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LA VALORIZZAZIONE DEL MARCHIO

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LA VALORIZZAZIONE DEL MARCHIO
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI
“M.FANNO”
CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN ECONOMIA E
MANAGEMENT
PROVA FINALE
LA VALORIZZAZIONE DEL MARCHIO
RELATORE:
CH.MO PROF. SAPIENZA ELENA
LAUREANDO/A: MANEA SABRINA
MATRICOLA N. 1021938
ANNO ACCADEMICO 2013 - 2014
1
2
INTRODUZIONE................................................................................................. 5
1. DEFINIZIONE E STORIA DEL MARCHIO ............................................... 7
2
1.1
LE PRIME PRESENZE DEL MARCHIO ............................................. 8
1.2
MARCHIO NEL '900............................................................................ 10
LA FUNZIONE DEL MARCHIO............................................................... 12
2.1
FUNZIONE PRIMARIA (PROPRIA): LA DISTINZIONE ................ 12
2.2
CONSEGUENZE DELLA FUNZIONE PROPRIA............................. 14
2.3
TUTELA LEGALE DELLA FUNZIONE DISTINTIVA DEL
MARCHIO....................................................................................................... 14
3. VALUTAZIONE DEL MARCHIO NEL BILANCIO................................ 16
3.1
PRINCIPI NAZIONALI DI CONTABILIZZAZIONE DEL
MARCHIO....................................................................................................... 16
3.2
PRINCIPI INTERNAZIONALI DI CONTABILIZZAZIONE DEL
MARCHIO....................................................................................................... 17
3.2.1
PRIMA ISCRIZIONE DEL MARCHIO ....................................... 18
3.2.2
IL TRATTAMENTO CONTABILE SUCCESSIVO ALLA
PRIMA ISCRIZIONE .................................................................................. 19
4. LA VALUTAZIONE DEL MARCHIO ...................................................... 22
4.1
IL METODO DEL COSTO .................................................................. 24
4.1.1
IL COSTO STORICO AGGIORNATO ........................................ 25
4.1.2
COSTO DI RIMPIAZZO ............................................................... 28
4.2
IL METODO DEL REDDITO.............................................................. 29
4.2.1
IL METODO DEL PREMIUM PRICE ......................................... 29
4.2.2
IL METODO DEL COSTO DELLA PERDITA ........................... 31
4.3
IL METODO DEL MERCATO............................................................ 32
4.3.1
IL METODO DEL TASSO DI ROYALTIES ............................... 32
4.3.2
IL METODO DELLE TRANSAZIONI COMPARABILI............ 33
4.4
METODO BASATO SUGLI INDICATORI EMPIRICI ..................... 34
3
4.4.1
5
METODO DELL'INTERBRAND ................................................. 34
IL CO-BRANDING ..................................................................................... 36
5.1
BENEFICI DEL CO-BRANDING ....................................................... 38
5.2
RISCHI DEL CO-BRANDING ............................................................ 39
5.3
LE SCELTE STRATEGICHE DI CO-BRANDING............................ 39
5.3.1
VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEL CO-BRANDING ........ 40
CONCLUSIONI.................................................................................................. 42
BIBLIOGRAFIA................................................................................................. 42
4
INTRODUZIONE
Ogni azienda presente nel mercato si identifica con un binomio "PRODOTTO-MARCHIO"
che la rappresenta e identifica agli occhi del consumatore.
Nella realtà economica odierna il marchio gioca un ruolo fondamentale nella creazione di
riconoscimento del prodotto offerto e quindi creazione della fedeltà con i propri clienti, che è
la base per un successo duraturo e solido dell'organizzazione.
Creare una buona Brand Identity è diventata la priorità di ogni azienda. Esempi concreti sono
dati da aziende come Apple e Google che devono la maggior parte della loro importanza alla
solidità del loro brand.
Il loro valore, come quello di altri importanti marchi, è data dai rischi, potenzialità e forza che
ciascun brand ha rispetto ad altri del settore, ma soprattutto dalla fiducia e dal desiderio che
spinge il consumatore a effettuare l'acquisto.
La conseguenza diretta è data dall'associazione che si crea tra marchio e identità aziendale,
che si basa sulla condivisione e trasmissione dei valori ai propri consumatori.
Attraverso l'individuazione e quindi condivisione dei valori diventa facile anche per i clienti
capire lo spirito che coinvolge ciascuna azienda.
Un esempio emblematico della condivisione dei valori del brand e del prodotto offerto è la
festa di Nutella che si è tenuta ad Alba e a Napoli a Maggio dell'anno odierno. E' un evento
concreto dell'importanza che si attribuisce al marchio e soprattutto ai suoi valori con lo scopo
di creare una solidità nell'identità aziendale cercando di aumentarne sempre più il valore.
E' facile quindi capire quale sia l'enorme importanza del marchio e del suo valore, nonostante
esso sia un bene immateriale. Esso rappresenta uno strumento per ciascuna azienda, che deve
essere ben curato e sfruttato per creare una solidità aziendale nel presente ma soprattutto nel
futuro.
La presente relazione ha lo scopo di presentare il marchio, illustrando l'importanza che ricopre
nel mercato. Viene illustrata l'importanza del valore del marchio attraverso un analisi
dell'evoluzione del marchio, individuando successivamente la sua presenza nel bilancio
aziendale e dimostrando i metodi più noti per valorizzarlo.
Quindi viene analizzata la
funzione e lo scopo del marchio. Nella parte successiva viene presentato il co-branding: si
tratta di una pratica commerciale molto utilizzata negli ultimi anni e consiste nell'unione
temporanea di due differenti brand che si identifica con uno specifico prodotto.
Lo scopo principale dell'elaborato è quindi rappresentato dalla volontà di voler dimostrare
l'importanza ricoperta dal marchio per ogni azienda, dimostrando le sue principali
caratteristiche, funzioni e metodi di contabilizzazione e valorizzazione perché attraverso una
5
consapevole gestione del marchio si possono creare opportunità di business e quindi arricchire
il valore aziendale.
6
1.
DEFINIZIONE E STORIA DEL MARCHIO
Le aziende, all'interno del loro patrimonio, detengono risorse materiali e immateriali.
La prima tipologia di risorsa si riferisce a beni realmente tangibili mentre la seconda a risorse
intangibili.
All'interno di quest'ultima categoria possiamo individuare il marchio che rappresenta un
elemento chiave a disposizione dell'azienda che lo possiede.
Il marchio è un segno grafico di proprietà esclusiva. Può contraddistinguere una società, un
prodotto, una linea di prodotti, un servizio. Il marchio, abbinato al logotipo, rappresenta
l'identità e la forza dell'organizzazione rispetto ai concorrenti.
Può consistere ad esempio in un simbolo, un disegno, una parola, una frase o qualsiasi altro
elemento che sia in grado di contraddistinguere e rendere riconoscibili determinati beni (si
parla in questo caso di marchio commerciale) o determinati fornitori di servizi (nel caso del
marchio di servizio).
Una sua buona gestione ha il potere di manifestare al mercato l'essenza e il potenziale
dell'impresa, del prodotto o del servizio offerto ai consumatori.
E' stato evidenziato (Brondoni S., 2000) come nelle economie moderne le imprese operino in
mercati globalizzati caratterizzati da una forte intensità di concorrenza e un'elevata
saturazione dell'offerta, quindi diventa fondamentale sostenere una buona politica di gestione
del brand per affermare e aumentare il suo valore rispetto alla concorrenza.
Il successo delle strategie aziendali è condizionato dalle risorse immateriali d'impresa e in
particolar modo dalla capacità di poter e saper sfruttare tutte le potenzialità del brand.
Il valore del marchio (Brand Equity) rappresenta un fattore critico nella relazione impresadomanda-concorrenza; si fonda
sulla conoscenza di una determinata marca (Brand
Perception) da parte di un dato mercato ovvero il riconoscimento della marca da parte dei
consumatori e la relativa posizione in termini di qualità e prezzo rispetto ai concorrenti.
La percezione della marca è soggettiva per ogni consumatore ed è influenzabile da politiche
di marketing che riescono, con la loro azione, a interagire con il cliente e condizionare il suo
acquisto.
Analizzando l'evoluzione del marchio si può capire la storia del suo prodotto sia sotto il
profilo della crescita che sotto l'evoluzione della domanda, poiché il binomio prodottomarchio, che lega questi due fattori, non possono essere studiati distintamente.
7
Esaminando, per esempio il logo Ferrari, è usuale collegare la storia del marchio e con le
relative macchine che lo hanno portato alla notorietà di cui gode nel presente. Non si potrebbe
valutare una macchina Ferrari senza marchio come non si potrebbe valutare una macchina con
logo Ferrari ma avente componenti che non fanno parte della casa costruttrice.
Dal punto di vista economico, il brand riassume in modo sintetico tutte le risorse destinate
dall'impresa ai processi di competizione ed in particolare gli investimenti dedicati allo
sviluppo della conoscenza della relazione con il mercato.
1.1
LE PRIME PRESENZE DEL MARCHIO
L'origine storica ed etimologica della parola marchio è collegata alla figura del marchio
impresso a fuoco nel relativo prodotto, per contraddistinguere la provenienza, l'appartenenza e
la qualità del bene (Monachesi, 1994). Ne può derivare un connotato positivo o negativo, e
perciò in qualsiasi ambito esso sia presente, crea o distrugge valore.
