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Cessione di immobili a parenti: va provato che si

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Cessione di immobili a parenti: va provato che si
Pubblicata su FiscoOggi.it (http://www.fiscooggi.it)
Giurisprudenza
Cessione di immobili a parenti:
va provato che si tratta di vendita
Per il Fisco, opera la presunzione di donazione se l’imposta dovuta per il
trasferimento oneroso risulta inferiore a quella applicabile in caso di
trasferimento a titolo gratuito
In materia di trasferimenti immobiliari, la vendita di beni al
coniuge o ai parenti, nell’esercizio dell’attività d’impresa,
è assoggettabile a Iva solo se è dimostrato il pagamento
di un corrispettivo. In caso contrario, opera la presunzione
di cui all’articolo 26 del Dpr 131/1986, che legittima
l’ufficio dell’Amministrazione finanziaria al recupero
dell’imposta suppletiva di donazione, ipotecaria e
catastale.
Così si è espressa la Corte di cassazione, con la
sentenza 6674 del 6 aprile 2016.
Vicenda processuale
Un imprenditore ha alienato, nell’esercizio della propria attività d’impresa, alcuni beni immobili al
coniuge e alla figlia, assoggettando le operazioni a Iva.
L’ufficio, facendo applicazione del combinato disposto dell’articolo 26 del Dpr 131/1986 e
dell’articolo 1, comma 3, del Dlgs 346/1990, ha riqualificato gli atti come cessione a titolo di
liberalità e quindi donazioni (in quanto le imposte di donazione risultavano superiori a quelle di
trasferimento a titolo oneroso) e ha proceduto al recupero delle imposte di donazione e
ipocatastali.
Le contribuenti hanno impugnato gli avvisi di liquidazione davanti alla Commissione tributaria
provinciale, unitamente all’avviso di accertamento di valore, con il quale l’ufficio aveva rettificato
il valore dei cespiti dichiarato nell’atto dai contraenti. In seguito al decesso dell’imprenditore, le
ricorrenti hanno chiesto all’ufficio di escludere dal patrimonio ereditario i beni immobili trasferiti al
coniuge e alla figlia, ribadendo la natura onerosa di detti trasferimenti.
Sia in primo sia in secondo grado i ricorsi sono stati accolti.
La decisione della Corte
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, l’Agenzia delle Entrate ha proposto
ricorso per cassazione con tre motivi, lamentando, in sostanza, la non corretta applicazione del
citato articolo 26, in merito alla qualificazione degli atti di cessione a titolo oneroso in assenza di
prova contraria offerta dai contribuenti.
In particolare, secondo quanto sostenuto dalle contribuenti, la presunzione di cui al Dpr
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131/1986, articolo 26, non troverebbe applicazione nella fattispecie, in quanto gli atti di cessione
in contestazione sono stati effettuati in regime d’impresa e, quindi, assoggettati al regime
prevalente ed esclusivo dell’Iva, con la conseguenza che, alla luce del principio dell’alternatività
dell’imposta di registro con l’Iva, gli atti sottoposti a quest’imposta non debbono scontare quella
proporzionale di registro, il che esclude il ricorso alla presunzione.
La Corte di cassazione non ha condiviso quanto sostenuto dai contribuenti e ha affermato che la
compravendita di beni deve di regola essere sottoposta a imposta proporzionale di registro,
secondo il valore accertabile ai sensi del Dpr 131/1986, articolo 51, comma 4, mentre
l’assoggettabilità a Iva riguarda solo le cessioni di beni o servizi effettuate nell’esercizio di attività
imprenditoriale.
Invero, nel caso in esame, la Corte, condividendo la posizione dell’Amministrazione finanziaria,
ha statuito che deve applicarsi la presunzione stabilita dal Dpr 131/1986, articolo 26, comma 1,
secondo cui, ai fini tributari, “i trasferimenti immobiliari posti in essere tra coniugi o tra parenti in
linea retta si presumono donazioni se l’imposta dovuta per il trasferimento risulti inferiore a
quella applicabile in caso di trasferimento a titolo gratuito” e tale presunzione può essere vinta
solo attraverso la prova contraria, fornita con qualsiasi mezzo dal contribuente.
