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Il Criminal Profiling
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
IL CRIMINAL PROFILING
Scuola di Specializzazione:
Scienze Criminologiche
Relatore:
Dott.ssa Roberta Frison
Tesista specializzando:
Dott.ssa Chiara Bucchignoli
Anno di corso:
Primo
Modena, 09/06/2007
Anno accademico 2006-2007
ISTITUTO MEME S.R.L. MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONET A.I.S.B.L. BRUXELLES
CHIARA BUCCHIGNOLI – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE – PRIMO ANNO – A.A. 2006/07
Indice
1. Introduzione……………………………………………………………3
2. Studi sull’autore di reato ......................................................................5
2.1 Lombroso .................................................................................5
2.2 Dopo Lombroso …………………………………………….10
3. Il moderno criminal profiling ………………………………………12
3.1 L’FBI ……………………………………………………….12
3.2 David Canter e la psicologia investigativa …………………20
3.3 L’autopsia psicologica e la vittimologia ……………………26
3.4 Altri modelli di criminal profiling…………………………..32
4. Il profilo geografico ………………………………………………...33
5. Il rapporto tra delinquenza e malattia mentale................................38
6. Conclusioni …………………………………………………………..41
7. Bibliografia …………………………………………………………..42
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CHIARA BUCCHIGNOLI – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE – PRIMO ANNO – A.A. 2006/07
1 Introduzione
Quando parliamo o sentiamo parlare di criminal profiling siamo portati ad
immaginare detective dotati di un sesto senso, di una capacità predittiva che li
guida alla scoperta di un pericoloso serial killer servendosi di un potere che ha del
paranormale. I detective della narrativa cinematografica partendo da banali indizi
immaginano abitudini e storie di vita del presunto reo e creano tutta la ricostruzione
di un evento basata più sull’immaginazione che sulla razionalità degli elementi
materiali di cui dispongono. Si dipinge così il quadro di un personaggio eroico che
grazie alla sua sensibilità fuori dalle regole riesce a catturare il delinquente.
Purtroppo, o per fortuna, gli studi e l’attività che stanno dietro alla redazione
di un profilo sono molto più complessi e concreti, hanno origini antiche e si sono
formate grazie all’esperienza e all’impegno di figure importanti del mondo
dell’antropologia, della psicologia e delle scienze investigative.
Partendo dall’assunto che la storia di un criminale e le vicende personali
che lo hanno condotto all’evoluzione della sua personalità rendono conto delle sue
azioni prima, durante e dopo l’evento criminoso, possiamo capire quanto possa
essere rilevante nell’ambito di un’indagine di polizia focalizzare l’attenzione su
ogni minimo dettaglio che ci possa dare notizia della persona con la quale ci
troviamo ad avere a che fare. Ciò a prescindere, e questo è forse il passo più
difficile da compiere, da qualsiasi tipo di pregiudizio o preconcetto che può influire
negativamente sull’imparzialità del nostro giudizio.
Un buon criminal profiler è colui che riesce ad applicare un metodo
razionale ed empirico alle sue ricerche, che ha la capacità e l’umiltà di collaborare
con tutte le forze che entrano in gioco nel corso delle indagini, che non ha
l’ambizione di poter da solo “centrare il bersaglio” e sia capace di cambiare strada
quando le sue tesi non hanno un reale fondamento.
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Per questo motivo è necessario conoscere le origini dell’attività di criminal
profiling, comprendere i metodi e le casistiche che si sono succedute nel corso
degli anni ma anche puntare l’attenzione su tutti i principi etici e morali che devono
stare alla base del lavoro di un profiler, vista la delicatezza e l’importanza del suo
compito.
Maggiore sarà la consapevolezza della serietà di questo tipo di lavoro
maggiore potrà essere nel corso degli anni la credibilità che gli verrà concessa dalla
società, che oggi tende a paragonarlo alle suggestioni di sensitivi e cartomanti,
senza riconoscerne appieno le basi scientifiche e pratiche. Questo sarà il primo
passo per il riconoscimento della rilevanza anche giuridica di un profilo
psicologico e criminale che ad oggi non è considerato strumento utile all’interno
delle aule di tribunale.
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2 Studi sull’autore di reato
2.1 Lombroso
Cesare Lombroso (in realtà Ezechia Marco) nasce a Verona nel novembre
del 1835. Giovanissimo, già intorno al 1850 pubblica i suoi primi scritti, saggi sulla
storia della Repubblica romana e sull’agricoltura in Italia, e si impegna in studi di
linguistica. Nel 1852 si iscrive al corso di laurea in medicina dell’Università di
Pavia, si trasferisce a Padova e successivamente a Vienna per proseguire gli studi.
E’ in questa sede che viene in contatto con la scuola psichiatrica in cui
prevale in quel periodo l’indirizzo organicista di impronta tedesca, dominato dalla
convinzione che la malattia mentale non sia altro che una lesione cerebrale.
Lombroso aveva già affrontato l’analisi del disturbo mentale in un saggio sulla
pazzia di Girolamo Cardano. Questi era un famoso matematico, astrologo e
medico, personaggio geniale che gettò le basi dell’antropologia criminale ma a sua
volta attraversato da paranoie e deliri di grandezza. Cardano individua una
categoria di individui, gli improbi, caratterizzati da proprietà comuni, somatiche e
psichiche, simili ai futuri delinquenti lombrosiani.
Fig. 1 Cesare Lombroso
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Il testo Su la Pazzia di Cardano mostra come Lombroso avesse fin da quel
momento acquisito il concetto di eredità biologica e di patrimonio ereditario che
diventerà di fondamentale importanza nei suoi studi successivi. Questo, insieme
alla teoria del ricapitolazionismo di Heackel, porrà le basi della sua ricerca
antropologica. Ricordiamo in particolare il concetto che l’ontogenesi ripercorre la
filogenesi,
per
cui
durante
la
formazione
embrionale
l’essere
umano
attraverserebbe tutte le fasi evolutive fino al completamento del processo con lo
sviluppo delle qualità morali.
Solo successivamente Lombroso verrà in contatto con le teorie
evoluzionistiche darwiniane.
Dopo la laurea in medicina (1858) e quella in chirurgia Lombroso si arruola
nel Corpo Sanitario, dal quale si congederà solo nel 1865.
Dal 1866 diventa Primario del reparto di malattie nervose all’Ospedale
Sant’Eufemia di Pavia e dal 1871 assume la direzione del Manicomio provinciale
di Pesaro. Inizia qui a dedicarsi a tempo pieno alla malattia mentale e al suo
rapporto con la delinquenza. In prima battuta analizza da un punto di vista
oggettivo gli alienati: si dedica ad analisi cliniche e a studi sui crani degli autori di
reato provenienti dalle carceri di Pavia e Milano. Nel 1870 osserva il cranio di un
contadino calabrese settantenne, tale Villella, nel quale scopre un’anomalia
anatomica: una fossetta cerebellare mediana al posto di una cresta, che riproduce le
condizioni del cervelletto nel quinto mese dell’età fetale, nonché lo sviluppo
cranico di alcuni roditori. Questa anomalia sarà la base delle sue teorie sull’uomo
delinquente.
Nel 1876 dopo un breve rientro a Pavia si trasferisce e assume la cattedra di
Medicina Legale dell’Università di Torino. Inizia qui il suo periodo di massima
ascesa che lo porterà a ricevere cariche importanti e ad assumere notorietà e
autorevolezza nell’ambiente medico. L’incarico di medico delle carceri gli
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consentirà di avere un osservatorio privilegiato nel modo dei reclusi, fonte dei
propri studi.
I contributi di maggior rilievo di Lombroso alla scienza psichiatrica sono
senz’altro quelli in campo antropologico. Le sue conclusioni in merito all’influenza
delle condizioni igienico-sanitarie sui caratteri somatici, all’origine e ai caratteri
dell’uomo bianco comparato alle razze di colore lo conducono a quella che sarà la
sua teoria di maggiore successo, la teoria dell’atavismo. Nelle sue osservazioni
dell’essere umano Lombroso coglie caratteri psico-fisici che rimanda all’uomo del
passato e che vede ricomparire proprio nell’autore di reato; il delinquente non è
quindi altro che delinquente nato. L’ipotesi è quella che l’uomo criminale sia
portatore di un’impronta distintiva che proviene dalla natura primitiva e selvaggia
dell’uomo stesso. Questa spinta alla sopraffazione è sintomo di uno psichismo
anormale che spinge l’essere umano a delinquere, al di là della sua volontà.
