta se ne
sono assunta la responsabilità, a quello più capillare delle varie
esperienze associative che attraversando sport, musica, volontariato, vita religiosa, espressioni culturali hanno fatto emergere via via potenzialità, innovazioni o bisogni, a quello forse più
radicato dei volti, degli eventi, della memoria condivisa di fatti
grandi (a cominciare dai ricordi delle due guerre del Novecento) e piccoli (aneddoti, gesti, frammenti di vite).
Questa documentazione, per molti versi impareggiabile, è preziosa anche perché frutto del lavoro e del punto di vista di una
sola persona che ha seguito e interpretato molti decenni di vita
cadorina, ma ciò non toglie che ognuno - giornalista, storico,
amministratore, studente, curioso, appassionato - possa anche
oggi trovare in essa una propria traccia e valorizzare aspetti
meno evidenti o scontati.
Perché questo avvenga, però, è necessario che tutto il materiale sia finalmente messo a disposizione della comunità, quella
stessa cui Bortolo si raccomandava di regalare tutto con la sua
consueta, e giovanile, generosità. Una raccomandazione che è
per la moglie e i figli una promessa da mantenere e un impegno che dopo l’inevitabile sospensione del lutto chiede ora un
intervento fattivo. Le istituzioni locali (l’amministrazione comunale, la Magnifica Comunità, l’Archivio di Stato di Belluno)
hanno a più riprese manifestato e ribadito l’intenzione di acquisire questa documentazione che la famiglia intende donare a
patto che essa sia ben catalogata, adeguatamente conservata e,
soprattutto, resa facilmente consultabile per chiunque ne avesse
interesse o curiosità. Come unico vincolo la certezza che per
immagini e scritti sia sempre menzionato il nome dell’autore,
Bdv, nella sigla che tutti ricordiamo.
L’auspicio è che questi contatti ancora solo informali possano
imboccare quanto prima una strada concreta che chiuda degnamente il cerchio tra la storia personale di un giornalista e la
comunità da lui raccontata. •
Oskar Casanova - 349 3635164
14
settembre 2014
IL LATO OSCURO
Emanuela Ursino
settembre 2014
con la quale potersi schierare.
C’è voluto un forte monito, quello di papa Francesco, per
risvegliare un poco le coscienze sopite, solo dei governi beninteso, ora intervenuti in armi per garantire le vie di fuga agli
oppressi e cercare di arrestare la rovinosa valanga criminale.
Manifestazioni di popolo non ve ne sono state. Si sprecano
quelle contro gli Israeliani fomentate da una propaganda antisemita, ahimè ancora malignamente radicata, che demonizza il
forte e sublima il debole che, in quanto debole, per forza deve
avere ragione. Contro la Jihiad violenta e a sostegno dei diritti
dei cristiani invece non manifestiamo. Siamo rannicchiati nel
nostro caldo covo di benessere e di pace che diamo per scontati. Non ricordiamo quanto abbiamo lottato per conquistarli e
quanti sono morti per la salvaguardia delle libertà in Europa.
Siamo cristiani annacquati, come ci definisce lo stesso Francesco, abituati a pensare che la sfavorevole congiuntura economica sia la iattura peggiore che possa capitarci. Sul pianeta invece
c’è di peggio, e molto: gente che muore, viene torturata, donne
e bambini che vengono negati, sepolti dalla cultura delle nonpersone. E questo, prima o poi, riguarderà anche noi. Arriverà
in qualche forma, se già non c’è, anche a casa nostra. E presto
o tardi dovremo farne i conti. L’11 settembre ne ha già fornito
un doloroso esempio.
Sono circa 200.000 i cristiani fuggiti dall’Iraq e che ora sono
profughi in Kurdistan. Chiedono asilo all’Occidente. Anche
se ne avessero la possibilità, non vogliono rientrare nelle loro
terre, fiaccati da continui attacchi, l’ultimo ne è solo l’epilogo.
Popolavano, in quelle zone, antichissime, enclave di cristiani
ortodossi. E noi siamo silenti. Solo la Francia ha aperto uno
spiraglio. Ma cosa mai sarebbe sistemare 200.000 richiedenti
asilo su un territorio vasto e ricco e che ospita quasi 860 milioni di cittadini (tra Canada 35 milioni, Stati Uniti 316 milioni ed
Europa: Ue 506 milioni)? Naturalmente la nostra solidarietà va
a tutti i perseguitati: agli Yazidi, ai Turcomanni sunniti e a tutti
coloro che, tacciati di apostasia, sono minacciati di morte se
non abbracciano la “vera” fede.
DELLA CIVILTA’ OCCIDENTALE
M
i è capitato un giorno della scorsa estate di
imbattermi su Facebook in una foto surreale.
Seguivano i commenti dei frequentatori: alcuni
irriverenti, altri: “non condivido ma rispetto”,
“bisogna conoscere altre culture prima di giudicare e, comunque, io rispetto le altrui usanze” e qualcos’altro
di sprezzante riguardo a una certa “presunzione” della superiorità della cultura occidentale.
rimento tutta la comunità internazionale, le libertà individuali
sono sancite come diritti inviolabili della persona. Ma si sa, la
retorica non ha confini e, in virtù di quella degenerazione culturale che confonde la viltà con la tolleranza, siamo disposti a
chinare il capo invocando “le differenti culture che dovremmo
conoscere prima di giudicare”, per giustificare chi, per legge,
adotta quello che io uso definire razzismo di genere, quello
femminile.
