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Capitolo 5 La circolazione del marchio

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Capitolo 5 La circolazione del marchio
Edizioni Simone - Vol. 31 Compendio di diritto industriale
Parte quartaIl marchio
Capitolo 5La circolazione
del marchio
Sommario1. Cessione del marchio. - 2. Licenza di marchio. - 3. Il divieto di inganno del
pubblico. - 4. I contratti di merchandising e franchising. - 5. La trascrizione.
1.Cessione del marchio
Il marchio può essere sia trasferito a titolo definitivo (cessione), sia concesso in godimento temporaneo (licenza di marchio). In ogni caso, dal trasferimento o dalla licenza
di marchio non deve derivare inganno del pubblico dei consumatori in relazione ai
caratteri essenziali dei prodotti o servizi.
Si ha cessione del marchio quando il titolare del marchio (cedente) si spoglia definitivamente di tale titolarità a favore di un altro soggetto (cessionario).
La disciplina antecedente al D.Lgs. 480/1992 si preoccupava di assicurare che il
marchio, nonostante il trasferimento, continuasse ad adempiere alla propria funzione
distintiva, ponendosi quale indicatore della provenienza del prodotto da un’impresa
che presentasse rilevanti elementi di identità rispetto a quella originaria. A tal fine, il
vecchio testo dell’art. 2573 c.c. e dell’art. 15 L. marchi permetteva la circolazione del
marchio solo in coincidenza con la circolazione dell’azienda, o di un ramo particolare
di essa. Si parlava, quindi, di cessione vincolata.
Il D.Lgs. 480/1992, abrogato dal C.p.i., ha radicalmente mutato tale disciplina:
— affermando il principio della libera cedibilità del marchio (non più connessa,
cioè, a quella di altri elementi aziendali).
Rimane, però, fermo il disposto dell’art. 2573, 2° comma, c.c. ai sensi del quale il trasferimento
del marchio non costituito dalla ditta originaria (ma da un segno figurativo, una denominazione
di fantasia o una ditta derivata) si presume quando è trasferita l’azienda;
— riconoscendo, altresì, espressamente, la legittimità della cessione parziale del
marchio, vale a dire della cessione di esso anche solo per una parte dei prodotti o
servizi per i quali è stato registrato.
Tali principi sono stati confermati dall’attuale normativa introdotta dal Codice
della proprietà industriale, che si occupa dal trasferimento del marchio all’art. 23.
La dottrina prevalente (Vanzetti-Di Cataldo) ritiene che la cessione parziale del marchio
sia ammissibile anche quando vi sia affinità tra i prodotti per i quali il diritto di marchio rimane al
cedente e quelli per i quali passa al cessionario. La previsione di licenze anche non esclusive
(di cui più avanti), infatti, fa pensare che l’unico limite alla frazionabilità del diritto di marchio è
costituito dal divieto di inganno del pubblico, previsto dall’art. 23 C.p.i. Altri autori (RICOLFI),
invece ritengono ammissibile il trasferimento parziale del marchio solo per beni non affini.
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Parte quarta Il marchio
2.Licenza di marchio
A) Generalità
A norma degli artt. 2573 c.c. e 23 C.p.i., il marchio, oltre che trasferito a titolo definitivo,
può anche essere concesso in licenza a terzi.
Con il nome di licenza, precisamente, si indicano i contratti con i quali il titolare del
marchio (licenziante), pur conservando tale titolarità, ne attribuisce l’uso e il godimento
a terzi (licenziatari).
Il Codice della proprietà industriale ha espressamente confermato la previsione per
cui la licenza può essere:
— con o senza esclusiva;
— totale o parziale (relativa, cioè, a tutti o solo ad una parte dei prodotti o servizi per
i quali il marchio è stato registrato);
— riferita all’intero territorio dello Stato ovvero soltanto a parte di esso.
Le licenze esclusive di marchio sono caratterizzate da un dato strutturale unitario: un
solo imprenditore ha facoltà di usare il marchio per un determinato tipo di beni. Il titolare
del marchio può rinunciare totalmente alla sua presenza sul mercato, ed in questo caso
la licenza esclusiva è anche totale; ovvero può affidare lo sfruttamento economico del
marchio a più licenziatari, conferendo a ciascuno di essi il diritto di usare il marchio
solo per parte dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, concedendo in tale
ipotesi una licenza esclusiva parziale (RICOLFI).
B) La licenza non esclusiva
L’espresso riconoscimento dell’ammissibilità della licenza di marchio non esclusiva è
stato oggetto in passato di notevoli perplessità.
