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l`esercito del superboss

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l`esercito del superboss
COSÌ È STATO AZZERATO
di Vincenzo Marannano
L'ESERCITO DEL SUPERBOSS
Calogero Lo Piccolo
GRAZIE AL CONTRIBUTO DEI NUOVI COLLABORATORI
DI GIUSTIZIA, FRANCESCO FRANZESE E NINO
NUCCIO, E DI UN ALTRO DICHIARANTE MOLTO VICINO
AI BOSS DI TOMMASO NATALE, L'ESATTORIA
DEL PIZZO È STATA RIDOTTA AI MINIMI TERMINI
I
n una sola notte Procura e
Squadra mobile hanno azzerato l’esercito di Salvatore e
Sandro Lo Piccolo. Hanno ridotto ai minimi termini l’esattoria
del pizzo, decapitato i vertici di
buona parte delle famiglie palermitane. Tutto in una notte. E
tutto grazie al contributo dei due
nuovi collaboratori di giustizia
— Francesco Franzese e Nino
Nuccio detto Pizza — e di un
18 - Il supplemento di I love Sicilia che guarda dentro la cronaca
altro dichiarante appena ingaggiato che sarebbe molto vicino ai
boss di Tommaso Natale. Tutto
in una notte: trentotto fermi (29
quelli realmente eseguiti, sei erano già in carcere, altri tre sono
latitanti), interi quartieri ripuliti
da capi e sottocapi, vecchie conoscenze e facce nuove, colonnelli o
semplici soldati. Fra i fermati c’è
anche l’altro figlio di Lo Piccolo,
Calogero, uscito dal carcere soltanto un anno fa (dopo una lun-
ga condanna per mafia) e tornato
quasi subito ad occuparsi degli
affari di famiglia. Prima con un
ruolo più marginale rispetto ai
congiunti, poi, subito dopo l’arresto del padre e del fratello,
riprendendo in mano le redini
del mandamento e continuando
a ordinare affari ed estorsioni.
Perfino dopo nove anni di carcere. Perfino dopo la cattura degli
imprendibili Totuccio e Sandrino. Non l'ha fermato neanche la
prospettiva di un nuovo arresto.
Si è rimesso subito in affari,
Calogero: «Dopo la sua carcerazione — racconta Antonino
Nuccio agli investigatori — è
tornato pienamente operativo. In
particolare ci ha delegato l’attentato incendiario ai fratelli Cangemi, la minaccia al figlio di Nino
Cinà e il progetto di far saltare la
villa del figlio di Francesco
Bonura». Ha ripreso alla grande,
quasi fosse un destino al quale
non ci si può sottrarre, il suo. E
che alla fine, come per tutti gli
altri, gli ha portato soltanto un
altro paio di manette.
Ecco i sei mesi che hanno sconvolto l’assetto di Cosa nostra.
Prima l’arresto e il pentimento
di quel ragazzotto apparentemente inoffensivo che risponde
al nome di Francesco Franzese.
La cattura di Salvatore e Sandro
Lo Piccolo durante un summit
con Andrea Adamo e Gaspare
Pulizzi. La scoperta dei pizzini
— 700 documenti tra lettere,
appunti e libri mastri — il pentimento di Antonino Nuccio. Poi
ancora la fuga di notizie, i libri
mastri che svelano i segreti dei
boss. E adesso questa nuova retata. «Un colpo importante, decisivo», come ha spiegato il procuratore Francesco Messineo, «ma
FRA I FERMATI C'È ANCHE CALOGERO, L'ALTRO FIGLIO
DI LO PICCOLO: ERA USCITO DAL CARCERE SOLO UN
ANNO FA E PER GLI INQUIRENTI SAREBBE TORNATO
SUBITO AD OCCUPARSI DEGLI AFFARI DI FAMIGLIA
AL POSTO DEL PADRE E DEL FRATELLO SANDRO
Salvatore Mario Lo Piccolo
che non impedisce a Cosa nostra
di ricompattarsi com’è avvenuto
in passato».
Che sia arrivato il giorno in cui
— come profetizzava Giovanni
Falcone — il fenomeno mafia si
esaurirà come tutti i fenomeni è
ancora presto, prestissimo per
dirlo. Ma di sicuro la caduta del
capo ha creato una sorta di effetto domino che al momento sembra non volersi fermare.
