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Bianca Decenti I Ragazzi di Pasolini tra grottesco e sublime

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Bianca Decenti I Ragazzi di Pasolini tra grottesco e sublime
ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in Lingue e culture dell'Asia e dell'Africa
Tesi di laurea in letteratura italiana contemporanea
Relatore Prof: Alberto Bertoni, Correlatore Prof. Jonathan Sisco
Seconda Sessione, Anno accademico 2010/2011
Bianca Decenti
I Ragazzi di Pasolini
tra grottesco e sublime
1
I RAGAZZI DI PASOLINI TRA GROTTESCO E SUBLIME
Indice
Introduzione
I.
1.1 La poetica dell'antitesi
1.2 I romanzi
II.
2.1 Spazio liminare e tempo sincopato
2.2 La periferia e il centro
2.3 Il tempo
III.
3.1 Mostri di borgata
3.2 I personaggi
IV.
4.1 Tommaso e il Riccetto
4.2 Personaggi a confronto
V.
5.1 Sesso, donne e “checche”
5.2 Donne: madri, compagne e prostitute
5.3 Le “checche
VI.
6.1 Accattone
6.2 Accattone, Franco Citti e Pasolini
6.3 Accattone e i romanzi
Bibliografia
2
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
(Fabrizio De André, Smisurata Preghiera)
Introduzione
Non si può fare a meno di essere attratti da Pasolini e dalle sue sorprendenti capacità di poeta
vate, accettando tuttavia di essere vittime della sua indole da carnefice e prossimi all'apocalisse
sociale. Sì, perché Pasolini non parla per ispirazione, ma per cognizione di causa, e ogni sua
opera, destinata ad un pubblico borghese è un feroce j'accuse, che parte dalla sua contrastata
personalità e centra prepotentemente le coscienze. Tutto, o quasi, è stato detto su di lui, dalla sua
ascesa demoniaca alla casta intellettuale, alla sua fine così vicina al martirio. Condannato e
esaltato, ha fatto della sua stessa vita un'opera, nutrendo il pubblico della propria sofferenza e
costringendolo a efficaci lavande gastriche, per le sue qualità indigeste, (mangiare Pasolini in
salsa piccante è una forma di autolesionismo). Freddo aguzzino dei rappresentanti culturali, ha
scomposto pezzo per pezzo i dogmi ideologici portanti, innalzando la dialettica a mezzo supremo.
Pasolini vive in un periodo storico in cui la critica letteraria è già abbondantemente affermata,
eppure anche il suo approccio alla realtà porta delle innovazioni. Michael Walzer, ne L'intellettuale
militante propone tre virtù fondamentali per l'azione critica, in rapporto all'attività letteraria del ‘900:
coraggio morale, compassione e buon occhio 1. Il coraggio morale è un attributo assai raro, molto
spesso confuso con l'ideologia e peggio ancora con quella di partito. Il confine politico è stato per
tutto il secolo scorso un motivo valido, se non l'unico, dell'attività intellettuale, in una realtà divisa
tra fascismi e antifascismi. Pasolini va oltre, accaparrandosi la disapprovazione, o meglio la
persecuzione, da tutti fronti, espandendo la critica da destra a sinistra. Waltzer ci ricorda che la
compassione è «Il bisogno di prestare una voce alla sofferenza», come scrive Adorno in Dialettica
negativa, «è condizione di qualsiasi verità» 2. Se è vero che i critici devono essere capaci di
compassione verso le vittime della loro società, verso gli oppressi, i deboli, non possiamo
immaginare autore più innamorato degli ultimi. Un'attenzione la sua, che non segue le linee della
lotta operaia, ma che esplora le antiche origini di un mondo rurale, la necessaria bellezza della
povertà, l'autenticità dei bisogni primari, lontano dalle politiche di consumo e dalla dittatura
mediatica. Per quanto riguarda la capacità di avere buon occhio, Walzer afferma che «alcune
persone sono più pronte di altre a guardare il mondo e a riconoscere ciò che vedono» 3; si tratta
quindi di una dote che porta ad una pragmatica onestà e che deve essere accompagnata da una
certa umiltà. L'occhio di Pasolini è ciò che più manca nel nostro presente, privo di “altri” punti
d'osservazione. Un occhio discreto, attento, capace di filtrare una realtà non a tutti percepibile. Un
1
Michael Walzer, L'intellettuale militante, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. X-XVI.
Ivi, pag. XII
3
Ivi, pag. XIV
2
3
occhio unico e, perché no, sentimentale, che ha lasciato immagini indelebili del nostro paese e
che ha saputo orientarsi nel passato, nel presente e nel futuro.
«Protesto, dunque esisto»4 è l'assunto fondamentale dell'opera di Walzer, che concentra nella
critica un ruolo primario per la realizzazione dell'essere. L'io protesto è l'inizio di molte azioni che
nella storia della società hanno dato il via a degli antisistemi: satira, polemica, esortazione,
accusa, profezia ecc... e che hanno dato modo di affermare l'esistenza stessa della società,
messa in dubbio dal potere. Quando la protesta provoca delle reazioni significa che avviene un
riconoscimento reciproco, che la dialettica è avviata e che il potere non è univoco. In questo
Pasolini si è distinto per merito e per ostinazione, ma soprattuto per la diabolica perseveranza a
sviscerare la decadenza delle nuove politiche economiche e dei mostri che esse producono.
L'autore s’inserisce infatti nella corrente populista neorealista del secondo dopoguerra italiano.
Questo impulso espressivo, che secondo A. Asor Rosa fonda le sue radici nella resistenza
antifascista e che ha interessato buona parte del dibattito intellettualistico del Novecento, assume
in Pasolini un valore Cristiano. L’autore scorge alla base delle relazioni e del comportamento del
sottoproletariato le verità uniche ed eterne del Cristianesimo e ne associa l’idea di salvazione,
rendendo la sua ricerca mistica e la sua osservazione illuminata da un compendio etico che fonda
i principi della società occidentale. E' proprio da queste basi che inizia l'interminabile ricerca di
Pasolini tra i miseri personaggi della moderna “corte dei miracoli”, ultimi discendenti della
tradizione e di un'umanità prossima all'inabissamento. Ragazzi di vita e Una vita violenta nascono
proprio in seno alla prospettiva di tradurre questa reliquia sociale in prodotto culturale, intellettuale,
assimilabile quindi dalla classe borghese. Il tentativo di seminare il dubbio sul progressivo “autoingabbiamento” della borghesia si associa inoltre all'inquieta confessione di un io tormentato e
controverso, che prende forma e voce attraverso i personaggi reietti su cui s'identifica. In questa
elaborazione il mostruoso, concepito come qualcosa che non rientra nei canoni sociali, diventa
protagonista e riesce ad emanare una bellezza unica e commovente. Su tali premesse è stato
possibile condurre una lettura dei primi due romanzi e del film Accattone attraverso il contenuto
del grottesco e del sublime, preso in prestito direttamente da Victor Hugo. Mentre quest'ultimo
utilizza il grottesco in una espressione creativa e fantasiosa, Pasolini ne fa un uso per lo più
inconsapevole, poiché sarà il lettore borghese a concepire determinate immagini grottesche,
caricaturali, scandalose, esagerate. Tuttavia, seppur in maniera diversa, Hugo e Pasolini
sembrano uniti da una medesima passione per l'emarginato, ritratto nella sua solitudine e nella
sua impossibilità di essere compreso. La personalità di Pasolini si rispecchia molto in questo e del
resto i suo personaggi sono chiusi in una bolla di sapone che è la borgata e dalla quale non
usciranno mai (Tommaso e Accattone muoiono nel momento del riscatto). La vera intuizione di
questo lavoro di interpretazione dei romanzi e del film Accattone è quindi proprio la comprensione
dell'autore nella sua opera, che mostra i risvolti di un Pasolini in contrasto, vittima di una duplicità
che non riesce a controllare. Il suo essere borghese, e non solo, ma intellettuale borghese, lo
mette di fronte alle sue stesse contraddizioni, e al peso che queste hanno nella sua opera. Lo
rendono cosciente dell'impossibilità per lui di unirsi al mondo che tanto ama, alla dimensione
informe e in metamorfosi delle borgate, che in fondo diventa il mezzo per produrre opere, in un
processo di “sfruttamento” di Pasolini nei confronti dei ragazzi di vita. La presenza di questo
contrasto rende vitale tutta la sua esperienza nella periferia romana e fa del grottesco e del
sublime qualcosa di realmente percepibile nella mostruosità dell'autore che si specchia nei ragazzi
di vita.
Nell'analisi qui proposta si cerca d'individuare innanzitutto il genere di poetica dell'antitesi che
porta Pasolini ad approcciare il grottesco. Come già accennato l'antitesi è uno dei caratteri
fondamentali dell'autore, quanto un tema ricorrente nella realtà che da lui viene descritta, a partire
dalla società borghese in opposizione a quella sottoproletaria delle borgate. E' proprio
dall'opposizione che nasce materia informe e indefinita, che si modifica e si trasforma, senza
raggiungere mai una canonicità e Pasolini e i suoi ragazzi stanno esattamente in mezzo a questa
materia fatta di ambiguità. Proseguendo con questo nucleo interpretativo si è poi cercato di
analizzare i romanzi nelle loro parti canoniche, quindi lo spazio, il tempo, i personaggi.
4
Ivi, pag. 13
4
Lo spazio viene definito in merito ai due poli attorno ai quali orbitano i ragazzi di vita: la borgata e il
centro di Roma che ovviamente rappresentano due condizioni diverse per i personaggi. Anche il
tempo si sviluppa attorno ai ragazzi ed è prepotentemente spinto all'accelerazione, dal loro correre
costante, dal loro transito perpetuo. I personaggi vengono trattati a partire dall'attrazione di
Pasolini per i corpi, e nella fattispecie per questi corpi incontaminati di periferia, che diventano
sculture classiche. Si passa poi ad un confronto tra i due protagonisti dei romanzi, il Riccetto e
Tommaso, attraverso i quali si riesce a definire la natura delle due opere e il diverso dosaggio di
psicologia che l'autore propone per i suoi personaggi. Femminilità e omosessualità sono le
tematiche del penultimo capitolo che cerca di analizzare ruoli e carattere delle donne e delle
“checche” nell'universo di borgata. La ricerca si conclude con Accattone, il primo film di Pasolini,
che dà l'occasione di vedere il grottesco al di là della forma letteraria, sotto il dominio della tecnica
audio-visiva. L'analisi cinematografica offre poi l'occasione per una riflessione sul rapporto tra il
regista, l'attore Franco Citti e il personaggio di Accattone, secondo l'allestimento di una triplice
struttura che governa il film. Il lavoro proposto vuole essere uno spunto per un'elaborazione critica
diversa del patrimonio pasoliniano, attraverso una continua esplorazione dei modelli culturali che
stanno alla base delle azioni dei personaggi e dell'autore. Strumenti efficaci per questo genere di
ricerca sono le basi antropologiche, sociologiche e psicologiche, unite ad un'attenzione particolare
per l'ambito linguistico, che rappresenta più di qualsiasi altra cosa la dimensione di un
personaggio. Si vuole inoltre slegare la lettura di Pasolini dai clichés della critica letteraria,
lasciando emergere le infinite possibilità d'interpretazione delle opere, come una chiave di lettura
di matrice romantica. Infine si è voluto accennare all'importanza del “lato oscuro” di Pasolini, ossia
della contraddizione tra la sua umanità e il suo ruolo di intellettuale.
Avvertenza ai lettori
L'intera dissertazione è frutto di intuizioni ed elaborazioni personali. Il lavoro è stato svolto in veste
di lettrice e appassionata di letteratura, per cui l'analisi è contaminata da associazioni e paragoni
con autori e opere estranei alle indicazioni critiche e letterarie di Pasolini.
5
I
1.1 La poetica dell'antitesi
La creatività è una funzione che si basa sull’assemblaggio di ingredienti culturali primari o
elaborati, per cui l’abilità dell’autore sta nel ricercare determinati dosaggi e abbinamenti, che
rendono infine una composizione unica, originale e ad ogni modo personale. In termini fisici «nulla
si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma». La letteratura, come qualsiasi altra forma espressiva,
ha conservato e mutato per secoli forme e linguaggi, tra avanguardie e riscoperte, tra superamenti
e tradizioni, affidando alle affinità e alle necessità di ogni interprete la scelta e l’unione dei vari
elementi. Il romanzo in particolare è un genere letterario relativamente giovane, poiché vede la
sua origine definita e strutturata a partire dall’800, e propone scambi continui con correnti più o
meno vicine a livello temporale e spaziale e, fatto ancora più rilevante, traduce aspetti e fenomeni
di una società contemporanea. Il racconto, la storia e la finzione (elemento che crea una
distinzione con il modello della biografia) sono le tracce fisse che ogni autore, anche il più
innovativo, è chiamato a seguire, giocando in autonomia sul linguaggio e sulle categorie della
narrazione5. La storia del romanzo dimostra che determinate forme espressive hanno creato dei
contenuti narrativi imprescindibili, che anche nella loro continua evoluzione e trasformazione,
racchiudono al loro interno valori canonici. E’ questo il caso della corrente realista, che seppure
inquadrata nel suo sviluppo a partire dalla seconda metà del XIX secolo, presenta caratteri
antecedenti e posteriori, attraverso interpretazioni uniche orbitanti attorno ai processi storici. La
psicoanalisi è un ulteriore elemento standard, che procede per forme relative, e ha portato in luce
le modalità di traduzione del personaggio, slegandolo per sempre dalla funzione dell’avvenimento
e dalla mera rappresentazione di dramma. Anche il Romanticismo, sebbene poco malleabile nello
sviluppo temporale, ha tramandato contenuti indispensabili, come l’impianto storico e quello
fantastico. Grottesco e sublime sono celebri elementi romantici, che la tradizione letteraria è solita
associare al genio di Victor Hugo, in particolare ai romanzi Notre Dame de Paris e L’homme qui rit.
5
Roland Bourneuf, Réal Oullet, L’universo del romanzo, Einaudi, Torino, 2000, pp. 22-26.
6
In realtà questo evocativo binomio, che già da solo basta a spalancare una porta su un
immaginario sentimentale ed emotivo, si fonda sul sapiente uso della figura retorica dell’antitesi,
che troviamo a partire dai tempi del Petrarca: «et temo, et spero; et ardo, et sono un ghiaccio» 6. Il
merito di Hugo è quello di aver proiettato l’antitesi sull’osservazione del reale, eleggendo il
contrasto a suprema forma di comprensione 7. In tutta l’opera di Hugo è facile trovare continui
riferimenti all’ombra che richiama la luce, alla morte che concede la vita, al crimine che lascia il
posto all’innocenza e quindi al grottesco che include il sublime, in un procedimento manicheista di
eterna opposizione fra bene e male. L’intreccio dei contrasti esplode in tutto l’atteggiamento
romantico, andando ad occupare l’immaginario dell’interiorità umana. Anima, inconscio, proibito e
orrore, sono i miti su cui gli autori romantici sfogano le loro effusioni liriche e racchiudono al loro
interno tutta una serie riconosciuta di antitesi. La ragione si scontra con l’anima, memore
dell’esperienza illuminista, e innesca il celebre conflitto tra la tensione verso il trascendente e
concezioni spazio-temporali. L’inconscio si affaccia sul panorama dell’onirico, opponendosi al
reale; il proibito e l’orrore offrono l’occasione di esplorare la duplice natura umana 8. Notre Dame
de Paris è il palcoscenico per esaltare la legge del contrasto in ogni suo aspetto. Quasimodo e la
cattedrale sono elementi speculari: il loro aspetto terrificante, le ombre che segnano la loro forma,
nascondono spiritualità ed illuminazione. La corte dei miracoli, lascia scorgere una brutalità
poetica, fatta di suoni, colori e movimenti vitali. Un recesso di civiltà terrificante, che esplode di
umanità invadente, di travolgente energia. La Esmeralda, con la sua celebre danza, ricorda
l'espressione ingenua e spontanea dei popoli miseri e perseguitati, interpreti loro malgrado di una
bellezza agognata ed invidiata. Febo, splendido nel nome e nell'aspetto rivela tutta la meschinità
dell'ambizione e della vanità: un Apollo superbo, che gode di se stesso. Frollo, il cui ascetismo
perpetuo nasconde all'interno un covo di pulsioni, come il nucleo di un vulcano, è la passione, la
frenetica rincorsa del desiderio repressa dalla morale. Infine Gringoire, poeta, dalle deluse
aspettative di elevazione dell'anima, impone a se stesso un ruolo, che non lo distrarrà dai piaceri e
dalle aspettative della vita. Contrasto ancora più esplicito vive nel volto di Gwyneplaine, L'homme
qui rit, sfregiato da un sorriso eterno e spaventoso, incapace di raccontare gioia e dolore.
Un'antitesi esageratamente azzeccata per dipingere la sofferenza di un'espressione fissa ed
immobile, incapace di soddisfare le cangianti necessità dell'anima. Hugo quindi raffina e plasma,
secondo il gusto romantico, l'arte dell'antitesi, facendo del grottesco e del sublime un mito
riconosciuto nella letteratura che esplora le sfaccettature umane e disumane. E’ la scelta di un
ampliamento della sensibilità che rende la creatività e l’immaginazione di Hugo speciale e unica:
l’ammissione a prediligere come oggetto di ricerca una dimensione informe, che ammette dritti e
rovesci e crea un ampio campo d’interesse per l’interiorità, laddove niente è quello che sembra.
O meglio, tutta la sua persona era una smorfia. Una grossa testa irta di capelli rossi; tra le
spalle, una gobba enorme il cui contraccolpo si faceva sentire davanti; un sistema di cosce
e di gambe contorte così stranamente che solo al punto del ginocchio potevano toccarsi tra
di loro, e che, viste di fronte, somigliavano a due falcetti congiunti per il manico; piedi larghi,
mani mostruose; e a dispetto di tanta deformità, un certo aspetto terribile di vigoria, di agilità
e di coraggio; strana eccezione alla regola eterna per cui la forza, come la bellezza,
risultano dall’armonia.9
Nel presentare il marchio di Gwyneplaine, Hugo si spinge al di là di ogni ordinaria forma
descrittiva. Il volto del giovane infatti prende forma attraverso le parole che Hursus legge in una
delle sue pergamene:
6
Francesco Petrarca, Canzoniere, Pace non trovo e non ò da far guerra, CXXXIV.
Lagarde & Michard, XIX siecle, Larousse-Bordas, 1997, pag. 156.
8
Albert Beguin, L’anima romantica e il sogno, Il Saggiatore, Milano, 1967, pp. 533 sgg.
9
Cfr. Victor Hugo, Notre Dames de Paris, La Biblioteca Universale, Einaudi, Torino, 1996, pag. 52.
7
7
Bucca fissa usque ad aures, genzivis denudatis, nasoque murdridato, masca eris, et ridebis
semper10. (La bocca tagliata fino alle orecchie, le gengive scoperte e il naso strappato.
Sarai una maschera, e riderai sempre.)
La solennità e l’orrore dell’immagine vengono riportate con parole latine, arcaiche; termini lontani,
che uniscono la situazione ad un’oscura premessa dalle origini antiche. Come se la deformità del
ragazzo sia qualcosa di ancestrale, vincolato da chissà quali legami. L’intenzione dell’autore infatti
è quella di definire l’identità del mostruoso, che si manifesta nelle forme più impensabili, come
appunto il volto di un bambino. Un mostruoso che esiste da sempre, che è già stato scritto, ancora
prima di essere visto e che porta il significato di una realtà diversa da quella che si vede, o che si
vuole vedere. La condanna ad una duplicità manifesta, terribile incubo di ogni essere umano, che
vorrebbe mantenere in ombra la parte che più odia di se stesso. Così Hugo da avvio ad una lunga
tradizione di approfondimento del personaggio, accettando di plasmare al medesimo tempo bello
e brutto e di lasciarli senza forma, poiché è lo stato più verosimile in cui l’essere umano vive.
Pasolini, amante della duplicità, della contraddizione, della poesia del deforme, raccoglie a pieno
l’approfondimento letterario di Hugo e lo sconvolge per renderlo aderente alle sue necessità e alla
sua epoca. Attribuire riferimenti letterari ad un autore così produttivo nella sua creatività, quanto
nella sua critica letteraria è estremamente rischioso, ma può anche portare a nuovi percorsi
interpretativi e a nuove chiavi di lettura, considerando e ammettendo che l’essenza di Hugo sia
giunta, anche indirettamente, per altri autori, fino a Pasolini. Lo stesso autore mostra un'attenzione
meticolosa e una riverenza sacra per gli interpreti che lo hanno preceduto, accompagnando la sua
produzione con una continua lettura delle opere del passato. Eppure ciò che rende Pasolini unico
è il suo carattere controverso e impertinente, che pone su un altare la tradizione e
contemporaneamente la distrugge con la violenza più efferata. Passione e ideologia, non solo è il
titolo di una raccolta di saggi, ma la sintesi di un approccio verso l'oggetto d'interesse:
In Pasolini il primo movimento d'interesse verso un oggetto, anche culturale, è di natura
sempre passionale, quasi fisica; l'intelligenza, che del resto in lui è vivissima, segue: nei
casi peggiori, resta ancillare rispetto alla suggestione sensuale da cui è stata mossa; nei
casi migliori, essa si assume il compito di sistemare i risultati di quel primo approccio in
quadri definiti e sensati, che arrivano fino a dare una sistemazione storica di quel fenomeno
o gruppo di fenomeni (Pasolini rivela in questi saggi anche l'implicito gusto per la storia
letteraria, per le periodizzazioni, i raggruppamenti, i grandi quadri sinottici, ecc.). 11
Ciò che avvicina Pasolini ad Hugo è proprio la passione, ossia un'attrazione naturale ed emotiva
verso un aspetto della realtà, che l'autore si propone di ritrarre senza filtri morali, cosciente che
questi diluirebbero senza rimedio la bellezza. La classicità insegna che la bellezza è il risultato
dell'equilibrio. Pasolini e Hugo, entrambi cacciatori di bellezza, la trovano nell'equilibrio degli
opposti, appunto, grottesco e sublime. La spinta verso il contrasto è data da una propulsione
sentimentale, viscerale, che costringe l'autore a osservare senza lenti di protezione l'umanità, fatta
di un volto canonicamente accettabile e uno socialmente scandaloso. Se potessimo inserire gli
ingredienti della narrativa pasoliniana scriveremmo: due cucchiai di classicismo; neoclassicismo
in polvere (la morte di Genesio, o quella di Tommaso, vengono appena descritte, l'azione è
rappresentata dalla maestosa staticità che segue, o che immaginiamo seguire, come nel dipinto di
J.L. David La morte di Marat,); qualche goccia di romanticismo per dare aroma, realismo e
neorealismo in quantità libera. A. Asor Rosa aggiungerebbe anche alcuni grammi di populismo
nell'impasto12, anche se in effetti questo si presenta molte volte con il volto della retorica (non a
caso Asor Rosa ne coglie l'aspetto cattolico e ne fa una metafora degli ultimi), mentre per Pasolini
è possibile che non esista una classifica degli strati sociali, che questi vengano descritti così come
si presentano all'occhio dell'osservatore, e che il sottoproletariato sia l'occasione per l'esplorazione
di una realtà “altra”, rispetto la borghesia.
10
Cfr. Victor Hugo, L’uomo che ride, Garzanti, Milano, 1976, pag. 172.
Cfr. Prefazione di Alberto Asor Rosa, Pier Paolo Pasolini, Passione e ideologia, Garzanti, Milano, 2009, pag. VIII.
12
A.Asor Rosa, Scrittori e popolo. Saggio sulla letteratura populista in Italia, Samonà Savelli, Roma, 1963 pp. 160 sgg.
11
8
Seguendo Pasolini nell'elaborazione dell'intuizione, è possibile leggere la sua opera attraverso la
categoria dell'antitesi e quindi del grottesco e del sublime, concedendo al tema una distorsione
naturale da quello originale di matrice romantica, e premettendo una rappresentazione assai meno
didascalica di quella fornita da Hugo. Quasimodo e Gwyneplaine conducono le loro misere
esistenze nella tradizione di un riscatto cattolico, per cui il dolore provocato dalla mostruosità fisica
li rende eroici, quasi come dei cristi crocefissi. I ragazzi di Pasolini non vivono un riscatto, ma
soprattutto sono esenti da un significato. La loro povertà non è una metafora, è vera, reale, atroce,
violenta, è l'altra faccia dell'Italia in via di sviluppo, è il volto oscuro delle famiglie a reddito fisso
dotate di elettrodomestici. Come ricorda Fortini, l'antitesi ricorre in Pasolini uomo ancora prima che
in Pasolini poeta13: Le ceneri di Gramsci si concentrano su una desolante tensione tra ciò che si è
e ciò che si vorrebbe essere; tra la condizione che il destino ha assegnato e quella che si ritiene
più giusta; tra un progresso vorace e un debole passato; tra un'infanzia leggera e una maturità
stancante; tra una sensualità e una spiritualità. E' proprio la consapevolezza a rendere lucida e
brillante l'antitesi di Pasolini:
L'universo “popolare” è separato da Pasolini da una distanza non solo di classe ma di
sviluppo storico, tanto da assumere, in lui, come in Luzi, caratteri più arcaici del vero. E
quando egli non cerca di mimare col dialetto la essenza sfuggente della “popolarità”, (forza
originaria, attirante e repellente), quando cioè accetta e assume l'esaltante «possesso»
culturale borghese, è inevitabile che l'altro gli si presenti come “natura”, “quadro”, oggetto di
discorso ai propri simili.14
Grottesco e sublime vivono quindi nell'autore, nella sua visione della realtà e in fine nella sua
creatività, proponendosi come caratteri spontanei, mezzi di traduzione, anziché artifici di effetto
letterario. La dolcezza, la quiete, il placido torpore sorgono proprio nel momento in cui l'esperienza
umana si fonde con il mestiere e il sentimento abbraccia la metrica e l'ingegno linguistico:
Più è sacro dov'è più animale/ il mondo: ma senza tradire/ la poeticità, l'originaria/ forza, a
noi tocca esaurire/ il suo mistero in bene e in male/ umano. Questa è l'Italia, e/ non è questa
l'Italia: insieme/ la preistoria e la storia che/ in essa sono convivano, se/ la luce è frutto di un
buio seme.15
Questo verso, tratto dall'Umile Italia, introduce il campo di ricerca ed interpretazione che delimiterà
il mito del grottesco e del sublime nella produzione di Pasolini. Stabilita infatti la parentela con il
romanticismo, riconosciuta la sua forma inedita e l'affinità con l'interiorità del poeta, non rimane
che concentrare la sua funzionalità ad una delle carte vincenti di Pasolini: la frattura di un epoca.
Riflessione ricorrente, che acquista molteplici forme e colori, si esprime per simboli, o per
inquadrature istantanee: occupa le pagine dell'impegno poetico, divampa nelle emozionanti vite
spregiudicate della narrativa, si evolve nel cinema, da Accattone e Mamma Roma (neorealisti) a
Uccellacci e Uccellini (a suo modo surreale e reale), passando per una serie di considerazioni
rintracciabili negli interventi pubblici e negli articoli raccolti in Scritti corsari. In mezzo a tutto questo
sta l’esperienza vissuta dall’autore a Roma, dove si rifugia a partire dal 1950 con la madre, a
seguito dell’espulsione dal PCI. Il passaggio dalla provincia friulana alla capitale è estremamente
significativo nell’evoluzione poetica e filosofica di Pasolini, che segna l’inoltrarsi di un’era
creativamente adulta, isolata dal calore della speranza che la terra d’infanzia, Casarsa, poteva
offrire. Inoltre Roma apre il sipario ad una nuova esperienza cognitiva sull’evoluzione delle
dinamiche sociali e della lotta di classe, ponendo al centro dell’attenzione dell’autore una casta di
diseredati ibridi: né contadini né proletari. Sarà proprio l’incontro con questo nuovo mondo a
fornire a Pasolini gli strumenti per una destrutturazione sistematica dell’ideologia di partito e per
l’interpretazione acuta dei fenomeni che accompagnano il paese verso il baratro culturale e verso
l’assetto di una società dei consumi. Le borgate romane vivono di un’umanità derubata di tutto,
13
Franco Fortini, Attraverso Pasolini, Einaudi, Torino, 1993, pp. 23-35.
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 2009, pag. 35.
15
Ivi, pag. 37.