Ben presto le critiche alle teorie dell’atavismo si fanno sentire e portano a
dubitare che tutti i reati siano opera di delinquenti nati. A questa categoria di
delinquenti (per passione, per abitudine e per occasione) si aggiunge la categoria
dei pazzi e quella degli epilettici.
L’epoca storica che vede protagonista Lombroso è quella in cui si sviluppa
la Scuola Classica, per la quale l’autore di reato è un soggetto uguale a tutti gli
altri, con le stesse capacità intellettive e le stesse funzioni psichiche e decisionali. A
ciò fanno eccezione i cosiddetti alienati, coloro che hanno agito in un momento di
alterazione mentale e dei quali è necessario valutare il grado di responsabilità. Il
più insigne esponente della Scuola Classica è il criminalista Francesco Carrara per
il quale l’uomo viola le regole nella più totale libertà morale e in quella condizioni
che si usa definire libero arbitrio. Queste saranno le teorie che Lombroso
fortemente criticherà nel corso del suo percorso di studi e lavorativo.
In un primo momento Lombroso parte dalla suddivisione tra delinquenti,
pazzi e sani di mente, dimostrando la convinzione che il pazzo avesse
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caratteristiche somatiche sue proprie mentre il delinquente doveva avere quelle
dell’uomo nomale. La constatazione, derivante dalle osservazioni dirette sui
viventi, che il delinquente è invece anch’esso un anormale spiazza Lombroso. La
scoperta della fossetta occipitale mediana nel cranio del Vilella, nucleo
fondamentale della antropologia del delinquente elaborata da Cesare Lombroso,
indica come nel delinquente si riproducono caratteri ancestrali, e ciò giustifica
l’esistenza di analogie tra criminali, pazzi e razze preistoriche. Scrive Lombroso
che “questa anomalia cranica come altre che spero di esporre, siansi scoperte in
quella varietà infelice d’uomo che è, a mio vedere, più patologico dell’alienato,
nell’uomo criminale”.
Fig. 2 Esempi di fisionomica di criminali
La seconda tappa fondamentale degli studi dell’autore è la perizia
psichiatrica su Vincenzo Verzeni, contadino ventenne oggi riconosciuto come il
primo serial killer italiano. E’ accusato di aver strozzato due donne e aver fatto
scempio dei loro cadaveri. Nella perizia Lombroso stabilisce che nel soggetto la
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piena lucidità di mente si accompagna però ad un’anamnesi personale e familiare
che indica la presenza di malattie mentali. Ciò porta a riconoscere come anche il
delinquente sia anormale esattamente quanto il pazzo, e simmetricamente a questo
indica la necessità di curarlo e isolarlo come pericoloso ma non di punirlo.
La pubblicazione nel 1876 della prima edizione de L’Uomo Delinquente si
accompagna a critiche e obiezioni di natura sia sostanziale che procedurale.
Lombroso viene accusato di non aver utilizzato metodi di ricerca uniformi, di non
avere fonti adeguate e verificate. In realtà questi attacchi mascherano la difficoltà di
accettare una teoria così innovativa e che mette in crisi una mentalità consolidata
nel ritenere che il criminale nell’agire esprima la natura malvagia dell’uomo.
Principi elaborati da Lombroso:
1. la maggior parte degli alienati non nasce ma diventa tale mentre per i
delinquenti è esattamente il contrario;
2. tra i fattori del delitto hanno importanza il sesso, visto che l’uomo è più
portato al delitto rispetto alla donna, e l’età, visto che la massima
concentrazione di delinquenti si manifesta tra i 20 e i 30 anni;
3. alcool, stupefacenti e alimentazione abbondante portano ai delitti contro la
persona;
4. i fattori sociali ed economici non intervengono sulla spinta interiore del
criminale; nonostante ciò la povertà può spingere al delitto sia per soddisfare
esigenze materiali sia perché provoca malattie e degenerazioni che possono
portare l’uomo a delinquere (ciò tuttavia può essere vero anche per la
ricchezza);
5. la permanenza in carcere influenza negativamente il soggetto perché lo
mette a contatto con altri delinquenti.
Nel suo articolo Imbecillità morale in donna ladra e prostituta riconosce
l’esistenza del pazzo morale, incapace di distinguere il lecito dall’illecito, che va
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oltre l’atavismo ma ha comunque la sua base in esso e in una sua degenerazione. La
pazzia morale porta il soggetto a stadi ancestrali ancora privi di senso etico.
Nel1897 pubblica la quinta edizione de L’uomo delinquente, la più completa
e articolata, in tre volumi.
Completa qui la descrizione dei caratteri che più spesso si osservano
nell’analisi del criminale: prognatismo, asimmetria facciale, grande sviluppo della
mandibola, sottigliezza delle labbra, scarsezza della barba, deformità del naso,
sporgenza degli zigomi, strabismo e fonte bassa e stretta. Ci sono poi dettagli
diversi che si accompagnano ai diversi tipi di reato commesso, così ad esempio il
ladro avrà l’occhio piccolo e mobile, lo stupratore una fisionomia delicata.
Per quanto riguarda il delinquente nato ne considera la sensibilità generale,
al dolore, il senso cromatico, l’acuità uditiva, visiva e olfattiva, il frequente
mancinismo.
Analizza poi le singole figure:
¾ pazzo morale e delinquente epilettico si assomigliano, mostrano in egual misura
egoismo, irritabilità morbosa, avversioni immotivate, apatia morale e un grado
molto variabile di intelligenza;
¾ delinquente d’impeto, pazzo o d’occasione e il mattoide, soggetti alienati che
possono apparire geni ma in realtà sono persone comuni.
2.2 Dopo Lombroso
Agli studi antropologici e criminalistici di Lombroso si accompagnano, in
altre realtà, studi sulla fisiognomica volti a effettuare i primi elementari profili
fisici e psicologici del criminale. In Francia Alphonse Bertillon è il creatore
dell’antropometria segnaletica, sistema di identificazione basato sul ritratto
fotografico accompagnato da un cartellino descrittivo dei caratteri della persona
(antenato del nostro più moderno cartellino foto-segnaletico). Il bertillonage e
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l’utilizzo dello strumento dotato di macchina fotografica e asta di misurazione
saranno sostituiti solo dal sistema delle impronte digitali, restando per diversi anni
l’unico sistema di analisi e archiviazione dei sospetti autori di reato.
Un’altra branca importante che ebbe la sua influenza sul moderno offender
profiling è il costituzionalismo, nato in Italia alla fine del 1900 con la scuola di De
Giovanni, Viola e Pende. Essi catalogano e suddividono l’uomo prendendo come
punto di partenza il corpo per poi arrivare a estrapolarne le caratteristiche
psichiche. L’essere umano si suddivide così in tre tipologie:
1. brachitipo (sviluppo del tronco prevalente sugli arti);
2. longitipo (sviluppo prevalente degli arti);
3. normotipo (equilibrato);
A questa prima analisi e suddivisione ne seguiranno altre, ad opera prima
dello psichiatra tedesco Ernst Kretschmer poi dell’americano William Sheldon, ma
tutte avranno il limite di voler inquadrare ogni individuo in una categoria ben
precisa.
Il primo vero esempio di criminal profiling lo ritroviamo nelle indagini sui
delitti compiuti da Jack The Ripper nel 1888 a Londra. Il dott. Thomas Bond, in
base alle sue esperienze in campo criminale, stila un profilo del possibile autore di
reato, risalendo alle sue caratteristiche fisiche (soggetto fisicamente forte, di grande
freddezza e audacia, di mezza età, curato nell’igiene e rispettabilmente abbigliato) e
psichiche (soggetto a periodici attacchi di mania erotica e omicida, condizione
mentale di vendicatività a lungo covata, solitario ed eccentrico nei comportamenti).