Non è proprio esatto definire questa predisposizione a comprendere come “rispetto” delle usanze altrui. Diciamo che è,
piuttosto, una sorta di buonismo camuffato da tolleranza verso
pratiche che dovrebbero essere universalmente inaccettabili.
Spiego: nascondere le persone significa negarle, significa impedire loro di manifestare sentimenti ed emozioni e di condividerli. Queste donne non possono mostrare l’espressione del
volto, degli occhi, del sorriso, spesso nei loro Paesi non possono guidare o andare in palestra o persino studiare. Quasi mai
decidono delle loro vite. Nascondere significa anche qualcosa
di più banale e pratico. In questo caso, negare di avere un ricordo e riconoscersi in una foto, un diritto sepolto sotto un manto
di vesti nere.
Nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (Onu
- Parigi, 10 dicembre 1948) in cui ci riconosciamo e cui fa rife-
Ed è proprio questo il vero lato oscuro della cultura occidentale. La nostra titubanza travestita da rispetto delle tradizioni più
oscurantiste e la nostra incapacità di prendere posizioni nette e
chiare. Più in generale, questo atteggiamento ci porta ad essere
indifferenti verso le guerre altrui: pavidi travestiti da protervi
“pacifisti”. Anche quando la sventura colpisce i nostri fratelli
cristiani perseguitati ormai ovunque, e che i fatti internazionali
più recenti ci consegnano come prede imbelli di una organizzatissima banda di criminali - riconosciuta come tale anche dalle
più autorevoli voci dell’Islam - che abbiamo lasciato crescere
e prosperare e organizzarsi proprio all’ombra di questa viltà.
Quella tolleranza che ha consentito alla guerra civile siriana di
snaturarsi e di mutare da “Primavera araba” a guerra tra estremisti, banditi e regime: un conflitto di tutti contro tutti, divenuto ormai ingestibile per il semplice motivo che non esiste parte
Ma di più dobbiamo ai cristiani, è nostro dovere etico accoglierli senza riserve. E non si tratta di una questione religiosa,
intendiamoci. Il Cristianesimo è anche una cultura e riguarda,
in Occidente, credenti - personalmente non lo sono - e non credenti. È un insegnamento profondo che pervade le nostre vite
fin dalla nascita e ha il suo fondamento nell’accettazione e nel
rispetto dell’altro e nella tolleranza del perdono. Non possiamo
negare l’accoglienza a chi, torturato e perseguitato, come noi
condivide il fondamento del nostro stesso mondo, ciò che ha
permeato le nostre istituzioni, contribuendo alla costruzione
di quella società libera e pacifica che abitiamo e di cui sovente
dimentichiamo il valore inestimabile e, perché no?, pure superiore. •
15
16
settembre 2014
Cortina D’Ampezzo
SPERIMENTARE?
NON SPERIMENTARE?
DOMANDE.
RISPOSTE.
PROPOSTE.
È settembre, e come ogni autunno ci occupiamo tutti di scuola.
Quest’anno alle solite riflessioni si aggiungono promesse di assunzioni, discussioni sulla valutazione degli insegnanti e sul rinnovamento dei programmi.
Nives Milani
Il dibattito sul futuro del Codivilla Putti
Q
uale sarà il nuovo assetto gestionale del Codivilla Putti? È necessario stabilirlo, vista la
decisione della Giunta Regionale di cessare
l’attuale sperimentazione, un provvedimento che
potrebbe depauperare l’intera Regione Veneto di
un’eccellenza sanitaria riconosciuta a livello nazionale e internazionale.
Il Codivilla Putti è una struttura specializzata nel trattamento
delle infezioni ossee e ha un livello di attrazione extraregionale
pari a circa l’80% dei ricoveri.
Di questi tempi si rincorrono diverse ipotesi, si parla di tutto
pubblico, di tutto privato, di prosieguo della sperimentazione,
di vendita dei 70 posti letto.
Un’iniziativa legislativa di Sergio Reolon è condivisa anche dal vicepresidente
del Consiglio Regionale Matteo Toscani,
secondo firmatario, il quale sostiene che
“l’unica soluzione è la gestione mista
pubblico-privata. Il progetto di legge
non solo conferma chiaramente questa
ipotesi, ma la esterna e migliora con la
possibilità di interazioni e collaborazioni
col mondo accademico, prospettando un futuro di spessore e
qualità per lo storico Istituto Ortopedico ampezzano. Con la
prevista abrogazione dell’art.13, sgombera il campo da equivoci, può stemperare le battaglie legali in corso con il privato e
pone serie basi per un lavoro virtuoso di consolidamento e rilancio dell’ospedale. Non ho alcun imbarazzo nel sottoscrivere
l’iniziativa di un collega di altro partito e, anzi, c’è l’auspicio
di una condivisione quanto più ampia e trasversale possibile,
per addivenire a una rapida approvazione in aula. In poco tempo il testo può diventare Legge Regionale”.
I comitati civici dei cittadini di Cortina, rappresentati da Marina Menardi e Sandra Scarpa Ghedina, sostengono l’urgenza di
salvare gli ospedali di Cortina e sottolineano la spinta verso la
ripresa della gestione pubblico-privata: “Non ha senso smon-
tare una gestione che funziona e non costa alla collettività”.