14
9
persino del conforto dell’eguaglianza davanti alla miseria. Il vento socialista, che dall’ottocento
soffiava in Europa rendendo gli umili consapevoli e solidali nella lotta ai diritti, si spegne
tragicamente e inesorabilmente, poiché le condizioni economiche propongono nuovi rapporti
sociali e soprattutto un allargamento oltre misura della borghesia. Tagliati fuori dal presente, i
sottoproletari di Roma, per lo più rifugiati del periodo bellico ed immigrati, restano ai margini del
sistema, abitano le periferie, i luoghi di confine; sono sempre in bilico tra la vita e la morte, tra il
giorno e la notte, tra la bestialità e l’umano. Eppure proprio perché incontaminati dalla volgarità,
che improvvisa e pesante è scesa sul popolo italiano, questi uomini/topi, rappresentano per
Pasolini uno spiraglio di vitalità, l’ultima traccia di autenticità. Ragazzi di vita e Una vita violenta
sono il frutto di questo inaspettato incontro con le premesse della nuova realtà italiana, tradotte da
una narrativa d’avanguardia, che si serve di due registri linguistici: contaminazione di dialetto
nella voce narrante, dialetto e gergo nei dialoghi. Pasolini non è un novizio delle identità
linguistiche (Poesie a Casarsa, 1942, La meglio gioventù, 1954,) ed è cosciente del sospetto che
ruota attorno a scelte letterarie sperimentali come queste. E’ tuttavia convinto che la
rappresentazione di una realtà in mutazione, priva di forma e significato, che si sviluppa
naturalmente nutrendosi di ciò che trova attorno, necessiti l’intervento di un linguaggio simile: il
dialetto è l’escamotage che rende la dimensione apollinea delle borgate tangibile, riscontrabile dal
ritmo e dal suono delle parole; è la prospettiva che forma l’immagine tridimensionale donando
valore realistico.
Il grottesco e il sublime coinvolgono la stesura di questi due romanzi ad ogni livello: come già
precisato vivono nell’anima dell’autore; includono l’opposizione tra un’epoca che muore e una che
nasce; traducono la deformità e la mostruosità dei risvolti del boom economico; s’impongono
come contenuto nella struttura narrativa, linguistica, estetica e psicologica delle opere.
Il mostruoso anatomico si manifesta con la sua forma anomala e deformata, il mostro
morale invece si insinua nel sociale procurando movimento all’interno del sistema fisso e
gerarchizzato delle classi. La società ha le sue classi e, come per il mondo naturale, ogni
soggetto che non rientra in una di queste è anomalo e quindi mostruoso, perché stravolge e
capovolge un ordine prestabilito portando scompiglio in un sistema razionalmente fissato. 16
1.2 I romanzi
Ragazzi di vita e Una vita violenta sono due romanzi molto familiari tra loro, tanto da sembrare
uno il continuo dell’altro. Le vicissitudini del Riccetto e del suo dubbio entourage, annotate con un
velo di riso amaro (tipico dell’atteggiamento neorealista), si evolvono in un'ambientazione ancora
più tesa e in precipitare nelle vicende di Tommaso, fino all’epilogo secco e spicciolo, che taglia la
possibilità di un qualche sviluppo per quel mondo marginale. Ragazzi di vita ha una struttura
circolare, che ci porta a credere che la vita di borgata avrà anche essa un suo posto nel mondo
(all’inizio e alla fine del romanzo il Riccetto si trova a decidere di rischiare la propria vita per
salvare delle creature che affogano nel fiume. La prima volta, quando è ancora un bambino, si
tuffa e trae in salvo una rondine. Nell’ultimo capitolo invece, ormai uomo, lascia morire il piccolo
Genesio, in uno slancio di autoconservazione). Questa scelta organica suggerisce la possibilità
per la mostruosa umanità di borgata di sopravvivere e svilupparsi.
«Tajamo, è mejo,» disse tra sé il Riccetto che quasi piangeva anche lui, incamminandosi in
fretta lungo il sentiero, verso la Tiburtina; andava anzi quasi di corsa, per arrivare sul ponte
prima dei due ragazzini. «Io je vojo bbene ar Riccetto, sa!» pensava. 17
16
Cfr. Paola Cristina Fraschini, La metamorfosi del corpo. Il grottesco nell’arte e nella vita, Mimesis, Milano, 2002,
pag. 34.
17
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 218.
10
La linearità di Una vita violenta, mostra invece lo sviluppo di quell’incrocio di società animale,
attraverso il riscatto sociale (le case INA e l’incontro col PCI), che sfocerà proprio con l’elevazione
morale del personaggio. Tommaso muore per la scelta opposta a quella del Riccetto: sacrifica la
vita per salvare dalle acque una donna. Le ultime battute dell’opera non sono altro che la scarna
profezia della fine di un mondo:
Ma poi, come diventò notte, si sentì peggio, sempre di più: gli prese un nuovo intaso di
sangue, tossì, tossì, senza più rifiatare, e addio Tommaso 18.
E' interessante notare come la conclusione di Pasolini sia perfettamente sovrapponibile a quella di
un altro autore, capostipite di un genere “simil-diverso”, il realismo magico, e interprete di una
lontana America latina:
Perché le stirpi condannate a cento anni di solitudine non avevano una seconda opportunità
nella terra.19
Eppure, nell’oceanico divario che separa García Márquez da Pasolini, rintracciamo lo stesso
disperato amore per l’ultimo respiro di una specie umana autentica, destinata all’estinzione, che
entrambi gli autori riescono ad elevare a mito e leggenda.
Il nucleo filosofico della contraddizione, è un sistema che richiede un esercizio di psicologia
inversa. Mentre l’autore è impegnato nella sua ricerca su campo nelle borgate romane, si rende
conto che l’eterna lotta di classe, e quindi l’opposizione tra un’élite di padroni e i suoi servi (tema
già affrontato in una bozza di romanzo, composta tra il ’48 e il ’49 dal titolo originario I giorni del
lodo De Gasperi, poi tramutato in Il sogno di una cosa), è un elemento imprescindibile per la
definizione di un’identità. Uccellacci e uccellini è l’opera che con maggior chiarezza e lucidità
illustra la teoria che sta alla base di questa eterna lotta di opposti.
Frate Ciccillo e frate Ninetto pur riuscendo ad evangelizzare prima i falchi e poi i passeri, non
realizzano l’eguaglianza tra le due specie di uccelli, suggerendo una condizione immanente alla
realtà. Proprio questa frattura costante però assicura alla classe dominata una genuinità unica e
insostituibile, che è poi principale oggetto d’ispirazione di Pasolini.
Nel momento in cui la politica economica opera un allargamento delle risorse, spalmando la
classe borghese, il mondo delle borgate inizia a svanire e al suo posto subentra una controllata
massa sociale, priva di qualsiasi reazione. La questione dell’identità di classe è forse il vero motivo
dell’allontanamento di Pasolini dal PCI, a seguito anche della causa connessa alla sua
omosessualità. Si tratta tuttavia di una spaccatura incolmabile, che accompagnerà l’autore per
l’intera esistenza, circondandolo di una generale diffidenza da parte della casta intellettuale, che
seguiva all’epoca una traccia antifascista e quindi quasi sempre comunista.
Prima di inoltrarsi nell’analisi del grottesco e del sublime in Ragazzi di vita e Una vita violenta, è
importante chiarire come la poetica dell’antitesi influisca nella creatività narrativa, coinvolgendo
l’intera struttura dei romanzi.
Partendo dal punto di vista del racconto è lampante l’esistenza di una voce doppia: una composta
e per così dire istituzionale e l’altra coinvolta e partecipante ai fatti che descrive. Come ricorda
Roberto Carnero, questa duplicità narrativa è individuabile a partire dalle prime righe di Ragazzi di
vita20:
Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva farsi la prima comunione e la
cresima, s’era alzato già alle cinque; ma mentre scendeva giù per via Donna Olimpia coi
calzoni lunghi grigi e la camicetta bianca, piuttosto che un comunicando o un soldato di
Gesù pareva un pischello quando se ne va acchittato pei lungoteveri a rimorchiare. 21
18
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 353.
Gabriel García Márquez, Cent’anni di solitudine, Mondadori, 1995.
20
Roberto Carnero, Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini, Bompiani, Milano 2010, pp. 59-61.
21
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag 5.
19
11
Il punto di vista è inizialmente oggettivo e si trasforma al ritmo incalzante della camminata del
Riccetto fino ad uno più soggettivo, un narratore popolare, che sembra passeggiare con il suo
personaggio, acquisendone quindi il linguaggio e i modi di fare. Giovanni Verga aveva introdotto
questa sorta di metempsicosi narrativa già nei Malavoglia e in Rosso Malpelo, attenendosi però ad
un lecito spostamento d’accento:
Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi sulla strada vecchia di Trezza.
Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un
ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riuscire un fiore di birbone.
Sia la similitudine con cui si aprono I Malavoglia, sia l’associazione dei capelli rossi con una
personalità irrequieta, non appartengono tanto al punto di vista dell’autore, quanto a quello del
contesto sociale in cui si svolge la scena.
Pasolini tuttavia non si limita ad accennare questa dualità narrativa, ma la spinge al limite, con
l’integrazione di un dialogo tutto romanesco, che costringe il lettore a sdoppiarsi a sua volta e a
familiarizzare con i personaggi, fino ad apprendere con una certa disinvoltura il dialetto. La materia
linguistica, così informe e indefinita lascia al mondo delle borgate tutta la sua autonomia
espressiva, dove il ruolo dell’autore non è quello di un istruito antropologo, quanto di un moderato
mediatore che confluisce energia.
«A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere
come un bambino». Come per Picasso la crescita creativa si associa ad una costante diminuzione
della pratica artificiale, poiché il filtro intellettuale pregiudicherebbe lo sforzo di pura
rappresentazione.
Quando si parla di realismo infatti è bene tenere presente che la semplice funzione di
interpretazione della realtà riporta comunque qualcosa di non reale, contaminato dall’esperienza,
dalle conoscenze e dalla posizione dell’osservatore. Il lavoro di Pasolini, molto più fine e sottile, si
basa sul lasciare che la realtà parli ed è per questo che le vicissitudini dei ragazzi di vita portano
con loro un carico emozionale umano più che drammatico.
Ecco perché l’intreccio dei romanzi è appena accennato da quella circolarità o linearità già citate,
che sembrano più che mai la firma in basso a destra di un dipinto.
Gli eventi si svolgono in maniera compulsiva, al ritmo degli istinti dei personaggi: fame, sesso.
Non c’è niente di raffinato, non ci sono valori profondi da carpire, non c’è il simbolismo, per cui un
fatto o un dettaglio significano altro. Tutto è esattamente quello che è.
Una vita violenta riacquista a partire dalla seconda parte un aspetto tradizionale dei caratteri del
romanzo: pur mantenendo l’ambiguità narrativa e linguistica, inquadra i personaggi in una fabula,
dove Tommaso è l’eroe in cerca di riscatto.
Questo cambio repentino di matrice premette la fine di quella realtà, suggerisce che qualcosa è
cambiato e quindi anche il romanzo risponde al mutamento.
Come le borgate subiscono l’imborghesimento sociale, così anche le pagine del romanzo
abbandonano l’esuberanza dell’autenticità per una forma più decente e rispettosa.
Il fatto è che noi crediamo di aver progredito, solo perché ci siamo tutti imborghesiti.
Nessuno vivrebbe più nelle baracche, ma la stragrande maggioranza ha accettato di essere
messa nei fornetti crematori che sono le case popolari. Dov’è l’orticello con la gallina? Che
fine ha fatto? Chi me le ridà queste cose? Ecco, anche questo era Pasolini, anche questa è
la mia storia.22
Franco Citti vive la stessa contraddizione sulla propria pelle: da ragazzo di vita a uomo di
successo, per scontare una fine brutale, dimenticato (o meglio mai accettato) dalla borghesia che
lo aveva tanto apprezzato, lontano dal suo mondo di baracche che ormai non esiste più. Ed è lo
stesso pensiero che fulmina Tommaso mentre guarda dal cancello del sanatorio dei ragazzi
camminare:
22
Cfr. Franco Citti e Claudio Valentini, Vita di un ragazzo di vita, Sugarco Edizizioni, Carnago, 1992, pp. 59-60.
12
Coi grugni sporchi sotto i ciuffi, si tenevano abbracciati, parlando tutti smaniosi, senza
guardare in faccia nessuno. Alcuni parlavano, parlavano, altri tacevano ridendo. E quelle
faccette, sopra i collettini zozzi a colori, alla malandrina, erano l’immagine stessa della
felicità: non guardavano niente, e andavano dritti verso dove dovevano andare, come un
branco di caprette, furbi e senza pensieri.
«Aaaah,» sospirò Tommaso, «so’ stato ricco, e no l’ho saputo!» 23
23
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 275.
13
II
2.1 Spazio liminare e tempo sincopato
Concepire la dimensione spazio-temporale nei due romanzi di Pasolini richiede uno sforzo
interpretativo e un’apertura mentale verso un genere di struttura non convenzionale. Pasolini non
è il tipo di scrittore che si dilunga in descrizioni scenografiche o si perde in dettagli storici, poiché
lascia al lettore l’impegno o la volontà d’interagire con il racconto, attraverso la propria sensibilità e
le proprie conoscenze. L’idea della materia informe, indefinita, che non è mai uguale a se stessa,
ma in costante mutazione, investe anche gli aspetti strutturali del romanzo, coinvolgendo spazio e
tempo del racconto in un vortice, che scaturisce proprio dai personaggi. In effetti i luoghi si creano
mano a mano che i ragazzi li attraversano, vivendoli, sfregiandoli, traendone ricchezza o
frustrazione e il tempo è in continuo bilico tra giorno e notte, fame e soddisfazione, detenzione e
sanatorio. L’influsso realista fa sì che le poche coordinate abbiano una corrispondenza, così da
poter circoscrivere le borgate che furono e questo mitologico periodo post-bellico, a cui l’autore
non presta meticolosa attenzione nella presentazione e nello sviluppo, quasi a voler sottintendere
una realtà di passaggio, una dimensione a parte, che è in continuo cambiamento, fino a
raggiungere il volto che ne segnerà l'estinzione. Non a caso all’inizio di Ragazzi di vita vediamo i
personaggi abitare come topi le aule di una vecchia scuola, mentre alla fine di Una vita violenta
giungiamo ad uno scenario tutto nuovo, dove le case popolari INA rappresentano la fine di un
mondo e l’inizio di un altro. Qualche dettaglio sparso tra i due romanzi suggerisce il contesto
storico, racchiuso nel periodo del dopoguerra e della supremazia democristiana, passando per
l’ombra del PCI; si tratta tuttavia di riferimenti spiccioli, che non solo perdono d’importanza
all’interno della storia, ma che si presentano in maniera quasi meschina, sempre in contrasto con i
personaggi, che vivono lontani dalla decadente contemporaneità e si annullano proprio
nell’incontro con essa.
14
2.2 La periferia e il centro
Lo spazio che i ragazzi di Pasolini occupano è un luogo liminare, di continuo passaggio fra due
dimensioni, tanto che i termini che lo contraddistinguono sono sempre verbi che indicano un moto
veloce: scendeva giù, tagliare, s’imbarcò, attraversò, corse, andarono di fretta, s’avviò dritto, si
fece strada, ecc…Esistono due sfere che permettono il continuo moto dei ragazzi dall’una all’altra
e sono la periferia e il centro di Roma. La prima, pur presentata con nomi reali, tranne la Piccola
Shangai, è caratterizzata da una completa irrazionalità fatta di sentieri, dirupi, baracche, grotte.
Una realtà selvaggia, che assomiglia più ad un luogo esotico che ad un angolo suburbano. Fiume
e terra sono gli elementi sovrani della periferia, tanto che sembrano avvolgere i personaggi in
antiche vesti mistiche. Il fiume (Tevere e Aniene), con il suo scorrere inesorabile, accompagna i
ragazzi nella loro crescita, fungendo sempre da punto d’incontro. Nel fiume i ragazzi vivono la loro
infanzia, giocano, ne fanno il loro unico momento ludico, assegnando all’acqua proprio quel
significato mitico di “vita”. Dalla terra invece sembrano tutti plasmati e avvolti, nelle vesti
impolverate, nei volti sporchi, nei capelli sudici, nei corpi dei più piccoli che nella terra si
imbrattano perché non sanno camminare e infine nelle baracche, che dalla terra sorgono come
frutti. La periferia non possiede riferimenti stabili, è tutto approssimativo, temporaneo, pronto ad
essere spazzato via (come Macondo del resto). Un magma di acqua, terra e sporcizia si mescola
alle vite di ogni personaggio, fino a non dare più l’occasione di distinguere dove finisce l’uno e
dove inizia l’altro. Hugo aveva già intuito in Notre Dames de Paris le potenzialità di
un’associazione tra spazio e personaggio, facendo della cattedrale la sorella-madre di
Quasimodo. Come il gobbo infatti la sua dimora è un ibrido, qualcosa che sta a metà fra due
forme:
Del resto, Notre Dames di Parigi non è affatto un monumento compiuto, definito,
classificato. Non è più una chiesa romanica, non è ancora una chiesa gotica. Non è una
costruzione tipica.24
Questo grottesco così lontano dalla classicità, dalla forma, dal contorno, esplode nelle periferie
romane, comprendendo natura, esseri umani e mostri industriali, e offrendo una prospettiva
emozionale non classificabile.
La rappresentazione del corpo grottesco si definisce in opposizione alle norme classiche
che pretendono un corpo perfetto ben delimitato e ben conchiuso contro il mondo esterno:
l’immagine grottesca doppia, ambivalente e in metamorfosi si sostituisce a quelle univoche
e statiche.25
Luoghi quindi grotteschi nella loro visione e nella loro crescita, espansione, cambiamento. Luoghi
sublimi per la vita che li abita fin dal profondo della loro ombra. Luoghi liminari, che portano
altrove, che portano al centro. Roma è un'altra dimensione indefinita, dove abitano allo stesso
tempo le maestose rovine dell’antico impero, i segni del ventennio fascista e le premesse del
“progresso sociale”. La città tuttavia segna l’allontanamento dei ragazzi dalle proprie origini, tanto
che questo avviene in maniera progressiva durante la loro adolescenza. Roma è il luogo dove essi
possono acquisire ricchezza (“grana”), e dove possono osservare quello che accade al di là del
loro mondo. Sarà qui che essi incontreranno le contraddizioni della borghesia, e seppur divertiti
dall’esibizione ridondante della gente di città, ne rimarranno affascinati, cercando da sempre di
farne parte.
24
Cfr. Victor Hugo, Notre Dames de Paris, La Biblioteca Universale, Einaudi, Torino, 1996, pag. 117.
Cfr. Paola Cristina Fraschini, La metamorfosi del corpo. Il grottesco nell’arte e nella vita, Mimesis, Milano, 2002,
pag. 31.
25
15
Certi tipi poi non li potevano vedere. «An vedi questi!» gridò per esempio il Caciotta
squadrandosi una donna bella alta con un sedere che non finiva mai, che veniva giù
insieme a un bassetto quattrocchi: quando gli passarono davanti strusciandoli il Riccetto e il
Caciotta ghignando e piegandosi fin quasi a toccar per terra con le froce del naso,
cominciarono a fare « Pffff, pffff,» sputacchiando come due caccavelle. 26
Pasolini inizia a presentare il mondo delle borgate partendo dalla descrizione del Ferrobedò, (la
Ferrobeton, una fabbrica di binari di inizio 900), che accompagna il lettore a scorgere una realtà
già molto lontana dalla civiltà urbana, dove macerie e carcasse industriali convivono placidamente.
I luoghi fin da subito presentati, sono quelli che all’epoca segnavano l’inizio della periferia e che
oggi ospitano innumerevoli palazzine, immagine di quartieri socialmente accettabili. C’è quindi una
frattura già consistente tra il lettore moderno e il racconto di Pasolini, che procede spedito e
rapido, dando per scontato l’immagine che offre. L’immagine che ne viene è un continuo
spostamento tra le zone di Donna Olimpia e Monteverde Vecchio fino alla zona dei Grattacieli. Fin
da subito è presente una costante che accompagnerà tutto il romanzo, il caldo rovente, che
sembra avvolgere tutti i luoghi e i personaggi in ogni momento della storia. Il tragitto che il Riccetto
fa appena uscito dalla chiesa è breve e veloce, dato che il personaggio sembra possedere i
percorsi, come se li avesse creati:
Da Monteverde Vecchio ai Granatieri la strada è corta: basta passare per il Prato, e tagliare
tra le palazzine in costruzione intorno al viale dei Quattro Venti: valanghe d’immondezza,
case non ancora finite e già in rovina, grandi sterri fangosi, scarpate piene di zozzeria. 27
Ecco quindi la prima pennellata di paesaggio, lontano da un ideale classico e ben equilibrato,
l’accento è posto sul disordine, sul convulso affiancamento di corpi non terminati, deteriorati, e
immondizia, rifiuti, ossia elementi scartati dalla vita degli individui, che però qui acquistano vitalità
ed energia e si fanno indispensabili per far respirare l’agglomerato suburbano. La folla che si
insinua in questi luoghi rende la visione ancora più completa, dando l’idea di una massa non ben
definita di esseri umani e spazi contaminati. A questo si aggiunga il calore che l’autore sottolinea
ripetutamente (“il sole spaccava i sassi”) e che integra nel lettore anche la sensazione di uno
scambio continuo di liquidi tra un individuo e l’altro, ad avvalorare questa visione unica di umani e
luoghi di borgata. Sovrasta un richiamo bucolico deformato, dove i personaggi si comportano
come se abitassero una campagna, o comunque un luogo rurale, creando un contrasto stonato e
poetico al tempo stesso:
Così passavano i pomeriggi a far niente, a Donna Olimpia, sul Monte di Casadio, con gli
altri ragazzi che giocavano nella piccola gobba ingiallita al sole, e più tardi con le donne che
venivano a distenderci i panni sull’erba bruciata. 28
Fin dalle prime pagine di Ragazzi di vita si percepisce il legame sanguigno tra i ragazzi e il fiume
ed è proprio il contatto con questo spazio che offre la possibilità di essere bambini e di immaginare
altri luoghi. Quando il Riccetto e Marcello si trovano a fare il bagno nel Tevere, la loro mente vaga
verso dimensioni sconosciute, attraverso l'apertura sconfinata che dà il mare. La loro vita limitata
ad un'eterna spola tra la borgata e il centro, non preclude la possibilità di “altro” e Ostia è come un
lido lontano dal quale poter salpare verso qualcosa di sconosciuto, che porta in seno la speranza
di cambiare un'esistenza, che essi stessi riconoscono segnata. Si tratta di un momento di acuta
sensibilità per l'autore verso un'infanzia derubata di sogni, un lieve e sussurrato ingrediente
pedagogico, che s'inserisce mimetizzato tra le battute scanzonate dei due personaggi:
«Ce sei ito mai a Ostia?» domandò a Marcello tutt'a un botto. «Ammazzete,» rispose
Marcello, «che nun ce lo sai che ce so' nato?» «Ma li mortè,» fece il Riccetto con una
26
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 58.
Ivi, pag. 5.
28
Ivi, pp. 10-11.
27
16
smorfia squadrandolo, «mica me l'avevi mai detto sa'!» «Embè?» fece l'altro. «Ce sei mai
stato co' a nave in mezzo ar mare?» chiese curioso il Riccetto. «Come no,» fece Marcello
sornione. «Insin'addove?» riprese il Riccetto. «Ammazzete, Riccè,» disse tutto contento
Marcello, «quante cose voi sapè! E cchi se ricorda, nun c'avevo manco tre anni, nun
c'avevo!» «Me sa che in nave ce sei ito quanto me, a balordo!» fece sprezzante il
Riccetto.29
Immediatamente i due si adoperano per realizzare il loro sogno e fare un giro in barca,
organizzando quindi un giro in centro per trovare il materiale da rivendere. Roma funge sempre da
punto di raccolta della “grana”, poiché nella sua abbondanza, nella sua pluralità offre possibilità a
tutti: è un centro di attrazione. I suburbi invece sono un habitat specifico per una determinata
popolazione umana, che non può vivere altrove. La borgata è una costante: al loro ritorno i ragazzi
perderanno quasi per intero la somma conquistata, in un circolo senza fine. Pasolini rende alla
perfezione l'idea di un mondo a parte, che non solo intende rimanere isolato, ma che trattiene i
suoi abitanti. E' come se la borgata si tenesse stretta i suoi figli, impedendo loro di trovare un
modo per evadere, per essere liberi. Una Vita violenta è una storia molto più “fangosa” rispetto a
Ragazzi di vita, poiché segna l'inizio della decadenza di quella speciale realtà che Pasolini
eleggeva a unica e autentica. Il sole e la calura del primo romanzo sembrano lasciare il posto a
stagioni che si susseguono improvvise e repentine, lasciando sempre spazio ad un fastidioso
freddo e ad un ambiente quotidianamente immerso nella fanghiglia e nell'umidità. I ragazzi di vita
esistevano sotto i raggi di un sole che pareva poter essere eterno, mentre Tommaso attraversa il
periodo di metamorfosi, per cui lo spazio stesso sembra deteriorarsi sotto i piedi dei personaggi.
Ci troviamo qui nel quartiere di Pietralata, nato come una delle 12 borgate ufficiali per merito di
Mussolini tra il 1935 e il 1940. Con la strada al di sotto del livello dell'Aniene, il quartiere ha subito
frequenti inondazioni tra gli anni '50 e gli anni 70, fatto che Pasolini non dimentica di trascrivere nel
suo romanzo, valorizzando l'aspetto realista, che ben si concilia con questa visione sentimentale
delle periferie romane. Una spiccata differenza s'impone quindi tra i due romanzi, che s'incentrano
su spazi simili, ma con rapporti differenti. Il fiume non è più il padre (amico o carnefice) che ospita i
giovani; nel secondo romanzo è quasi ignorato, a voler indicare la perdita dell'infanzia,
dell'immaginazione, della speranza. Infatti Tommaso e i suoi amici sono molto più inclini alle
nefandezze, già disillusi, come è possibile evincere dal primo capitolo, quando si viene a sapere
delle “cortesie” che il maestro rivolge a Lello in cambio di prestazioni; posizione che avrebbe
voluto conquistare anche Tommaso. Il paesaggio risponde al cambiamento conservando il suo
aspetto selvaggio e degradante, ma aggiungendo l'esasperazione di un'acqua che sembra voler
inghiottire tutti:
La mattina appresso Tommasino s'alzò alle sei, che ancora faceva buio, un po' pioveva e
un po' tirava vento. Col chiaro venne il sole, poi ripiovve ancora, poi tornò il sole. Verso
mezzogiorno, Pietralata era tutta fradicia, che luccicava. Sul vecchio fango secco della
spianata c'era una crosticina di fango nuovo, di cioccolata, dove i maschi ruzzolavano come
maialetti giocando a pallone.30
Tommaso viene schernito dagli amici più grandi come un “piedizozzi”, in riferimento al luogo dove
abita, «un mucchio di catapecchie» tra Pietralata e Montesacro, ribattezzato come Piccola
Shangai, la «tribù dei piedi zozzi». L'associazione del tralcio di fanghiglia, dimora di numerose
famiglie, con una città esotica, sconosciuta, che però richiama disordine e sporcizia, apre una
parentesi sui modi di relazionarsi tra i ragazzi. La miseria così penetrante in ogni suo aspetto
rende aggressivi e discriminatori i ragazzi, privandoli di ogni minimo moto solidale. Anche
Tommaso s'inserisce in questo contesto, prendendosela con un bambino, dopo lo sbeffeggio
subito. La sua reazione esplode violenta e ingiustificata, in nome dell'insulto ricevuto, in un gioco
di affermazione che lo accompagnerà fino alla fine, attraverso un costante processo di negazione
di se stesso. In Una vita violenta in effetti manca il legame e il rispetto per le proprie origini e per la
29
30
Ivi, pag 12.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 20.
17
casa, riconosciuta non solo come rifugio, ma anche come specchio di se stessi. Aspetto questo,
che si presenta invece in Ragazzi di vita, a partire dalla morte di Marcello, le cui ultime parole agli
amici, sono rivolte alla gente di Donna Olimpia, con la speranza che «nun s'accorassero tanto!»