Le prime presenze del marchio sono collegabili al periodo del Medioevo attraverso le figure
di croci, animali e piante esistenti realmente o non.
Questi impieghi del marchio non sono collegabili a particolari funzioni commerciali, poiché
gli scambi economici erano perlopiù circoscritti al territorio locale, quindi non c'era una
particolare funzione distintiva attribuita al marchio.
Con l'età dei Comuni (X-XI secolo), l’uso del marchio è associato a obiettivi simili a quelli
attribuiti nell'epoca attuale. Questo avvenne grazie alla ripresa delle relazioni commerciali e
alla formazione di città e piccoli centri urbani, che permisero lo sviluppo della concorrenza e
quindi l'attribuzione della funzione distintiva al marchio.
Grazie alla presenza degli Statuti delle Corporazioni, si sono affermati tre tipologie di
marchi,.
La prima forma di marchio diffusasi è stata quella del MARCHIO COLLETTIVO e
OBBLIGATORIO che era uguale per tutti gli appartenenti a ciascuna arte e corporazione.
Veniva apposto direttamente dai funzionari dell'arte di appartenenza, che definivano e
controllavano le regole di produzione, con l'obiettivo di garantire la reputazione della
corporazione di appartenenza e nello stesso tempo garantire uno standard di qualità. Ogni
prodotto risultava come una copia corrispondente alle qualità del modello ideale, e permetteva
8
di distinguere le unità prodotte secondo gli standard da prodotti senza marchio obbligatorio,
indipendentemente dalla personalità del produttore.
Questo primo tipo di marchio permetteva quindi, di individuare solo una 'tipologia' di
prodotto per genere, consentendo solamente l'individuazione della marca ma non la sua
identificazione nel definire il produttore o diversi livelli di qualità.
Inoltre si poteva definire la diretta garanzia di uno standard di qualità del prodotto offerto,
perché doveva rispondere a determinate regole della categoria di produzione, per avere
l'apposizione del marchio stesso.
La seconda tipologia di marchio diffusasi storicamente è stata quella del MARCHIO
INDIVIDUALE E OBBLIGATORIO (univoco per ogni bottega). Sulla base delle indicazioni
ricevute dalla corporazione, ciascun artigiano apponeva un proprio marchio nel prodotto per
permettere l'individuazione univoca del produttore.
Con questa tipologia di marchio si crea una garanzia indiretta e assoluta dell'identità del
produttore, creando una sub-categoria del genere che permette di riconoscere l'artigiano
quindi il relativo livello di qualità (che deve comunque essere garantito da un minimo livello
di professionalità nella tecnica di produzione).
In questo caso la garanzia di qualità è presente ma indiretta (collegata con l'identità del
produttore).
L'ultima tipologia di marchio è il MARCHIO INDIVIDUALE E FACOLTATIVO.
Viene utilizzato dall'artigiano senza nessun vincolo da parte della corporazione, attraverso il
quale è possibile il riconoscimento al pubblico del prodotto.
E' con questa tipologia di marchio che inizia la concorrenza tra i commercianti.
Quest'ultima tipologia di marchio si differenzia dalle precedenti perché si distacca dalla
funzione di riconoscimento del prodotto attraverso il rispetto obbligatorio di determinati
standard di qualità e regole, presentandosi 'solamente' come un criterio per definire la
provenienza del prodotto.
Con la mancanza di criteri obbligatori nella produzione, viene meno la possibilità di
valutazione della qualità, quindi il cliente non è più in grado di definire in modo diretto il
livello qualitativo della produzione.
Di conseguenza, il marchio facoltativo diviene l'unico metodo per riconoscere il produttore e
il relativo prodotto.
9
Sulla base delle preferenze del cliente si creano molti standard di qualità soggettivi e viene a
mancare lo standard 'oggettivo' (presente, invece, per le due precedenti modalità di marchio
attraverso la definizione di regole fisse di produzione).
La mancanza dell'appartenenza ad una corporazione, con le relative regole di produzione,
fanno venir meno la differenza che poteva esistere tra un prodotto 'veritiero' (perché prodotto
secondo determinati criteri) e prodotti 'falsi'.
I fattori che hanno caratterizzato l'evoluzione del marchio nelle 3 precedenti fasi sono :
FATTORI ECONOMICI: l'espansione della produzione e del commercio (creando
uno sviluppo del marchio dalla prima tipologia alla seconda)
FATTORI SCIENTIFICI: con l'evoluzione della tecnologia (dalla seconda tipologia di
marchio alla terza);
FATTORI POLITICI: libertà economica, che è stato l'elemento di base che ha reso
possibile arrivare alla terza tipologia di marchio, permettendo la libertà sia al
consumatore,
nella scelta del
prodotto,
e
al
produttore
nelle
scelte di
trasformazione/commercializzazione.
1.2
MARCHIO NEL '900
Lo sviluppo dei traffici commerciali nel 900, attribuisce al marchio una diversa funzione: non
più un simbolo collegato alla fabbrica di produzione, ma un segno distintivo/denominativo
emblematico del prodotto che punta soprattutto a ricondurre il marchio ad un certo simbolo e
quindi ad un certo output (Cionti, 2004).
Lo sviluppo del marchio è legato sia a fattori economici, quali la libertà economica, sia a
fattori tecnologici.
Quest'ultimi sono collegati alla 'seconda' rivoluzione industriale sviluppatasi alla fine del '800,
che ha permesso una trasformazione vera e propria della produzione, permettendo il passaggio
dall'artigianato alla produzione in serie.
Cambiando la modalità di produzione, cambia anche il ruolo del marchio: mentre con
l'artigianato il marchio indicava la qualità e la provenienza del prodotto, con la produzione in
serie non si è più legati al luogo di produzione, ma solamente alla nuova tecnica di
industrializzazione.
La conseguenza più evidente è data dallo svincolo del marchio dall'impresa produttrice. Non
si è più collegati ad un luogo di provenienza della produzione: un impianto di produzione in
10
serie è trasferibile da un paese all'altro senza modifiche nel risultato dell’output e inoltre la
produzione in serie non richiede artigiani specializzati, ma è caratterizzata dalla presenza
dell'imprenditore che organizza uomini e mezzi.
11
2
LA FUNZIONE DEL MARCHIO
Attualmente il marchio ricopre una funzione fondamentale nella politica di gestione delle
aziende: rappresenta una fonte di differenziazione rispetto ai concorrenti e come tale richiede
un costante investimento in termini di creatività, risorse di marketing e innovazione.
La funzione base del marchio è data dalla capacità di contraddistinguere un prodotto
mutevole, cioè identificare un prodotto rispetto a quelli concorrenti.
Nella sua applicazione concreta, la funzione del marchio può essere distinta tra funzione
propria e funzione impropria.
La funzione propria (anche detta primaria/originaria) è data della DISTINZIONE del
PRODOTTO, e in quanto tale è tutelata per legge.
La funzione impropria è caratterizzata da una diversa destinazione del prodotto o da una
diversa funzione attribuita da soggetti terzi. Nasce come conseguenza della funzione propria
quindi la si può definire un derivato e cioè dipendente dalla funzione propria.
2.1
FUNZIONE PRIMARIA (PROPRIA): LA DISTINZIONE
La distinzione è una delle funzioni fondamentali del marchio; indica e definisce il genere del
prodotto, con l'esigenza di collegare orizzontalmente nello spazio e verticalmente nel tempo
più acquisti possibili del medesimo prodotto.
Si sviluppa con l'indicazione del prodotto attraverso:
l'individuazione, con la quale si definiscono gli elementi facenti parte di una stessa
classe di prodotto;
l'identificazione, con la quale si attribuisce un nome al prodotto (la specifica marca)
permettendo al cliente di poter riconoscere il prodotto specifico.
Con l'indicazione è possibile riconoscere un prodotto con marchio rispetto ad un prodotto
privo, anche se appartenente allo stesso genere di output (F. Cionti, 2004). Quest'ultima
operazione rappresenta la funzione DISTINTIVA del marchio.
La presenza del marchio crea quindi un duplice risultato: l'identità del prodotto, definendo le
caratteristiche base che caratterizzano un determinato output, e nello stesso tempo
dimostrando le particolarità (funzionali o non) che agli occhi del cliente si presentano come
elementi di differenziazione.
12
Il marchio è divenuto segno di una volontà esplicita di distinzione del prodotto, al di là di
quello che può essere il suo livello di qualità. Distinzione che si presenta come
differenziazione da prodotti che hanno caratteristiche e funzionalità di base equivalenti ovvero
appartenenti allo stesso genere di output proposto.
Per esempio confrontando due penne, una Montblanc e una Bic, apparentemente svolgono la
stessa funzione base: quella della scrittura. In realtà Montblanc con il suo marchio si
differenzia da Bic per la notorietà della qualità del prodotto che presenta.
La scelta accurata di penne Montblanc non è frutto della produzione in serie di penne a sfera,
ma della cura nella produzione artigianale di oggetti che vengono considerati veri gioielli e
che grazie alla notorietà del brand si posizionano in un segmento di mercato completamente
agli antipodi rispetto a Bic.
Con la vendita di ogni singolo prodotto non si vende solo il prodotto in quanto tale, ma ad
esso è annessa la vendita del relativo marchio e delle promesse e le aspettative che
accompagnano l'output.