Per arrivare ad un vero successo dell’offender profiling dobbiamo attendere
il 1940 e l’indagine dell’ispettore Howard Finney sul caso Mad Bomber. Con la
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collaborazione dello psichiatra James A. Brussel si arriva alla definizione di un
ritratto del possibile attentatore dinamitardo i cui punti salienti sono:
o sesso maschile, storicamente i dinamitardi sono maschi;
o la finalità di rivendicazione nei confronti di una società che aveva la sua sede
nel palazzo colpito dall’attentato;
o sindrome paranoide che porta il soggetto a sentirsi al centro e vittima di trame e
complotti da parte dell’intera società;
o è curato e meticoloso nel compiere il suo lavoro;
o è di origini straniere perchè scrive il messaggio di rivendicazione con un
lessico e una sintassi molto formali, senza espressioni gergali – probabilmente
proviene dall’Europa centrale e orientale dove è più tipico l’utilizzo di bombe
come arma.
Nel 1957, grazie alle indicazioni fornite dagli investigatori, venne catturato
George Metesky le cui caratteristiche erano in tutto sovrapponibili al profilo
redatto. Brussel parteciperà successivamente anche alle indagini sullo strangolatore
di Boston, sempre con successo.
3 Il moderno criminal profiling
L’anno 1970 può essere considerato l’anno della nascita del moderno
criminal profiling. E’ infatti in quell’anno che gli agenti speciali dell’FBI Teten e
Mullany creano il programma di profilo criminale.
3.1 L’FBI
Due anni più tardi sorgerà la Behavioral Science Unit (BSU) con il compito
di studiare e formare gli agenti sulle tecniche del profilo, suddivisa in diverse
specialità, negoziazione di ostaggi, crimini sessuali, satanismo e spionaggio.
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Fig. 3 FBI
Nel 1976 Ressler e successivamente Douglas, agenti epsicologi dell’FBI,
iniziano ad intervistare in carcere gli autori di reato al fine di scoprire la
correlazione tra la scena del crimine, la vittima prescelta e l’omicida, le sue
peculiarità e i suoi rituali, fino ad arrivare alla sua condizione psichica e sociale. Da
questo studio, a cui parteciperà anche Ann Burgess, nascerà nel 1992 il Crime
Classification
Manual
e
la
celebre
suddivisione
dei
serial
killer
in
organizzati/disorganizzati.
L’FBI basa le sue analisi sul principio che la personalità dell’individuo si
ripercuote sulle sue azioni e influenza il suo modo di comportarsi, quindi lascia
tracce sulla scena del crimine.
Si può quindi partire dall’analisi della scena del crimine per arrivare a
individuare una serie di informazioni sul possibile autore del reato e quindi
restringere a lui solo il campo di indagine. Una volta arrestato le stesse
informazioni saranno utili ai fini degli interrogatori di polizia.
Innanzitutto il Crime Classification Manual suddivide i reati che possono
rientrare nella sfera di interesse dell’offender profiling in tre categorie:
1. Omicidio (che può essere singolo, doppio, triplo o rientrare nelle categorie
mass, spree e serial killing).
2. Stupro.
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3. Incendio doloso.
1. L’omicidio in particolare deve rivestire carattere di particolare efferatezza
o essere apparentemente privo di motivazione per interessare l’FBI. Possiamo
definire un soggetto serial murder quando è responsabile di tre o più eventi
omicidiari, commessi in tre luoghi differenti e separati da un intervallo di tempo,
un raffreddamento emozionale (emotional cooling-off). Mass murder è il soggetto
colpevole di aver ucciso quattro o più vittime nel medesimo luogo e nel corso di un
unico evento.
Spree killing è riferito invece al singolo evento criminale che si realizza in
più luoghi e con l’uccisione di più vittime ma tutte nello stesso arco temporale,
senza periodo di raffreddamento dell’autore tra le aggressioni.
2. Lo stupro si suddivide a sua volta in quattro tipologie: power reassurance
rapist (dove la violenza sessuale è la massima espressione delle fantasie
dell’aggressore, convinto che la vittima partecipi al suo piacere), exploitative rapist
(l’atto è impulsivo e fuori controllo), anger rapist (la sessualità ha come scopo la
rivendica e l’espressione di un’ostilità nei confronti della vittima) e il sadistic
rapist (dove il piacere deriva dall’infliggere dolore alla vittima).
Anche lo stupro può ben essere considerato un reato seriale in quanto
appare un crimine tipicamente reiterato.
3. In caso di incendio doloso, purtroppo molto diffuso nella realtà
statunitense, molto meno in quella italiana, possiamo distinguere il serial arsonist
dal mass arsonist sempre basandoci sulla presenza o assenza del periodo di
raffreddamento. Possiamo poi aggiungere il bombing, attentato dinamitardo, non
considerato dalla classificazione per l’esiguità degli episodi di cui si ha esperienza.
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La Behavioral Science Unit tra il 1979 e il 1983 ha portato avanti una ricerca
su trentasei soggetti incarcerati per omicidio a sfondo sessuale, al fine di dimostrare
come la loro personalità e le loro peculiarità si riflettessero nel luogo del delitto. Ne
è derivata la classificazione tra assassini organizzati e disorganizzati.
Si tratta certamente di uno studio ristretto ad un campo di ricerca abbastanza
limitato e certamente da non considerare foriero di verità assolute, ma nonostante
ciò viene ancora ampliamente utilizzato, con la precauzione di non azzardare
un’eccessiva semplificazione e ricordare l’impossibilità di ricondurre tutti i dettagli
di un reato a una delle due categorie.
Gli elementi distintivi degli ipotetici appartenenti alle due diverse categorie
sono stati ottenuti attraverso lo studio e il confronto tra i reperti rinvenuti sulla
scena del crimine e le interviste ai detenuti.
ASSASSINO ORGANIZZATO
ASSASSINO
DISORGANIZZATO
Intelligenza media superiore
Intelligenza sotto la media
Socialmente competente
Socialmente inadeguato
Predilige lavori che richiedano abilità
Predilige lavori semplici e generici
Sessualmente adeguato
Sessualmente inadeguato
Alto ordine di genitura
Basso ordine di genitura
Padre con occupazione stabile
Padre con occupazione precaria
Disciplina inconsistente nell’infanzia
Disciplina rigida nell’infanzia
Emotività controllata durante il crimine
Ansia durante l’esecuzione del crimine
Utilizzo di alcool durante il crimine
Minimo uso di alcool
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Stress situazionali precipitanti
Minimi stress situazionali
Vive con il partner
Vive da solo
Si sposta con un’auto in buone
Vive/lavora vicino alla scena del crimine
condizioni
Ha minimo interesse per le notizie dei
Segue il crimine attraverso le notizie dei media
media
Va incontro a significative modificazioni
Può cambiare lavoro o lasciare la città
comportamentali (abuso di
alcool/droghe, religiosità eccessive ecc.)
SCENA DEL CRIMINE IN
OMICIDIO ORGANIZZATO
SCENA DEL CRIMINE IN
OMICIDIO DISORGANIZZATO
Aggressione pianificata
Aggressione improvvisa, non pianificata
La vittima è persona sconosciuta
Vittima/luoghi conosciuti
Personalizza la vittima
Depersonalizza la vittima
Controlla la relazione verbale con la Minimo controllo della relazione verbale
vittima
La scena del crimine riflette un Scena del crimine si presenta caotica e
controllo completo
disordinata
Esige una vittima sottomessa
Improvvisa violenza sulla vittima
Utilizza mezzi di contenzione
Minimo uso di contenzione fisica
Compie atti aggressivi prima della Atti sessuali successivi alla morte
morte
Cadavere lasciato in vista
Nasconde il corpo
Armi e tracce/prove spesso presenti
Armi e tracce/prove assenti sulla scena
Cadavere lasciato sul luogo
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Trasporta la vittima o il cadavere
dell’omicidio
Attività tipica dell’assassino disorganizzato è l’overkilling, ossia l’eccesso
nell’aggressione omicidiaria, il produrre lesioni che vanno al di là dello scopo di
uccidere e soddisfano solamente una spinta psicologica del criminale alla violenza.
Lo staging è invece la deliberata alterazione della scena del crimine prima
dell’arrivo della polizia. Ciò avviene sia per depistare le indagini che per
proteggere la vittima o la sua famiglia. In entrambi i casi si intuisce l’esistenza di
un rapporto che lega la vittima all’autore di reato, ma nel primo caso l’autore mette
in atto lo staging per depistare le indagini mentre nel secondo caso è un amico o un
familiare che interviene sul luogo del delitto per evitare che il cadavere venga
rinvenuto in una situazione degradante. Lo staging è comunque tipico di un
criminale disorganizzato.