Sandra Scarpa Ghedina, dal canto suo, ricorda come il Codivilla Putti sia un’eccellenza per la cura della Tubercolosi Ossea
e Osteomielite e da tutta Italia e anche dall’estero vengono
pazienti per essere curati senza subire il rischio di amputazioni
agli arti.
E che sia uno dei più importanti centri di eccellenza lo ricorda
anche Reolon: “Crediamo che la montagna veneta e il Cadore
non debbano perdere un presidio medico fondamentale anche
a sostegno della vocazione turistica delle Dolomiti: bisogna
rilanciarlo e riqualificarlo. È necessario arricchire il nuovo assetto gestionale con il concorso dell’Università e con rapporti
e accordi con le Regioni, le province
limitrofe ed eventuali partner transfrontalieri. Il consigliere regionale non le
manda a dire: “Coinvolgiamo la provincia autonoma di Bolzano visto che, tra
l’altro, c’è stato un referendum a Cortina, attraverso il quale è stata chiesta
l’aggregazione a quell’autonomia e a
quel territorio”.
Diversa la posizione dell’Amministrazione comunale ampezzana, che sostiene come sul Codivilla
Putti pesino anni di incertezza. Il vicesindaco Enrico Pompanin
rimarca che non è possibile perderne altri due e aggiunge: “È
insostenibile prolungare ancora il limbo della sperimentazione,
abbiamo bisogno di decisioni, non dell’ennesima proroga. Il
territorio di Cortina non può sopportare altri 30 mesi di incertezza per il suo ospedale”. Secondo la valutazione del vicesindaco, il ritorno alla sperimentazione vorrebbe dire prolungare
di ulteriori due anni e mezzo l’incertezza sul futuro del Codivilla Putti. La sperimentazione è finita.
Da registrare anche la presa di posizione degli albergatori che
chiedono maggiore attenzione per l’ospedale e il suo futuro. In
ballo c’è anche l’annunciata nuova candidatura ai mondiali di
sci. •
17
settembre 2014
•••••••••• Chi costituisce l’obiettivo della scuola?
Gli studenti, di qualsiasi età siano.
•••••••••• Quali aspetti deve curare la scuola?
La crescita culturale e personale dello studente.
•••••••••• Come mai la scuola fatica sempre di più?
Perché i ragazzi sono cambiati: sono più disorientati, più fra
gili, più demotivati e quindi più bisognosi d’ascolto.
•••••••••• C’è allora un punto da cui partire per provare a raggiu-
gerli e coinvolgerli?
Forse bisognerebbe ascoltarli, parlare con loro, riuscire ad osservarli giorno dopo giorno, notarli, sentirli, appassionarli.
•••••••••• E allora?
E allora, prima di tutto, riduciamo il numero degli studenti per classe. Permettiamo così agli insegnanti, di qualsiasi grado e per motivi diversi, di avere in ogni momento il polso della situazione, di poter cogliere lo scorrere delle cose in ogni studente durante le lezioni, con un monitoraggio quotidiano del lavoro sia del docente sia dell’allievo. Un numero ridotto permetterà inoltre di individuare, con maggior facilità, diffi
coltà e lacune da sanare, ma anche di scorgere doti e capa
cità da potenziare. Questo è un punto di partenza vero: l’ana -
lisi della situazione e degli utenti. Il secondo passo verrà da sé. Queste nuove generazioni hanno bisogno di incontrarsi con gli occhi, di cogliersi, di comprendersi anche senza parole. Ogni nuovo studente vuole sentirsi importante e al centro dell’azione del suo insegnante.
Evitiamo le masse informi e cerchiamo di formare gruppi di individui pensanti e appassionati.
USA
SPI
GO
L A
TU
RE
In merito al disastro del Boeing 777, il TG della 7 alle
ore 20.07 così riferiva: “… circa 300 morti, tra cui 23
cittadini americani.” 23 cittadini americani? E gli altri
277? Si muore di più se si è americani?
INDISPENSABILE
Occupandosi della Ferrari che non vince da 6
anni, la stampa e le TV riportavano le seguenti
parole di Marchionne: “Montezemolo? Nessuno è
indispensabile”.
Caro signor Marchionne, anche la FIAT… e allora
anche Lei…
COMUNICATORE
Dal Corriere della Sera del 3 luglio. Riferendosi
a Renzi, Piersilvio Berlusconi così si esprimeva:
“L’ex sindaco è il più bravo comunicatore dopo
mio padre”. Era un complimento? Un augurio?
Dobbiamo preoccuparci?
GLOBALIZZATI
Luciano Dussin, il sindaco di Castelfranco Veneto,
sul Gazzettino del 31 agosto così si esprime: “È
successo che abbiamo subito scelte devastanti a
livello internazionale quali la globalizzazione…”.
Lei, signor sindaco, nel 2001 era allora a Genova
tra i No global? Come mai non ricordiamo tutto
questo consenso?
SEXY
Il Corriere della Sera del 9 agosto, dopo l’accordo
tra le due compagnie aeree Ethiad e Alitalia, così
riportava: “la nuova compagnia sarà più sexy”.