Solo successivamente, attraverso l'uso, il cliente sarà in grado di valutare la performance del
consumo e di poter capire se le promesse fatte son state rispettate.
Sarà proprio attraverso la funzione propria del marchio che si collegherà un determinato
prodotto con il giudizio del cliente stesso. Giudizio che potrà essere positivo o negativo.
Un giudizio favorevole del cliente, creerà soddisfazione nell'utilizzo e nello stesso tempo il
cliente sarà propenso ad effettuare ulteriori acquisti nel tempo. Si definiscono in questo modo
delle vere e proprie relazioni di medio - lungo termine con il cliente e sono quest'ultime che
rappresentano la base per la solidità di un marchio.
Al contrario, eventuali giudizi negativi sfavoriscono acquisti futuri e quindi la nascita di un
rapporto parallelo tra cliente e prodotto.
Quindi si può affermare che il marchio, attraverso la funzione propria, definisce il prodotto e
non l'azienda ad essa collegata; se da un lato definisce il genere di appartenenza del prodotto,
nello stesso tempo è in grado di differenziarsi da output dello stesso genere attraverso
elementi funzionali o meno. Non è garanzia diretta del prodotto ma indiretta di fungibilità
relativa.
13
2.2
CONSEGUENZE DELLA FUNZIONE PROPRIA
Le funzioni improprie del marchio possono essere innumerevoli e consistono in tutti quegli
utilizzi che non rientrano nella funzione propria.
Tra questi possiamo trovare la funzione di denominazione che definisce alcune funzioni
improprie quali la funzione di vigilanza, del marchio collettivo di spionaggio, di proprietà, di
qualità,... ecc ecc.
Queste sono improprie perché realmente sono funzioni attive e quindi primarie di altri
obiettivi, ovvero estranee al marchio e al suo scopo distintivo.
Per esempio la funzione di vigilanza è derivata all'esistenza del marchio: non è direttamente
collegata alla funzione primaria ma esiste perché c'è la presenza del marchio che necessita
tutela.
Un'altra funzione estranea è l'utilizzo del nome commerciale, che è uno dei casi più frequenti
di errato utilizzo del marchio.
In tal caso il commerciante cerca di crearsi 'credito' presso la clientela attraverso i prodotti che
presenta al pubblico, con lo scopo di accrescere il proprio nome grazie alle caratteristiche
positive del prodotto. Questa fattispecie molto diffusa non è illegale, ma attribuisce al marchio
due funzioni, quella propria del brand e parallelamente quella del nome commerciale pur
avendo obiettivi completamente diversi.
2.3
TUTELA LEGALE DELLA FUNZIONE DISTINTIVA DEL
MARCHIO
Il marchio è un bene intangibile che ogni azienda possiede. Vista la funzione e l'importanza
che ricopre è utile proteggere il suo utilizzo o abuso da soggetti terzi. La protezione di un
marchio può essere ottenuta anche solo attraverso l’uso. Tuttavia, è consigliabile registrare il
marchio presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) in quanto, così facendo, si ottiene
una maggiore protezione, soprattutto in caso di contestazioni o conflitti con altri soggetti.
Per poter effettuare la registrazione, il marchio deve essere conforme alle prescrizioni di
legge, verificare che esso non comunichi connotazioni negative in Italia e in paesi esteri
(soprattutto se nasce con lo scopo che include l'esportazione), verificare che il dominio sia
ancora libero e verificare una ricerca di anteriorità.
Un marchio registrato attribuisce diritti esclusivi che consentono di impedire l’uso non
autorizzato, da parte di altre imprese, dello stesso marchio o di un marchio simile.
14
Tuttavia quando il marchio è celebre o goda di rinomanza, la possibilità di vietare ai terzi
l’uso di un marchio simile o identico si estende anche ai prodotti non affini, per evitare un
abuso di operazioni di brand extension da parte di soggetti terzi non autorizzati.
Lo scopo della protezione del marchio è rappresentata dall'importanza di tutelare gli
investimenti che hanno permesso lo stato attuale di ciascun marchio.
Il diritto di uso esclusivo derivante dalla registrazione dura 10 anni dalla data di deposito della
relativa domanda ed è rinnovabile per la stessa durata alla scadenza per un numero illimitato
di volte.
Eventuali dimostrazioni di abuso del proprio marchio da parte di terzi soggetti spetta al
titolare del brand, che dovrà dimostrare l'abuso dell'uso del marchio con relative prove.
La prima forma di tutela è il ricorso alla procedura di opposizione nei confronti della
registrazione di un marchio identico o simile.
Altre soluzioni sono rappresentate dall’invio di una lettera di diffida al presunto contraffattore
o all’avvio di un’azione legale. Quest’ultimo approccio comporta però tempi molto lunghi:
spesso occorre aspettare tre/quattro anni prima di ottenere una decisione di primo grado. E’ la
ragione per la quale tentare di risolvere extra giudizialmente il conflitto è spesso consigliabile.
I procedimenti extragiudiziali di soluzione delle controversie sono essenzialmente l’arbitrato
o la mediazione.
L’arbitrato consiste in una procedura meno formale e più rapida di quella giudiziaria. Inoltre,
una decisione arbitrale è più facile da far eseguire sul piano internazionale.
Nella mediazione le parti possono mantenere il controllo del procedimento di risoluzione
della controversia, cosa che può essere utile a mantenere buoni rapporti con un’impresa che
potrebbe diventare, nel futuro, un partner commerciale.
15
3.
VALUTAZIONE DEL MARCHIO NEL BILANCIO
Il marchio è un bene aziendale e in quanto tale è presente nel bilancio d'esercizio.
A livello contabile i marchi sono classificati come un asset intangibile. Molte volte i brand
sono incorporati nell'avviamento aziendale e non esplicitamente presentati con il proprio
valore.
Il codice civile definisce le linee guida della contabilizzazione nazionale. Negli ultimi anni è
stato oggetto di molte revisioni, sopratutto in seguito a disposizioni comunitarie, con lo scopo
di creare omogeneità nella redazione dei bilanci aziendali. Questo avviene attraverso
l'implementazione dei principi contabili internazionali (IAS), più specificatamente in materia
di marchi, attraverso lo IAS 38.
Lo scopo di quest'ultimo è quella di cercare di rendere autonomo il valore e le materie di
contabilizzazione del marchio dai restanti asset intangibili (a differenza di quanto avviene
secondo i principi nazionali, che non prevedono ancora una considerazione autonoma).
3.1
PRINCIPI NAZIONALI DI CONTABILIZZAZIONE DEL MARCHIO
I principi di contabilizzazione nazionale si basano sulle norme definite dal codice civile.
Questo definisce le indicazioni di massima riguardo la denominazione e la collocazione delle
voci di bilancio in cui devono essere registrati i beni immateriali e le rilevazioni che li
caratterizzano.
L'interpretazione dei principi nazionali è poi affidata ai principi contabili che ne definiscono
la reale applicazione.
Nel documento di bilancio, secondo l'art. 2424, i marchi si trovano nella classe I del
raggruppamento
'B:
immobilizzazioni
dell'attivo
dello
Stato
Patrimoniale',
più
specificatamente alla voce '4: concessioni, licenze, marchi e diritti simili' (Cerbioni et al.,
2006).
Come definito dall'articolo 2426, sia le immobilizzazioni materiali che immateriali devono
essere iscritte al valore d'acquisto, con relativa decurtazione della quota annua di
ammortamento (se si analizza un bene con 'durata definibile a priori') e relativa diminuzione
del valore qualora si verifichi una svalutazione.
16
Il costo d'acquisto comprende tutti gli oneri che l'azienda deve sostenere per rendere
l'immobilizzazione funzionante, al netto dell'iva, di abbuoni e sconti.
Nel caso in cui il marchio venga costituito internamente, si parla di costruzione in economia e
il suo costo è basato sul costo di produzione. Deve comprendere tutti i costi direttamente
imputabili al prodotto e può comprendere anche altri costi relativi al periodo durante il quale
avviene la fabbricazione, per la quota che ragionevolmente è imputabile alla creazione del
marchio.
Inoltre, se per lo sviluppo interno del marchio, è stata necessaria la richiesta di un
finanziamento esterno, gli oneri sostenuti possono essere inclusi come costo di produzione.
Quindi attraverso l'operazione di capitalizzazione, i costi non sono considerati di competenza
dell'anno nella quale sono sorti ma incrementano e costituiscono il valore del marchio.
Vengono stornati dai costi d'esercizio e imputati alla voce del marchio nella sezione attivo del
prospetto della situazione patrimoniale.
I costi sostenuti in seguito alla prima iscrizione, riguardanti le immobilizzazioni, possono
essere ricondotti a due tipologie:
- costi di manutenzione
- costi di ampliamento
La prima tipologia di costi riguardano quegli oneri sostenuti dall'azienda per mantenere
l'immobilizzazione con il medesimo valore. Sono le cosi dette operazioni di manutenzione
ordinaria. Questi costi non possono essere capitalizzati e quindi sono considerati come costi di
competenza dell'esercizio nella quale sorgono.
Le manutenzioni straordinarie, sono invece, riconducibili alla seconda tipologia di costi:
riguardano l'investimento nell'immobilizzazione, ne accrescono il valore e le potenzialità, ed è
proprio per questo motivo che questi oneri possono essere capitalizzati aumentando il valore
dell'immobilizzazione.