Essa può ricorrere in due ipotesi: quando è concessa ad una pluralità di soggetti in relazione agli stessi prodotti; quando il concedente dà licenza di marchio ad un terzo per
determinati prodotti ma conserva per sé il diritto di adoperarlo per gli stessi prodotti.
In caso di licenza non esclusiva, dunque, due o più imprenditori immettono sul mercato, con lo stesso marchio, gli stessi prodotti. In tale situazione, si pone il problema di
evitare che il pubblico sia ingannato dalla presenza di prodotti all’apparenza identici
ma in realtà qualitativamente difformi. È per questa ragione che l’art. 23, 2° comma,
C.p.i. subordina la liceità delle licenze non esclusive alla condizione che il licenziatario
si obblighi espressamente ad usare il marchio per contraddistinguere prodotti o servizi
uguali a quelli corrispondenti messi in commercio con lo stesso marchio dal titolare
o da altri licenziatari.
Si vuole, così, garantire l’uniformità di quei prodotti che, pur contrassegnati dallo stesso marchio,
provengono da imprese diverse.
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Capitolo 5 La circolazione del marchio
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Qual è la differenza tra licenza parziale e licenza non esclusiva?
La licenza parziale è una licenza esclusiva in relazione ai prodotti ai quali è riferita. La licenza non
esclusiva, invece, si avrà solo quando sia concessa ad una pluralità di soggetti una licenza di marchio
in relazione agli stessi prodotti, ovvero quando il concedente dia licenza del marchio ad un terzo per
determinati prodotti e conservi per sé il diritto di adoperarlo per gli stessi prodotti. In caso di licenza non
esclusiva, quindi, vi saranno due o più imprenditori diversi che immetteranno sul mercato con lo stesso
marchio gli stessi prodotti (VANZETTI-DI CATALDO).
L’art. 23, 3° comma, C.p.i. contiene un elenco di possibili violazioni del contratto di licenza da
parte del licenziatario e prevede che, di fronte a simili violazioni, «il titolare del marchio d’impresa
può fare valere il diritto all’uso esclusivo del marchio stesso contro il licenziatario».
Tale norma, dunque, consente al titolare del marchio di reagire non solo con l’azione per inadempimento del contratto ma anche in forza del diritto di esclusiva sul marchio.
Così, a prescindere dalla risoluzione del contratto di licenza, il titolare del marchio ha la possibilità di invocare contro il licenziatario le speciali sanzioni previste dalla legge (inibitoria, azione di
rimozione etc.).
3.Il divieto di inganno del pubblico
Il trasferimento e la licenza di marchio, nel dar luogo ad un distacco del segno dall’impresa cui originariamente faceva capo, rischiano di ledere l’interesse del consumatore a
vedersi assicurata la costanza qualitativa del prodotto o servizio, che gli viene offerto
sotto un determinato marchio. Per evitare tale rischio, l’art. 2573 c.c. e l’art. 23, 4°
comma, C.p.i. dispongono che in ogni caso, dal trasferimento e dalla licenza del marchio
«non deve derivare inganno in quei caratteri dei prodotti o servizi che sono essenziali
nell’apprezzamento del pubblico».
Secondo Vanzetti, la continuità qualitativa imposta da tale norma non esige necessariamente che il prodotto (o servizio) fornito dal licenziatario o dal cessionario sia della stessa
identica qualità di quello già contrassegnato, con il medesimo marchio, dal loro dante causa.
L’obiettivo che il legislatore si propone, infatti, è quello di impedire l’inganno del pubblico.
Ciò significa che la norma sarà rispettata anche quando si determinino dei miglioramenti
qualitativi o dei deterioramenti di scarso rilievo o, infine, dei deterioramenti rilevanti resi,
però, pubblici attraverso congrui avvertimenti. Ciò che la norma vieta, dunque, sono solo
quei deterioramenti rilevanti del prodotto di cui il pubblico non venga avvertito.
La situazione è diversa nel caso di marchio generale che, generalmente, comunica un
messaggio sull’origine del prodotto. Per questo tipo di marchio si ritiene che per evitare
l’inganno del pubblico e per dar luogo ad una sua valida cessione, la cessione stessa
debba essere alternativamente accompagnata da quella dell’azienda, o da una congrua
informazione che la cessione riguarda solo il marchio isolatamente considerato (e che,
pertanto, non si può confidare nel suo messaggio sull’origine dei prodotti o servizi).
La violazione di questa norma è sanzionata con:
— l’inibitoria, in applicazione dell’art. 21 C.p.i.;
— la decadenza, di cui all’art. 26 C.p.i.
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Parte quarta Il marchio
4.I contratti di merchandising e franchising
Sono denominati contratti di merchandising quei contratti con i quali il titolare di un
marchio notorio concede a terzi la facoltà d’usare il marchio per prodotti notevolmente
diversi dai propri (Di Cataldo).
