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L`ANZIANO: UN LIBRO DA SFOGLIARE, UNA STORIA DA
UNIVERSITA’ TELEMATICA “e-Campus”
Facoltà di PSICOLOGIA
Corso Di Laurea in SCIENZE E TECNICHE PSICOLOGICHE
L’ANZIANO:
UN LIBRO DA SFOGLIARE,
UNA STORIA DA RACCONTARE
PERCORSO PSICOLOGICO RIABILITATIVO
DELL’ANZIANO ISTITUZIONALIZZATO
Relatore: Prof. FABRIZIO CAVANNA
Tesi di Laurea di:
PAOLA BORIO
Matricola numero: 7189
Anno accademico: 2013/2014
INDICE
Introduzione
1.L’INVECCHIAMENTO TRA NORMALITA’ E DEMENZA
1.1 - Invecchiamento cerebrale e deterioramento mentale
1.2 - Epidemiologia del disorientamento mentale
1.3 - Profili neurofisiologici nelle demenze senili
1.4 - Tipologie di demenza
1.5 - Diagnosi clinica delle demenze
1.6 - La demenza di Alzheimer
1.7 - La cura non farmacologica: le principali terapie
1.8 - La prevenzione
2.RESIDENZIALITA’ E CURA PER LA DEMENZA DI ALZHEIMER
2.1 - Preparare l’entrata nella struttura
2.2 - La riabilitazione degli anziani con deterioramento mentale
2.3 - L’assistenza psicologica nelle residenze per anziani
2.4 - Il Conversazionalismo di Lai
2.5 - L'ApproccioCapacitante® di Pietro Vigorelli
2.6 - Il Modello GENTLECARE
2.7 - La Palestra di Vita PdV
3.“MI METTO IN GIOCO”
3.1 - Tirocinio ed esperienza sul campo
3.2 - L’anziano che comunica: storie di vita
3.3 - Il thè con la psicologa
3.4 - Nucleo N.A.T.
Conclusioni
Bibliografia
Ringraziamenti
Spalle al muro
Spalle al muro,
Quando gli anni, son fucili contro,
Qualche piega, sulla pelle tua,
I pensieri tolgono, il posto alle parole,
Sguardi bassi alla paura, di ritrovarsi soli.
E la curva dei tuoi giorni, non è più in salita,
Scendi piano, dai ricordi in giù,
Lasceranno che i tuoi passi, sembrino più lenti,
Disperatamente al margine, di tutte le correnti.
Vecchio,
Diranno che sei vecchio,
Con tutta quella forza che c'è in te,
Vecchio
Quando non è finita, hai ancora tanta vita,
E l'anima la grida e tu lo sai che c'è.
Ma sei Vecchio,
Ti chiameranno vecchio,
E tutta la tua rabbia viene su,
Vecchio, si,
Con quello che hai da dire,
Ma vali quattro lire, dovresti già morire,
Tempo non ce n’è più.
Non te ne danno più …!
E ogni male fa più male,
Tu risparmia il fiato,
Prendi presto, tutto quel che vuoi,
E faranno in modo, che il tuo viso, sembri stanco,
Inesorabilmente più appannato, per ogni pelo bianco.
Vecchio.
Vecchio.
Vecchio…!!!
Mentre ti scoppia il cuore, non devi far rumore,
Anche se hai tanto amore, da dare a chi vuoi tu!
Ma sei vecchio.
Insulteranno Vecchio
Con tutto quella smania che sai tu,
Vecchio, si…
E sei tagliato fuori,
Quelle tue convinzioni, le nuove sono migliori,
Le tue non vanno più,
Ragione non hai più.
Vecchio si …
Con tanto che faresti,
adesso che potresti non cedi perché esisti,
perché respiri tu
In questa famosa e toccante canzone di Renato Zero il termine vecchio viene
usato nella sua accezione peggiore, infatti l’anziano è considerato inutile, inetto,
un vero peso per la famiglia e per la società stessa. L’invecchiamento è un
periodo particolare nella vita di ogni individuo, è la fase conclusiva del ciclo
vitale, se questo non è stato precocemente interrotto per cause accidentali; in
questo fenomeno fisiologico si assistono a perdite e deterioramenti a livello
funzionale, a cambiamenti ineluttabilmente legati al passare del tempo che
portano con sé una componente individuale non indifferente. Contrariamente
alla crescita ed allo sviluppo, considerati processi evolutivi, l’invecchiamento è
definito un processo involutivo che comporta una diminuzione delle capacità di
adattamento all’ambiente ed una crescente probabilità di morire che rende
l’individuo altamente vulnerabile. In questo processo involutivo interagiscono i
quattro aspetti fondamentali dell’invecchiamento, studiati dalla gerontologia,
che
sono:
l’invecchiamento
fisico,
l’invecchiamento
psicologico,
l’invecchiamento comportamentale ed il contesto sociale dell’invecchiamento.
Cicerone già nel 44 a.C., all’età di sessantadue anni, scrisse il Cato Maior de
Senectute, nel quale fa un’arringa in difesa della vecchiaia , affermando che
questa non distoglie affatto l’uomo dalla vita attiva e, anche se toglie le forze
fisiche, lascia all’anziano la forza spirituale, la sola indispensabile per svolgere
le attività a lui più consone; inoltre, il fatto che la vecchiaia avvicini alla morte
non deve affatto spaventare, ma, al contrario, rassicurare, in quanto la morte è
vista come un ritorno alle origini. Nelle società tradizionali, la vecchiaia, ora
chiamata “terza età”, era considerata con rispetto e gli anziani ritenuti i
depositari della saggezza e dei valori sui quali fondava la società stessa; al
contrario, nelle nostre società “altamente progredite”, invece, gli anziani si sono
visti espropriati del loro valore e sono stati costretti ad abdicare al loro ruolo di
guida, ritrovandosi così emarginati ed inutili. Purtroppo, anche se alcuni
pensionati si creano degli hobby, nella nostra cultura è diffusa l’idea che la
vecchiaia sia un tempo inutile, che trova la sua inevitabile conclusione nella
morte, mentre invece gli ultimi anni della vita dovrebbero essere il momento
dell’interezza, dove dovrebbe chiudersi positivamente quel cerchio e poter così
dire che lo scopo della nostra vita è stato compiuto.
1.L’INVECCHIAMENTO TRA NORMALITA’ E DEMENZA
1.1 - Invecchiamento cerebrale e deterioramento mentale
Sappiamo che l’aspettativa di vita a partire dall’inizio del ‘900 è aumentata
notevolmente. Tale aumento è dovuto in gran parte dalla diminuzione della
mortalità infantile, dall’introduzione dei vaccini e degli antibiotici,
dai
miglioramenti dei servizi sanitari e dai progressi nella prevenzione e nel
trattamento delle malattie cardiache e degli ictus vascolari. In questa nuova
situazione si è sviluppata una nuova forma epidemica, tipica del soggetto
anziano; nei vecchi, in sostanza, è cresciuto a dismisura il rischio di andare
incontro a una demenza, vale a dire, a una sindrome caratterizzata dalla
perdita della memoria e delle capacità cognitive. L’allungamento dell’arco della
vita ha ben poco valore se non viene preservata anche la qualità della vita.
Il concetto di demenza o deterioramento mentale o demenziale, è stato
dibattuto per anni nel tentativo di arrivare ad una definizione che potesse non
solo rendere conto della complessità della sintomatologia quanto, nello stesso
tempo, offrire un efficace punto di riferimento per la diagnosi. La demenza è
una patologia che si acquisisce in età adulta o comunque che si instaura dopo
che si è verificato uno sviluppo cognitivo normale; non si riferisce, pertanto, a
quelle situazioni di insufficienza mentale che si protraggono fin dalla infanzia.
Secondo il DSM IV, i criteri per la definizione di demenza comprendono tre
elementi principali:
1) disturbi della memoria;
2) disordini delle funzioni mentali;
3) ripercussioni sulle attività socio-professionali.
Secondo la definizione del Royal College of Physician, la demenza consiste
nella compromissione globale delle cosiddette funzioni corticali o nervose
superiori, ivi compresa la memoria, la capacità di far fronte alle richieste della
vita di tutti i giorni e di svolgere le funzioni percettivo-motorie già acquisite in
precedenza, la capacità di conservare un comportamento socialmente
adeguato alle circostanze e di controllare le proprie reazioni emotive; tutto ciò in
assenza della compromissione dello stato di vigilanza.
Il tratto fondamentale del deterioramento mentale è l’incompetenza cognitiva
ecologica, volendo con questo sottolineare l’elemento forse più drammatico
che caratterizza soprattutto gli esordi della malattia: l’incongruenza di alcuni
comportamenti del paziente rispetto alla situazione sociale e alle aspettative di
chi lo circonda.
1.2 - Epidemiologia del disorientamento mentale
Con il termine “demenza” possiamo genericamente indicare tutte quelle malattie
nelle quali i disturbi della memoria si associano al cedimento di altre
funzioni mentali, a tal punto da rendere la persona dipendente da terzi. La
demenza più conosciuta è senza dubbio l’Alzheimer ed è anche la forma più
ricorrente (raggiunge il 50% dei casi totali). Tuttavia, ad oggi, si possono
descrivere più di cinquanta malattie dementigene i cui sintomi sono molto
simili a quelli dell'Alzheimer. Occorre precisare, però, che i semplici disturbi
della memoria che caratterizzano la vecchiaia non sono sempre il sintomo di un
inizio di demenza.
Le modificazioni funzionali e strutturali del cervello nell’invecchiamento:
Le qualità intellettuali di molte persone anziane restano inalterate fino al termine
del loro ciclo di vita, ed alcuni personaggi sono stati in grado di esprimersi al più
alto livello anche molto avanti con gli anni. Tuttavia, molte persone anziane
presentano lievi difetti di memoria e delle altre facoltà cognitive, ed in alcune di
loro si manifestano sintomi di demenza. Il metodo più sicuro per analizzare le
alterazioni intellettuali legate all’età, è quello di misurare ripetutamente, nello
stesso paziente, le facoltà cognitive e le prestazioni legate alla memoria durante
un lungo periodo di tempo. Le alterazioni delle facoltà cognitive in relazione
all’età, come la rapidità di apprendimento e la risoluzione dei problemi, sono
spesso lievi e si presentano in epoche assai tardive. In alcuni soggetti la facoltà
di assimilare notevoli quantità di nuove informazioni tende a ridursi. Anche le
prestazioni visuo-spaziali, come la ricostruzione di disegni, sono spesso ridotte
nei soggetti più anziani. La facilità di espressione verbale (elencare
rapidamente per nome una serie di oggetti) diminuisce con l’età. I test generali
di intelligenza cominciano a dare risultati meno soddisfacenti a partire dai
sessantacinque anni e continuano a peggiorare nell’età avanzata.
Inoltre iniziano a manifestarsi alcune alterazioni del comportamento che,
tuttavia, non compromettono seriamente la qualità della vita. Anche le
caratteristiche del sonno tendono a cambiare: infatti le persone anziane
dormono meno e si svegliano più spesso; la durata degli stadi 3° e 4° del sonno
REM è ridotta mentre tende ad aumentare la durata dello stadio 1° del sonno
ad onde lente. Nell’anziano si riducono le capacità motorie, la postura diventa
meno retta, l’andatura è più lenta, i riflessi sono spesso rallentati causando una
più facile perdita dell’equilibrio. Queste alterazioni del movimento dipendono da
lievi processi asintomatici che interessano sia il sistema nervoso centrale che
quello periferico.
Nell’età avanzata si riscontrano modificazioni del tessuto cerebrale, in quanto il
peso della massa cerebrale spesso diminuisce ed alcune popolazioni di neuroni
si riducono per morte cerebrale. Inoltre, numerosi enzimi deputati alla sintesi di
diversi neurotrasmettitori, come la dopamina, la norepinefrina e, in grado
minore, anche l’acetilcolina, diminuiscono con l’età e ciò sta ad indicare la
presenza di anomalie nei neuroni che sintetizzano queste sostanze. Grazie ai
test neuropsicologici, però, si riescono a distinguere chiaramente i disturbi della
memoria legati all'invecchiamento da quelli premonitori di un inizio di demenza
vera e propria.
1.3 - Profili neurofisiologici nelle demenze senili
L’accertamento diagnostico prende le mosse da una constatazione dei
congiunti del paziente, i quali ravvisano una modificazione deficitaria del
comportamento. Una volta accertato che l’impressione suscitata nei familiari
dalle modificazioni del comportamento del paziente, e la sua storia recente,
concordano
con
prestazioni
cognitive
alterate
alle
batterie
dei
test
standardizzate a cui è stato sottoposto, è importante giungere ad un corretto
inquadramento nosografico. Più della metà delle situazioni cliniche associate
a deterioramento mentale sono imputabili a demenze di tipo degenerativo,
caratterizzate quindi dal fatto di essere, ancora oggi, del tutto incurabili. L’altra
metà delle sintomatologie demenziali è invece associata a patologie non
degenerative, a volte suscettibili di interventi terapeutici efficaci. Ecco quindi la
necessità di stabilire con esattezza l’etiologia di uno stato dementigeno, nella
speranza di poter intervenire in modo adeguato sulle cause scatenanti la
malattia per poter, se non far regredire, almeno bloccare la sintomatologia. Tra
le demenze degenerative primarie le principali sono la malattia di Alzheimer
e la malattia di Pick, mentre cause non primariamente degenerative di
demenza sono le patologie vascolari (ematomi ed emorragie), i tumori, i traumi,
l’alcolismo, le malattie endocrino-metaboliche (ipotiroidismo e ipoglicemia), le
infezioni del sistema nervoso centrale, l’idrocefalo. Tra le cause non
degenerative, sicuramente le più curabili sono le patologie tumorali, gli ematomi
sottodurali e l’idrocefalo, trattabili con terapia chirurgica.
Le indagini cliniche ed anamnestiche aiutano anche a porre una topodiagnosi
della demenza, a stabilire cioè se il processo patologico si è sviluppato in sede
corticale, come nelle demenze di Alzheimer, Pick e Creutzfeldt-Jacob, o
sottocorticale,
come
nelle
demenze
lacunari
associate
a
patologie
extrapiramidali, o conseguenti ad infezioni come l’AIDS.
1.4 - Tipologie di demenza
Il deterioramento mentale può essere dovuto a cause molto diverse tra loro ed
esistono numerosi tipi di demenza senile. Con il termine di demenza senile, ci
si riferisce ad una sindrome clinica, tipica dei soggetti anziani, che si manifesta
con perdita della memoria e alterazione delle facoltà cognitive ed è ad uno
stadio sufficientemente grave da compromettere le funzioni sociali e
occupazionali del soggetto colpito. Spesso i principali sintomi di demenza si
manifestano in maniera poco marcata e poco evidente. Esistono però
indicazioni per un riconoscimento precoce, quali:
- Perdita progressiva e frequente della memoria
- Confusione mentale
- Cambiamento della personalità
- Apatia e ritiro in se stessi
- Perdita della capacità di compiere le normali attività della vita quotidiana
La demenza senile, per poter essere diagnostica come tale, deve presentare in
modo evidente, almeno due tipi di disturbi:
 Perdita della memoria in un paziente sotto ogni altro aspetto presente a
se stesso
 Almeno un’altra alterazione che interessi una facoltà cognitiva, come il
linguaggio, la capacità problem-solving, il criterio di giudizio, la capacità
di calcolo, l’attenzione, la percezione, le capacità manuali ecc.
Tra le varie tipologie dementigene, si annoverano:
-
La malattia o morbo di Alzheimer: è la forma più comune di demenza
ed è presente nella metà delle persone interessate da deterioramento
mentale. E' una malattia degenerativa e progressiva nella quale,
soprattutto nelle fasi iniziali, i sintomi sono spesso trascurati poiché molto
flebili (come la perdita della memoria, soprattutto a breve termine, o la
perdita del filo di un discorso). Col progredire della malattia i
cambiamenti diventano molto più evidenti finché, nelle ultime fasi, la
persona diventa incapace di badare a se stessa.
-
La demenza vascolare (nota anche come demenza multi-infartuale) è la
seconda causa più comune di demenza. "Multi-infarto" è un termine
associato a problemi della circolazione sanguigna cerebrale che causano
il deterioramento delle capacità mentali a seguito di molteplici ictus, o
infarti, nell'area cerebrale. L'ictus è il risultato di un'interruzione più o
meno brusca del flusso sanguigno al cervello per ostruzione di uno o più
vasi sanguigni. Conseguentemente, l'area del cervello che veniva irrorata
da questi vasi, non riceve più sangue e va incontro a degenerazione e
morte. Questi ictus possono causare danni a specifiche aree cerebrali,
come quelle del linguaggio, o possono produrre sintomi generalizzati di
demenza. La demenza vascolare appare simile al morbo di Alzheimer,
tanto che alle volte è difficile scindere l'una dall'altra.
-
La demenza a “corpi di Lewy”: deve il proprio nome al fatto che, in un
gran numero di pazienti alle quali è stata diagnosticata tale patologia,
sono presenti delle piccolissime strutture sferiche denominate, appunto,
"corpi di Lewy". Si ritiene che questi corpi contribuiscano alla morte delle
cellule cerebrali. Al suo esordio la demenza spesso si manifesta in forma
lieve ma estremamente variabile da un giorno all'altro. Sintomo tipico di
questa demenza sono le allucinazioni visive ed un’estrema sensibilità ai
farmaci antipsicotici che provocano irrigidimento degli arti, tremori e
limitazione dei movimenti. La demenza a corpi di Lewy può talvolta
verificarsi simultaneamente al morbo di Alzheimer ed alla demenza
vascolare.
-
Il Morbo di Pick, come il morbo di Alzheimer, provoca il deterioramento
progressivo ed irreversibile delle capacità mentali di una persona nel
corso degli anni. È una malattia rara che colpisce la parte frontale del
cervello e può essere di difficile riscontro diagnostico. La malattia
generalmente insorge tra i 40 e i 65 anni di età. I disturbi della
personalità, del comportamento e della parola potrebbero precedere i
disturbi della memoria ed essere molto gravi già agli esordi della malattia
stessa.
-
La corea di Huntington è una malattia degenerativa ereditaria del
cervello che incide sulle funzioni mentali e fisiche dell'organismo. Insorge
generalmente presto, fra i 30 ed i 50 anni di età, ed è caratterizzata dal
deterioramento delle funzioni intellettuali e da movimenti irregolari e
involontari degli arti o dei muscoli facciali. Altri sintomi includono:
cambiamento della personalità, disturbi della memoria, difficoltà nel
parlare, incapacità nel formulare giudizi e problemi psichiatrici. Non sono
disponibili terapie che possano arrestare l'evoluzione della malattia, ma i
farmaci possono tenere sotto controllo i disturbi del movimento ed i
sintomi psichiatrici. Nella maggior parte dei casi di corea di Huntington
insorge la demenza.
-
La sindrome di Korsakoff è una demenza legata ad un consumo
eccessivo di alcool associato ad una dieta alimentare povera di vitamina
B1 e può provocare danni cerebrali irreversibili. Questo tipo di demenza
si può però prevenire in quanto, chi assume poche sostanze alcooliche o
ne beve entro un giusto limite non ne viene colpito. Le parti più
danneggiate dell'encefalo sono il nucleo medio-dorsale del talamo, i
corpi mamillari, l'ippocampo e le regioni frontali. Sono pertanto
interessate
la
memoria,
la
pianificazione,
l'organizzazione
e la
formulazione di giudizi, la capacità sociale e l'equilibrio. L'assunzione
della Tiamina (Vitamina B1) pare sia utile per prevenire la malattia e per
migliorarne la sintomatologia. La sindrome di Korsakoff può anche far
seguito all'encefalopatia di Wernicke.