3.2
PRINCIPI INTERNAZIONALI DI CONTABILIZZAZIONE DEL
MARCHIO
Parbonetti (2013) conferma che secondo i principi internazionali, l'iscrizione in bilancio del
marchio avviene secondo la regola descritta dallo IAS 38.
Il principio definisce le linee guida della determinazione del valore delle immobilizzazioni
immateriale e tra queste è incluso il marchio.
17
Vengono stabiliti quelli che sono tre punti fondamentali per definire e quindi contabilizzare
un immobilizzazione immateriale:
Identificabilità dell'attività
Controllabilità
Esistenza di benefici futuri
L'identificabilità del marchio è collegata con la caratteristica di separabilità, quindi con la
trasferibilità dello stesso, attraverso la vendita o la licenza.
Nello stesso tempo comporta la definizione dell'esistenza dei benefici economici futuri e della
loro controllabilità in modo esclusivo da parte dell'azienda che lo detiene.
Qualora non venissero rispecchiate queste tre richieste, i costi sostenuti e collegati con lo
sviluppo di un marchio non potrebbero essere capitalizzati alla voce del marchio ma
dovrebbero essere imputati a costo d'esercizio.
3.2.1 PRIMA ISCRIZIONE DEL MARCHIO
Lo IAS 38 definisce i principi guida per la contabilizzazione del marchio nell'ambito della
transazione di mercato, nella generazione interna del marchio e nell'acquisizione nell'ambito
di un aggregato aziendale.
Al momento dell'acquisizione, il marchio viene contabilizzato al prezzo d'acquisto (coincide
con il fair value). L'importo potrà essere incrementato da oneri accessori che riguardano la sua
acquisizione e i relativi costi per rendere operativo l'utilizzo del marchio.
Tra questi costi possiamo trovare i dazi di importazione e le imposte non recuperabili al netto
di sconti o abbuoni.
Con la Business Combination se il marchio è compreso nella voce dell'avviamento, la società
acquirente potrà scorporare da questo valore il valore del marchio, creando in bilancio la voce
del marchio con il relativo valore. Presupposto fondamentale per compiere quest'operazione è
dato dal soddisfare i tre precedenti criteri definiti dallo IAS 38.
In questo caso la voce del marchio potrà non essere presente nel bilancio della società
acquisita (o nel ramo d'azienda ceduta) perché secondo i principi internazionali non possono
essere contabilizzati come voce individuale e indipendente quelle tipologie di marchi nati e
sviluppati internamente.
18
Nonostante la distinzione nella tipologia d'acquisto, sia esso individuale o con aggregato
aziendale, lo stesso IAS 38 definisce una gerarchia di criteri per valutare le immobilizzazioni
immateriali.
La prima modalità utilizzata per definire il valore dell'immobilizzazione è quell'ammontare
che si può ricavare dall'esistenza di un mercato attivo del bene.
Per quanto riguarda l'ambito dei brand è difficilmente individuabile un mercato attivo del
marchio perché la transazione del marchio è un operazione non consueta, e nello stesso tempo
ogni marchio è un immobilizzazione unica, con un proprio valore e con una propria storia.
Con il successivo criterio, il valore del marchio viene determinato sulla base di transazioni
simili.
In questo caso l'importo del marchio è calcolato facendo riferimento ad una transazione di
mercato simile ovvero alla vendita di un brand tra due parti, le quali dispongono di
informazioni circa l'ambito, potenzialità e caratteristiche del brand e del relativo mercato.
L'ultimo metodo prevede una stima indiretta del fair value attraverso l'applicazione del
metodo dei multipli che prevede metodi come il flusso dei royalty o l'applicazione delle
transazioni comparabili.
Quest'ultimi sono i criteri più utilizzati nell'ambito delle transazioni dei marchi (vedi
paragrafo 5.3).
3.2.2 IL TRATTAMENTO CONTABILE SUCCESSIVO ALLA PRIMA
ISCRIZIONE
Successivamente alla prima iscrizione, il management decide quello che sarà il modello di
valutazione da utilizzare per determinare il valore del marchio e la relativa durata del bene
(vita definita o non definita).
Modello di Valutazione
Il modello di valutazione del marchio prevede la scelta tra due possibili alternative: il modello
del costo o il modello della rideterminazione del valore.
Il modello del costo prevede l’iscrizione al valore d’acquisto al netto di ammortamenti e
perdite di valore.
Il modello della rideterminazione del valore prevede la possibilità di determinare il valore del
brand attraverso il fair value, ottenendo un valore approssimativo a quello che l’asset può
generare.
19
Con questa scelta, lo IAS 38 pone il vincolo di utilizzare lo stesso metodo per tutti i beni della
stessa categoria e richiede un applicazione periodica dello stesso (non necessariamente una
scadenza annuale). Inoltre, il suo utilizzo prescinde dall’esistenza di un mercato attivo. Questo
rappresenta un limite per l’ambito del marchio perché l’esistenza di un mercato attivo per
questa tipologia di asset è fortemente limitato.
Durata del bene
Il secondo step è rappresentato dalla determinazione della vita dell’asset.
E’ di notevole importanza definire la categoria, quindi se il bene ha vita utile definita o non
definita.
I beni con vita utile definita, sono caratterizzati dalla conoscenza a priori dell'arco temporale
nella quale contribuiranno alla crescita del valore aziendale. In questo caso i beni devono
essere ammortizzati annualmente (ammortamento crescente, decrescente o costante).
I beni a vita utile non definita sono quelle tipologie di immobilizzazioni per le quali non è
possibile definire a priori il periodo temporale della loro esistenza (non implica una vita
infinita).
Questa categoria di immobilizzazioni non è soggetta ad ammortamento ma viene valutata
annualmente.
I marchi ricadono nelle immobilizzazioni a vita utile non definita.
Infatti, al momento dell’acquisto/creazione del brand, non è facile individuare la durata dello
stesso, anzi l’azienda che lo possiede si augura che possa durare e creare valore per il maggior
tempo possibile e quindi nel tempo possa addirittura aumentare il suo valore.
3.2.3 L'IMPAIRMENT TEST
L'introduzione
dei
criteri
di
contabilizzazione
internazionale
prevede
il
metodo
dell'impairment test. E' un metodo di valorizzazione dei beni e ne è soggetta ogni
immobilizzazione immateriale a vita indefinita e le immobilizzazioni a vita definita qualora ce
ne sia la necessità.
Lo scopo è la rilevazione di un'eventuale perdita di valore nell'immobilizzazione in analisi,
per motivi che possono essere controllabili o non. Per esempio un superamento tecnologico
del bene può portare alla diminuzione del valore del brand, e quindi è necessario rilevare
questo minor valore attraverso il metodo dell'impairment test.
Viene applicato confrontando il valore contabile con il valore recuperabile.
20
Quest'ultimo è determinato come maggior valore tra fair value e value in use. Il fair value è il
valore recuperabile con la vendita dell'asset, mentre il value in use è il valore che deriva
dall'utilizzo.
Se il valore contabile è minore del valore recuperabile, l'iscrizione a bilancio dimostra un
valore non veritiero e sarà necessario effettuare una rettifica di valore.
E' utile ricordare che questa tipologia di operazione è presente anche nella legislazione
italiana (art. 2426 del c.c.); quest'ultimo, però, non definisce le modalità mediante le quali
avviene la svalutazione ma definisce solo il principio.
A livello pratico, l'impairment test per il marchio, viene calcolato in modo diretto
determinando i flussi di cassa netti che questo è in grado di generare.
E' facilmente applicabile perché il brand si presenta come un entità immateriale in grado di
generare flussi autonomi (diverso è il caso di immobilizzazioni non autonome: il calcolo
dell'impairment test avverrebbe in modo indiretto con la determinazione delle Unità
Generatrici di Flussi Finanziari = CGU).
21
4.
LA VALUTAZIONE DEL MARCHIO
Determinare il valore del/i marchio/i che un azienda detiene nel proprio portafoglio, è
fondamentale per capire lo "stato di salute" dei beni e cercare di capire se è possibile
aumentarne il valore mediante nuovi prodotti o nuove attività di marketing.
La valutazione può avvenire con diversi criteri. La scelta del metodo più adatto deve essere
effettuata sulla base delle variabili che meglio esprimono il valore del marchio, considerando
le informazioni che detiene l'azienda e le informazioni che si possono acquisire dal mercato.
Secondo la teoria RBM (Resource Based Management) si crea un collegamento tra il brand e
il relativo valore, permettendo all'impresa di creare e riprodurre risorse di conoscenza e di
fiducia. Le risorse di conoscenza si riferiscono all'insieme di informazioni e al know-how che
permette il funzionamento del sistema aziendale. Ne sono un esempio tutti i fatti aziendali
quotidiani, dalle vendite ai clienti, alla conoscenza del mercato nella quale si opera e quindi le
informazioni dei concorrenti. Le risorse di fiducia sono riconducibili alle aspettative che
l'azienda riesce a creare nei confronti dei propri stakeholders, che si basano a loro volta sulle
sensazioni generate dalle precedenti esperienze di acquisto. Rappresenta la condizione
necessaria alla base per creare rapporti duraturi con i clienti.
Insieme, fiducia e conoscenza, si alimentano reciprocamente creando un processo di
creazione, accumulo, riproduzione e incremento di informazioni (Kotler, 2013).