Più sexy? Ma guarda, chi mai avrebbe pensato
che all’ Alitalia mancasse solo il sex-appeal! Saperlo prima…
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settembre 2014
settembre 2014
19
Il meticoloso lavoro di De Rossi e
Dini prende in esame oltre 200 opere considerate significative negli ultimi 25 anni, con l’occhio che spazia dal nostro paese alle contermini
Francia, Svizzera, Austria, Slovenia,
affiancando nomi di mostri sacri del
settore, Quali Zumthor, Caminada,
Olgiati e Kaufmann ad architetti locali, non certo meno meno degni di
considerazione.
lib eri
foto Archivio Centro di ricerca IAM
Architettura alpina contemporanea
La lana dei ricordi
E’ autunno (di un’estate mai stata), la stagione dell’abbraccio della casa,
delle camicie di flanella, dei maglioni, delle giacche di velluto, delle scarpe
grosse, del legno che arde e brucia resine profumate.
Marco Pozzali
Della barba e del vino rosso.
U
ltimi giorni di settembre. Fotografia di un mattino, fuori. La luce è forte, tutto attorno boschi e
montagne.
Un uomo è fermo, immobile, in un luogo dove è
cresciuto, lui solo, e il silenzio dei ricordi. La lana
dei ricordi, maglione grezzo fatto a mano da mani di madre,
che scalda più di qualsiasi altra cosa. Scalda del suo essere fatto. Milioni di respiri di chi gli ha dato la vita e lo ha cresciuto,
allevato, educato. Sotto le crode di una tra le più misteriose
e selvatiche catene montuose delle Dolomiti Orientali, dove
ha imparato ad ascoltare il silenzio. E dove adesso osserva gli
impercettibili mutamenti nelle tinte e nei colori. Quelle sfumature, ombre e riflessi delle pareti rocciose, in un continuo
confronto di spazi e perimetri con il cielo. Più in basso, gli alberi, i dossi, le piane, i sentieri, i corsi d’acqua già irrigiditi dal
freddo.
In montagna si impara a osservare capendo, a fissare lo sguardo, senza distrazioni, con la paura del vuoto, sussurra a sé stesso quell’uomo, sottovoce, tra un passo e l’altro, sulla strada del
ritorno verso casa.
Torna a casa, quell’uomo, dal suo intimo vagare tra abeti e pini
mughi verso mezzogiorno e, dopo aver consumato un pranzo
frugale di zuppa di verdure e legumi, taglia la legna, la dispone
attentamente in cataste ordinatissime dietro casa al sole del
pomeriggio per farla asciugare e accende il grande camino al
centro della stanza di quella piccola, raccolta abitazione alpina.
E poi, quell’uomo, si apre una bottiglia di vino rosso, un vecchio Barolo 1961 di una marca che nemmeno c’è più: Franco
Fiorina. Avrebbe potuto scegliere la 1982, la ricorda sempre tra
le migliori mai bevute e ricorda anche quella cena alla trattoria
“Il Centro” di Priocca d’Alba, in ottima compagnia.
Sceglie questa 1961 e il suo pensiero va a quel tempo, a quei
tempi. Prende il suo diario e rilegge un ritaglio di giornale dove
ci sta un’intervista al vecchio Armando Cordero, enologo per
conto di Fiorina, e memoria storica di Langa: “Tutti i Barolo
Franco Fiorina, fino a che ho lavorato io, sono frutto di un coacervo di Nebbiolo di Serralunga: Baudana e Vigna Riunda,
questi ultimi Michet, di Castiglione Falletto, di La Morra e di
Monforte d’Alba. Un coacervo di uve di villaggi diversi secondo gli insegnamenti di mio padre, vecchio capocantina alla Calissano, fino all’anno ’65. Poi pigiatura con diraspatura parziale
e fermentazione in vasche di cemento armato. Follature serali
solo con la pompa, quindi senza i moderni aggeggi di oggi.
Steccatura a fine fermentazione alcoolica di circa 15 giorni, e
mantenimento del vino nuovo sotto vinaccia fino a verso Natale. Invecchiamento per due anni in cemento e poi passaggio
in botti di legno di rovere di Slavonia, abbastanza vecchie ma
sane, fino alla decisione di passarlo in bottiglia. La messa in
bottiglia senza chiarifiche e filtrazioni, stoccaggio a bottiglie
coricate fino al momento della vendita. Questa è la storia dei
grandi Barolo. Peccato che anche certi tradizionalisti l’abbiano
dimenticata...”.
Quell’uomo se ne versa un bel bicchiere, più colmo di come
dovrebbe essere e ne beve un sorso generoso. Il vino parla,
dentro, nei suoi pensieri.
Questo Barolo 1961, esile, elegantissimo, sottile, sussurrato
è il caldo di un abbraccio forte, è un guancia a guancia con
la barba ispida, è una parola non detta, pipa che arde tabacco
profumato, è cuoio, pelle in concia, il buono della stalla, fieno,
dimora della mucca e dei suoi vitellini appena partoriti, è tepore del respiro; è legno dolce che arde e scintilla, è muschio per
il presepe, quando viene Natale, è armonia del frutto selvatico
appena acerbo che raccogli dalla pianta con la scala a pioli:
susina e marasca; è anche piccoli frutti del sottobosco, ribes,
lamponi rossi, more di rovo e sambuco.
Questo Barolo 1961 non racconta frottole: è sincero negli ideali, nelle pochissime frasi che sussurra con la sua voce roca ma
sottile. È camicia di flanella, lana grezza lavorata al telaio, calda come nessun’altra, è velluto a coste, panno.
