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N° 20 - Tracce d`Eternità

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N° 20 - Tracce d`Eternità
LA BIBBIA E GLI ALIENI:
MITOPOIESI MODERNA O NEO-EVEMERISMO SOSTENIBILE?
(TERZA E ULTIMA PARTE) DI FABIO MARINO
Anno V nr.
20
Tracce
La rivista elettronica del mistero
L’EVENTO DELLA LUCE
DEI FORI APICALI
DEL NURAGHE
RUJU DI TORRALBA
d’eternità
Questa rivista telematica, in formato pdf, non è una testata giornalistica, infatti non ha alcuna periodicità. Non può
pertanto considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Viene fornita in download gratuito solamente agli utenti registrati del portale e una copia è inviata agli autori e ai collaboratori. Per l’eventuale utilizzo di testi
e immagini è necessario contattare i rispettivi autori.
SIAMO DAVVERO LA PRIMA
CIVILTÀ AVANZATA
DELLA STORIA?
PIER GIORGIO LEPORI
CONFERENZA AM,
CIVITANOVA MARCHE
L’EGITTO PRIMA
DEI FARAONI
ILLUSIONE DI UN SUICIDIO
ROBERTO LA PAGLIA
VERITÀ CELATE
SUL FUHRER
ROBERTO BOMMARITO
LE FIRME PHILIP COPPENS, G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA), ROBERTO BOMMARITO, LUIGI MILANI, DANIELE IMPERI, M.BENEDETTA ERRIGO, ALEXIA BIANCHINI, PIER GIORGIO LEPORI (AM), ROBERTO
LA PAGLIA, ANTONELLA BECCARIA, ALESSANDRO DEMONTIS, ANDREA DELLA VENTURA, NOEMI STEFANI, FABIO MARINO, SIMONE BARCELLI E GIANLUCA RAMPINI
NUOVO INSERTO
Chimera
LE RECENSIONI
Daniele Imperi
LA STORIA CHE VERRA’
Simone Barcelli
IL PIÙ ANTICO
TEMPIO DEL MONDO
PHILIP COPPENS
I FILM MALEDETTI
M.Benedetta Errigo
LA NARRATIVA
presentata da Luigi Milani
Lo spazzino del
mietitore
un racconto di Alexia Bianchini
CONTENUTI
ARTICOLI
PAG.22 LA CREAZIONE DELL’UOMO DI ALESSANDRO DEMONTIS
PAG.25 VERITÀ CELATE SUL FUHRER DI ROBERTO BOMMARITO
PAG.33 L’EGITTO PRIMA DEI FARAONI DI ROBERTO LA PAGLIA
PAG.44 L’EVENTO DELLA LUCE DEI FORI APICALI DEL NURAGHE RUJU DI TORRALBA
DEL G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA)
PAG.55 IL PIU’ ANTICO TEMPIO DEL MONDO DI PHILIP COPPENS
PAG.62 SIAMO DAVVERO LA PRIMA CIVILTÀ AVANZATA DELLA STORIA? DI PIER GIORGIO LEPORI
CONFERENZA AM, CIVITANOVA MARCHE
PAG.69 KENNEDY, UN PRESIDENTE CONTRO LE BANCHE DI ANDREA DELLA VENTURA
RUBRICHE
PAG.
PAG.
PAG.
PAG.
PAG.
PAG.
PAG.
4
10
13
18
32
39
53
NOTE A MARGINE DI GIANLUCA RAMPINI
POLVERE DI SIMONE BARCELLI
LUCI DALL’OLTREVERSO DI FABIO MARINO
XAARAN DI ANTONELLA BECCARIA
NON PRENDIAMOCI SUL SERIO DELLA REDAZIONE
CONFESSO, HO VIAGGIATO DI NOEMI STEFANI
LIFE AFTER LIFE DI NOEMI STEFANI
Chimera
PAG.6
EDITORIALE
DI ROBERTO LA PAGLIA
PAG.74-75
LE RECENSIONI
DI DANIELE IMPERI
PAG.76
LA STORIA CHE VERRA’
DI SIMONE BARCELLI
PAG.79
POLVERE (PAG.10)
I LIBRI MALEDETTI
THE ANCIENT ALIEN QUESTION DI PHILIP COPPENS
IL LUNGO RACCONTO DELL’ORIGINE DI M.HACK, W.FERRERI E G.COSSARD
ANATOLIA DI ANDREA DE PASCALE
DROGHE TRIBALI DI GIORGIO SAMORINI
LE PORTE DELL’INFERNO DI LINCOLN CHILD
MELODIA DI DANIELE BONFANTI
DI M.BENEDETTA ERRIGO
PAG.83
LA NARRATIVA DI CHIMERA
LO SPAZZINO DEL MIETITORE
UN RACCONTO DI ALEXIA BIANCHINI
(PRESENTATO DA LUIGI MILANI)
QUESTA RIVISTA TELEMATICA, IN FORMATO PDF, NON È UNA TESTATA GIORNALISTICA, INFATTI NON HA ALCUNA
PERIODICITÀ. NON PUÒ PERTANTO CONSIDERARSI UN PRODOTTO EDITORIALE,
AI SENSI DELLA LEGGE N. 62/2001. VIENE
FORNITA IN DOWNLOAD GRATUITO SOLAMENTE AGLI UTENTI REGISTRATI DEL
PORTALE E UNA COPIA È INVIATA AGLI
AUTORI E AI COLLABORATORI. PER
L’EVENTUALE UTILIZZO DI TESTI E IMMAGINI È NECESSARIO CONTATTARE I RISPETTIVI AUTORI.
REDAZIONE
Gianluca Rampini [email protected]
Simone Barcelli [email protected]
Fabio Marino [email protected]
Luigi Milani [email protected]
Roberto La Paglia [email protected]
Traduzioni
Sabrina Pasqualetto [email protected]
Anna Florio [email protected]
Progetto grafico e impaginazione
a cura di Simone Barcelli.
Revisione testi a cura della redazione.
Antonio Nicolosi [email protected]
Germana Maciocci [email protected]
Carla Masolo [email protected]
TRACCE D'ETERNITÀ DA GENNAIO
2013 E’ IN EDICOLA: LEGGI
L’INSERTO DI VENTI PAGINE
ALL'INTERNO DEL MENSILE XTIMES,
EDITO DA XPUBLISHING.
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"Ho seguito, studiato e presentato quello che poteva essere il vero significato del 21 dicembre 2012:
trasformazione. Ma alla fine di novembre, non mi rendevo conto di quanto straordinario potesse essere
il mio futuro dopo il 2012... Nel mio caso, mi è stato diagnosticato un caso estremamente raro di tumore, l'angiosarcoma, che colpisce meno di 200 persone negli Stati Uniti... per me, questa diagnosi,
ha segnato un enorme campanello d'allarme... nessuno considera veramente prezioso ogni giorno come
dovrebbe essere... mi sono reso conto che, in qualche modo, quello che sto imparando in questo momento
temporale - tra livello mentale e terapie mediche - mi stanno offrendo spunti, intuizioni molto profonde
e potenti. In particolare, come i nostri antenati abbiano saputo guarire il corpo. E' buffo che stia imparando questa lezione in un letto d'ospedale a Los Angeles, mentre avrei dovuto essere in Egitto, visitando tutti questi siti. Ma prima, a quanto pare, forse la vera comprensione e la saggezza devono
essere così acquisite... Le conoscenze che ho acquisito in queste settimane sicuramente superano di gran
lunga qualsiasi cosa che la terra d'Egitto mi avrebbe dato... resto convinto che questa conoscenza sarà
quella che mi darà davvero il mio futuro... nella speranza che con solo un paio di giorni prima del 21
dicembre, la gente, attraverso la scelta, abbraccerà un cambiamento positivo nella propria vita per un
viaggio al livello successivo della loro missione, l'unica ragione per cui abbiamo scelto di incarnarci qui
in questo incantevole, pianeta d'acqua blu".
Ecco ciò che scriveva il ricercatore Philip Coppens sulle pagine del suo blog il 16 dicembre scorso, l'ultimo post poco prima di morire.
Ciao Philip.
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NOTE A MARGINE
DI GIANLUCA RAMPINI
TABÙ MEDIATICI
Rieccoci. In questo periodo
di fermento elettorale, non
ho potuto evitare di pensare
al futuro. In tutta franchezza
sono combattuto tra un ottimismo sostenuto dalle molte
brave persone che conosco e
un lugubre presagio rispetto
all’evoluzione della nostra
società. Non che questo dipenda da chi ha o non ha
vinto le elezioni. Succede ogni volta.
Il caos mediatico che si portano dietro, sondaggi farlocchi, insulti, brogli e affini tendono a farci dimenticare che
niente di ciò che conta si decide più a livello nazionale, o
più in genere, viene deciso
dai politici. In tutte le indagini sui complotti (chiamiamoli
intrighi per non urtare la
sensibilità di chi la parola cospirazione non la vuole sentire) si dice sempre di seguire
il denaro.