Il ruolo del brand nella creazione del valore aziendale è d’importanza cruciale. Una sua buona
gestione ha il potere di manifestare al mercato l'essenza e il potenziale dell'impresa, del
prodotto o del servizio, e di attrarre, mantenere ed aumentare flussi di cassa in entrata che con
il tempo si trasformano in maggior valore del brand e del prodotto/servizio che rappresenta.
Secondo le stime di ICM Advisor (società internazionale indipendente di ricerca economicofinanziaria specializzata nella valutazione dei beni immateriali), i beni immateriali
rappresentano circa il 50% dei principali prodotti Made in Italy. Il marchio ricopre un ruolo
fondamentale per ogni azienda, definendo nel tempo il successo e la sostenibilità dell'offerta.
Nel bene del marchio si racchiude circa il 70% del valore dei beni intangibili (Lev, 2000).
Ne sono un esempio i seguenti marchi riportati in Tabella 01.
22
TABELLA 01 - Fonte: ICM Advisor, 2007
La valutazione del marchio può essere applicata con diverse modalità, e si diversifica sulla
base del soggetto alla quale è destinata la conoscenza del valore e sulla base della
motivazione.
La motivazione è riconducibile a tre fattispecie: le operazioni straordinarie con carattere di
negoziazione, le valutazioni imposte per legge (impairment test) e come strumento di
management (permette di prendere decisioni strategiche).
Tra le operazioni straordinarie troviamo la cessione (la vendita del marchio singolarmente,
contro un corrispettivo in denaro), il conferimento (da parte di un socio, come apporto iniziale
o successivo per effetto di un aumento del capitale sociale), l'affitto (quando si permette ad un
altra azienda l'utilizzo del proprio marchio), la fusione e la liquidazione.
Le valutazioni imposte per legge, come l'impairment test, stanno ponendo sempre più
l'accento sull'importanza dei marchi e della loro valutazione, per una rappresentazione in
bilancio il più possibile veritiera. La valutazione viene effettuata tenendo conto della
23
segmentazione del marchio, delle analisi qualitative/quantitative degli investimenti di
marketing, e delle previsioni di breve/lungo periodo.
La motivazione alla base di una corretta valutazione del marchio, è data dalla necessità di
determinare un corretto valore da attribuire alle risorse intangibili con lo scopo di rendere
sempre minore il divario tra valore patrimoniale e valore di mercato.
Poiché si tratta di stime, queste per definizione non possono essere oggettive.
Per ovviare all'influenza dei criteri soggettivi nella valutazione, si possono adottare alcune
cautele. Per esempio conoscendo le caratteristiche intrinseche della società (storia, prodotti,
fattori critici, rischi, ...) diventa più facile interpretare un corretto valore del marchio, oppure
la conoscenza dei fondamenti della finanza e una loro regolare applicazione agevola nel
definire il quantitativo economico del brand (gestione corretta delle fonti e degli impieghi,
scelta del criterio migliore per la valutazione).
Nelle prassi aziendali vengono utilizzati diversi metodi che riguardano la valutazione del
marchio che differiscono tra loro per la tipologia di approccio.
I criteri di valutazione che verranno analizzati di seguito sono i seguenti:
METODO DEL COSTO
1) costo storico aggiornato
2) costo di rimpiazzo
METODO DEL REDDITO
3) metodo del premium price
4) metodo del costo della perdita
METODO DEL MERCATO
5) metodo dei tassi di royalties
6) metodo delle transazioni comparabili
METODO BASATO SUGLI INDICATORI 7) metodo dell'interbrand
EMPIRICI
4.1
IL METODO DEL COSTO
La valorizzazione del marchio può avvenire con l'utilizzo del metodo del costo che si basa
sulla determinazione della quantità di risorse necessarie per ricreare lo stesso marchio o
simile.
24
Nonostante si faccia riferimento a costi sostenuti nel passato, lo scopo è quello di individuare
i benefici futuri che si possono ottenere con il pieno utilizzo del brand.
Il principio sottostante il modello del costo è dato dall'approccio di sostituzione, ovvero si
individuano le caratteristiche principali del brand e si determinano quali sono i costi che
bisognerebbe sostenere per riprodurlo.
La conoscenza della storia passata del brand è necessaria per capire l'evoluzione suo valore.
Avviene attraverso un’attenta analisi di relazioni causa-effetto degli investimenti. Nonostante
tutto, il valore del marchio non deriva dal passato, ma dai flussi che esso è in grado di
generare per il futuro; la sua storia è condizione necessaria, seppure non sufficiente, per poter
prevedere con un certo grado di sicurezza i flussi futuri.
Il metodo del costo può essere applicato in due modi:
costo storico aggiornato
costo di rimpiazzo
4.1.1 IL COSTO STORICO AGGIORNATO
Il seguente criterio si basa sull'individuazione dei costi sostenuti per la determinazione del
brand, indipendentemente dalla loro capitalizzazione in bilancio. Il primo passaggio è
rappresentato dalla selezione dei costi che hanno permesso la creazione e la realizzazione del
brand. Devono essere inclusi tutti i costi che hanno natura di investimento per il marchio.
L'applicazione di tale metodo fa sorgere una problematica relativa alla gestione dei costi di
marketing.
In finanza, gli investimenti sono esborsi di cassa con il fine di ottenere delle entrate di denaro
superiori in momenti temporali successivi. Sotto il profilo dell'analisi del brand, andrebbero
inseriti solo quei costi che si sostengono una volta soltanto come i costi di lancio e
consolidamento, escludendo dall'analisi i costi di marketing.
Questi ultimi costi, però, sono realmente utili alla determinazione del valore del brand, quindi
si crea un conflitto nell'applicare questo metodo di valorizzazione del marchio.
Problematiche applicative
Secondo Renoldi (1992) una giusta soluzione è data dall'introduzione del concetto di utilità
marginale dei costi di marketing, cioè la loro contabilizzazione come accrescimento del valore
25
del marchio, avviene per un importo pari ai costi che realmente hanno l'effetto di accrescere il
livello di notorietà del brand.
Viene individuato il cosiddetto 'punto H', il quale determina il limite fino al quale conviene
investire. Oltre questo importo, i costi sostenuti non avrebbero nessun riscontro in termini di
entrate di cassa.
I costi che possono essere inclusi nell'operazione di capitalizzazione sono: costi di
promozione, di pubblicità, costi di design, costi di registrazione e tutela, costi legati alla
creazione/sviluppo della rete di vendita, costi di sponsorizzazione e costi di ricerca e sviluppo.
Questi oneri verranno sostenuti in momenti diversi nella vita del brand, ed è proprio per
questo motivo che per rendere omogeneo il loro 'peso', la capitalizzazione del costo viene
effettuata utilizzando gli indici di inflazione.
Fondamentale per una corretta valutazione, è la determinazione della vita economica del bene,
ovvero definire l'arco temporale nella quale il brand sarà capace di creare flussi di cassa. Il
marchio però, rientra in quella tipologia di bene intangibile a vita utile non definita, per il
quale non è possibile definire con oggettività l'ammontare di vita utile.
Per l'applicazione del metodo, la problematica del tempo è risolta con una stima della vita del
marchio.
Formula per definire il valore del marchio secondo il criterio del COSTO STORICO
AGGIORNATO:
Esempio applicativo:
Si vuole analizzare il valore di un marchio nel settore dell'abbigliamento utilizzando il metodo
del costo storico aggiornato (Cannella, 2010).
Il tasso di royalty nel settore in analisi è circa compreso nel range tra il 2-10%, la vita utile
stimata del marchio è pari a 6 anni, il tasso di sconto è del 10% e il fatturato resta stabile nei
6 anni.
Attraverso queste informazioni si può determinare il valore del brand:
26
Fatturato Royalty Valore
Valore attualizzato
2009
150000
7%
10500
913
2010
150000
7%
10500
794
2011
150000
7%
10500
690
2012
150000
7%
10500
600
2013
150000
7%
10500
522
2014
150000
7%
10500
454
TOTALE
3973
27
4.1.2 COSTO DI RIMPIAZZO
Il modello del costo di rimpiazzo si basa sulla stima dell'ammontare di investimento
necessario per disporre di un nuovo brand con le stesse potenzialità di quello in oggetto
all'analisi.
Il metodo tiene conto del reale effetto creato dagli investimenti.
L'applicazione richiede la raccolta di numerose informazioni riguardo le caratteristiche e la
struttura del settore in analisi, considerando inoltre le possibili risposte dei concorrenti alle
azioni attuate dal marchio. E' necessario conoscere i concorrenti, i relativi marchi, come
possono agire e come differenziarsi.
Problematiche applicative
Per utilizzare questo metodo sono richieste le conoscenze dei drivers del valore del brand,
quindi bisogna conoscere l'esatto ammontare degli investimenti in:
DIFFUSIONE: vengono stimati gli investimenti necessari per ottenere la medesima
brand awareness e la medesima presenza sul territorio: quindi stessi investimenti in
pubblicità e investimenti in distribuzione commerciale.
AFFIDABILITA': vengono stimati gli investimenti necessari per ottenere e mantenere
inalterate nel prodotto le caratteristiche di qualità che accompagnano con il marchio.