Le dimore dei personaggi vengono descritte con poche parole, per lo più volte a puntualizzare la
quantità di brande presenti in una stanza. Il Riccetto e la sua famiglia vivono nella scuola Giorgio
Franceschi, lungo il corridoio che affianca le aule:
Dentro quelle specie di stanze si vedevano le brande e i lettucci appena fatti, perché le
donne con tutti quei figli avevano tempo di spicciare un po' soltanto il dopopranzo: e tavolini
sganganati, seggiole spagliate, stufette, scatole, macchine per cucire, panni di ragazzini
messi ad asciugare alle cordicelle.31
Si percepisce una certa allegria, anche in una situazione tutt'altro che confortevole, dove ritmo e
colore sembrano regnare incontrastati. Padrona del misero spazio è la Sora Adele, madre del
Riccetto, che si aggiusta i capelli davanti allo specchio per uscire con le amiche. Pasolini incide a
questo punto una profezia embrionale sull'apocalittica società dei consumi, prestando attenzione,
con un certo rimprovero, alla Sora Adele che si presta ad una pratica borghese, risultando quindi
ridicola. Il contrasto è con tutta evidenza la forma espressiva più efficace: in quei pochi metri
quadrati di miseria e umiltà, pregni della vita degli sfrattati a cui tutto è stato tolto, la Sora Adele si
riserva un momento di piccola soddisfazione, nutrita però in seno ad una speranza di
affermazione; il risultato è un'immagine drammaticamente grottesca, che fa apparire la donna
goffa e brutta, privandola della sua naturalezza:
teneva la scrima in mezzo e due bande di capelli arricciati e bruciacchiati che stavano duri
come se fossero di legno di qua e di là dalla fronte. Lei si pettinava impaturgnata,
aggrottando le sopracciglia e piegando la bocca con strette le forcine, come se si trattasse
dei capelli d'una ragazza, e si potesse permettere d'essere impaziente con loro e di
maltrattarli: si stava acchittando per andare in pizzeria con le amiche sue. 32
La scuola crollerà pochi istanti dopo, portando con sé, almeno per il momento, il dannoso
sentimento di rivalsa della Sora Adele, ma anche le vite di quanti condividevano la promiscuità di
quelle mura pericolanti. La stessa scena si ripete quando il Riccetto e il Lenzetta vanno a casa del
sor Antonio, dove vivono la moglie e le tre figlie. E' il momento per il Riccetto e il Lenzetta di
presentarsi per la prima volta, quasi che il confronto con l'umiltà del sor Antonio li avesse in
qualche maniera rincuorati. «Mastracca Claudio» e «De Marzi Antonio», non hanno nulla di cui
vergognarsi e si riconoscono nella povertà che corrode quella casa, minimizzando certe evidenti
carenze, come l'audace gesto di bere il caffè amaro in mancanza dello zucchero.
Contrariamente al Riccetto la famiglia di Tommaso viene citata in molteplici occasioni, soprattutto
a partire dalla seconda parte del romanzo, quando il Signor Puzzilli si conquista (o ha la fortuna di
ricevere) l'appartamento alle case popolari. Lo spazio che la famiglia occupa nella Piccola Shangai
è molto più angusto e decadente delle stanze ricavate dal corridoio della vecchia scuola dove vive
il Riccetto, e la descrizione è questa volta cupa:
La madre era di là nell'altra stanza: altra stanza per modo di dire, perchè era tutta una
bicocca, separata solo da una tenda grigia e marcita e da una paretina di cartone sopra
un'armatura di pezzi di assi tutte storte, male inchiodati. 33
Ancora una volta l'autore spinge verso la decadenza della borgata, donando un'immagine povera
e spenta, anche in questo caso impregnata dall'acqua (grigia e marcita), a sostegno della
decadenza (morale, simile alla perdizione) che interessa il popolo delle borgate. Quando la
famiglia di Tommaso si trasferisce nell'appartamento che il comune ha assegnato al Signor
31
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pp. 40-41.
Ibidem.
33
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 26.
32
18
Puzzilli, l'autore spende poche parole sulla nuova dimora, precisando la presenza di due stanze e
un bagno. Nella nuova casa mancano i fratelli più piccoli di Tommaso, Toto e Tito, che sono morti
uno dopo l'altro, prima di giungere nella “terra promessa”. Non è un caso che Pasolini faccia
morire i due bambini, incrementando la distanza tra la genuinità e la corruzione del benessere.
Toto e Tito sono i figli del popolo, i rampolli della periferia ed essendo ancora infanti sono puri e
incontaminati. L'autore preferisce quindi non collocarli nello scempio spazio che inizia le anime di
borgata al consumo e all'imborghesimento, ma li lascia nella Piccola Shangai, tra la terra che da
sempre li avvolge.
L'altro fuoco che costituisce l'ellissi dei ragazzi di Pasolini è Roma. Come già precisato, anche la
capitale è uno spazio liminare, che i personaggi attraversano durante le loro scorribande alla
ricerca di grana, oppure per gustare una forma di riscatto, come Tommaso che porta Irene in
centro per dimostrare a se stesso la svolta che lo sta interessando.
La città è la sede informe di una società in mutazione che in essa ricava i propri spazi e i propri
riconoscimenti, offre se stessa, ma non trattiene, è una prostituta, quanto la borgata è una madre.
In cambio riceve la possibilità di poter essere vissuta e quindi creata, inventata e plasmata. Ecco
come la presenta Pasolini in Ragazzi di vita, nel capitolo intitolato proprio Dentro Roma:
E tutta quella vita, non c'era solo nelle borgate della periferia, ma pure dentro Roma, nel
centro della città, magari sotto il Cupolone, che bastava mettere il naso fuori dal colonnato
di Piazza san Pietro, verso Porta Cavalleggeri, e èccheli llì, a gridare, a prender d'aceto, a
sfottere, in bande e in ghenghe intorno ai cinemetti, alle pizzerie, sparpagliati poco più in là,
in via del Gelsomino, in via della Cava, sugli spiazzi di terra battuta delimitata dai mucchi di
rifiuti dove i ragazzini di giorno giocano a palla, in coppie tra le fratte coperte di pezzi di
giornale abbandonati tra via delle Fornaci e il Gianicolo... 34
Roma non conosce dolore, sofferenza, fame, è sempre allegra, musicale, dona piacere. In questo
capitolo il Begalone e Alduccio lasciano la borgata per raggiungere il centro, per spendere la
grana che hanno rubato al Caciotta. Sono entrambi trafitti dalla fame, ma sorridono, si
rasserenano, perché Roma non permette l'affermazione del dramma di borgata.
A dritta c'era il Colosseo che ardeva come una fornace, e fuori dai buchi delle arcate fiatava
sbuffi e a colonne un fumo sanguigno, color granatina e carta di caramella, […] 35
Pasolini ci offre così una descrizione più frivola, leggera, dove il Colosseo, che arde come una
fornace, non richiama la pesantezza del caldo che squarcia le borgate, ma un fumo sanguigno,
quindi passionale e sensuale, simile alla granatina e alla carta di caramella (oggetti reperibili tra
l'altro solo in città).
Una vita violenta presenta Roma nel capitolo Notte nella città di Dio, titolo che già di per sé
introduce ad un contrasto insanabile (La Civitas Dei è la dimensione spirituale, la Civitas Terrena è
la perdizione), dove le nefandezze dei ragazzi inseguono il vizio e il piacere in un contesto di
assoluta amoralità. Le peripezie dei giovani in città prendono quota quando decidono di rubare
un'automobile, per poter commettere poi rapine in tranquillità. Il furto viene messo in atto da Lello,
in un clima di ebbrezza collettiva e di eccitazione, come a premettere qualcosa di ben più
eccezionale. E' un gioco, è un modo per i ragazzi di condividere un'esperienza, di fare qualcosa
tutti insieme. La presenza di questo senso di associazione li rende particolarmente coraggiosi e
pronti a tutto; si sentono forti e invincibili e desiderano conquistare la città di Dio.
«Aòh, 'd'annamo aòh,» rifece altrettanto allegro Tommaso. Il Cagone si voltò di sguincio,
reggendo i fili, aprì la bocca e fece: «A vive!» 36
34
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 166.
Ivi, pag. 168.
36
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 55.
35
19
La vita si presenta allora in un momento di sfogo, di libidine a tutti i costi. Non è la grana il fine
ultimo dell'azione, ma il valore della conquista, l'esercizio di autoaffermazione, è importante essere
i più “dritti”. Attraversano i lungoteveri (vita e fiume sono sempre intrecciati) e decidono infine di
rapinare degli stranieri, per poi lanciarsi in altre azioni criminali. I ragazzi non fanno che ripetere
«Mo' 'nd'annamo?», una domanda esistenziale più che di circostanza: una gioventù priva di
aspettative, che vive alla giornata, ma fa parte di un circolo vizioso, senza possibilità di uscita.
Sembra quasi un preludio questa domanda così ripetitiva, a cui il lettore in realtà sa già
rispondere: la morte se li porterà tutti via seppellendo insieme alla borgata il suo popolo. Il capitolo
in effetti termina con un grave incidente che renderà Lello disabile, privandolo per sempre
dell'integrità fisica, quindi della dote che rende scaltri e potenti i ragazzi di vita. Lo stesso
Tommaso guarderà l'amico Lello con compassione, senza sapere che anche lui è destinato ad
una profonda agonia. E' quindi una Roma seducente e pericolosa quella di Pasolini, che si
allontana da descrizioni manieristiche, e dipinge a scatti, attraverso i passi frettolosi dei ragazzi.
Un luogo attraente e pericoloso, che comunque sia chiede sempre un prezzo.
Ci sono infine gli spazi liminari minori, in cui i personaggi transitano occasionalmente: il carcere e
l'ospedale o sanatorio. Il carcere si presenta come una citazione costante lungo entrambi i
romanzi: a volte è una destinazione, altre un esilio; altre ancora una minaccia. Certo è che
Pasolini definisce la detenzione con i termini di un passaggio all'età adulta, così che quando un
ragazzo di vita entra in carcere, ne esce uomo. E' il caso del Riccetto che finisce dentro per tre
anni per un crimine che non ha commesso, così da avvalorare il ruolo educatore del carcere, che
sussiste a prescindere dalla legge. Il personaggio subisce in carcere un cambiamento radicale,
abbandonando per sempre la fanciullezza. Pasolini rende evidente la mutazione limando
l'importanza del Riccetto all'interno della narrazione e contaminandolo di cinismo fino a renderlo
un Ponzio Pilato durante l'incidente del piccolo Genesio. Anche Tommaso entra in carcere per due
anni, ma questa volta la prigione non segna solo la crescita del ragazzo, ma anche il passaggio
alla seconda parte del romanzo e quindi alla disfatta delle borgate. E' infatti a partire dal ritorno a
casa d-i Tommaso che si apprende il trasferimento della famiglia Puzzilli nel nuovo appartamento,
della morte dei fratellini e delle intenzioni di riscatto del giovane, che vuole sposarsi, aderire ad un
partito politico e rientrare negli schemi sociali. L'ospedale e il sanatorio, segnano due sviluppi ben
diversi nelle due opere. In Ragazzi di vita circoscrive il passaggio dalla vita alla morte di Marcello,
mentre in Una vita violenta il sanatorio accompagna Tommaso verso la consapevolezza politica,
tramite l'incontro con i militanti del PCI. Tuttavia s'intuisce subito che la coscienza politica non
conquista Tommaso, ma è solo un modo per riconoscere se stesso attraverso azioni illecite che
portano la bandiera ideologica. Uscito dal sanatorio s'iscriverà al partito, intuendo fin da subito la
piccolezza della realtà che si accinge a vivere e riconoscendo nei rappresentanti politici gente di
borgata che nessuna storia potrà mai mutare.
2.3 Il tempo
Il tempo è un'ulteriore tonalità di cui l'autore si serve per caratterizzare i suoi personaggi. Non si
tratta in effetti di un semplice insieme di figure, quanto di un vero e proprio carattere speciale dei
ragazzi di vita, che nel tempo crescono e si modificano fino all'età adulta. L'ordine degli eventi è
piuttosto cronologico, anche se sono frequenti le analessi che spiegano fatti accaduti e tralasciati
dalla narrazione, solitamente concentrate negli sviluppi di circostanze negative, come la morte o la
malattia. I momenti in cui il tempo della storia e quello del racconto coincidono prevalgono,
attraverso il dialogo, che è l'elemento vitale. La durata del racconto comprende per entrambi i
romanzi una manciata non determinata di anni che segnano il passaggio dall'adolescenza all'età
adulta dei ragazzi, tra i quattordici e i vent'anni, tenendo presente che sia il Riccetto che Tommaso
passano rispettivamente tre e due anni in galera. Inoltre è possibile scorgere una sorta di
continuità temporale tra le due opere, così da trasmettere l'andamento decadente della realtà
descritta, fino alla morte di Tommaso, che segna l'estinzione della civiltà di borgata. Tuttavia il
fattore temporale interessa anche aspetti più caratterizzanti, che si dimostrano agenti attivi
20
all'interno della storia e forgiano situazioni, circostanze e reazioni. E' interessante notare come le
azioni dei ragazzi siano sempre dettate da una certa frenesia, per cui non esiste contemplazione o
riflessione, ma un moto continuo e improvviso di cause e conseguenze. Questo ci porta a
riconoscere l'attenta ricerca dell'autore sulle personalità dei suoi attori, lontani da un dialogo con
se stessi, in una esasperata e costante gara con gli eventi per soddisfare necessità materiali o
ambizioni. L'avanguardia letteraria del primo novecento, che stravolge la percezione temporale
ordinaria attraverso l'esplorazione dei procedimenti mentali, dei loro sviluppi e delle loro
contraddizioni, sembra in qualche maniera dimenticata, o comunque riconosciuta non reale.
Pasolini si dimostra estremamente coerente nel tralasciare dei metodi espressivi che si
concentrano su una dimensione piuttosto borghese e che non calzano in nessun modo in una
realtà impulsiva, naturale e umana come quella presa in considerazione. Semplificando:
l'esperienza soggettiva di Mr Bloom, che attraverso il contatto con la realtà produce un flusso di
coscienza che si trasforma in una sorta di viaggio/sfida col proprio io, è un risultato fin troppo
elaborato, che interessa soggetti ordinari, inseriti in ordinari sistemi. L'avanguardia letteraria è fatta
dalla borghesia per la borghesia. I ragazzi di vita, ben lontani dall'introspezione, necessitano di
una narrativa spedita, spoglia dei fronzoli filosofici e psicologici, che procede sicura, come loro,
senza interrogare la coscienza. Ecco quindi come il tempo non cade nelle dilatazioni, ma
prosegue nel suo incessante sgretolare gli eventi e le circostanze. Sembra inoltre che l'attenzione
dell'autore sia posta nei momenti che precedono o seguono il culmine dell'azione, adottando
quindi un ritmo sincopato che sposta l'accento da un tempo forte ad un tempo debole. Le cause e
le conseguenze offrono un ampio margine di trattazione, che si concentra spesso nel moto febbrile
dei personaggi, mentre l'evento principale viene narrato per sommi capi, a volte anche tralasciato
e poi ripreso con le analessi, in un deciso tentativo ad allontanare la drammaticità. Questa scelta
letteraria può essere attribuita in realtà, oltre ad una certa acquisizione dei valori classici,
all'intenzione di slegare l'attenzione da un fine, che è quello che propone il romanzo tradizionale,
per entrare nel vivo dei processi vitali dei ragazzi. E' come se l'apice dell'azione perdesse
d'importanza in un contesto in cui tutto ciò che lo precede e lo segue è avvolto in una massa non
ben contenuta di azioni, reazioni, eventi improvvisi, deviazioni ecc... La morte di Genesio ad
esempio è narrata attraverso una crescente frenesia che descrive il bambino alle prese con
l'inaspettata corrente dell'Aniene e i momenti successivi alla morte, quando il Riccetto fa le sue
considerazioni. L'apice dell'azione è descritto in poche parole:
[…] finalmente quand'era già quasi vicino al ponte, dove la corrente si rompeva e
schiumeggiava sugli scogli, andò sotto per l'ultima volta, senza un grido, e si vide solo
ancora per un poco affiorare la sua testina nera. 37
L'attenzione dell'autore sembra rivolta più ai particolari, come la corrente “che schiumeggia” sugli
scogli” e la “testina nera” del ragazzino che all'evento sovrano, ossia la morte, che viene in questa
maniera alleggerita e addolcita. Non si assapora il dramma, ma solo una conseguenza.
Il susseguirsi degli eventi è scandito dal passaggio del giorno alla notte, che permette l'emergere
degli istinti più brutali. E' durante la notte che il Piattoletta viene bruciato; è soprattutto di notte che
i ragazzi si rivolgono alle prostitute; è di notte che Tommaso e i suoi amici rubano l'auto e
compiono diverse rapine. Nella naturalezza di una civiltà che sorge spontanea alle porte della
post-modernità, il buio offre la possibilità di rendere manifesta un'istintualità castigata e repressa
dalla società civile.
37
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 217
21
III
3.1 Mostri di borgata
Lo studio del personaggio nella narrativa di Pasolini, apre in realtà le porte ad un'esperienza molto
più umana e coinvolgente di quanto possa permettere una ricerca accademica. Nelle parole del
Riccetto, di Alduccio, Lello o Tommaso non è depositata solo la preziosa documentazione di
un'epoca perduta, ma anche l'inestimabile personalità di un autore che l'Italia rimpiange di non
aver indagato abbastanza. Al di là del mito, fermentato sul suo carattere eretico e cresciuto attorno
al mistero della sua morte, si erge l'uomo dall'aspetto delicato, la voce sottile e i modi incerti,
dotato di creatività e intuizione, abbruttito dalla solitudine. Quest'uomo è quanto mai vivo nei luoghi
da lui amati, vissuti e sognati, nei volti esplorati attraverso l'arte e l'umanità, nel linguaggio delle
creature a cui ha fornito l'espressione. Ragazzi di vita e Una violenta non sono opere provocatorie,
ma manifesti di vitalità ed energia, che rendono serena la morte, splendido il degrado, preziosa la
povertà. E' in questo scenario che è ancora possibile dialogare con Pasolini, mimetizzato, con la
discrezione e il rispetto di un devoto, tra le bande di ragazzini che infestano i “prati bruciacchiati” di
Monteverde, o le strade allagate di Pietralata. Tra le avventure sconclusionate dei suoi
22
personaggi, vive con impeto l'amore fisico e spirituale dell'autore per le borgate; un sentimento
che
sembra riscaldare la sua solitudine con la possibilità di sentirsi simile tra i diversi. Un'associazione
spontanea e azzeccata, tra una civiltà prossima alla fine, ibrida e mostruosa e un uomo
dall'identico destino: Pasolini non è ispirato dalla borgata, ma racconta se stesso attraverso la
realtà che più sente familiare. Ecco allora che il contrasto con le proprie origini diviene insanabile e
violento, la contraddizione si dilata e divora l'intera esistenza dell'autore, che finisce per essere un
mostro, come i suoi ragazzi: in costante metamorfosi, indefinito, outsider e ben presto accusato di
violenza, devianza, oscenità. Un perfetto Quasimodo, emarginato e incompreso, di cui i più
vedono solo la deformità; un Gwyneplaine travisato, condannato ad un'espressività
perpetuamente incompresa. E' nelle parole di Franco Citti, che risuona l'identificazione di Pasolini
con i ragazzi di vita:
Che c'è di strano, per esempio, se adesso, se alla mia età, io vedo me, quello che non sono
mai stato, quello che non ho mai potuto essere, in mio figlio, in un ragazzino... 38
Le parole dell'attore, così toccanti e pregne di nostalgia, si riferiscono all'ultimo dei suoi figli, con il
quale avviene quasi una catarsi, che permette a Citti di vivere la dimensione dell'infanzia per la
prima volta. Così lo stesso Pasolini vive nei suoi ragazzi la libertà che la sua condizione sociale gli
ha sempre sottratto, dove l'immoralità non esiste e la vera onestà è quella che si prova verso se
stessi. Pasolini vive una sensualità prepotente e dominante che non solo influenza la sua
esperienza comunicativa, ma che funge da oggetto di ricerca, fine ultimo. All'interno delle
considerazioni sull'attività intellettuale, l'impegno politico e critico dell'autore, spesso è stato dato
per scontato l'aspetto intimo e individuale, che lo caratterizza come ogni uomo. L'omosessualità
ha per molto tempo sostituito, o comunque limitato, una ricerca all'interno del cosmo emotivo e
affettivo di Pasolini, precludendo una comprensione più sensibile e confidenziale. Tra innocentisti
e colpevolisti, sesso e Pasolini è un binomio da sempre seguito da una scia di termini abusati,
come pedofilia, violenza, diversità, esclusione, emarginazione, coraggio, identità...come se doti e
difetti dovessero per forza provenire da questa ambiguità affettiva. Sarebbe invece molto più
saggio interrogarsi sul valore che l'autore affida al corpo, ai tratti del volto, ai dettagli fisici,
prestando attenzione alla sfera estetica, alla passione che suscita, ai sensi che risveglia, al
pericolo che evoca. L'esordio narrativo è per l'autore la possibilità di spiegarsi, di offrirsi come
poeta e come persona. Dopo i fatti di Ramuscello, è infatti costante e tesa la critica attorno alla
sua discussa personalità e il confinamento politico e sociale fungono da cella di isolamento.
Raccontare la nuova, esaltante esperienza a Roma è il modo per uscire allo scoperto, tornando a
comunicare, accentando se stesso. E' quindi entusiasta lo spirito con cui Pasolini si approccia al
primo romanzo, donandosi totalmente all'incontro con l'altra parte di sé, che cresce e prende
consapevolezza tra le borgate romane. Ragazzi di vita e Una vita violenta sono opere destinate
alla borghesia39, ossia al complesso retaggio socio-culturale causa del profondo senso di
smarrimento dell'autore. Non si tratta solo del manifesto di una realtà contraddittoria,
dell'integrazione ad una storia parzialmente scritta, di una dimensione volutamente ignorata, ma
anche di una confessione appassionata e sincera: io sono Pasolini, discutibile, provocatorio,
esagerato, manieristico e minimale, fuori luogo, grottesco. Carnero si propone di riportare alcune
tra le critiche più negative sorte dopo la pubblicazione di Ragazzi di vita, pubblicate da Naldini nel
testo Pasolini, una vita. E' rilevante quanto l'aspetto letterario discusso riguardi in realtà la
persona.
Il libro, nel suo insieme, a noi non offre alcun elemento per la valutazione […] positiva.
Pasolini è alle sue prime battute sulle scene letterarie, ma il suo ingresso è avvenuto con
una foga esagerata, simile all'attore poco esperto che, per impressionare fin dalle prime
parole, cade nel grottesco. [Gaetano Bisol, 1955]
38
39
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 13.
Roberto Carnero, Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini, Bompiani, Milano, 2010, pag. 89.
23
Pasolini sceglie apparentemente come argomento il mondo del sottoproletariato romano,
ma ha come contenuto reale del suo interesse il gusto morboso dello sporco, dell'abbietto,
dello scomposto e del torbido. [Salinari, 1960]
Tutto trasuda disprezzo e disamore per gli uomini, conoscenza superficiale e deformata
della realtà, morboso compiacimento degli aspetti più torbidi di una verità complessa e
multiforme […] Ad una cronaca falsificata è giusto opporre la vera cronaca, la vera storia
dei giovani popolani di Roma. [Giovanni Berlinguer]
L'entourage di sinistra rinfaccia a Pasolini il decadentismo accentuato con cui viene descritta la
classe sottoproletaria, a dispetto del “realismo socialista”, che pretende un ritratto filtrato da una
componente cattolica, per cui l'umiltà si fa portatrice di valori morali, in un processo di redenzione
sociale. Ciò che sembra davvero urtare parte della critica è la particolare verve scandalosa, a cui
viene riferito un carattere forzato e decisamente troppo temerario, che trancia di netto ogni minimo
spiraglio realista, per una elaborazione artificiale e intellettualistica.
Questo bilinguismo, friulano e romanesco, cui va ad aggiungersi l'amalgama dell'italiano, mi
sembra che indichi, nel Pasolini, insieme ad altre cose, una forte prevalenza del fondo
letterario, intellettualistico ed estetizzante. Tipicamente intellettualistica, riferendoci qui
soprattutto a Ragazzi di vita, è l'esagerazione con cui sono presentate la sfrenatezza e la
barbarie di quelle esistenze miserande. Pasolini carica i fatti fino al grottesco e ripugnante;
si dà al turpiloquio, per paura di essere preso per un letterato. Ed è proprio così che più lo
diventa. [Emilio Cecchi, 1995]
Pasolini e i suoi ragazzi risultano quindi inaccettabili come reali, forse a sottintendere che non si
concepisce reale una dimensione in mutazione, senza forma, eccessiva in ogni sua deformazione:
sarebbe come considerare reale una caricatura. Anche se il processo di rivalutazione dell'autore
ha reso i ragazzi di borgata uno dei ritratti più apprezzati del novecento italiano, si tende sempre a
privilegiare una comoda interpretazione per così dire antropologica, dimenticando ciò che rende
unica l'espressione pasoliniana, ossia la rappresentazione di un io sofferto, principio di ogni arte.
Così come per Gide, i corpi assumono l'aspetto di un centro d'attrazione contaminato dalle regole
borghesi, sporco e brutto a pensarsi possibile. E' un percorso di liberazione, messo alla prova dal
sistema che pur rifiutato agisce sui propositi e sulle scelte, a suggerire che la vera difficoltà è
vivere la libertà.
Alla vista della bella pelle abbronzata e come penetrata dal sole di alcuni contadini che
lavoravano nei campi vestiti alla meglio, con la camicia aperta sul petto, fui invogliato ad
abbronzarmi anch'io. Un mattino, spogliatomi, mi guardai; quando vidi le braccia troppo
magre, le spalle, che anche con il maggiore sforzo non riuscivo a raddrizzare, ma
soprattutto la bianchezza, o meglio la mancanza di colore della mia pelle, provai vergogna e
gli occhi mi si riempirono di lacrime. 40
Gide abbraccia la purezza classica nei corpi mediterranei, che lo distaccano dalle sue cupe origini
europee. Il sole (come per Pasolini) è ancora una volta elemento sovrano di vitalità ed energia,
che se da un lato classifica civiltà lontane dai processi culturali e produttivi (già Mme de Staël
aveva affrontato l'argomento nell'opera De la littérature considerée dans ses rapports avec les
insitutions socials), dall'altro provoca l'insanabile attrazione verso una diversità quasi esotica.
Pasolini ha un approccio molto più carnale con i corpi, all'insegna dello squilibrio e
dell'esagerazione: non è la virilità che lo affascina, ma questo “lignaggio brigante”, che rende i
ragazzi così unici e simili e perpetuamente legati alla terra, nella loro metamorfosi spontanea,
come piante selvatiche. Allo stesso tempo conservano uno splendore mitologico, ricavato dal
rapporto tra l'aspetto mostruoso e l'equilibrio interiore, che li rende padroni, forse domatori, delle
situazioni.
40
Cfr. Gide, L'immoralista, Garzanti, Milano, 1965, pag 175.
24
- in una Roma trasteverina dai ragazzi bruni come statue incastrate nel fango... 41
Ammassi di carne infelicemente adattata allo scheletro a sua volta scollato, plebeo. Alito
sicuramente cattivo. Bocca, magari apparentemente florida, che un po' alla volta rivela una
piega stantia, stupida, da broccoli, certo, meglio che da baci: una sicurezza quasi urtante. 42
I capelli gli stanno appiccicati come quelli delle statue, appunto, ma ariosi e nervosi, ardenti
di un capriccio tutto armonia.43
Questi frammenti, tratti da Squarci di notti romane (Alì dagli occhi azzurri), riportano in maniera più
poetica che narrativa l'incontro dell'autore con la Roma sottoproletaria, secondo una reazione
quasi incantata. L'immagine è indispensabile all'espressione e il gusto varia da principi classici a
temperamenti barocchi, in cui si riconosce il sentito omaggio al grottesco. E' come se Roma
suscitasse nell'autore uno zibaldone di impressioni che si traducono nei modi più diversi, dalla
poesia, alla narrativa, al cinema, al semplice appunto.
E' qui che si delinea il corpo di Alì, rappresentante dei popoli diseredati, che covano nella loro
violenza arbitraria “il germe della storia antica”, rendendosi quindi discendenti sacri. Pasolini ne dà
un ritratto fisico ben preciso:
Saranno con lui migliaia di uomini coi corpicini e gli occhi di poveri cani dei padri [...] 44
Il continuo riferimento a corpi piccoli, fragili, malnutriti, porta in sé il significato di vita, intesa al di là
di ogni ragionamento e congettura metafisica, quasi a far pensare che la sofferenza sia una
condizione necessaria all'esistenza. C'è un sapore molto forte di cattolicesimo, anche se Pasolini
è più un osservatore che un fedele, e nessun particolare della realtà sfugge alla sua attenzione: il
benessere allargato è autore della decadenza culturale; il benessere allevia, a volte sopprime la
sofferenza; il benessere crea corpi omologati (il primo intervento di Pasolini riportato su Scritti
corsari insiste proprio su questo). La sofferenza deforma, plasma, consuma, e ogni corpo risponde
a modo suo.