In passato, tali contratti erano oggetto di perplessità in quanto, mancando anche per
il titolare di un marchio notorio il diritto di esclusiva per prodotti non affini ai propri,
non era facile giustificare come egli potesse concedere a terzi un diritto che non aveva.
Dopo la riforma del 1992, invece, la validità di tali contratti sembra certa in quanto il
titolare di un marchio che gode di rinomanza vanta oggi un diritto di esclusiva, nell’uso
del marchio, non più limitato all’affinità merceologica.
Vengono ricondotti al merchandising anche quei contratti con i quali il creatore di un personaggio di fantasia della letteratura, del cinema o dei fumetti consente — dietro corrispettivo
— che quel personaggio o l’immagine grafica che lo rappresenta, venga usato come marchio
di prodotti altrui.
Galgano configura un simile contratto quale atto di disposizione del diritto patrimoniale d’autore.
Un aspetto particolare del contratto di licenza si ha nel cd. franchising, quando
attraverso una forma di collaborazione continuativa fra imprenditori, l’affiliante
concede all’affiliato l’utilizzazione della propria formula commerciale, comprensiva
dello sfruttamento di know how, assistenza, fornitura del prodotto e uso di segni distintivi. Tale ultimo aspetto si traduce in una serie coordinata di contratti di licenza
non esclusiva.
Gli accordi di coesistenza
Si devono considerare, infine, i contratti e le transazioni che sono destinati a regolare contrattualmente
l’interferenza (confondibilità tra segni, affinità tra prodotti) e quindi la coesistenza di marchi e di segni
distintivi appartenenti a diversi titolari. Tali accordi riguardano l’uso di marchi diversi, appartenenti
a diversi titolari, interferenti tra loro per l’identità o confondibilità dei segni e per l’identità o affinità
tra prodotti, ipotesi diversa, quindi, da quella in cui in virtù di un contratto di licenza si autorizza un
terzo ad usare il marchio del concedente (SENA).
La validità di tali contratti può desumersi dall’art. 20, comma 1, C.p.i. che, con l’espressione «salvo
il proprio consenso», attribuisce al titolare del marchio la facoltà di consentire l’uso di un segno
distintivo interferente con il proprio.
L’accordo di coesistenza costituisce una pattuizione privata, un contratto per mezzo del quale le parti
riconoscono il rispettivo diritto sul proprio marchio e stabiliscono le modalità di utilizzo dei propri
segni potenzialmente interferenti.
L’oggetto principale dell’accordo, come sottolineato da autorevole dottrina, deve essere individuato
nella «sfera di rilevanza del marchio»; pertanto, la loro finalità sarebbe quella di disciplinare le modalità di coesistenza dei segni sul mercato.
In giurisprudenza, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 20472 del 19-10-2004 ha precisato come
detti accordi «possono riguardare anche l’utilizzazione di uno stesso marchio, come nell’ipotesi della
comunione di marchio o dei marchi di gruppo, ovvero nel caso di frammentazione di un complesso
produttivo unitario in una pluralità di imprese distinte e indipendenti».
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Capitolo 5 La circolazione del marchio
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5.La trascrizione
Gli artt. 138 e 139 C.p.i., modificati dal D.Lgs. 131/2010, sottopongono le vicende
attinenti al marchio registrato ad un regime di trascrizione simile a quello che la legge
prevede per i beni mobili registrati.
L’art. 138 C.p.i. (che detta una disciplina comune per tutti i diritti di proprietà industriale
che si acquistano mediante registrazione e brevettazione) dispone che devono essere
trascritti presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi gli atti tra vivi che trasferiscono in
tutto o in parte i diritti sui marchi registrati; gli atti tra vivi che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento, privilegi speciali o diritti di
garanzia sui marchi registrati ecc.
La trascrizione, che si effettua presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, condiziona
non la validità dell’atto da trascrivere ma la sua opponibilità a terzi; costituisce, inoltre,
un criterio di preferenza tra due aventi causa dal medesimo dante causa.
L’ultimo comma dell’art. 139 C.p.i. dispone che «sono opponibili ai terzi gli atti che
trasferiscono, in tutto o in parte, ovvero modificano i diritti inerenti ad una domanda
o ad un brevetto europeo, a condizione che siano stati iscritti nel registro dei brevetti
europei o trascritti nel Registro italiano dei brevetti europei».