-
Il morbo di Creutzfeldt-Jacob (più comunemente conosciuto come
morbo della mucca pazza) è una malattia cerebrale degenerativa,
estremamente rara e mortale, provocata da una particella di natura
proteica chiamata “prione”. Ogni anno si riscontra un caso su un milione.
I sintomi iniziali sono caratterizzati da scarsa memoria, cambiamenti
comportamentali, mancanza di coordinazione, allucinazioni, mioclonie,
ecc... Man mano che la malattia progredisce, solitamente in maniera
molto rapida, il deterioramento delle funzioni mentali diventa più
pronunciato, la persona può perdere la vista, sviluppare debolezza alle
braccia o alle gambe ed infine andare incontro ad una morte inesorabile.
1.5 - Diagnosi clinica delle demenze
Nella maggior parte dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer, i primi sintomi si
manifestano nel corso della settima decade di vita, ma talvolta ci sono casi di
inizio intorno alla mezza età. All’anamnesi può esservi un riscontro di altri casi
famigliari, comunque, sia nelle forme famigliari che in quelle sporadiche, i
pazienti presentano difetti di memoria: all’esordio si ha un graduale ed insidioso
peggioramento della capacità mnestica che caratterizza l’andamento dei primi
due anni di malattia.
L’amnesia compromette in modo determinante le attività quotidiane: il paziente
dimentica gli appuntamenti, non si ricorda le date importanti, non si ricorda dove
ripone gli oggetti, continua a fare le stesse domande o a proporre le stesse
conversazioni, e, tale sintomo neuropsicologico spesso rimane l’unico per molto
tempo. A volte possono comparire altri deficit cognitivi e la combinazione di
amnesia e deficit cognitivi permette di porre la diagnosi di “probabile” malattia di
Alzheimer. Si possono riscontrare problemi di orientamento ed alcune difficoltà
nel ricordare eventi remoti; in questa fase i ricordi autobiografici sono però
ancora ben preservati. I test di riconoscimento, essendo nella norma,
dimostrano quindi un relativo risparmio dei processi di immagazzinamento e
recupero dell’informazione.
I deficit linguistici, quando compaiono, hanno inizialmente il carattere di
anomie e presentano problemi di denominazione. In alcuni pazienti, dopo poco
tempo, si rende evidente un’afasia fluente, accompagnata da difficoltà di
comprensione uditiva, dislessia e disgrafia. I disturbi di denominazione sono di
natura semantica e sono caratterizzati da sostituzioni lessicali e da
circonlocuzioni, mentre più rari sono i disturbi fonologici. Nei pazienti con deficit
linguistici, possono comparire anche disturbi spaziali e visuo-costruttivi.
Altri sintomi possono essere la difficoltà a risolvere problemi, difficoltà
nell’esecuzione di calcoli, errori di giudizio e, naturalmente, incongruenze di a
livello di comportamento.
In tutti questi soggetti le funzioni mentali si deteriorano e le attività giornaliere,
come abbiamo detto, vengono svolte con difficoltà crescente. Negli ultimi stadi
della malattia i soggetti non parlano più, diventano incontinenti e sono costretti
a letto; la morte interviene, generalmente, in seguito ad altre malattie
intercorrenti.
Quadri clinici delle demenze
L’afasia costituisce la causa principale di interferenza con le attività quotidiane;
quando il quadro sintomatologico peggiora possono comparire altri deficit
cognitivi. Con il progredire della malattia il deterioramento cognitivo colpisce
maggiormente le capacità linguistiche rispetto a quelle mnestiche o spaziali. Il
dato anatomopatologico post-mortem mostra più frequentemente forme di
degenerazione e atrofia focale localizzate nelle regioni fronto-perisilviane (aree
di Wernicke e di Broca) dell’emisfero sinistro, ciò che si dimostra anche con la
PET che evidenzia, infatti, ipometabolismo delle stesse regioni.
All’inizio il paziente può lamentarsi di vaghi disturbi visivi ed “offuscamento della
vista”; successivamente compaiono deficit progressivi del campo visivo e
sintomi clinici che possono essere attribuiti al coinvolgimento di una o di
entrambe le vie visuo-spaziali, la dorsale e la ventrale, che dai lobi occipitali
vanno ai lobi parietali e temporali. I disturbi imputabili ad un danno della via
dorsale comprendono la sindrome di Balint (disturbi dell’oculomozione),
l’aprassia dell’abbigliamento, il disorientamento spaziale e topografico. La
compromissione
della
via
ventrale
determina
invece
difficoltà
nel
riconoscimento degli oggetti e dei volti; la PET mostra ipometabolismo delle
regioni occipito-parietali a livello bilaterale.
Si
possono
osservare
anche
cambiamenti
nell’igiene
personale
e
nell’assunzione di cibo, che può aumentare abnormemente portando il paziente
a considerevoli aumenti di peso. Questo è esattamente il contrario di ciò che
avviene nelle altre forme di demenza degenerativa, soprattutto nella malattia di
Alzheimer, dove generalmente si osserva una perdita, a volte drammatica, di
peso corporeo. La sintomatologia appena descritta è compatibile con la
diagnosi di frontal lobe dementia, una forma di deterioramento mentale di
origine degenerativa il cui dato anatomopatologico fondamentale consiste in
un’atrofia focale e alterazioni degenerative non specifiche localizzate
prevalentemente ai lobi frontali.
1.6 - La demenza di Alzheimer
Nel 1907 Alois Alzheimer descrisse per primo un caso di demenza che porta
ora il suo nome: una donna di mezza età aveva presentato disturbi di memoria
ed una perdita progressiva delle capacità cognitive; la sua memoria divenne in
seguito sempre più precaria, tanto da non riuscire più ad orientarsi neppure in
casa. All’autopsia, fu riscontrata quella che oggi viene riconosciuta come la
classica patologia che caratterizza il morbo di Alzheimer, vale a dire ammassi
neurofibrillari e placche senili localizzati nel neocortex e nell’ippocampo. Dopo
la descrizione di questo caso, a questo tipo di demenza presenile fu dato il
nome di morbo di Alzheimer, che è la forma più comune di demenza che si
osserva attualmente nelle persone anziane.
La malattia di Alzheimer è una demenza ad esordio insidioso che va sospettata
ogni qualvolta un soggetto al di sopra dei 45 anni di età presenti dei disturbi di
memoria lentamente ingravescenti che arrivano ad interferire con le attività
della vita quotidiana e a cui si aggiungono in breve tempo altri disordini di
natura cognitiva e/o psichiatrica. Al quadro d’esordio tipico caratterizzato da
disordini di memoria, accompagnati da altri disturbi delle funzioni strumentali, si
associano spesso disturbi psichiatrici.
Le anomalie sopra descritte vengono attribuite a lesioni vascolari probabilmente
dovute ad una micro-angiopatia che caratterizzerebbe la forma di malattia di
Alzheimer senile. Questa micro-angiopatia non sarebbe legata all’angiopatia
amieloide, ma, piuttosto, ad un quadro aterosclerotico di origine sconosciuta,
visto che lo si ritrova anche in pazienti che non presentano fattori di rischio per
le malattie cardiovascolari.
I criteri per diagnosticare una probabile demenza di Alzheimer sono:
1. Si è di fronte ad una demenza accertata con l’esame clinico e
neuroradiologico;
2. Sono accertati uno o più deficit cognitivi, di cui uno deve essere il
disturbo di memoria;
3. Il disturbo della memoria e delle altre funzioni cognitive si rivela essere
progressivo;
4. Non ci sono alterazioni della coscienza;
5. L’esordio è tra i 40 e i 90 anni, solitamente dopo i 65 anni;
6. non si riscontrano altre cause sistemiche o affezioni cerebrali che
possano rendere conto del quadro clinico.
Una volta posta la diagnosi di demenza di Alzheimer, la prognosi è infausta:
difatti questa è una malattia maligna che porta a morte in un periodo variabile
da 3 a 15 anni. Nei casi tipici, dopo il periodo iniziale caratterizzato dalla
sintomatologia neuropsicologica, c’è un periodo in cui possono comparire
sintomi neurologici anche gravi, come paresi o paralisi, ed infine un periodo,
definito internistico, dove prevalgono le complicazioni mediche della malattia. Il
paziente a questo punto è in uno stato cachettico e spesso muore per
complicanze polmonari.
La malattia di Alzheimer, da un punto di vista macroscopico, è caratterizzata da
una diminuzione di peso del cervello, associata ad una atrofia corticale che
determina un allargamento dei solchi ed un appiattimento delle circunvoluzioni
cerebrali. L’elemento lesionale più importante, fondamentale anche per la
diagnosi certa della malattia, è rappresentato dalle alterazioni riscontrabili a
livello cellulare e microscopico quali il depauperamento neuronale, le
placche senili, la degenerazione neurofibrillare e l’angiopatia congofila. La
perdita neuronale è il corrispettivo microscopico dell’atrofia corticale visibile
all’esame anatomopatologico e alle indagini strumentali (TAC e RMN), mentre
l’angiopatia congofila è il risultato del deposito sulle pareti dei vasi sanguigni
della proteina amiloide.
Le lesioni più caratteristiche sono però le placche senili e la degenerazione
neurofibrillare. La degenerazione neurofibrillare consiste nell’accumulo di
filamenti anomali, elicoidali, all’interno delle cellule nervose che non hanno
corrispettivo nelle cellule normali. L’esatta natura di questi filamenti non è
ancora stata specificata, anche se sembrano associati alla presenza di una
proteina che, nel cervello normale, è possibile riscontrare solo durante il periodo
fetale. Il cromosoma 21 è anche correlato alla sindrome di Down spesso
caratterizzata, verso la fine della vita, da una demenza simile a quella di
Alzheimer. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare l’origine genetica della
malattia che causerebbe un malfunzionamento del precursore della proteina
amiloide e conseguentemente un suo accumulo all’interno delle placche senili.
La formazione delle placche determinerebbe una reazione neuronale con
formazione dei filamenti tipici della degenerazione neurofibrillare e successiva
morte del neurone.
Effettivamente
l’attività
acetilcolinesterasica,
cioè
l’attività
dell’enzima
responsabile della sintesi dell’acetilcolina, è molto diminuita nella malattia di
Alzheimer. I neuroni che producono l’acetilcolina, situati nelle regioni anteriori
profonde del cervello, in particolare nel nucleo basale di Meynert e nei nuclei
del setto, nella malattia di Alzheimer sono particolarmente rarefatti.
Le basi anatomo-fisiologiche
Una zona particolarmente colpita è quella della corteccia entorinale che ha
abbondanti connessioni con la regione ippocampale e con le cortecce
sensoriali. Molti autori attribuiscono alla disconnessione tra ippocampo e altre
regioni corticali, dovuta alla lesione entorinale, i deficit di memoria iniziali dei
pazienti con malattia di Alzheimer.
Etiologia e diagnosi del morbo di Alzheimer
Il medico deve avvalersi della storia clinica raccolta dal paziente e dai famigliari,
dall’esame obbiettivo, neurologico e psichiatrico, di test neuropsicologici, di
riscontri di laboratorio e anche della visualizzazione cerebrale in vivo (TEP). Le
alterazioni dei livelli di particolari proteine nel siero e nel liquido cerebro spinale,
come la presenza di peptidi amiloidi, possono rivelarsi assai utili per la diagnosi.
Nella maggior parte dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer viene eseguita
una tomografia computerizzata (TAC) o una risonanza magnetica per immagini
(RMN) sia allo scopo di identificare l’eventuale presenza di altre forme passibili
di cura che per mettere in evidenza le modificazioni cerebrali specifiche della
demenza di Alzheimer. Nei pazienti affetti da tale forma la visualizzazione
cerebrale permette di osservare alcune alterazioni localizzate soprattutto nel
lobo temporale mediale, che sono assai utili per formulare la diagnosi. La
tomografia ad emissione di positroni (TEP) e la tomografia computerizzata ad
emissione di singolo fotone, mostrano generalmente un ridotto flusso cerebrale
che, all’inizio, è localizzato nei lobi parietale e temporale, mentre negli ultimi
stadi della malattia si estende anche ad altre aree.
Il morbo di Alzheimer è una tipica forma neurodegenerativa, caratterizzata da
una serie di alterazioni che interessano selettivamente i neuroni di regioni
cerebrali specifiche,
in particolare
del neocortex,
dell’area entorinale,
dell’ippocampo, dell’amigdala, del nucleo basale, della porzione anteriore del
talamo e di parecchi nuclei monoaminergici del tronco dell’encefalo, tipo locus
coeruleus. In queste regioni troviamo una significativa riduzione delle proteine
sinaptiche. Le lesioni sopra descritte comportano gravi conseguenze cliniche, in
quanto si pensa che proprio alle alterazioni della corteccia entorinale,
dell’ippocampo e di altri circuiti della corteccia medio-temporale vadano ascritti i
deficit della memoria che caratterizzano il morbo di Alzheimer. Anche le lesioni
che si osservano nelle aree associative del neocortex possono contribuire alle
difficoltà di memoria e ai deficit di attenzione caratteristici della malattia.
Viceversa, i disturbi di comportamento e dello stato emozionale che si
osservano in alcuni pazienti sono probabilmente connessi all’interessamento
della
corteccia
monoaminergici
limbica,
del
dell’amigdala,
tronco
dell’encefalo
del
talamo
che
e
di
proiettano
vari
alla
sistemi
corteccia
dell’ippocampo.
Alterazioni del citoscheletro dei neuroni nel morbo di Alzheimer
Come abbiamo già detto, l’alterazione più comune del citoscheletro è costituita
dalla presenza di matasse neurofibrillari, rappresentate da inclusioni
filamentose nei corpi cellulari e nella parte prossimale dei dendriti che
contengono sia coppie di filamenti elicoidali che filamenti rettilinei della
lunghezza di 15 nm. L’alterazione delle neurofibrille in seguito si estende a tutto
il neocortex. Altre alterazioni del citoscheletro interessano gli assoni e le
terminazioni assonali ed i dendriti: in entrambi questi tipi di lesioni sono presenti
coppie di filamenti elicoidali intracellulari.
Le regioni cerebrali colpite dal morbo di Alzheimer contengono anche placche
senili in cui si possono osservare depositi extracellulari di sostanza amiloide
circondati da assoni distrofici. Le placche senili sono presenti in tutto il neuropilo
e nella parete dei vasi sanguigni cerebrali. Gli istologi danno il nome di
amiloide ad ammassi fibrillari di filamenti polipeptidici con una conformazione
di tipo β e ripiegati in foglietti.
Il costituente principale dell’amiloide è un peptide, detto amiloide Aβ: questa
sostanza deriva dall’idrolisi di una proteina precursore, di maggiori dimensioni
(APP) che è una componente di una famiglia che comprende altre proteine
simili; nell’uomo queste sostanze sono codificate da un gene localizzato nella
porzione mediana del braccio lungo del cromosoma 21.
Profilo neuropsicologico della demenza di Alzheimer
Importante operare una distinzione tra funzioni strumentali e funzioni di
controllo, poiché la compromissione cognitiva del paziente con demenza di
Alzheimer non solo è caratterizzata da deficit che colpiscono entrambe queste
funzioni, ma in alcuni casi i disturbi attribuibili al mancato funzionamento delle
funzioni strumentali possono essere in realtà riconducibili ad un disturbo
primario delle funzioni di controllo.
Per funzioni strumentali si intendono quegli aspetti specifici dell’attività
cognitiva, tipo linguaggio o prassie, che possono essere riferibili al corretto
funzionamento di strutture corticali dell’uno o dell’altro emisfero, la cui lesione
non compromette, se non in modi non significativi, il funzionamento delle altre
attività cognitive. Per funzioni di controllo si intendono, invece, quelle
componenti del sistema cognitivo, come l’attenzione e l’intelligenza, che
avrebbero un compito ordinatore sulle altre attività cerebrali. La memoria,
secondo molti autori, non avrebbe una collocazione certa.
Il morbo di Alzheimer è una malattia altamente complessa ed enigmatica ed è
l’affezione più diffusa e la più comune causa di morte dell’anziano.
L’accuratezza diagnostica è stata favorita da un nuovo inquadramento clinico e
dall’introduzione di nuove strumentazioni. Sono stati fatti, inoltre, nuovi
significativi progressi per quanto attiene la comprensione fisiopatologica del
morbo di Alzheimer. Sono state identificate mutazioni di diversi geni, che hanno
grande importanza nella patogenesi di forme famigliari, come vedremo in
seguito; sono stati fatti notevoli progressi nella conoscenza della biologia dei
geni e delle proteine che danno origine ai depositi di amiloide ed alle anomalie
del citoscheletro dei neuroni.
I disordini della memoria
Come abbiamo ripetutamente detto
precedentemente, i problemi di
memoria sono un fattore fondamentale
per poter fare una diagnosi di malattia
di Alzheimer. Secondo le varie componenti della memoria, il disordine mnestico
iniziale si configura come un disturbo episodico, di natura prevalentemente
anterograda. Questa disfunzione fa sì che il paziente si dimentichi con estrema
facilità anche di ciò che ha fatto durante il giorno. Questo particolare tipo di
memoria, la memoria per i fatti della vita quotidiana, viene definita, con termine
anglosassone, on going memory.
Anche la cosiddetta memoria per il futuro, la memoria prospettica, è disturbata
e la sua compromissione si estrinseca con la smemoratezza per gli
appuntamenti o per gli impegni presi, che non vengono più rispettati. Il disturbo
di memoria peggiora lentamente e progressivamente fino a compromettere
anche i ricordi del passato, e quindi interessando anche il comparto della
memoria episodica nella sua componente retrograda. Il paziente alzheimeriano
presenta un deficit abbastanza precoce della memoria autobiografica, che
viene rilevato dagli stessi congiunti. Il disturbo di memoria si presenta con una
serie di sfaccettature quali ricordi confusi sul proprio passato e/o trasposizione
di eventi e persone che hanno fatto parte della vita del paziente. Anche la
memoria per gli eventi pubblici è seriamente compromessa. Nella malattia di
Alzheimer si riscontrano anche deficit della memoria semantica. In questo
ambito i disturbi di denominazione e le anomie sono quelli di più frequente
riscontro. In questa malattia i pazienti cadono anche in prove di fluenza verbale
e mostrano dei disturbi specifici di denominazione e riconoscimento di
categoria.
Altro disturbo caratteristico della malattia, legato alla difficoltà ad accedere alle
informazioni contenute nel magazzino della memoria semantica, è la titubanza
cognitiva. Questa definizione si riferisce al fatto che i pazienti presentano
spesso, anche nelle situazioni più comuni, un comportamento imbarazzato ed
incerto, rispetto alle risposte che forniscono, come se si trovassero in una
situazione assolutamente sconosciuta, ma non volessero ammettere il loro
disorientamento. La memoria procedurale sarebbe abbastanza preservata, sia
nella componente retrograda, cioè nella capacità di eseguire strategie già
apprese, sia nella sua componente anterograda, cioè nella capacità di
apprendere nuove procedure senso-motorie. La memoria a breve termine, per
lo meno all’inizio della malattia, presenta lievi compromissioni.