“Follow the money”. Al giorno d’oggi non è nemmeno
così difficile da fare. Ma pochi lo fanno. Frescobaldi, Rothschild, Amburgo, avete mai
sentito i nomi di queste famiglie al di fuori dei circoli cospirazionisti?
Ho invece recentemente letto un articolo su Nexus che
illustrava molto bene come
nelle principali banche e corporazioni, a livello mondiale,
molte delle persone che governano queste realtà siano
presenti in diversi consigli di
amministrazione e varie posizioni di potere. Vero, niente
di nuovo. Però sfugge il fatto
che ciò produce sostanzialmente un’unica frankisteiana
entità la cui enorme influenza sul pianeta produce una
massa dalla cui gravità è davvero difficile sfuggire.
Ora non mi aspetto che i media affrontino, neppure di
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striscio, questo genere di argomenti e francamente che
lo facciano o meno cambia
relativamente. Non spetta
più a loro la diffusione delle
notizie. Ne mi
aspetto che lo facciano i politici di professione. Non lo
hanno fatto nemmeno i rappresentante dei movimenti,
delle liste. Nessuno.
Sogno il giorno in cui un parlamentare, seduto in qualche
trasmissione a carattere politico, sorprendendo il conduttore dirà una cosa del tipo: “
Sono stato invitato al Bildberg e non ci sono andato”.
Oppure : “Ma lo sa che la
Banca d’Italia è un istituto
privato e che l’Italia compra
da lei i soldi pagando non solo i costi di lavorazione ma
anche il valore nominale delle banconote?” O ancora:
“Lo sa che tutti questi esponenti politici di differenti
schieramenti politici sono
membri della stessa loggia
massonica? E lo sa che per un
massone i valori massonici
vengo prima di tutto il resto,
compresa la difesa ed il reciproco aiuto tra fratelli massoni?” Per essere onesti fino in
fondo, devo menzionare che
l’unico politico ad averlo mai
fatto, riguardo la Banca
d’Italia, è stato Storace. E mi
costa ammetterlo, vi assicuro,
non condividendo con lui alcuna visione del mondo. Così
come fatico a nominare Ber-
ghezio che oltre ad aver sollevato al Parlamento Europeo il
tema del Bildberg ha persino
affrontato il tema degli Ufo,
aiutato da Massimo Teodorani che abbiamo intervistato
su uno dei primi numeri di
Tracce.
Dopo questi episodi, ricordo
ancora la faccia di Vespa che
arrancava non sapendo che
rispondere a Storace, nulla è
più passato sui media tradizionali né tra la parole di alcun politico, attuale o aspirante tale.
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Bene, detto tutto ciò, come lo
si collega a Tracce. Beh, innanzitutto perché di queste
cose noi parliamo e poi perché, volevo dirlo in realtà
all’inizio, Tracce è a prova di
crisi economica, essendo gratuita e digitale, costa solo il
tempo e la fatica di chi la realizza.
Giudicate voi il risultato. Buona lettura (e pensare che non
ho nemmeno accennato alle
“dimissioni” del Papa).
CHIMERA N.5 (FEBBRAIO 2013)
EDITORIALE
Roberto La Paglia
Volendo cercare un termine, una frase, che possa in qualche modo illustrare il mio stato
d’animo nello scrivere questo nuovo editoriale,
l’unica immagine che mi viene in mente è “…una
grande emozione…”.
Lungi dal voler trasformare questo spazio in una
occasione per dare sfogo ai miei sentimenti, resta il fatto che questo nuovo numero di Chimera
vede la luce sulla scia di tante forte emozioni che
hanno caratterizzato il suo recente percorso, oltre che lo scenario degli ultimi avvenimenti relativi non soltanto al mondo dei misteri.
La prima novità in assoluto, della quale vi sarete
ovviamente già accorti, è che da questo mese
Chimera (da pag. 73 in poi) assume il ruolo di
allegato a Tracce, la “rivista madre” che, grazie
al vostro affetto e alla vostra sempre costante
attenzione, riscuote da anni il plauso di un numero sempre più crescente di lettori.
Un valore aggiunto, quindi, per tutti i suoi collaboratori, ma anche un cambiamento propedeutico ad una altrettanto importante novità, mi riferisco alla nuova collaborazione con la rivista X
Times.
Si tratta di un traguardo importante, frutto del
lavoro e del grande senso di partecipazione che
contraddistingue tutto lo staff di Tracce; mensilmente X Times proporrà alcuni articoli estratti
dalla rivista digitale, presentandoli ai lettori con
una nuova veste grafica, una sinergia che segna
un importante passo in avanti nel campo della
divulgazione.
A questa emozione si aggiunge lo struggente ricordo del compianto Philip Coppens, il cui volto
appare proprio in apertura, subito dopo un ultimo pensiero affidato alle pagine del suo blog
prima di lasciarci prematuramente.
Mi piace estrarre questo piccolo passaggio
dall’annotazione di Philip: “…nessuno considera
veramente prezioso ogni giorno come dovrebbe
essere…”.
In una semplice frase l’essenza di quello che dovrebbe essere un pensiero globale, una attenzione quotidiana alla quale nessuno di noi dovrebbe sottrarsi; ogni giorno è prezioso, così come
preziosi sono tutti i singoli attimi che lo compongono, lo stupore di una scoperta, quella sana
curiosità che ci pervade, che ci spinge a volerne
sapere di più, a confrontarci con l’ignoto, quel
ragionevole dubbio che ci porta a varcare i confini della conoscenza dogmatica, a sperimentare
la vita come parte unica e inscindibile di uno
scenario molto più ampio e ancora, in gran parte, inesplorato.
Questo mese, ancor più che nelle edizioni precedenti, Tracce/Chimera ha voluto farsi carico di
queste emozioni, e non soltanto da un punto di
vista strettamente sentimentale; non potevamo
non farci carico di quella che è una vera e propria responsabilità, di quell’augurio sentito, reclamato, ormai necessario per l’umanità intera,
che Philip Coppens riassume in queste semplici
e toccanti frasi: “…abbraccerà un cambiamento
positivo nella propria vita per un viaggio al livello successivo della loro missione, l'unica ragione per cui abbiamo scelto di incarnarci qui
in questo incantevole, pianeta d'acqua blu".
Proprio seguendo questa traccia abbiamo cercato di dare il massimo, sia come contenuti che
graficamente, provando ancora una volta a non
solleticare soltanto la pura e semplice voglia di
leggere, di incamminarsi tra i misteri di questo
pianeta, ma sforzandoci di non perdere di vista
l’anima, quel misterioso intreccio di energie,
sensazioni, emozioni e turbamenti che caratterizza l’individualità di ogni essere umano.
Il nuovo percorso sarà aperto dalle preziose Note a Margine di Gianluca Rampini, note che ci
introdurranno ad una interessante galleria di
libri magistralmente curata da Simone Barcelli,
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galleria nella quale non poteva mancare “The
Ancient Alien Question”, il volume di Philip
Coppens dato alle stampe nel 2011, insieme ad
altre proposte che, certo, non mancheranno di
stupirvi.
Continuando su un percorso di grande attenzione ai contenuti, la terza ed ultima parte dello
studio di Fabio Marino sul tema Bibbia e Alieni,
sarà di certo, e per lungo tempo, argomento di
confronti e dibattiti, uno scenario di confronto
aperto a tutti coloro che, oltre ogni preconcetto
o facile presa di posizione, desiderano realmente
osservare i termini della questione da ogni possibile punto di vista.
Se finito di leggere questo importante contributo, e incontrando il titolo del prossimo articolo,
vi troverete a pensare di essere ancora in un remoto passato, sarete subito costretti a ricredervi; quando ci si ritrova a navigare sospinti dai
venti generati dall’enigma e dal mistero, il tempo cessa di esistere, e su tutto domina la maschera immutabile dell’ignoto.
Proprio per questo Xaaraan, la rubrica curata
dalla giornalista Antonella Beccaria, non deve
trarvi in inganno; ci troviamo in tempi molto più
vicini alla nostra epoca, ma non per certo meno
bui. Nessun nome fantasioso di alieni, oppure di
mitiche civiltà perdute; Xaaraan è in realtà un
termine di origine somala che indica ciò che è
oscuro, nascosto, qualcosa che va contro la legge
dell’uomo o di Dio; proprio in tal senso non poteva trovarsi miglior combinazione di intenti,
visto che l’articolo ci porterà indietro di circa 43
anni, ai tempi della strage di Piazza Fontana…
ma non soltanto… e forse ho già detto troppo, in
poche parole un articolo da non perdere e conservare gelosamente.
A ritornare indietro nel tempo ci penserà Alessandro Demontis e la sua approfondita indagine
sui miti babilonesi relativi alla nascita
dell’uomo.
Rimbalzando ancora una volta in questa ipotetica macchina del tempo, sarà Roberto Bommarito a condurci lungo uno dei percorsi più oscuri e
intricati della storia, sulle tracce delle verità celate in merito alla morte di Adolf Hitler.