Ragazzi di vita e Una vita violenta sono titoli accomunati dal termine “vita”, che può assumere più
significati: nel primo caso il termine ci spinge ad abbracciare un senso di libertà e vitalità,
confinando l'esperienza alla fascia della fanciullezza, come se la “vita” appartenesse a quel
determinato periodo; nel secondo romanzo assume un valore molto più cupo, che s'inserisce in un
contesto formativo e premette una situazione di criminalità e disagio. In entrambi i casi è naturale
pensare ad esistenze precarie, all'insegna dell'espediente. Non si può dimenticare infine il valore
che in gergo si dà alla frase fare la vita, riferita alla prostituzione, che lascia aperto il discorso
sull'ambito sessuale ed erotico dei due romanzi. Gli stessi ragazzi si vendono e hanno i loro unici
rapporti con le prostitute, annullando in un certo senso la sfera affettiva, che entra a far parte di
quell'inesorabile motore che sono i bisogni. In questo contesto nascono e crescono i mostri di
borgata, che l'autore ama presentare in maniera impressionista e istintiva. Le descrizioni che
Pasolini fornisce sui ragazzi sono sempre molto sfuggenti, qualche particolare o dettaglio riescono
a rendere pienamente l'immagine.
Tommasino si fece avanti con la pancetta contro lo spigolo del tavolo pure lui, e gli occhi gli
luccicavano di rabbia tra le lenticchie della faccetta unta. 45
41
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano, 2007, pag. 8.
Ivi, pag. 13.
43
Ivi, pag. 16.
44
Ivi, pag. 491
45
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 15
42
25
Gli occhietti celesti quasi bianchi, parevano quelli d'un cecato, sotto i riccioletti essi pure
inguacciati di polvere e moccio.46
[…] con tutto che, in conclusione, non c'avevano mai una lira in saccoccia e avevano due
facce da pidocchiosi peggio di prima.47
Il Riccetto se n'era uscito presto di casa, tutto linto e pinto e con la saccoccia di dietro dei
calzoni bella gonfia. Vide subito, in mezzo a un comizio di giovanotti, che stavano a
discutere gridando davanti al portone delle Case Nòve, Rocco e Alvaro: vestiti da lavoro,
perché ancora si dovevano lavare, con certe brache di tela gonfie sul cavallo e strette alla
caviglia che dentro, le loro gambacce si muovevano come fiori nel vasetto, incrociate come
quelle dei militari nelle fotografie: e con quelle due facce, lì sopra, che parevano due pezzi
del museo criminale conservati sott'olio. 48
L'uso del doppio registro linguistico e l'atteggiamento narrativo ibrido permettono a Pasolini una
sorta di intimità con i suoi personaggi, che scava nelle intenzioni di certi atteggiamenti e pose,
protagonisti unici di qualsiasi descrizione. L'autoreinfatti non si perde nei tratti fisici, ma preferisce
includere similitudini, riflessioni, paragoni, tratti dalla realtà interessata. Il risultato è una
presentazione schietta e informale, che spazia dalla fisicità all'universo personale, passando per
“usi e costumi”. L'aspetto più interessante è che i personaggi vengono descritti con contenuti e
forme che loro stessi userebbero (gli occhi azzurri che sembrano quelli d'un “cecato”, le facce da
pidocchiosi, la faccia unta), tanto che il senso della finzione e dell'artificio è molto sottile.
L'immagine a cui i ragazzi aspirano è quella da “fijo de na mignotta”, ossia da “dritto”, da duro. Le
gerarchie si fondano infatti sull'anzianità e sui precedenti penali, che hanno una loro
corrispondenza sui corpi, cosicché è dallo sguardo o dalla camminata di qualcuno che si può
capire “quante ne ha combinate”.
In quei due anni il Riccetto s'era fatto un fijo de na mignotta completo. 49
(Amerigo) camminava mettendo un piede davanti all'altro con una faccia così cattiva che in
qualsiasi parte del corpo uno lo toccava pareva che dovesse farsi male. Strascicava i passi,
come un bocchissiere un po' groncio e invece, in quella camminata cascante, si vedeva
ch'era pronto e svelto peggio d'una bestia. 50
(Lello) se ne andava giù sotto i portici, con le mani in saccoccia, il petto in fuori e la faccia
da fijo de na mignotta.51
Il Cagone se ne stava addossato alla colonnetta, accanto a Lello, come un sacchetto di tutti
stracci, col baveretto del cappotto tirato su (…) e lui approfittava di sembrare così un coso
buffo per fare ancora più il dritto.52
I ragazzi di Pasolini presentano pieghe della bocca, occhi cattivi, polvere nei capelli, e sono vestiti
da abiti sempre o troppo larghi o troppo stretti, in un eterno disordine. La loro fisicità è mostruosa,
come corpi in metamorfosi, consumati e o sviluppati a metà, grigi, sporchi. Anche Quasimodo e
Gwyneplaine posseggono a loro volta un aspetto atroce, che basta da solo a rendere grottesca
l'intera storia che li coinvolge. Ma cos'è che realmente caratterizza le figure dei ragazzi di vita e dei
personaggi di Hugo? Al di là della loro emarginazione dalla sfera sociale, ciò che li accomuna in
mostruosità è l'infanzia derubata di cui sono tutti vittime. Si tratta infatti di giovani a cui gli adulti
46
Ivi, pag. 27.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 33.
48
Ivi, pag. 34.
49
Ivi, pag. 30
50
Ivi, pag. 74.
51
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 80.
52
Ivi, pp. 41-42.
47
26
hanno inflitto violenza esplicita (Quasimodo e Gwyneplaine) e implicita (personaggi di Pasolini),
rendendoli cinici, violenti o deformi. Nell'aspetto grottesco dei personaggi di Hugo si legge infatti
tutta l'indifferenza e la crudeltà degli adulti, che estesa in metafora è l'atteggiamento opportunista
delle classi dirigenti. Il gobbo e l'uomo che ride sono sfregiati da questo sentimento di
prevaricazione, ma sono allo stesso tempo salvi, poiché la diversità li ha tenuti lontani dalla
corruzione umana. I ragazzi di vita sono anche loro bambini soli, che i genitori non sono in grado
di proteggere e che per affermarsi devono competere con gli adulti. L'affetto familiare nei due
romanzi è infatti un ingrediente molto scarso, che si presenta sporadiche volte, come alla morte di
Marcello (in Ragazzi di vita), o in alcune vicende di Tommaso, senza però assumere grande
importanza. Esiste una certa emulazione degli adulti, ma confinata agli aspetti violenti o di
sopravvivenza, mentre manca totalmente la capacità di accudire i propri figli; le madri infatti
vengono tutte rappresentate come donne deboli, che nella stenta di fattrici e nutrici, non trovano le
forze per educare. A volte, come nel caso del Cagone (Una vita violenta), le madri sono prostitute,
altre invece, come per Alduccio (Ragazzi di vita), sono delle insoddisfatte nevrotiche, che finiscono
per provocare la rabbia dei figli. Per i personaggi di Pasolini non esiste salvezza: i loro corpi sono
destinati a deteriorarsi e le loro esistenze sono perennemente in bilico tra vita e morte, senza che
questo abbia particolare peso nelle loro coscienze. Il rapporto frivolo dei ragazzi con la morte è
uno degli aspetti più inquietanti per il lettore, che tradizionalmente, culturalmente e socialmente
abituato a speculazioni metafisiche sul termine vita, rimane spiazzato davanti a tale rapporto. Un
segno di mostruosità questo che prende forma nella narrativa di Pasolini, inducendo un senso di
non accettabilità di certi meccanismi. Si rimane spiazzati nel leggere come il Piattoletta (Ragazzi
di vita) venga bruciato vivo per gioco, aspettando fino alla fine del racconto che la banda rinunci
all'atroce atto o che qualcuno dei personaggi si adoperi per salvare il piccolo. Non solo niente di
tutto ciò avviene, ma l'autore rinuncia addirittura a svelare l'esito di quest'azione, limitandosi a
descrivere minuziosamente i tragici momenti del sacrificio umano, tra l'esaltazione e l'eccitamento
dei presenti.
Ma benché così appeso il Piattoletta continuava a dar calci e ad agitarsi, gridando. Gli altri
ripresero le danze intorno a lui e strillarono più forte: «Ihu, ihu, ihuuuu,» stando però a una
certa distanza per non essere colpiti dai calci che il Piattoletta allentava all'aria. 53
Anche la morte di Marcello (Ragazzi di vita) lascia perplessi, poiché si sviluppa in brevissimo
tempo e con una sorta di approssimazione narrativa, che sorvola sulla tragicità della morte di un
bambino e si concentra sulle ultime battute, che sembrano quasi ironiche. La morte, come la vita,
non è legata a significati, ma solo a cicli di necessità e tale semplificazione si traduce in violenza
per un destinatario borghese e contemporaneo. C'è qualcosa che risulta perennemente stridulo:
Se proprio non era come quel ragazzino compagno suo che un giorno ch'erano al Delle
Terrazze assieme, uno gli venne a dire: «A coso, cori a casa che tu madre nun ze move
più,» e il giorno dopo, quando il Riccetto gli chiese: «Come sta tu madre» quello fece un
sorrisetto e disse: «E' morta.» «Che?» fece il Riccetto. «E' morta, è morta,» confermò l'altro,
divertito per la sorpresa del Riccetto.54
[…] come quel tipo che abitava vicino alla Rotonda che un giorno, con un amico suo, aveva
pestato un froscio, per rubargli un par di mila lire, e quando il compagno suo gli disse:
«Aòh, l'avemo ammazzato,» senza manco guardarlo quello rispose: «E che me ne frega.» 55
53
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 156
Ivi, pag. 30.
55
Ibidem.
54
27
3.2 I personaggi
Ogni personaggio di Pasolini, ha una storia e delle peculiarità tutte personali, a partire dai nomi
che sono spesso alterati in diminutivi, vezzeggiativi o in soprannomi distintivi di qualche difetto o
pregio. E' possibile conoscere qualcosa di loro attraverso il rapporto che hanno con i protagonisti,
il dialogo, oppure tramite qualche sporadica informazione dell'autore. All'interno della storia alcuni
di loro vengono appena citati, altri presentano invece un vero e proprio spessore narrativo, anche
se i momenti in cui esprimono veramente la propria essenza è quando si trovano assieme.
Tuttavia si può tentare di rintracciare alcune peculiarità dei mostri di borgata:
Marcello: Compare a partire dal primo capitolo di Ragazzi di vita come compagno del Riccetto nel
furto al Ferrobedò e vive ai Grattacieli con la sua famiglia. E' esuberante, sempre a caccia di
grana, ottimista e d'iniziativa. E' bugiardo e spiritoso, come quando racconta al Riccetto di essere
nato a Ostia e di essere stato in barca a vela. Nell'ultima scena del Ferrobedò, lo vediamo tirar
fuori tutto il suo istinto sadico, nel tentativo di non far salvare la rondine al Riccetto, dato che “era
così bello vedella se moriva!”. Tuttavia riconosciamo in lui la tenerezza e l'allegria dei bambini
quando sceglie il suo cucciolo da Zambuia per una piotta. Muore per le ferite riportate nel crollo
della scuola Franceschi, dopo un'agonia che lo porta a non nutrirsi più e a spegnersi piano piano.
Le ultime sue parole prima di morire sono rivolte alla gente del quartiere: «E salutateme tutti a
Donna Olimpia, si è proprio ch'io non ce ritorno ppiù...E diteje che nun s'accorassero tanto!»
Agnolo, Oberdan, Rocco e Alvaro, fanno parte della prima parte del romanzo e sono quindi
ancora connotati da una certa fanciullezza, sebbene siano già dediti alla criminalità. Non
presentano una vera e propria descrizione e l'autore si astiene da qualsiasi spiegazione. L'unica
cosa che si sa è che Agnolo è rosso di capelli (roscetto), forse a precisare con un po' di malizia la
sua indole (come Rosso Malpelo). Rocco e Alvaro sono gli amici che accompagneranno il Riccetto
a Ostia per il suo primo incontro sessuale con la prostituta Nadia, mentre al contrario del
protagonista sembrano essere già esperti e assidui frequentatori. La loro meschinità si scopre
attraverso il complotto ordito insieme alla prostituta per rubare i soldi al Riccetto. Di questi
personaggi non si sa più niente fino alla fine del romanzo, quando il Riccetto incontra Agnolo e
chiede degli altri. I ragazzi lavorano tutti, tranne Alvaro che dopo il furto di un macchina si è
schiantato ubriaco nella parte posteriore di un autotreno rimanendo cieco e senza un braccio. La
perdita dell'integrità fisica pregiudica la decadenza del personaggio e chiude in qualche maniera i
ponti con la dimensione dell'infanzia.
Il Caciotta viene presentato insieme ad Alduccio e il Begalone a partire dal terzo capitolo Nottata
a Villa Borghese, che introduce l'età adulta con dei veloci fotogrammi dove i personaggi vengono
ritratti in pose plastiche, proprio come statue greche. Questo espediente permette di proiettare il
lettore in un tempo posteriore rispetto l'inizio del romanzo, caratterizzando i giovani di una bellezza
virile. Il Caciotta subentra come nuovo compare di scorribanda del Riccetto e assume subito dei
tratti sguaiati come il piacere di insultare le persone nel centro della città, motivato forse dal
rancore di classe. Sembra inoltre più inserito del Riccetto nella piccola criminalità (è lui a
presentare Amerigo al Riccetto) e fa la parte dell'esperto e del tentatore nei confronti dell'amico,
atteggiamento che gli costerà la galera. L'unico momento in cui si spoglia del suo fare da bullo è
quando incontra un vecchio amico in autobus e si abbandona ai ricordi d'infanzia, mostrando una
certa nostalgia.
Amerigo è la vera essenza dei mostri di borgata e l'autore gli dedica diverse attenzioni pur
essendo un personaggio del tutto marginale.
[…] C'era uno di Pietralata, nero di faccia e di chioma come una serpe, un cristone che gli
altri gli arrivavano tutti sotto le ascelle […] 56
L'imponenza del giovane è ciò che lo rende per natura superiore agli altri (nel mondo della borgata
la fisicità può decretare la sopravvivenza o la morte), mentre il volto e la chioma scuri gli
conferiscono un'aria minacciosa e mitologicamente oscura, come appunto la serpe. Amerigo ha
56
Ivi, pag. 71.
28
dei modi molto morbidi e tranquilli che per contrasto vengono recepiti come intimidatori, tanto che
nessuno ha il coraggio di contraddirlo. Eppure la sua violenza non è esplicita e l'aggressività è
velata da un controllato intento comunicativo, tanto che invece di prendersi i soldi del Riccetto lo
convince a giocare. Il suo talento sta nella sapiente gestione della situazione:
Col Caciotta e il Riccetto continuava a fare il ragazzo serio, che non pensa manco per
niente alla forza che c'ha e alla reputazione di meglio guappo di Pietralata […] 57
La fine di Amerigo è decisamente eroica ed è forse l'unico momento in cui la vita acquista un
valore all'interno di questa realtà. Il giovane infatti dopo mille peripezie viene arrestato e ricoverato
al Policlinico, dove pur di essere libero si butta dalla finestra. Questo gesto dona alla figura di
Amerigo un grande spessore morale, che non si trova negli altri personaggi. Il Riccetto stesso
rimane colpito dalla sua morte e decide di partecipare ai funerali, come segno di devoto rispetto.
La fisicità così prepotente di Amerigo esplode anche nella morte e Pasolini riporta un'incantevole
descrizione del suo volto, che pare essere quello di sempre, tanto che non si sa se Amerigo fosse
morto prima di quel momento:
[…] ma il colletto gli stava ancora sbottonato alla malandrina incorniciandogli il volto che era
stato da morto anche quando era vivo. Tanto che pareva si fosse appena addormito, e
faceva ancora paura.58
Alduccio è l'unico dei ragazzi ad essere presentato come bello:
Uno era un giovinottello bruno e snello, bello anche conciato in quel modo, con gli occhi
neri come il carbone e la guance belle rotonde di una tintarella tra l'ulivo e il rosa;[...] 59
Questa dote estetica però viene riequilibrata dalla sua impotenza sessuale, quando nel penultimo
capitolo Dentro Roma, il giovane non riesce a consumare il rapporto con una prostituta. Durante lo
stesso capitolo Alduccio sfoga la sua aggressività con la madre cercando di accoltellarla, quasi a
volerle infliggere la violenza che avrebbe meritato la prostituta. La sorella stessa del giovane
riceve tutto il suo disprezzo, essendo incinta di uomo che non la sposerà. Alduccio si sente quindi
in un certo senso circondato da prostitute, e la sua impotenza scatena una reazione di
autoaffermazione e di supremazia sul sesso femminile e sulla propria madre, sentita come
antagonista, in una dimensione in cui essa è sovrana (il padre ubriaco subisce il temperamento
forte della donna).
Il Begalone viene presentato insieme ad Alduccio:
[…] l'altro un mezzo roscio con la faccia bolsa piena di cigolini. 60
Pur apparendo con una certa costanza nel racconto non presenta caratteristiche speciali. E'
malato di tubercolosi e quindi fisicamente compromesso. Si nota in lui una forte debolezza dovuta
non solo alla malattia, ma anche ai prolungati digiuni. Si comprende inoltre che nessuno si è mai
occupato di lui e delle sue condizioni, dato che la madre è pazza. Alla fine del romanzo è possibile
vederlo in procinto di morte, quando sviene dopo un bagno sull'Aniene. Gli amici lo lavano e,
caricato a spalla, cercano di riportarlo a casa. Proprio in questo frangente Pasolini inserisce
l'associazione con la figura di Cristo:
Il Begalone, ch'era stato messo a terra dal Caciotta e dal Trillo che si riposavano, come un
cristo deposto dalla croce, […]61
57
Ivi, pag. 74.
Ivi, pag. 91.
59
Ivi, pag. 54.
60
Ibidem.
61
Ivi, pag. 209.
58
29
L'immagine del corpo sofferente che richiama il Cristo deposto, viene esplorata da Pasolini anche
nel film Mamma Roma, dove la morte di Ettore richiama il grande capolavoro del Mantegna.
Questo insistente rimando ad un contenuto cattolico, s'iscrive in realtà nel sapiente uso delle figure
tradizionali e culturali che interpretano la sofferenza. In questa maniera Pasolini vuole assicurarsi
che tutti comprendano il significato del deterioramento fisico e i suoi risvolti.
Il Lenzetta diventa il socio di fiducia del Riccetto dopo l'arresto del Caciotta. Compare nel IV
capitolo di Ragazzi di vita con una descrizione diretta ed efficace:
Era uno con le labbra carnose e screpolate, e una faccetta da delinquente, sotto la nuca
piccola piena di ricci come un cavallo.62
Il Lenzetta è molto affine al Riccetto sia fisicamente che per attitudini, tanto da poterlo considerare
un suo alter ego. Pasolini si sofferma su tratti decisamente grotteschi come la bocca carnosa e
screpolata, a intendere forse il vizio e la cupidigia e il volto “da delinquente”, in una considerazione
piuttosto borghese, che tradisce l'espediente narrativo. La sensibilità dell'autore sottolinea tuttavia
un particolare fanciullesco, “la faccetta”, che comunica una virilità non ancora raggiunta, quindi
una metamorfosi in fieri.
Il Piattoletta è l'individuo estromesso, isolato, compromesso da un corpo debole e riconosciuto
quindi diverso. La violenza con cui gli altri si abbattono sul ragazzino richiama molto un processo
animale, per cui gli individui più fragili vengono eliminati per la sopravvivenza del branco.
L'associazione col mondo animale è del resto calzante se si pensa al soprannome, per cui si
considera il bambino una sorta di parassita, incapace a sopravvivere con le proprie forze. La
descrizione che ne dà l'autore è estremamente dettagliata e mostruosa, tanto che il Piattoletta
sembra un essere a metà tra l'umano e l'animale:
Lui non rispondeva, chinato a terra, con le scapole che sporgevano, i braccini stecchiti e la
faccia da topo con la scucchia puntata contro le ascelle. 63
Genesio, Mariuccio e Borgo Antico sono tre fratellini scappati di casa a causa del padre ubriaco
e violento. A differenza degli altri ragazzi di borgata, sono dotati di una sensibilità che li estromette
dalla realtà in cui vivono. Infatti non occupano uno spazio preciso, vivono tra la casa (che
rappresenta la brutalità familiare) e il fiume, senza una fissa dimora. Sono estremamente solidali
l'uno con l'altro e Genesio, il maggiore, sembra sentire sulle proprie spalle il peso della
responsabilità dei fratelli più piccoli, assumendo un atteggiamento già adulto. La sua fanciullezza
si riscontra solo nella breve previsione di una vita migliore per lui, i suoi fratelli e sua madre, una
volta ucciso il padre. Pasolini inserisce questo elemento edipico che in realtà ha molto poco del
mito classico, e s'instaura piuttosto in una logica di spietata sopravvivenza, che interessa anche i
bambini. Così anche le creature più innocenti di tutta la storia si mutano in piccoli mostri che
studiano il modo di uccidere il loro stesso padre. Genesio morirà infine nel tentativo di attraversare
il fiume, cercando di adeguare la sua identità a quelle degli altri ragazzi con una bravata. La sua
morte comunica in maniera netta e sbrigativa che la sopravvivenza in borgata risponde alla
selezione naturale.
Lello è inizialmente il modello di Tommaso, che lo segue e lo ascolta con ammirazione. Nel primo
capitolo, Chi era Tommaso, si nota un rapporto di subordinazione tra i due ragazzini, che
coinvolge Tommaso in un continuo tentativo di attirare l'attenzione di Lello e ottenere un
riconoscimento esclusivo. Lello è “un dritto”, capace di farsi rispettare e di gestire la situazione. Al
contrario di Tommaso è molto silenzioso e pacato, ma quando si decide a parlare è tagliente e
sicuro. Nel contesto di decadenza che interessa Una violenta rispetto Ragazzi di vita è possibile
individuare atteggiamenti corrotti e smaliziati da parte dei ragazzi, più violenti e rabbiosi. In merito
a questo è percepibile fin da subito una naturale indifferenza per i rapporti umani, un ovvio calcolo
di guadagno che i ragazzi fanno per ogni loro relazione. La sessualità è merce di scambio fin
62
63
Ivi, pag. 84.
Ivi, pag. 138.
30
dall'adolescenza e Lello risulta pioniere di quest'iniziativa, offrendo favori sessuali al maestro in
cambio di denaro. Anche in questo caso Tommaso prova un senso di ammirazione e invidia,
poiché vorrebbe poter usufruire anche lui di questa possibilità. Nel suo tentativo di farsi notare dal
maestro, proverà una violenta sensazione di inferiorità rispetto a Lello, che lo porterà a denunciare
il fatto alla questura, compromettendo l'amico.
«Nun te ce metti co' me, eh?» pensava infognato. «C'hai paura! A froscio! Ma che ce
troverai a Lello, qu'o stronzo morto de fame, che nun c'ha manco er padre, nun c'ha, nun è
fijo de nissuno! Ma viè co' me, che so' un ragazzetto bravo, io, no un pidocchioso come
quello! A froscio!»64
Rimane quindi ambivalente il rapporto con Lello, sentito come leader e proprio per questo sfidato
nel ruolo. Un incidente infine segnerà il corpo del ragazzo definitivamente, provocando il suo
fallimento. E' questo il momento che permette a Tommaso di superare la conflittualità e la
competizione, arrivando all'affermazione. I due amici si incontreranno un'ultima volta qualche anno
dopo l'incidente, provocando un forte senso di sbigottimento in Tommaso alla vista di Lello storpio
seduto a terra a chiedere l'elemosina. Il corpo è ancora una volta protagonista della vita di
borgata, strumento di controllo e sopravvivenza: la sua lesione provoca non solo la perdita del
ruolo, ma anche la possibilità di accaparrarsi della grana e quindi il piacere, scopo principale di
tutti in Ragazzi di vita.
Zimmìo, Zucabbo, Ugo, Carletto e Cagone formano la compagnia che accompagna Tommaso
nell'adolescenza e si distinguono per il loro atteggiamento incosciente, aggressivo, indolente verso
qualsiasi cosa che non sia il piacere. E' difficile dire se questi personaggi presentino o meno una
loro interiorità, poiché la loro personalità si dispiega in una serie di azioni volte solo
all'autoaffermazione, al piacere e alla soddisfazione. Lo stesso linguaggio e le espressioni usate
mostrano una violenza che prende forma nei pensieri prima che nelle azioni. Nel primo romanzo
Pasolini tenta di delineare una sorta di solidarietà, un certo sentimentalismo tra i ragazzi, tenuto in
piedi dall'affetto dell'infanzia. Una vita violenta invece mostra un atteggiamento di sopraffazione
continuo e in crescita, che si placa solo nel momento in cui le forze vengono unite per un furto o gli
animi vengono sedati da alcol, cibo e sesso. I ragazzi si identificano tutti con il fascismo,
considerato nel suo aspetto violento e aggressivo, poiché la forza è un elemento di distinzione e di
elevazione e il duce ne è l'interprete per eccellenza. Durante la notte in cui rubano la macchina, si
ha l'impressione di trovarsi dinnanzi a delle azioni gratuite, che non hanno come fine ultimo solo
quello della grana, ma anche lo sfregio contro gli altri, contro i borghesi, contro chi ha più di loro.
La fine delle borgate porta in seno una rabbia accumulata che lancia segnali ad ogni occasione. I
ragazzi non vivono più la loro condizione serenamente, ma con un continuo senso di frustrazione,
che li porta a voler distruggere ciò che li circonda.
«Due so' 'e cose che me piacciono a me!» aggiunse, mentre la macchina sguazzava tra le
pozzanghere, «annà 'n machina quanno piove, e cagà sur prato, guardando la gente che
passa pe' 'a strada!» 65
L'atteggiamento sprezzante dei ragazzi coinvolge tutto, la realtà al di là della borgata, come quella
all'interno, compresi i rapporti familiari. Capita così che la madre prostituta del Cagone sia
obbligata a passare un fisso alla settimana al figlio, pena la morte. Si sopravvive grazie al
disprezzo per la vita. Se inizialmente i ragazzi sono tutti più bulli di Tommaso, con il tempo i
rapporti si modificano e con questi le identità. Quella di Tommaso si fa molto forte e affermata,
fatto che lo porta a considerare inferiori i suoi amici. Soprattutto dopo il fidanzamento, Tommaso
intraprende una strada di riscatto, che pur compromettendo la sua identità, lo gratifica e lo fa
sentire superiore ai suoi simili. Del resto la compagnia si sfalda tra una disgrazia e l'altra, con il
Cagone che addirittura s'impicca, dopo la morte della madre, sua unica risorsa. Lo Zucabbo si
ripresenta verso la fine del romanzo con i capelli ossigenati, aspetto grottesco di contaminazione
64
65
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 33
Ivi, pag. 56.
31
occidentale. Tommaso percepisce la vacuità di quel gesto, ma non sa che la sua nuova casa ha lo
stesso valore.
La Famiglia Puzzilli rappresenta il nucleo d'origine di Tommaso e s'inserisce pienamente nel
percorso di riscatto sociale. Torquato e la sora Maria vengono da Isola Liri e sono emigrati a
Roma dopo la guerra. Le condizioni della famiglia in realtà erano del tutto rispettabili nel paese
natio, dove possedevano un pezzo di terra e una casa. A Roma invece la famiglia Puzzilli si trova
a occupare una baracca tra Pietralata e Montesacro, fino al momento in cui viene loro assegnato
un appartamento dell'INA Case, ricevuto grazie al pubblico impiego del signor Torquato. Il
possesso di un bene però non porta felicità alla famiglia, che inizia la sua decadenza con la morte
di Tito e Toto e in seguito con quella di Tommaso. La sora Maria, nelle sue sporadiche apparizioni,
sembra sempre più sofferente e rassegnata, nella consapevolezza che una vita di stenti e quattro
figli morti, non trovano conforto in una casa. La famiglia Puzzilli rimane così con un figlio, di cui
Pasolini si ostina a non dare nessun dettaglio, citandolo però più volte, e la nuova dimora, che ha
escluso gli altri figli, come se il riscatto avesse comunque un prezzo.