In seguito all’intervento del D.Lgs. 131/2010, la parola iscritti sta ad indicare che
l’opponibilità degli atti che trasferiscono o modificano i diritti inerenti ad una domanda oppure ad un brevetto europeo non dipende da una trascrizione in senso tecnico,
bensì da un’iscrizione nel Registro italiano dei brevetti europei. Si tratta, perciò, di una
semplificazione che permette l’accettazione, come avviene negli altri Paesi dell’Unione
Europea, di trascrizioni presentate nel periodo compreso tra la concessione del brevetto
e la scadenza del periodo di opposizione e che sono regolarmente iscritte nel citato
Registro (Relazione illustrativa).
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Parte quarta Il marchio
«Spiegare le norme»
cioè allorquando il marchio perde la
capacità distintiva a causa dell’utilizzo da parte di
imprenditori concorrenti (senza che il titolare del marchio
abbia agito a tutela del suo diritto di esclusiva) o da parte
dei consumatori, che lo usano per indicare tutti i prodotti
dello stesso genere: si pensi al caso dell«aspirina»
quale segno distintivo dei medicinali antinfluenzali in genere
26. Decadenza. — 1. Il marchio decade:
a) per volgarizzazione ai sensi dell’articolo 13, comma 4;
b) per illiceità sopravvenuta ai sensi dell’articolo 14,
comma 2;
c) per non uso ai sensi dell’articolo 24.
la decadenza prevista in relazione ai marchi
non è assimilabile alla decadenza
in senso tecnico prevista dagli
articoli 2964 e ss. c.c., in quanto non
consiste nel mancato esercizio di
un diritto entro un dato termine
(VANZETTI)
si parla di illiceità
sopravvenuta in quanto se
il marchio fosse stato contrario
all’ordine pubblico o al buon costume
ab origine sarebbe stato illecito (art.
13, comma 1, C.p.i.) e, quindi, la
sua registrazione nulla (art. 43
C.p.i.)
la legge (art. 24 C.p.i.)
chiarisce che, per evitare la decadenza, l’uso del marchio deve essere «effettivo», il che significa che sono irrilevanti gli usi
sporadici o per quantitativi irrisori del prodotto.
La decadenza, inoltre, non si produce quando il
mancato uso sia giustificato da un «motivo
legittimo», ad esempio, quando esso è
dovuto a cause indipendenti dalla
volontà del titolare
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Capitolo 5 La circolazione del marchio
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Questionario
1. La cessione del marchio è libera o vincolata a quella di altri elementi aziendali?
(par. 1)
2. Cosa si intende per cessione parziale del marchio? È ammessa? (par. 1)
3. Da cosa sono caratterizzate le licenze esclusive di marchio? (par. 2)
4. Quale condizione è richiesta per la liceità delle licenze non esclusive? (par. 2)
5. In cosa consiste il contratto di merchandising? (par. 4)
6. Sono validi gli accordi di coesistenza? (par. 4)
7. Cosa comporta la trascrizione di un marchio registrato? (par. 5)
Edizioni Simone - Vol. 31 Compendio di diritto industriale
Parte quartaIl marchio
Capitolo 6L’estinzione del marchio
Sommario1. Le cause di estinzione del marchio. - 2. La nullità del marchio. - 3. La
decadenza del marchio. - 4. Le azioni di nullità e di decadenza.
1.Le cause di estinzione del marchio
L’estinzione del marchio si realizza con:
— la scadenza del termine decennale di efficacia della registrazione (salvo sua rinnovazione);
— la rinunzia del titolare;
— la dichiarazione di nullità del marchio (benché con essa si abbia, più che l’estinzione del diritto, l’accertamento del suo non essere mai sorto);
— il verificarsi di determinate cause di decadenza.
2.La nullità del marchio
L’art. 117 C.p.i. stabilisce che la registrazione non pregiudica l’esercizio delle azioni
giudiziarie circa la validità e l’appartenenza del marchio.
Il marchio, dunque, benché registrato, potrà, ricorrendone le condizioni, essere dichiarato nullo dal giudice ordinario.
Le cause di nullità del marchio sono: la mancanza dei suoi presupposti e dei requisiti
di validità.
Esse sono enumerate nell’art. 25 C.p.i., secondo il quale il marchio è nullo se:
a) non corrisponde al tipo di segno indicato nell’art. 7 C.p.i. (segno suscettibile di essere rappresentato graficamente);
b) non è nuovo ai sensi dell’art. 12 C.p.i;
c) è in contrasto con gli artt. 9, 10, 13, 14, 1° comma, C.p.i., quindi, nel caso di segni contrari
alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume; di stemmi ed altri segni considerati nelle
convenzioni internazionali e nel caso di segni decettivi in sé;
d) è stato domandato in malafede (art. 19, 2° comma, C.p.i.);
e) è in contrasto con l’art. 8 C.p.i. (relativo ai nomi e ai ritratti altrui nonché ai segni notori);
f) è stato registrato a nome di chi non ne aveva diritto (art. 118, 3° comma, lett. b), C.p.i.).