L’Egitto prima dei Faraoni, un mio modesto
contributo a Tracce/Chimera, fungerà invece da
intermezzo, una parentesi misteriosa oltre la
quale partiremo per un viaggio abbastanza atipico; la destinazione sarà Londra, mentre la nostra compagna di viaggio sarà Noemi Stefani,
autrice già conosciuta e apprezzata dai lettori di
Tracce (è in download un suo interessante ebook
dal sito della rivista), presente anche questo mese su Tracce/Chimera con “Life After Life”, un
contributo che vi consiglio caldamente di leggere.
Due le ricerche di ampio respiro per quanto riguarda il tema Archeologia: un approfondito
studio del Gruppo Ricerche Sardegna (G.R.S.)
sugli strani eventi della luce dei Fori Apicali del
Niraghe Ruju di Torralba, e una splendida traduzione di Ario Liberti dell’articolo di Philip
Coppens riguardante i numerosi misteri del sito
di Göbekli Tepe, in Turchia.
Subito dopo il reportage relativo a “La perduta
tecnologia delle antiche civiltà”, conferenza tenutasi nel dicembre 2012 a Civitanova Marche,
sarà computo di Andrea Della Ventura riportarci
ai nostri giorni con una serrata indagine su John
Fitzgeral Kennedy, la sua lotta contro le banche,
e i misteriosi avvenimenti che ne conseguirono.
Coronano questo nuovo numero (entrando
nell’inserto Chimera) le ormai indispensabili
recensioni di Daniele Imperi, un coinvolgente
racconto di Alexia Bianchini, presentato da Luigi
Milani nella sezione Narrativa, una inquietante
sequenza di notizie sui Film Maledetti curata da
M. Benedetta Errigo, e quello che è ormai un
classico appuntamento, ovvero l’annotazione di
Simone Barcelli che, per “La Storia che Verrà”,
ci introdurrà nel misterioso scenario di Nabta
Playa.
Cento pagine, tanta passione e tanta voglia di
ricominciare; Marcel Proust scriveva: “…il vero
viaggio di scoperta non consiste nel cercare
nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi...”, ed è
proprio con questo augurio che vi lascio alla lettura di questo nuovo numero di Chimera,
l’augurio che si riesca ancora ad osservare e non
soltanto a guardare, che si pensi al cambiamento
come a qualcosa che deve prima iniziare da ogni
singolo individuo, per poi espandersi a macchia
d’olio in tutto il pianeta.
Se per un attimo il frutto del nostro lavoro vi ha
intrigato, stupito, se è riuscito a sollevare quel
piccolo, ragionevole dubbio, sul quale si fonda
ogni sano confronto e ogni nuova ricerca che
possa in qualche modo allargare i nostri orizzonti visivi e intellettuali, se siamo riusciti ad accendere la scintilla di un proficuo confronto, abbiamo in parte assolto al nostro compito, quello di
rendere indimenticabile uno dei tanti momenti
di un altrettanto indimenticabile giorno.
Buona lettura.
7
Online il primo numero di SIGNS Magazine; si potrà scaricare dal sito
http://signs.orizzonteassoluto.info/ o leggere
nella versione flip o attraverso Calameo.
Presto sarà disponibile anche negli altri siti e blog
aderenti.
Sommario del numero 1:
Editoriale
Ufo & Cover Up: il gioco delle verità
Roberto La Paglia
All that glitters is not gray
Albert S. Rosales
A new world view
Paola Leopizzi Harris
Ufo in Sardegna – Cronaca di un avvistamento
Gabriele Lombardo
Linea di Confine
Rubrica a cura di Fabio Marino
Il mito di Osiride e la mummificazione: tecniche
rianimatorie dimenticate?
Le inesplicabili linee di Nazca
Enrico Vincenzi
Il diabolico progetto Monarch (prima parte)
Fabrizio Rondina – Franco Bertelegni – Luana Baldrighi
Segnali in libreria
Simone Barcelli / Fabio e Marco Garuti
Signs Movie
Vitriol
Ufo Vintage
la foto dei coniugi Trent
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9
POLVERE
DI SIMONE BARCELLI
Philip Coppens era un’apprezzato
autore di politica e storia alternativa.
Avrebbe compiuto 42 anni il 25 gennaio ma un male incurabile se l’è portavo via prima, il 30 dicembre 2012.
Scriveva per le riviste Nexus, Atlantis
Rising, Legendary Times e tante altre.
In Italia, a parte l’edizione nostrana di
Nexus, i suoi studi sono apparsi su
Hera e Fenix. E scriveva libri, undici in
tutto: in Italia è stato pubblicato solo
“L'Enigma di Rosslyn”, Età dell'Acquario Edizioni, 2005. Molti di voi lo ricorderanno protagonista nel recente
documentario di History Channel
“Ancient Aliens: The Series”.
Fin da giovane Coppens s’interessò
all’opera dello storico Marcel Mestdagh (che teorizzava come molti
monumenti megalitici potessero rappresentare un complicato sistema
stradale, costruito sulla circonferenza
degli ovali, con al centro l'antica città
francese di Sens), sostenendo che
Atlantide era il fulcro di una remota
civiltà megalitica.
La sua curiosità d’investigatore lo
condusse a scrivere controcorrente
anche dell’assassinio di Kennedy.
Una delle sue ricerche più apprezzate
rimane comunque quella dedicata
alla cappella scozzese di Rosslyn, soprattutto in rapporto con la massone-
ria e i Templari.
Tra gli ultimi lavori di Coppens c’è
The Ancient Alien Question, uscito
nel 2011 per New Page Books (13,12
$, Kindle Edition 10,99 $), in cui
10
l’autore indaga presunti contatti alieni nel nostro passato. Un libro (in inglese) da leggere senza preconcetti,
scritto da chi sicuramente ora ne sa
più di noi.
Andrea De Pascale ci presenta Anatolia Le origini, edito da Oltre Edizioni (ottobre 2012). È un libro appassionante, ben scritto e ancor più documentato, che ci permette di scoprire con l’autore una terra che cela
ancora molti enigmi, se non anche
l’origine della civiltà come la possiamo intendere oggi. De Pascale è uno
stimato archeologo, Conservatore
del Museo Archeologico del Finale,
che ritroviamo ogni mese anche sulle pagine della rivista Archeo.
Quattrocento pagine da consultare
alla bisogna e senza fretta, come
fosse una piccola enciclopedia del
Il lungo racconto dell’origine (I gran- mondo antico anatolico. Assolutadi miti e le teorie con cui l’umanità
mente da non perdere (nonostante
ha spiegato l’universo), edito da Da-
il costo quasi proibitivo, 29,90 €), da
lai nel novembre 2012, porta in co-
conservare gelosamente in libreria
pertina la prestigiosa firma di Mar-
assieme a Costruirono i primi Tem-
gherita Hack, coautrice con Walter
pli di Klaus Schmidt (dello stesso
Droghe tribali (shake edizioni, 2012,
12 €) è l’ultimo, agile saggio proposto
da Giorgio Samorini, stimato ricercatore bolognese in esilio a Siviglia.
Cento pagine che volano via in una
Ferreri e Guido Cossard. Non sappia- lungimirante editore), anche perché
piacevole lettura, scritte da un etnomo quale sia stato l’apporto
gli unici volumi (accademici ma non botanico specializzato sulle droghe
dell’astrofisica in questo lavoro
pedanti) in italiano dedicati a Gobe- usate dalle popolazioni tribali. Samo(forse solamente il nome in coperti- kli Tepe e dintorni.
rini è ben conosciuto anche in rete
na) che promette più di quel che
(abbiamo pubblicato un suo studio
mantiene.
sul numero 4 del magazine Chimera)
È un libro anomalo per una serie di
e il suo sito ospita fra l’altro numeroevidenti circostanze: l’editing pare
se opere (anche di altri autori) che si
approssimativo (si andava di fretta
possono scaricare gratuitamente.
per le strenne natalizie?), manca
L’autore si distingue per una scrittura
completamente una bibliografia di
mai pesante con cui racconta le sue
riferimento e non si comprende chi
esperienze sul campo e per la ricerca
dei tre autori abbia scritto i vari capi-
spasmodica (in senso buono) delle
toli (così vale anche per la prefazio-
fonti da cui attinge per le sue ricer-
ne). Sinceramente un’occasione
che, davvero uniche e fuori da ogni
sprecata, si poteva fare di più anche
schema precostituito. Un libro ricco
per il costo al pubblico del volume
di curiosità che non troverete in altre
(16,50 €). Da leggere con riserva.
pubblicazioni e che non mancherà di
stupirvi. Da leggere e rileggere.
11
Chiudiamo questo primo appuntamento di Polvere annotando anche
due romanzi.
Il primo è firmato da Lincoln Child,
autore di successo anche in coppia
di sua moglie Neithotep, una miste-
che porto ancora addosso le cicatri-
riosa figura che ancor oggi fa impaz- ci.
zire gli studiosi di cose antiche.