Undoing è invece la modificazione della scena del crimine da parte
dell’assassino che sente rimorso per ciò che ha fatto e vorrebbe negare e porre
rimedio al suo atto.
Per quanto rigurda invece lo stupratore, il rapist può essere distinto in due
macro-categorie, selfish e unselfish.
Nel primo caso egli non desidera far male alla vittima, cerca di instaurare un
rapporto, si scusa e cerca di coinvolgerla. Egli usa armi o minacce solo per ottenere
un’intimità con la donna, se si accorge che lei soffre o resiste il suo desiderio viene
meno e abbandona l’impresa.
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L’unselfish rapist al contrario insulta la vittima, la degrada e l’attacca con la
forza, non prova compassione e anzi prova soddisfazione nel vedere suo il dolore.
Lo scopo principale è solo il compimento del suo piacere sessuale.
Indispensabile ai fini della redazione di un profilo dell’offender è poi
l’esame di altri due comportamenti riscontrabili nei diversi reati compiuti da uno
stesso assassino:
o MODUS OPERANDI
E’ la modalità con cui il soggetto mette in atto il comportamento illecito,
è l’insieme di accorgimenti e azioni che pone in essere per realizzare il suo
scopo e per evitare di farsi scoprire. Lo consideriamo un elemento dinamico,
variabile nel tempo a seconda dell’esperienza maturata dall’omicida o in base
alla reazione delle diverse vittime.
o SIGNATURE
E’ un comportamento che va oltre ciò che è strettamente necessario per
portare a compimento il reato, un atto fine a se stesso, che per l’autore riveste
appunto il ruolo di una firma, un biglietto da visita. A differenza del modus
operandi non varia nel tempo in quanto costituisce il pezzo mancante per la
completa soddisfazione delle fantasie del reo, si ripete ritualmente in ogni
occasione criminosa.
E’ da notare come i rituali post mortem inflitti alla vittima indichino un
soggetto che si trova a proprio agio nell’ambiente in cui ha messo in atto il
delitto quindi si può presumere avesse un rapporto abbastanza stretto con la
vittima stessa. Sono anche sintomo di una possibile psicopatologia e di
difficoltà a livello relazionale.
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Anche la modalità con cui l’offender tratta il cadavere è indicativa di
particolari riguardo alla sua sfera pisco-fisica. Innanzitutto il posizionamento in un
luogo che possa facilmente portare alla sua scoperta rivela l’intento di umiliare e
degradare la vittima, negandole rispetto anche nell’ultima fase della violenza e
provocando uno shock nei familiari e nelle persone che la ritroveranno. Nascondere
il corpo rappresenta invece la volontà di ritardare il più possibile il ritrovamento,
forse perché c’è una relazione con la vittima e si teme di essere scoperti.
Scaricare il cadavere in un luogo qualsiasi indica poi la totale assenza di un
qualsiasi rapporto tra l’autore e la vittima del reato, per cui non interessa se il corpo
verrà ritrovato prima o dopo, l’importante è non farsi scoprire nell’atto di
disfarsene.
I risultati trattati finora sono frutto di un processo di pensiero di tipo
induttivo, che opera attraverso il case linkage system, una sorta di database di
informazioni, raccolte grazie alle interviste su gruppi campione della popolazione
carceraria, che consente alla polizia e allo psicologo criminale di stabilire elementi
comuni in casi differenti, avvicinandosi in questo modo alla scoperta delle
caratteristiche del reo e facilitandone l’individuazione.
Il case linkage raccoglie i seguenti elementi fondamentali in relazione a un
crimine:
1. prove fisiche (riscontri medico-legali raccolti in casi differenti);
2. descrizioni fisiche (dell’offender fornite dalle diverse vittime);
3. modus operandi;
4. signature;
5. analisi della vittima (cfr. vittimologia);
6. analisi delle ferite ritrovate sulla vittima;
7. localizzazione geografica della scena del crimine o del luogo di
ritrovamento del cadavere.
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3.2 David Canter e la Psicologia Investigativa
Parallelamente ai lavori dell’FBI (1985) in Inghilterra vediamo lo
svilupparsi della Psicologia Investigativa, ad opera dello psicologo David Canter.
Essa si pone l’obiettivo di fornire un contributo alle indagini giudiziarie, per
giungere all’individuazione dell’autore di un crimine, attraverso l’applicazione di
metodi e conoscenze scientifiche. Si differenzia dall’approccio americano basato
sull’analisi della scena del crimine in quanto privilegia le competenze
scientificamente provate della disciplina psicologica e non si fonda sulla
comparazione tra l’analisi dei reperti raccolti sulla scena del crimine e
l’elaborazione del profilo criminale dell’autore del reato stesso (attività sia diretta,
sul luogo del delitto, che critica). Non solo, la psicologia investigativa dedica
notevole parte della sua analisi alla vittimologia, intesa come studio delle
caratteristiche della vittima e dei processi interattivi che la possono ricollegare
all’autore di reato.
Fig. 4 David Canter
Il maggior passo avanti di cui siamo debitori alla psicologia investigativa di
Canter è l’aver sottolineato l’indispensabilità di un approccio critico e scientifico
allo studio del profilo dell’autore di reato. Canter ritiene che per la validità e la
credibilità dell’analisi psicologica sia necessario partire da ipotesi ben delineate,
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supportate da principi scientifici validi che vanno continuamente elaborate,
verificate e se necessario sottoposte a un processo di decostruzione.
Il rischio, sempre più evidente e sempre più diffuso, è che il lavoro dello
psicologo investigativo risulti una mera opera intuitiva e che il solo basarsi sulla
propria esperienza professionale provochi risultati discutibili.
Importante a questo proposito, nella pratica quotidiana in cui operano
psicologi a fianco delle forze di polizia, non focalizzarsi meramente sulle
caratteristiche individuali di possibili autori di reato ma di ricorrere invece allo
studio del paesaggi sociale nel quale questi operano.
Uno dei maggiori impedimenti alla conclusione positiva di un’indagine di
polizia è il divario tra la ricerca che sta alla base delle decisioni prese dalla squadra
investigativa e le caratteristiche organizzative della squadra stessa che spesso
ostacolano la progressione delle decisioni prese nel corso di un’inchiesta.
Buona parte dell’attenzione è rivolta al risultato finale e al numero di
elementi “centrati” in un profilo mentre si rischia di trascurare le problematiche
legate all’accuratezza dell’attività di profiling.
Allo stesso modo bisogna prestare maggiore cura alla determinazione dei
parametri entro i quali gli psicologi dovranno poi lavorare al fine di evitare
eccessivo coinvolgimento, pregiudizi e distorsioni. Questo è tanto più
fondamentale nell’ambito degli interrogatori, soprattutto quando il sospettato non è
consapevole di essere sottoposto ad accertamento psicologico e non ci sono norme
che impediscono allo psicologo di permettersi tutta una serie di inganni e
manipolazioni.
Si deve quindi distinguere tra la concezione che del criminal profiling si è
venuta a creare negli ultimi anni, consistente nella presentazione dell’opinione
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personale di un individuo in merito alla storia e all’agire di criminali che ha
provveduto ad intervistare, e la psicologia investigativa elaborata da Canter e dai
suoi colleghi dell’Università di Liverpool.
Questa esamina tre aree:
ƒ comportamento criminale;
ƒ informazione ed evidenza;
ƒ presa di decisione investigativa.
Alla dicotomia organizzato/disorganizzato concepita dall’FBI la psicologia
antepone una diversa distinzione, tra aggressore espressivo e aggressore
strumentale.
La situazione espressiva si verifica in risposta a spinte di rabbia e ostilità,
aggressioni fisiche o delusioni personali.
La situazione strumentale invece deriva dalla volontà di impossessarsi di
oggetti di valore o per invidia nei confronti della persona aggredita.
Anche questa catalogazione risulta però limitata, infatti solo nel 26% dei
casi ad un aggressore con caratteristiche expressive corrisponde una scena del
crimine expressive, lo stesso dicasi per la instrumental.