DIFFERENZIAZIONE: rappresenta la componente primaria della forza di un brand
perché è quell'elemento che stimola il primo acquisto e che permette al consumatore di
apprezzare le caratteristiche del brand e del prodotto anche per i successivi acquisti
generando fedeltà. La differenziazione è legata alle entità di investimenti monetari ma
non solo, ovvero consiste anche nella capacità di sapere come soddisfare i bisogni
consci e inconsci dei consumatori.
Una volta individuati i drivers che definiscono il brand, è possibile scegliere come applicare il
metodo del costo di rimpiazzo con due diverse alternative: il metodo ANALITICO e
SINTETICO.
Il metodo analitico si basa sull'individuazione dei volumi di risorse da impiegare nell'ipotetica
ricostruzione del brand, l'orizzonte temporale di analisi e il tasso di attualizzazione dei flussi.
Il metodo sintetico si basa sulla seguente formula:
WR = MT x C
dove:
28
-
WR indica il valore di rimpiazzo del nuovo brand.
-
MT è il coefficiente tecnico di capitalizzazione e rappresenta un giudizio di sintesi
formulato dal mercato; per il marchio il valore di 'MT' corrisponde al numero di
anni per cui si ritiene necessario moltiplicare il costo annuo al fine di determinare
il costo annuo del marchio.
-
C indica i costi da sostenere su base annua; il suo ammontare è frutto di
considerazioni soggettive dell'analista che effettua la valutazione.
4.2
IL METODO DEL REDDITO
I metodi basati sul reddito si basano sul confronto tra prodotti Branded e Unbranded e che
presentano le stesse caratteristiche del prodotto in analisi. Il valore del marchio è basato
proprio su questa differenza, ovvero è il valore del brand è dato dalla differenza tra il valore
del prodotto branded e valore del prodotto unbranded.
Quando non è possibile confrontare un prodotto brand con uno senza marchio, si fa
riferimento al livello di redditività dell'azienda e al ruolo della marca quando questi erano
ancora limitati. Un'alternativa è data dal confronto del bene con i prodotti dei concorrenti
(anche se non è molto precisa come modalità poiché non si dispone delle caratteristiche di
dettaglio delle aziende usate come confronto).
Il metodo del reddito può essere applicato in due modi:
il metodo del premium price
il metodo del costo della perdita
4.2.1 IL METODO DEL PREMIUM PRICE
L'applicazione del seguente modello prevede l'individuazione dell'orizzonte temporale e la
misura del vantaggio economico che sorge in capo all'azienda derivante dall'utilizzo/vendita
del prodotto con un brand forte.
Il Premium Price (vantaggio economico) è rappresentato dal differenziale che il marchio crea
quando viene associato ad un prodotto, rispetto allo stesso bene unbranded.
I flussi incrementali vengono determinati considerando i ricavi incrementali, i costi
incrementali e le quantità incrementali.
29
Problematiche applicative
Il valore del marchio viene calcolato con l'attualizzazione dei flussi differenziali che
emergono dal confronto di ricavi e costi dell'azienda con il prodotto 'brandizzato' (AZIENDA
A) e quella con prodotto senza marchio (AZIENDA B), utilizzata come termine di confronto
(Gasperini, 2003).
In dettaglio:
1. si determina il PREMIUM PRICE che è la differenza tra i prezzi di vendita unitari tra
l'azienda A e B.
2. si moltiplica il differenziale del prezzo, per le quantità vendute dall'azienda A
ottenendo l'ammontare totale di differenziale dovuto al premium price. A questo primo
totale viene detratto il peso delle imposte ottenendo il ricavo differenziale netto, che
viene successivamente attualizzato.
3. l'analisi dei costi differenziali tra A e B: è una fase difficile di analisi poiché bisogna
capire quali sono le entità di costo e la loro influenza nel differenziale. Sono
riconducibili a diversi fattori quali la diversa qualità, o la differente modalità di
produzione. Questa terza fase è fortemente caratterizzata da soggettività nella stima
dei costi e del loro ammontare, ecco perché può risultare difficile o non rilevante
l'applicazione di questo metodo, se non si definiscono i costi con un criterio di
maggior oggettività possibile.
4. la determinazione del margine netto differenziale può essere calcolato:
come reddito operativo netto (NOPAT), quindi l'attualizzazione del margine
differenziale per il periodo di tempo che si ritiene possa durare il marchio
dove:
n = numero di anni che corrisponde alla stima della vita utile del marchio
Fd = Flusso differenziale relativo al periodo t
K0 = Costo medio ponderato del capitale dell'azienda che possiede il marchio.
come free cash flow operativo. Viene determinato il FCF operativo
necessario per conoscere le eventuali differenze nelle grandezze relative al
30
capitale circolante e agli investimenti. Un differenziale dovuto al capitale
circolante può derivare da una maggiore forza contrattuale verso i clienti e i
fornitori potendo ottenere delle condizioni di incasso e di pagamento più
favorevoli.
La scelta tra le due possibilità è data dalle caratteristiche della situazione oggetto dell'analisi:
se non esiste un differenziale derivante dal capitale circolante netto e dagli investimenti,
conviene applicare la prima soluzione; viceversa, se esiste il differenziale è utile usare il free
cash flow operativo che permette di rispecchiare il peso delle due varianti che influenzano la
determinazione del valore del marchio.
4.2.2 IL METODO DEL COSTO DELLA PERDITA
Questo metodo si differenzia dai precedenti perché per considerare il valore del marchio si
misurano i mancati flussi se l’azienda non possedesse il marchio.
Si applica attraverso un analisi differenziale, attualizzando il risultato rispetto all’arco
temporale durante il quale si presume il marchio sia utilizzabile.
Il ricorso a tale criterio ha lo scopo di essere utilizzato nella fattispecie in cui un'azienda vuole
cedere il proprio marchio o per valutare i danni in seguito a indebite sottrazioni o
contraffazioni del marchio. Il metodo definisce il prezzo minimo al di sotto del quale
l’azienda non avrebbe convenienza a vendere il proprio marchio.
Modalità applicative
L’applicazione del metodo si basa sulla definizione del margine differenziale. Viene
determinato nel seguente modo:
MARGINE DIFFERENZIALE:
+ COSTI INDIRETTI CESSANTI
˗ MINOR MARGINE DI CONTRIBUZIONE DOVUTO AL MARCHIO
˗ INVESTIMENTI NECESSARI PER RICOSTRUIRE LA CAPACITÀ COMPETITIVA
VENUTA MENO CON LA CESSIONE/PERDITA DEL BENE INTANGIBILE
31
4.3
IL METODO DEL MERCATO
Il metodo del mercato richiede la determinazione del valore ottenuto da transazioni e
compravendite di beni simili o assimilabili al bene oggetto di stima. Si basa sul presupposto
dell'esistenza di un mercato dal quale si può ricavare il prezzo di acquisto/vendita di un
marchio paragonabile.
I mercati di riferimento sono caratterizzati da transazioni frequenti e magari continue.
Fondamentalmente i mercati devono essere concorrenziali quindi liberi, omogenei e
trasparenti per rendere pubblici i prezzi negoziati al loro interno.
I marchi di riferimento al confronto devono essere confrontabili sulla base delle caratteristiche
intrinseche.
Il seguente metodo calcola il valore del marchio complessivo attraverso la differenza tra il
valore di mercato dell'azienda e il suo valore contabile (market value - book value).
In questo modo si evidenzia il fatto che nei bilanci aziendali venga rispecchiata solo una
minima parte del valore reale del brand.
Il metodo del mercato può essere applicato con il tasso di royalties e con il metodo delle
transazioni comparabili (Zanda, 1991).
4.3.1 IL METODO DEL TASSO DI ROYALTIES
L'approccio dei royalties valuta il brand sulla base dei diritto esclusivo di utilizzo del marchio
stesso ad un terzo soggetto. In questo caso vengono utilizzati i royalties (R) ottenibili dalla
licenza d'uso del marchio e vengono attualizzati per capire l'ammontare del valore del brand.
Le royalties annue vengono calcolate come:
R=rxS
Dove:
-
S è il fatturato derivante dalla vendita dei prodotti con apposto il marchio;
-
r è il tasso di royalty ovvero il coefficiente moltiplicativo desunto dal mercato.
Quest'ultimo dato può essere individuato secondo due criteri:
Market Royal Rate: la valutazione avviene sulla base di contratti d'uso
stipulati nel medesimo settore e per marchi comparabili. La determinazione si
basa su dati di mercato di contratti di licenza che si riferiscono a stipulazioni
del passato. Vengono creati dei database con i relativi royalties che si
differenziano tra loro in base al settore di riferimento.
32
Royalty Relief Rate: il tasso r è determinato in termini di risparmio prodotto
dal mancato pagamento di una royalty da parte del proprietario del marchio,
che se non lo possedesse si vedrebbe costretto a pagare per utilizzare il
marchio.
Il criterio dei royalties è uno dei più utilizzati per determinare il valore del brand. Un grosso
limite, però, è rappresentato dalla difficoltà di trovare una transazione simile o il più vicina
possibile all'oggetto che si vuole stimare. Inoltre, poiché sono dati che si riferiscono a
contratti realmente avvenuti nel mercato, questi sono caratterizzati dalla soggettività delle
clausole contrattuali del caso in analisi. Quindi il grado di soggettività è relativamente alto
nelle royalties, soprattutto per la determinazione della stima delle vendite future alle quali
applicare il tasso, l'orizzonte temporale e il tasso a cui attualizzare.