Interpretazione dei disordini di memoria nell’Alzheimer
I disturbi di memoria sopra citati, possono essere considerati il risultato di
disturbi prodotti alle componenti mnestiche da lesioni specifiche, oppure la
conseguenza di deficit delle funzioni di controllo, in particolare della funzione
attentiva. Nella prima fase della malattia si verificherebbe un’iniziale
compromissione delle strutture neurali che sottendono le funzioni strumentali.
A lungo andare, la compromissione attentiva si rende sempre più evidente e si
rende manifesta la lesione alle strutture prefrontali con una compromissione
diretta delle risorse attenzionali. In questo contesto teorico i disturbi della
memoria episodica a carattere anterogrado, vengono interpretati come un
deficit di codifica della traccia; in altre parole, il paziente elaborerebbe gli stimoli
in modo del tutto superficiale per un disturbo delle funzioni di controllo sul
processo di codifica. Noi sappiamo che quanto più la traccia mnestica è
codificata in modo superficiale, tanto più difficile sarà il suo recupero dalla
memoria a lungo termine.
Nella malattia di Alzheimer le componenti della memoria che vengono
compromesse sembrerebbero colpite in ragione della richiesta attentiva che
impongono al paziente, che è massima per i compiti che richiedono l’intervento
della memoria episodica, variabile nei compiti di memoria semantica, minima
nei compiti di memoria procedurale.
I disordini del linguaggio
Il coinvolgimento strutturale dell’emisfero
sinistro nella malattia di Alzheimer è
documentato a livello sia morfologico
(TAC e RMN) sia metabolico (PET).
Nella malattia di Alzheimer tipica è di
frequente riscontro un disturbo del linguaggio che si manifesta in tempi diversi a
seconda dei pazienti. La frequenza con cui questi disturbi colpiscono i pazienti
è tuttora oggetto di controversie: secondo alcuni studi, i deficit linguistici
sarebbero presenti nella quasi totalità dei soggetti, mentre altre casistiche
riportano una variabilità tra il 50 e l’80%. All’esordio i deficit del linguaggio
possono essere molto lievi, soggettivi, caratterizzati soprattutto da una difficoltà
di concentrazione, che si estrinseca nella difficoltà a evocare nomi di uso
comune, con il risultato di produrre un linguaggio dal contenuto informativo
lievemente impoverito. In una fase avanzata il linguaggio spontaneo diventa
sempre più ridotto, con molte anomie e caratterizzato dall’uso continuo di frasi
fatte (frasi cliché).
Dal punto di vista psicolinguistico i deficit preponderanti sono le anomie, un
impoverimento progressivo del lessico, ed un grave deterioramento del
livello semantico-lessicale, sia in espressione che in comprensione. Il quadro
di compromissione linguistica che si rende manifesto è, per alcuni aspetti,
paragonabile ad un’afasia di Wernicke.
Ai disordini del linguaggio parlato si aggiungono i deficit del linguaggio scritto.
La lettura è solitamente compromessa fin dall’esordio del deficit linguistico, ma
risulta essere meno alterata della scrittura. Nelle fasi intermedie della malattia i
deficit di lettura e scrittura assumono le caratteristiche delle dislessie/disgrafie
superficiali. Anche per i disordini linguistici esiste un danno delle funzioni
strumentali da un lato e delle funzioni di controllo dall’altro. Anche il discorso
vuoto e ricco di circonlocuzioni può essere attribuito ad un deficit della
pianificazione e dell’organizzazione del discorso, dovuto ad un difetto delle
strutture gerarchicamente superiori del sistema attenzionale. Lo stesso vale per
il deficit di comprensione linguistica, dove il malato alzheimeriano dimostra una
crescente difficoltà con l’aumentare della complessità delle frasi a cui viene
esposto.
Altri disturbi nel morbo di Alzheimer
Nel paziente affetto da malattia di Alzheimer è possibile riscontrare anche
disordini di tipo motorio complessi, riconducibili alle due forme principali di
aprassia: aprassia ideomotoria e aprassia ideativa. Difficilmente i disturbi
aprassici si evidenziano nella vita di tutti i giorni, anche se dopo i primi anni di
malattia possono manifestarsi dei problemi di ordine esecutivo in alcune
“condotte domestiche” che suggeriscono la presenza di un’aprassia di tipo
ideativo.
E’ facile osservare nei pazienti con malattia di Alzheimer dei disturbi nel
riconoscimento visivo degli oggetti che, nella vita di tutti i giorni, si possono
manifestare sia con un atteggiamento perplesso di fronte all’oggetto non
riconosciuto, sia con un errato uso dell’oggetto manipolato.
L’esordio di una demenza alzheimeriana con disordini che rispecchiano una
disfunzione delle strutture dell’emisfero destro è molto raro, mentre nella fase
conclamata della malattia i sintomi da danno dell’emisfero destro sono
praticamente sempre presenti. Particolarmente importanti, anche perché hanno
delle ripercussioni nella gestione della vita quotidiana, sono i disordini
riconducibili
ad
un’aprassia
dell’abbigliamento,
il
disorientamento
topografico e la prosopoagnosia.
Possono anche comparire delle compromissioni dell’esplorazione dello spazio
extra-personale assimilabili alle manifestazioni della sindrome di BalintHolmes. Da tutto ciò ne consegue che i disordini spaziali hanno ripercussioni
importanti nella vita di tutti i giorni.
L’intelligenza nella malattia di Alzheimer
Attualmente l’intelligenza non è più vista
come il frutto di una funzione unitaria, bensì
come l’insieme di schemi comportamentali
astratti che vengono messi in azione per
affrontare situazioni cognitive e/o ecologiche diverse. Questo insieme di schemi
costituirebbe un archivio in continua riorganizzazione dall’età giovanile all’età
adulta.
In base a quanto sopra detto, si avrebbe, da un lato, un’intelligenza definita
fluida, preposta alla costituzione e all’organizzazione degli schemi, e, dall’altro,
un’intelligenza definita cristallizzata, preposta alla definizione finale degli
schemi. In questo caso i sistemi attenzionali centrali interverrebbero nel
controllo di procedure astratte generali, come i meccanismi logici di induzione e
deduzione, o specifiche per i diversi compiti (matematiche, linguistiche, ecc.).
I deficit intellettivi del paziente con la malattia di Alzheimer, facilmente
riscontrabili ai vari test specifici, possono essere interpretati non solo come una
difficoltà d’accesso all’archivio che contiene le procedure astratte, ma anche, e
soprattutto, come un deterioramento delle procedure astratte stesse, visto che
la variabilità delle risposte non sembra essere molto elevata nello stesso
paziente da una sessione di test all’altra.
Fattori genetici di rischio per il morbo di Alzheimer
Per il morbo di Alzheimer sono stati identificati cinque tipi principali di rischio
genetico:
1) Mutazioni del gene APP (proteina precursore amieloide) del cromosoma 21
2) Mutazioni del gene della presenilina 1 del cromosoma 14
3) Mutazioni del gene della presenilina 2 del cromosoma 1
4) Una localizzazione degli alleli di ApoE sul braccio prossimale del cromosoma 19
5) Polimorfismo di un gene del cromosoma 12
Una qualunque delle prime tre mutazioni si associa ad una comparsa precoce
della forma, fra la terza e la sesta decade di vita. Le altre due alterazioni sono
caratteristiche dell’inizio precoce della malattia.
Strumenti di valutazione primaria
Abbiamo a disposizione varie scale e tests di valutazione per completare la
diagnosi ed i più utilizzati sono:
Il MMSE (Mini Mental State Examination – Folstein e coll. – 1975) è un test
ampiamente utilizzato nella pratica clinica della valutazione delle funzioni
cognitive dei soggetti anziani. E’ un test di facile e rapida somministrazione, è
attendibile nel determinare il grado del deficit cognitivo e nel monitorarne la
progressione in condizioni di demenza.
E’ composto da 30 item, in parte verbali, in parte di performance, che esplorano
orientamento spaziotemporale, memoria a breve termine, memoria a breve
termine,
attenzione,
comprensione,
calcolo
ripetizione,
mentale,
linguaggio (nelle componenti
denominazione,
lettura
e
scrittura),
di
prassia
costruttiva.
Ripartizione della gradualità di deterioramento mediante il punteggio al test:
PUNTEGGIO
ESITO
30 – 24
Nessuna compromissione
24 – 20
Sospetta compromissione
19 – 17
Compromissione lieve
16 – 10
Compromissione moderata
9–0
Compromissione grave
La scala di Barthel o Indice di Barthel ADL è una scala ordinale utilizzata per
misurare le prestazioni di un soggetto nelle attività della vita quotidiana (ADL,
activities of daily living). Ogni item delle prestazioni è valutato con questa scala
attribuendo un determinato numero di punti che vengono poi sommati
determinando un punteggio globale. L'indice analizza dieci variabili che
descrivono le attività della vita quotidiana (ad esempio la capacità di
alimentarsi, vestirsi, gestire l'igiene personale, lavarsi ed altre ancora) e la
mobilità (spostarsi dalla sedia al letto, deambulare in piano, salire e scendere le
scale). Ad ogni item viene assegnato un punteggio di valore variabile a seconda
dell'item stesso e del grado di funzionalità del paziente: piena, ridotta o nessuna
funzionalità. Un punteggio globale più elevato è associato ad una maggiore
probabilità di essere in grado di vivere a casa con un grado di indipendenza
dopo la dimissione dall'ospedale o da un reparto di lungodegenza. La scala è
sostanzialmente uno strumento di valutazione della funzione fisica, ed è
particolarmente nota in ambito riabilitativo. Se al paziente, durante la
valutazione, sono stati forniti ausili che vanno oltre quelli normalmente
disponibili in un ambiente domestico standard, è necessario descrivere in
dettaglio quali ausili siano stati concessi ed allegare la dichiarazione all'indice di
Barthel. La scala trova ampio utilizzo anche per gli individui inseriti nelle
residenze sanitarie assistenziali per valutarne i progressi riabilitativi ed il grado
residuo di autonomia. È stato comunque osservato che l'indice di Barthel può
essere meno affidabile quando si esegue la valutazione di un paziente con
decadimento cognitivo.
Anche per il calcolo dell’indice IADL (Instrumental Activities Of Daily Living) si
utilizza una scala semplificata che prevede l’assegnazione di un punto per ogni
funzione indipendente così da ottenere un risultato totale di performance che
varia da 0 (completa dipendenza) a 8 (indipendenza in tutte le funzioni).
DSM - IV (diagnostic and statistical manual of mental disorders – manuale
di diagnosi e statistica per i disordini mentali) - Criteri diagnostici per la
Demenza tipo Alzheimer
A. La comparsa di deficit cognitivi multipli contemporaneamente:
1. Compromissione della memoria, con l’incapacità di acquisire
nuove informazioni, ossia memoria a breve termine; incapacità di
ricordare informazioni che sono state apprese in passato, ossia
memoria a lungo termine
2. uno o più dei seguenti disturbi cognitivi:
a)
afasia (disturbo del linguaggio)
b)
aprassia (deficit dell’abilità di svolgere attività motorie
pur mantenendo intatta la funzione motoria)
c)
agnosia (incapacità di ricordare o identificare oggetti
o persone pur essendo intatta la funzione sensoriale)
d)
disturbo della funzione esecutiva (pianificazione,
organizzazione, sequenzialità ed astrazione)
B. I deficit cognitivi in ognuno dei criteri A1 e A2 compromettono
significativamente la funzione sociale ed occupazionale e rappresentano
un significativo declino rispetto al precedente livello di funzionalità
C. Il decorso è caratterizzato da un graduale inizio e continuo declino
cognitivo
D. I deficit cognitivi nei criteri A1 e A2 non sono in relazione con le
seguenti cause:
1. altre condizioni del sistema nervoso centrale che causano
progressivo deterioramento cognitivo e della memoria come:
malattie cerebrovascolari, morbo di Parkinson, malattia di
Huntington, ematoma subdurale, idrocefalo normoteso, neoplasia
cerebrale
2. condizioni sistemiche che sono riconosciute come causa di
demenza come: ipotiroidismo, deficit da vitamina B12 o acido
folico,
deficit
di
niacina,
ipercalcemia,
neuro
sifilide,
immunodeficienza da infezione virale
3. condizioni indotte da sostanze come farmaci o altre
E. I deficit compaiono esclusivamente durante il decorso di forme
deliranti
F. Il disturbo non è meglio spiegato da altre patologie psichiche come
depressione maggiore o schizofrenia
Scala di deterioramento globale per la valutazione della demenza primaria
LIVELLO
I
CARATTERISTICHE CLINICHE
Non si riscontra alcuna perdita di
Nessun declino cognitivo
memoria
II
Disturbi soggettivi di perdita di
Declino cognitivo molto lieve
memoria relativamente ai nomi ed ai
(dimenticanze)
posti in cui sono stati riposti oggetti
III
Prime lacune; scarsa resa lavorativa;
Debole declino cognitivo (confusione
difficoltà nel trovare nomi e parole;
precoce)
perdite di oggetti; ansietà
IV
Deficit confermato da appositi test;
Declino cognitivo moderato
scarsa concentrazione; amnesia
(confusione avanzata)
relative alla storia personale;
rinunciatario
V
Occorre assistenza; amnesie del
Declino cognitivo moderato-grave
proprio indirizzo e numero telefonico;
(demenza conclamata)
nomi dei famigliari; disorientamento
spazio-temporale
VI
Amnesia totale per gli avvenimenti
Grave declino cognitivo
recenti; ha pochi ricordi del suo
(demenza moderata)
passato; difficoltà di calcolo; necessita
di assistenza quotidiana; disturbi di
personalità; deliri – ossessioni – ansia
– agitazione – aggressività – abulia
cognitiva
VII
Perdita delle capacità verbali;
Declino cognitivo molto grave
incontinenza; incapacità psicomotoria
(demenza avanzata)
di base; il cervello è incapace di dire
al corpo cosa deve fare
Reisberg B et al. The Global Deterioration Scale for the Assessment of Primary
Degenerative Dementia, in “American Journal of Psychiatry” n. 139, 1992, pp.
1136-9.
Il decorso clinico della malattia di Alzheimer
Parti del cervello colpite dalla malattia
Cogito, ergo sum
René Descartes
I primi segni del danno sono al sistema limbico: questo sistema regola la
memoria ed il controllo emozionale; il processo mnestico interessa in particolare
l’ippocampo;
scompaiono
i
ricordi
del
passato
recente
e
si
ha
la
compromissione della memoria; si iniziano a notare segni di instabilità emotiva:
si hanno rapidi cambiamenti di umore, con alternanze tra euforia ed apatia; i
malati non sono in grado di controllare la loro ansia, e sono in un perenne stato
di agitazione, di irritabilità ed aggressività. Le persone diventeranno:

piagnucolose ed ansiose

depresse e sospettose

spaventate e frustrate
Può rendersi necessaria una terapia antidepressiva e/o ansiolitica e per evitare
al paziente ogni forma di stress tutte le attività quotidiane devono essere
semplificate.
Il danno si estende alla zona parietale: è il centro della percezione spaziale e
della concentrazione; le persone colpite non hanno più la capacità di
riconoscere i luoghi, gli oggetti ed i volti; possono perdersi facilmente;
evidenziano difficoltà sia nell’attribuire ad un oggetto la sua propria funzione sia
nell’identificare le persone, soprattutto quelle che non vedono spesso (trattasi di
agnosia visiva); possono avere allucinazione e convulsioni e la mancanza di
concentrazione le rende facilmente distraibili. Ci si sta per avvicinare ad un
punto critico dove anche le facili attività giornaliere, come il vestirsi, la cucina e
le attività manuali (aprassia costruttiva) diventano difficili; si avvertono i primi
sintomi del deterioramento dell’organizzazione del discorso; i caregiver devono
accudire le persone, riducendo lo stress, i rumori e le luci troppo forti; si devono
dare loro validi aiuti per favorire l’orientamento e l’ambiente stesso di vita deve
essere il più semplice possibile.
Il danno continua: coinvolgimento del lobo temporale, che è il centro della
parola e del controllo del linguaggio; la comunicazione rende l’essere umano
unico e la perdita di questa capacità fa scivolare l’individuo in una sorta di
limbo, altri parlano per lui, contribuendo così, involontariamente, al suo
diventare “invisibile”. Danni al lobo temporale causano:

dimenticanza per i nomi

difficoltà nel trovare la parola giusta

perdita del filo del discorso

eloquio stentato e telegrafico (afasia di Broca)

compromissione del linguaggio scritto e parlato
L’ammalato inizia a perdere anche la cognizione del tempo, tutto diventa
confuso, avvolto da una nebbia fitta e “pesante” che provoca nella persona un
profondo senso di frustrazione.
Danno al lobo occipitale: è la zona responsabile dei processi e dei significati
visivi; la visione periferica è danneggiata e lo sguardo sarà solo più fisso
davanti a sé; si perde la capacità di seguire gli oggetti in movimento e di
guardare e capire la televisione; l’agitazione cresce, si è sempre più disorientati,
fino a manifestare comportamenti violenti; la sensazione di malessere provata è
ormai generale.
Danno alla parte motoria: si evidenziano difficoltà nell’iniziare (aprassia) e nel
completare i movimenti; si possono evidenziare difficoltà di deglutizione
(disfagia); la postura si modifica, la persona è inclinata lateralmente, trascina i
piedi, lamenta segni di debolezza muscolare (ipotonia) con la relativa
compromissione dell’equilibrio
Il danno alla regione occipitale prosegue: si acuiscono i disturbi visivi
arrivando a distinguere solo più contrasti; la persona inizia a soffrire di “cecità
mentale”: è per tanto incapace di distinguere la notte dal giorno arrivando a
stare sveglia di notte e a dormire durante il giorno.
Il
danno
al
sistema
limbico
prosegue:
l’ipotalamo
si
distrugge
completamente, viene così a mancare il controllo della temperatura, della sete e
della fame con una serie di conseguenze molto problematiche: ci deve essere
un monitoraggio costante della temperatura corporea, dello stato di idratazione
e dell’assunzione di cibo, in quanto si manifesta la tendenza a mangiare
qualsiasi cosa.
Danno alla zona prefontale: si accentuano i problemi di pianificazione motoria
e i danni visivi sono sempre maggiori per l’insorgere del neglect del campo
visivo, con la conseguente incapacità di essere cosciente di una parte del
campo visivo (quasi sempre il sinistro), per tanto la persona potrebbe non
vedere il cibo o le bevande poste ad un lato del tavolo; l’aprassia è ormai grave
e non si riesce più a far fare al proprio corpo ciò che si desidera.
Danno al lobo frontale: verso la fine della malattia il lobo frontale cessa
lentamente di funzionare con la relativa perdita delle funzioni cognitive, quali la
formazione del pensiero, il ragionamento, il giudizio, il pensiero astratto e la
coscienza sociale; la persona non è più in grado di provare interesse per gli
altri, diventa disinibita nelle sue azioni ed ha un ridotto giudizio sociale.
Danno al cervelletto: in questa fase viene a mancare il controllo di alcuni
sistemi involontari, come le funzioni di coordinazione e di equilibrio; ormai la
morte non è lontana; si verifica un’irreversibile perdita di peso, il corpo non
reagisce più; i sensi sono compromessi in modo irreversibile e la morte
sopraggiunge a causa di un’infezione urinaria o polmonare.