L’art. 27 C.p.i. prevede espressamente la nullità parziale del marchio, che ricorre
quando il motivo di nullità colpisce solo una parte dei prodotti o servizi per i quali il
marchio è stato registrato. Ad esempio, ciò potrà avvenire quando il marchio risulti
descrittivo rispetto ad alcuni prodotti o servizi, e non rispetto ad altri, ovvero quando
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Capitolo 6 L’estinzione del marchio
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risulti privo di novità, essendo stato anticipato da un marchio anteriore, sempre soltanto
per una parte dei prodotti o dei servizi.
Annullabilità del marchio
Altro gruppo di vizi è costituito dalla mancanza di capacità distintiva.
In questi casi si verifica un’idoneità del segno a costituire un valido marchio ma è prevista la possibilità che il segno acquisti, con il tempo e con l’uso, un secondary meaning, cioè quella capacità o
carattere distintivo che manca all’origine.
Se la capacità distintiva è acquistata prima della domanda di registrazione o prima della proposizione
della domanda o dell’eccezione di nullità, il vizio è sanato. Tale processo di «riabilitazione» del
marchio originariamente nullo dovrebbe essere conseguenza di una congrua durata di uso esclusivo
del segno in connessione con un singolo prodotto, supportato da un’ampia pubblicità, e concludersi
con un vero e proprio aggiungersi, nella percezione del pubblico, di un secondo specifico significato
del segno all’originario significato generico (secondary meaning).
La giurisprudenza comunitaria richiede che il segno, perché possa affermarsi la riabilitazione,
sia divenuto idoneo ad identificare il prodotto o servizio recante il marchio come proveniente da
un’impresa determinata agli occhi di almeno una frazione significativa del pubblico di riferimento.
Più che di nullità, quindi, si dovrà parlare di annullabilità in quanto, fino a quando non è dichiarata la nullità, il diritto si trova in uno stato di pendenza che si risolverà o nel senso della nullità,
con la proposizione dell’azione di annullamento, o nel senso della validità, con l’acquisto della
capacità distintiva.
3.La decadenza del marchio
La decadenza è la cessazione anticipata del diritto di marchio, validamente costituito,
rispetto al termine di scadenza previsto dalla legge.
Sono ipotesi di decadenza:
a) la decadenza per non uso.
Ai sensi dell’art. 26, lett. c), che rinvia all’art. 24 C.p.i., il marchio decade ove non
venga utilizzato entro cinque anni dalla registrazione ovvero se l’uso ne venga
sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni.
La legge chiarisce che, per evitare la decadenza, l’uso del marchio deve essere
«effettivo», il che significa che sono irrilevanti gli usi sporadici o per quantitativi
irrisori di prodotto.
La decadenza non si produce quando il mancato uso sia «giustificato da un motivo
legittimo», ad esempio quando esso è dovuto a cause indipendenti dalla volontà
del titolare.
Sono, però, riconducibili a tale ipotesi, probabilmente, anche i casi di mancato uso dovuto a
certe scelte volontarie del titolare, «sempre che si possa valutare come legittima la ragione
della strategia aziendale di non uso da lui prescelta» (Di Cataldo).
Il D.Lgs. 131/2010 ha aggiunto il comma 1bis all’art. 24 C.p.i., con cui è stata posta
fine alla querelle relativa al termine a decorrere dal quale devono essere computati i
5 anni di non uso per un marchio internazionale avente effetto in Italia. Si è voluto
adeguare, quindi, il termine di decadenza al diverso meccanismo di registrazione
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Parte quarta Il marchio
previsto per i marchi internazionali evitando che, per questi ultimi, i 5 anni decorrano
dalla presentazione della domanda, determinando un’illegittima discriminazione.
L’art. 24, 3° comma, C.p.i., inoltre, esclude che si possa dichiarare la decadenza
di un marchio per non uso qualora, tra la scadenza del quinquennio di non uso e la
proposizione della domanda o eccezione di decadenza, sia iniziato o ripreso l’uso
effettivo del marchio. Ciò a conferma della rilevanza che la legge concede all’uso
effettivo del marchio rispetto al fatto formale della registrazione. La decadenza,
però, aggiunge la norma, non è evitata qualora l’uso sia realizzato dal titolare dopo
aver saputo dell’imminente proposizione della domanda giudiziale di decadenza,
a meno che tale uso non preceda di tre mesi la proposizione della domanda stessa.