Salvatore Lo Piccolo studiava
per diventare il capo incontrastato, per riorganizzare Cosa nostra
e dirigerne le sorti. Voleva controllare tutto. E con una sottile
opera di persuasione, con promesse di soldi e potere, ma anche
con omicidi-esempio, come quello del reggente di Porta Nuova
ed esattore del pizzo Nicolò
Ingarao, nel giro di pochi mesi
aveva rivoluzionato i confini storici di Cosa nostra, annettendo al
suo mandamento le famiglie
Il supplemento di I love Sicilia che guarda dentro la cronaca - 19
Giuseppe Micalizzi
palermitane e quelle dei comuni
vicini. In cella la triade composta
da Nino Rotolo, Francesco
Bonura e Nino Cinà, il potere era
passato in mano al suo clan. E Lo
Piccolo non andava per il sottile
ingaggiando chiunque ritenesse
pronto alla violenza e ad ubbidi-
SALVATORE LO PICCOLO
VOLEVA DIVENTARE IL
CAPO INCONTRASTATO
DI COSA NOSTRA. E NEL
GIRO DI POCHI MESI,
CON PERSUASIONE,
PROMESSE E OMICIDI,
COME QUELLO DI
NICOLÒ INGARAO,
AVEVA RIVOLUZIONATO
L’ASSETTO DELLA MAFIA
Salvatore Sorrentino
re alle sue leggi. Proprio per questi nuovi affiliati aveva preparato
il decalogo del perfetto mafioso:
le sue norme che aveva fatto
stampare in tante copie e che i
poliziotti hanno recuperato nel
blitz che ha portato all’arresto
del boss. In tasca teneva sempre
un pizzino, una sorta di promemoria, in cui ricordava a se stesso e agli altri che sulla vicenda
degli «scappati», cioè i superstiti
della guerra di mafia con i corleonesi costretti a fuggire negli
Usa, era la sua linea ad avere avuto la benedizione di Provenzano.
SEQUESTRATE ANCHE SOCIETÀ E CONTI CORRENTI
Nel dispositivo di fermo la procura ha chiesto e
ottenuto il sequestro dei seguenti beni, che
secondo i magistrati sono «di sicura pertinenza
dei Lo Piccolo»:
- A carico di Giovanni Botta, tutte le quote sociali della società «Eurocar di Botta Giovanni e Puccio Angelo s.n.c.», di cui sono soci ed amministratori Giovanni Botta e Angelo Puccio, 30 anni,
nipote di Salvatore Giovanni Lo Piccolo; il complesso dei beni aziendali riferibili alla ditta individuale della sorella di Angelo Botta, Daniela, 38
anni, titolare della licenza per gestire due centri
scommessa in piazza Tommaso Natale 108; e in
viale della Resurrezione 11.
- A carico di Francesco Palumeri, dell’autocarro
Renault targato PA 899585 e dell’autocarro
Renault R365 Van targato PA 962976, entrambi
intestati alla società «Due P di Palumeri Antonino», con sede a Palermo in via delle Nereidi 42, in
realtà di pertinenza di Sandro Lo Piccolo, e complesso dei beni aziendali intestati alla suddetta
20 - Il supplemento di I love Sicilia che guarda dentro la cronaca
società, a Palumeri Antonino, a Palumeri Francesco, o alla ditta individuale di quest’ultimo.
- A carico di Giancarlo Seidita, delle quote sociali a lui intestate (per 5.100 euro) della «Costruzioni e restauri Co.Re. srl» con sede a Isola delle
Femmine, via Francesco Baglisi 1.
- A carico di Pietro Alamia, del complesso dei
beni aziendali intestati all’impresa individuale di
Alamia Giuseppe, 65 anni, operante nel settore
edile, in realtà di pertinenza del figlio Pietro.
Disposto inoltre il sequestro dell’attivo dei conti correnti o di altri rapporti bancari intestati o
comunque riconducibili alle ditte o ai loro titolari (o di cui comunque risulti che questi abbiano disponibilità): «Costruzioni e Restauri
Co.Re. srl»; «Eurocar di Botta Giovanni e Puccio Angelo snc»; «Due P» di Palumeri Antonino. E poi i conti intestati a Carmelo Giancarlo
Seidita, Antonino e Francesco Palumeri, Piero
Alamia, Giovanni Botta, Giuseppe Alamia,
Daniela Botta.
In alto, il pizzino che cita i fratelli Inzerillo. In basso, Massimo Troia in questura
«Per quanto riguarda i fratelli
Inzerillo una settimana prima di
arrestarlo lo zio mi aveva fatto
sapere (...) che era d’accordo a
farli tornare». E alla fine la sua
politica aveva iniziato a produrre
i primi frutti. Perché dopo l’arresto di Provenzano, l’operazione
Gotha, l’omicidio Ingarao, pian
piano gli avversari si erano convinti che forse era meglio passare
con Lo Piccolo, riconoscere il
suo potere e lavorare insieme per
il bene supremo dell’organizzazione. Così in men che non si
dica si sono trovati a lavorare
insieme i reggenti di famiglie
storicamente avversarie come
San Lorenzo e Brancaccio, Palermo-Centro e Tommaso Natale.
Insieme individuavano appalti,
ditte da taglieggiare, decidevano
chi avvertire (tra gli arrestati ci
sono pure mandanti ed esecutori
dell’attentato ai capannoni di
Rodolfo Guajana) e chi risparmiare. In mezzo di tutto, dalle
armi alla droga fino a un vasto
giro di scommesse. Non solo
clandestine. Un modo come un
altro per riciclare i fiumi di denaro che passavano dalle casse di
Cosa nostra.
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