Questo Barolo 1961 è profondità, lunghezza, eco di voce, manico dell’accetta allisciato da mani sudate. È corpo, fisicità, rudezza. È caldo per il freddo, è amico per le delusioni d’amore,
per l’imbecillità della vita, per le nebbie della vita, perché dalla
nebbia piemontese nasce ed è plasmato.
È colore rosso, incupito dal morbido blu, è riflesso, venatura
scheggiata, pennellata decisa e secca.
È scrigno, eco, conchiglia, onda ritornata dopo la marea, è barca a remi nel mare.
Perché quell’uomo, dall’alto delle montagne, a volte immagina
il mare, sente il suo rumore, il suo ritornare metodico e costante sulla riva, sente la salsedine muoversi intensamente come
fruscio nell’aria e sente l’immensità della perdita, dell’abbandono, della lontananza.
E allora, in quel pomeriggio, un vecchio Barolo 1961 è diventato il suo eterno molo, segnato dalle partenze e dai ritorni,
quelli della sua vita. •
Piero Gai
L’argomento non è solamente d’interesse per gli addetti ai lavori: trattandosi di un puntiglioso studio storiografico e geografico, oltre che tecnico, riesce ad attirare anche l’attenzione del
lettore medio.
La struttura dell’opera, è già un buon biglietto da visita in questo senso: grande silloge fotografica, disegni, spaccati raccolti
per categoria di edificio. Dalla residenza privata alle infrastrutture turistiche, dai rifugi agli edifici pubblici, dalle strutture
produttive fino a quelle di culto, con un esaustivo saggio su
cosa si debba intendere per architettura di montagna, in rapporto ad ambiente, trasformazioni economiche e culturali, nonché
alla storia stessa dell’architettura dall’800 al ‘900.
Accennavamo alla silloge fotografica: si tratta di una vera e
propria porta d’accesso per capire cosa sia veramente considerabile come architettura di montagna e cosa, invece, come
aborto edilizio concepito esclusivamente a fini di lucro. Non
è un mistero che, anche nella nostra terra, con la patente di
“sperimentale” siano stati realizzati e propinati, soprattutto al
capitolo edilizia pubblica e privata, autentici e inqualificabili
orrori. E ciò senza soluzione di continuità tra zona alta della
nostra provincia e fondovalle, ove si sta riaccendendo il dibattito sull’eliminazione del vincolo paesaggistico che, purtroppo,
se ha posto dei paletti a certi scempi, non ha potuto, in quanto
concepito per altro scopo, mettere un freno alla cementificazione selvaggia e di pessima qualità, capace di ridurre, ad esempio, le zone limitrofe a Feltre ed al suo centro a un coacervo
di fabbricati privi di coerenza logica tra loro, che ha saturato il
mercato, senza peraltro determinarne un calo del prezzo.
In questo, si può rilevare l’unica piccola lacuna del testo: d’accordo sottolineare “bello” e “brutto”, ma un cenno al “troppo
e male” - vero cancro del settore edilizio di casa nostra - più
specifico e documentato, poteva trovare tranquillamente posto.
Questo, ovviamente, senza nulla togliere alla validità, lo ribadiamo, del testo nella propria interezza e nelle singole sezioni
di composizione. Lo suggeriamo modestamente come idea per
un eventuale secondo volume.
A. De Rossi-R. Dini, Architettura alpina contemporanea,
Priuli&Verlucca Editori, 2012
Matrimoni e patrimoni in montagna
La scarsità di risorse nella vita delle comunità
alpine è un tratto comune all’intero panorama
montano nazionale e non solo. Partendo dal fenomeno della dote matrimoniale, Sabrina Contini
si addentra in una documentata ricostruzione
delle dinamiche della società montana, nonché
del reperimento, spesso ingegnosissimo, di tutto ciò che poteva elevare il tenore di vita delle
comunità, delle famiglie e dei singoli individui
dimoranti nella Valsesia del fine ‘700. Ma, come
rimarcato all’inizio, la collocazione geografica è
relativamente importante.
Quello che emerge è una continuità della vita di
montagna, ovunque si svolga. Lo studio della
dote come vera e propria fucina per scelte, strategie e comportamenti di nuclei familiari, conduce
a considerazioni non del tutto inaspettate, per chi
ha almeno un’infarinatura nel campo specifico.
La società montana si rivela infatti ricca di contenuti e capacità elaborative, nettamente in con-
trasto con lo stereotipo ormai ampiamente
sbugiardato ma, purtroppo, ancora vivissimo nella cultura nazionale, che la vuole
rigida e uniforme.
Molto godibile la dissertazione, con concreti quanto opportuni esempi, sul fatto
che proprio la scarsità di risorse stimola,
come lo faceva in passato, la capacità non
solo d’improvvisare, ma anche di trasformare scientemente in bene utile alla sopravvivenza tutto, dicasi tutto ciò che si ha
a disposizione.
S. Contini, Matrimoni e patrimoni in
una valle alpina. Il sistema dotale in
Valsesia nei secoli XVIII e XIX,
Zeisciu Centro Studi, 2011
20
settembre 2014
Cartolina
da Oslo
UNA NOTTE
DI NEVE ALLE
MOIANE
settembre 2014
21
Giuliano Sidro
Rossano Onano
RICORDARE
O CANCELLARE?