Esempio applicativo:
Si consideri un marchio con vita stimata pari a 5 anni.
Vengono stimati i ricavi totali per gli anni in analisi; si determina quindi l'ammontare delle
royalties al netto delle imposte. Si procede quindi con l'attualizzazione e la somma delle
royalties attualizzate ottenendo il valore del marchio.
0
1
2
3
4
5
Ricavi Totali
€ 373.500
€ 388.400
€ 403.978
€ 420.138
€ 436.943
Royalties
€ 18.675
€ 19.422
€ 20.199
€ 21.007
€ 21.847
€ 11.205
€ 11.653
€ 12.119
€ 12.604
€ 13.108
€ 10.004
€
€
€
€
Royalties al netto
delle imposte
(T=40%)
Valore attuale
delle Royalties
Valore
€
MARCHIO
43.369
9.290
8.626
8.010
7.438
4.3.2 IL METODO DELLE TRANSAZIONI COMPARABILI
Il criterio definisce il valore del brand sulla base dell'analisi di transazioni di marchi similari.
Richiede un confronto tra brand realmente omogenei. Inoltre l'analisi temporale non supera i
3-5 anni.
33
L'omogeneità è richiesta in termini di contenuto della negoziazione e condizioni contrattuali
che accompagnano il prezzo.
Nonostante sia oggetto di soggettività nell'applicazione, il metodo è utilizzato e accettato
soprattutto per la facilità di calcolo.
4.4
METODO BASATO SUGLI INDICATORI EMPIRICI
I metodi empirici utilizzano dati di valorizzazione del brand raccolti interamente nel mercato.
Ogniqualvolta si utilizzi un metodo della categoria ci deve essere un’analisi riguardo al grado
di soggettività e quindi verificare l'adeguatezza del criterio applicato rispetto al marchio che si
vuole analizzare.
4.4.1 METODO DELL'INTERBRAND
Interbrand è una società nata in Inghilterra con lo scopo di determinare il valore del brand e
nello stesso tempo gestirlo e promuoverlo.
Il criterio di valutazione di questa società consiste nella valutazione economica del brand sulla
base di un’analisi incrociata dei flussi economici e del ruolo del brand nel creare domanda del
bene e mantenerla nel tempo.
Il valore si determina come differenziale atteso moltiplicato per il coefficiente, che
rappresenta la forza del marchio.
Quest'ultima è definita da sette fattori, a ciascuno dei quali si attribuisce un peso che ne
riflette l’importanza:
• leadership (0.25): quote di mercato possedute dal marchio;
• stabilità (0.15): fedeltà al marchio;
• mercato (0.10): è una stima sia della struttura sia delle caratteristiche del mercato;
• internazionalità (0.25), è il grado di diffusione e notorietà del marchio;
• trend (0.10): riguarda l'evoluzione prevedibile del marchio;
• supporti di marketing (0.10): si tratta delle attività di promozione, comunicazione e
pubblicità svolte in favore del marchio negli ultimi anni;
• protezione legale (0.05): con riferimento alla esclusività del suo utilizzo ed alla difendibilità
legale.
34
La valutazione del marchio si determina quindi attribuendo un determinato valore ad ogni
caratteristica la quale somma è compresa nel range tra zero e cento. Per esempio un prodotto
unbranded otterrà un punteggio prossimo allo zero, mentre un prodotto con marchio più forte
avrà un valore superiore al 50.
I seguenti marchi rappresentano i brand più forti al mondo nel 2009, utilizzando la
metodologia di analisi dell'Interband (tabella 02):
TABELLA 02 - Fonte: www.interbrand.com
35
5
IL CO-BRANDING
Il co-branding rappresenta una politica di gestione dei marchi ed è rappresentato da un
prodotto contrassegnato da due o più brand che si riferiscono a proprietari differenti (Kotler,
2010). Si basa su un accordo tra due o più marche, ognuna con un proprio ruolo: marca
ospitante o marca ospitata. La prima è anche detta marca guida o accogliente.
Per esempio l'accordo avvenuto nel 2006 tra la nota azienda Motorola e la casa di moda D&G
ha previsto la collaborazione tra due grandi aziende proponendo la versione del telefono
cellulare "Moto Razr Gold V3i limited edition".
Motorola rappresentò la marca ospitante, a differenza di Dolce e Gabbana che ricoprì il ruolo
di marca ospitata attribuendo al telefono cellulare le potenzialità tecnologiche offerte dalla
compagnia di cellulari e nello stesso tempo un design accattivante ed elegante definito dalla
casa di moda con una colorazione oro del prodotto.
Questa tipologia di accordi vengono stipulati per perseguire obiettivi comuni o autonomi ma
tra loro compatibili, tra i quali:
allargare il raggio d'azione
migliorare la propria reputazione
entrare in nuovi mercati
interagire con nuove frontiere tecnologiche
sfruttare economie di scala (condivisione)
rinnovare la propria immagine
Inizialmente il co-branding è nato attraverso rapporti verticali o orizzontali. Nel caso di
rapporti verticali si parla di accordi miranti all'integrazione di soggetti che fanno parte della
medesima catena di valore (produttore, distributore, consumatore).
Il co-branding
orizzontale, invece, è rappresentato da accordi tra attori che fanno parte dello stesso livello
della catena del valore con lo scopo di condividere, attraverso uno stesso prodotto, delle
competenze e/o il segmento di clientela da raggiungere.
Oggi si sono sviluppate anche relazioni laterali ovvero la condivisione del brand tra imprese
che operano in settori merceologici diversi creando relazioni eterogenee (come nel precedente
caso Motorola e D&G).
La definizione dell'accordo richiede la definizione dei co-benefici funzionali e/o simbolici
e la co-firma del prodotto da parte delle aziende coinvolte.
L' accordo è classificabile con due modalità:
co-branding funzionale
36
co-branding simbolico/affettivo
Attraverso il co-branding funzionale si rende esplicita la collaborazione fra le marche nella
definizione degli attributi tangibili del prodotto. In questo caso lo scopo principale per la
marca ospitante è riconducibile alla segnalazione della qualità superiore del prodotto oggetto
della collaborazione. Si cerca di comunicare la superiorità della qualità attraverso una politica
di differenziazione.
Un esempio di co-branding funzionale è collaborazione fra Philips e Nivea, la quale ha
portato all’ottenimento di un rasoio elettrico che incorpora alcune cartucce ricaricabili
contenenti un’emulsione idratante, in modo da soddisfare contestualmente due esigenze
tipiche di chi si rade: l’efficacia dell’operazione (garantita dal rasoio) e l’eliminazione di tagli
e irritazioni (resa possibile dall’emulsione idratante).
Il cobranding simbolico/affettivo è rappresentato dall'associazione di attributi simbolici,
creando associazioni tra i brand coinvolti di tipo psicosociale o esperienziale. E' un tipo di
associazione definita anche CO-NAMING poiché si basa principalmente sull'esplicitare
l'accordo attraverso l'associazione dei nomi dei brand coinvolti. La collaborazione tra la casa
automobilistica Fiat e l'azienda di abbigliamento Diesel rappresenta uno dei molti casi di conaming attraverso l'offerta dell'auto "Fiat 500 by Diesel". Il prodotto "limited edition" offre le
caratteristiche delle auto Fiat con il design interno Diesel.
Lo scopo è dato dal trasferimento sulla marca ospitante degli attributi evocati dalla marca
secondaria, quindi si cerca di portare quelle che sono le sensazioni positive della marca
secondaria su quella principale.
In entrambe le tipologie di co-branding il fine dell'accordo è quello di migliorare la
propensione all'acquisto da parte dei consumatori, cercando di aumentare la domanda
intermedia e finale (Bertoli, Busacca 2004).
L'accordo tra i due brand avrà successo se esiste una reale connessione logica tra le due
marche con lo scopo di massimizzare i vantaggi e minimizzare gli svantaggi.
Il management deve individuare la corretta combinazione di valori, capacità, obiettivi e un
corretto equilibrio tra i due o più brand coinvolti.
37
5.1
BENEFICI DEL CO-BRANDING
I benefici che derivano dagli accordi di co-branding sono classificabili come benefici di primo
e di secondo livello. I benefici di primo livello sono immediati, a differenza di quelli di
secondo livello, i quali sono verificabili nel medio-lungo periodo.
I benefici di primo livello:
incrementare il livello di soddisfazione dei clienti tradizionalmente serviti con lo
scopo di accrescerne la fedeltà
cercare di conquistare nuovi segmenti di clienti attraverso l'attività di collaborazione e
magari attirarli verso altre tipologie di prodotti non appartenenti al co-branding
sfruttare le economie di scala attraverso la divisione dei costi di produzione/pubblicità
fronteggiare la curva di differenziazione
agevolare l’accesso alla distribuzione, utilizzando non solo i canali della marca
principale ma anche di quella secondaria
I benefici di secondo livello:
rafforzamento delle risorse immateriali collegate alla marca come l'immagine, che è
una componente cognitiva, e la fedeltà. Queste due variabili si alimentano a
vicenda.
economie di velocità, dalle quali derivano i vantaggi collegati alla tempestività dello
sfruttamento delle opportunità innovative e alla rapida conquista di posizioni
dominanti. La velocità dell'affermazione è funzione della validità delle politiche di
marketing adottate nell'accordo di co-branding e la risposta è misurabile dagli
stimoli generati ai consumatori, distributori e concorrenti. Gli effetti che
conseguono alla velocità sono individuabili nell'effetto leva positivo della domanda
intermedia e finale, e nel rapido trasferimento dei vantaggi di differenziazione nati
dall'accordo.
risparmio di costi attraverso economie di condivisione, che nascono dalla
condivisione di interrelazioni tangibili o meno (investimenti pubblicitari, reti
commerciali, ...)
consolidamento della posizione concorrenziale, rafforzando le capacità difensive di
entrambe le imprese, con la creazione di barriere dinamiche all'entrata e nello stesso
tempo l'accelerazione del tasso di sviluppo, copertura dei segmenti latenti di
mercato e aumento dell'aspetto competitivo.