La «riabilitazione» del marchio, inoltre, non potrà verificarsi qualora nel frattempo
terzi abbiano acquistato, con il deposito di una domanda di registrazione o con l’uso,
diritti sul marchio.
Come la nullità, anche la decadenza può essere parziale (art. 27 C.p.i.), il che si
verifica quando il marchio non venga utilizzato solo per alcuni dei prodotti o servizi
per i quali è stato registrato.
I marchi difensivi
Nell’ambito della decadenza per non uso, è necessario accennare ai marchi difensivi, previsti dalla
nostra legge, ossia quei marchi che rappresentano variazioni di uno stesso marchio che l’imprenditore
può far registrare (insieme al marchio principale) anche senza usarli.
L’art. 24, comma 4, C.p.i., infatti, esclude la decadenza per non uso di quei marchi che il titolare di
un marchio effettivamente usato abbia registrato al fine di conseguire maggiore sicurezza contro le
successive imitazioni dei concorrenti e di beneficiare della protezione della legge. Si tratta di marchi
simili, ma non identici e neppure confondibili, che costringono i concorrenti ad allontanarsi dal
marchio principale. Il marchio difensivo non decade per non uso a condizione, però, che il titolare
usi effettivamente un altro marchio simile.
b) la «volgarizzazione».
Un’altra ipotesi di decadenza è prevista quando il marchio sia divenuto, nel commercio, «denominazione generica del prodotto o del servizio», perdendo, così, la
propria capacità distintiva.
Si pensi, ad esempio, alla parola «Prémaman», depositata a suo tempo come marchio per
contraddistinguere articoli di abbigliamento per future madri, e che oggi viene correntemente
adoperata come nome comune per indicare tale genere merceologico.
Lo stesso fenomeno si è verificato per i marchi «Aspirina», «Cellophane», «Nylon», «Biro» etc.
Perché si verifichi la decadenza del marchio, però, non basta il dato oggettivo che il
marchio sia diventato denominazione generica del prodotto, ma è necessario altresì
un comportamento del titolare del marchio. L’art. 26, lett. a), che rinvia all’art.
13, comma 4, C.p.i., infatti, richiede espressamente che la volgarizzazione si sia
verificata «per fatto dell’attività o inattività» del titolare del marchio.
La prima ipotesi, molto probabilmente, si realizza quando lo stesso titolare adoperi
il marchio come denominazione generica; la seconda, invece, si realizza quando il
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Capitolo 6 L’estinzione del marchio
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titolare evita di reagire all’uso, da parte di terzi, del marchio come denominazione
generica.
Per evitare la decadenza per volgarizzazione, quindi, quando un segno accenni a diventare
nel linguaggio denominazione generica di un determinato prodotto, a generalizzarsi, il titolare
dovrà attivarsi al massimo, sia reagendo sempre all’utilizzazione del suo marchio da parte dei
terzi, sia adoperando il marchio in maniera che esso sia sempre riconoscibile come tale, sia
ricordando nella pubblicità che si tratta di un marchio registrato ecc. (VANZETTI-DI CATALDO);
c) la decadenza per decettività.
Altra ipotesi di decadenza è quella prevista dall’art. 26, lett. b), che rinvia all’art.
14, 2° comma, C.p.i., per il caso in cui il marchio diventi «idoneo a indurre in inganno il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti
o servizi, a causa del modo o del contesto in cui viene utilizzato dal titolare o con
il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è registrato».
Tale norma è molto vicina, nel suo tenore, all’art. 14, comma 1, lett. b), C.p.i.,
ma in realtà contempla una fattispecie diversa. Mentre, infatti, l’art. 14, lett. b),
C.p.i. vieta la registrazione del marchio in sé decettivo, sancendone la nullità sin
dall’origine, la norma in esame, invece, presuppone un marchio originariamente
valido e perciò originariamente non decettivo. La decadenza sanziona qui, dunque,
l’ingannevolezza sopravvenuta, la quale deve riguardare la qualità del prodotto o
servizio contrassegnato.
In particolare, essa colpisce quelle ipotesi in cui sussiste un deterioramento qualitativo rilevante del prodotto, non evidenziato o addirittura celato dal titolare al
pubblico. Altra ipotesi in cui potrebbe operare la decadenza in questione è quella
di una modifica del modo di usare il marchio, che attribuisca al prodotto nuove
qualità che in realtà esso non ha, né aveva all’inizio. Si pensi, ad esempio, ad una
campagna pubblicitaria decettiva, che carichi il marchio di nuovi significati, per
l’appunto decettivi. La norma, infatti, parla di una decettività causata «dal modo o
dal contesto in cui viene utilizzato» il marchio, frase che appunto richiama anche
l’attività pubblicitaria di cui esso è oggetto (VANZETTI-DI CATALDO);
d) sopravvenuto contrasto con la legge, l’ordine pubblico ed il buon costume.