Una grande prova di scrittura (e di
Da leggere, magari perdendo qual-
precisa documentazione storica) che
che ora di sonno. Ne vale la pena.
fa di Bonfanti uno dei pochi romanzieri a cui sono particolarmente affe-
con Douglas Preston, che stavolta
zionato (essendo io, notoriamente,
presenta Le porte dell’inferno
un divoratore di sola saggistica).
(Rizzoli, ottobre 2012, 18,50 €).
Un omaggio dovuto, soprattutto og-
Un thriller che mescola sapiente-
gi che Edizioni XII ha deciso di inter-
mente l’archeologia con il paranor-
rompere le pubblicazioni, perché
male, per una lettura tutta d’un fiato
Bonfanti era uno dei dodici fondato-
che ci porterà, pagina dopo pagina,
ri della Casa Editrice.
emozioni a catena, con l’alternarsi di
Inseguendo un sogno, senza per for-
personaggi ben delineati in cui po-
za inseguire il lettore.
tremo di volta in volta facilmente (e
Questo mi è rimasto di XII.
felicemente) immedesimarci: un ma-
Oltre naturalmente agli incubi di
gnate alla ricerca di tesori perduti,
Melodia, un romanzo che consiglio a
un investigatore dell’incubo, un me-
chi voglia intraprendere un percorso
dico che svolge esperimenti di pre-
interiore simile al mio.
morte sui pazienti (compresa la moglie) e una giovane archeologa che
cerca l’impresa, giusto per citare i
L’altro romanzo è Melodia di Danie-
principali protagonisti del romanzo.
le Bonfanti, edito nel 2010 da Edi-
E poi, tra le righe, il periodo predina- zioni XII (15 €). Sono particolarmenstico, o quasi, con quel Narmer unifi- te legato a questa Casa Editrice percatore dell’Alto e del Basso Egitto, e ché ho avuto il piacere immenso di
collaborare con XII, seppur brevemente, anche nella selezione di testi
inediti.
Prima ancora mi sono dilettato nel
recensire alcuni dei volumi editati da
Edizioni XII tra il 2007 e il 2012, e tra
questi quello che mi ha maggiormente impressionato è stato proprio
Melodia di Bonfanti.
Ancor oggi ricordo la recensione che
feci a questo romanzo, quasi di getto, preso da un misterioso demone
che pareva scrivere al mio posto.
Beh, leggendo Melodia ho avvertito
sensazioni così forti e contrastanti
12
Daniele Bonfanti, uno dei fondatori di Edizioni XII
LUCI DALL’OLTREVERSO
DI FABIO MARINO
LA BIBBIA E GLI ALIENI
MITOPOIESI MODERNA
O NEO-EVEMERISMO
SOSTENIBILE?
TERZA E ULTIMA PARTE
DISCUSSIONE GENERALE E CONSIDERAZIONI FINALI
Ci eravamo lasciati, nella seconda
parte, con alcuni problemi relativi
all’origine della “fusione” di El e
YHWH nell’unica divinità nazionale
degli Israeliti. Ora, è necessario
chiudere la questione, almeno per
quanto ci riguarda. Prima, però,
vorrei fare una brevissima considerazione in relazione alla vexata
quaestio di Elohim, già discussa nella parte precedente: quando si cita
l’episodio di Cristo che “cammina
sulle acque” del lago (Figura 1),
parliamo di “acque” in senso plurale, oppure è semplicemente un modo di dire? Non credo che sia necessaria una risposta …
Il problema di El/YHWH, complicato
dai numerosi attributi del primo
(due per tutti, El Elyon, cioè
l’Altissimo, e El Shaddai o Saddai,
probabilmente “Signore della Montagna” –ma esistono numerose altre declinazioni del sostantivo El) si
osserva anche nella Bibbia, dove,
com’è noto, esistono almeno quattro “codici” letterari: E, J, P, D. Stiamo parlando della cosiddetta
“ipotesi documentale”, secondo cui
la Bibbia fu scritta, riveduta e corretta (come appare ragionevole ed
ovvio) in diversi periodi e da diversi
Autori.
Ora, se il neo-evemerismo di taluni
fosse adeguato a rappresentare correttamente la realtà, ci si aspetterebbe, naturalmente, che la fase E
(Elohista), quella, cioè, in cui il nome di Dio è El o Elohim, fosse la più
antica. In fondo, “gli” Elohim sarebbero prima giunti sulla Terra, e solo
dopo uno di loro (YHWH o Jahvè, da
Figura 1
13
Figura 2: una Bibbia ebraica
cui la tradizione J o Jahvista) si sarebbe messo a capo del popolo ebraico: pare ragionevole, non è vero? E invece, la tradizione più antica è quella del codice J, risalente
almeno all’XI-IX secolo a.C. Il codice
E risale, a quanto sembra, “solo”
all’VIII secolo a.C., ed è caratteristico del Regno di Israele (quello settentrionale, figura 3), la parte della
nazione ebraica più propensa
all’adorazione di altri dei, non fosse
atro che per la forte influenza del
potentissimo vicino assirobabilonese, e tanto prona
all’allontanamento dalla tradizione
religiosa monolatra/monoteista, da
essere il principale obiettivo delle
invettive di quasi tutti i profeti, a
cominciare da Osea.
In più, esistono numerosi indizi di
una sostanziale identità (anche etimologico-semantica) fra El e Baal, il
vituperato dio fenicio-canaaneo. Gli
altri due codici (di minore importan-
dotale (P sta per “Priestercodex”),
che raccoglie testi anche molto antichi, ma sviluppati solamente in epoca post-esilica (successivamente,
quindi, al 587 a.C.). Che significato
ha tutto ciò? Diciamolo in estrema
sintesi (lo spazio è tiranno):
dall’Egitto non vi fu alcun esodo,
come confermato da numerosi ritrovamenti archeologici. Per lo meno, non nel senso che noi attribuiamo all’esodo. Infatti, sembra che
gruppi isolati di quelli che sarebbero
divenuti successivamente “gli Ebrei” (e, quindi, tribù canaanee) si
siano stabiliti per un certo periodo
(pari a forse uno o due secoli al
massimo) nel Basso Egitto. La guida
di Mosè, vissuto per lungo tempo in
territorio madianita (figura 4), aFigura 3: I due regni di Israele e di Giuda
vrebbe ricondotto questi individui
(coesistenti dal 933 al 722 a.C.)
(valutabili in qualche migliaio, non
za in questa discussione) sono il
certamente nel numero spropositaDeuteronomista (guarda caso, pre- to riportato dalla Bibbia, pari, solo
valente nelle scritture originarie del per i maschi, a 650.000 …) nella pameridionale Regno di Giuda, e base tria originaria, nel segno di una
per la profonda revisione
“ricongiunzione” e di una fede unifimonolatrico/monoteista operata
cante: quella in YHWH, che poi,
dal re Giosia nel 621 a.C.) e il Sacer- “generally speaking”, si fuse con
Figura 4: Il territorio della terra di Madian
quella, tutta canaanea, del Dio unico chiamato El/Elohim, nei limiti di
cui si è detto sopra. Resta da stabilire donde venga fuori “YHWH”. Un
abbozzo di spiegazione c’è già nella
parte precedente; ma ora entriamo
(perché è importante, ai fini della
nostra indagine) un po’ più in dettaglio, confortati anche dai ritrovamenti archeologici.
Si dà il caso, in effetti, che il nome
YHWH (la cui vocalizzazione è sconosciuta, in realtà, ma è comunemente accettata come "Jahvè") non
viene mai trovato nei testi e nelle
storie canaanei, per cui nasce naturale la domanda di sapere donde
abbiano derivato il loro Dio gli Israeliti. La ricerca archeologica delle origini di questa divinità conduce, inevitabilmente e piuttosto sorprendentemente, di nuovo nella culla di
tutte le civiltà: l'Egitto. A Karnak,
infatti, esistono numerosi bassorilievi che celebrano le vittorie del
noto faraone Seti I, padre del grande Ramsete II. Ebbene, in una di
queste opere celebrative, si ricorda
la schiacciante vittoria del sovrano
egizio sul popolo degli Shasu. Shasu
è un termine dell'antico egizio usata
per indicare popolazioni nomadi
dell'area palestinese. Questa parola, evolutasi a partire dal verbo
š3š(w)
(il cui significato letterale è
"muoversi a grandi passi"), compare
a partire dalla XVIII dinastia e rimane in uso fino al terzo periodo intermedio (1550 a.C. - 750 a.C.), indicando esplicitamente uno stile di
vita caratteristicamente nomade.
Ora, le ricerche archeologiche hanno permesso di appurare che la zona di origine in cui con un elevato
indice di probabilità erano presenti
gli Shasu era situata in quella che la
14
Bibbia chiama "Madian", ovvero una
zona posta al confine fra la moderna
Giordania e l'Arabia Saudita (figura
4). Capoluogo di questa popolazione era una località conosciuta con il
nome di YHW, forse non troppo casualmente; dove, nemmeno in questo caso troppo casualmente,
“teneva famiglia” Mosè: la moglie
Sippora (o Sefora), i figli Ghersom e
Eliezer, il suocero e sacerdote Ietro;
e sempre per caso –suppongo- è
proprio nel territorio di Madian che
avviene la teofania del roveto che
“ardeva e non si consumava”. Cosa
può dunque essere accaduto? E, soprattutto, la moderna archeologia
permette o no di stabilire se un esodo dall'Egitto alla Terra Promessa è
avvenuto veramente? Qual è il significato dell'esistenza di una località
con un nome così simile a quello
della Tetragramma ebraico?