Scala di sviluppo inverso: corrispondenza delle fasi della malattia di
Alzheimer con l’età funzionale
Fase I
Fase II
Non discernibile
Funziona come un
adulto
Fase III
Deficit sul lavoro
Funziona come un
giovane adulto
Fase IV
Fase V
Richiede aiuto per
Da 8 anni
compiti complessi
all’adolescenza
Demenza
Da 5 a 7 anni
moderatamente severa
Fase VI
Demenza severa,
Da 24 mesi a 5 anni
necessita assistenza per
la cura personale
Fase VII
Demenza molto severa;
Da 4-12 settimane a 15
necessita di assistenza
mesi
totale
Come si cura: la terapia farmacologica
Agli inizi degli anni Settanta non c’erano farmaci per la cura della malattia di
Alzheimer
ed
i
malati,
quando
ricoverati,
era
accuditi
nell’igiene
e
nell’alimentazione, facendo attenzione che non provocassero danni a sé e/o
agli altri.
Il 1980 è stato l’anno del cosiddetto “giro di boa”, in quanto c’è stata negli Stati
Uniti l’approvazione del primo farmaco per il trattamento della malattia di
Alzheimer, la tacrina, che ovviamente ha riacceso le speranze sia dei famigliari
che della classe medica stessa. Purtroppo l’elevato grado di tossicità di questo
nuovo farmaco ha fatto si che venisse presto abbandonato, ma nonostante tutto
ha contribuito a risvegliare un nuovo atteggiamento ed una nuova
consapevolezza: la malattia di Alzheimer può essere curata! La conseguenza è
stata una tacita alleanza tra mondo scientifico e mondo industriale con il
comune obiettivo di affrontare insieme questa grande sfida e cercare di
sconfiggere questa malattia, come si era fatto in passato per il cancro e l’AIDS.
I farmaci oggi disponibili fanno parte della categoria degli anticolinesterasici e
sono tre:
 donezepil (Aricept, Memac)
 rivastigmina (Exelon, Prometax)
 galantamina (Reminyl)
Tutti agiscono aumentando i livelli di acetilcolina nel cervello favorendo così la
trasmissione dell’impulso nervoso; utilizzati nelle fasi di malattia medio-gravi, è
riscontrato che la loro efficacia si registra nel 60-70% dei pazienti trattati, e
favoriscono l’attenuazione dei sintomi ed il rallentamento della malattia.
Sicuramenti non si tratta di nulla di miracoloso, anzi, occorre precisare che
questi farmaci hanno effetti collaterali dannosi, soprattutto a carico dell’apparato
gastrointestinale e nervoso, causando rispettivamente vomito, nausea, diarrea,
sonnolenza, agitazione e confusione; il malato in cura può quindi diventare
irascibile e aggressivo e, in questi casi, non si devono tassativamente
somministrare sedativi, ma sovente basta ridurre il dosaggio del farmaco
somministrato o utilizzarne un altro appartenente alla stessa categoria.
Di recente sul mercato è stato introdotto un altro medicinale consigliato per le
fasi più avanzate della malattia: la memantina (Axura, Ebixa) ma gli effetti
positivi riscontrati sono molto limitati.
Spesso i malati di Alzheimer evidenziano disturbi psicologici e comportamentali
BPSD (Behavioural and Psychological Signs and Symptoms of Dementia) per i
quali vengono utilizzati gli stessi farmaci utilizzati anche da chi non soffre di
demenza e sono:
 antidepressivi
 ansiolitici
 ipnotici (per i disturbi del sonno)
 antipsicotici (neurolettici) utilizzati soprattutto quando i disturbi sono tali
da rendere insopportabile la vita in famiglia o in comunità
Prima di ricorrere all’utilizzo dei farmaci nel trattamento per i disturbi
comportamentali, occorre verificare se tali comportamenti anomali dipendono
solo dalla malattia o se sono causati da altri fattori che possono essere trattati
senza il ricorso ai farmaci; questi fattori possono essere:
 fattori che dipendono da qualcosa che non va nel malato: le cause
possono essere stitichezza, ritenzione urinaria, un dolore che il malato
non riesce a descrivere….
 fattori che dipendono da qualcosa che non va nell’ambiente: possono
essere causati da un ambiente troppo rumoroso, con scarsa o troppa
illuminazione….
 fattori che dipendono da qualcosa che non va nel caregiver: può avere
un atteggiamento troppo protettivo o essere talmente stressato da non
avere la giusta pazienza per trattare il malato
 fattori che
dipendono
da
qualcosa che
non va nella terapia
farmacologica: può causare effetti sfavorevoli, come confusione e deliri
ma, in alcuni casi, la semplice sospensione della terapia per un paio di
giorni può risolvere la situazione
In tutti i casi sopracitati occorre SEMPRE imparare ad agire sulle cause e MAI
sugli effetti e, in particolar modo, quando ci si accorge che il malato cambia
umore e comportamento in modo repentino ci si deve interrogare se c’è
qualcosa che non va nel malato stesso, nell’ambiente, nel caregiver o nella
terapia utilizzata.
1.7 - La terapia non farmacologica
Parte da un nuovo concetto più ampio di CURA; la terapia farmacologica cura,
nel senso di guarire, mentre la terapia non farmacologica cura nel senso di
PRENDERSI CURA; per tanto la cura può essere rivolta alla malattia o al
malato, può essere rivolta contro un virus o può essere mirata alla qualità della
vita della persona malata; queste due tipologie di cura devo trovare la giusta
sinergia tra loro per avere come obiettivo finale il bene della persona malata
accompagnandola nel suo percorso.
Come precisato, la terapia non farmacologia si occupa della qualità della vita
con trattamenti mirati al benessere del malato; la scelta dei singoli trattamenti
deve essere fatta nel rispetto della volontà della persona malata e deve essere
in grado di modificarsi nel corso dello sviluppo della malattia.
Le terapie non farmacologiche maggiormente utilizzate sono:
 terapia di orientamento nella realtà (Reality Orientation Therapy
ROT): La Rot e una tecnica di riabilitazione psicogeriatrica definita da
James Folsom e Lucille Taulbee nel 1966, che indirizza i suoi interventi a
stimolare le funzioni cognitive del soggetto e con la quale ci si prefigge di
riorientare il paziente confuso rispetto all’ambiente, al tempo ed alla
propria storia personale. In pazienti affetti da compromissione cognitiva
lieve si dimostra efficace nel rallentare l’evoluzione della malattia
migliorando sensibilmente le risposte dei soggetti alle domande di
orientamento. Il suo costante utilizzo, inoltre, dà un senso e uno scopo
all’attività di chi assiste, cura e promuove un’atmosfera di coinvolgimento
anziché di apatia e di indifferenza. Esistono due principali modalità di
ROT: informale e formale.
La Rot informale prevede un processo di stimolazione continua che
implica la partecipazione degli operatori socio-sanitari e dei familiari, i
quali, durante i loro contatti col paziente nel corso della giornata, gli
forniscono ripetutamente le informazioni. Fin dal risveglio è utile
comunicare informazioni sul giorno, la stagione, il nome dei familiari. La
continua ripetizione di indicazioni e notizie aiuta il malato a conservarle
maggiormente nel tempo. Tutti coloro che avvicinano il paziente
disorientato, siano essi educatori, infermieri, assistenti, terapisti, medici,
parenti, volontari, dovrebbero sfruttare ogni occasione delle giornata per
mettere in atto questa forma di terapia. Ogni attività quotidiana
costituisce un’opportunità di conversazione. Le stimolazioni sensoriali
hanno l’obiettivo di coinvolgere nella loro globalità le capacità ancora
integre del soggetto per riportarlo nel “qui e ora”: si incoraggiano le
risposte e le ripetizioni, si usano le esperienze passate come aggancio al
presente o agli eventi quotidiani. Sarà accortezza dell’operatore condurre
il dialogo in modo equilibrato tra la difficoltà delle domande e il
ridimensionamento delle risposte scorrette del paziente, al fine di non
creare inutili frustrazioni. L’operatore deve essere sicuro di avere
informazioni aggiornate e corrette sui pazienti, per esempio dove hanno
abitato, la loro età, le circostanze familiari e gli eventi importanti accaduti
La ROT formale è un intervento complementare al primo; vengono fatte
delle sedute giornaliere di 45 minuti in
gruppi di 5-6 persone con un grado di
deterioramento omogeneo. Durante le
sedute un operatore impiega una metodologia
di stimolazione standardizzata, finalizzata a
ri-orientare il paziente rispetto alla propria vita
personale, all'ambiente ed allo spazio.
 terapia della Reminescenza: o Life Review Therapy (terapia dei ricordi
della vita) si fonda sulla naturale tendenza dell'anziano a rievocare il
proprio passato; il ricordo e la nostalgia possono essere fonte di
soddisfazione e di idealizzazione per cui al ricordo non sono più attribuite
valenze negative. L' obiettivo consiste nel favorire questo processo
spontaneo e renderlo più consapevole e deliberato. La reminiscenza è
oggi vista come aiuto strumentale per risolvere conflitti del passato,
mantenere un ruolo sociale e favorire l'autostima. La reminiscenza è
indicata come terapia finalizzata ad aiutare l'anziano a superare conflitti
irrisolti, gestire le precedenti perdite, riconoscere ed apprezzare le
proprie risorse interiori e trovare significati nelle precedenti esperienze
che possano adattarsi al presente. Non è solo un raccontare storie
insieme ad altri, ma si tratta di riviverle, con-parteciparle con il gruppo,
emozionandosi ed usando tutti i sensi; ricordare insieme è una pratica
attiva e creativa che oltre a poter vincere l’isolamento dalla famiglia
restituisce al malato il suo bisogno di essere riconosciuto come persona.
 memory intervention: terapia centrata sulla stimolazione graduale della
capacità
mnestiche
autobiografica;
nelle
vengono
varie
forme:
utilizzate
semantica,
informazioni
procedurale,
personali
e
di
orientamento temporale, favorendo la partecipazione attiva da parte del
paziente; per quanto riguarda la memoria procedurale vengono proposte
attività che rispecchiano la normale vita quotidiana, soprattutto relative
all’igiene quotidiana (lavarsi le mani), la preparazione della tavola e la
preparazione di cibi e bevande.
 terapia della Rimotivazione: ha lo scopo di rivitalizzare l’interesse del
malato per gli stimoli esterni, spingendolo a relazionarsi con gli altri e a
discutere con loro. Ad interventi specifici relativi alle prestazioni
mnesiche
si
affiancano
comportamentale
anche
interventi
finalizzati
al
controllo
 terapia della Validazione (Validation Therapy): trattasi di un approccio
terapeutico sviluppato da Naomi Feil tra il 1963 ed il 1980, che sembra
essere di aiuto al fine di migliorare la relazione interpersonale con gli
anziani giunti ad uno stadio avanzato della patologia. La Validation
therapy può essere applicata sia individualmente sia in gruppi (5-10
partecipanti) che si incontrano regolarmente. Tramite la verbalizzazione
dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, condivise dal terapista e
dai compagni di gruppo, il paziente può recuperare l'autostima accanto
alla percezione di essere accettato come soggetto capace di espletare
relazioni significative. La Validation therapy di gruppo prevede una
sessione alla settimana nella quale ciascun membro svolge un ruolo
specifico da concordare all'inizio della terapia. L'incontro di gruppo, della
durata variabile di 30-60 minuti, prevede abitualmente quattro momenti
ben distinti dedicati alla musica, al colloquio, all'esercizio motorio ed al
cibo. Anche in questo caso la reminiscenza in senso stretto è affiancata
da interventi di stimolazione che possono favorire l'interazione tra i
pazienti ed i terapisti.
 terapia con piccoli animali (Pet therapy): questa terapia ha mostrato
effetti benefici sui malati di Alzheimer, in quanto la presenza di animali
domestici si riflette positivamente su alcuni parametri comportamentali e
cognitivi dei pazienti; il rapporto animale-uomo, di tipo affettivo ed
emozionale si è mostrato efficace a livello fisiologico, in quanto è stato
riscontrato che accarezzare e spazzolare l’animale, porgergli piccoli
bocconi
e
camminare
tenendolo
al
guinzaglio,
favoriscono
l’abbassamento della pressione sanguigna ed il rallentamento della
frequenza cardiaca.
 musicoterapia: a livello individuale o di gruppo è rivolta a pazienti con
un gradi di deterioramento cognitivo moderato-severo e con problemi
comportamentali. In presenza di deficit linguistici il linguaggio sonoromusicale può rivelarsi un’utile risorsa espressiva e comunicativa. Il
laboratorio di musicoterapia è principalmente di tipo recettivo, basato,
cioè, sull’ascolto della musica ed orientato al rilassamento, alla riduzione
della vocalizzazione, alla facilitazione dell’addormentamento ed alla
conciliazione del sonno; la musica trasmette informazioni non verbali che
risultano conservate anche nelle fasi più avanzate della malattia
riuscendo così a recuperare intonazioni, frasi e suoni famigliari del
paziente, riattivandone la memoria e potenziandone l’autostima.
 arte-terapia: trattasi di una tecnica terapeutica non verbale che si avvale
dell’uso di materiali artistici finalizzati alla creazione di un oggetto che
rappresenta il mondo interno del soggetto, la sua vita psichica. Questa
terapia si pone una serie di obiettivi: stimolare le capacità mnestiche,
cognitive e motorie; migliorare il livello emotivo ed affettivo ed alleviare i
sintomi depressivi e/o ansiosi.
Durante una seduta di arte-terapia
il paziente ha la possibilità di
esternare il proprio mondo interiore,
rievocando esperienze piacevoli con il
conseguente rinforzo del senso di identità.
 giardinaggio e orticoltura: innaffiare e prendersi
cura dei fiori, piantare ortaggi, occuparsi del
giardino e dell’orto può essere un’attività stimolante
per il malato in quanto gli permette di sentirsi ancora
utile e capace.
 La Stanza Bianca o “Snoezelen® Room”: è una tecnica di
rilassamento multi sensoriale; viene chiamata stanza bianca in quanto,
sovente, le pareti e gli arredi sono bianchi o in tinta pastello per
interferire il meno possibile con le luci proiettate all’interno. E’ uno spazio
raccolto nel quale sono predisposte apposite apparecchiature atte alla
stimolazione sensoriale; generalmente sono così allestite:
 per la stimolazione della vista: faretti, proiettori di immagini, fili i
fibre ottiche, sfera di specchi al soffitto, tubi d’acqua colorata con
bolle
 per la stimolazione del tatto: tessuti e cuscini in differenti
materiali e temperature; palloni e poltrone vibranti
 per la stimolazione olfattiva: diffusori di aromi, deodoranti per
ambienti, profumi e dopobarba
 per la stimolazione uditiva: diffusione di musica di vario genere,
registrazione di suoni della natura (onde, pioggia, cinguettio)
 per la stimolazione gustativa: cibi e bevande di vario genere
 per la stimolazione vestibolare: amache, poltrone e sedie a
dondolo
1.8 La prevenzione
La demenza di Alzheimer incute molta paura e, certamente, una vita sana ed
un buon esercizio fisico e mentale contribuiscono a tener allenati fisico e
cervello; l’American Alzheimer Association ha stilato 10 “regole d’oro” che si
dovrebbero mettere in pratica, o, almeno provarci:
1. la testa innanzitutto: la salute inizia dal cervello
2. dal cervello al cuore: quello che fa bene al cuore fa bene anche al
cervello
3. i numeri che contano: controllare peso, pressione, colesterolo e
glicemia
4. nutrire bene il cervello: assumere sostanze antiossidanti (pesce, pollo,
frutta)
5. far lavorare il corpo: l’attività fisica ossigena il sangue
6. stimolare la mente: mantenere il cervello attivo e impegnato
7. avere rapporti sociali: avere attività nel tempo libero (socializzare,
volontariato)
8. attenzione ai colpi: attenti alle cadute, usare le cinture ed il casco
9. essere saggi: evitare le cattive abitudini come bere e fumare
10. guardare avanti: iniziare fin da oggi a preparare il proprio domani
2.RESIDENZIALITA’ E CURA PER LA DEMENZA DI ALZHEIMER
2.1 – Preparare l’entrata nella struttura
Il ricovero in istituto è uno dei momenti più difficili che i malati di demenza ed i
loro famigliari devono affrontare. Esso comporta un distacco doloroso dalle
persone care, una separazione che si preferisce sempre rimandare. Tuttavia,
quando la malattia è ad uno stadio avanzato, il ricovero in una struttura
medicalizzata diventa l’elemento più importante per prendersi cura del malato.
Affinché questo passaggio tra il Mondo del Prima ed il Mondo del Dopo (P.
Vigorelli) avvenga nel modo più sereno possibile, si dovrebbe affrontare il
problema con il dovuto anticipo.
Sicuramente le persone affette da demenza ed i loro famigliari curanti
vorrebbero poter vivere insieme il più a lungo possibile; molti famigliari si
ribellano al solo pensiero di dover affidare il loro caro alle cure di estranei,
vengono assillati dai sensi di colpa, per dover abbandonare il loro caro in una
struttura sentendosi anche dei falliti per non essere stati in grado di badare al
proprio congiunto. Molte saranno le domande che assilleranno la loro testa:
potrò permettermi questa spesa? Riuscirò a trovare l’istituto ideale? Il personale
sarà comprensivo e amorevole?
Se è vero che il ricovero in istituto stravolge le abitudini del malato e porta con
sé numerose incognite; non dobbiamo però dimenticare che quando la malattia
da demenza raggiunge un stadio avanzato il ricovero in una casa di cura
medicalizzata è la soluzione più giusta per garantire al malata un’assistenza
adeguata. La struttura medicalizza offre ai famigliari la possibilità di alleggerirsi
dall’affaticamento dovuto dalla malattia del proprio caro, favorendo un incontro
con lui in un’atmosfera più tranquilla e serena. I famigliari che si occupavano
dell’assistenza ora non sono più soli, e anche se il malato non vive più in casa
avrà sempre bisogno delle attenzioni, dell’amore e delle cure della sua famiglia
che resterà sempre e comunque il suo punto di riferimento.
E’ noto che il tempo che intercorre tra il primo contatto con la Casa per Anziani
ed il giorno del ricovero dipende dalle realtà locali. In questo lasso temporale,
definito tempo di mezzo, la famiglia è ancora sola ad affrontare le ansie ed i
problemi che la scelta dell’istituzionalizzazione comporta. Per non turbare
ulteriormente l’anziano evitandogli sofferenze aggiuntive si tende a scivolare in
una realtà parallela basata sul segreto che, alla resa dei conti, crea più
sofferenze di quelle che vorrebbe evitare. Fin dall’inizio viene minimizzato o
nascosto il problema e quando l’anziano manifesta i propri timori e vorrebbe
dire la sua opinione, c’è sempre qualcuno pronto a tranquillizzarlo e a negare
l’esistenza del problema stesso e quando si parla di ricovero ci si affretta a
precisare che sarà per un breve periodo, in quanto trattasi di una situazione
temporanea. Si mettono così in moto numerose, anche se amorevoli,
falsificazioni che impediscono all’anziano di capire quello che succede,
impedendogli di decidere su un qualcosa che riguarda lui stesso. Inizia così per
l’ammalato un processo di isolamento e di estraneazione che lo porterà ad
allontanarsi dalla realtà in cui vive. Il risultato finale sarà l’instaurarsi o
l’aggravarsi di vari disturbi psicologici e comportamentali quali: isolamento –
tristezza – disorientamento – diminuzione dell’autonomia (excess of disability).
Le conseguenze di questo voler nascondere a tutti i costi “a fin di bene” non
colpiscono solo l’anziano ma il caregiver stesso viene gravato sia del senso di
colpa del ricovero sia del senso di colpa di dover dire continue menzogne; il
segreto nato per risolvere un problema ne crea un altro diventando così fonte di
angoscia e sofferenza. Occorre, per tanto, neutralizzare l’azione tossica che il
segreto porta con sé utilizzando trasparenza e sincerità da dosarsi, ovviamente,
nei tempi e nei modi che la specifica situazione richiede.