38
5.2
RISCHI DEL CO-BRANDING
I rischi che possono conseguire dagli accordi di co-branding riguardano il piano dei valori e
dell'immagine.
Può verificarsi il caso in cui le associazioni depauperino l'immagine della marca ospitante,
limitando l'effetto del prodotto oggetto del co-branding. Questo caso si presenta qualora le
marche siano percepite dalla clientela con qualità troppo diversa.
Un ulteriore effetto da evitare è la distruzione delle risorse di fiducia generate da ciascuna
marca quando opera singolarmente: se il co-branding lega tra loro due marchi troppo lontani
sia dal punto di vista della qualità che dal posizionamento logico, si generano dei
collegamenti tra brand incompatibili. Viene ridotta la credibilità di ogni singolo brand e di
conseguenza la fiducia sui prodotti monomarca offerti alla clientela.
Da evitare è anche l'effetto della diminuzione del fatturato dovuta alla cannibalizzazione,
ossia quando la vendita del prodotto di co-branding riduce il fatturato dei prodotti
monomarca.
5.3
LE SCELTE STRATEGICHE DI CO-BRANDING
L'effetto principale del co-branding è rappresentato dall'estensione delle marche coinvolte;
implica un ampliamento del raggio d'azione creando nuovi flussi di reddito e nuove
potenzialità.
Se il mercato del co-branding è omogeneo al mercato della marca ospitante si parla di line
extension, e i rischi legati a questa tipologia di accordo sono meno elevati perché si conosce la
parte di mercato nella quale si opera e i relativi concorrenti.
Se il mercato nel quale si opera con l'accordo, invece, non è allineato con la marca secondaria
si parla di category extension. In questo caso la produzione comporta la modifica della
gamma di prodotti, con linee più o meno allineate con quelle esistenti.
La complessità gestionale è maggiore e comporta rischi e benefici collegati con l'operazione
di diversificazione.
39
Prima che il contratto di co-branding diventi operativo, viene valutato il grado di consonanza
percettiva tra le marche, l'identificazione del prodotto (product fit) e la verifica della
compatibilità fra le immagini delle marche (brand fit).
Il product fit è la fase che analizza il prodotto offerto con l'accordo, i relativi benefici, la
complementarietà/sostituibilità percepita dai consumatori.
Il brand fit è la fase nella quale vengono analizzate gli attributi delle marche coinvolte e i
relativi collegamenti. L'analisi si basa sul modello della catena 'Mezzi-Fini' di Gutman
(Reynolds e Gutman, 1988). E' uno strumento concettuale che permette validamente di
comprendere il modo in cui i consumatori percepiscono le conseguenze individualmente
rilevanti che derivano dall'uso e dal consumo del prodotto.
Gli attributi delle marche coinvolte possono essere differenziati in:
'product related': sono quegli attributi che influenzano in modo diretto le funzionalità e
sono attributi CONCRETI (oggettivamente misurabili e connessi alle caratteristiche
intrinseche del prodotto) o ASTRATTI (non oggettivamente misurabili e svincolati da
caratteristiche fisiche del prodotto quali lo stile e l'innovazione)
'product not related': che rappresentano i tratti di personalità della marca.
5.3.1 VALUTAZIONE DEGLI EFFETTI DEL CO-BRANDING
La valutazione degli effetti dell'interazione tra le marche consente di scomporre i giudizi
globali formulati dai consumatori.
Si sviluppa in 4 step:
1. individuazione degli attributi più significativi alla luce delle finalità della ricerca
2. articolazione dei livelli del progetto di co-branding
3. costruzione del disegno sperimentale dell'associazione delle marche, definendo il
prodotto e le caratteristiche
40
4. raccolta di informazioni attraverso interviste personali e sistemi di rating formulati dai
clienti ai quali vengono proposti accostamenti di brand diversi tra loro.
L'accostamento tra due marche viene valutato in termini numerici attraverso la successiva
formula:
Ucm = Umo-Umi+Umo*mi+K
Ucm
Utilità della combinazione tra marche: rappresenta il valore attribuito
all'associazione delle due marche.
Umo
Utilità marca ospitante
Umi
Utilità marca ospitata
Umo*mi
Utilità dell'iterazione tra le marche
K
Costante
All'utilità della marca ospitante viene sottratta l'utilità della marca ospitata per effetto
dell'accordo di co-branding ovvero per il venir meno del prodotto offerto della marca ospitata,
a favore del prodotto di co-branding. Successivamente viene sommata l'utilità che deriva dalla
combinazione delle due marche. Questo valore dipende dalla percezione che i consumatori
hanno dell'associazione delle due marche in analisi.
Sulla base di questa formula si possono confrontare diversi accostamenti di brand tra loro
diversi e capire su quale fronte del mercato conviene agire con un contratto di co-branding.
41
CONCLUSIONI
Attraverso quest'analisi si può constatare l'importanza degli asset intangibili, con i quali è
possibile affermare ed accrescere il ruolo e il valore di ciascuna azienda nel settore nella quale
opera.
Nel corso dei secoli si è evoluto il concetto di risorsa immateriale, specialmente nella materia
del marchio, sviluppatosi grazie a continui mutamenti derivanti dall'ambito economico,
sociale e tecnologico.
Soprattutto negli ultimi decenni i brand hanno assunto un'importanza fondamentale per ogni
azienda, con lo scopo di creare un vantaggio competitivo duraturo e sostenibile.
Una loro corretta valorizzazione rappresenta la condizione necessaria per poter sfruttare nel
miglior modo possibile le potenzialità offerte da ciascun brand, poiché solo attraverso
un'attenta analisi e conoscenza del marchio si possono creare progetti di valorizzazione ed
accrescimento del valore del marchio e quindi dell'azienda.
Lo scopo del brand è accrescere il livello di fedeltà e il livello di attrazione del
prodotto/servizio verso i clienti; questo è reso possibile grazie a quelle che sono le funzioni
del brand.
Il suo valore è determinato dalla quotazione di mercato, definita attraverso criteri come il
metodo del costo, del reddito, del mercato e degli indicatori empirici. Queste diverse tipologie
di calcolo permettono alle aziende di approssimare il valore del marchio in analisi e quindi di
conoscere il valore economico reale delle risorse del proprio portafoglio di brand.
La valorizzazione è influenzata da fattori come la notorietà, la diffusione e l'immagine.
Come già affermato, il marchio è una vera e propria risorsa per l'azienda detentrice, ed è
proprio per questo motivo che il brand è oggetto di tutela da operazioni come la
contraffazione e imitazioni.
La difesa del proprio asset può rappresentare un costo (costo registrazione, costi per azioni
legali di difesa del marchio,..) ma son costi che rappresentano un investimento nella difesa di
una propria risorsa.
Nonostante si presenti come un asset intangibile, è parte integrante dell'azienda e come tale è
presente nel bilancio aziendale; ci sono diversi criteri di contabilizzazione: principi nazionali
e internazionali. La scelta nell'applicazione di un criterio rispetto ad un altro dipende dalla
tipologia di settore dell'azienda e se è quotata o meno.
42
Una corretta gestione del marchio comporta la generazione del valore aziendale e quindi la
creazione di una barriera rispetto i concorrenti, creando vantaggio competitivo che si auspica
essere il più possibile duraturo e sostenibile.
Una consapevole gestione dei brand può produrre delle possibilità di business per il presente
ma soprattutto per il futuro, attraverso l'accrescimento del valore dello stesso.
L'utilizzo del brand consiste nella produzione di beni/servizi con l'apposizione del marchio, la
vendita del brand e di operazioni di collaborazione con altri marchi attraverso il co-branding
(pratica di collaborazione molto utilizzata nell'ultimo decennio).
Il marchio è quindi un segno distintivo mediante la quale il cliente è in grado di individuare e
riconoscere un prodotto e associare ad esso una connotazione positiva o negativa.
E' l'oggetto che lega il prodotto al cliente. Investire nel brand si traduce in un incremento della
conoscenza del marchio ai clienti, che può generare un maggior quantitativo di vendite e
quindi un aumento del fatturato per l'azienda.
In un epoca come la presente, nella quale la produzione di beni/servizi è quasi del tutto satura,
differenziarsi dalla concorrenza è fondamentale per la sopravvivenza di ciascuna azienda.
Le risorse intangibili (ed in particolar modo il brand), sono elementi fondamentali che
permettono a ciascuna realtà economica di distinguersi agli occhi dei propri clienti. Inoltre,
nonostante siano asset intangibili, sono risorse essenziali per il business aziendale e come tali
rappresentano il futuro delle entità economiche.
43
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