Per la prima volta il termine compare in una lista risalente al XV secolo
a.C. riportante un elenco di popolazioni stanziate grosso modo
nell’attuale Transgiordania. In questa lista, uno dei territori occupati
dagli Shasu è indicato come "YHW,
nella terra degli Shasu". Esistono
diverse iscrizioni di origine nubiana
attribuibili alla XVIII e XIX dinastia in
cui è presente la frase “Shasu di
YHW”. Un bassorilievo di Amrah
può essere attribuito al periodo del
regno di Seti I (fine del XIV-inizio del
XIII secolo a.C.), mentre l’iscrizione
probabilmente più antica è databile
alla metà del XIV secolo, quindi al
regno di Amenofi III (anche qui,
suppongo sempre per caso, si verifica un’altra straordinaria circostanza:
Amenofi III è il padre di Amenofi IV,
il faraone eretico più noto come Akhenaton, primo monoteista della
storia…). La sua origine è il tempio di
Amon di Soleb:
t3 š3 sw y h wa (w) - ta Shasu Yehwa (Yehwa
della terra degli Shasu).
Figura 5: Karl Popper, filosofo della Scienza
Gli studiosi più cauti rimangono
pressoché in stallo tra l’idea che una
tribù edomita fosse seguace del Dio
YHWH oppure che, per pura coincidenza, il nome di una tribù sia pressoché identico a quello del Dio degli
ebrei. Ovviamente, esiste, sotto il
profilo squisitamente teologico e
religioso, una terza possibilità: e cioè che il Dio degli Ebrei si sia manifestato per la prima volta proprio in
quel di YHW, mutuandone il nome;
oppure, colà manifestatosi e rivelatosi, abbia conferito il Suo nome alla
località.
Sia come sia, gli studi più recenti
sembrano aver acclarato, oltre ogni
ragionevole dubbio, che nessuna
invasione della Palestina a danno
dei Canaanei abbia mai avuto luogo;
ad esempio, la città di Azor sembra
essere caduta sotto i colpi di una
rivoluzione interna, non di un attacco esterno. Ma di questi argomenti,
semmai, parleremo un’altra volta;
qui è necessario solo sottolineare
l’aspetto sincretistico della religione
El/YHWH: un solo Dio, più nomi, per
coniugare tradizione e rivelazione
mosaica.
Ed eccoci, infine, giunti al punto focale della discussione
sull’insostenibilità della stravagante
e poco originale “ipotesi” neo15
evemerista di tanti Autori, attuali o
passati. Intanto, bisogna precisare
che stiamo parlando semplicemente
di una ipotesi. Un'ipotesi è un'idea
provvisoria il cui valore va accertato. L'ipotesi richiede quindi uno sforzo da parte dei ricercatori per confermarla o negarla, anche in assenza
di dati sufficienti. Così, se io affermo
che nella Via Lattea esistono 100
diverse civiltà, sto formulando una
ipotesi, non una teoria. Una teoria,
secondo la filosofia della Scienza, è
un insieme collegato di ipotesi, enunciati e affermazioni aventi
l’obiettivo, in generale, di spiegare
un fenomeno o un’osservazione,
oppure di formulare in maniera rigorosa, sistematica ed obiettiva i principi di una disciplina. Una teoria, per
avere una valenza scientifica, deve
essere falsificabile: si deve potere,
cioè, ideare un esperimento che ne
sancisca la non validità, come Karl
Popper lucidamente indica.
Già da queste semplici definizioni si
comprende bene, direi, che nella
discussione in corso non vi è assolutamente nulla di “teorico” in senso
scientifico, ma solo ed esclusivamente un atteggiamento di fede in
argomentazioni non suscettibili di
falsificazione. Stiamo, insomma, parlando di fede! Ma v’è di più. Ammet-
Figura 6: la locandina del film “Stargate”
tiamo, come ipotesi (!) di lavoro, che
la traduzione neo-evemerista della
Bibbia (errata in più punti, come abbiamo brevemente dimostrato) rappresenti una teoria, e che dunque
“gli” Elohim siano alieni, che la Bibbia racconti di un’invasione aliena o
giù di lì, che YHWH fosse uno degli
alieni “conquistatori”.
Una teoria che si rispetti deve poter
fornire risposte e previsioni, in relazione al suo proprio enunciato. Non
si può, insomma, dire: “Per me è
così, ed è così fin qui; il resto vedetevelo voi”. Quindi, la “teoria” neoevemerista dovrebbe rispondere
con un certo grado di ragionevolezza, per non essere catalogata come
una mitopoiesi moderna di probabile ispirazione hollywoodiana, ad
una serie di problemi:
1 – da dove venissero tali alieni; 2 –
perché siano venuti sulla Terra; 3 –
come mai non se ne trova traccia
nei testi e/o nei miti dei popoli cir-
cumvicini, come gli Egizi
(probabilmente i più “interessati” ai
fatti); 4 – quando sarebbero avvenuti tali accadimenti; 5 – come mai
se ne sarebbero improvvisamente
andati. Mi fermo a queste sole domande, alle quali la Bibbia (tradotta
letteralmente o no, e secondo qualunque codice si voglia utilizzare)
non dà alcuna risposta. Faccio notare, però, che appare quanto meno
arduo insistere su certe idee, soprattutto in relazione ai punti 3 e 4.
Infatti, abbiamo visto che la stesura
pressoché definitiva della Bibbia
avviene intorno al VI secolo a.C.
Ora, certamente essa è stata preceduta dalla trasmissione orale per
parecchie generazioni. Non possiamo quantificare per quanto tempo;
ma possiamo azzardare una valutazione. Accettiamo come sufficientemente accurata, per quanto riguarda la nascita dei primi racconti biblici (e quindi del molto presunto con16
tatto alieno), una quadruplicazione
rispetto al VI secolo? Arriviamo alla
metà del II millennio a.C., la data
ufficiale, più o meno, della costruzione delle piramidi di Giza. Aggiungiamo, per eccesso di scrupolo, un
altro mezzo millennio, e stabiliamo
così che intorno al 3.000 a.C. i progenitori degli Ebrei ebbero questo
famigerato (più che famoso…) contatto con YHWH l’alieno. Stiamo
parlando dunque –forse non è ben
chiaro- della trasmissione orale, da
parte di un’entità che non era ancora né popolo, né nazione, né stanziale (ma, anzi, del tutto scollegata e
divisa) di uno o più racconti per la
bellezza di circa CENTO generazioni.
Davvero si può pensare di prendere
alla lettera (anche se poi non lo fa
nessuno, neanche i proclamatori
della letterarietà del complesso biblico…) una serie di racconti distorti,
deturpati e modificati per cento generazioni? E dove sono i segni degli
alieni in Kemet, l’antico Egitto, che
già all’epoca ipotizzata vantava un
consolidato sistema religioso, uno
stato centralizzato già “vecchio” di
quasi 200 anni, e oltre 1.500 anni di
documentata storia e protostoria
predinastica?
Un ulteriore, breve aneddoto. In una
cronaca leggiamo, testualmente:
“Poi, avendo già compiuto molte
opere immortali, mentre insegnava
(omissis), eccoti con grande strepito
e rimbombare di tuoni che
un’improvvisa tempesta con una
nebbia densissima lo cinse e lo coprì, tanto che a tutti gli astanti in
seguito non riapparve più”. Sembra
qualcosa di deja vu, non è vero?
Qualcosa che i neo-evemeristi indicherebbero apoditticamente come
l’ennesima prova del potere
dell’alieno YHWH, insieme al
“rapimento” di Elia o alla nota visione di Ezechiele, giusto? Oltre tutto,
secondo qualche laico e libero pensatore YHWH non era altro che il dio
della tempesta: che meravigliosa
circostanza! Invece, nulla di più sbagliato! Infatti, ferma restando la
possibile valenza clipeologica del
brano riportato, esso non fa parte
di alcun episodio biblico. Si tratta,
molto più “semplicemente”, del resoconto della salita al cielo, fra gli
dei, di Quirino, più noto con il suo
nome di mortale: Romolo. Parliamo,
quindi, di tutt’altro contesto, e di
tutt’altra epoca (705 a.C. circa). Come la mettiamo? Non è forse meglio
ipotizzare una sorta di archetipo comune a molte culture, anziché scomodare indimostrabili azioni da parte di alieni (di cui, a maggior ragione, non si comprende il significato)?