Per quanto riguarda invece i reati a sfondo sessuale Canter e colleghi hanno
individuato 5 diverse modalità di interazione tra vittima e offender:
1. tentativo di entrare in contatto con la vittima, attraverso complimenti,
richiesta di partecipare, domande personali tendenti a instaurare un rapporto;
2. comportamento esclusivamente sessuale, dove l’aggressione inizia subito
con un atto a sfondo sessuale e così prosegue;
3. violenza manifesta, nei casi in cui l’aggressore si comporta in modo
violento, con insulti e usando la forza;
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4. interazione personale, l’aggressore attacca la vittima a sorpresa non
rispondendo alle reazioni della vittima stessa;
5. intenzione esclusivamente criminale, utilizzando oggetti per legare e
bloccare la vittima (binding) e accorgimenti vari per evitare rumori
(gagging).
La tesi che sta dietro alle ricerche di Canter è che ogni crimine, le modalità
in cui si svolge l’aggressione e la scelta della vittima sono tutti indizi della vita
dell’aggressore, delle sue abitudini e della sua storia personale (interpersonal
narratives).
La psicologia investigativa concentra poi la sua attenzione sulle questioni
etiche e morali che stanno dietro alle attività dell’esperto di criminal profiling e in
particolare consiglia un approccio di ricerca a tutto campo volto a non prediligere
l’ipotesi che si ha già in mente con il rischio di tralasciarne altre altrettanto
probabili. In quest’ambito è possibile che il senno ci faccia mirare alla ricerca di
un’informazione per supportare la nostra teoria piuttosto che per disconfermarla.
L’essere umano ha la tendenza (definita euristica della disponibilità) a
concentrarsi sugli esempi che sono facilmente accessibili alla memoria e che al
contempo sono quelli che maggiormente sostengono la tesi che si vuole dimostrare.
In questo modo si ricordano solo gli eventi o le ricerche che hanno avuto un esito
positivo e si tende ad accantonare quelli che ci hanno visti “perdenti”.
Vi sono effetti culturali e di gruppo che possono creare distorsioni nella
scientificità del processo di indagine e si possono raggruppare nella seguente
casistica:
1. sopravvalutazione del gruppo (implica l’illusione che la squadra, il gruppo,
sia invulnerabile nelle sue prese di posizione);
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2. mentalità chiusa;
3. stereotipi sui gruppi opposti;
4. pressione verso l’uniformità;
5. illusione di unanimità;
6. pressione diretta sui dissenzienti.
E’ quindi indispensabile per un approccio credibile alla ricerca costruire e
rielaborare ipotesi senza essere legati alla fragilità del pensiero comune.
Dal punto di vista legale l’ostacolo all’accoglimento del criminal profiling
nelle aule di tribunali è forse proprio la mancanza di una precisa definizione
riguardo ai suoi contenuti e al processo di costruzione del profilo dell’autore di
reato. Ogni esperto sarà portato a redigere il ritratto del criminale basandosi sulle
proprie conoscenze personali, sulle proprie esperienze professionali, non essendo
ancora chiara una procedura standard di avvicinamento alla materia. Questo può
costituire un ostacolo alla valutazione oggettiva del risultato che ne deriva e alla
sua conseguente ammissibilità durante il procedimento penale.
Spesso la barriera più rilevante è purtroppo la scarsa credibilità che l’attività
di profiling ha riscontrato negli anni passati al momento del giudizio di un caso
specifico. Dobbiamo anche considerare che elementi quali l’analisi delle impronte
digitali o lo studio del Dna hanno impiegato tempo per affermarsi e per diventare
prove certe utilizzabili nel corso di un giudizio.
A livello etico ci sono infine alcune semplici considerazioni da tenere a
mente durante lo svolgimento dell’attività di profiling:
1. Conservare una dettagliata relazione del lavoro compiuto, per evitare di
disperdere o dimenticare dettagli importanti e per poter mettere in discussione
passaggi e conclusioni in un secondo momento;
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2. Elencare le fonti su cui si basano le proprie inferenze nonché un sistema di
definizioni della materia di cui si tratta;
3. Rendere possibile la valutazione da parte dei colleghi di ogni affermazione e
inferenza, conservando i documenti e il materiale sul quale si è lavorato e
confrontando lo stesso insieme a colleghi ed esperti;
4. Prestare attenzione a non adottare comportamenti che potrebbero esporre il
sospetto a rischi psicologici o fisici o causare danni al prosieguo delle indagini;
5. Sforzarsi di lavorare nell’ambito dei propri limiti professionali e avere la
sensibilità e onestà di riconoscere i fattori che circoscrivono questo ambito;
6. Agire nella più completa imparzialità e sottrarsi dalle indagini nei quali non si
può essere obiettivi.
Possiamo applicare i principi della psicologia investigativa visti finora ad
uno dei momenti chiave del lavoro di un esperto di profiling, le interviste, siano
esse di possibili sospetti o di vittime o di testimoni.
Anche in questo campo le ricerche degli scienziati sociali hanno portato a
conoscere in modo sempre più esaustivo le modalità più valide e l’approccio più
professionale alla conduzione di un interrogatorio.
Un primo elemento da tener presente è che la tipologia dell’intervistatore è
considerata un fattore influenzante le risposte dell’intervistato. Si verifica una
maggiore propensione a condividere problemi e preoccupazioni con soggetti verso i
quali si prova una certa affinità, che hanno caratteristiche sociali quanto più
possibile simili alle nostre.
Allo stesso modo gli intervistatori esperti e quelli inesperti ricevono risposte
differenti, più elaborate e complete quando l’intervistato percepisce un
interlocutore in grado di creare con lui un rapporto di fiducia e scambio sincero.
Bisogna poi prestare attenzione alla formulazione delle domande che non
devono essere suggestive né di approfondimento, salvo i casi in cui è strettamente
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necessario. L’incidenza e la frequenza con cui vengono poste influisce direttamente
sul tipo di pareri che si raccolgono.
L’intervista non è più considerata una mera raccolta di informazioni bensì
una interazione tra due persone. Ciò è ancora più importante quando si ha a che
fare con vittime di reati, soprattutto bambini e donne abusate, nel qual caso bisogna
abbandonare l’idea di una raccolta standardizzata di dati.
Ad esempio, l’esperienza ha dimostrato come una delle peculiarità nel
rispondere dei bambini è l’evasività allorquando essi vogliono evitare di mentire.
E’ quindi necessario che l’intervistatore sappia uscire dal rigido protocollo e venire
incontro al bambino per aggirare l’ostacolo e ottenere una risposta sincera.
Altra categoria che può aiutare colui che dirige il colloquio è quella che
riguarda la concretezza e la vividezza del racconto. Raramente infatti i racconti
inventati includono dettagli superflui e riferimenti alla sfera emotiva del bambino.
3.3 L’autopsia psicologica e la vittimologia
Fase considerata fondamentale, sia dagli psicologi dell’FBI che dalla
psicologia investigativa, nel percorso di redazione di un profilo psicologico è il
momento dello studio della vittima del reato, esame imprescindibile per
comprendere innanzitutto se la persona che abbiamo davanti è vittima di omicidio o
si è suicidata, nonché per le successive indagini di polizia sull’autore di reato.
In particolare l’autopsia psicologica è una procedura che si applica nei casi
di morte equivoca, quando è necessario stabilire se si tratti di morte accidentale,
omicidio o suicidio. E’ una prassi essenziale in campo assicurativo o nei
procedimenti in cui si vuole dimostrare che l’accusato agiva per legittima difesa, o
ancora quando si debba stabilire l’indennizzo che spetta ad un lavoratore o la
volontà del de cuius in caso di testamento contestato. Attraverso l’autopsia
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psicologica si opera una valutazione della personalità e dei processi mentali di una
persona che non può collaborare con l’esperto perché deceduta. E’ la ricostruzione
della vita di un individuo, delle sue abitudini, delle sue relazioni interpersonali e
del momento della sua morte, con le relative modalità e conseguenze.
Hanno dato il loro apporto allo sviluppo di una procedura standardizzata in
caso di autopsia psicologica prima Shneidman (1976), attraverso un corpus di 16
punti da analizzare rispetto alla vita del soggetto deceduto, poi Ebert che nel 1987
ha redatto un protocollo guida estremamente analitico che si pone come obiettivo
un esame minuzioso di ogni aspetto dell’esistenza di una persona, dall’uso di alcool
o sostanza, allo studio degli scritti che ha lasciato, alla valutazione del suo umore e
dei suoi gusti.