Nel caso esaminato, la prova contraria, consistente nell’effettivo pagamento del corrispettivo,
non risulta essere stata allegata e, per tali motivi, l’atto si presume a titolo gratuito e, quindi, non
assoggettabile a Iva, ma a imposta di registro.
Secondo la Corte, infatti, la presunzione di cui all’articolo 26 si applica, a prescindere
dall’alternatività Iva-Registro, a tutti gli atti che potenzialmente ricadono nel presupposto
impositivo dell’imposta di registro, ovvero a tutti i trasferimenti immobiliari tra coniugi o tra parenti
in linea retta.
In applicazione della presunzione dell’articolo 26 del Dpr 131/1986 – prosegue la Corte – in
presenza di un trasferimento che soddisfi i parametri individuati nella presunzione (ovvero il
trasferimento a favore del coniuge o di parenti in linea retta, l’ammontare dell’imposta di registro
e di ogni altra tassa dovuta sul trasferimento inferiore all’imposta di donazione), il solo elemento
che può vincere la presunzione è la prova contraria.
Nel caso di specie, poiché i contribuenti non avevano fornito mai la prova del pagamento, la
presunzione non poteva ritenersi vinta.
Osservazioni
La sentenza in commento offre spunti per l’analisi della disciplina dell’articolo 26 del Dpr
131/1986, norma antielusiva che sancisce una presunzione relativa di liberalità, in relazione ai
trasferimenti immobiliari tra coniugi e tra parenti in linea retta, se l’ammontare complessivo
dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta sul trasferimento risulta inferiore alle
imposte applicabili per il trasferimento gratuito.
Come correttamente operato dall’ufficio in sede di riqualificazione nel caso in esame, la norma
va coordinata con le disposizioni introdotte dal Testo unico dell’imposta sulle successioni e
donazioni (Dlgs 346/1990) e, innanzitutto, con l’articolo 1, comma 3, ai sensi del quale l’imposta
sulle successioni e donazioni si applica anche “nei casi di donazione presunta di cui all’art. 26
del testo unico sull’imposta di registro”.
Con il citato articolo 26, il legislatore presume la simulazione relativa del contratto di
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trasferimento, ravvisandovi una liberalità ex articolo 809 del codice civile, ovvero una donazione
simulata e, ove la presunzione operi, si configura un vero e proprio mutamento della natura
giuridica dell’atto e del regime impositivo applicabile.
La presunzione relativa di liberalità ai fini dell’imposta di registro sugli atti di trasferimento tra
coniugi o parenti in linea retta è applicabile anche per gli altri tributi, in tutte le controversie la cui
soluzione dipende dalla qualificazione dell’atto come a titolo oneroso o a titolo gratuito.
La Corte di cassazione, in altra pronuncia, ha ritenuto che la presunzione in parola potesse
essere utilizzata dal contribuente per contestare l’accertamento dell’ufficio finanziario, effettuato
ex articolo 38, Dpr 600/1973, con cui si individuava un reddito di capitale conseguente l’acquisto
di un immobile il cui dante causa era il genitore (cfr Cassazione, 22218/2008).
Altro aspetto rilevante, affrontato dai giudici di legittimità è quello dell’onere probatorio.
La presunzione di liberalità era stata, originariamente, prevista come assoluta, ma la Corte
costituzionale, con la sentenza 41/1999, ne ha dichiarato l’incostituzionalità nella parte in cui
esclude la prova contraria diretta a superare la presunzione di liberalità.
Il giudice delle leggi, infatti, ha stabilito che la norma in oggetto risultava lesiva dei principi di
uguaglianza e di capacità contributiva nella parte in cui non ammetteva la possibilità per il
contribuente di dimostrare l’effettività dell’atto di compravendita tra familiari. La incostituzionalità
della norma è stata ravvisata nel divieto per le parti di provare l’effettiva natura onerosa del
negozio giuridico effettivamente stipulato. In forza della citata sentenza, la presunzione in
oggetto è stata riportata nei più corretti limiti di presunzione relativa, come tale suscettibile di
prova contraria.
Il contribuente pertanto, ha la possibilità di fornire elementi di prova atti a dimostrare l’effettività e
la veridicità del trasferimento a titolo oneroso, ad esempio, quando posto in essere tra genitore e
figli.
Filomena Scarano
pubblicato Giovedì 21 Aprile 2016
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