Insomma, per il disdoro dei sostenitori, sembra proprio che l’ipotesi
neo-evemerista, da qualunque parte
la si guardi, faccia acqua da ogni dove, e rappresenti nulla di più che
una forma di mitopoiesi del giorno
d’oggi: folklore urbano, in altri termini. Senza contare un’acuta osservazione di una mia corrispondente
di Facebook: quella che viene spacciata come una ricerca frutto del
libero pensiero appare, in realtà,
come il riconoscimento, oserei dire
masochistico, di un’Umanità che
non è affatto libera, ma che nasce
schiava di crudeli manipolatori tecnologici e genetici senza scrupoli, e
che tale viene lasciata, senza neppu17
re la speranza di conquistare la libertà. Se si pensa, poi, che un gigante come Galileo, padre fondatore
della Scienza moderna e del metodo
scientifico, affermò: “Nella Bibbia il
Signore ci vuole rivelare come si
vada in Cielo, non come vada il cielo” (Lettera a Cristina di Lorena, in:
Le opere di Galileo, Firenze 1985, V,
319), si capisce bene quanto grande
sia la presunzione di volere eguagliare, senza averne le capacità e la
straordinaria grandezza, uno dei veri
miti dell’era moderna, il primo traghettatore dell’Uomo verso la Scienza con la “S” maiuscola.
Bibliografia essenziale e minima (oltre
la Bibbia, ovviamente…):
Akhenaton, il Faraone del Sole, Cyril
Aldred, Newton Compton, 1988;
Har Karkom – Montagna sacra nel deserto dell’Esodo, Emmanuel Anati, Jaca
Book, 1984;
Il Libro dei Prodigi, Giulio Ossequente,
Corrado Tedeschi Editore, 1976;
La Bibbia senza segreti, Flavio Barbiero,
Profondo Rosso, 2010;
L’evoluzione di Dio, Robert Wright,
Newton Compton, 2010;
Storia dell’antico Israele, John Bright,
Newton Compton, 2002-2006.
XAARAAN
DI ANTONELLA BECCARIA
IL GIORNO IN CUI UN PEZZO D’ITALIA
PERSE L’INNOCENZA
43 ANNI FA
LA STRAGE DI PIAZZA FONTANA
Si era ancora innocenti, all’ora di
pranzo del 12 dicembre 1969, quando il telegiornale delle 13.30 aveva
raccontato agli italiani che la Grecia
dei colonnelli si era ritirata dal consiglio d’Europa dove si discuteva
della sua sospensione. E aveva raccontato anche che la vertenza sindacale dei lavoratori dell’editoria
sembrava mettersi al bene mentre
nulla cambiava per i metalmeccanici, che restavano in stato di agitazione. Intanto – proseguiva la catena delle notizie – a Palermo non si
arrestavano le indagini per la strage
di viale Lazio, uno dei momenti più
feroci della prima guerra di mafia.
Ma in mezzo a tutti quegli scorci di
vita e fatti, l’edizione del notiziario
si concludeva con un soffio
dell’innocenza tramontante degli
anni Sessanta.
Lucio Battisti, snobbato dalla sinistra perché poco o per nulla impegnato, un fascistoide per qualcuno,
come tutti quelli che non si schieravano, continuava a respirare a pieni
polmoni la consacrazione del suo
successo dopo ostacoli e delusioni.
Era stato un anno fortunato, per lui,
il migliore di tutti, iniziato in febbraio con il successo al festival di Sanremo dove aveva cantato
Un’avventura e proseguito in estate
con Acqua azzurra, acqua chiara,
pezzo del trionfo al Festivalbar e al
Cantagiro. Con una cadenza burina
a rivendicare la sua estrazione sabina, e mentre confessava con una
punta di imbarazzo al microfono di
Lello Bersani che non aveva mai studiato musica, mescolava la timidez18
za dello sguardo alla caparbietà del
suo percorso artistico.
«Intanto io canto le canzoni che mi
vanno veramente a genio, insomma, quelle che sento. E di solito, in
partenza, sono sempre quelle un
po’ più difficili, che agli altri non
piacciono, che gli altri trovano azzardoso interpretare, ecco».
«E lei si prende in pieno la responsabilità come autore», lo incalzava
Bersani.
«Esatto».
Pasquale aveva ascoltato distrattamente le parole del giovane cantautore di origini reatine. Anche per lui
non era solo Battisti, ma nella testa
lo aveva archiviato come BattistiMogol: un doppio nome, uno per il
musicista e l’altro per il paroliere,
che aveva finito per identificare so-
lo il volto più noto della neonata
stella della canzonetta nostrana.
Quella che solo qualche mese prima, d’estate, impazzava allo sfinimento nelle radio e nei juke-box.
Nei tuoi occhi innocenti posso ancora ritrovare il profumo di un amore puro, puro come il tuo amor.
In Pasquale quei versi avevano scavato, senza che lui lo volesse, una
nicchia dentro cui si annidavano
nostalgia e amarezza. La stagione
del sole e del divertimento, da
qualche anno un vacanzificio che
iniziava in sella alle Lambrette o
dentro le Seicento ritratte dai cinegiornali come un unico serpentone
spalmato su autostrade sempre più
lunghe, per lui coincidevano con la
rovina. La rovina di una carriera,
ma ancor prima di un’indagine,
stroncata a venti giorni dalla sua
conclusione. Il trasferimento decretato ed eseguito alla velocità
della luce, da una Padova sempre
più cupa all’immobilismo di Ruvo di
Puglia, provincia di Bari. E poi
l’incriminazione, la sospensione dal
servizio e dallo stipendio.
Sapeva, Pasquale, di essere nel giusto e sapeva di essere un poliziotto
onesto. Ed era convinto che lo sapessero anche Molino e il questore, quelli dell’ufficio Affari Riservati
che avevano fatto a pezzi il suo lavoro e quei delinquenti che voleva
incriminare, ma che avevano alla
fine incastrato lui. Tuttavia non poteva dimostrare niente di tutto
questo. O almeno tutti fingevano
che fosse così. Nessuno sembrava
credergli. E lui zitto, fedele al suo
giuramento, intendeva documentare prove alla mano che i criminali
stavano da una parte precisa. Una
parte in cui lui non c’era.
Questi pensieri accompagnarono
Pasquale per tutto il pomeriggio
del 12 dicembre 1969. A chi gli stava intorno aveva dato a credere di
prepararsi al Natale ormai prossimo, si era sforzato di fugare la tensione dentro casa fingendo che fosse una fine d’anno come tante ce
n’erano state e tante ne sarebbero
seguite. E così facendo erano trascorse le ore, era giunto il momento della cena e il telegiornale era
iniziato di nuovo.
Edizione delle 21, Paolo Bellucci al
microfono.
«Ci sono state esplosioni nel pomeriggio a Milano e a Roma. La più
grave è avvenuta a Milano nel salone centrale della sede della Banca
Nazionale dell’Agricoltura. Per lo
scoppio quattordici persone sono
morte, un’ottantina è rimasta ferita o contusa. Due dei feriti sono
gravi. Sembra accertato che sia
scoppiata una bomba. Il fatto, per
la sua atrocità, per il numero di
morti e feriti, è il più grave che abbia colpito Milano in tempo di pace. A Roma, anche qui, in pieno
centro della città, ci sono state tre
esplosioni. Due ordigni sono scoppiati all’Altare della Patria. Il boato
è stato udito in tutto il centro della
città. L’altra esplosione di Roma è
avvenuta nella sede centrale della
Banca Nazionale del Lavoro. I feriti
sono più di dieci. Non ci sono vittime. Sentiamo da Milano le ultime
notizie».
Il volto di Bellucci lasciò il posto al
servizio che iniziava inquadrando la
grande scritta luminosa della banca
devastata. In sottofondo si sentivano il lamento delle sirene di ambulanze e forze dell’ordine e un brusio costante, voci che senza sostanza
parlavano di qualcosa che non si
comprendeva più, era solo rumore
bianco.
«Molti dei testimoni dicono che
erano circa le 4 e mezzo quando
nel salone della banca, affollatissimo oggi perché era giornata di
mercato, è avvenuta la tremenda
esplosione. Un boato e una fiammata hanno letteralmente sconvolto l’edificio. Una buca di circa un
metro di diametro si è aperta nel
pavimento della parte riservata ai
clienti che in quel momento stavano ultimando le operazioni bancarie. I primi soccorsi sono stati portati dai cittadini che a quell’ora si
trovavano numerosi nella centralissima piazza di Milano che è a pochi
passi dal Duomo. È scattato subito
l’allarme alla polizia, ai vigili del
fuoco e agli ospedali. Sul posto si
sono recate immediatamente tutte
la autorità della provincia e il cardinale arcivescovo la cui sede è a po-
Gli ignoti che si riuniscono sotto la sigla Anonymous promettono battaglia contro censura, imperialismo, finanza
d’assalto, devastatori dell’ambiente e militarismo. Questo libro è un’inchiesta su una forma di lotta da nuovo
millennio che ha finito per colpire sette religiose, corporation, partiti reazionari e dittature mediorientali. Ogni
volta che verrà compiuto un abuso, compariranno gli anonimi fustigatori il cui volto è rappresentato dalla maschera del giustiziere Guy Fawkes. E già oggi si può intuire il loro scopo: servizi digitali che garantiscano agli utenti la libertà di espressione.