Da questi studi è emerso come, ad esempio, la maggior parte dei suicida
comunichi le proprie intenzioni agli altri.
Tuttavia l’autopsia psicologica è ben lungi dall’essere considerata
ammissibile nelle aule di tribunale, anche se l’utilizzo di affermazioni chiare,
l’indicazione precisa delle prove portate a supporto delle proprie tesi e procedure
accurate in merito alla ricerca e analisi dei dettagli possono certamente aiutare a
dare maggiore credibilità anche a questa pratica.
Il procedimento di redazione di un’autopsia psicologica è parte integrante
della più ampia branca di studi che è la vittimologia. Chiedersi perché è stata scelta
una certa vittima, che rapporto aveva con l’aggressore, come si comportava, se e
come lo ha conosciuto e soprattutto in che maniera è avvenuto l’atto violento nei
suoi confronti. La vittimologia è quindi la base da cui partire per conoscere meglio
colui che delinque, le modalità con cui si può sostenere il suo interrogatorio e
soprattutto conoscere le altre sue potenziali vittime.
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Canter e colleghi ritengono che la vittima possa ricoprire diversi ruoli
all’interno del rapporto con l’offender:
ƒ Oggetto: l’aggressore manca totalmente di empatia nei confronti della sua
preda, è privo di emozioni o sentimenti, è soggetto estraneo alla comune vita
sociale. Tratterà quindi la vittima come un oggetto, denudandola, legandola
e usando armi per controllarla.
ƒ Veicolo: la vittima non è altro che un capro espiatorio che si fa carico suo
malgrado dei fallimenti e dei rancori repressi dell’aggressore, soggetto che
spesso già conosce. E’ il caso tipico di spree killing, omicidio compulsivo
spinto da un desiderio di riscatto e vendetta nei confronti della società.
ƒ Persona: lo stupratore crede di avere con la vittima un rapporto privilegiato,
è convinto che lei partecipi volontariamente; altri soggetti pretendono invece
dalla donna l’atto sessuale come tentativo di sottometterle perché non hanno
altri mezzi per farlo.
Ogni individuo può essere valutato in base al fattore di rischio vittimologico,
ossia alle possibilità che ha di diventar vittima di un reato, in base al lavoro che fa,
allo stile di vita che conduce, alle sue compagnie e alle sue abitudini.
Hanno sicuramente un alto rischio vittimologico tutte quelle categorie di
persone che già lavorano in un ambito illegale, come prostitute e spacciatori, e che
sono perciò sempre in contatto con persone sconosciute, in luoghi isolati e mal
frequentati, e la cui scomparsa può non essere notata immediatamente.
Un soggetto con lavoro stabile, famiglia e amicizie solide sarà più
difficilmente attaccabile, se non altro perché non frequenta luoghi malfamati e ha
uno stile di vita abbastanza regolare.
Lo studio della vittima non può prescindere da un’accurata analisi delle
seguenti categorie:
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-
età;
-
sesso;
-
razza;
-
condizioni fisiche;
-
famiglia;
-
stato sociale (professione, condizioni economiche e abitudini di vita);
-
stato psicologico (deviazioni sessuali, personalità, tratti del carattere,
eventuali stati psicopatologici).
Secondo una classificazione (Gullotta) le vittime possono essere:
• fortuite (danneggiate da eventi naturali);
• fungibili (non hanno alcuna relazione con l’aggressore);
• non fungibili (hanno un legame personale con l’aggressore).
Le prime possono poi essere: Accidentali (scelte casualmente dall’autore di
reato), Indiscriminate (non scelte ma uccise nel corso di un evento terroristico).
Vittime selezionate sono invece quelle non fungibili, che per l’aggressore
rivestono un ruolo e un significato importanti e non possono essere sostituite con
altra vittima.
Le vittime possono poi essere partecipanti all’aggressione, o per imprudenza
in quanto si sono messe in situazioni di pericolo, o perché sono vittime alternative
alla prescelta, o perché sono provocatrici e quindi subiscono la violenza in risposta
ad un loro attacco, o infine perché sono vittime volontarie che scelgono di mettersi
in quella determinata condizione (vedi omicidio del consenziente).
Altra classificazione vede una suddivisione tra vittime passive (accidentali,
preferenziali o simboliche) e vittime attive (che aggrediscono o che provocano). Ci
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sono poi i casi particolari della vittima consenziente e della vittima suicida
indiretta, che commette l’omicidio come espediente per essere uccisa.
Dai diversi studi fatti negli ultimi anni sulle vittime di reato si può stendere
un profilo della vittima “standard”: maschio tra i 31 e i 40 anni, con istruzione
medio-bassa e con occupazione precaria o di basso livello, bevitore o consumatore
di cocaina, ucciso in strada con arma da fuoco, spesso perché collegato alla
malavita organizzata.
La percentuale, pari a circa il 15% degli omicidi totali, delle aggressioni
avvenute in ambiente familiare indica invece una altissima percentuale di vittime di
sesso femminile, sempre tra i 31 e i 40 anni, uccise per lo più dall’ex marito o dal
compagno attuale.
Nei casi di violenza sessuale è importante una analisi anche della reazione
della vittima all’aggressione, in quanto questa può interferire con il progetto
criminale dell’aggressore e può darci molte indicazioni sulla tipologia di violento
con cui abbiamo a che fare.
Le più frequenti tipologie di reazione sono:
ƒ Fuga: è la reazione più comune e anche quella che può presentare maggior
percentuale di successo, sempre se la vittima non si trova in luogo isolato e
non ha vie di fuga fruibili. Ciò però può in molti casi aumentare
l’aggressività dello stupratore e quindi incrementare la pericolosità delle sue
azioni.
ƒ Resistenza oppositiva verbale: consiste nell’urlare e sfogarsi per tentare di
attirare l’attenzione, per dimostrare all’aggressore che la vittima non ha
intenzione di sottomettersi.
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ƒ Resistenza oppositiva fisica: il divincolarsi e il lottare fisicamente con
l’aggressore, comporta spesso una reazione ancora più violenta da parte di
quest’ultimo.
ƒ Risposta verbale non confrontativa: tentativo di calmare l’aggressore,
convincerlo a cambiare idea, intenerirlo. Purtroppo nella maggior parte dei
casi mostrare debolezza e cercare di commuoverlo non fa altro che
incrementare le sue fantasie di sopraffazione e non suscita certo un
sentimento di solidarietà o pena.
ƒ Resistenza fisica non confrontativa: simulare attacchi di panico o svenimenti
che però rischiano di non essere credibili e ottenere l’effetto contrario.
ƒ Sottomissione: spesso è una reazione involontaria, causata dal blocco
provocato dalla paura e dalla sensazione che non ci siano alternative. Questa
passività potrebbe però essere interpretata dall’aggressore come una sorta di
partecipazione e causare l’aumento delle violenze.
Risulta quindi che, razionalmente, la migliore azione da intraprendere
sarebbe quella di far parlare di sè l’aggressore, facendo in modo che possa nutrire il
suo narcisismo e che nello stesso tempo veda la vittima come una persona reale e
non come l’oggetto delle sue fantasie.
In seguito ad una violenza sessuale la vittima non subisce solo una
vittimizzazione primaria, riguardante i danni che sono direttamente causati dalla
violenza, bensì subisce anche una vittimizzazione secondaria, causata dall’effetto
sociale e dell’atteggiamento negativo che hanno nei suoi confronti istituzioni e
contesto familiare (Scardaccione).
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3.4 Altri modelli di criminal profiling
Ronaldi Holmes e Stephen Holmes, americani, autori nel 1996 del testo
Profiling violent crimes e nel 1998 di Serial murder, hanno sviluppato un diverso
modello di criminal profiling.
Innanzitutto essi ritengono che l’attività di profiling debba partire da una
prima valutazione sociologia e psicologica dell’autore di reato, per poi passare ad
una valutazione degli oggetti trovati in possesso della persona e infine individuare
quali accorgimenti attuare nel tenere l’interrogatorio.
Agli autori interessa, oltre al punto di vista psicologico sulla vita del reo,
anche le dinamiche e le componenti sociologiche che attraversano la sua esistenza.