Ulteriore ipotesi di decadenza è, infine, quella prevista dall’art. 14, comma 2, lett.
b), C.p.i., secondo il quale il marchio decade «ove sia divenuto contrario alla legge,
all’ordine pubblico o al buon costume».
Difficile è ipotizzare un sopravvenuto contrasto del marchio con il buon costume, considerando
che la variabilità di tale nozione opera generalmente nella direzione della sempre maggior
tolleranza.
4.Le azioni di nullità e di decadenza
A) Legittimazione
Secondo una formula consolidata in giurisprudenza, legittimato ad agire per la declaratoria di nullità o di decadenza del marchio è chiunque vi abbia interesse, e, perciò,
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Parte quarta Il marchio
in particolare, ogni concorrente che trovi nella presenza del marchio un ostacolo
all’esercizio della propria attività.
La giurisprudenza ha tradizionalmente negato che potesse avere interesse ad agire chi non fosse
un imprenditore. Secondo Di Cataldo, perciò, il testo dell’art. 22 L. marchi (oggi art. 19 C.p.i.)
ammettendo che potesse essere titolare di un marchio registrato anche chi non fosse imprenditore, imponeva di concedere la legittimazione all’azione di nullità e di decadenza del marchio a
prescindere dalla qualifica di imprenditore, purché ovviamente sussistesse l’interesse ad agire.
L’art. 59 L. marchi riconosceva la legittimazione ad agire anche al P.M. ma non risulta
che il P.M. si sia mai avvalso di tale potere; questi, infatti, si è limitato ad intervenire
(e si tratta di un intervento necessario ai sensi dell’art. 70, n. 1, c.p.c.) nei giudizi
promossi da privati.
Il Codice della proprietà industriale ha eliminato l’obbligatorietà dell’intervento del
Pubblico Ministero nelle controversie tra privati aventi ad oggetto la decadenza o la
nullità di un titolo di proprietà industriale, ritenuta un inutile appesantimento burocratico. L’art. 122, comma 1, C.p.i. dispone, pertanto, che, in deroga all’articolo 70 c.p.c.,
l’intervento del Pubblico Ministero non è obbligatorio.
Legittimato passivamente all’azione di nullità e decadenza è, innanzitutto, il titolare
del marchio. La legge, inoltre, prevede, quali litisconsorti necessari, «tutti coloro che
risultano annotati nel registro quali aventi diritto in quanto titolari di esso» (art. 122,
comma 4, C.p.i., come modif. dal D.Lgs. 131/2010).
A seguito delle modifiche apportate in materia dal D.Lgs. 131/2010, è stato specificato che l’azione
di decadenza o di nullità di un titolo di proprietà industriale è esercitata in contraddittorio di tutti
coloro che risultano annotati nel registro quali aventi diritto in quanto titolari del brevetto, e non è
necessaria la partecipazione dell’inventore.
B) Giurisdizione e competenza
Nelle cause di nullità o di decadenza di marchio, la giurisdizione spetta all’Autorità
giudiziaria ordinaria.
Per quanto riguarda le disposizioni processuali, la L. 23-7-2009, n. 99 (cd. Legge sviluppo) ha eliminato il riferimento all’applicazione del rito societario (abrogato dalla L.
69/2009) per i procedimenti in materia di proprietà industriale ed ha ampliato il novero
di controversie devolute alle sezioni specializzate.
L’art. 2 del D.L. 1/2012 (decreto liberalizzazioni), conv. in L. 27/2012 ha apportato
modifiche al D.Lgs. 168/2003 (da ultimo modificato dal D.L. 145/2013, conv. in L.
9/2014), istitutivo delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale, che ora sono diventate sezioni specializzate in materia di impresa. Il testo
originario dell’art. 3 del D.Lgs. 168/2003 individuava la competenza delle sezioni
specializzate nelle controversie aventi ad oggetto: marchi nazionali, internazionali e
comunitari, brevetti d’invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni
e modelli e diritto d’autore, nonché fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la
tutela della proprietà industriale ed intellettuale. A seguito delle modifiche apportate
dal decreto liberalizzazioni, che ha integralmente riscritto il citato art. 3, le sezioni
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Capitolo 6 L’estinzione del marchio
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specializzate hanno una competenza molto più vasta, che investe tutto il contenzioso
relativo alle attività economiche.
C) L’onere della prova
Ai sensi dell’art. 121, 1° comma, C.p.i. «l’onere di provare la nullità o la decadenza
del titolo di proprietà industriale incombe in ogni caso a chi impugna il titolo».