AVVERTENZA di Antonella Beccaria
Mi rivolgo a voi, Anonymi. Questa non vuole essere la ricostruzione completa al millimetro della vostra storia.
Qualcuno di voi me l’ha raccontata o almeno mi ha fornito la sua visione che non per forza è quella di tutti. Poi
ne ho letto, rimbalzando un po’ ovunque per il web, e in fase di stesura delle pagine che seguono ho compiuto
una scelta arbitraria: estrapolare da ciò che avete firmato, in toto o in parte, alcune operazioni che mi sembra vi
descrivano meglio. Rimane fondamentale l’inciso «secondo me». Leggetelo come il necessario imho, in my humble opinion, come si usa scrivere nelle mailing list e nei gruppi di discussione in rete. Quella che voi e altri lettori
incontrerete scorrendo questo testo è una specie di biografia non autorizzata. E se alla fine ciò che leggerete non
vi piacerà, non “bombardate” troppo forte il mio sito. All’origine del libro c’è la volontà di tributarvi un merito
indiscutibile: combattere per la libertà di informazione. Perché, credetemi, almeno un tratto in comune ce
l’abbiamo, voi e io: crediamo che l’informazione debba essere libera. A qualunque costo. E comunque la prenderete, sarà stato un viaggio entusiasmante. Un viaggio all’interno di un enorme scherzo tremendamente serio.
19
chi passi dalla banca. Nell’aria c’era
un odore acre di esplosivo. La maggior parte delle persone che erano
presenti ha detto che probabilmente si trattava di una bomba. Tutta la
zona adesso è presidiata da carabinieri e agenti di pubblica sicurezza.
Il traffico è stato deviato per consentire un rapido movimento dei
mezzi di soccorso. Il sindaco ha proclamato il lutto cittadino e tutti gli
spettacoli sono stati sospesi. Le
bandiere abbrunate saranno esposte su tutti gli edifici nella giornata
di domani. Sono state sospese le
illuminazioni natalizie in segno di
lutto».
Quando la linea tornò in studio, si
interruppe il rumore bianco della
strada e Bellucci riprese a raccontare i fatti di quel pomeriggio.
«I feriti delle esplosioni di Roma sono, come abbiamo detto, più di dieci. Secondo i primi accertamenti la
bomba scoppiata alla Banca Nazionale del Lavoro era composta da
una quantità di esplosivo tra gli ottocento grammi e i due chili. Sono
passati otto minuti tra la prima e la
seconda esplosione all’Altare della
Patria. La prima è avvenuta alle
17.16 e la seconda alle 17.24. I due
ordigni che sono scoppiati al Milite
Ignoto erano ad alto potenziale. U-
no è esploso sulla seconda terrazza
davanti alla porta del Museo del
Risorgimento. Uno dei battenti è
stato scardinato e lanciato a sette
metri di distanza. Una signora che si
trovava a passare con una Seicento
è stata sbalzata in aria e la macchina si è rovesciata su un fianco. È
stata soccorsa e condotta
all’ospedale. Tutti i vetri della basilica dell’Ara Coeli e del Museo del
Risorgimento si sono rotti.
All’interno della chiesa sono crollati
alcuni pezzi del soffitto istoriato.
L’altra bomba era stata sistemata
sotto l’asta della bandiera, sotto la
seconda terrazza del Vittoriano. Lo
scoppio ha stroncato l’asta e ha fatto a pezzi una parte della balaustra.
L’altra esplosione di Roma è avvenuto negli scantinati della Banca
20
Nazionale del Lavoro, in via San Basilio, nei pressi di via Veneto. I feriti
sono stati medicati al Policlinico. Più
precisamente l’ordigno di via San
Basilio, sempre secondo i primi accertamenti, sarebbe scoppiato in un
passaggio sotterraneo che collega i
due edifici posti l’uno di fronte
all’altro dove hanno sede gli uffici
centrali della stessa Banca Nazionale del Lavoro. Il fabbricato, dove lavorano duemila persone, è stato
fatto sgombrare dal personale. Anche qui l’esplosione ha provocato la
rottura dei vetri e sono state le
schegge a ferire le persone. Nel passaggio sotterraneo i tubi
dell’impianto di riscaldamento si
sono rotti e l’acqua ha allagato una
parte dei locali. Per lo scoppio
all’Altare della Patria sono state
danneggiate anche molte auto in
sosta a fianco del Vittoriano. Per
precauzione tutta la zona circostante è stata isolata. Tecnici della direzione di Artiglieria e vigili del fuoco
hanno compiuto un ampio sopralluogo. Anche gli uomini della polizia
scientifica della questura e i carabinieri sono accorsi per cercare di accertare la natura degli ordigni esplosivi».
Infine le immancabili reazioni dal
mondo della politica.
«Il consiglio dei ministri sta per riunirsi a Palazzo Chigi. Il presidente
della Repubblica, Giuseppe Saragat,
ha indirizzato al presidente del consiglio, Mariano Rumor, il seguente
messaggio: “L’orrendo attentato
che ha seminato la morte a Milano
lascia sgomenta la nazione per
l’efferatezza del delitto, per la sua
mostruosa enormità, per la sua bestiale incoscienza. L’attentato di Milano – dice il messaggio del capo
dello Stato – è l’anello di una tragica
catena di atti terroristici che deve
essere spezzata a ogni costo per salvaguardare la vita e la libertà dei
cittadini. Tocca alle forze dell’ordine
democratico, tocca all’autorità giudiziaria di fronte alla quale giacciono numerose denunce per istigazione ad atti di terrorismo restituire
alla legge voluta dal popolo
l’assoluta sovranità. Tocca ai cittadini assecondare l’opera della giustizia e delle forze dell’ordine democratico, della difesa della vita contro
la violenza omicida. A lei, Onorevole
Presidente, e al ministro
dell’interno, Franco Restivo – dice il
presidente della Repubblica – esprimo tutta la mia solidarietà per
l’azione che il governo intraprende
allo scopo di reprimere inesorabilmente questi atti criminali rivolti a
sovvertire il libero e democratico
ordinamento del nostro Paese e La
prego di porgere le commosse condoglianze a nome della nazione e
mio personale alle famiglie delle
vittime”».
L’innocenza era finita, perduta per
sempre. Pasquale non se ne rende-
NOVITA’
va ancora pienamente conto, ma le
parole che aveva appena ascoltato
gli piombarono addosso come se
una scheggia avesse raggiunto anche lui, a 850 chilometri di distanza
da quella banca milanese. Prima gli
venne quasi da ridere a sentire le
parole di Saragat, così pompose e al
contempo così vuote rispetto alla
vera natura di ciò che chiamava
«libero e democratico ordinamento
del nostro Paese». Poi, però, quella
risata morì prima di affiorare e Pasquale si portò le mani al volto
Antonella Beccaria, Giacomo Pacini
mentre da qualche parte nella sua
testa risuonarono le parole che aveva scritto solo pochi mesi prima, in
uno dei due memoriali inviati al giudice istruttore di Padova, Francesco
Ruberto: «Erano imminenti degli
attentati».
(Questo brano è tratto da Attentato
imminente, Stampa Alternativa,
2009, la storia del commissario Pasquale Juliano)
È inimmaginabile per chiunque la quantità di Male
che bisogna accettare per ottenere il Bene”, afferma il
Divo Giulio
Prima edizione marzo 2012
Divo ritratto nel fortunato film di Paolo Sorrentino. E
Giulio Andreotti, l’uomo in carne e ossa, di male ne ha
attraversato tanto o, quantomeno, tante sono state le realtà opache che hanno accompagnato la sua
storia. Fin dai tempi della Seconda guerra mondiale e dei suoi rapporti con i servizi segreti alleati, proseguendo con la stagione dei dossier, l’esplosione del terrorismo, le coperture degli stragisti neofascisti,
l’allestimento di apparati non ortodossi, come Gladio e l’Anello, fino alle clientele necessarie per raccogliere consenso e ai rapporti ambigui con la mafia. Difficile dire se il Divo Giulio sia stato il maggiore statista italiano del Novecento o il grande Belzebù che si è nutrito della parte più oscura della storia nazionale. Quello che è certo è che ripercorrere la sua vicenda significa attraversare tutti i maggiori scandali italiani dal dopoguerra a oggi, dal golpe Borghese al delitto Moro, dalla P2 a Michele Sindona, fino
all’omicidio del giornalista d’assalto Mino Pecorelli. Questa biografia di Giulio Andreotti, rigorosa e documentata, ricostruisce per la prima volta senza pregiudizi e senza timori l’intera storia politica, quella ufficiale e quella inconfessabile, del ‘grande vecchio’ dell’Italia del Novecento, tracciando un percorso inquietante dentro le ombre più dense della prima Repubblica.
21
LA CREZIONE
DELL’UOMO
ALESSANDRO DEMONTIS
In questo articolo vorrei esaminare
alcuni passaggi dei miti sumerobabilonesi che raccontano della
'Creazione' dell' uomo.