32
IV
4.1 Tommaso e il Riccetto
Ragazzi di vita e Una vita violenta presentano una differenza sostanziale per quanto riguarda il
valore dei protagonisti. Nel primo caso infatti è possibile considerare il Riccetto un protagonista
relativo, il cui ruolo non è primario all'interno della storia, che del resto si sviluppa attraverso la
coralità dei personaggi. La sua importanza può essere riconosciuta più semplicemente dalla
frequenza delle sue apparizioni rispetto agli altri e da una sorta di messa a fuoco sulle sue
vicissitudini, che tuttavia si dispiegano sempre in situazioni collettive. La circolarità dell'intreccio
suggerisce che non esiste un'evoluzione della storia e tutto si concentra sulla serie di episodi che
interessano i ragazzi di Donna Olimpia dalla prima adolescenza all'età adulta. All'interno di ogni
vicenda è poi possibile individuare le sei funzioni di Sourieau 66 e ritrovare la canonicità del
personaggio. Tommaso invece è il vero e proprio protagonista di Una vita violenta, seguito nella
sua crescita e formazione. Si tratta in questo caso di uno schema ordinario e lineare, che si
sviluppa attorno ad un personaggio spaziando poi attraverso le relazioni che esso intrattiene con
gli altri personaggi, i luoghi e il tempo. L'indagine psicologica pertanto presenta risvolti differenti
nelle due opere, essendo primaria nel primo romanzo e molto più massiccia e strutturata nel
secondo. Infatti mentre la lavorazione del Riccetto prosegue in maniera morbida e leggera,
eclissando a volte il personaggio per interi capitoli e tenendolo sempre lontano dalla drammaticità,
si risolve in maniera ben più certosina con Tommaso, spiato nelle azioni e nelle intenzioni. Questo
diverso approccio narrativo si include nella matrice delle opere, che rappresentano due stadi della
ricerca di Pasolini: Ragazzi di vita è l'osservazione fine a se stessa, che riduce al minimo
l'intervento artificiale e che svolge una funzione speculare con l'io dell'autore; Una vita violenta è
l'espediente per la polemica sulla nascita della società dei consumi, che segna il termine di un
percorso interpretativo.
66
Cfr. R. Bourneuf e R. Oullet, L'universo del romanzo, Einaudi, Torino, 2000, pp. 153-155. Sourieau riconduce a sei il
numero di funzioni combinabili con un'azione drammatica: il protagonista; l'antagonista; l'oggetto; il destinatore; il
destinatario; l'aiutante.
33
L'antitesi di Hugo reggeva la ricerca psicologica dei personaggi, mostrandoli per contrasti e
opposizioni. Lo stesso impianto narrativo trova la sua fortuna nei due romanzi di Pasolini, che
lasciano emergere una purezza, espressa da una vitalità contaminata. Il destinatario borghese
riconosce infatti nelle vite dei protagonisti un atteggiamento socialmente sbagliato, che si fonda sul
perpetrare di azioni comunemente riprovevoli. Il Riccetto e Tommaso sono dei personaggi sporchi,
disonesti, a volte violenti, codificati da un linguaggio volgare e aggressivo che però si
caratterizzano nella purezza della loro essenza, nella naturalezza della loro condizione. E'
essenzialmente questo il modo in cui il grottesco e il sublime entrano a far parte della concezione
di Pasolini, modificando il tenore romantico in una ricerca realista, smussata di quell'ingrediente
caricaturale ed estremo che amava tanto Hugo. In effetti la passione di Hugo per il mostruoso
esplode in descrizioni volutamente esagerate, che s'inseriscono in un contesto narrativo
all'insegna dell'artefatto e della finzione, pur dotate di riferimenti verso il reale. Pasolini lascia
invece che l'umanità della duplicità e dell'antitesi emerga, creando un effetto molto più
conturbante, in quanto verosimile.
Era un mondo nuovo, sconosciuto, inaudito, deforme, strisciante, formicolante, fantastico. 67
La Corte dei Miracoli altro non era, infatti, che una immensa bettola, ma una bettola da
briganti, rossa di sangue come di vino. 68
Qui era un uomo dalla pancia grossa e dal riso gioviale che baciava rumorosamente una
sgualdrina soda e carnosa. Là, una specie di finto soldato, uno di quelli che in gergo erano
detti narquois, che fischiettando disfaceva le bende della sua falsa ferita e cercava di
sgranchirsi il ginocchio sano e robusto, rinfagottato fin dal mattino da mille fasciature. (…)
altrove un giovane hubin prendeva lezioni di epilessia da un vecchio saboulex che gli
insegnava l'arte di far la schiuma dalla bocca masticando un pezzo di sapone. Accanto a
lui, stava sgonfiandosi un idropico, costringendo a tapparsi il naso quattro o cinque
malefemmine che si disputavano, alla stessa tavola, un bambino rapito quella sera. (…)
Dovunque, grasse risate e canzoni oscene. 69
E' interessante notare come le situazioni rappresentate da Hugo abbiano una certa somiglianza
con quelle dei ragazzi di vita, collocate sempre in una sorta di limbo sociale. Tuttavia l'immagine
della Corte dei Miracoli è una sorta di affresco, dove la composizione è ben studiata, cosicché il
risultato è puramente artificioso, sebbene di grande effetto. Pasolini, pur limitandosi a scene reali,
raggiunge un livello di grottesco molto più acuto, che tuttavia fa a meno della caricatura e quindi
dell'umorismo, del satirico, del cinico e dell'irriverente. La descrizione del Cunappa, personaggio
assimilabile alla Corte dei Miracoli, inserisce termini ed immagini proprie dei ragazzi di vita,
raggiungendo un risultato repellente proprio in merito al linguaggio scabroso. La tecnica
espressiva è molto più fine rispetto ad Hugo, poiché lascia all'identità dei personaggi la libertà di
comunicare e quindi di trasmettere un grottesco autentico, assolutamente irriconoscibile nella
realtà che lo comprende, ma evidente per il lettore borghese.
Lo conoscevano, perché faceva il guardiano a un magazzino a San Basilio, dove andavano
per becchi fin da ragazzini. Il Cunappa però non li vedeva né li sentiva. Andava via dritto
sbarellando a scatti, con le ginocchia che gli si piegavano, frolle, e ogni momento stava per
sbattere la ciafroccola contro il selciato. I calzonacci grigi impestati gli sculappiavano larghi
come sottane, e la giacchetta gli si perdeva insino sulle ginocchia, con le saccocce
sfondate. C'aveva una berretta tirata giù fino sulle froce del naso, antica, vecchia, e grassa
che a spremerla ci sortiva la sugna.
67
Cfr. Victor Hugo, Notre Dames de Paris, La Biblioteca Universale, Einaudi, Torino, 1996, pag. 88
Ivi, pag. 89.
69
Ivi, pag. 90.
68
34
Parlando con le froce del naso, con la scucchia, con le orecchie, col culo, il vecchio, ridendo
tutto soddisfatto, disse che l'aveva preso in piazza il giorno avanti e se lo teneva per cena. 70
Il Riccetto e Tommaso sono dotati di una loro profondità riscontrabile tramite: il dialogo; i loro
desideri, le intenzioni; le informazioni del narratore. Questi tre elementi danno vita a protagonisti
dinamici e individualizzati, caratterizzati da elementi unici che si modificano nel tempo seguendo le
inclinazioni del carattere e dell'esperienza.
4.2 Personaggi a confronto
In Tommaso quest'attenzione è molto marcata, dato che si assiste ad un cambiamento continuo
dell'oggetto del desiderio del personaggio, a partire dai soldi, fino alla donna, al matrimonio e al
partito. Pasolini riesce molto bene ad interpretare l'interiorità di Tommaso, scavando nelle
frustrazioni, nelle delusioni, nelle ambizioni. La via preferenziale dell'autore riguarda il lato oscuro
della personalità che funge un po' da motore dell'azione, senza mai toccare l'estremo cinismo, ma
rimanendo sempre incastonato su una sorta di ingenuità animale, che il lettore borghese apprezza
e giustifica. In una nota al termine di Una vita violenta Pasolini puntualizza l'invenzione di fatti e
persone del romanzo, seppur ispirate dai ragazzi di vita e dall'amico Sergio Citti. Così viene già
ammessa l'identificazione del personaggio principale con uno dei tanti giovani che circondavano
l'autore nelle escursioni di borgata e in qualche maniera, a dispetto della nota, si è portati a
credere vere tutte le sue peripezie.
Le monache dell'ospedale m'avevano dato per finito, secondo loro non c'era niente da fare.
Stavano tutti intorno a me, tutti a piangere... E' da questo fatto, penso, che è stata forse un
po' tratteggiata poi la scena di Una vita violenta, tratta dal libro di Paolo, in cui Tommaso
dice: «Che ca...piagnete, qui se c'è uno che deve piagne so' io, che? Morite voi?»: era una
storia che avevo raccontato a Paolo un sacco di volte. 71
Quindi verosimilmente possiamo considerare Tommaso un aggregato di esperienze e di volti
conosciuti dall'autore, un mostro che vive di memorie e racconti fino a farli propri. Questa
particolare essenza agglomerata e indefinita rende il personaggio vero (non reale), e finto allo
stesso tempo, un ibrido che vive fatti accaduti, dice cose dette, ma non esiste. Anche in questo
suo arduo compito creativo, vediamo come Pasolini plasma la materia che si trova davanti, senza
aggiungere nulla, senza impreziosire, ma semplicemente donando la parola ai suoi personaggi.
La storia di Tommaso, oltre a rappresentare un contenuto narrativo, fa parte di quell'insieme di
profezie che ancora oggi sorprendono il pubblico di Pasolini. L'affermazione della società dei
consumi è tutta descritta nella formazione del giovane, che vede nel benessere un miglioramento
non solo economico, ma anche spirituale. Tommaso e Irene infatti sognano di essere “persone per
bene”, ossia conformate alla classe media, inserite nel sistema e soprattutto riconosciute dagli altri
in questo loro “essere per bene”. E' il trionfo di quello che Pasolini chiama Potere (con la P
maiuscola)72, che invade ogni anfratto delle vecchie civiltà, con l'intenzione di omologarle e
controllarle, attraverso l'imposizione del “produrre e consumare” 73.
Proprio in merito alla riflessione dell'autore sull'inesorabile scomparsa della ruralità (intesa come
modus vivendi, nella sua totale concentrazione sui ritmi vitali, sui bisogni primari e nel suo intimo
legame con la natura) e sull'avvento di una dittatura globale e capillare, che agisce sulle logiche
70
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 232.
Cfr. Franco Citti e Claudio Valentini, Vita di un ragazzo di vita, Sugarco Edizioni, Carnago, 1992, pag. 27
72
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, Scritti Corsari, Garzanti, Milano, 2008, pag.
46.
73
Ibidem, cit.: «Conosco anche - perchè le vedo e le vivo - alcune caratteristiche di questo nuovo Potere ancora senza
volto: per esempio il suo rifiuto del vecchio sanfedismo e del vecchio clericalismo, la sua decisione di abbandonare la
Chiesa, la sua determinazione (coronata da successo) di trasformare contadini e sottoproletari in piccoli borghesi, e
soprattutto la sua smania, per così dire cosmica, di attuare fino in fondo lo “Sviluppo”: produrre e consumare.»
71
35
umane dell'autoaffermazione, è possibile scomporre la storia di Tommaso in tre momenti: la vita di
borgata; le case popolari; l'incontro con il partito. La vita di borgata coincide con la prima parte del
romanzo, in cui viene presentato il protagonista e la sua realtà, con il medesimo senso di
attrazione per i ragazzi di vita e dei loro espedienti, presente nell'opera precedente. A partire dal
ritorno a casa di Tommaso, dopo i due anni di detenzione, si ha un cambio radicale non solo della
storia, ma anche dell'atmosfera e delle sfumature: tutto sembra introdurre una disfatta. Innanzitutto
la prigione, come per il Riccetto, è una specie di rituale per il passaggio all'età adulta, e ciò spiega
come mai la decadenza subentri proprio in questo frangente. Pasolini infatti tende a rimarcare la
contaminazione della maturità, che porta con sé desideri ben più feroci dell'infanzia, distruggendo
“l'innocenza” (se così vogliamo chiamare la spontaneità e la naturalezza dei giovani ragazzi di
vita) e la vitalità . L'appartamento alle case INA sposta la scena all'interno della società e
trasforma Tommaso da topo di periferia a nuovo borghese. Questa metamorfosi del personaggio
elimina tutta la parte sublime che Pasolini assegnava alle baracche di borgata e ai suoi abitanti,
accentuando però l'aspetto grottesco dei nuovi borghesi, che sfiora quasi la caricatura. Il tentativo
di elevazione spirituale e intellettuale che porta Tommaso ad avvicinarsi alla politica è trattato in
realtà come un'infantile volontà di entrare nel gruppo da cui ci si sente esclusi. Infatti da questo
momento in poi il giovane compie una sorta di rinnegamento delle sue origini, provando pietà e
compassione per i suoi vecchi amici, con la certezza di aver compiuto un salto di qualità. La
politica è inizialmente un mezzo per raggiungere l'imborghesimento, tanto che Tommaso ed Irene
pensano di avvicinarsi alla Democrazia cristiana, il partito della “gente per bene” appunto.
Successivamente, con il ricovero al Forlanini, la politica propone la possibilità di essere dentro al
sistema pur combattendolo. E' l'incontro con il PCI a esaltare Tommaso, che si sente di nuovo
protagonista di scorribande, anche se di fatto ne ignora i motivi. Tuttavia, il bisogno di appartenere
a qualcosa (la nuova condizione crea un vuoto attorno a Tommaso, che non è più un ragazzo di
borgata, ma non è ancora un borghese), spinge il ragazzo ad abbracciare la nuova ideologia, che
lo porterà poi alla morte. La fine schietta di Tommaso è l'allegorica fine del mondo che egli
rappresenta, che se ne va in un soffio, senza che nessuno se ne accorga.
La vita di borgata rappresenta il momento in cui Tommaso esprime tutta la sua personalità,
senza il filtro che utilizzerà poi per il suo riscatto. Pasolini presta grande attenzione al ritratto del
giovane, spaziando dai dettagli fisici ai pensieri, alla famiglia, al rapporto con gli amici. Nel primo
capitolo Chi era Tommaso risalta la personalità violenta e ambiziosa del giovane, che vuole
emergere ad ogni costo. I caratteri principali del protagonista sono inizialmente l'opportunismo, il
desiderio di rivalsa, l'aggressività e la vigliaccheria in alternanza, a seconda dell'antagonista di
turno. Uno dei sentimenti più frequenti in Tommaso è l'amore/odio verso i suoi amici.
Quest'antitesi nasce fin dall'infanzia, quando Lello, seppur rispettato, subisce anche la rabbia della
rivalsa, fino ad essere vittima di atti di sabotaggio da parte di Tommaso. La presentazione di
Tommaso offre inoltre l'occasione per tratteggiare una panoramica sulla vita di Pietralata e sui
personaggi che accompagneranno poi la storia. La prima inquadratura di Pasolini è davvero
emblematica e riprende i ragazzini mentre giocano a pallone prima di entrare a scuola. L'ambiente
è descritto in tutto il suo disordine, tra fanghiglia e freddo, mentre i personaggi sembrano
perfettamente a loro agio nella terra che li avvolge. Pasolini li ritrae tutti adolescenti, mentre sono
al massimo della loro vitalità ed energia e giocano, senza il minimo presentimento di quello che
avrà in serbo per loro la vita. E' proprio a partire da questo momento che è possibile notare la
portata del fascino che Lello esercita su Tommaso e scorgere quindi l'ambizione,
l'autoaffermazione, che saranno i sentimenti guida della formazione del giovane.
Lello se ne andava avanti per il ponte come fosse il capo, senza nemmeno voltarsi a
guardare lo schiavo che gli trottava appresso.(...) Tommaso gli correva appresso, tutto
allaccato, col fiatone.74
A partire dal secondo capitolo Notte nella città di Dio i rapporti sono più equilibrati e Tommaso si
sente pienamente inserito nel gruppo e accettato da Lello. Il suo carattere è ancora un po'
abbozzato, e si percepisce la mancanza di un'identità ben delineata (già propria a Lello), sostituita
74
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 12.
36
da uno spiccato senso di emulazione e di appartenenza al gruppo. L'adorazione verso Mussolini
s'inserisce proprio in questo desiderio d'appartenenza, dato che non si radica in una vera e propria
cultura. Tommaso conserva nel portafogli la foto del duce e la esibisce proprio per dimostrare la
sua devozione.
[…] e non sentì nemmeno Tommaso che guardando Mussolini diceva: «Ecchelo, chi è stato
‘n ‘omo!», e se lo stava a filare con ammirazione, tutto malandro 75.
L’identificazione dei ragazzi con il fascismo è per Pasolini il seme di una polemica che si
svilupperà poi negli anni a seguire, fino a trovare il suo assetto definitivo nell’articolo pubblicato
dal Corriere della Sera il 24 Giugno 1974 Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo. All’occhio
attento di Pasolini non sfugge infatti la reazione alla cultura fascista delle generazioni post belliche
e soprattutto non sfugge la responsabilità dell’élite intellettuale in questa drammatica rincorsa alla
violenza. Il nucleo dell’interpretazione pasoliniana si fonda proprio sul sospetto che la cultura
fascista abbia fatto leva sulle coscienze dei giovani con il beneplacito di una sconfinata classe
intellettuale, che si è limitata a darne un giudizio negativo, senza il minimo tentativo di
comprendere le origini di tale fenomeno. Nel volto ideologico e culturale del fascismo Tommaso
riconosce alcuni dei comportamenti codificati della vita di borgata: la virilità, la violenza, la
sopraffazione, l’autoaffermazione. Non avendo vissuto il ventennio e quindi neanche la guerra è
normale per lui idealizzare Mussolini come mito, spogliandolo della sua identità storica. L’adesione
al fascismo dei ragazzi di vita non ha quindi un valore politico, ma rimane ad un livello infantile di
ricerca di esempi e punti di riferimento, con un ovvio contributo di immaginazione.
In realtà ci siamo comportati coi fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente:
abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati
razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse
niente da fare. E non nascondiamocelo: tutti sapevamo, nella nostra vera coscienza, che
quando uno di quei giovani decideva di essere fascista, ciò era puramente casuale, non era
che un gesto, immotivato e irrazionale: sarebbe bastata forse una sola parola perché ciò
non accadesse. Ma nessuno di noi ha mai parlato con loro o a loro. Li abbiamo subito
accettati come rappresentanti del Male. E magari erano degli adolescenti e delle
adolescenti diciottenni, che non sapevano nulla di nulla, e si sono gettati a capofitto
nell’orrenda avventura per semplice disperazione. 76
Irene è la prima occasione di Tommaso per cambiare la sua situazione, inserendosi nel sistema.
La ragazza rappresenta infatti la possibilità di allacciare un legame socialmente riconosciuto,
verso un'indipendenza dalla famiglia di provenienza: una sorta di emancipazione. L'incontro con
Irene mostra anche un Tommaso più adulto, in grado di compiere riflessioni e considerazioni e più
distaccato dal suo entourage. L'aspetto più interessante è tuttavia l'approccio impacciato del
ragazzo con l'altro sesso, che rivela una sensibilità e un'insicurezza, tralasciate nelle descrizioni
delle scorribande precedenti:
Tommaso divenne rosso come un peperoncino, e si fece avanti, tirando su nervosamente
col naso, tra una boccata e l'altra.77
E' inoltre interessante notare come Tommaso segua un protocollo di corteggiamento
assolutamente rigido, affidandosi agli schemi, dimostrando quindi la sua appartenenza a questi, al
di là della vita di borgata. Tuttavia questo suo tentativo di riscatto lo porta all'arresto (come a fine
romanzo l'eroico salvataggio lo porterà alla morte), quando a causa della serenata organizzata ad
Irene, scoppia una rissa e Tommaso ferisce Shangaino con un coltello. La tensione tra ciò che
75
Ivi, pag. 40.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo, Scritti Corsari, Garzanti, Milano, 2008, pag.
49.
77
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 98.
76
37
Tommaso vorrebbe essere e ciò che in realtà è si presenta ripetutamente in tutta l'opera, donando
un senso di frustrazione perpetua al personaggio, che per altro rappresenta una delle
contraddizioni più schiaccianti di Pasolini.
Le case popolari sono il momento di svolta del personaggio che segnano il realizzarsi del primo
dei desideri di Tommaso.
Che notte passò Tommaso! La più bella, si può dire, della sua vita: perché pure se dormiva,
non dormiva proprio, ma era sempre un po' sveglio, e così, poteva sempre pensare di
essere dentro la sua casa, una casa bella, grande e a regola d'arte, come quella dei
signori.78
La conquista del bene rende Tommaso soddisfatto ed eccitato e legittimato a progettare la sua
futura esistenza inserita in quel contesto. La felicità di Tommaso però si scontra con il suo
disorientamento tra le case popolari, che in qualche maniera è un motivo di disagio e frustrazione.
In questo frangente Tommaso, dopo aver salutato Lello (e quindi il suo passato), si ritrova davanti
a dei ragazzi che giocano nei nuovi quartieri. L'imbarazzo del giovane non è espresso
chiaramente, ma il suo silenzio e l'atteggiamento timido mostrano l'insicurezza che questo nuovo
spazio incute nel protagonista, che non riconosce più i punti fermi della vita di borgata. Tommaso
percepisce la lotta di classe:
«pe' sapè perchè li pijano pe' stronzi! Intanto, stronzi stronzi, eccheli llì! Nun pensano a
niente, giocano, se divertono, se fanno le studentine, pzt! E c'hanno er papà che je passa 'a
grana!» «Questi me sa,» continuò a pensare, «che tra de loro nun se fanno cattiverie... E
che, conoscheno 'a vita, questi? Eppure me ce vorrebbe mischià, in mezzo a loro!
Mannaggia la morte, vorrebbe pure io esse stato ammaestrato così, esse bravo ragazzo
come loro!» Però tutto questo lo pensava, non lo diceva. 79
Nel capitolo Primavera all'INA case Tommaso subisce un ulteriore contrasto tra le sue aspirazioni
e la sua natura. Incontrata di nuovo Irene e messa al corrente del progetto matrimoniale, la vuole
spingere a rapporti sessuali anche di fronte alla sua titubanza. L'aggressività e la violenza del
protagonista tornano quindi a valere più della posizione e del perbenismo, in un momento di libido.
Non c'è matrimonio o casa che tenga: Irene in quel momento è un corpo.
«Sciojete 'sta cinta, mannaggia!» disse poi, andando con la mano sulla cinta, «che nun me
fa fa niente...»80
Tommaso tuttavia nota che il suo corpo non risponde agli impulsi e questo momento segna l'inizio
della decadenza fisica del protagonista, che ovviamente coincide con l'allontanamento dalla
borgata.
La tubercolosi è un male a cui Tommaso inizialmente non vuole credere, anche quando è
costretto a farsi ricoverare al sanatorio. Gli effetti fisici modificano il suo corpo rendendolo più
fragile, pallido, magro. L'associazione tra il nuovo Tommaso e la nuova casa è tutta incentrata su
questa caratteristica metamorfosi, per cui le facoltà che rendono il protagonista forte e virile vanno
scomparendo e il suo corpo inizia una lenta consunzione.
L'incontro con il partito avviene proprio durante il ricovero al Forlanini, quindi si fonda su una
specie di elevazione morale, in seguito alla compromissione fisica, per un processo di
compensazione. Tuttavia per Tommaso l'adesione al PCI, e quindi l'iniziativa rivoluzionaria che
segue all'interno del Forlanini, ha solo in minima parte un valore ideologico, che peraltro il
protagonista non comprende fino in fondo. In realtà la dinamica che porta Tommaso ad
abbracciare la politica rientra nella pratica dell'inclusione sociale della borgata, per cui un individuo
per essere accettato da un gruppo deve dimostrare il suo valore e la sua attendibilità. Quindi in un
78
Ivi, pag. 207.
Ivi, pag. 200.
80
Ivi, pag. 224.
79
38
certo senso Tommaso continua a seguire la “regolamentazione” di borgata, pur convinto di non far
più parte di quell'assetto sociale. Nel capitolo Che cosa cercava Tommaso? Pasolini inserisce un
sogno del protagonista mentre si trova ricoverato, così da poter disquisire simbolicamente su
questa trasformazione. L'escamotage del sogno offre all'autore la possibilità di commentare la
situazione, senza tuttavia commettere intromissioni narrative, ma semplicemente nascondendosi
dietro la coscienza del personaggio. Il sogno si svolge nella vecchia baracca di Pietralata, ma
l'atmosfera rende l'ambiente piacevole e rassicurante:
La luce che scendeva dal cielo, però, faceva tutto più grande, pulito e quasi maestoso. Le
paretine di mattoni in foglia, i tetti di bandoni e carta catramata, i tramezzini di legno zelloso,
leggero per la vecchiaia, tutto sembrava che fosse fatto di un materiale magnifico, e
risplendeva bello limpido nella luce.81
Tutti quelli stracci, chissà perché, pareva che fossero di seta, e gli strappi, le sbrodolature,
le macchie erano come dei ricami.82
Tommaso si trova a mangiare nella baracca durante una strana festa organizzata per il
matrimonio dei suoi genitori che sono vestiti di tutto punto. L'attenzione del protagonista tuttavia è
rapita dal tramezzino che divide l'ambiente della cucina dall'ala notte, quindi finito di mangiare
decide di attraversarlo, sebbene la Sora Maria lo avverta di lasciar perdere. Al suo passaggio
Tommaso sente cambiare radicalmente la situazione e vedendo una persona distesa nella sua
branda, viene scosso dalla paura:
C'era Lello, lì disteso, fermo, con la bocca aperta, e tutto sporco, dai capelli ai piedi, di
sangue nero. Subito si mise a sedere, sopra il materasso. Se ne stava lì, seduto,
guardando fisso Tommaso, con la bocca aperta: lo guardava come fosse la prima volta,
pieno di sorpresa e di spavento. 83
Lello disteso e grondante sangue è in realtà Tommaso stesso che si sente minacciato dal
cambiamento. Infatti in cucina, Tommaso è sereno e rassicurato dalla famiglia; oltre il tramezzino,
percepisce la minaccia del suo corpo debole e della sua compromissione fisica, finchè Lello non
gli dice di scappare perché lo stanno venendo ad arrestare. E' quindi ovvio come il protagonista si
senta in trappola, forse non solo a causa della malattia, ma anche in merito alla nuova vita alle
case popolari:
Il lettuccio, la parete d'assi marce, l'angolo della baracca, tutto era scomparso, intorno, e
Lello stava seduto sui sampietrini di via Principe di Piemonte, col tram fermo davanti all'arco
di Santa Bibiana. Con la sua mano maciullata a mezz'aria, fermo, continuava terrorizzato a
raccomandarsi a Tommaso di scappare: ma, ora, la sua voce era coperta da un urlo
fortissimo, che intronava i muri, le strade, le piazze intorno […] 84
L'abbandono della borgata e la malattia prendono quindi questo risvolto grottesco e cruento nel
subconscio del protagonista, che rielabora nel sogno lo stato di sradicamento e costrizione che
subisce dopo la sua sortita dal carcere. E' probabilmente questo senso di smarrimento che lo
avvicina al progetto politico, concedendogli l'opportunità di conquistare una nuova identità,
rimanendo fedele ad alcuni tratti delle sue origini, come l'illegalità e l'espediente, che sperimenterà
proprio al Forlanini.
Tommaso si trova ben presto coinvolto in uno sciopero, che poi degenererà in guerriglia, e mette
in atto tutta la sua esperienza di ragazzo di vita nella lotta tra i malati e la polizia. Le sue azioni
81
Ivi, pag. 241.
Ibidem.
83
Ivi, pag. 245.
84
Ibidem.