Appare infatti essenziale uno studio dell’ambiente di lavoro, del quartiere in cui
vive, delle diverse etnie che occupano quel quartiere, dei crimini commessi e delle
abitudini di vita delle persone che circondano l’offender. Solo in questo modo
possiamo avere un quadro preciso della situazione in cui si trova ad operare
l’autore di reato.
Holmes e Holmes partono dalla convinzione che la personalità, nei suoi
caratteri fondamentali, non si modifica radicalmente nel corso dell’esistenza del
soggetto. Allo stesso modo persone con profilo psicologico simile si
comporteranno in modo simile. I crimini compiuti da un soggetto quindi non si
modificano nel tempo e la scena del crimine in cui esso opera rifletterà la sua
intrinseca personalità.
La tipologia proposta per classificare i rei è basata sulla loro motivazione ad
uccidere e sul modus operandi:
ƒ serial killer visionario: è mosso da allucinazioni deliri;
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ƒ serial killer missionario: è convinto di avere un dovere morale che lo spinge
a liberare il mondo da determinate persone considerate inferiori e
degradanti;
ƒ serial killer edonista: per lo più aggressori con intenti di tipo sessuale, che
delinquono per soddisfare il proprio piacere personale;
ƒ serial killer orientato al controllo e al dominio della vittima: ricava
gratificazione sessuale dalla sottomissione della vittima.
Brent Turvey ha avuto un approccio al criminal profiling che può essere
definito di tipo deduttivo, in quanto egli procede partendo da teorie generali, e non
da analisi statistiche, fino a ricavare conclusioni certe sul singolo caso da risolvere,
in opposizione agli altri studi portati avanti fino ad ora con il metodo induttivo.
In questo modo le conclusioni sulle caratteristiche del reo derivano
direttamente da conoscenza generali e il profilo che ne deriva è quello unico
riflettente le caratteristiche del reo e non un profilo del delinquente medio.
4 Il Profilo Geografico
Interesse principale dello studio del profilo geografico è inquadrare un’area
geografica quale probabile luogo di residenza dell’autore di reato. Ciò comporta
innanzitutto un minore spreco di risorse umane nella ricerca del colpevole e un
aiuto nella elaborazione della lista dei sospettati.
Il metodo si basa su una componente qualitativa e una quantitativa: alla
ricostruzione soggettiva della mappa mentale del reo si aggiunge quindi un’analisi
oggettiva dei diversi luoghi di commissione dei reati e della zona che li
ricomprende.
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™
Metodi qualitativi
Studiano l’interazione tra l’individuo e lo spazio geografico in cui
vive e opera, partendo dal presupposto che l’ambiente influenza fortemente
la vita e l’attività del singolo, i suoi comportamenti e le sue capacità
sensoriali. In relazione ai luoghi di commissione di reati.
Ogni soggetto ha un’area di consapevolezza, ossia uno spazio
geografico dove si trovano le località di cui ha una conoscenza abituale.
All’intero di quest’area c’è poi un activity space che è la zona entro la quale
vive e lavora. Questo modello ci interessa per analizzare le motivazioni e le
modalità che portano un delinquente a scegliere un luogo per la
commissione del reato piuttosto che un altro. Infatti ogni persona ha delle
coordinate entro le quali si muove, dei luoghi che reputa familiari e che
visita con maggiore frequenza. Questi punti di ancoraggio sono importanti
per l’autore di reato, che tenderà a compiere l’atto criminale in zone a lui
favorevoli, da lui conosciute e che comportano il minor sforzo di
raggiungimento possibile. Sono altrettanto importanti da tener presente le
vie di fuga, il traffico, il costo economico della trasferta.
™
Metodi quantitativi
I metodi quantitativi ruotano intorno ai concetti di centrografia e
analisi di prossimità. Ad ogni luogo in cui il soggetto ha posto in essere
un’aggressione e a ogni scena del crimine si associa un punto. I punti
vengono successivamente uniti in una sorta di mappa che indica le aree di
consapevolezza del delinquente, il centro di quest’area ipoteticamente
potrebbe indicare il punto di partenza dell’assassino. Analogamente l’analisi
di prossimità individua la distanza tra i vari punti di una mappa e ci permette
di dare un senso logico ai vari luoghi di ritrovamento del cadavere della
vittima o dei luoghi di aggressione.
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Da questo insieme di studi sulla topografia applicata alle indagini di polizia
possiamo individuare delle costanti che si ritrovano nel comportamento “spaziale”
dell’autore di reato.
Innanzitutto un soggetto che ha già avuto problemi con la giustizia e che è
conosciuto dalle forze dell’ordine tenderà a cambiare residenza e luoghi di
frequentazione molto spesso.
Oltre a ciò, è provato che il crimine avviene nella maggior parte dei casi
nelle vicinanze del luogo di residenza del reo. Più egli si allontana da casa più
saranno rari gli episodi di violenza. Allo stesso modo più esperienza criminosa
accumula maggiore sarà l’ampiezza della sua area di intervento.
Tre principi si affiancano nel tentativo di spiegare la scelta di un luogo per la
commissione del reato piuttosto che un altro.
La routine activity theory secondo cui il soggetto compie il delitto perché si
realizzano determinate condizioni di spazio e di tempo e perché nel territorio
manca un sufficiente controllo da parte delle forze dell’ordine.
La rational choice theory indica un modello di criminale che razionalmente
sceglie il luogo del delitto e consapevolmente intraprende l’azione criminosa.
La crime pattern theory invece considera il comportamento del delinquente
come dipendente anche da fattori variabili, quali la disponibilità della vittima e la
sua reazione all’aggressione. Potrebbe accadere infatti che l’aggressore sia costretto
a cambiare i suoi programmi prestabiliti perché la vittima si ribella o perché le
condizioni di tempo e spazio si rivelano sfavorevoli.
La legge di decadimento sostiene invece, come già accennato, che maggiore
è la distanza tra la residenza dell’aggressore e il luogo del reato, minore sarà
l’attività criminale. Nonostante ciò è importante sapere che c’è una zona, una sorta
di area di decompressione, nelle immediate vicinanze della casa dell’assassino,
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entro la quale egli non compirà atti violenti, perché troppo a rischio di essere
scoperto.
Solitamente il primo crimine colpisce una vittima sconosciuta in quanto
avviene sotto l’impulso irrefrenabile di portare a soddisfare le proprie fantasie.
Successivamente l’aggressore tende a scegliere con più cura la sua preda. In molti
casi egli offre un passaggio alla vittima, o la avvicina in un bar o in un luogo
pubblico, spesso in zone conosciute. Nel 46% dei casi ha un complice e nella
maggior parte dei casi usa un veicolo per recarsi sul luogo dell’aggressione, nel
50% dei casi di sua proprietà. Nel 64% dei casi nasconde il corpo in un luogo
isolato e frequentemente lo trasporta in altro luogo diverso da quello in cui è
avvenuta l’aggressione.
I due principali modelli del profilo geografico sono quello elaborato dal
team di David Canter e quello dello studioso Kim Rossmo.
Il modello di Canter individua due tipologie di criminale:
™
il residente, che si muove all’interno della propria area di residenza;
™
il pendolare, che invece compie i suoi atti criminali all’esterno della zona
di più abituale frequentazione.
La sfera criminale (offender circle concept) è l’area circolare che ha per
diametro la distanza tra i punti più lontani tra loro in cui è stato commesso il reato.
I risultati a cui è arrivato Canter non fanno che confermare ciò che già
avevano evidenziato studi precedenti, ossia che l’assassino agisce spesso in
prossimità della propria residenza salvo allontanarsi con il maturare della sua
esperienza criminale. Ciò è sicuramente utile per creare un database che raccolga
tutti i luoghi in cui si sono verificati crimini e metterli in relazione con le
informazioni che si hanno sulla vita privata degli autori di reato.
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Il modello di Rossmo invece elabora una mappa a tre dimensioni, jeopardy
surface, in cui l’altezza di ogni punto è proporzionale alle possibilità che la
residenza del reo si trovi in quel punto. I punti di maggior interesse sono quello in
cui la vittima ha incontrato per la prima volta il suo aggressore, quello dell’attacco
vero e proprio e il luogo di deposito del cadavere. In base a questo modello è stato
possibile predisporre una classificazione dei criminali in:
-
hunter (parte dal suo domicilio per andare in cerca della vittima);
-
poacher (è sempre in viaggio da una località all’altra per cercare una preda);
-
troller (incontra la vittima casualmente);
-
trapper (crea tutta la situazione che può portarlo a incontrare la vittima
predestinata).