Come detto il momento del ricovero divide la vita dell’anziano in parti: il mondo
del prima e il mondo del dopo. E’ risaputo che l’accoglienza ed i primi istanti
dopo il ricovero definiscono la qualità del ricovero stesso e delle relazioni
interpersonali, influenzando tutto il tempo successivo. L’Approccio capacitante
del Prof. Vigorelli studia e sperimenta proprio una modalità di accoglienza che
possa favorire fin dall’inizio una convivenza sufficientemente felice tra ospiti,
operatori e famigliari. Con l’approccio capacitante la struttura stessa ed i singoli
operatori possono dotarsi di strumenti progettuali per riconoscere e tener vive la
Competenze elementari degli ospiti, anche di quelli con deficit cogniti mediogravi, che sono: la competenza a parlare e a comunicare, la competenza
emotiva e la competenza a contrattare e a decidere.
Con l’ingresso in struttura la persona anziana entra in un contento sconosciuto
nel quale vengono soddisfatti i suoi bisogni primari ma dove, spesso, non ha più
l’opportunità di essere l’attore principale della propria esistenza. Purtroppo,
varcare la soglia di una casa per anziani significa, il più delle volte, lasciare fuori
i propri ricordi, i legami affettivi, la propria storia. La conseguenza di tutto questo
è l’innescarsi di un graduale processo di depersonalizzazione, nel corso del
quale l’ospite per progressivamente le capacità sviluppate, diventa silenzioso,
apatico e privo di iniziativa. Per evitare tutto ciò occorre programmare interventi
mirati al miglioramento della qualità della vita, che siano in grado di rimettere in
primo piano la persona anziana, dandole la possibilità di esprimere se stessa e
la sua storia in quanto uno dei bisogni fondamentali del vecchio ospitato in
struttura è di sentirsi riconosciuto come persona. Si deve cercare di instaurare
con l’ospite una relazione empatica in grado di offrire affetto e colore
all’esistenza delle persone anziane in struttura. Nel prendersi cura dei soggetti
anziani è fondamentale non avvalersi solamente delle terapie farmacologiche,
né di modelli terapeutici specifici, ma occorre avvicinarsi a loro con un
approccio il più possibile eclettico, combinando metodologie differenti, utili sia
per la prevenzione che per la riabilitazione cognitiva.
L’obiettivo finale che ogni struttura assistenziale per anziani dovrebbe avere è
quello di “cercare di aggiungere più vita agli anni e non più anni alla vita”
(Mons. Mariano Magrassi).
Questo obiettivo si fonda sulla messa in atto di processi attraverso i quali le
persone riscoprono la capacità di abitare “il tempo che vivono”. Occorre, per
tanto, aiutare le persone a dare nuovamente un senso alla loro vita,
indipendentemente dalla loro situazione psico-fisica, considerandole come
ESSERI PROGETTUALI, in continuo divenire; in ogni età esiste un compito
evolutivo e, nell’anzianità, la persona è chiamata a fare il resoconto della
propria vita, attraverso la rielaborazione della propria esperienza passata, ed è
proprio da questa elaborazione che dovrà poi trarre le energie necessarie per
prepararsi serenamente al congedo dalla vita (Teoria dei cicli vitali di Erikson).
Ogni persona nell’arco della sua esistenza deve continuamente mettere in atto
le proprie risorse per adattarsi alle nuove condizioni di vita che cambiano
inesorabilmente nel tempo.
2.2 - La riabilitazione degli anziani con deterioramento mentale
“Le parti del corpo dotate di una funzione, se esercitate con moderazione e
impegnate in attività per loro abituali, si mantengono sane e invecchiano più
lentamente; se, invece, vengono lasciate inattive presentano difetti di sviluppo,
si ammalano facilmente e invecchiano rapidamente”
Ippocrate
“L’uomo non smette di giocare perché invecchia,
ma invecchia perché smette di giocare”
George Bernard Shaw
La riabilitazione psicologica nella demenza è una specie di percorso
multidisciplinare integrato che coinvolge il malato, i famigliari e l’équipe di
professionisti che operano nella struttura e che utilizza tecniche specifiche
rivolte alla persona, all’ottimizzazione dell’ambiente e al sostegno del caregiver.
Gli obiettivi principali che la riabilitazione si pone sono quello di limitare le
conseguenze della malattia, di migliorare la prestazione cognitiva e funzionale e
di migliorare il tono dell’umore ed il comportamento; cerca, allo stesso tempo, di
far acquisire all’ospite il massimo grado di indipendenza consentito dallo stadio
della malattia, tramite il mantenimento ed il potenziamento delle abilità residue;
dovrebbe anche favorire il rallentamento del decadimento cognitivo favorendo
la ricostruzione di un nuovo equilibrio in grado di migliorare la qualità della vita
di paziente e caregiver. Un programma riabilitativo efficace si basa soprattutto:
 sulla preparazione psicologica degli operatori
 su di un contesto di cura rassicurante, confortevole e famigliare
 sul sostegno ai famigliari dell’ospite
Da studi longitudinali effettuati si evidenzia il fatto che non c’è un unico
elemento determinante nel migliorare la situazione dei pazienti affetti da
demenza, ma un lavoro efficace è svolto integrando attività fisica e stimolazione
cognitiva in modo prolungato e giornalmente. Un ipotetico protocollo riabilitativo
per un anziano soggetto da demenza di Alzheimer ospitato in una RSA può
essere così realizzato:
1. al mattino l’operatore si preoccupa di supervisionare o assistere
l’anziano nella pulizia e cura del corpo fino alla vestizione, chiedendo ad
esempio all’ospite che cosa si usa per lavarsi, con che cosa vi si
asciuga, ecc…
2. se
il
paziente
è
in
grado
di
deambulare
in
autonomia
supervisionarlo/assisterlo nell’arrivare alla mensa;
3. nella mattinata, dopo la colazione, lasciare del tempo per eventuali
bisogni fisici, abituandolo a farlo andar in bagno ad ore ben precise così
che anche durante la notte il soggetto non si sporchi e crei sia
confusione mentale che alterazioni del comportamento;
4. è importante che nella mattinata l’anziano possa fare del movimento per
almeno 30 minuti. Se è possibile che un caregiver o un parente porti il
soggetto demente al di fuori della struttura, per una camminata anche
sostenuta; oppure, sarà il fisioterapista che porterà il paziente in palestra
per fargli fare cyclette o una camminata tra le parallele. Anche in questo
contesto un ruolo predominante è ricoperto dalla stimolazione verbale.
Eventualmente favorire l’inserimento della persona in un gruppo, anziché
effettuare un trattamento singolo, per favorire la socializzazione e poter
fare, allo stesso tempo,
un lavoro utile, omogeneo e, soprattutto,
eseguibile da tutti. Nel caso di anziani in carrozzina, si può
eventualmente iniziare la seduta con esercizi mirati alla parre superiore
del corpo e dividere successivamente il gruppo per consentire agli
anziani con una maggiore autonomia di svolgere gli esercizi mirati agli
arti inferiori.
5. dopo il training fisico e mentale occorre far seguire un periodo di riposo
con eventuale piccolo break (latte, thè, ecc..). Dopo questa pausa di
tranquillità e di rilassamento mentale è il momento di portare l’anziano ad
un gruppo di comunicazione con suoi pari o con suoi coetanei. Anche qui
l’argomento del trattamento deve essere guidato da un operatore capace
e
preparato
(fisioterapista,
logopedista,
psicologo,
terapista
occupazionale, O.S.S.). La durata del trattamento può variare dai 30
minuti all’ora in base alle esigenze del gruppo. In questo trattamento,
oltre ad una conversazione controllata, e guidata, eventualmente si
possono seguire le notizie di un quotidiano e/o far rievocare ricordi
passati degli anziani. In questo contesto l’obiettivo, oltre alla memoria,
deve essere quello di far capire agli anziani le regole del gruppo, l’ordine
in cui si deve parlare, la coerenza della discussione.
6. eventualmente il momento di gruppo può essere sostituito da un
trattamento personale, più mirato alle abilità dell’anziano che si stanno
perdendo in maniera rapida ed evidente. La durata, anche in questo
caso, sarà dalla mezz’ora all’ora, in funzione delle condizioni del
soggetto;
7. il pomeriggio deve essere scandito con ritmi più blandi per favorire anche
il riposo psico-fisico dell’anziano per non stancarlo facendolo diventare
irascibile e poco gestibile da tutto il personale; si possono anche
prevedere pomeriggi di ANIMAZIONE: l’etimologia di questo termine vuol
dire DARE ANIMA, INFONDERE VITA, METTERE IN MOVIMENTO,
AGIRE CON ANIMA e le attività di animazione in una casa di riposo
sono proprio specifiche attività ludico-ricreative pensate per “far
trascorrere il tempo agli anziani”
8. il terapista può nuovamente riprendere in carico l’ospite per portarlo in
palestra e fargli fare ancora almeno 30 minuti di esercizio fisico; in
genere al pomeriggio è consigliabile una attività più tranquilla per non
affaticare ulteriormente l’anziano con altre. Eventualmente si consiglia di
sostituire l’esercizio fisico con un training facile di rievocazione
mnemonica utilizzando uno “spaced-retrieval”
9. se possibile, anche nel pomeriggio si dovrebbe inserire un’attività di
gruppo molto semplice in per facilitare la rievocazione di ricordi o
sensazioni piacevoli per l’ospite; eventualmente proporre ad un gruppo di
pazienti la realizzazione di gruppi di anziani lavoretti in vista delle
festività o di un avvenimento importante per la struttura. Se il paziente
ormai non è più in grado di compiere azioni complesse come il ritaglio di
un’immagine, perché non riconosce più le forbici o perché non riesce a
seguire la figura, lo si deve comunque tenere occupato dandogli un
compito facile da eseguire, come raccogliere, ad esempio, ritagli di carta
da buttare.
10. dopo cena, è importante che l’operatore controlli il paziente stimolandolo
a cambiarsi da solo, rispettando i suoi tempi e cercando di guidarlo per
non farlo entrare in confusione e far si che possa andare a dormire
sereno e contento per l’operato della giornata. Questa è una operazione
da non sottovalutare in quanto una nottata passata male è la premessa
di una giornata vissuta peggio, in quanto il non riposo compromette il
buon andamento del giorno successivo.
Questo è un esempio di protocollo che può essere utilizzato in una struttura
protetta, con pazienti che non siano così debilitati da rimanere confinati a letto.
Rimane tuttavia un esempio, ma sicuramente lo si può utilizzare come scaletta
giornaliera da seguire per non lasciare l’anziano abbandonato davanti ad una
televisione o in un angolo, relegandolo a strutture tipo “ghetto” e lamentandosi
della sua continua irritabilità e della sua incapacità di relazionarsi col personale
e con gli altri anziani.
Purtroppo, ad oggi, non ci sono ancora strumenti efficaci in grado di dire ad un
paziente affetto da demenza di Alzheimer ed ai suoi famigliari che potrà
migliorare e, eventualmente, guarire; possiamo solo accompagnarlo nella sua
convivenza con questa patologia facendolo sentire ogni giorno una persona che
non sta “perdendo i pezzi”, ma che invece ha sempre modi nuovi per poter
sfruttare ancora tutto ciò che gli resta. E’, al momento, compito di tutti i
professionisti che operano con questa tipologia di anziani cercare di
concentrarsi nel far stare bene l’anziano proponendogli attività ogni giorno
diverse, ma sempre potenzialmente efficaci, tenendo sempre bene in evidenza
gli elementi causa di agitazioni e preoccupazioni per poter rendere il
trattamento più efficace e sereno.
2.3 - L’assistenza psicologica nelle residenze per anziani
La normativa della Regione Piemonte (D.G.R. 45/2012) prevede la presenza di
uno psicologo nelle strutture per anziani e non autosufficienti.
La sua mission dovrebbe essere quella di migliorare la qualità della vita
dell’ospite, mettendolo al centro come persona, indipendentemente dai suoi
deficit psico-motori, con il suo vissuto ed il suo mondo interiore, cercando anche
di favorire la buona qualità delle relazioni all’interno della struttura stessa.
Per cercare di migliorare la qualità della vita dell’ospite occorre agire su più
fronti, vale a dire non solo direttamente sull’ospite stesso, ma anche sulle
relazioni che l’ospite intrattiene all’interno della struttura in cui è inserito; lo
psicologo deve calibrare ogni intervento in base alle esigenze specifiche di ogni
persona, non dimenticando mai che l’anziano è, prima di tutto, un adulto e un
individuo che sta attraversando una particolare fase di vita che può essere
capita solo alla luce della sua storia personale.
Il rispetto del singolo si evidenzia nella messa in atto di progetti individuali
costruiti ad hoc in base alle specifiche e particolari esigenze del singolo (P.A.I.
Piani Assistenziali Individualizzati).
All’interno della residenza per anziani lo psicologo può realizzare due tipologie
di attività
 diretta: a livello di supporto psicologico e di riabilitazione cognitiva –
affettiva e comportamentale dell’ospite
 indiretta: a livello di formazione e supervisione degli operatori e a livello
di supporto e consulenza per i famigliari degli ospiti
Lo psicologo nelle residenze per anziani:
Dovrebbe
Non dovrebbe
SAPERSI METTERE IN GIOCO
Attendere le persone in studio
Guardare alle risorse degli ospiti e
Curarsi esclusivamente degli ospiti
non ai loro limiti
Fare prevenzione
Limitarsi alla somministrazione di tests
Stimolare il pensiero positivo
Mettersi il camice bianco
Facilitare le relazioni
Conoscere tutte le persone in struttura
Girare per la struttura
Raccogliere la storia degli ospiti
Partecipare ai P.A.I.
Curare la formazione e la
supervisione degli operatori
Partecipare attivamente ai progetti
animativi
Aiutare i famigliari in difficoltà
Essere meno formale e più
partecipativo
L’intervento con gli ospiti
Nella delicata fase dell’accoglienza dell’ospite in struttura, lo psicologo ha il
compito di facilitarne l’ingresso, ponendosi come tramite tra la famiglia e la
struttura stessa; una volta accolto l’ospite, lo psicologo ha il compito di
effettuare una prima valutazione diagnostica dal punto di vista cognitivo,
emotivo, affettivo, relazione e comportamentale dell’ospite, fornendogli un
adeguato sostegno psicologico nei momenti di particolare difficoltà, tramite
colloqui di sostegno; in oltre ha il compito di effettuare attività di tipo
terapeutico-riabilitativo rivolte al singolo paziente o al gruppo (ROT, Validation
Therapy, terapia della Reminescenza, terapia della Rimotivazione, Palestra di
Vita) mirate al mantenimento delle abilità residue, a stimolare la comunicazione
e la socializzazione con gli altri ospiti e gli operatori.
L’intervento con i famigliari
Si dovrebbero organizzare colloqui individuali e gruppi di mutuo-auto aiuto per
cercare di alleviare il carico emotivo di chi assiste l’anziano, fornendogli anche
eventuali strategie per far fronte all’evolversi della malattia; è stato riscontrato
che nel caregiver possono sorgere i differenti tipi di emozioni:
 depressione ed angoscia: per la paura di non essere adeguati ad
affrontare la situazione
 senso di colpa: per aver inserito il proprio caro in una struttura
residenziale
 rabbia: verso il comportamento della persona malata
 imbarazzo: per i comportamenti che il malato ha in pubblico
 solitudine: spesso l’assistenza riduce la libertà d’azione
 impotenza: per non saper cosa fare
Utile potrebbe essere la soluzione di aiutare il caregiver a collaborare con la
struttura:
 coinvolgendolo nel completare l’anamnesi del paziente
 aiutandolo a comunicare con il congiunto malato di demenza
 aiutandolo a riconoscere le emozioni in gioco e ad affrontarle
L’intervento con gli operatori
In ogni struttura per anziani l’interazione positiva tra ospiti, famigliari ed
operatori incide sul benessere dell’anziano, facilitando la conservazione o la
riattivazione della motivazione, della voglia di vivere e della memoria; gli
operatori ed i fisioterapisti che quotidianamente operano con l’ospite instaurano
un atteggiamento meno formale e più intimo, dimostrando una sensibilità
particolare nel rispettare le singole esigenze, i tempi personali di recupero,
senza sostituirsi al paziente per quello che è ancora in grado di fare, utilizzando
un linguaggio chiaro e comprensibile. Lo psicologo in questo contesto serve per
fornire
una
supervisione
psicologica
all’intera
équipe
dando,
quando
necessario, una valido supporto agli operatori in situazione di difficoltà (Burnout o rapporti difficili con ospiti e/o famigliari).
2.4 - Il Conversazionalismo di Lai
E’ una terapia di riabilitazione per gli anziani con deterioramento mentale che
analizza in modo approfondito alcuni elementi della comunicazione; fondata da
Giampaolo Lai nel 1985, ha come suo obiettivo principale quello di costruire con
il paziente una conversazione felice, cercando di risolvere il problema del “come
si esce da una conversazione?” seguendo il “criterio della felicità”.
La questione del “come se ne esce?” , alla base di tutte le conversazioni
terapeutiche, si riferisce alle situazioni di sofferenza, paura, rabbia, confusione
e disperazioni nelle quali, forse, ognuno di noi si è venuto a trovare nel corso
della propria vita; grazie al conversazionalismo, si vuole favorire il passaggio,
appunto, da uno stato di infelicità ad uno di felicità o, quanto meno, di minore
infelicità. Lo scopo di questa tecnica non è quello di guarire il paziente e
sconfiggere la malattia, ma quello di ottenere una convivenza ed una relazione
felici. Negli ultimi anni il conversazionalismo è stato utilizzato anche con i malati
di Alzheimer, per i quali è stato stilato appositamente un protocollo che contiene
tutte le regole fondamentali per poter conversare con loro, cercando, così di
potenziare e rendere viva la conversazione, indipendentemente dal grado di
compromissione cognitiva; per tanto, non è importante quello che il paziente
comunica,
ma
quanto comunica,
arrivando
anche
a sostenere
“una
conversazione senza comunicazione”, situazione nella quale il paziente parla
ma non comunica, tipica di molti pazienti con Alzheimer. Infatti, con il progredire
della malattia il soggetto subisce una compromissione della competenza
comunicativa, perdendo il significato delle parole, ma continua a conservare la
capacità conversazionale, mantenuta fino nelle fasi più avanzate della malattia.
L’approccio conversazionale consente al malato di parlare come riesce, senza
farlo sentire in errore, cercando solo il raggiungimento della felicità possibile
nonostante la malattia.
Ogni paziente vive in un suo mondo possibile che, alle volte, può differenziarsi
da quello reale, un mondo nel quale tutto può succedere, dove non esistono un
tempo ed uno spazio determinati. In questo mondo il malato può assumere una
delle sue molteplici identità: essere così uno studente di vent’anni, oppure si
vede padre, in vacanza con la sua famiglia, o si credere ormai pensionato a
casa sua e non sicuramente in una residenza per anziani; l’errore più grosso,
secondo Lai, è quello di cercare di riportarlo alla realtà a tutti i costi, mentre
invece si dovrebbe seguire il flusso dei suoi pensieri senza giudizi e correzioni.
L’approccio conversazionale riconosce le identità molteplici ed i mondi possibili,
così come si manifestano e quando si manifestano.