D
anza la falda bianca / nell’ampio ciel scherzosa / poi sul terren si posa
/ stanca. // In mille immote forme / sui tetti e sui camini, / sui cippi e sui
giardini / dorme. La mia generazione negli anni 50 frequentava le scuole
elementari, dove imparava a memoria la poesia di Ada Negri. L’immagine della neve, da allora, è associata alla condizione di riposo e di quiete
interiore. Oggi provvedono le agenzie turistiche, diffondendo le immagini incantevoli
di vallate e vette dolomitiche ricoperte dalla coltre bianca. Nelle Moiane senesi, di
fronte all’Abbazia di Spineto, ad ogni inverno la neve racconta una vicenda terrifica
accaduta nel Medioevo. La guerra del sacramento fra la Contessa Dorilla e l’Abate.
Quando la Contessa si vestì da prete per celebrare Messa.
V
Sopra il monte alle Moiane
solitario tetro e nero
guarda il piano di Val d’Orcia
il terrifico maniero
rammentando che a Natale
nella pace e nel candore
sopra i monti alle Moiane
vuole nascere il Signore.
Toglie l’elmo, e sulla fronte
la Contessa alza la mano,
sulle spalle e per il petto
traccia il segno del cristiano.
chiuso da valloni e ponti
con la porta a mezzogiorno
sulla cupa cipressata
che fa scudo tutto attorno.
Nella notte di Natale
nel castello non c’è Messa
il Prevosto di Spineto
nega il frate alla Contessa.
Ma dal calice d’argento
come piaga da costato
furibondo nero e fosco
esce sangue intossicato
Sulla torre a mezzogiorno
batte al vento sorda e fessa
la campana della chiesa
nel castello a dire Messa.
Grassa cena di vigilia
fanno a mensa i malviventi,
ma una cupa nostalgia
chiama vecchi sentimenti
che nell’aria si compone
sotto forma di serpente,
occhi rossi come brace
la cotenna risplendente.
Il Prevosto di Spineto
di consiglio magro e attento:
nel castello alle Moiane
io non porto il Sacramento
d’orazione al bambinello
nell’infanzia lieta e sana.
Silenziosa la Contessa
dal banchetto si allontana.
Su dall’inguine alla gola
prende il finto sacerdote,
dal profondo le pareti
del castello il rombo scuote.
dove vive la Contessa
con la muta degli amanti,
mala gente di mestiere,
di giudei e di briganti.
La campana del convento
suona mesta in lontananza
e uno strano sacerdote
mette piede nella stanza.
Lo percuote spalancando
una crepa buia e fessa,
il serpente sibilando
bacia in bocca la Contessa.
Il demonio l’ha segnata
d’una turpe piega nera
che dal mezzo della fronte
corre fino alla gorgiera.
La Contessa!, stupefatta
riconosce la brigata,
sotto veste ha la corazza
sulla testa la celata.
Bacia in bocca, e contorcendo
l’uno e l’altra che asseconda,
per lo sbraco arroventato
giù nell’orrido sprofonda.
La Contessa alle Moiane
ha la chioma folta e rossa
bracca il cervo nella macchia
e la maglia e l’elmo indossa.
Introibo!, parla greve
la sacrilega officiante,
vezzeggiando come a scherno
tutte le parole sante.
Giù nell’orrido sprofonda
bestemmiando l’empia corte,
la campana di Spineto
da lontano suona a morte.
Li dismette nella notte
a banchetto coi briganti
nella sala fra carole
vino tosco e sconci canti.
Dalla tavola imbandita
prende il calice d’argento,
versa il vino spezza il pane
lo solleva a Sacramento.
Oggi ancora nella notte
del Signore, voci strane
si lamentano piangendo
nel castello alle Moiane.
Ma la quiete di dicembre
lentamente occupa il cielo
e sul poggio alle Moiane
cade neve bianca e gelo
Ma nel mezzo dell’offerta
spaventoso corre un suono
fra le mura del convento
come di rombo di tuono.
Passa bianca fra le mura
una donna in armatura.
Nella piaga del dolore
non cresce l’erba, né profuma un fiore.
enerdì 22 luglio del 2011.
Un giorno che scuote la
Norvegia e l’Europa: la cieca, folle violenza di Anders
Breivik toglie la vita a otto
persone in un primo attacco terroristico
nel quartiere governativo di Oslo e, due
ore più tardi, a 69 ragazzi e no che partecipavano ad un campo estivo del Partito
Laburista nell’isola di Utøya, una quarantina di chilometri a nord-ovest della
città.
Ad oggi, questa insensata e inspiegabile e paurosa raffica di tragedia lascia
i suoi segni: a Oslo, in centro, il tratto
dell’Akersgata che guarda il palazzo del
Governo è ancora chiuso, la circolazione
è sbarrata da blocchi di cemento, il palazzo è ancora ingabbiato in una serie di
impalcature rivestite da teli bianchi che
lo fanno sembrare un pacco regalo, mentre, all’accesso della zona, un cartellone
di plastica spiega la dinamica degli attacchi, i sistemi di sicurezza previsti per
il futuro e i lavori che sono in corso. Ad
Utøya, invece, il governo ha in progetto
di creare un memorial della strage. Per
la realizzazione sono stati stanziati 27
milioni di corone (poco più di 3
milioni di euro), ed è stato
indetto un concor-
so internazionale vinto dal quarantenne
artista svedese Jonas Dahlberg, con un
progetto che prevede di tagliare in due
la penisola di Sørbråten, posta di fronte
all’isola di Utøya. La terra e la roccia
ricavatene, poi, saranno portate ad Oslo e
usate per un’altra realizzazione nel luogo
del primo attacco.