82
39
temerarie presso il Forlanini gli valgono una raccomandazione presso la sezione di partito, alla
quale Tommaso, una volta dimesso, corre ad iscriversi. Pasolini affronta nel suo romanzo ben tre
ideologie politiche (fascismo, democrazia cristiana, comunismo), ma sembra lasciar confluire
proprio sul PCI la sfiducia e lo scetticismo verso l'ideologia di partito. Quest'iniziativa scaturisce
probabilmente dalle vicissitudini personali dell'autore con il partito e a livello ancora più intimo dalla
forma di contrasto e tensione che l'ideologia innesca nell'animo del poeta. Inoltre la sfiducia sulle
nuove forme politiche viene chiaramente espressa da Pasolini ne Le ceneri di Gramsci, che
richiamano l'impossibilità di sincretismo tra le classi, quindi il sostanziale annullamento del
tentativo di interpretare il proletariato e il sottoproletariato dalla politica. In maniera sottile e del
tutto raffinata Pasolini incide in Tommaso una forma di insoddisfazione verso la sua scelta politica
e lo rende capace di comprendere a livello implicito la grottesca situazione in cui si trova. Alla
riunione di partito a cui partecipa per iscriversi, Tommaso si sente fuori luogo e mentre gli altri, uno
ad uno intervengono per parlare, il ragazzo sviluppa una serie di considerazioni:
Aveva cominciato a fare un intervento sul ballo un compare di Delli Fiorelli: a sentirlo
Tommaso si fece barzotto: «An senti questo!» pensava. «Che fiato perso! D'andò è sceso,
da la Sgùrgola? Ma che, sonava 'a zampogna? Bravo! Stai a espone er probblema
nazionale!».85
Si raccolse un po', concentrandosi e facendo la faccia cattiva: «Quasi quasi mo' quanno
c'hai finito de sprecà er fiato te lo dico io, come sta 'a faccenda qqua! Te faccio 'na cantata
che te commovo!»
Diede un'occhiata di sghimbescio a Delli Fiorelli: «A farsario!» pensò, «si me salta er grillo,
fra cinque minuti si nun sei sordo, vedi er botto che te faccio sentì! Stacce attento!». 86
In questo frangente il protagonista non sembra poi così diverso dall'inizio della storia, poiché
mantiene la stessa rabbia, l'insoddisfazione, la frustrazione, unite all'ambizione, alla necessità di
prevalere sul prossimo, anche in campo politico. Questo comunica l'irrilevanza della scelta politica
e quindi il vero senso dell'iniziativa di Tommaso, alla ricerca della sua nuova identità. L'atto eroico
che porterà Tommaso alla morte è il picco del sentimento di rivalsa che caratterizza il personaggio
e anche in questo caso è possibile leggere la sincera meschinità che lo trasporta nelle sue azioni.
Il salvataggio della donna è infatti un mero atto dimostrativo, utile solo a dimostrare le doti di
coraggio e forza (radicate nella realtà di borgata) che lo contraddistinguono.
«Venite qua, appoggiateve vicino a me, acchiappateve ar collo!» le faceva Tommaso,
tirandola. Intanto, l'aveva riconosciuta. Era una zoccola, che batteva a Montesacro, sul
ponte dell'Aniene: il pappone era un amico suo. «Sarebbe da ride,» pensava, «che mo'
m'affogassi per colpa de questa!». 87
Tuttavia il suo slancio “altruista” trova piena accoglienza nelle grazie del partito, che riserva
all'eroe l'onore di concedere il proprio nome alla sezione.
Vennero a trovarlo pure quelli del partito: già erano d'accordo che ,se Tommaso moriva,
avrebbero messo il suo nome alla sezione di Pietralata, per l'azione brava che aveva fatto,
e che adesso stava pagando così cara.88
Al capezzale di Tommaso corrono infine gli amici di vecchia data, Zucabbo e Lello, che rendono
perfetto il quadro narrativo, lasciando al protagonista la possibilità di affrontare la morte nello
stesso ambiente in cui ha affrontato la vita, quello di borgata. Il momento descritto è toccante, tra
la rabbia del protagonista, che non vuole morire e la commozione degli amici, che non sono pronti
85
Ivi, pag. 295.
Ivi, pag. 296.
87
Ivi, pag. 346.
88
Ivi, pag. 352.
86
40
a lasciarlo andare. Il temperamento audace dei ragazzi di vita è per un attimo messo da parte e
Pasolini offre al pubblico la possibilità di scorgere la sfera sentimentale dei mostri di borgata,
rendendoli per una volta accettabili ad un pubblico borghese.
Il Riccetto viene presentato il giorno della sua prima comunione, lasciando alla sfera dell'infanzia
un ruolo speciale. Rispetto a Tommaso infatti, Pasolini mette in luce la spensieratezza e l'allegria
della prima gioventù, nel tentativo di impiantare un senso di leggerezza all'opera. Il Riccetto che
corre tutto “acchittato” verso casa, trasporta il lettore in una tipica immagine neorealista,
attraendolo, concedendo qualcosa di familiare.
D'improvviso però la situazione cambia, e il protagonista inizia a rivelarsi nella sua natura,
introducendo quella che sarà la sua parte in tutto il romanzo. Il contrasto compare quindi già dalle
prime pagine, dove abbiamo due immagini del protagonista, che esordisce nei classici panni di un
fanciullo, per poi ritrovarsi in quelli del ladro, con una spontaneità che innalza il livello di tensione.
In realtà il contrasto è ancora una volta l'anima della storia, anche se rispetto a Una vita violenta si
dipana a un livello emotivo primario, senza dare origine ad aspettative o sensi di rivalsa. Il Riccetto
ha due volti, quello buono e quello cattivo, che si alternano lungo la storia incidendo poi sulle
azioni e sugli avvenimenti. Questa doppia natura tuttavia non crea disagio al personaggio, che
sembra gestire se stesso nell'inconsapevolezza, ma semplicemente lo porta a decisioni diverse,
come il fatto di rischiare la vita per una rondine, o decidere di andarsene lasciando affogare un
bambino. Nell'uno e nell'altro caso non ci sono motivazioni reali che spingono il Riccetto ad un
determinato comportamento; piuttosto è l'emergere di una o dell'altra parte di personalità. In realtà
manca anche una motivazione in senso compiuto a questa alternanza caratteriale, anche se è
possibile pensare che Pasolini si sia in una certo senso affidato alla tradizionale visione
dell'antitesi, mostrando la natura umana e in particolare la reazione nella natura umana di certe
dinamiche al di fuori degli schemi sociali tradizionali. Ecco quindi il Riccetto, vile protagonista, ma
anche bambino generoso, furbo e meschino, sensibile e delicato, avventato e sfrenato, timido e
introspettivo. Alla luce del fatto che il Riccetto segue dei parametri del tutto diversi da quelli di
Tommaso, non evolvendo, o comunque facendolo sempre entro certi termini, è possibile
analizzare la sua figura solo per elementi fissi.
All'inizio del romanzo il Riccetto è ancora un bambino e come tale conserva degli aspetti di
ingenuità e leggerezza tipici della sua età. Il gioco, la compagnia, il fiume, sono gli elementi
indispensabili alle sue prime esperienze, che si svolgono all'insegna del divertimento e del
piacere, pur accompagnate certe volta dalla necessità di raccogliere un po' di grana.
Si divertirono a tirare dei serci sull'acqua e anche quando finalmente si decisero ad
andarsene, continuarono, mezzi svestiti, a tirarne in alto, verso l'altra sponda o contro le
rondini che sfioravano il pelo del fiume. Lanciavano pure intere manciate di ghiaia, gridando
e divertendosi: i sassolini cadevano dappertutto intorno sulle fratte. 89
A leggere queste parole senza sapere il titolo del romanzo, non si assocerebbe mai l'immagine di
ragazzini spensierati che giocano tirando sassolini sull'acqua a quella di Ragazzi di vita, che costò
addirittura un'azione giudiziaria all'autore, per il carattere “pornografico” dell'opera. “Gridando e
divertendosi” sono due termini da tenere bene a mente, poiché non compariranno spesso nelle
opere, se non accompagnate da ghigni, o facce storte o sputi.
Si tratta in effetti di un raro momento in cui Pasolini vuole rendere un'immagine tradizionalmente
bella, allontanando per un attimo la borgata, che scompare lungo la riva del fiume, sfiorato dalle
rondini in volo. Queste, descritte nei loro volteggi, esprimono il massimo grado di libertà e sono in
un certo senso elementi speculari ai ragazzi, in particolare al Riccetto, che si getta in acqua per
salvarne una. Non è la prima volta che Pasolini si serve delle rondini per rappresentare la vitalità e
89
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 12.
41
l'energia del popolo; ne Le ceneri di Gramsci la rondine è l'impeto e la passionalità, che vive dei
ritmi della natura e non è difficile immaginarla come un ragazzo di vita:
Sfuma l'Italia/negli smorti, eccelsi toni/ di quei nevai: contro cui l'ala/ cieca della rondine
esala/ più vera le quotidiane passioni. 90
Nel breve rapporto consumato con la prostituta Nadia è possibile scorgere la timidezza e
l'insicurezza del giovane Riccetto, che proprio per l'occasione viene derubato dalla donna e dai
suoi amici. Questo frangente mostra un ragazzino ancora inesperto e fiducioso, caratteri che la
borgata tenderà a smussare e modificare in nome della sopravvivenza. Tuttavia il Riccetto è
anche un vero “fijo de na mignotta” e non perde occasione per dimostrare le sue doti di ragazzo di
vita.
Quando Marcello fu lontano, il Riccetto aspettò un momento che non passava nessuno, si
accostò al cieco, acchiappò la manciata di soldi dal berretto e filò via. 91
La meschinità del personaggio non subisce un'alterazione durante la storia, ma è un elemento
stabile che si presenta ogni volta che l'occasione lo richiede. L'aspetto onesto invece segue una
lenta estinzione che si corona con l'indifferenza alla morte di Genesio, forse a voler preludere le
caratteristiche della prossima forma del Riccetto, ossia la maturità.
A differenza di Tommaso il Riccetto non è dotato di una forma d'introspezione. In questo senso è
possibile interpretarlo come un protagonista abbastanza superficiale, che non opera per un fine
ultimo, ma sempre per livelli, dove occasionalmente trova soddisfazione.
E' a partire dal primo capitolo che vediamo il Riccetto preso da una continua frenesia per
raggiungere qualcosa. All'inizio sono i canapetti e i chiodi del Ferrobedò, poi il giro in barca dal
Ciriola, il gioco d'azzardo, il carretto, il formaggio al mercato. Il Riccetto è costantemente
trasportato dall'immediatezza dei suoi desideri e non si propone mai problematiche più ampie o
strutturate. Le sue azioni si risolvono attraverso lo schema semplice del volere e ottenere.
Nell'atteggiamento del Riccetto è presente un'abitudine allo scambio e al compromesso che
caratterizza il metodo della sopravvivenza, aspetto molto caro all'autore. Quest'attitudine del
Riccetto è in qualche maniera costantemente rintracciabile in tutti i personaggi appartenenti ad un
limbo sociale, che non concepiscono la ricchezza come un accumulo di beni, ma come un fruire
istantaneo e immediato. Il mondo delle borgate fa così da contrasto alla nuova realtà capitalizzata,
che acquista identità anno dopo anno, attraverso i beni che può ricavare in cambio di
manodopera.
Il Riccetto è l'ultimo discendente di un'esistenza arcaica che si fonda sul continuo rapporto con gli
altri, pur nell'avida aspettativa di un riscontro personale. Eppure questo dissoluto comportamento
che lo porta a raggirare, derubare, ingannare e a subire a sua volta, lo inquadra in un una civiltà
più dedita all'umanità, intesa nella sua complessiva rete di legami e reazioni. Il morbo occidentale
uccide invece la necessità dell'individuo di trarre qualcosa dagli altri, confinandolo in una bolla di
sapone dove egli trova soddisfazione a tutti i suoi bisogni, sapientemente manipolati dalle élite
dominanti, che di conseguenza acquisiscono potere e piacere. Lo sforzo dell'autore è quindi quello
di comunicare un'alternativa al nuovo sistema, che esiste, ma è marginalizzata e in procinto di
deteriorarsi sotto i colpi della nuova società. L'opportunismo e la malizia del Riccetto elaborate
attraverso questa chiave di lettura, non appaiono come meri caratteri volgari del ragazzo di strada,
ma come simboli di veracità e autenticità da conservare.
La scoperta dell'Oriente porterà Pasolini a consolidare queste prime intuizioni sociali, scorgendo
nella realtà diametralmente opposta alla sua un'intensità prepotente e travolgente dei rapporti
90
91
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano, 2009, pag. 39.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 14.
42
umani. E' proprio nell'India appena nata, indipendente e consapevole di Nehru, dove la miseria e
la povertà fanno ancora da sovrane, che l'autore potrà constatare il dato di oggettiva differenza,
ossia la mancanza di volgarità. Ecco allora, come i nemici più temibili dell'uomo, la fame, il dolore,
la malattia, diventano custodi di una sensibilità migliore e genuina, che si porta dietro secoli di
bizzarre forme religiose, che si mescolano alle vite e alle memorie sprigionando tutta l'energia di
un popolo in quanto tale, ossia una collettività di individui che interagiscono tra loro. Ne segue che
il protagonista di Ragazzi di vita è molto più di un giovane ladro di galline, e la sua superficialità e
leggerezza vanno intese in un contesto assai più ampio e strutturato di quello romanzesco, pur
ammettendo la qualità indiscutibile dal punto di vista narrativo.
Il Riccetto è comprensibile solo attraverso uno studio più ampio del lavoro di Pasolini e soprattutto
è necessariamente legato a Tommaso. Questi due protagonisti sono in un certo senso integrati,
per cui è possibile comprendere il loro ruolo solo attraverso un confronto. Senza Una vita violenta
e la sua canonicità infatti, sarebbe difficile contestualizzare il Riccetto nella ricerca pasoliniana e
quindi valorizzare il suo “non-personaggio”, senza cadere in atteggiamenti retorici e semplicistici.
Questo non significa svalutare la bellezza che il Riccetto richiama nel suo essere libero e leggero,
ma riflettere sul messaggio di cui egli si fa interprete. Non c'è infine dubbio sull'eleganza che
Pasolini infonde ai personaggi, così fragili ed eterei nei loro antichi modi di essere, agili e veloci,
magri, snelli, con il volto sempre incorniciato da capelli incolti; paiono a volte esseri mitologici.
43
V
5.1 Sesso, donne e “checche”
La sessualità ha una rilevanza non trascurabile nelle due opere, come del resto nella sfera privata
di Pasolini. Lo scandalo che deriva dalla rappresentazione di questo contenuto è la riprova
dell'autenticità della sua natura, nella quale il borghese si rispecchia, ma che rifugge in nome della
moralità impostata. Il vuoto borghese riposto in scaffali di pudore, vergogna, ordine e purità viene
provocato e scosso da un richiamo costante e incessante alla bestialità, all'istinto e all'impulso,
sentiti come esagerati per la portata minacciosa che hanno nelle coscienze dei lettori. L'effetto di
questa scelta tematica è tale da produrre una profonda polemica sull'uso, ritenuto spregiudicato,
dell'ingrediente sessuale, od erotico che dir si voglia, da sfociare nel secondo dei trentatré
procedimenti giudiziari a cui verrà sottoposto Pasolini nella sua vita. Dopo la pubblicazione di
Ragazzi di vita, 1955, l'Ufficio Spettacoli e proprietà letteraria della Presidenza del Consiglio,
segnala l'opera alla magistratura di Milano, per il suo palese “carattere pornografico”. Dopo i fatti di
Ramuscello92 ecco quindi Pasolini coinvolto in un nuovo scandalo sessuale, che diverrà un
marchio ancora oggi riconoscibile per l'autore. La sessualità e l'erotismo conservano per Pasolini
un valore inestimabile nella vitalità dell'individuo e più sono affrontati per bisogno e necessità, più
sono autentici e di valore. La gestione ponderata dei legami affettivi e della sessualità attraverso i
tabù e i concetti di contaminazione e purità è una delle branchie più potenti delle élite istituzionali,
che riescono ad assicurarsi il controllo della massa. L'autore conosce bene questi meccanismi
sociali, che del resto sussistono in ogni collettività da secoli, ma che la contemporaneità inizia a
sfigurare. Quello di Pasolini è quindi un grido disperato, alla riscoperta di un sesso sentimentale
ed emotivo, di una femminilità calda e “giunonica”, di un estetismo fine e spregiudicato. In un certo
senso l'inibizione sessuale, che la religione e il sistema sociale hanno imposto nella storia, ha
permesso lo sviluppo di una carica erotica travolgente, pronta ad esplodere ad ogni minima
92
Nel dicembre del 1951 ha luogo per Pasolini il processo per atti osceni, che si riferisce ai rapporti sessuali
intrattenuti dall'autore con quattro ragazzi nel prato di Ramuscello. La sentenza lo vede colpevole in primo grado e
assolto in appello; tuttavia la risonanza di questo fatto, avvenuto nel 1949 porta all'immediata espulsione di Pasolini
dal PCI e alla sua fuga, insieme alla madre, verso Roma.
44
possibilità, genuina e verace, proprio perché condotta dal filo dell'esigenza. Così il sesso furtivo,
sbagliato, che infrange le regole e provoca il disonore, è un atto puro in realtà, guidato dal più
sublime dei sentimenti, un gesto che non provoca sensi di colpa, sebbene venga socialmente
condannato. Il vuoto giunge nel momento in cui il sesso perde le sue funzioni sociali e diviene il
simbolo di una fittizia libertà individuale, per cui consumare è essenziale per dimostrare il proprio
status. La diversità di Pasolini non risiede tanto nella sua omosessualità, quanto nel suo tragico e
sentimentale rapporto con il piacere e con il corpo. La borghesia compie l'eterno errore di
interpretare il sesso nell'ordine sociale, di viverlo come riappropriazione del sé, di provare un
senso di colpa vorace. Il bisogno di liberarsi del senso di colpa porta alla mercificazione del sesso,
alla separazione del rapporto sessuale dai sentimenti e dall'emotività, che è il preludio per un
imbarbarimento e per unainvoluzione dell'essere umano. I ragazzi di vita si approcciano al sesso
quasi esclusivamente attraverso la prostituzione, ma nei loro fugaci rapporti c'è una ritualità e un
calore arcaico che elude la volgarità e la vergogna. Nella sessualità borghese invece il piacere è
sentito come una nevrosi verso l'autoaffermazione, fino ad uno smarrimento completo. La
prospettiva di Teorema è tutta concentrata su questo stato di disorientamento che la sessualità
provoca nella sfera classica borghese, attraverso un annullamento dell'identità, del ruolo e della
funzione sociale. Nella versione romanzata dell'opera è possibile captare immediatamente il valore
e la potenza della bellezza che innesca la possibilità di scoprirsi attraverso un essere estraneo al
sistema. L'ospite viene descritto da Pasolini come di una bellezza unica e lampante:
Anche osservandolo bene, infatti, lo si direbbe uno straniero, non solo per la sua alta
statura e il colore azzurro dei suoi occhi, ma perché è così completamente privo di
mediocrità, di riconoscibilità e di volgarità, da non poterlo nemmeno pensare come un
ragazzo appartenente a una famiglia piccolo borghese italiana. 93
Quindi esso si presenta con una carica vitale estranea al nucleo in cui si ritrova e la sua diversità
si percepisce dalla mancanza di quegli attributi che l'autore riconosce propri della borghesia. Di
questo misterioso personaggio non si conosce altro, ma del resto non è importante, proprio perché
non ha un ruolo, ma rappresenta l'occasione per provocare l'arresto di un sistema tacitamente
consolidato nelle coscienze di tutti. Infatti ogni componente della famiglia avrà un rapporto
sessuale con lui, contribuendo a creare il caos, che regnerà sovrano dopo la sua dipartita, con
l'annullamento delle identità dei familiari e la conquista di sé stessi. I rapporti intrattenuti con
l'ospite si interpretano in una sorta di rincorsa alla scoperta di sé stessi, un disperato tentativo di
riconoscersi al di là della parte, che divora lentamente la vera identità, sepolta sotto simboli e
meccanismi sociali. Questo procedimento malsano di stampo borghese si contrappone fortemente
alla sessualità genuina dei primi due romanzi pasoliniani, concepiti all'insegna di un'ammirazione
per lo slancio vitale e per le sue manifestazioni. Il sesso quindi occupa una posizione di rilievo per
i ragazzi di vita, ed è trattato con una certa crudezza, che seppur concepita come provocatoria,
tratteggia una lirica di grande spessore. Il decadentismo percepito da questo incessante ripetersi
di situazioni borghesemente concepite come “squallide”, è in realtà un omaggio alle antiche
tradizioni umane, dove azioni e riti s'intrecciano, dando vita ad una forma di energia che l'autore
vede perdersi nella contemporaneità. I ragazzi di vita affrontano il sesso attraverso la propria libido
o il guadagno; nel primo caso si rivolgono a prostitute, nel secondo si prostituiscono. Questa
concezione di baratto dell'intimità viene solitamente osservata come degradazione dell'animo in
seguito ai processi di ordine sociale che esaltano il nucleo familiare e respingono quindi
prostituzione e omosessualità. Da ciò il secolare rifiuto della cultura canonica ad esplorare altri
risvolti rispetto l'“amor cortese” e quindi l'imbarazzo ad affrontare l'argomento denudato dal
termine universale amore. Per Pasolini i retroscena scandalosi della sessualità conservano un
valore personale e intimo, prima che letterario. Sono inoltre il mezzo per portare a galla il contrasto
borghese, a livello socio-culturale, ma anche personale, evidenziando il difficile rapporto tra la
propria sensibilità e il ruolo. Nei due romanzi questo contenuto esplode senza riguardo, toccando
temi a dir poco scottanti per un paese democristiano e per una sinistra contenuta. Tuttavia
attraverso quest'impostazione “corsara” l'autore riesce a toccare i temi della femminilità, della
93
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Teorema, Garzanti, Milano, 2009, pag. 23.
45
famiglia e dell'omosessualità inseriti in un ambiente che ne esalta gli aspetti in ombra e ne
normalizza le abominevoli dinamiche. Nascono così ritratti sublimi di donne degradate e
consumate, dall'aspetto corrotto e dall'atteggiamento bestiale, ma soprattutto dominante. E' una
femminilità tutta nuova per la letteratura, che mette sullo stesso piano i rapporti tra uomo e donna,
laddove il bisogno e la necessità annullano le categorie e i ruoli, rendendo paritari i rapporti. La
famiglia viene inquadrata al di là del senso gerarchico che l'Italia ha sempre sostenuto e lascia
trasparire la costrizione, la frustrazione e l'eterno dolore che si generano dalle unioni. Non esiste
una maternità classica, poiché la realtà rende ognuno responsabile per se stesso; l'unico
momento di vera passione, quasi religiosa, è la morte dei figli, che fuori da un significato
puramente sentimentale, mette in scena un fenomeno contro-natura, quindi inverso alla
sopravvivenza. L'omosessualità interviene nelle opere come ovvia e istituita. Pasolini non cerca
alcun tipo di conforto da questo contenuto, anzi sembra quasi identificarsi nella “checca” che
adesca i giovani ragazzi di vita. Manca tuttavia una classificazione morale, esplicita o implicita, dal
momento che la realtà di borgata rende tutti mostruosi al medesimo livello. Così questa lussuria
sfrenata, che lacera i principi minimi della civiltà e lascia che uomini adulti paghino dei ragazzini
per servigi sessuali, si presenta come uno dei tanti espedienti per guadagnare soldi, forse
neanche il peggiore. Sarà quindi impossibile percepire dell'imbarazzo o della vergogna da parte
dei ragazzi, che del resto vivono il sesso per quello che è e non per ciò che rappresenta. La
“marchetta” è uno dei modi più veloci e sicuri di conquistare grana, che permette anche di potersi
approfittare della situazione; non esiste violazione del corpo, dell'intimità, poiché si tratta di un
libero scambio consenziente, in cui comunque il ragazzo di vita è deciso a prendere quanto più
possibile. Attraverso questa interpretazione senza limiti della sessualità, la borgata si delinea
come un luogo privo di pregiudizi, in cui i legami non procedono dal ruolo, come in ambito
borghese, ma dalla necessità, costituendo quindi confronti paritari e genuini. La donna, madre,
compagna, o prostituta, ha le stesse capacità dell'uomo di sopravvivere e di sopportare il dolore e
la fatica. Manca sia dei privilegi che dei limiti del suo genere; in borgata si è prima di tutto persone
e poi in secondo luogo uomini o donne. L'omosessualità è priva di qualsiasi connotazione o
censura, anche se di certo i termini a cui ricorrono i ragazzi per rivolgersi alle “checche” sono
tutt'altro che gentili. Tuttavia l'aggressività e la strafottenza dei ragazzi di vita sono caratteri ormai
acquisiti per il lettore, che quindi non ne farà una questione di pregiudizio, riconoscendo in loro
l'atteggiamento sistematico per affermare l'eventuale superiorità.
5.2 Donne: madri, compagne e prostitute
La donna di borgata possiede quindi molteplici identità che all'occasione si sovrappongono o intercambiano, dando vita a figure complesse e tutt'altro che ben definite. Le madri dei ragazzi di vita
sono personalità molto energiche e virili, avvezze alla violenza fisica e verbale, che competono
con gli uomini per la gestione del sistema familiare e per il guadagno. Il loro rapporto con i figli
sembra fondarsi sul caso e sul dovere minimo di concedere loro del nutrimento fino a che non
saranno abbastanza grandi. Mancano quasi del tutto le dimostrazioni d'affetto, come del resto la
prospettiva di un miglioramento del proprio status attraverso la prole, che invece è sentita molte
volte come impedimento alla propria affermazione.
Era dal mattino che non rincasava: la madre lo menò. 94
«Fijo bello, si ero nei panni tua, sai dove l'avevo mannato a st'ora quer disgrazziato de mi
fijo! Ma che è d'oro?».95
«A disgrazziato, che te possino ammazzatte te e quer imbriacone zozzo de tu' padre!». 96
94
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 8.
Ivi, pag. 43.
96
Ivi, pag. 160.
95
46
La femminilità di queste donne è sepolta sotto la necessità e la miseria e i pochi aspetti che
permettono di riconoscerle come femmine, vengono sfruttati per la prostituzione. Le madri
prostitute non sentono un dovere morale nei confronti dei figli, anzi probabilmente attribuiscono
loro la responsabilità della povertà in cui si trovano. Tuttavia vivono il loro ruolo materno come un
fatto ovvio, senza felicità o tristezza. Fanno quello che deve essere fatto. La prostituta Elina
continua ad esercitare la sua professione anche in gravidanza.
«Tanto,» fece uno, «la Elina stassera nun ce sta.» «Chi te 'a detto,» fece un altro,
disgustato, «ce sta sempre ce sta.» «See,» fece il primo, «c'aveva na panza grossa come
na tinozza, mo starà ar Poricrinico a fa er fijo.» «Ma quale grossa, quale grossa,» fece il
primo in aria di sfida, «ma si sarà stata er massimo de quattro mesi.» «Quattro mesi er
c...,» disse l'altro, «ma si ggià a' teneva grossa 'a panza quanno che 'ho scopata io sta
primavera!».97
Sopra il muretto, a godersi il passeggio, accucciata sul tetto di latta della sua abitazione che
pareva uno stabbio per le pecore, se ne stava la Elina, con due cerchi d’oro falso che le
ciondolavano agli orecchi, e con in braccio il pupo più piccolo che faceva la lagna. 98
Pasolini non vuole omettere per buon senso, ma decide di calcare lo sfregio della maternità nel
dettaglio, lasciando ai ragazzi di vita la rappresentazione della gravidanza, che si limita ad un
gonfiore sproporzionato, che non elude la pulsione sessuale. Nella sua immagine posteriore, quasi
religiosa, la vediamo congiunta alla maternità e al mestiere con una particolare dignità, che resiste
allo squallore del rifugio e alla bigiotteria da richiamo. La Vecchiona, madre del Cagone, è sfruttata
sia dal protettore che dal figlio, a cui deve i suoi guadagni. In questo caso la maternità è un vero e
proprio fastidio e il Cagone è l'ennesimo maschio da raggirare per non rendere vani i propri sforzi.
Il Cagone del resto, privato dell'affetto materno, è legittimato a non riconoscere il legame prediletto
e a cercare con la violenza il mantenimento e la protezione a cui avrebbe avuto diritto in tenera
età.
Come il Cagone, verso i tredici quattordici anni, venne a sapere che sua madre era una
scaja, aspettò d'essere un po' più grosso: e due tre anni dopo si presentò da lei, la
agguantò per la gola e le fece: «Mo' tu me dai cinque piotte ar giorno, sinnò t'ammazzao.»