Anche se il malato di Alzheimer ha perso il significato delle parole, può avere
sempre il desiderio di comunicare e di trasmettere qualcosa. E’ importante,
allora, porci in una condizione di ascolto attivo, cercando di capire quanto vuole
comunicare; l’ascolto attivo esige un sincero interesse per l’altro e per il rispetto
dei suoi sentimenti: la memoria del malato è compromessa ma le emozioni
persistono! Si deve assumere un atteggiamento empatico, sapersi mettere nei
panni del malato per riuscire così a scoprire il suo mondo interiore ancora ricco
di ricordi ed emozioni.
Man mano che la malattia avanza e le parole si confondono, il linguaggio non
verbale e quello paraverbale assumono un’importanza fondamentale; i gesti ed
i comportamenti diventeranno così molto importanti per comunicare e per
relazionarsi; un atteggiamento disponibile ed accogliente, il tono di voce pacato,
il ritmo lento della conversazione sono tutti elementi basilari che contribuiscono
alla costruzione di una relazione terapeutica favorevole.
Il setting ideale della seduta, che può essere sia individuale che di gruppo, è
una stanza priva di ogni fonte di distrazione e/o disturbo; la durata dell’incontro
è di circa 15-20 minuti, mentre nel caso in cui si tratti di una seduta di gruppo
con 5-7 persone al massimo, la durata sarà raddoppiata. Nella terapia con una
persona malata di Alzheimer è fondamentale affiancare le parole ai gesti,
utilizzare un tono di voce che infonde tranquillità, parlare in modo chiaro, con
frasi brevi enunciando un concetto per volta; non incalzare il paziente con una
serie di domande in successione, non interromperlo quando parla, non
sovrapporsi sul suo discorso e non aiutarlo a completare le frasi; l’interlocutore
DEVE tollerare e rispettare il silenzio dell’altro, anche se alle volte questa attesa
può essere causa di frustrazione, ma è proprio nel silenzio che il paziente
ritrova uno stato di libertà in cui può tacere o parlare senza timore di essere
inadeguato o di essere giudicato; il silenzio è quello spazio da cui scaturiscono
le parole, è quello spazio in cui si costruisce un mondo possibile che noi
possiamo accettare e condividere (P. Vigorelli, 2004).
2.5 - L'ApproccioCapacitante® di Pietro Vigorelli
L'ApproccioCapacitante® fonda le sue radici nel concetto di Alleanza
terapeutica e si sviluppa partendo dal Conversazionalismo di Giampaolo Lai
intersecandosi con i contributi di altri autori, quali Naomi Feil e la Validation
Therapy e Moyra Jones e la Gentlecare.
L'ApproccioCapacitante® è una modalità di rapporto interpersonale che si
basa sul riconoscimento delle competenze elementari dell'interlocutore e che ha
come obiettivo finale una convivenza sufficientemente felice tra i parlanti.
In geriatria è una modalità d’intervento che vuole creare nelle RSA un
ambiente in cui ogni ospite possa esercitare le proprie Competenze elementari
così come può, senza sentirsi in errore, con l'obiettivo di favorire una
convivenza sufficientemente felice tra ospiti, operatori e familiari.
Le Competenze elementari considerate sono cinque:
 la competenza a parlare, cioè la competenza a produrre parole,
indipendentemente dal loro significato;
 la competenza a comunicare, mediante il linguaggio verbale, paraverbale e non verbale;
 la competenza emotiva, cioè la competenza a provare emozioni, a
condividerle e a riconoscere quelle dell'interlocutore;
 la competenza a contrattare sulle cose che ci riguardano nella vita
quotidiana (un'espressione di questa competenza la si osserva nella
contrattazione del motivo narrativo durante gli scambi verbali);
 la competenza a decidere, anche in presenza di deficit cognitivi e in
contesti di ridotta libertà decisionale (espressioni estreme di questa
competenza sono rappresentate dai comportamenti di opposizione, di
chiusura relazionale, di isolamento dal mondo).
Le idee forti alla base dell'ApproccioCapacitante® sono il riconoscimento delle
Competenze Elementari (la Competenza a parlare e a comunicare, la
Competenza emotiva, la Competenza a contrattare e a decidere), il
riconoscimento delle Identità Molteplici (l'ospite della RSA non è solo una
persona che necessita di assistenza), il riconoscimento dei Mondi possibili (il
Mondo del prima e il Mondo del dopo), il riconoscimento del punto di vista e del
sistema di valori delle persone ricoverate in RSA.
Quando si viene a creare un ambiente capacitante la persona anziana può
svolgere serenamente le attività di cui è capace, così come è capace, senza
sentirsi in errore, con il solo scopo, per quanto possibile, di essere felice nel
quello che fa, così come lo fa, nel contesto in cui si trova.
L'ApproccioCapacitante® focalizza l'attenzione sugli scambi verbali tra i
parlanti; gli strumenti utilizzati sono l'ascolto e la parola. L'operatore capacitante
coglie le Competenze elementari dell'interlocutore nel momento in cui si
manifestano, così come si manifestano e con il proprio intervento verbale
restituisce all'interlocutore il riconoscimento delle sue competenze. Gli interventi
verbali dell'operatore si ispirano alle tecniche del Conversazionalismo.
Per creare un ambiente capacitante nelle RSA si propone di utilizzare
l'ApproccioCapacitante® sia in setting aspecifici che in setting specifici.
Setting aspecifici
 incontri informali della vita quotidiana
 attività ludico - riabilitative
Setting specifici
 colloqui d'accoglienza in RSA
 colloqui individuali
 gruppi di conversazione per persone con demenza
 gruppi di autoaiuto per familiari di persone con demenza
 corsi di formazione per operatori
Tre linguaggi per comunicare: si sa che l’uomo comunica utilizzando diversi
linguaggi: quello verbale, fatto di parole; quello non verbale, fatto di gesti, di
mimica, di comportamenti e quello paraverbale costituito essenzialmente dal
tono della voce. Quando c’è una discrepanza, un’incoerenza tra i messaggi che
inviamo al nostro interlocutore, il messaggio che prevale, quello che
effettivamente arriva a destinazione, è quello veicolato dal linguaggio non
verbale. Questo linguaggio è anche quello che persiste più a lungo nella
malattia di Alzheimer: quando le parole sembrano perdere il loro significato, un
sorriso, una carezza, un tono di voce dolce sono ancora in grado di stabilire una
relazione affettuosa.
Quando nasciamo siamo degli animaletti “infanti” cioè “che non parlano”.
Crescendo maturiamo sempre di più man mano che impariamo a parlare e ad
esprimerci meglio con il linguaggio verbale. Nella vita di tutti i giorni possiamo
osservare che chi parla poco tende a isolarsi e spesso si intristisce. Questo
succede soprattutto nelle persone anziane e ancora di più in quelle malate di
Alzheimer.
Quando il malato comincia a fare errori nell’uso della parola, quando comincia a
dire una parola per un’altra, quando ha i primi segni di disorientamento e non
ricorda che giorno è o scambia la figlia per la madre, spesso molti provano a
correggerlo, a interromperlo, a ripetergli le domande a cui non sa rispondere.
L’esperienza però ci insegna che questo approccio fa spazientire il malato e
tende a scoraggiarlo, costringendolo a rinunciare precocemente a parlare; ed è
proprio in situazioni simili che si ricorre all’ApproccioCapacitante®, cercando
così di tener vivo l’uso della parola il più a lungo possibile.
Se utilizziamo alcune semplici tecniche il malato si sente ancora una persona
con piena dignità ed è più sereno. Il familiare trova un modo nuovo e utile di
stare con lui, non si sente più impotente ma diventa un “curante esperto”.
Come prepararsi alla conversazione
I malati Alzheimer fanno fatica a mantenere l'attenzione. Spesso sono anziani
che ci sentono poco. Per riuscire a parlare, a conversare, è quindi opportuno
utilizzare alcuni accorgimenti.
Quando parliamo è meglio che la televisione sia spenta perché potrebbe creare
confusione. Dobbiamo ricordare che il malato non è in grado di fare due cose
nello stesso tempo, come parlare e camminare, parlare e mangiare, parlare e
vestirsi. Il malato Alzheimer fa fatica a tenere l’attenzione concentrata su quello
che sta facendo, quindi dobbiamo ricordare una regola semplice: quando si
parla, si parla e basta. Quando vogliamo parlare con il nostro caro dobbiamo
innanzitutto "agganciarlo" con lo sguardo, mettendoci ben di fronte a lui, meglio
se siamo seduti comodi in una stanza tranquilla. È molto difficile riuscire a
parlare se si sta camminando o si sta preparando il pranzo. Qualche volta può
essere utile prendergli una mano per rassicurarlo.
Ecco alcuni consigli per favorire una conversazione felice:
1. Evitare i luoghi affollati e le situazioni di gruppo
2. Quando si parla, si parla e basta
3. Mettersi in una stanza tranquilla, senza la radio e la TV
4. Illuminare bene la stanza
5. Assicurarsi che il paziente abbia la protesi acustica e gli occhiali
6. Mettersi seduti, uno di fronte all’altro
7. Agganciare con lo sguardo
Usare tutti i linguaggi
Con l'avanzare della malattia il parlare, cioè il linguaggio verbale, diventa
sempre più difficile. Le parole tendono a perdere il loro significato e il malato
cerca di capire le situazioni in altro modo. Impara a fare molta attenzione al
linguaggio non verbale cioè ai gesti e ai comportamenti con cui noi
accompagniamo quello che diciamo. Ma impara anche a fare attenzione al
linguaggio paraverbale, cioè al modo in cui noi pronunciamo le parole, al tono di
voce, al timbro, al ritmo. Un tono di voce pacato e un volto sorridente
trasmettono un senso di sicurezza e rendono più piacevole l'incontro. I gesti
che raccontano con le mani quello che vogliamo comunicare con le parole
fanno capire meglio il messaggio, lo rinforzano. La persona malata di Alzheimer
magari non capisce il significato delle parole che diciamo ma si accorge se
siamo nervosi o infastiditi, se siamo aggressivi o se siamo dolci; soprattutto il
tono di voce è molto importante. Ci sono poi alcuni accorgimenti che rendono
più facile la comprensione di quello che vogliamo dire: utilizzare frasi brevi; dire
un solo concetto; aspettare, per verificare se ha capito; lasciargli il tempo di dire
quello che vuole.
Come farsi capire
 Parlare in modo chiaro
 Usare un tono di voce pacato
 Dire frasi brevi
 Dire un solo concetto alla volta
 Fare delle brevi pause di silenzio
 Aspettare la risposta

Accompagnare le parole con i gesti
La cosa più importante è avere ben chiaro qual è il nostro obiettivo:
 noi desideriamo che il malato parli e parli a lungo, così com'è in grado di
farlo in quel particolare momento, nonostante la malattia
 noi desideriamo che il malato non si senta in errore anche se parla male
 noi desideriamo conversare ancora con lui e che lui possa conversare
ancora con noi senza curarci degli errori e dei contenuti della
comunicazione
 noi cerchiamo la nostra felicità nell'emergere della parola e la troviamo
quando il nostro caro effettivamente parla, così come può
Quando parliamo con il malato Alzheimer l’obiettivo a cui tendiamo è che
lui parli, così come riesce, senza sentirsi in errore, anche se sbaglia.
Come fare una conversazione felice
Quando si parla con un malato Alzheimer bisogna sempre molto attenti sia
alle sue parole che alle nostre.
Prima di parlare si dovrebbe restare in silenzio qualche momento e
ascoltare, poi si dovrebbero scegliere le parole migliori per fare una
conversazione felice.
I 10 consigli per una conversazione felice:
1. Usare frasi dichiarative (non fare domande)
2. Seguire il discorso del malato
3. Accompagnarlo nel suo mondo possibile
4. Restituire il tema del suo discorso
5. Fare eco alle sue parole
6. Focalizzare l'attenzione sul tema più importante
7. Ampliare il discorso restando vicini al tema principale
8. Mettersi nei panni del malato
9. Parlare un po’ anche di sé
10. Fare la sintesi del suo discorso
L'ApproccioCapacitante®
consiste in una modalità di relazionarsi con gli
anziani fragili che può essere utilizzata in modo informale anche dagli operatori
e dai familiari, in tutti i contesti, con tutti gli anziani fragili (con e senza deficit
cognitivi), in ogni momento della vita quotidiana e delle attività professionali.
Quando viene utilizzato in un setting formale di cura, individuale o di gruppo, si
configura come Terapia del riconoscimento, anche perché La malattia di
Alzheimer può essere considerata una malattia dell’identità o, meglio, una
malattia del riconoscimento.
La perdita del riconoscimento dipende dal danno cerebrale causato dalla
malattia stessa, in particolare a livello dell’ippocampo, ma dipende anche
dall’ambiente circostante, vale a dire dal contesto relazionale; la perdita del
riconoscimento è sicuramente causa di sofferenza sia per la persona malata sia
per chi se ne prende cura e, inevitabilmente, tende ad aggravare l’espressione
della malattia. Ad oggi non è ancora possibile intervenire positivamente sul
danno neurologico, ma è possibile agire sul contesto relazionare con lo scopo
di ridurre la sofferenza della persona malato ed il relativo peggioramento dei
deficit funzionali. Il terapeuta focalizza la sua attenzione sul qui ed ora della
conversazione e:
-
riconosce le identità molteplici della persona affetta da demenza,
rispettandone la dignità
-
riconosce i mondi possibili in cui vive la persona
-
riconosce la competenze elementari della persona con demenza, nel
momento in cui si manifestano, così come si manifestano e cerca di
tenerle vive anche quando queste tendono ad eclissarsi
L'ApproccioCapacitante® e la Terapia del Riconoscimento vogliono creare le
condizioni per cui la persona con Alzheimer possa sentirsi riconosciuta e
ritrovare se stessa. La persona con demenza deve sentirsi accettata così
com’è, in ogni momento e in ciascuna delle sue identità molteplici e deve poter
esprimere le sue capacità così come riesce. Se prima era confusa e turbata,
grazie alla terapia del riconoscimento può riappropriarsi di se stessa, delle
proprie identità molteplici e delle proprie capacità; deve poter ritrovare il gusto
della relazione e poter parlare ed agire senza venire continuamente corretta e
sentirsi in errore: solo così può ritrovare la serenità perduta e le sue parole
torneranno ad avere un senso.
2.6 - IL MODELLO GENTLECARE: è un modello di assistenza “positivo”
proposto da Moira Jones; il suo obiettivo principale è quello di compensare i
deficit dell’ammalato e favorire così le sue funzioni residue per migliorare il più
possibile la qualità della vita. Nasce da un approccio di tipo riabilitativo dopo
aver valutato l'impatto della malattia sulla persona e aver condotto un accurato
bilancio delle abilità che il paziente ha perduto e delle abilità che il paziente ha
preservato.
Gli obiettivi del Gentlecare sono così riassumibili:
 promuovere il benessere della persona, considerando il benessere come
il "miglior livello funzionale possibile in assenza di condizioni di stress"
 risolvere o contenere i problemi comportamentali
 ridurre lo stress del caregiver
 ridurre l'utilizzo di mezzi di contenzione fisica e/o farmacologica
Quando un paziente ammalato di demenza perde progressivamente le diverse
abilità cognitive, occorre costruire una protesi
che deve essere tanto più
complessa quanto più avanzata è la perdita, che deve avere il compito di
supportare il paziente nella sua relazione con l'ambiente sia esterno che
interno. Questo intervento protesico si fonda su tre componenti che
interagiscono in modo dinamico: "spazio fisico - programmi - persone".
Lo spazio deve garantire al paziente sia la sicurezza che il comfort, nonché
contenere elementi terapeutici che ne facilitino la lettura e la comprensione da
parte della persona demente. Il progredire inesorabile della malattia fa sì che il
paziente abbia sempre maggiori difficoltà nella comprensione dell'ambiente e
dei segnali che l’ambiente stesso gli invia, per cui, tanto più l'ambiente in cui
l’ammalato vive ha caratteristiche famigliari, tanto più il controllo che il paziente
riuscirà ad effettuare sull’ambiente sarà agevolato con una conseguente
riduzione
delle paure e delle ansie che possono derivare da un’eventuale
sensazione di estraneità.
Anche le tecnologie più sofisticate possono essere utilizzare per rendere
l'ambiente sicuro, ma devono essere riportate in una dimensione di familiarità e
normalità per i pazienti, per poter così ottenere il massimo grado di libertà
con il massimo grado di sicurezza.
I programmi devono tenere conto delle attività di base della vita quotidiana, dei
contenuti relazionali ed affettivi e devono nascere dal contesto di vita e culturale
della persona; la giornata della persona demente deve assomigliare il più
possibile
ad
una
giornata
di
vacanza.
Le
attività
devono
costituire
un’opportunità di recupero di un’identità individuale che spesso il paziente non è
in grado di recuperare autonomamente.
Le persone includono tutti coloro che si occupano del paziente, staff, familiari e
volontari. Diventa fondamentale la realizzazione di una alleanza terapeutica
che consenta di avere la massima condivisione possibile del programma di cura
individualizzato nel quale l’ambiente vien adeguato alle effettive capacità del
paziente e non viceversa.
La formazione di chi assiste diventa, per tanto, fondamentale in ogni intervento
di Gentlecare; la motivazione, la capacità di osservare il comportamento dei
pazienti e di vivere in modo empatico le loro difficoltà, sono i punti cardini del
lavoro di ogni caregiver.
Il programma utilizzato nei nuclei Alzheimer ha già dato buoni risultati, in quanto
si sono modificati positivamente i disturbi del comportamento, è diminuito il
ricorso a psicofarmaci e a dispositivi di contenzione fisica, favorendo il
benessere della persona e, al tempo stesso, il contenimento dello stress di chi
la cura.
2.7 – La Palestra di Vita (PdV)
Cinque pregiudizi da sfatare:
1. non è vero che invecchiando il cervello non si rigenera
2. non è vero che invecchiando perdiamo tutti la memoria
3. non è vero che invecchiando diventiamo tutti dementi
4. non è vero che invecchiando diventiamo tutti depressi
5. non è vero che invecchiando abbiamo solo da perdere
“Ciò che sostanzialmente differenzia un giovane da un vecchio non è
tanto la capacità di svolgere una normale attività quanto un ritmo diverso”
(Prof. Fabrizio Fabris)
Ma esiste una scuola per invecchiare bene? Una scuola per pensare positivo?
Una scuola per socializzare? Una scuola per mantenersi attivi fisicamente e
mentalmente?
La risposta è stata trovata ed è stata chiamata PALESTRA DI VITA.
La Palestra di Vita (PdV) è stata ideata dal Prof. Pietro Piumetti nel 1995 ed è
un metodo di intervento bio-psico-socio-educativo mirato al miglioramento della
qualità della vita delle persone anziane istituzionalizzate. Questo metodo di
intervento riabilitativo mette al centro la relazione anziché la misurazione dei
limiti della persona; nella PdV si socializza, si fa allenamento mentale e fisico, si
migliora lo stile di vita per VIVERE MEGLIO! Il fare unito al pensare positivo
riducono la possibilità di una patologia da ricovero ed infondono nelle persone
quella sensazione speciale di sentirsi vive e in relazione con il mondo. Per la
PdV la vecchiaia non è assolutamente una malattia ma lo potrebbe diventare se
si conduce uno stile di vita a rischio fatto di passività ed isolamento.