Fin qui nulla da dire; d’altronde non
è possibile permettersi di cancellare il
ricordo e il monito che questi eventi
impongono. O forse sì? Questo è il dilemma. Il progetto infatti, approvato nel
marzo scorso, ha lasciato dietro a sé non
poche incertezze e la sua realizzazione,
prevista già per quest’anno, è stata posposta al prossimo, in attesa che la situazione si chiarifichi. Il problema? La gente
si è ribellata. Dapprima hanno mugugnato i parenti delle vittime, non contenti
che la realizzazione non sia ad Utøya, ma
di fronte all’isola. Poi sono arrivati i residenti di tutto il circondario: un memorial? Niet! Vogliamo solo dimenticare.
Questo il sentire di tutti, la gente non
vuole affatto ricordare, non vuole
che i propri territori siano associati
a un’ immane disgrazia e non vuole commemorare il dolore e l’insensata tragedia.
La soluzione sembra sia “dimenticare”.
E affinché il memorial non sia realizzato,
ci si è pure affidati al principe del foro
norvegese, Harald Stabell, che porterà la
questione in giudizio.
Ad oggi, ancora non si sa che fine farà il
memorial e se si commemorerà la tragedia e il suo dolore o se si preferirà dimenticare per sanare le ferite. Certo è che il
problema pone un sacco di interessanti
domande: è meglio ricordare o (cercare
di) dimenticare il dolore? Ricordare per
imparare o dimenticare per vivere meglio? Come si può e si deve rispondere
alla tragedia, al dolore e all’insensatezza
di molte disgrazie? Per avere le risposte
servirebbero un filosofo, uno psicologo,
o, perché no?, qualche tuttologo della
nostra tivvù. •
22
Cibiana
settembre 2014
La scuola:
presenza
insostituibile
anche quassù
Q
uando ho iniziato a cercare qualche spunto per
queste righe mi sono sentita nei guai: nessuna
idea, il vuoto assoluto! Cosa, di cosa scrivere?
Poi ho visto mio figlio alle prese con i compiti
e ho pensato che, in fin dei conti, settembre è il
mese in cui ricomincia la scuola e da lì la riflessione su quanto
sia importante e indispensabile, per chi vive in un paese come
Cibiana, avere le scuole che accolgono e aggregano i bambini
che ci sono, permettendo loro di restare vivi e vitali. Siamo
fortunati: abbiamo l’asilo e le elementari e questo significa che
i nostri figli, fino a 10 anni, hanno l’opportunità di rimanere
qui e crescere, insieme, in un ambiente familiare, senza doversi dividere negli istituti dei paesi vicini. In questo modo i
più piccoli possono iniziare l’asilo sapendo che i genitori non
sono lontani; i più grandi possono raggiungere le classi a piedi
senza aspettare uno scuolabus, senza alzarsi ad ore antelucane,
senza pericoli…vi sembra poco? Voi mettereste i vostri figli su
un qualsiasi mezzo a motore, alle 7 del mattino, magari in pieno inverno con la neve che viene giù e, soprattutto, che rende
decisamente difficili i 6 km che ci separano dall’Alemagna? Io
no! In un anno come quello appena trascorso mio figlio avrebbe probabilmente battuto ogni record di assenze.
Ma frequentare la scuola qui non è solo comodo, è anche,
semplicemente, “bello”, perché i nostri figli possono iniziare a
di
Cadore
di
Cadore
settembre 2014
23
Fiammetta De Zordo
capire che il mondo non sta tutto dentro le mura di casa, in un
luogo e fra persone che già conoscono; hanno la possibilità di
creare legami ed amicizie che si porteranno dentro per tutta la
vita e, diventati adulti, potranno avere ricordi che, con la mente, li riporteranno a questo piccolo meraviglioso paese e, con il
cuore, li faranno sorridere. Insomma, la scuola come espressione e creatrice di un senso di comunità, di appartenenza. E
questo legame è anche il motivo per cui avere le scuole è vitale
per tutti i piccoli paesi che, come il nostro, hanno una collocazione geografica particolare e, di conseguenza, tradizioni,
abitudini, identità sociale particolari: sono la linfa che li tiene
vivi, sono la forza che li fa sopravvivere. Se non ci fossero le
scuole, Cibiana sarebbe più povera e pian piano morirebbe.
Indubbiamente, molti avrebbero già scelto di andarsene per
non costringere i figli a fare i pendolari fin dall’asilo; altri non
sarebbero venuti ad abitarci e qui sarebbero rimasti solo i pochi
che davvero amano il paese e accettano i sacrifici che il restare comporta. Se poi qualcuno pensa che i bambini qui vivano
l’esperienza scolastica in un ambito troppo limitato e protetto,
beh...ha forse ragione, ma nel loro futuro ci sarà tutto il tempo
di immergersi in realtà più grandi e di scoprire mondi più vasti.
Dopotutto, raggiungere un paese limitrofo per un corso di danza,
di nuoto o di karate non è proibitivo: certo siamo a Cibiana, ma
non siamo fuori del mondo…o almeno non completamente! •
San Vito
di
Cadore
QUALCOSA SI MUOVE A SAN VITO!