Questi aggressori a loro volta sono soliti attaccare la loro vittima secondo tre
differenti tipologie:
1.
raptor che agisce in preda ad una spinta irrefrenabile e aggredisce la vittima
appena la incontra;
2.
stalker che perseguita e pedina la vittima fino al momento più opportuno per
attaccarla;
3.
ambusher che attacca solo quando la preda è in luogo da lui controllato.
Tutte le teorie esposte finora aiutano il lavoro del criminologo e delle forze
di polizie perché danno un punto di partenza concreto da cui far partire le indagini,
contando sul fatto che le abitudini di un autore di reato, come abbiamo visto, si
modificano ma mai sostanzialmente, essendo parte integrante della propria
personalità. Da un esame accurato della scena del crimine, o delle scene del
crimine, del luogo di ritrovamento del cadavere e del luogo in cui si pensa possa
essere stata approcciata la vittima possiamo avere chiare indicazioni sull’ipotetica
sfera di movimento del criminale, e possiamo altresì raccogliere maggiori
informazioni sui suoi spostamenti e sulla sua capacità di movimento.
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5 Il rapporto tra delinquenza e malattia mentale
In conclusione merita un cenno la questione, forse più morale che materiale,
sul legame tra psicopatologia e reati violenti. Nel passato, come abbiamo visto, gli
studi di antropologi e criminologi erano tutti incentrati sulla dimostrazione
dell’inscindibilità di questo binomio, a dimostrazione del fatto che l’uomo
“normale” non delinque, o delinque in misura limitata, mentre il pazzo è
geneticamente destinato all’attività violenta.
Ancora oggi il dibattito è aperto. Mentre infatti ci sono correnti di pensiero
(Rossi, Zappalà) che ritengono sorpassato l’accostamento di malattia mentale e
crimine violento, altre più recenti (Skodol) non sentono invece di negare questo
tipo di correlazione.
In Italia il Codice Penale nega rilevanza, ai fini della imputabilità, a tutti
quegli stati emotivi e passionali che possono intervenire sull’equilibrio psichico di
un soggetto e indurlo a commettere reato, senza però essere identificabili come vere
e proprie patologie della mente. Oggi è aperta la discussione su tutti quei disturbi di
personalità, disturbi borderline e nevrosi, che non rientrano nella categoria delle
psicosi ma non sono neppure comparabili ad uno stato emotivo quale può essere la
rabbia o la gelosia. Queste psicopatie possono influire sull’imputabilità solo nella
misura in cui degenerino in un vero e proprio squilibrio mentale, causando un vizio
che vada ad intaccare la capacità di intendere e di volere.
La Corte di Cassazione nel marzo 2005 (Sent. 9163) ha ritenuto che ai fini
dell’imputabilità anche i disturbi di personalità siano rilevanti se provocano effetti
assimilabili a quelli provocati da una vera infermità mentale. Questa decisione va
nella direzione di una maggiore comprensione della situazione sociale attuale, che
vede il moltiplicarsi di patologie che influiscono sulla personalità e che non
possono essere sottovalutate. Questo approccio di apertura favorirà inoltre un
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approfondimento delle cause di questi disturbi e delle strategie di recupero del
malato, in modo da non ignorare una condizione che finora non era stata presa in
considerazione perché non giuridicamente rilevante.
Anche il cosiddetto raptus, che volgarmente si tende a prendere come capro
espiatorio per tutte quei reati violenti “inspiegabili”, non è altro che uno scompenso
provocato dall’evolversi in maniera incontrollata di un disturbo di personalità, che
può essere un disturbo borderline o una reazione nevrotica acuta. Tutto ciò a
dimostrazione del fatto che è difficilmente sostenibile che determinati stati
passionali non siano minimamente correlati a patologie mentali. Non è possibile
quindi creare compartimenti stagni che dividono i malati dai sani, i normali dai
pazzi.
Nonostante ciò non si può negare che determinate psicosi siano pericolose se
non controllate e curate. La sindrome depressiva accompagnata da fasi maniacali
può sfociare in comportamenti violenti, anche nei confronti degli stessi familiari e
delle persone che circondano il malato, spinti da un continuo rimuginare
fantasticamente sulla distruzione del prossimo. Il depresso è un persecutore di se
stesso e degli altri, il senso di colpa può portare al suicidio o a reati violenti con il
quale tenta di espiare i propri fallimenti.
Allo stesso modo il disturbo borderline di personalità, provocando umore
instabile e impulsività, può essere foriero di reati violenti. In una ricerca del 2000
Skodol dimostrò come il DBP fosse maggiormente riscontrabile nel campione
partecipante alla ricerca di sesso femminile. Nonostante ciò le donne esaminate
raramente compivano reati violenti, nella maggior parte dei casi erano coinvolte in
gesti autolesivi o in episodi di piromania.
Il disturbo narcisistico di personalità (DNP) porta il soggetto a considerarsi
unico e superiore rispetto a chi lo circonda, a volte a vedere gli altri come un
ostacolo alla sua massima realizzazione. Ciò può portarli a rabbie e rancori nei
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confronti di chi li supera e, data la scarsa empatia provocata dal disturbo, non
risultano sentirsi in colpa per le violenze che possono mettere in atto.
La patologia che più si lega al compimento di reati violenti è poi il disturbo
antisociale di personalità, che causa una totale indifferenza del soggetto nei
confronti dei sentimenti e dei diritti del terzo. L’antisociale è disonesto e
manipolatore.
Si tratta in conclusione di analizzare e non sottovalutare il rapporto tra
volontà, libero arbitrio e pulsioni. Un soggetto affetto da patologia mentale non è in
quanto tale incapace di intendere e volere, deve essere dimostrata l’attualità del
vizio di mente e la completa incoscienza del disvalore del fatto. Allo stesso modo
un soggetto considerato sano perché semplicemente sfiorato dalla malattia, come
un soggetto affetto da DNP non necessariamente agisce nel pieno delle proprie
facoltà mentali, essendo il movente passionale solo la scintilla che ha causato
l’incendio che già covava nella personalità dell’autore.
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6 Conclusioni
Ciò che in chiusura di questa analisi pare importante tenere in
considerazione è sicuramente il fatto che l’attività di studio e redazione di un
profilo psicologico criminale nell’ambito di un’indagine di polizia è un campo
ancora oggi in fase di crescita e consolidamento. Tante sono le teorie che si sono
succedute e a volte contrapposte ma tutte hanno il pregio di aver consentito alla
materia di evolversi e restare al centro dell’attenzione di pubblico e autorità.
Non si può prescindere dalla conoscenza dei lavori di Cesare Lombroso
come non si possono ignorare i repertamenti e l’analisi della scena del crimine
individuati dagli psicologi dell’Fbi come fonte primaria della conoscenza di un
sospettato. E’ indispensabile far tesoro di tutte queste conoscenze per potersi
considerare capaci e abili nell’attività di profiling.
Agli studi empirici è necessario accompagnare una metodologia e un sistema
di principi che garantiscano la totale imparzialità e la più accurata professionalità
nell’operare, essendo il campo d’azione delicato e rischioso per l’entità degli
interessi coinvolti.
Forse il criminal profiler non è il detective dotato di capacità
extrasensoriali ma certamente deve essere un esperto altamente qualificato e di
grande esperienza.
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7 Bibliografia
• Rossi L.; Zappalà A.; (2005) Personalità e crimine – Elementi di
psicologia criminale; Carocci Ed.; 184 p.
• Skodol A.E.; (2000) Psicopatologia e crimini violenti; Centro
Scientifico Ed.; 168 p.
• Picozzi M.; Zappalà A.; (2002) Criminal Profiling – Dall’analisi
della scena del delitto al profilo psicologico del criminale; McGrawHill; 412 p.
• Canter D.; Laurence A. (2004) Il profilo psicologico – L’indagine
investigativa tra teoria e prassi; Carocci Ed.; 210 p.
• A cura di D. Frigessi, F. Giacanelli, L. Mangoni; Cesare Lombroso Delitto, genio, follia; Bollati Boringhieri Edizioni
• Baima Bollone P.; Dall’antropologia criminale alla criminologia; G.
Giappichelli Editore – Torino; 340 p.
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