L’ingresso in una struttura per anziani è spesso causa di “disempowerment”,
condizione nella quale la persona si sente sfiduciata, emarginata e passiva con
il relativo decadimento cognitivo e sociale. Per poter mantenere attive le
funzioni socio-cognitive è indispensabile un continuo esercizio ed una loro
continua stimolazione. La PdV ha un doppio ed ambizioso obiettivo:
 migliorare la qualità della vita della persona anziana e dei caregiver
 migliorare i servizi della struttura stessa
Oltre ad essere, in primis, un’attività di animazione e di riabilitazione
psicologica, questo metodo cerca di prevenire la patologia da ricovero, il declino
cognitivo promuovendo un “invecchiamento attivo”.
“Le attività del metodo PdV rappresentano delle importanti opportunità di
riattivazione della mente, del cuore e del cervello degli anziani e di chi li assiste”
(Marcello Cesa-Bianchi).
Gli assunti di base della Palestra di Vita:
a) l’integrazione dell’animazione con l’assistenza psicologica, creando
così un setting ideale per promuovere il benessere psicologico nelle
residenze per anziani
b) la considerazione della triade ospite-operatore-familiare, puntando al
miglioramento della qualità della relazione tra i soggetti coinvolti
c) la facilitazione all’autorealizzazione, permettendo ad ogni ospite di
sviluppare ed esprimere al meglio le sue potenzialità in un clima
facilitante
La metodologia prevede incontri di gruppo settimanali di circa un’ora condotti
da uno psicologo coadiuvato da OSS, volontari e famigliari; il setting deve
essere accogliente, il clima positivo e, partendo dalla conoscenza della storia di
vita di ogni partecipante, ci si deve focalizzare più sulle risorse dell’anziano che
non sui suoi limiti.
I nove concetti fondamentali dalla PdV
1°. relazione etica: l’obiettivo è quello di conquistare la fiducia della
persona anziana creando così un’alleanza terapeutica; le relazioni
umane sono il motore della vita
2°. pensare positivo: far si che l’anziano arrivi all’autotutela della propria
salute, pensando positivo ed attivando le proprie risorse
3°. stile di vita sano ed impegnato: stimolare ed allenare mente e corpo
4°. cura della rete: far socializzare le persone anziane tra loro, con gli
operatori e con il territorio creando un circolo virtuoso intorno agli ospiti
5°. cura del setting: interessare e motivare la persona anziana a
partecipare agli incontri partendo da un locale accogliente e da un
programma chiaro e comprensibile
6°. raccolta della storia di vita: aiutare l’anziano a recuperare in modo
positivo la sua storia con il relativo recupero dell’identità
7°. auto e mutuo aiuto: aiutare l’anziano a sostenersi valorizzando così la
competenza della sua esperienza
8°. animazione: stimolare la persona anziana a mettersi ancora in gioco,
con momenti di canto, musica e giochi
9°. progettazione, documentazione e verifica: questo concetto ha una
doppia valenza, in quanto serve sia allo psicologo sia all’anziano che si
sente così motivato a progettare ancora il quotidiano, a trovare nuovi
obiettivi e a verificarne la realizzazione.
3.”MI METTO IN GIOCO”
3.1 Tirocinio ed esperienza sul campo
“La soglia della vecchiaia è soltanto la soglia di una nuova avventura”
(La vecchiaia può attendere – A. Levi)
La vecchiaia è tradizionalmente e culturalmente, per noi, un luogo di arrivo,
dove ognuno incontra se stesso e fa i conti con ciò che è diventato e con ciò
che ha realizzato; io mi immagino le fasi della vita come tanti capitoli di un libro;
nel corso della nostra esistenza ognuno ha avuto la possibilità di raccogliere
tanto materiale, ha accumulato riassunti ed appunti, ed ora, nella fase della
vecchiaia si è giunti al luogo del riordino, della scrittura e della rilettura.
Ogni anziano ha una storia da raccontare a chi è disposto ad incontrarlo e ad
ascoltarlo; comunicare significa interagire, rassicurare e rasserenare la
persona, e, nel caso si tratti di un anziano malato e/o istituzionalizzato,
l’interazione permette così l’inconsapevole costruzione di una relazione
terapeutica che può facilitare l’espressione emotiva e creativa dell’anziano
stesso. La malattia “ruba” la memoria ma non priva l’anziano della sua storia
personale, ed è proprio chi lavora accanto a queste persone più deboli che ha il
compito di aiutarlo a difenderla e a conservarla.
L’obiettivo che ogni terapia riabilitativo si pone è proprio quello di tendere al
massimo recupero possibile delle abilità motorie e/o cognitive del paziente che
sono state compromesse dalla malattia; l’ambito di intervento non deve essere
focalizzato esclusivamente sulla condizione patologica ma un buon programma
riabilitativo deve essere in grado di coinvolgere più aspetti della vita del
soggetto, ed è per questo che vengono pianificate e programmate terapie
multidimensionali che considerano in primo luogo le caratteristiche del paziente
e, secondariamente, ma sempre con uguale importanza, quelle del contesto in
cui l’anziano si trova a vivere. E’ fondamentale non focalizzare la nostra
attenzione sui deficit dell’anziano, ma ogni terapia deve essere mirata a
stimolare le sue capacità residue per cercare di tenerle tali il più a lungo
possibile. Ogni tecnica di riabilitazione deve porsi l’ambizioso obiettivo di
cercare di migliorare globalmente la qualità di vita del paziente favorendo
l’instaurarsi di un nuovo equilibro personale e sociale. Uno degli obiettivi
principali di tali interventi è quello di mantenere il più a lungo possibile
l’autonomia dell’anziano consentendogli di convivere con i deficit cognitivi che lo
affliggono e di continuare così a vivere inserito nel contesto di appartenenza
svolgendo un ruolo attivo ed autonomo. Il soggetto deve sentirsi in grado di
“fare”, di “riconoscere” e di “manifestare” i propri desideri e le proprie emozioni e
di “provvedere” ai propri bisogni.
Ogni singolo trattamento è volto a promuovere nell’anziano:
1) l’orientamento personale ed interpersonale
2) l’orientamento temporale
3) l’orientamento spaziale
4) il potenziamento delle abilità cognitive residue, quali:
a. la memoria verbale per un racconto
b. l’attenzione uditiva
c. la prassia costruttiva
Ogni operatore che si trovi a lavorare con un paziente affetto da demenza deve
sempre seguire le seguenti attenzioni:
 scegliere attività rispondenti a predisposizioni, attitudini, gusti e passioni
che la persona aveva prima dell’esordio della malattia
 calibrare il tempo sulla base del tempo necessario al malato per svolgere
quanto gli è stato richiesto
 non obbligare il malato a seguire le nostre richieste ma trovare il
momento giusto per “agganciarlo”
 non preoccuparsi mai del risultato finale ma del clima che siamo stati in
grado di creare con il nostro compagno di viaggio
 non dedicare troppo tempo alla stimolazione in quanto l’attenzione del
malato è molto labile
 elogiare sempre quello che riesce a fare, senza rimarcare gli errori
3.2 - L’anziano che comunica: storie di vita
Grazie alle interviste svolte ad alcuni ospiti durante il tirocinio effettuato presso
“L’Istituto Geriatrico Poirinese” , ho avuto modo di conoscere ed approfondire il
cambiamento che avviene nell’anziano causato dal passaggio da una vita
trascorsa
nel
proprio
ambiente
famigliare
e
lavorativo
ad
una
vita
istituzionalizzata nelle strutture preposte.
Il metodo dell’intervista ha messo l’anziano in condizione di parlare e di
raccontarsi nei suoi ricordi e nei suoi vissuti trascorsi e, allo stesso tempo, di
parlare apertamente del suo stato attuale, sia fisico che emotivo.
Con gli anziani che si sono prestati a collaborare, a parte una prima e
comprensibile forma di reticenza e di timidezza, dovuta più al pensiero di “non
essere in grado ed all’altezza “ di questo compito, è stato facile e, soprattutto
PIACEVOLE colloquiare , riuscendo così ad ottenere un grande quantità di
informazioni sulla loro vita antecedente il ricovero.
Intervista a Gabriela
Gabriela ha 93 anni, è una persona molto semplice, affabile e disponibile; ama
molto parlare della sua vita di cui ricorda anche i minimi particolari ed è per
questo che si è dimostrata sin da subito molto disponibile a parlare e a
raccontarmi i suoi ricordi, anche quelli più personali; all’interno della struttura,
mi ha spiegato, non ha legato con gli altri ospiti, ma lei sta bene anche così, in
quanto, dato che le piace molto camminare, preferisce scendere in cortile, e
passeggiare lungo i marciapiedi ed i vialetti della struttura; quando piove,
rimane in camera a guardare la televisione a leggere o a fare le parole crociate;
questo suo comportamento ha fatto si che socializzasse poco all’interno della
struttura e questo la porta anche a partecipare raramente alle attività proposte e
quando lo fa, quasi “trascinata” dall’animatrice, non dimostra alcun interesse e
coinvolgimento e, appena può, sgattaiola via. Nel suoi racconti, nei quali si nota
una certa ripetitività, parla con entusiasmo della sua gioventù, di quando alle 5
di mattina, con qualsiasi condizione atmosferica, inforcava la sua bicicletta ed
andava a Chieri a lavorare in una fabbrica tessile; oppure racconta con ironia la
storia del suo nome, che, a causa di un errore di registrazione in comune è
stato segnato con una “G” sola, mentre al momento del battesimo è stata
registrata con “Gabriella” e questo la portava sempre a scherzare con suo
marito Silvio, dicendogli che era stato fortunato, in quanto sposando lei era
come se avesse sposato due donne!!! Gli unici momenti in cui si è commossa e
ha pianto, è stato quando mi ha raccontato del momento in cui è venuto a
mancare il suo adorato marito…altrimenti, è sempre stata molto positiva e
sorridente, arrivando a confidarmi che aspettava i nostri incontri in quanto erano
l’unica cosa positiva che spezzava la monotonia della sua vita attuale.
Ha accettato anche molto volentieri di fare i test relativi alle capacità mnestiche
e semantiche nei quali ha evidenziato una buona padronanza linguistica; sia la
memoria a lungo termine che quella a breve termine (lettura di testo +
domande) sono preservate in modo soddisfacente; oltre alla padronanza
linguistica anche le capacità di calcolo sono ben conservate, solo nel disegno,
ha evidenziato alcune difficoltà che tuttavia penso siano più dovute a delle
carenze visive che alla mancanza di motricità fine.
Di seguito riporto, come esempio dei lavori svolti, alcune delle schede eseguite
durante il tirocinio in occasione dei miei incontri con Gabriela.
FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE FONEMICHE G (71)
Scrivere tutte le parole che iniziano per: (non più di 30” per ogni lettera):
A: Avellino – avanti – avena - Abruzzo
B: Brossa (il suo cognome) – buono – bene – bacio - banana
C: carota – cavolo - cavolfiore
D: domani – dopo – davvero – domenica – Dorotea – dolore - dito
E: Emilia – estate – entrare – Eleonora
F: festa – favore – fagiano – finestra – fiume – fesso
G: gallo – gallina – gabbiano - gatto
L: Livorno – lettera – lettura – libro - lilla
MA: mamma – male – maledizione – mare - matita
BA: balena – ballo – bacio – banco – balestra – balera – banana
FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE SEMANTICHE (78)
Scrivere la parola adatta:
NON MAGRO: grasso
NON FORTE: debole
NON CHIARO: scuro
NON DOLCE: amaro
NON BIANCO: nero
NON PICCOLO: grande
NON NUOVO: vecchio
NON BAGNATO: asciutto
NON ALTO: piccolo
NON CALDO: freddo
NON TRISTE: allegro
NON SIMPATICO: antipatico
NON RUMOROSO: silenzioso
NON UTILE: non serve
NON BUONO: cattivo
NON DRITTO: storto
RAGIONAMENTO – CATEGORIZZAZIONE (85)
Dividere le parole per colore: NOTTE POMODORO CASTAGNE SOLE
LIMONE FRAGOLE CIOCCOLATO RISO NEVE FUOCO TUORLO PANNA
CREMA ORO SALE BUIO TERRENO MARGARINA LATTE BURRO LEGNO
ALBUNE FUNGHI CARBONE SANGUE
ROSSO
Pomodoro
Fragole
Fuoco
Tuorlo
Sangue
NERO
Notte
Buio
Carbone
MARRONE
Castagne
Cioccolato
Terreno
Legno
Funghi
GIALLO
Sole
Limone
Oro
BIANCO
Riso
Neve
Panna
Crema
Sale
Margarina
Latte
Burro
Albume
LOGICA G(119)
Completare le seguenti frasi:
La penna serve per
scrivere
Il sole
scalda
Dall’uva nasce il
vino
Dal bruco nasce la
----------
Il contadino usa la
zappa
La maestra
fa scuola
La regina vive nel
castello
Il cane
abbaia
Il gatto
miagola
Il leone
ruggisce
La mucca
------
Il vigile regola
le strade
ORIENTAMENTO TEMPORALE (100)
Rispondere:
IN QUALE MESE SI FESTEGGIA IL SANTO NATALE?
25 dicembre
IN QUALE MESE SI FESTEGGIA LA PASQUA?
aprile
IN QUALE MESE C’E’ LA COMMEMORAZIONE DEI SANTI E DEI DEFUNTI?
novembre
IN QUALE MESE C’E’ L’EPIFANIA?
gennaio
IN QUALE MESE C’E’ LA FESTA DEI LAVORATORI?
1° maggio
ORIENTAMENTO TEMPORALE (33) Gabriela
OGGI E’ IL GIORNO
venerdì
NUMERO
13
DEL MESE DI
giugno
DELL’ANNO
2014 (con un piccolo aiuto perché diceva 19)
DOVE SIAMO?
geriatrico
NEL PAESE DI
Poirino
IN PROVINCIA DI
Torino
NELLA REGIONE
Piemonte
LA NOSTRA PATRIA E’
Italia
IL MESE SCORSO ERA
Maggio
IL MESE PROSSIMO SARA’
Luglio
QUANTI MESI CI SONO IN UN ANNO?
12
QUANTE STAGIONI CI SONO IN UN ANNO?
4
QUANTI GIORNI CI SONO IN UNA SETTIMANA?
7
IL PRIMO MESE DELL’ANNO E’
gennaio
L’ULTIMO MESE DELL’ANNO E’
dicembre
QUANTI GIORNI HA FEBBRAIO?
28
QUANTI GIORNI HA NOVEMBRE?
30
QUANTI GIORNI HA DICEMBRE?
31
QUANTI GIORNI HA APRILE?
30
FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE SEMANTICHE (89)
FRUTTI: pere – albicocche – prugne – uva – ciliegie – pere – mele
VERDURE: insalata – cicoria – spinaci – carote – patate – cavoli – cavolfiore zucchini
ANIMALI: gatto – cane – coniglio – colombo – galline - pulcini
CITTA’: Torino – Imperia – Bordighera – Avellino - Roma
COLORI: rosso – verde – nero – marrone – blu - giallo
PARTI DEL CORPO: braccia – gambe – testa – sedere – piedi – mani orecchie
NOMI DI DONNA: Amalia – Teresa – Giovanna – Clara – Gabriela – Paola –
Dorotea - Crocifissa
NOMI DI UOMO: Giovanni – Gabriele – Bartolomeo – Carlo – Giuseppe - Silvio
INDUMENTI INVERNALI: gonne pesanti – golf di lana – paletò - scarponcini
Intervista a Teresa:
Teresa ha 86 anni e fin da subito si è dimostrata un persona forte ed
orgogliosa; ha accettato molto volentieri di “aiutarmi” in questo progetto di
interviste, in quanto ama molto parlare di sé e della sua vita, soprattutto per
rimarcare sempre quanto ha fatto per gli altri; all’interno della struttura non ha
legato molto con gli altri ospiti in quanto assume sempre un comportamento
altezzoso e superiore, concedendosi sempre la libertà di rimarcare sia agli
ospiti che agli operatori un loro comportamento che reputa maleducato o poco
consono alla situazione; questo suo atteggiamento ha contribuito alla sua
esclusione da qualunque interazione sociale con gli altri ospiti; non partecipa
neppure alle attività di animazione proposte dall’educatrice in quanto le reputa
noiose e poco stimolanti, definendole “roba da vecchi” ! Partecipa solo ed
esclusivamente all’attività della tombola proposta 2 volte alla settimana dai
volontari AVO, in quanto è stata nominata aiutante, titolo che le configura
certamente un certo prestigio!
Durante le interviste ricorda ed espone in modo chiaro gli avvenimenti del
passato, dimostrando, per tanto, una buona memoria a lungo termine, anche
se un paio di volte si è dimostrata confusa, soprattutto quando racconta
dell’operazione avuta d’urgenza, in quanto è fermamente convinta di essere
stata operata “con l’inganno” e questo ricordo provoca sempre in lei un certo
turbamento. Anche il rapporto con i suoi cinque figli con è idilliaco, ed è stata
sua la scelta di entrare in struttura, proprio per non essere un peso per nessuno
di loro, ma questa sua decisione, con la relativa vendita della casa ha causato
un’inevitabile rottura.
Nonostante la memoria a lungo termine sia ancora
preservata, e usi ancora terminologie molto appropriate, nel momento in cui le
sono stati proposti i test di abilità semantica ha trovato alcune difficoltà, e
questo ostacolo l’ha infastidita molto, in quanto non si è sentita all’altezza della
situazione, come invece si crede di essere; per tanto ha sempre preferito
parlare anziché fare questi esercizi di stimolazione, anche perché, parlando si
sente al centro dell’attenzione e questa sensazione appaga indubbiamente il
suo senso di protagonismo.
FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE FONEMICHE T (42)
Scrivere tutte le parole che iniziano per: (non più di 30” per ogni lettera):
A: albero – anello – anfora – acqua - arcobaleno
B: bocca – benessere – bravo - bicicletta
C: conto – congresso – correre – contatto - cuore
D: dormendo - dita
F: frequentare – favorevole – fidarsi – fiore - fazzoletto
G: giostra – girasole - giramondo
L: luna – letto – latte
T: tombola – tetto – tavolino – tavolo
FLUENZA VERBALE PER CATEGORIE SEMANTICHE T(77)
Scrivere tutte le parole che hanno a che fare con la parola data:
SCUOLA: imparare – scrivere – leggere – diario – maestra - scolari
ESTATE: caldo – mare - grano
MONTAGNA: passeggiate – tenda da campeggio
NATALE: festa – famiglia - regali
CUCINA: mangiare – pentole – posate – bicchieri – pasta – riso
Parallelamente ai colloqui individuali ed agli esercizi di stimolazione,
ho
partecipato anche al gruppo di “gero-motricità” un’attività che è un misto tra
animazione e ginnastica dolce; una volta alla settimana animatrice e
fisioterapista cercano di stimolare gli ospiti, anche quelli in carrozzina, con canti,
musiche e movimenti dolci di braccia e gambe; tuttavia, questa forma di
intrattenimento non è “accolta” in modo positivo da tutti gli ospiti, in quanto, non
stimola la loro voglia di stare insieme e di socializzare;
anche l’attività di
animazione non è frequentata da tutti: ci sono ospiti, soprattutto donne, che si
recano autonomamente nella sala polivalente per svolgere varie attività
manuali: dal lavoro a maglia, alla realizzazione di quadretti, porta oggetti,
bomboniere e oggettistica varia, mentre altri preferiscono passeggiare, stare in
camera o nei saloni ai piani, davanti alla tv.