In relazione alla decadenza per non uso, però, l’art. 121, comma 1, ultima parte, C.p.i.
tempera il rigore della regola generale, affermando che la prova del non uso può essere
data con ogni mezzo, ed anche con presunzioni semplici.
La ratio di tale temperamento va ravvisata nell’impossibilità per il terzo di dare piena prova del
fatto che il marchio da lui impugnato non è mai stato usato in nessun tempo e in nessun luogo,
e per contro nella facilità per il titolare di dar prova dell’avvenuto uso (Vanzetti-Di Cataldo).
La norma, quindi, introduce un’inversione dell’onere della prova. In base al principio generale
previsto dall’art. 2697 c.c., infatti, chi pretende di far valere in giudizio un diritto dovrebbe necessariamente provare il perfezionamento della fattispecie costitutiva di tale diritto. La norma, invece,
pone l’onere della prova negativa a carico di chi eccepisce la nullità del brevetto o del marchio,
liberando il brevettante/registrante dall’onere della prova positiva.
D)Effetti della sentenza di nullità e decadenza
Le sentenze che pronunciano la nullità o la decadenza di un marchio, una volta passate
in giudicato, hanno efficacia erga omnes (art. 123 C.p.i.).
Le sentenze in questione, dunque, in deroga alla previsione generale di cui all’art. 2909
c.c., hanno una portata che esorbita quella normale del giudicato e provocano così una
vera e propria estinzione del diritto del titolare.
Entrambe, poi, hanno efficacia retroattiva ma mentre la nullità retroagisce alla data
della domanda di registrazione, la decadenza, invece, retroagisce solo alla data del
verificarsi del fatto che la provoca.
E) Il divieto di uso del marchio dichiarato nullo
L’invalidità del marchio, di regola, si traduce soltanto nell’impossibilità del titolare di
pretenderne l’uso esclusivo.
Quando, però, la causa di nullità, accertata con sentenza, comporta l’illiceità dell’uso
del marchio, l’art. 21, comma 3, C.p.i. vieta a chiunque di farne uso.
Tale divieto, dunque, viene in considerazione se il marchio è dichiarato nullo:
a) per contrarietà alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume (art. 14, comma 1, lett. a), in
relazione all’art. 21, comma 2, C.p.i.);
b) per la decettività di cui all’art. 14, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 21, comma 2, C.p.i.;
c) per la violazione degli artt. 10 e 14, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 21, comma 2, C.p.i.
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Parte quarta Il marchio
«Spiegare le norme»
la sentenza di nullità
è retroattiva; il giudicato, quindi, cancella il
marchio fin dal momento della sua registrazione. Una
norma speciale in materia di brevetti per invenzioni (art.
77 C.p.i.) limita gli effetti di tale retroattività. Essa, infatti,
tiene fermi gli atti, già compiuti, di esecuzione di sentenze di
contraffazione passate in giudicato, ed i contratti, già eseguiti,
aventi ad oggetto l’invenzione, salvo, in tal caso, la
possibilità di un equo rimborso degli importi versati in
esecuzione del contratto
123. Efficacia erga omnes. — 1. Le decadenze o le nullità
anche parziali di un titolo di proprietà industriale hanno
efficacia nei confronti di tutti quando siano dichiarate con
sentenza passata in giudicato.
è la sentenza
divenuta immodificabile perché
sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti dalla legge ovvero quando
questi non sono più proponibili per scadenza
dei termini. Essa resta peraltro assoggettabile
ai mezzi straordinari di impugnazione quali revisione e revocazione. La sentenza passata in
giudicato fa stato ad ogni effetto tra le
parti, i loro eredi e gli aventi causa
ai fini
del presente codice,
l’espressione proprietà industriale comprende marchi ed altri
segni distintivi, indicazioni geografiche,
denominazioni di origine, disegni e modelli,
invenzioni, modelli di utilità, topografie dei
prodotti a semiconduttori, informazioni
aziendali riservate e nuove varietà
vegetali
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Capitolo 6 L’estinzione del marchio
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Questionario
1. Quali sono le cause di nullità del marchio? (par. 2)
2. Quale patologia è prevista in caso di mancanza di capacità distintiva del marchio? (par. 2)
3. Cosa si intende per decadenza per non uso? (par. 3)
4. È prevista la decadenza per non uso dei marchi difensivi? (par. 3)
5. Cosa è richiesto per la decadenza del marchio che sia diventato denominazione
generica di un prodotto? (par. 3)
6. Cosa è previsto nel caso in cui la nullità, accertata con sentenza, comporta l’illiceità
dell’uso del marchio? (par. 4)
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