Lei spaventata gliele promise, perchè il Cagone non scherzava proprio per niente: così di
nascosto dal pappone, passava al figlio quindici sacchi ogni mese. 99
Esistono tuttavia anche madri succubi della situazione, sofferenti e fragili, come la madre di
Genesio e dei suoi fratellini e la sora Maria. Queste sembrano non aver sviluppato l'aggressività e
la temperanza necessarie alla vita di borgata e subiscono il sistema in silenzio. Accompagnate
dalla sofferenza, sembra che la sorte si accanisca senza sosta su di loro, attraverso morte,
malattie e violenza.
La madre di Genesio, di Borgo Antico e di Mariuccio, era una marchigiana che chissà in che
modo, durante la guerra, aveva sposato un muratore di Andria. Beccava ogni giorno,
povera donna, e s'era ridotta a fare una vita peggio delle bestie. Eppure come diceva lei nei
momenti di tregua alle vicine, ci teneva ancora alla buona educazione dei figli. 100
L'affetto e la tenerezza sono i sentimenti della sensibilità, che nella vita di borgata è alla stregua di
una patologia. Infatti queste personalità risultano fragili e minacciate dalla logica della
sopravvivenza. La madre dei tre fratelli e i bambini stessi stentano a sopravvivere e Genesio
97
Ivi, pag. 85.
Ivi, pag. 97.
99
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 42
100
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 201.
98
47
morirà nel tentativo di adattarsi alla logica di borgata. La sora Maria conserva gli stessi tratti della
madre di Genesio, nella sofferenza e nel perdurare del dolore.
La sora Maria si sentì tremare le ginocchia, e cadde giù con le mani sul letto, sopra il corpo
di suo figlio.101
L'affetto per i figli sembra in qualche modo punito, in una prospettiva in cui la femminilità deve
disfarsi dei tipici attributi ad essa riferiti e modellarsi nelle dinamiche di controllo e affermazione.
La madre del Begalone, ad esempio, cede alla follia, forse proprio in virtù di questo mancato
riconoscimento di genere. In effetti le visioni della donna, sono ben inserite in un sistema di simboli
dall'esplicito richiamo sessuale, proprio ad intendere la potenza di questa parte di femminilità
repressa.
Diceva che un serpente era venuto dentro nella camera e s'era intorcinato ai piedi del letto
e la guardava fisso costringendola a spogliarsi nuda; e allora lei aveva cominciato a gridare.
(…) e guaendo come una cagna con un mal di testa che si sturbava, s'attaccava alle figlie o
a chi aveva appresso perchè la proteggessero contro quella cosa che capiva soltanto lei.
Sulle lenzuola grigie s'era messa seduta accanto a lei – come dopo lei raccontò – una
ragazza morta: morta almeno a considerare com'era vestita, con la veste buona, le calze di
lana bianche e la corona di fiori d'arancio, perché pochi giorni dopo avrebbe dovuto
sposare.102
Il rifiuto all'esistenza di borgata, tra povertà e stenti si percepisce nel mancato riconoscimento
della sessualità, che emerge attraverso l'immagine lussuriosa e “peccaminosa” del serpente, per
cui la donna si sente legittimata a spogliarsi. La necessità di questo atto risiede nella volontà di
essere posseduta come donna, di essere quindi ammirata nelle proprie fattezze e nel proprio
corpo.
Una prospettiva delusa dal matrimonio, dai figli e dalla povertà, che sfregiano senza speranza
quella parte d'identità, ancora così forte e temprata, se pur dirottata dalla pazzia. I figli sono la
causa del malessere e infatti è con loro che la donna se la prende in seguito ai suoi malori e
rintraccia la causa della propria decadenza nell'unione matrimoniale. La ragazza morta è infatti
un'identificazione (per puro caso poi risolta in premonizione), che mostra come la famiglia abbia
spento la vitalità della donna.
Accanto a questa rappresentazione contrastata della maternità, Pasolini propone tuttavia anche
l'avvincente figura popolare della donna battagliera, pronta a difendere i suoi uomini, coraggiosa e
determinata. E' questo il ritratto più fresco e colorato, che esalta il temperamento di borgata e
mette in luce il carattere di donne abituate alla stenta e cresciute nella guerra. Con il capitolo La
battaglia di Pietralata (Una vita violenta), l'autore esalta attraverso la donna il senso di collettività e
solidarietà che la borgata stimola nei suoi abitanti.
Le madri fanno da portavoce, in uno slancio di protezione verso i figli, tutti i figli della borgata. Il
Cagone che sta per essere arrestato e portato via appartiene in quel momento a tutte le madri
presenti; è il simbolo del disagio e delle contraddizioni tra la Roma borghese e quella buia e
dimenticata delle borgate.
Le donne erano ormai fatte, avevano perso il lume degli occhi: «Disgrazziati!» gridavano.
«Fate piano!» «A un povero fijo de madre, vergognateve!» «Via! Via! Largo!» urlavano le
101
102
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 351.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 164.
48
guardie. Ma una donna si attaccò al braccio d'una guardia, con tutte due le mani, tirandolo,
e gli gridava: «Lassalo! Assassino!» 103
Una si levò uno zoccolo e con quello cominciò piangendo a randellare uno dei poliziotti.
Dietro a lei, pure altre, tutte assieme, fecero la carica. Vedendo le brutte, i poliziotti
dovettero lasciare il Cagone, se non volevano farsi trinciare. Il Cagone restò lì fermo, dove
l'ammollarono. «L'hanno ammazzato!» gridò una a tutta gola. «Perde tutto er sange da la
testa!» «Dateje giù, ammazzamo pure loro! Li mortacci vostri! Ve lo famo ricoje co la
lingua, er sangue!» 104121
Le donne di Pietralata creano una piccola rivoluzione di quartiere dove esprimono tutta la rabbia
per le condizioni in cui sono costrette a crescere i figli. La rivalsa proviene proprio dal sentimento
materno, per cui gli uomini ne restano esclusi e intervengono solo in un secondo momento. Si
tratta di un'azione istintiva e impulsiva, dettata dalla necessità di far parte del mondo in crescita e
di lasciare la bolla esclusa dal tempo e dallo spazio in cui vivono.
A dispetto dell'ardore materno il Cagone approfitta per scappare e una volta trovato il rifugio viene
raggiunto dagli amici. I ragazzi mangiano e giocano a carte nella più completa indifferenza della
reazione delle donne del quartiere. I figli non si sentono coinvolti nella lotta, non immaginano un
futuro, vivono alla giornata, privi di aspettative; in un certo senso il compito di migliorare le loro
condizioni in vista di un futuro è attribuito alle donne. La rappresaglia è molto dura e coinvolge
tutte le donne della borgata. Queste vengono sorprese durante la notte e costrette a salire nei
furgoni. Emerge tutta la loro fragilità, mentre i poliziotti le trascinano semi-vestite nella notte, ma
qualcuna rivendica le sue energie.
In mezzo a un altro pattuglione, bestemmiando come un giudìo, veniva Anna, ch'era una
che faceva la facchina ai Mercati, con sei sette figli sparsi per il mondo: una vera donna di
vita, che portava il rossetto fino sotto il naso, col trucco che col sudora le cascava a pezzi, e
tutti i denti guasti in bocca, sempre zozzi, gialli; ma era una scopona proprio, e aveva l'occhi
sempre calamarati, sotto quei capelli di tutti i colori, perchè ognitanto cambiava, e erano un
po' neri, un po' castani, un po' biondi biondi, un po' rossi, tutti bruciacchiati che parevano
quei peli che sortono fuori dai tuderi, o la stoppa degli stagnari. 105
Nell'istantanea di Anna, Pasolini riassume un po' tutto il significato dei due romanzi, presentando
una donna molto lontana dalla femminilità a causa della fatica e della miseria. Il suo corpo è
un'indefinita materia che ella cerca di trattare con una certa ambizione borghese (trucco e tinta ai
capelli), come la madre del Riccetto. In questo suo tentativo fallimentare di trovare la propria
essenza femminile nell'immagine patinata borghese, Anna risulta grottesca. Tuttavia l'autore vuole
ricordare anche il coraggio e la forza della donna, madre di sette figli e facchina ai Mercati, che
impiega il proprio corpo senza risparmiarsi, in nome della sopravvivenza. E' il volto dell'autenticità
che l'autore andava cercando senza sosta nel suo pellegrinaggio di borgata. Infatti Pasolini la
chiama “donna di vita”, quindi esperta e audace, sanguigna, dedita proprio alla vita, rappresentate
di quel prezioso mondo in via d'estinzione. In questa sua particolare essenza vitale, Anna può
risultare a buona ragione, la figura femminile più positiva delle due opere.
Mogli e compagne sono figure che non riscuotono una particolare attenzione all'interno delle due
storie. In Ragazzi di vita si accenna appena alla relazione del Riccetto con una delle figlie del sor
Antonio, mentre vengono solo citate la madre di Alduccio che s'impone come guida familiare,
confrontandosi fisicamente con il marito ubriaco e la madre di Genesio che invece rimane
totalmente sottomessa. Figura poco rilevante, ma particolare è la sorella di Alduccio, che tenta il
103
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 120.
Ivi, pag. 121.
105
Ivi, pag. 131-132.
104
49
suicidio dopo essere stata rifiutata dal padre del bambino che aspetta. In questo caso Pasolini
riporta l'alto senso di onore che in Italia ha gestito i rapporti tra i sessi, fino a qualche decennio fa.
La fidanzata ha invece una rilevanza particolare per Tommaso, che concentra in lei le sue
aspettative di riscatto e la sua necessità di autoaffermazione. Irene, dal canto suo, non è una
donna di borgata: pur delineandosi nei tratti fisici e nel linguaggio umile e misera, Irene non abita
in una baracca e sembra appartenere ad uno status appena superiore a Tommaso. Ha un
carattere molto contenuto e dignitoso, una timidezza formale e una calma sottomessa, che fanno
di lei una buona compagna. Tommaso cerca di completare la sua identità attraverso il rapporto di
dominio con Irene, e pur provando un sincero affetto per lei, non esita a prevaricarla nelle sue
manifestazioni di virilità. Irene non facendo parte della borgata non ha sviluppato l’aggressività e
l’indipendenza utili alla sopravvivenza e cede alla subordinazione riconoscendo la sua inferiorità
femminile e identificandosi con essa. Anche la ragazza tuttavia sogna un riscatto sociale,
sperando di poter condividere un giorno con Tommaso “una vita da gente per bene”.
Irene tacque un po’, meditando: «che ne puoi sapè,» disse poi, «che un giorno pure noi, co’
un po’ de bona volontà, avemo fortuna e potemo fa la figura nostra!» 106
Il genere femminile più marcato dei due romanzi è la prostituta, che come è già stato precisato,
può apparire anche come madre e moglie. Pasolini rintraccia in questa figura una certa classicità
rappresentata dalla meretrice che rinnova, nell’epoca dello sfregio sociale borghese, le antiche
tradizioni e i culti legati al sesso. La sua dignitosa serietà è quasi intimidatoria nei confronti
dell’altro sesso e la rende interprete di una femminilità dominatrice. Il sua aspetto è imponente e
primitivo, a voler ricordare la bestialità di cui è interprete, ma anche l’opulenta femminilità che le
rende desiderabile. La Nadia seduta in spiaggia ricorda la Venere di Willendorf, statuetta risalente
al paleolitico, che rappresenta un corpo femminile i cui attributi sessuali sono volutamente esaltati.
Il valore ancestrale della prostituta Nadia risiede tutto nel suo corpo e nello sguardo che manifesta
sfida e controllo.
La Nadia stava distesa lì in mezzo con un costume nero, e con tanti peli, neri come quelli
del diavolo, che gli s’intorcinavano sudati sotto le ascelle, e neri, di carbone, aveva pure i
capelli e quegli occhi che ardevano come inveleniti.
Era sui quarant’anni, bella grossa, con certe zinne e certi coscioni tosti che facevano tante
pieghe con dei pezzi di ciccia lucidi e tirati che parevano gonfiati con la pompa. 107
Anche la Elina conserva un’immagine di potere:
Trovarono la Elina in mezzo alle ombre di cui era la regina, […] 108
Si misero a giocare a palline poco distanti dal Lenzetta, sotto la Elina, che, seduta sul tetto
di bandone, si disegnava contro il cielo bianco come la statua della madonna in una
processione.109
Quando il Begalone e Alduccio si presentano nella casa chiusa, perdono tutta la loro audacia di
ragazzi di vita e vengono subito umiliati.
«Aoh, a disgrazziati zozzi!» Era la padrona che urlava, e così forte da rompersi la vena
dell'orina. «An vedi questi,» continuò, «che ve credete d'esse a casa vostra?» […]
106
Ivi, pag. 220.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 36.
108
Ivi, pag. 87.
109
Ivi, pag. 98.
107
50
«Questi cretini,» fece la signora, che ogni tanto parlava in italiano, perchè, siccome era
possidente, si considerava nel rango delle persone elevate. «Che, volevate fà marchetta
senza caccià na lira? Robba da matti!» 110
I ragazzi sono entrati in uno spazio dominato da donne, che non perdono l'occasione per marcare
la loro posizione.
E eccola lì, in uno sgabello imbottito, al centro della stanza, con due o tre zanzariere color
menta intorno alla pancia, la vecchia siciliana che se ne stava seduta, fumandosi una
sigaretta tutta impiastricciata di rossetto.
I presenti se la squadravano in silenzio, e lei li guardava infregnata, in faccia, buttando
boccate di fumo intorno, con le zinne che le arrivavano al bellicolo. 111
Lo sguardo severo è il mezzo con cui le prostitute affermano se stesse nei confronti degli uomini
stabilendo i ruoli. Anche la Nadia e la Elina gestiscono questo potere, assumendo un
atteggiamento di sfida e evitando la compiacenza, che le condurrebbe alla sottomissione.Per
queste donne è necessario che gli uomini rispettino la distanza e l'austerità, così da poter ricavare
del guadagno, che andrebbe perso se gli aspetti più fragili della loro femminilità emergessero. C'è
inoltre una piccola componente di odio che sembra regolare i rapporti tra uomini e prostitute, come
se si trattasse comunque di una lotta. La mancata virilità di Alduccio rende la siciliana assai
potente nei suoi confronti, tanto da poterlo umiliare pubblicamente, ostentando superiorità e
potere:
Lei si rivoltò verso la rampa che non si vedeva, e senza smettere di ridere, strillò: «E daje,
che te ce vò 'a balia, te ce vò?» Alduccio allora comparve pure lui, accanto alla siciliana, sul
pianerottolo, cercando a testa bassa un buco più giù nella cinta dei calzoni per stringerla.
«Vatte a beve uno zabbajone,» continuava lei tra gli scoppi della sua sghignazzata. 112
Le donne di borgata acquistano un valore letterario proprio in merito alla parità che si vedono
costrette a raggiungere, talvolta anche loro malgrado. I loro corpi, segnati dalle dure condizioni di
vita, risultano decadenti e rovinati, sempre dotati di dettagli grotteschi, nello scimmiottamento del
vicino benessere borghese. I ragazzi di vita sono costantemente influenzati da madri, compagne e
prostitute e spesso assoggettati.
Che abbiano subìto un comportamento materno dominante e spregiudicato o uno sensibile e
fragile, ogni ragazzo porta nella sua formazione i segni della famiglia e della maternità, fino ad
esserne pesantemente condizionato. Infine tutti si prostrano davanti al sesso e le prostitute
acquistano in questa dinamica un potere sconfinato, che manifestano con lo sguardo e
l'umiliazione del maschio. Tuttavia anche la borgata ha le sue vestali, che proteggono la comunità
in nome di un senso di maternità collettivo e solidale. E' il caso della rivolta di Pietralata che vede
nelle donne le protagoniste per eccellenza.
5.3 “Le checche”
L'omosessualità viene affrontata da Pasolini in tutti i suoi clichés, in nome di una calzante
provocazione nei confronti del lettore borghese. La sessualità rappresentata dalla “checca” è
ancora più scandalosa e perversa di quella interpretata dalla prostituta poiché calca l'immagine
decadente del satiro sempre in cerca di piacere. Pasolini non cerca di attenuare la tensione che si
forma attorno a questa figura, ma la spinge fino al grottesco caricaturale, offrendo ancora una
110
Ivi, pag. 186.
Ivi, pag. 187.
112
Ivi, pag. 189.
111
51
volta sé stesso in pasto ai pescecani. In primo luogo dà l'occasione di essere criticato come
scrittore, nella scelta di un contenuto ritenuto “pornografico”, e inoltre tenta di farsi identificare con
questo personaggio, suscitando scandalo e sdegno anche intorno alla sua figura. Per Pasolini
infatti scandalizzare è una necessità creativa, che gli permette di porre punti di riflessione e di
dibattito.
La sua omosessualità, già da tempo discussa e criticata, scivola tra le pagine delle sue opere
secondo la volontà del lettore, quindi compiacendo la comune opinione che vede nella “checca” un
rifiuto sociale, un adescatore, che dal centro della città si dirige in periferia con l'intenzione di
indurre poveri ragazzi di borgata a prostituirsi con lui. In realtà Pasolini non utilizza la caricatura
come contrasto verso se stesso, ma utilizza se stesso come caricatura, in un potente esercizio di
auto-accettazione.
Quindi pensare Pasolini come un satiro, finemente abbigliato, che si aggira per le periferie in cerca
di ragazzini da comprare, è vero; come è vero che esiste un mondo ai confini della città, che
conserva le proprie regole e come è vero che la necessità e il bisogno sono sovrani di questo
mondo. La dualità e il contrasto sono del resto due protagonisti imprescindibili dell'opera di
Pasolini, a partire proprio dall'anima dell'autore, che si riconosce altro da se stesso e che non solo
si accetta nella sua alterità, ma ne vuole esplorare tutti i recessi. Fa inoltre parte dell'onestà
umana ed intellettuale dell'autore decidere di rendersi reale, con tutte le proprie contraddizioni e
parti oscure, rischiando certo l'isolamento sociale e professionale, ma guadagnando stima verso
se stesso.
Le “checche” sono personaggi simili e diversi all’interno delle due opere. La similitudine si trova
nella loro posizione marginale rispetto la società, quindi del tutto integrabile nella vita di borgata.
La loro identità in questa “corte dei miracoli” fatta di ladruncoli e prostitute è del tutto accettata e
riconosciuta, dato il sistema di necessità che vige in borgata. Tuttavia il loro orientamento
sessuale li rende inferiori rispetto la logica di virilità e affermazione e quindi diversi. Pasolini
trasmette una verità tremendamente incontestabile quando lascia trapelare l’assenza del
pregiudizio nei rapporti che vengono tessuti con “le checche”. Infatti in una realtà precaria e
indefinita come quella della borgata certi aspetti personali non acquisiscono un valore
discriminatorio, che emerge solo in un contesto di tensione tra affermazione e sottomissione. I
ragazzi di vita si approcciano “alle checche” per ricevere della grana in cambio di rapporti sessuali.
Il sesso in questo frangente è un valore di scambio ed è slegato dal piacere, per cui è privo di
connotazioni. Essendo confinato al puro e semplice aspetto funzionale evade qualsiasi possibilità
di interpretazione e quindi di pregiudizio. Assai diversa è la posizione borghese nei confronti
dell’omosessualità e di gran lunga più articolata la polemica sulla spregiudicata corruzione di
minori compiuta dal poeta, che del resto non ha mai negato questa parte comunemente
intollerabile della sua vita. Pasolini si dipinge quindi così tra i suoi ragazzi, accettato e un po’
deriso, ridicolo perché borghese:
Il froscio finse di sentirsi colto in fallo, finse di sorridere imbarazzato, con un fondo di
provocazione nella bocca livida con dentro la lingua che si muoveva come quella delle
bisce; e si mise una mano sul petto, stringendosi nervosamente sulla gola il colletto aperto
della camicia, un poco come se volesse difendersi dall’umidità della notte, un poco per
proteggersi pudicamente chissà che cosa dalla vista dei maschi. 113
La femminilità e la delicatezza dell’uomo sono i dettagli che lo mettono in difficoltà dinnanzi ai
ragazzi di borgata, che invece sfoggiano una mascolinità ruvida e inquietante. E’ bene sottolineare
come il narratore segua anche in questo caso il registro linguistico dei personaggi, appellando
l’omosessuale “froscio”. Il senso dispregiativo di questo termine è diverso rispetto quello che
acquisisce nella sfera borghese. Infatti nell'ambiente di borgata il gergo ha una sua valenza
113
Ivi, pag. 176.
52
naturale e ogni carattere viene individuato per quello che è (scaja, fardona, mecca, zoccola,
sventola, strappona, servatica, battona, donguanella, fijo de na mignotta, balordo, carubba,
gaggio, zaraffa, tudero, togo, tarpano, pappone, pippelletto, mino, creatura, nottola, maumau,
neno, moresca, mandrucone, fracicone, ciumaca, cazzaro, buro, bravo, baciccia ecc.), senza un
giudizio morale dall'impianto sociale. Così il “frocio” ha delle sue peculiarità che lo rendono tale, la
camminata, l'atteggiamento, la voce, l'abbigliamento, che non sono motivo di scherno e vergogna,
ma mezzi per il riconoscimento della sua identità.
Del resto l'omosessualità esposta è una facilitazione per i ragazzi di vita, che possono subito
individuare il cliente e quindi guadagnare grana. L'incontro con “la checca” è l'occasione per il
Riccetto di ricordare la sua infanzia tra Ponte Sisto e Ponte Garibaldi, quando gli omosessuali
popolavano quel luogo, interpreti di una particolare vitalità e fantasia:
[…] lungo la spalletta, seduti come lui adesso, ce n'erano almeno venti, di giovincelli, pronti
a vendersi al primo venuto; e i frosci passavano a frotte, cantando e ballando, pelati e
ossigenati, ancora giovani giovani, oppure anziani, ma tutti facendo i pazzi, non pensando
per niente alla gente che passava a piedi o dentro le circolari, chiamandosi forte per nome:
«Wanda, Bolero! Ferroviera! Mistinguette!», come si vedevano da lontano, correndosi
incontro e baciandosi delicatamente sulle guance, come fanno le donne per non rovinarsi il
trucco […]114
Il senso di decadenza si percepisce bene in questo racconto, dove il passato sembra un'epoca
d'oro della libertà individuale, mentre il presente, nella sua desolazione (solo il Riccetto è seduto
sulla spalletta del ponte e l'unica checca è contesa tra i tre amici), prelude un imbruttimento
progressivo e inesorabile. Decisamente meno colorata è l'omosessualità in Una vita violenta, dove
l'iniziale prostituzione dei bambini col maestro calza con il senso di squallore e pesantezza della
borgata, ormai prossima alla fine. Infatti in questo rapporto controverso si percepisce un'ingiustizia
sociale insanabile, che porta i bambini alla prostituzione, quando sono ancora troppo piccoli
(l'immagine che incornicia il primo capitolo li vede giocare insieme in attesa delle lezioni).
Il sapore agro di questo racconto non è tanto nell'atto di supremazia che il maestro compie nei
confronti dei bambini, quanto nella febbricitante aspettativa dei bambini ad essere scelti per questi
particolari favori. In questo senso Pasolini mostra una borgata che ha perso le ultime vestigia di
civiltà e che si prepara al suo smantellamento, attraverso una generazione di affamati del
benessere. Il contrasto con la nascente società dei consumi è talmente sproporzionato che i
piccoli figli di periferia non possono far altro che desiderare un'elevazione, pretendere del potere,
arricchirsi, e in nome di ciò, rinunciano alla poca infanzia a cui hanno diritto.
A dimostrazione di questa premessa, l'ultimo capitolo di Una vita violenta s'intitola L'eterna fame e
vede l'ormai “emancipato” Tommaso ripercorrere ancora una volta la strada del bisogno,
attraverso un omosessuale incontrato in un cinema. L'atmosfera è tesa, prepotente, al limite della
violenza. La sessualità è interpretata con l'aggressione e l'avidità. Mancano le sfumature di
allegria e leggerezza presenti in Ragazzi di vita, i rapporti si fanno cupi e tesi e quello che doveva
essere un pacifico scambio diventa una lotta.
«Caccia la grana, daje!» ripetè, senza più ridere, torcendo la bocca. Il froscio balbettava:
«Ma che? Te sei ammattito? Ma che fai?»
Tommaso fece scattare un'altra volta la lama, dandogli una gomitata che a momenti lo
buttava giù dalla sedia. Ma già il froscio stava abbassandosi, tremando tutto, e cominciava
a slacciarsi una scarpa: non ci riusciva, però, perché il nodo era forse stretto o le mani non
gli servivano. Finalmente si tolse la scarpa dal piede senza slacciarla, e la svuotò in modo
che Tommasino vedesse bene: c'erano duecento lire. 115
114
115
Ivi, pag. 177.
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 310.
53
Tommaso anche questa volta subisce un pesante senso di inferiorità, quando “il froscio” rimane
inizialmente indifferente alle sue avances e prende ad osservare un altro ragazzo. Lo stesso
episodio si era verificato quando da bambino competeva con Lello per le attenzioni del maestro.
Intanto Tommaso aveva svagato dove andava a guardare il suo vicino girando gli occhi qua
e là. Andava a guardare un giovane che s'era tolto la giacca due o tre file più avanti, e si
vedeva solo la testa di dietro tosata alla militare e le spalle con una bella camiciola alla cowboy azzurra e grigia. Era per questo che Tommaso s'incazzava ancora di più. «Ma
vaffan...!» si diceva tra di sé, «che c'ha mejo de me quello? Che, so' farso, io, li mortacci
tua!»116
In questo caso ciò che interessa Tommaso è il valore di se stesso, messo a repentaglio da un
altro, ritenuto migliore. La checca quindi non solo è fonte di guadagno, ma anche anche metro di
misura della propria virilità e mascolinità, in un processo paradossalmente inverso a quello
borghese dove il contatto con un omosessuale indica rispettiva omosessualità.
La borgata rimane per l'autore uno spazio unico, dove il sacro e l'abominevole si abbracciano
dando vita al contrasto, unica risposta alla sua personalità. Questa contemporanea “corte dei
miracoli” offre a Pasolini la possibilità di accettare se stesso interamente e quindi amarsi. Ecco
perché le parole del poeta si vestono di un'umanità unica e travolgente quando delicatamente
vanno a scavare nei gesti, nelle parole e nei volti dei ragazzi di vita, mostrando la bellezza del
mostruoso. E purtroppo noi che leggiamo Pasolini e intraprendiamo una sua “esegesi”,
probabilmente possiamo vedere questo spicchio di antica, potente, vitale e irriverente civiltà, solo
nelle immagini opache dei suoi racconti, elaborati sotto la perpetua pulsione dell'incontro con la
parte più nascosta di se stesso.
116
Ivi, pag. 304.
54
VI
6.1 Accattone
Victor Hugo era riuscito ad illustrare il grottesco e il sublime grazie ad un'elaborazione letteraria
complessa e strutturata. Lo stretto rapporto con il fantastico, che prende ispirazione da un
mostruoso già codificato dal romanticismo e erede di un controverso Medio Evo europeo, padre di
contenuti mistici e oscuri, si intreccia ad un registro classico ed erudito, che racconta i volti del
grottesco in nome di uno stile lirico-didascalico. L'opera di Hugo è legata a simboli universalmente
riconosciuti, che emergono da tòpoi poetici canonici come la sofferenza del sentimento amoroso, il
valore spirituale, la virtù e il vizio, la saggezza, il coraggio ecc... Non esiste nella sua opera la
necessità di creare un contenuto reale e visibile, poiché il lettore conserva tutti i requisiti culturali
per immaginare i personaggi, che pur ispirandosi alla realtà, restano nel limbo della fantasia. In
questo senso Hugo segna i confini del suo genio entro il regno letterario, fornendo alle epoche
future gli spunti per le più diverse interpretazioni, che non tardano ad essere rappresentate. Hugo
muore nel 1890 ed è del 1923 il primo film ispirato a Notre Dame de Paris, dal titolo Il gobbo di
Notre Dame. E' difficile dire se oggi l'immagine che ogni lettore concepisce attorno alla figura di
Quasimodo sia opera di Hugo o della soave scena muta, organizzata da Wallace Worsley, che
vede il gobbo, Lon Chaney, osservare da una facciata della cattedrale la festa dei folli. Frutto di
ulteriori elaborazioni, questo è il prodotto visibile della fantasia di Hugo, creato ad immagine e
somiglianza del contenuto letterario, quindi in un certo senso integrato ad esso. Del 1929 è invece
il film L'uomo che ride, di Paul Leni, che dà forma ad uno dei più celebri pagliacci tristi della storia,
fissando un'immagine canonica del nostro patrimonio culturale.