Non avrei mai pensato che l’esperienza vissuta in una struttura geriatrica
potesse rivelarsi per me così positiva e completa; all’inizio era intesa come 125
ore da dover svolgere per portare a termine il mio percorso di studi; poi, man
mano che le ore venivano svolte, ho iniziato ad addentrarmi in questa realtà,
per me completamente nuova, anche se non sconosciuta; ho iniziato a
conoscere le persone, quelle che non vengono definite “vecchi” o “pazienti”, ma
semplicemente OSPITI della struttura, quelle che, in modo amichevole vengono
chiamate per nome da tutti gli operatori; ho iniziato poco per volta ad abbattere i
muri della loro diffidenza, e, una volta conquistata la loro fiducia, ho potuto
iniziare con alcuni di loro un percorso di conoscenza, fatto di racconti, di storie
di vita, in cui si sono alternati momenti di gioia a momenti di tristezza e di
malinconia; ho avuto la possibilità di realizzare test per quanto riguarda la
memoria, la fluenza verbale e test mirati a misurare le abilità relative alla
prassia costruttiva, al ragionamento ed alla logica. Tuttavia, quanto svolto, ha
fatto nascere in me la consapevolezza che all’interno di una struttura geriatrica,
la figura dello psicologo non può essere intesa come quella classica da
“manuale”, ma con queste persone, lo psicologo deve essere in grado di
modificarsi, di adattarsi ogni volta alla situazione, diventando animatore,
compagno di giochi o confidente, senza aver paura di perdere la propria
professionalità; ho notato che proprio questo “sapersi mettersi in gioco” è la
chiave giusta che ti permette di entrare in relazione con tutte le persone, e, in
questo caso, con gli anziani ospiti della struttura, in quanto viene meno quella
diffidenza e quella paura che alle volte la figura dello psicologo può creare….
Attualmente, grazie alla fiducia accordatami dal mio relatore, Prof. Fabrizio
Cavanna, sto svolgendo un’attività di tirocinio-volontariato, all’interno di una
struttura per anziani “Residenza Richelmy”, nel cuore di Torino; sicuramente
questa “nuova avventura” costituisce per me un qualcosa di molto prezioso ed
importante che avrà un peso non indifferente nel mio bagaglio esperienziale.
La mia presenza in struttura si suddivide in due parti: un incontro settimanale
con gli ospiti del nucleo R.S.A. denominato “Il thè con la psicologa” e due
incontri settimanali con gli ospiti del nucleo protetto N.A.T. (Nucleo Alzheimer
Temporaneo).
3.3 - Il thè con la psicologa
Coordinato dalla psicologa della struttura, la
Dott.ssa Manna, vuole essere un momento di
incontro
per
favorire
la
conoscenza
e
l’interazione tra gli ospiti affinché possano poi
continuare la loro frequentazione all’interno
della struttura anche in altri momenti non
espressamente dedicati. Si è scelto di strutturare questo incontro “su invito” per
cercare, così, di avere un livello, sia culturale che cognitivo dei partecipanti,
abbastanza omogeneo, in quanto devono essere favoriti il dialogo ed il racconto
di momenti di vita, non strettamente personali, condivisibili, quindi anche con gli
altri partecipanti. Questo perché la vita è una storia bellissima e, quando la
storia di una vita si intreccia con altre storie, facciamo si che il racconto
continui….
Lo spunto di partenza ogni volta è differente: si può iniziare dal Santo del
giorno, oppure leggendo un proverbio in piemontese o anche commentando un
fatto di cronaca accaduto.
Indipendentemente dall’argomento trattato, questo spazio è stato accolto con
apertura ed interesse da tutti gli ospiti che dimostrano sempre un grande
piacere nel raccontare le loro storie, le loro esperienze ed i loro ricordi,
destando sempre l’attenzione degli ascoltatori e creando così una piacevole
atmosfera di condivisione e partecipazione.
3.4 - Nucleo N.A.T.
Lunedi 30 luglio 2012 la giunta regionale del Piemonte ha approvato la dgr 454248 che disciplina il nuovo modello integrato di assistenza residenziale e
semiresidenziale per gli anziani non autosufficienti.
Il nuovo modello – si legge nel comunicato stampa regionale – “intende
migliorare gli aspetti di flessibilità del servizio e integrazione con la continuità
assistenziale. Sarà così possibile, semplificando anche il quadro normativo,
consentire agli anziani ricoverati nelle strutture socio-sanitarie residenziali
prestazioni personalizzate e calibrate sugli effettivi bisogni. Inoltre, vengono
individuati i requisiti strutturali e gestionali per il rilascio dell’autorizzazione al
funzionamento delle strutture per anziani non autosufficienti”.
Il “N.A.T. – Nucleo Alzheimer Temporaneo”, ha lo scopo di accogliere persone
affette da demenza, che presentano disturbi comportamentali e/o problemi
sanitari e assistenziali di elevata complessità, provenienti dal proprio domicilio,
da residenze socio-sanitarie, dall’ospedale o da altre strutture sanitarie.
Tali soggetti possono giovarsi, presso il suddetto nucleo, di uno specifico
ambiente assistenziale con progetti mirati al reinserimento nel precedente o
all’inserimento in un nuovo percorso di cura, dopo un periodo di ospitalità
temporanea. Pertanto il N.A.T. integra il modello R.S.A. quando il livello delle
prestazioni non è sufficiente a garantire una corretta assistenza; è stato
appositamente progettato per accompagnare l’ospite malato di Alzheimer nel
suo percorso cercando di salvaguardare il più possibile la qualità della vita,
basandosi su un’esperienza specifica per la gestione di tutti gli aspetti medici e
gestionali legati a tale patologia.
Il Nucleo N.A.T. allestito presso la “Residenza Richelmy” di Torino è composto
da 20 posti letti e tutti gli spazi (luoghi comuni, stanze, bagni e corridoi) sono
stati progettati considerando l’ambiente come modello protesico per la cura
della demenza. Un esempio a conferma di ciò è la camera sensoriale
(Snoezelen Room), in cui l’ambiente diventa fonte di stimoli visivi, uditivi,
olfattivi e tattili, finalizzati a favorire benessere e rilassamento;
soprattutto
nel
miglioramento
di
taluni
comportamenti
quali
indicata
apatia,
trascuratezza, oppositività, aggressività e depressione dell’umore. Si lavora
individualmente con l’anziano che viene incoraggiato a sperimentare gli stimoli
sensoriali che ha a disposizione. Inoltre, è stato allestito un giardino
Alzheimer, che consentirà all’anziano di passeggiare liberamente in uno spazio
delimitato e protetto.
Il mio intervento in questo nucleo, si struttura in più momenti, in quanto, non
essendo possibile realizzare una stimolazione a livello collettivo, ho preferito
lavorare con piccoli gruppi o individualmente.
I momenti di gruppo sono per la maggior parte mirati alla stimolazione spaziotemporale, prendendo come base di partenza la R.O.T. informale; a livello di
stimolo è stato accolto con curiosità e stupore
“Il tabellone del tempo” che dovrebbe aiutare
a ricordare la data del giorno, il giorno della
settimana, i mesi dell’anno, le stagioni, le
ore e le condizioni atmosferiche. E’ stato sicuramente un qualcosa di diverso e di innovativo
che si è rivelato comunque in grado di risvegliare la curiosità e la voglia di
partecipare all’attività.
Con quegli ospiti che non presentano ancora un grado di malattia grave, è
possibile effettuare conversazioni piacevoli durante le quali mi faccio trasportare
nel loro mondo, dando così loro la possibilità di parlare, di far rivivere quei
ricordi che per loro non sono affatto tali, ma che sono, invece, momenti di vita
presente, da vivere e condividere con il loro interlocutore. Alle volte sono
l’amica del cuore, la sorella minore o, semplicemente, una persona con cui
parlare, una persona che li sa ascoltare senza giudicare, senza correggere il
loro racconto volendoli riportare a tutti i costi nel mondo presente, una persona
a cui esternare il problema che crea loro angoscia o l’aneddoto che provoca
ilarità…. E, credetemi, è bello vederli ridere…..
Fernanda Anita P.
La signora Fernanda, è una piacevole ospite di 84 anni che, con un certo
orgoglio, definendosi istriana, ama sottolineare la sua provenienza da Pola; ha
accolto questi piccoli spazi tutti per noi, fatti di conversazioni, passeggiate ed
esercizi di “ginnastica per la mente” con entusiasmo e positività, in quanto li
considera “estremamente necessari per non invecchiare!”. Ama raccontare di
quando, da ragazzina, aiutava il papà, operatore cinematografico, a ribobinare
le pellicole dei film, stando così interi pomeriggi a guardare i film in voga in
quegli anni e sognando quegli attori belli e famosi, ma così irraggiungibili….
Il suo papà, violinista, le ha insegnato a suonare il pianoforte e, un giorno,
trovateci per caso nella sala polivalente della struttura in cui campeggia un
magnifico piano a coda bianco, si è accomodata sullo sgabellino e così, senza
spartito o quant’altro, ha iniziato a suonare un brano melodioso ed è stato
veramente emozionante vedere quelle dita, incurvate dall’artrosi, come, in
quell’occasione, volavano agili e veloci su quei tasti! Peccato che poi, quando
due giorni dopo le ho parlato di questo aneddoto, non si ricordava nulla…… ma
sicuramente, quell’attimo vissuto seduta al piano, l’ha riportata in mondo sereno
e felice che è stato e non sarà più….
Mi racconta con orgoglio dei sui figli, alle volte sono due, altre volte 3, due
maschi ed una femmina (come effettivamente sono), del suo negozio di radio e
televisori aperto con il marito una volta venuta a Torino, ma il suo racconto
preferito rimane comunque la sua vita da ragazzina, a Pola, insieme a mamma
e papà, per i quali dimostra un amore ed una gratitudine infiniti.
Ogni suo racconto è sempre molto ricco di particolari e sfumature, quasi a voler
rendere viva la situazione, ed anche le parole utilizzate sono ricercate ed
appropriate, questo, a suo dire “è dovuto a tutte le parole crociate che ho fatto e
che faccio durante il giorno!”
Donna Rosaria (Sara) A.
“Il mio nome, così particolare, piaceva molto al mio papà, è stato lui a volermi
chiamare così, ma io preferisco farmi chiamare Sara, io per tutti ora sono Sara”.
Così si è presentata Sara, una signora del 1930, la prima volta che ci siamo
conosciute. Passa il suo tempo a sfogliare e a leggere riviste, commentando
abiti ed acconciature; quando vede qualche ospite in difficoltà ha sempre una
parola di conforto o di incoraggiamento; Sara non si considera un’ospite della
struttura, ma si definisce “di passaggio”, in quanto vede la residenza come un
bar-ristorante dove lei passa abitualmente le sue giornate “bevendo e
mangiando addirittura senza pagare nulla!”; le piace molto parlare e raccontare
del suo passato, di quando, da ragazza, al suo paese, Laino Borgo in provincia
di Cosenza faceva la sarta; una volta sposata e trasferitasi a Torino, ha
continuato a cucire, ma in casa, anche perché è diventata mamma di Andrea, il
suo unico figlio; racconta sempre, con una punta
di orgoglio, che nel corso della sua lunga vita non
è mai stata ammalata, e, a parte qualche
influenza o qualche banale raffreddore, è sempre
stata bene, non è mai stata ricoverata in
ospedale, e questo, secondo lei, è dovuto al
fatto che ha sempre vissuto in modo salutare,
mangiando genuino e conducendo una vita
senza eccessi. Con la Sig.ra Sara ho avuto
tante piacevoli conversazioni, anche se molto
ripetitive, fatte di racconti di storia di vita e di
sereni e piacevoli ricordi. Ogni qualvolta le ho proposto qualche gioco o qualche
esercizio di stimolazione, diventando seria, mi diceva che non stava bene e che
le era venuto un forte mal di testa e che li avrebbe fatti un’altra volta, per cui, ho
preferito non insistere per non rischiare di turbare il suo equilibro e la sua
serenità.
CONCLUSIONI
Ogni anziano, ogni ospite di una struttura è un caso a sé ed il primo obiettivo di
chiunque lavori o entri in contatto con lui è cercare di recuperare la sua
individualità e la sua autostima, riscoprendo potenzialità e capacità che
sembravano essere scomparse con l’età ed il deterioramento psico-fisico.
L’anziano non è una candela che deve lentamente spegnersi, anzi, un anziano
ben integrato e vivo spiritualmente e psicologicamente, può portare ancora
molto fuoco ad altre persone. (Cavanna F. Fine serie).
L’invecchiamento non deve essere considerato solo ed esclusivamente un
processo patologico che causa perdite e mancanze, l’invecchiamento non è
una malattia, ma è una normale tappa della vita in cui l’anziano deve continuare
ad essere protagonista attivo della sua esistenza.
E’ stata proprio l’esperienza vissuta nelle due R.S.A. che, oltre ad essersi
rivelata per me molto positiva e completa, mi ha permesso di addentrarmi in
questa realtà, per me nuova, anche se non sconosciuta; il percorso svolto ha
fatto nascere in me la consapevolezza che all’interno di una struttura geriatrica,
la figura dello psicologo non può essere intesa come quella classica da
“manuale”, ma con gli ospiti, per lo più fragili o dementi, lo psicologo deve
essere in grado di modificarsi, di adattarsi sempre ad ogni nuova situazione,
diventando alle animatore o compagno di giochi, alle volte confidente dal quale
l’anziano si aspetta di ricevere una carezza ed una parola di conforto, senza
aver paura di perdere la propria professionalità; è proprio questo “sapersi
mettere in gioco” la chiave giusta che permette di entrare in relazione con tutte
le persone, sia con gli operatori stessi, ma soprattutto con gli anziani ospiti della
struttura, in quanto viene meno quella diffidenza e quella paura che alle volte la
figura dello psicologo può creare….”mica sono matto io??”…..
Il ruolo dello psicologo all’interno di una struttura geriatrica, come il ruolo di
qualsiasi altro operatore, è fondamentale se, e solo se, viene svolto in stretta
collaborazione e sinergia con le altre figure che operano all’interno della
struttura stessa, per tanto sono indispensabili e fondamentali
il dialogo, lo
scambio di opinioni ed il colloquio con tutti quelli che quotidianamente
interagiscono con gli ospiti; non è sufficiente la compilazione dei PAI o la lettura
delle consegne, ma O.S.S., fisioterapisti, infermieri, dottori ed animatori
dovrebbero avere un contatto costante, contatto che deve tassativamente
avere, come fine ultimo, il bene dell’ospite stesso.
In oltre, qualsiasi attività svolta all’interno della struttura non deve essere svolta
solo con gli anziani autosufficienti, in quanto molto più facili da gestire, ma deve
essere rivolta ad ogni ospite, coinvolgendolo e rendendolo partecipe; forse
l’esito del nostro gioco o del nostro lavoro non sarà “perfetto”, ma il nostro fine
deve essere quello di stimolare le capacità residue del singolo, per far si che
non vadano perse, in quanto sono proprie queste capacità che possono ancora
assicurare e garantire alla persona una propria dignità.
Inoltre, al di là del rispetto dovuto, fare sentire un anziano meno “invisibile”,
coinvolgendolo attivamente in un’attività semplice, o regalandogli anche solo un
sorriso e due parole significa concedergli un regalo immenso, che a noi costa
ben poco. Dovrebbe essere un’abitudine comune fare visita a chi è ricoverato in
ospedali ed ospizi, anche solo per portare un po’ di compagnia; è un esperienza
che arricchisce sia il paziente che il visitatore! Dovremmo imparare ad
esprimere il nostro affetto ai nostri anziani anche quando la mentalità retrograda
o le cose ripetute mille volte li rendono insopportabili. Un giorno potremmo
rimpiangere di non aver detto loro “ti voglio bene” una volta in più.
Proverbio senegalese
BIBLIOGRAFIA:
Ass. “Il Laboratorio” (2003) Palestra di vita Animazione psicologica nelle
residenze per anziani. Savigliano (CN): L’Artistica Editrice
Busato V., Bordin A. (2009) Guida pratica per la stimolazione cognitiva,
affettiva, relazionale delle persone anziane istituzionalizzate. Padova: Cleup
Cavanna F. (2002) Fine Serie Riflessioni sulla terza e quarta età. La Spezia:
Archetipi
Jones M. (1999) Gentlecare Un modello positivo di assistenza per l’Alzheimer
(L. Bartorelli, Trad.). Roma: Carocci Faber
Passafiume D., Di Giacomo D. (2006) La demenza di Alzheimer Guida
all’intervento di stimolazione cognitiva e comportamentale. Milano:
FrancoAngeli
Piumetti P. (2014) Vivere è un’arte Manuale di psicologia dell’invecchiamento.
Cantalupa (TO): Effatà Editrice
Quaia L. (2006) Alzheimer e riabilitazione cognitiva Esercizi, attività e progetti
per stimolare la memoria. Roma: Carocci Faber
Vigorelli P. (a cura di) (2004) La conversazione possibile con il malato di
Alzheimer. Milano: FrancoAngeli
Vigorelli P. (2008) Alzheimer senza paura Manuale di aiuto per i familiari:
perché parlare, come parlare. Milano: RCS Libri
Vigorelli P. (2011) L’approccio capacitante Come prendersi cura degli anziani
fragili e delle persone malate di Alzheimer. Milano: FrancoAngeli
Vigorelli P. (2012) Aria nuova nelle case per anziani Progetti capacitanti.
Milano: FrancoAngeli
Zanon A., Gentile A. (2011) La comunicazione con il paziente istituzionalizzato
Un’indagine. Milano: FrancoAngeli
http://www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2012/32/attach/dgr_
04248_070_30072012.pdf
RINGRAZIAMENTI:
Ed ora, giunta alla fine di questo mio percorso di studi, che ho sempre
scherzosamente definito “magnifica avventura”, vorrei ringraziare tutte le
persone, tra conoscenti ed amici, che mi sono stati vicini e che mi hanno
sostenuta ed accompagnata in questo viaggio.
Un grazie particolare va alla mia famiglia, che mi ha supportata e, alle volte,
ahimè, anche sopportata nei momenti di demoralizzazione!
A mio marito Alessandro, che ha sempre creduto in me e ha saputo infondermi
la consapevolezza di potercela fare che, ogni tanto, durante il percorso, mi è
venuta a mancare…
Un grazie alla mia mamma, che ha “sponsorizzato” la realizzazione di questo
mio sogno.
Un grazie va anche ai miei figli, Roberto e Luca, che sono stati sempre
orgogliosi della loro mamma, sperando di essere stata per loro un buon
esempio di determinazione e di vita.
Un grazie particolare va al mio relatore, il Prof. Cavanna, perché è proprio
grazie a lui che ho potuto conoscere ed entrare in contatto con un mondo
sconosciuto, fatto di persone speciali che hanno avuto il merito inconsapevole
di farmi vivere esperienze positive, fatte di emozioni e di sensazioni nuove e
profonde
che, indubbiamente, rimarranno per sempre conservate nel più
profondo del mio cuore.
Ed infine, un doveroso ringraziamento a tutti gli anziani che hanno
involontariamente contribuito alla realizzazione di questo elaborato, che mi
hanno permesso di fare la loro conoscenza, di ascoltarli ed osservarli durante i
colloqui avuti e gli esercizi svolti; e, soprattutto, mi hanno concesso di
avvicinarmi a loro, alla loro fragilità, lasciandomi entrare in punta di piedi nella
loro vita, nel loro mondo, nel quale mi sono lasciata trasportare con lo stupore e
la curiosità di una nuova Alice nel Paese delle Meraviglie…..
“So chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma da
allora devo essere cambiata diverse volte”
Lewis Carroll – Alice nel Paese delle Meraviglie
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