Nel numero scorso, con l’appello “Più fatti, meno ciàcole” a firma di Riccardo Candeago, proponevamo una serie di “interventi semplici, immediati e a
costo zero”, espressione di buona volontà e di attaccamento al paese. Pubblichiamo alcune proposte di attività pervenute, con partecipazione aperta a
chiunque ne abbia il piacere:
- sabato 11 ottobre, 13.30 -17.30 (termine facoltativo): pulizia dalle immondizie sulla sponda del Boite sanvitese presso il biotopo; ritrovo 13.25 al parcheggio inferiore delle scuole medie, con attrezzature e abbigliamento adeguati. In caso di pioggia, dal ritrovo ci si sposterà altrove per un’occasione di
reciproca e più approfondita conoscenza e condivisione;
- domenica 19 ottobre, 08.30 -12.30 (termine facoltativo): pulizia dalle immondizie della sponda del Boite sanvitese sotto i prati di Jesa; ritrovo 08.25 al
parcheggio inferiore delle scuole medie, con attrezzature e abbigliamento adeguati. In caso di pioggia, dal ritrovo ci si sposterà altrove per un’occasione di
reciproca e più approfondita conoscenza e condivisione;
- giovedì 06 novembre, 08.30 -12.30: offerta di aiuto gratuito a persone o enti della Valle del Boite che necessitino di supporto di qualsiasi genere;
- giovedì 20 novembre, 08.30 -12.30: come sopra;
- sabato 06 dicembre, 09.00 - 12.00 e 14.30 -17.30: visita ad anziani dell’Oltrechiusa; ritrovo rispettivamente 08.55 e 14.25 nel parcheggio presso la biblioteca di San Vito;
- tutto l’anno, l’opportunità di usufruire del prestito di testi di Antroposofia / Scienza dello spirito (Rudolf Steiner) e di filosofie-discipline-religioni orientali.
Per informazioni o per avanzare proposte di attività che si reputino opportune, costruttive e di significato collettivo, contattare la redazione all’indirizzo
[email protected]
Pieve
NUMERI
CHE DIVENTANO
COSCIENZA
Dominiki Pefkou
Giovani del Cadore per i bambini di Gaza
Conflitto israelo-palestinese. 494 sono i
bambini che rimarranno per sempre bambini; 494 sono le piccole vite perse e private della loro spensieratezza. E’ inquietante fornire numeri. Non è questione di
numeri. Esiste una pagina web aggiornata
costantemente che assomma le vittime di
entrambe le parti, accuratamente divise,
dove, come in un contatore, ogni vita
mancata è un minuscolo pallino: un’immagine “perturbante”, che crea angoscia,
ma che, d’altra parte, ci fa intendere la
tragica realtà con cui abbiamo a che fare.
Giovani cadorini di grande spirito hanno
deciso di prendere in mano questi numeri
è trasformarli in coscienza, consapevolezza, sensibilità per una strage che ci interessa, anche se fuori dalla nostra portata, anche se fuori dai nostri piccoli paesi
e dalle nostre grandi montagne.
E’ sbagliato credere di non poter nulla, di
poter stare con le mani in mano e con in
bocca solo retorica, moralismo, e soprattutto silenzio e orrore. Il Comune di Pieve di Cadore l’ha dimostrato, accoglien-
do un’iniziativa, proposta da ragazzi del
paese e dintorni, che ha raggiunto molti
consensi attraverso una petizione in rete.
Settimane di lavoro da parte degli organizzatori e di chi è stato pronto a portare
un generoso e caldo aiuto hanno dato vita
a una serata di beneficenza e sensibilizzazione per i bambini vittime di Gaza.
Nonostante qualche immancabile critica
e resistenza all’iniziativa, riassumibili
in “son cose lontane da noi…il nostro
territorio ha già i suoi seri problemi…”,
il seme lanciato dai giovani organizzatori ha trovato un buon riscontro e molte
mani pronte a coltivarlo e coglierlo, per
regalare a Gaza una piccola speranza
in un deserto di rovina: mercatino con
offerte, esibizioni di danze orientali,
recitazione di poesie, musica dal vivo,
cibo, bevande, compagnia e tanti colori,
tanti bambini. Una serata riuscitissima e
il ricavato, non indifferente, interamente
devoluto a Save The Children .
I numeri della strage sono però molto
più tragici e vistosi tra militari e civili.
Nell’aria mediorientale non si respira
tranquillità neanche durante le tregue che,
se non altro, stanno concedendo ai popoli
coinvolti un riposo psicologico da una
guerra di raid, razzi, scontri e fuoco che
si è riaccesa nel luglio 2014, ma che porta
sulle spalle il peso di più di cinquant’anni di ostilità che non hanno lasciato mai
presagire una vera pace. Le occupazioni
israeliane alimentano l’integralismo di
Hamas, e le parti si scontrano a muso
duro, come cieche nei confronti di perdite
disumane. Certo, non è questione di numeri. Ma, d’altra parte, come potremmo
affrontare certe situazioni? Come potremmo minimamente immaginare? Non
possiamo. Sappiamo che dietro quelle
cifre c’è qualcosa di molto più grande. E
l’aiuto della comunità del Cadore è stato
l’esito della sensibilizzazione di un gran
numero di persone mosse dalla speranza
che quel contatore possa essere azzerato e
mai più riaperto; che quel teatro di morte
possa essere un giorno solo un’ “Isola che
non c’è”. •
24
settembre 2014
DOLO
ONDO
Muraglia cinese, Passo Giau (San Vito di Cadore)
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