Il contributo “visibile” del cinema al grottesco è in qualche maniera la morte di questo contenuto,
che nasce dall'esigenza di raccontare una materia indefinita: Quasimodo e Gwyneplaine nella
realtà, quindi nella rappresentazione reale dei personaggi, risultano mascherati, perdono il valore
della loro essenza. La dimostrazione plastica di una descrizione porta quindi al suo necessario
aborto, almeno così come era stato concepita. Si può parlare di una metamorfosi, di una ulteriore
interpretazione, ma la mostruosità (intesa come diversità dalla canonicità) rimane indecifrabile.
Tod Browing comprende perfettamente la potenza dell'immagine dell'ambito cinematografico e nel
55
1932 dirige Freaks, dotando il grottesco di una sua interpretazione visiva. In questo caso il regista
compie un'operazione spregiudicata, scegliendo soggetti invalidi e con pesanti deformazioni
fisiche come protagonisti, nel tentativo di rappresentare l'oggettiva diversità che li caratterizza.
L'atto di Browing è essenzialmente simile a quello di Pasolini, che cerca tra le borgate i
protagonisti dei suoi film. Per quest'ultimo però l'accento grottesco si concentra sul linguaggio,
sull'atteggiamento e sulle situazioni che gli attori vivono naturalmente. E' questa la grande
intuizione di Pasolini che traduce il discorso libero indiretto della letteratura attraverso una
dimensione comunicativa complessa, che comprende la stessa personalità dell'attore 117.
Poiché secondo l'autore il cinema, ovvero “la tecnica audio-visiva”, non può valersi di immagini
astratte, acquista una sua valenza l'oggettività, che racchiude l'espressione artistica entro limiti
ben precisi.
Questa è probabilmente la differenza principe tra l'opera letteraria e l'opera cinematografica
(se importa fare tale confronto). L'istituzione linguistica, o grammaticale, dell'autore
cinematografico è costituita da immagini: e le immagini sono sempre concrete, mai astratte
(è possibile solo in una previsione millenaristica concepire immagini-simboli che subiscano
un processo simile a quello delle parole, o almeno delle radicali, in origine concrete, che
nelle fissazioni dell'uso, sono diventate astratte). Perciò per ora il cinema è un linguaggio
artistico non filosofico. Può essere una parabola, mai espressione concettuale diretta. 118
Ecco perché l'attività cinematografica di Pasolini si fonda su tre strati: il simbolo; l'allegoria; la
realtà. Questa particolare struttura è osservabile soprattutto ne La ricotta, 1963, dove l'atto del
mangiare, il simbolo, passa per l'allegoria del regista (Orson Welles), «che si è cibato di cultura
figurativa e ora la ripropone al suo pubblico per nutrirlo» 119, per giungere al reale, che sostiene
l'intera struttura e che vede la comparsa (Stracci) tentare continuamente di mangiare, fino a morire
di indigestione sulla croce.
Il reale è l'elemento imprescindibile di Accattone, che traccia poi un percorso allegorico attraverso
l'esperienza della borgata, per cui il cattivo trova l'amore, e che simbolizza infine l'autenticità di un
mondo che lascia fiorire sentimenti puri. Accattone di fatto è un doppio: è attore e se stesso ed è
difficile stabile la quantità di Citti e la quantità del personaggio, ammesso che lo si possa fare. E'
interessante osservare come il film sia quasi una traduzione dei primi due romanzi e soprattutto di
Una vita violenta, anche questo sostenuto da una provata presenza di Franco Citti.
Sarebbe deduttivo pensare che Citti sia anche l'interprete del grottesco, nella maniera in cui i
personaggi letterari di Pasolini sono stati descritti nei capitoli precedenti. Invece l'operazione visiva
dell'autore in vesti di regista è maggiormente articolata e procede nel senso inverso rispetto ai tre
registi citati, che mostrano il grottesco a livello plastico. Pasolini presenta un Citti bellissimo e
accattivante, sempre circondato da una certa luce che riflette nel maglioncino bianco; il grottesco
si presenta fulmineo e inaspettato, quando Citti svolge un minimo repertorio mimico o comunque
si costringe in espressioni richieste.
Quella sensazione stridula, che infastidisce senza un motivo preciso è data proprio dalla
costrizione al ruolo del giovane Citti, che suo malgrado presenta un ulteriore contenuto: la parodia
dell'interpretazione del ruolo, un must tutto borghese, come è già stato possibile osservare
parlando di Teorema. Considerato che la chiave dell'analisi fin qui svolta è quella del grottesco e
del sublime, è ora d'obbligo tentare di rintracciare all'interno del film i momenti di Accattone
(grottesco) e quelli di Franco Citti (sublime).
117
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Garzanti, Milano, 2000, pp. 167-187.
Ivi, pag. 172.
119
Cfr. Marco Antonio Bazzocchi, I burattini filosofi, Mondadori, Milano, 2007, pag.57.
118
56
6.2 Accattone, Franco Citti e Pasolini
Questo confronto si basa su impressioni personali e non certo su delle indicazioni da parte del
regista. Tuttavia si tenta di procedere attraverso le prime scene in riferimento al film e alla
sceneggiatura, pubblicata in Alì dagli occhi azzurri.
Il primo a comparire nel film è senza dubbio Franco Citti, nel suo sublime atteggiamento rilassato
da bar e il sorriso deformato dalle smorfie a causa del sole. E' possibile notarlo prima ancora che
egli prenda la parola attraverso Accattone, quando è Alfredino a parlare:
A martire! Da' retta a n' amico, smettela de lavorà, entra pure te nella società della Metro
Goldwin Mayer! Haaam!120
Proprio a lato di Alfredino si trova Citti, che non è ancora chiamato ad interpretare la sua parte e
che siede tutto ricurvo, con quello sguardo “da fijo de na mignotta” che finalmente è possibile
vedere. Non appena inizia a parlare Accattone il volto si contrae, per dare effetto all'immagine
composta da Pasolini:
Ma ecco, vivida, la faccia di Accattone: serio, acceso, teso: si vedeva proprio che aveva in
cuore una gran passione, che gli faceva vibrare lo chassì. 121
Poi, non appena inizia a parlare torna a rilassarsi, lasciando da parte il personaggio fino ad un
momento culmine, in cui Accattone deve dimostrare le proprie convinzioni. Anche in questo caso
Pasolini indica lo stacco che Citti deve attuare:
Accattone guardò gli altri trionfante, con un ghigno che gli spappolava la faccia.
120
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano, 2005, pag. 249.
121
Ivi, pag. 250.
57
Aaaaaaaaah! No è morto pe' l'indiggestione, è morto pe' la stanchezza, quello! Quando
l'aveva traversato mai fiume!122
In questo caso il grottesco esplode proprio nel momento in cui Accattone viene assicurato dal sì di
Schucchia e lancia quel Aaaaaaaaah! di conferma e soddisfazione. Gli occhi quindi si strizzano e
la bocca si spalanca, mentre la testa viene scossa per evidenziare la negazione e tutto il resto del
corpo (di Franco) rimane immobile. Con un'altra serie di espressioni mimiche che traducono le sue
parole, il movimento delle mani e il sopracciglio destro alzato, Accattone segna il confine con il suo
interprete e rilascia una buona dose di tensione in questo suo particolare contorcersi drammatico.
Anche la scena seguente inizia con Citti, tutto concentrato a mangiare:
Accattone mangiava come un alluvionato, contro il correntino lordo del Tevere. 123
In questo frangente non è necessario che Citti si deformi, quindi torna a mostrare un volto
rilassato, quasi ad occhi chiusi, mentre compie l'azione più soddisfacente dei ragazzi di vita:
mangiare.
Accattone s'intromette di nuovo quando inizia a parlare del proprio eventuale trasporto funebre e
gesticola velocemente fino a concludere con una risata naïf, che è chiaramente impostata.
Accattone era solennemente in piedi sulla spalletta del Ponte degli Angeli, con tutta la fila
degli angeli alle spalle. Indugiava, scultoreo. 124
A comparire come una scultura classica sopra il Ponte degli Angeli è proprio Franco Citti, con quel
suo broncio caratteristico, che scompare subito dopo lasciando il posto ad Accattone che urla:
None! Vojo morì come i faraoni! Co' tutto l'oro addosso! 125
Nel gridare queste parole Accattone compie la mimica esplicativa, soprattutto quando alla parola
faraoni, guarda vero l'alto e scuote le braccia in segno d'imprecazione, quasi a intendere una
minaccia. Ritorna subito Franco Citti, nell'esporre l'attesa per il tuffo, con una sorta di solitudine
intima e personale:
Ma restava ancora fermo, là contro il cielo bianco, in piedi sulla spalletta di marmo. Parlava
da solo...126
Se lo vonno, l'oro, se lo devono venì a pescà!
Diede ancora un'occhiata alla piccola folla giù, nella spiaggetta e lungo i muretti del
lungofiume. E continuò a parlare a se stesso, amaro:
Damo soddisfazione ar popolo!127
Citti spiegherà poi in un documentario del 1986, A futura memoria: Pier Paolo Pasolini, di Ivo
Barnabò Micheli, il significato di quel raccoglimento e di quella dignità sontuosa sopra il ponte:
morire nel centro di Roma per “far notizia”, per poter imprimere nella città borghese la memoria di
un ragazzo di borgata. E' interessante come questo gesto, che sta alla base delle intenzioni del
personaggio cinematografico faccia anche parte di Citti, ragazzo di vita, che prestando la sua
immagine ad Accattone, tenta di evadere dalla borgata e di contrarre importanza nella società
borghese. In questo caso esiste un lampante esempio di triplice struttura: la realtà vede Citti
122
Ibidem.
Ivi, pag. 252.
124
Ivi, pag. 253.
125
Ibidem.
126
Ibidem.
127
Ivi, pag. 254.
123
58
adoperarsi per il riscatto, producendo l'allegoria di Accattone che vuole morire nella Roma
papalina “come un faraone” e concludendo la scena con questa posa che richiama la bellezza e
l'equilibrio classico, che simbolizza la nobiltà e l'eleganza di Accattone e Franco Citti e il loro
ripetersi nella storia. Ricordare la sfera privata dell'attore, nonché amico, discepolo, musa di
Pasolini è in questo frangente molto utile, poiché, come si è in grado di comprendere, esiste una
linea sottilissima tra Franco Citti e Accattone.
Io vorrei essere creduto per quello che ho sempre fatto e detto, non per quello che di me
credono gli altri. Non so raccontare, non so dare colore alle parole, non conosco l'italiano.
Ma credo che esistono i geni. E so che i geni sono sempre stati scoperti dopo. Forse
succederà anche a me. Non perché mi sento un genio, per carità, ma perché spero di
riuscire a lasciare almeno una traccia. 128
Ecco quindi, in una pubblicazione del 1992, quella passionale necessità di rivalsa di Citti e
quell'eroismo esagerato di Accattone, che si esaudisce nel desiderio di non essere invisibile. La
borgata nella sua precarietà, prossima alla fine, minaccia di affondare (in quella fanghiglia che
circonda Tommaso) portandosi dietro tutti i suoi figli: ne sono un esempio Una vita violenta e
Accattone che eludono qualsiasi speranza. Citti vuole salvarsi dall'imminente apocalisse della sua
realtà e vuole far parte della più confortevole Roma borghese. Pasolini in qualche maniera fa leva
su questo ingenuo sentimento, sopra il quale costruisce Accattone, ricordando però a Citti, che lui
come attore esiste solo in funzione dei suoi film.
Mi chiamavano un po' tutti, anche dalla Francia. Ma lui mi diceva: «Non andare, ti rovini, tu
non sei nato per fare l'attore, tu sei nato per fare il personaggio, non ti muovere da Roma, tu
stai bene qui, non fare stupidaggini.» 129
E' di fatto un sopruso quello che il regista compie su Citti, mascherato dal peso della ricerca e
dell'espressione, incastonato su quella terribile gerarchia platonica, per cui “il filosofo” predomina
sulle altre classi in nome di un principio di equilibrio. Il rapporto tra Pasolini è Citti è in piccola
scala quello che esiste tra il Potere e la massa: paternalista e illusorio, guidato dal desiderio di
ottenere qualcosa. E' dunque per questo che Citti si manifesta grottesco nell'identificazione con
Accattone, mentre Pasolini si scopre Potere e inizia una lotta estenuante, che alla fine è solo con
se stesso. Accattone mostra dal vero il dramma delle borgate, dove le persone si vendono per
poco, e per anche meno sono disposte a “scimmiottare”. I momenti in cui il regista impone
un'espressione teatrale, il ragazzo di vita si fa altro da se stesso (poiché nessuno è in grado di
interpretare se stesso in quanto lo è), provocando disagio e imbarazzo nello spettatore, che ha
l'impressione di trovarsi davanti ad una recita infantile. Quando lo Sceriffo imita Barbarone morto,
si ha l'impressione di osservare un bambino ansioso di essere compiaciuto, mentre tutto eccitato
segue i movimenti che gli sono stati assegnati, senza ovviamente comprenderne il senso.
Tornando ad Accattone, lo ritroviamo in stato grottesco all'osteria insieme al napoletano e ai suoi
compari. In questo caso Accattone deve piangere e lo sforzo per Citti è notevole; il volto si
contrae, come gli occhi, che si restringono, per terminare infine in una sorta di singhiozzo,
attraverso il quale nasconde la faccia tra le braccia. Anche in questo caso vediamo un Accattone
sformato, dai movimenti tesi e rigidi, quasi nervosi. Un doppio ingombrante che costringe Citti ad
una deformazione nell'impresa di personificare uno dei ragazzi di Pasolini. Hanno un effetto
diverso le donne di Accattone: Maddalena, Amore, Stella e Ascenza, che non incontrano il risvolto
grottesco dell'interpretazione di se stesse. Le attrici interpretano la loro parte con assoluta
morbidezza, tranne forse Silvana Corsini che talvolta si lascia trasportare in espressioni
esagerate, che tuttavia s'inseriscono bene nel contesto. Accattone oltre ad essere un film è anche
una parte intima e controversa della vita di Citti e l'espediente per rendere visibile ad un pubblico il
punto di vista di Pasolini sulle borgate (e non le borgate stesse).
128
129
Franco Citti e Claudio Valentini, Vita di un ragazzo di vita, Sugarco Edizioni, Carnago, 1992, pag. 29.
Ivi, pag. 88.
59
6.3 Accattone e i romanzi
Esiste una fitta corrispondenza tra Accattone e i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, tanto
che è facile rintracciare nel film parti narrative che prendono forma e voce. In primo luogo è
possibile percepire l'arsura che Pasolini descrive in Ragazzi di vita e che sovrasta i tuguri di
borgata. Le inquadrature di Pasolini sono molto precise: lasciano sentire la polvere, la terra secca,
il calore che piomba addosso alle case e alle persone. Accattone stesso ha sempre un occhio più
chiuso dell'altro a causa del sole, che fisso e insistente consuma e corrode la borgata.
Un'ammucchiata di casette marocchine, quattro muri in foglia e il tetto di bandone, era
affondata tra orticelli spennacchiati, dove il sole infuriava. 130
Nel sogno che fa la notte prima di morire, Accattone vede il becchino scavargli la fossa all'ombra e
lo prega di spostarsi un po' più verso il sole.
Il vecchietto, sempre paziente e benevolo, guarda più in là, e infatti, poco oltre la buca, si
stende una vallata, stupenda, invasa da una luce radiosa, sconfinata, che svapora
nell'azzurro di una estate ferma e profumata. 131
Luce, sole e calore sono immanenti alla borgata, quasi a voler richiamare un paese diverso
dall'Italia, forse una sorta di Africa (case marocchine). Emerge qui l'attrazione di Pasolini per i
popoli del sole, quelli dal sangue caldo, con i volti segnati e consumati, figli di una terra povera e
sterile:
Da Crotone o Palmi saliranno/ a Napoli, e da lì a Barcellona,/ a Salonicco e a Marsiglia,/
nelle Città della Malavita.132
Un Mediterraneo quasi mitologico, questo dell'autore, che vede nei luoghi delle antiche civiltà,
bagnati dal mare e solcati da un sole eterno, il ripetersi della violenza e della sopraffazione, che
anima lo smantellamento completo della società borghese.
Altri elementi comuni sono il bar e il Ciriola: il primo compare come vera e propria istituzione in
Una vita violenta, mentre il secondo è presente in Ragazzi di vita. Il bar di Pietralata è un punto di
riferimento per Tommaso e tutti i suoi amici, che passano lì intere giornate, proprio come
Accattone.
E rise, sdentato.
Si era rivolto a chi? A una batteria di sbragati sulle seggiolette cotte dal sole di un baretto
della Maranella. 133
S'erano messi ch'era mattina al bare davanti alla fermata dell'autobus, che aveva i tavolini
fuori, e ci si erano allungati a discorrere delle partite, e a fare un po' di manfrina. 134
Il “bare” è il luogo sacro di borgata, dove si svolge tutta la vita sociale dei personaggi, dove hanno
luogo le confessioni, le sfide, dove si organizzano i crimini. Vino e carte accompagnano il lento
130
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano, 2005, pag. 256.
Ivi, pag. 355.
132
Ivi, pag. 491.
133
Ivi, pag. 249.
134
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 116.
131
60
scorrere delle ore, tra gente che va e viene, tra una battuta e l'altra, in mezzo ad una disperazione
che poco a poco si fa risata. Anche il Ciriola è un luogo sacro: per il Riccetto e Marcello è la prima
avventura in barca, mentre per Accattone è la gloria della sfida. I Ragazzi di vita si dedicano al
Tevere con una devozione quasi religiosa.
Quanto la riva del Ciriola era investita dal sole, altrettanto questa era piena di un'ombra
grigia e fiacca: sopra gli scoglietti neri, coperti di due dita di grasso, crescevano sterpaglie e
piccoli rovi verdi, e l'acqua, qua e là, ristagnava piena di rifiuti che si muovevano appena. 135
Sotto, la spiaggetta trucida del Ciriola era tutta piena di bacarozzetti mezzi ignudi, che
guardavano coi nasi in alto. C'erano tutti i compari di Accattone, e, in mezzo, una pipinara di
ragazzini di Borgo Pio e di Ponte.136
Il desiderio di mangiare e l'atto stesso sono presenti quasi ossessivamente sia nell'opera letteraria
che in quella cinematografica. L'intento è sempre quello di mostrare personaggi in preda al
bisogno, che tuttavia non si accontentano di quello che basta per sopravvivere, ma desiderano
sempre di più. Mangiare è anche autoaffermazione, dominio, dimostrazione di forza. La borgata
stabilisce delle regole molto simili a quelli presenti in natura, per cui mangiare aiuta a non essere
mangiati. Accattone è affamato e vorace, sempre pronto a mangiare sulla schiena degli altri. Il
suo è un atteggiamento di sopraffazione che egli mette in pratica a discapito di Maddalena, che si
prostituisce passando poi il denaro al suo protettore; a discapito di Ascensa, che sfruttava prima di
Maddalena; a discapito anche dei propri compari, quando li tradisce per non dividere un piatto di
spaghetti.
Accattone osservava, con distacco critico, la pasta che Celeste metteva nella pentola: e le
due salsicce sul tegamino. Poi, di colpo, mise rapidamente una mano sulla spalla di Fulvio,
e gli fece un cenno. I due si allontanarono un po', sul letto.
A Fu', ce stai a fa fori quelli? Nun te pare che semo troppi otto intorno a un chilo de
pastasciutta?137
Il Riccetto e Tommaso invece sono personaggi meno predatori di Accattone e uniscono sempre il
cibo alla convivialità, anche nelle situazioni più disperate:
Poi i frati li chiamarono battendo le mani, li fecero entrare in uno stanzone in fondo
all'ingressetto dei tagliandi, dove c'erano dei tavoli di dieci metri l'uno con intorno delle
panche: gli diedero due sfilatini asciutti per uno e due scodelle di pasta e fagioli, gli fecero:
in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e li fecero mangiare. 138
Si gettarono ridendo come marani sulle sedie e subito chiamarono il barman. «Sei ròte!»
urlarono, «e du' litri de vino dorce!» «A me fammela coi funghi,» ordinò Ugo. «Pure a noi,
allora,» gridarono gli altri, «che, noi semo pellegrini?» 139
Pasolini esprime inoltre la fame eterna delle borgata, che non si limita ad uno stomaco vuoto, ma
che si tramuta in potenza di un motore continuo e incessante che è proprio quello del bisogno. In
effetti la fame vista sotto questa prospettiva indica una sorta di speranza per il mondo delle
borgate, che sembra in qualche modo destinato a sopravvivere, in nome di una necessità
naturale. Contrariamente la sazia borghesia (nutrita dal consumo), riposa su stessa minando la
135
Cfr. Pier Paolo Pasolini,
Cfr. Pier Paolo Pasolini,
137
Ivi, pag. 297.
138
Cfr. Pier Paolo Pasolini,
139
Cfr. Pier Paolo Pasolini,
136
Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 21.
Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano, 2005, pag. 253.
Ragazzi di vita, La Biblioteca di Repubblica, Garzanti, Roma, 2000, pag. 67.
Una vita violenta, Garzanti, Milano, 2005, pag. 51.
61
propria autoconservazione. Profezia del resto ci mostra un futuro in mano agli oppressi, che in
fondo altri non sono se non gli affamati.
Le donne interpretano gli stessi ruoli nei romanzi e nel film: madre, compagna e prostituta.
Quest'ultima ha una parte rilevante all'interno del film, dato che sembra essere l'unica fonte di
sostentamento del protagonista, pur conservando gli aspetti già discussi nel contesto letterario,
ossia il potere e il dominio sull'altro sesso. In effetti Maddalena, (il nome è un chiaro richiamo
evangelico e esalta questa femminilità eterna) non è più vittima di quanto lo sia Accattone nei suoi
confronti. Il loro rapporto si basa su un costante gioco di forza dove l'uomo si impone con la virilità
e la donna si serve della furbizia. Del resto Maddalena tradisce il precedente pappone perché
stanca di lui e ciò fa pensare che sia pronta a tradire anche Accattone, fatto che si verifica nel
momento in cui viene a conoscenza della sua relazione con Stella. Inoltre Maddalena si distingue
nei dialoghi per la sfrontatezza e l'insolenza che usa rivolgere ad Accattone e agli altri personaggi
maschili.
Aòh, che, er vino t'ha dato in testa? Non hai trovato co' chi sfogatte e te vieni a sfogà qui co'
me?
Aòh, ooh! A bello de mamma tua! Non lo vedi in che stato me trovo! Che te credi che è un
giochetto, non lo sai che ho la gamba rotta, io? 140
Brutti ignoranti delinquenti... che v'ha fatto de male quel vecchio... io vorrei che lo facessero
a vostro padre. Nun ciavete proprio un altro posto d'annavve a grattà le corna, invece de
venì a dà fastidio a la gente che se sta pei fatti sua! 141
Anche Amore ha un carattere sfrontato: sembra conoscere bene la natura dell'uomo e volersene
servire appropriatamente per il suo mestiere.
A ilusa, imparete a vive, fa come me, che nun amo più nessuno... e apposta me chiameno
Amore!142 266
L'omini! Ma chi so'!
Si rivolse a Stella e le mostrò i suoi ori.
Tiè, alla faccia de tutti l'omini! Guarda che collana...guarda che orecchini... guarda l'oro...
guarda che vestito... guarda che scarpe: dodicimila lire! 143
Amore ha una vera e propria dedizione verso se stessa e non intende condividere nulla con un
uomo. E' indipendente, aggressiva, sicura delle proprie possibilità. In Ragazzi di vita la Nadia, la
Elina e le donne del bordello hanno lo stesso fuoco interiore, tanto che sono in grado di intimidire
attraverso il solo sguardo. In Accattone anche Ascensa, pur non essendo prostituta, presenta la
medesima intransigenza verso gli uomini, mostrando una figura femminile molto moderna e
dinamica, che lavora e mantiene i figli, pur non potendo contare su un nucleo familiare
tradizionale. A questo proposito è interessante notare come Pasolini abbia opportunamente scelto
Monica Vitti come doppiatrice per questo personaggio. Infatti la voce dell'attrice romana, così
rauca e dura veste a pennello la donna energica, quasi mascolina, che ingloba figura paterna e
materna.
Nun vojo sentì niente! Tanto lo so quello che vòi te! Ma qui non c'è trippa pe' gatti! Aripija la
strada e vattene!144
140
Cfr. Pier Paolo Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano, 2005, pag. 264.
Ivi, pag. 265.
142
Ivi, pag. 266.
143
Ivi, pag. 326.
144
Ivi, pag. 287.
141
62
E' molto diverso il caso di Nannina e Stella, che sono le due donne-vittima del film. La prima è una
madre sottomessa e silenziosa, moglie del precedente pappone di Maddalena. La sua fisicità
(messa in scena dalla scrittrice amica di Pasolini Adele Cambria), esprime alla perfezione lo stato
di debolezza e fragilità in cui si trova: minuta e sottile come una bambina, viso piccolo e occhi
grandi. La si potrebbe paragonare alla madre di Genesio, per la sua totale devozione verso i figli e
la rassegnazione ad una vita che non ha avuto la possibilità di scegliere. Stella conserva un
aspetto infantile e puro, unito ad una specie di fiducia cieca ed ostinata verso le persone che la
circondano. Questa sua peculiarità è in effetti la causa principale dell'innamoramento di Accattone,
che vede in lei la possibilità di conoscere qualcosa di diverso dalle solite maschere di borgata.
Stella infatti è un personaggio del tutto fuori luogo e inadatta alla sopravvivenza, che accusa della
praticità e dell'amoralità della borgata, pur essendo anche lei figlia di quel mondo. La timidezza e
la dolcezza di Stella ricordano Irene e la sua fede in Tommaso e vanno a rappresentare questa
sorta di donna-angelo che Pasolini inserisce nel contesto della borgata quasi a voler proporre un
classico poetico.
Non si potrebbe concludere senza citare un ultimo centrale parallelismo tra Accattone il Riccetto e
Tommaso. Nella ricerca di Pasolini i tre personaggi si amalgamano fino a perdere la loro identità e
formare il prototipo di ragazzo di vita. Ne è conferma proprio Accattone che concentra su se
stesso i protagonisti letterari, prendendo in prestito da loro esperienze, carattere, reazioni.
I riferimenti sono diversi: Accattone e i compagni che vanno a prendere il cibo dai frati, ricorda
l'episodio in cui il Riccetto e il Caciotta si recano alla mensa dei poveri gestita dall'ente religioso; il
sogno di Accattone si associa a quello di Tommaso, (non tanto per il contenuto, quanto per il
senso di prossimità della morte); la violenza e l'aggressività lega Accattone a Tommaso, mentre la
sua furbizia e insolenza lo rende simile al Riccetto; tutti e tre mostrano una sensibilità nascosta,
che emerge solo in momenti critici; Accattone e Tommaso muoiono nella vana ricerca di un
riscatto. L'opera di Pasolini appare a questo punto nella sua completezza e totalità, animata da
una continua ricerca che esplora di volta in volta modelli espressivi nuovi, coinvolgendo nel suo
zibaldone di contenuti le forme artistiche più diverse. Nei suoi lavori scorrono le emozionanti
immagini del neorealismo e le controverse parentesi surrealiste, le artificiose composizioni
barocche e le inimitabili intuizioni classiche, le profonde riflessioni antropologiche e le brillanti
composizioni liriche, un'interminabile fila di contrasti maturati dalla passione alla luce di una
perpetua insoddisfazione. E' così che la lotta tra gli opposti non trova soluzione e plasma materia
informe e mostruosa, incontenibile e libera; Pasolini si lascia trasportare dalle sue mutazioni
nell'affannoso tentativo di accettare le proprie contraddizioni e finisce con l'incarnare il grottesco
proprio come un personaggio di Hugo, triste, malinconico e dignitoso. Anche oggi, ostaggi di una
cultura che ha dilatato la provocazione, sentiamo inaccettabile la confessione di un uomo, che
docile e sistematico la impone in ogni sua creazione. Lo accettiamo nel ruolo, ma sorvoliamo sulla
sua personalità, timorosi di ciò che non ha forma, limitando la comprensione di colui che viene
definito l'intellettuale italiano per eccellenza del 1900.
63
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The man who laughs, regia di Paul Leni (1928).
Freaks, regia di Tod Browning (1932).
Accattone, regia di Pier Paolo Pasolini (1961).
A futura memoria: Pier Paolo Pasolini, regia di Ivo Barnabò Micheli (1986).
66
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