Questi miti vengono sempre letti in
maniera allegorica, estremamente
interpretativa, senza fermarsi a pensare ai reali contenuti e ai processi
descritti.
Il primo da analizzare, che ho già
menzionato più volte, è l' Atra Hasis, la 'cronaca del mondo' lasciataci
dai babilonesi.
Il testo inizia con una collocazione
temporale per descriverci come iniziò tutta la vicenda degli Anunnaki.
Per questa analisi userò la versione
tramandataci da James W. Bell:
Before men were created, the Anunnaki –
the gods living on the earth – had to
till the land
and water it to grow their food.
They found the work tiresome and
too much trouble.
So they gave Enlil lordship of the earth.
He summoned the Igigi, calling
down from heaven
the lesser gods, lower divinities
without names, to do the work.
questa analisi é quella relativa alla
'rivolta' degli dei minori che porta
alla creazione dell'uomo:
So Enlil summoned the others, including Anu from heaven,
and Enki, lord of the Abzu. Together,
they stood on the ramparts of the
Ekur
and addressed the besiegers. “Why
do you attack us?”
The Igigi answered as one,
“The work you have assigned us is
killing;
Dunque erano gli Anunnaki e gli Igigi we can no longer bear it. We have
a svolgere i compiti e il lavoro neput a stop to digging
cessario alla sussistenza.
and declared war.
La parte che ci interessa ai fini di
22
Enki responded, “If we use pure clay
to make
these new creatures, they will be
like the animals,
without intelligence. To make them
capable
of bearing the yoke of Enlil, we must
slay
one of the gods so his flesh and blood
can be mixed with the clay to be
made into a man.
Then what we create will be god
and
man mixed together.”
Il procedimento utilizzato è qui riportato dallo stralcio del testo di
Bell:
La soluzione a questo problema è
trovata da Enki, che coinvolge la so- Mami took the mixture and pinched
rellastra Ninmah, chiamata nel testo off fourteen pieces,
'Mami':
to create seven males and seven females.
“Look,” he continued, “the goddess She presented them to the AnunnaMami is with us.
ki, saying,
Let her create mortals, creatures to “I have done all you asked. You have
be our
slain
servants and to do our work.
a god of intelligence and mixed his
Then we can put the yoke of Enlil on flesh
these beings
and blood with clay so I could enand let the Igigi return to heaven.” gender men.
I relieve you of wearisome work by
Mami / Ninmah chiede pero l' aiuto imposing
di Enki, chiedendo che sia lui a pre- your yoke upon them. I have also
parare la 'argilla adeguata per il la- bestowed upon them
voro'.
the ability to use the spoken word,
Questo particolare dell'argilla è on- so they may call to one
nipresente nelle storie della Creaanother to help fulfill their tasks”
zione di Sumer, Babilonia, e quella
biblica... E vedremo presto il perLa creazione, dunque, una volta troché.
vata la 'ricetta ideale', avviene traEnki risponde che per ottenere
mite l'utilizzo di 14 'pezzi' con cui
qualcosa che sia per metà umano e creare 7 maschi e 7 femmine.
per metà 'divino', cioè un essere ca- Una 'clonazione'?
pace d’interagire con gli Anunnaki, Abbandoniamo questo testo perbisognava utilizzare il sangue e la
ché, per esaminare ancora meglio la
carne di un dio.
creazione dell'uomo, dobbiamo anIl termine utilizzato nella versione
dare all'originale testo sumero.
accadica è Nepisthum che indica sia Il testo 'chiave' in questo senso è il
il sangue sia il 'seme della vita'.
mito sumero classico chiamato 'Enki
23
e Ninmah', nel quale vengono descritti i tentativi (andati male) di
creare questo 'nuovo essere'. Vedremo, analizzando il testo, che le cose
sono molto più 'tecnologiche' di come si pensa generalmente.
Il mito è composto di quattro parti
distinte, delle quali ci interessano la
seconda e la terza.
Nella seconda parte, Ninmah crea 6
esseri, tutti malati, per i quali Enki
‘decide i destini’, cioè dispone per
loro un compito che possano svolgere nonostante le loro menomazioni.
Nella terza parte, poiché Ninmah é
desolata di non essere riuscita a creare un ‘uomo perfetto’, Enki decide
di provare un nuovo procedimento,
utilizzando il seme di un maschio e
impiantandolo nell’utero di una
femmina (Ninmah stessa?) mischiando questo seme con una forma d’argilla (ancora...) da lui prodotta.
Anche questo esperimento però
produce un essere imperfetto, chiamato Umul (che in sumero significa
appunto ‘creatura malata’), con
molte menomazioni.
Ninmah, constatando che questo
essere non è in grado di badare a se
stesso, si lamenta con Enki. Questi
però ricorda a Ninmah di come lui
abbia comunque badato ai 6 esseri
prodotti da Ninmah.
Ciò che ci interessa maggiormente è
la risposta che Enki dà a sua madre
Namma, la quale diede l'originale
idea di creare l' uomo. In sumero la
risposta è:
30. ama.gu10 mud mu.gar.ra.zu
i3.gal2.la.am3 zub.sig3
dingir.re.e.ne
keshe2.i3
31. shag4 im ugu abzu.ka
u3.mu.e.ni.in.shar2
32. sig7.en sig7.hi im
mu.e.kir3.kir3.re.ne za.e me.dim2
u3.mu.e.ni.gal2
33. d.nin.mah.e an.ta.zu he2.ak.e
34. d.nin.imma3 d.shu.zi.an.na
d.nin.ma.da d.nin.barag
35. d.nin.mug d.shar.shar.gaba
d.nin.gun3.na
tud.tud.a.zu ha.ra.gub.bu.ne
traducibile in:
“Madre, la creazione di cui parli avrà luogo, imponiamo ad essa il lavoro degli dei,
mischia l’ argilla della terra a nord
dell’ Abzu
le dee della nascita ti aiuteranno a
lavorare l’ argilla, e la forma sarà
realizzata
Ninmah sia tua aiutante,
Ninimma, Shuzianna, Ninmada, Ninbarag,
Ninmug, Sharshargaba, Ningunna,
ti aiutino nella nascita”
Dunque a essere 'legato' può essere
sia il 'lavoro' ma anche l'immagine
degli dei.
Parliamo ora dell'argille. Come mai
questo materiale sembra così insistentemente coinvolto nei miti?
E se nella Bibbia Dio creò l' uomo
'dalla terra', un termine generico,
come mai in tutti i miti sumeri e babilonesi che descrivono questo tipo
di Creazione ritorna sempre l'argilla?
La spiegazione che ci viene data di
solito è che Sumer era un territorio
argilloso, bagnato dal Tigri e dall'Eufrate, e che quindi l'argilla era la
scelta più normale nello scrivere i
testi. Del resto anche i miti sumeri ci
son giunti in tavolette d'argilla.
Ma se ci fosse un'altra spiegazione?
Ebbene, alcuni studi nel campo della biologia hanno identificato, nelle
argille organiche come la montmorillonite, dei 'catalizzatori ideali' per
operazioni di combinazione e ricombinazione dell'RNA e del DNA.
L'argilla organica sembra partecipare come 'protettrice' nelle reazioni
che coinvolgono mix cellulari, favorendo una maggiore stabilità di reazione e aumentando le percentuali
di riuscita delle combinazioni in modo sensibile.
Ma abbiamo parlato del procedimento seguito da Enki, diverso da
quello seguito da Ninmah.
Esaminiamo il testo sumero:
La frase che ho sottolineato è la
chiave per comprendere il 'mistero'
che ruota intorno a questa
'creatura'.
La traduzione infatti è controversa
perché in sumero non è possibile
stabilire con certezza il 'tempo' di
una situazione o azione.
Dunque alla luce del significato dei
singoli termini si può tradurre anche
come 'La creazione di cui parli esiste' intendendo con 'la creazione' in
effetti 'il creato' (mud) dunque un
essere vivente.
Si noti che 'gar' (ngar) ha anche il
significato di 'immagine / aspetto /
forma'.
a gish3 ak shag4 munus.a.ka ri.a
24
tradotto in:
“versa il seme maschile nell’utero di
una donna”
Come è possibile versare il 'seme
maschile' nell'utero di 'una donna'
se l'uomo non è ancora stato creato?
A questa domanda è possibile rispondere con il ragionamento, e
abbandonando i classici 'canoni' che
prevedono una 'Creazione da zero':
una delle due parti coinvolte è la
'creatura che esiste', l'Homo Erectus, del quale viene utilizzato il corredo genetico.
L'idea che si delinea è che si sia utilizzato lo sperma di un Anunnaki,
unendolo all'ovulo di una ominide
(mescolandoli nell'argilla), e successivamente impiantandolo nell'utero
di una o più femmine Anunnaki.
Infatti ricordiamo che le 'dee della
nascita' dovevano aiutare nel lavoro. Esse erano appositamente SETTE, per creare 7 maschi e 7 femmine!
ILLUSIONE DI UN SUICIDIO
VERITÀ CELATE
SUL FUHRER
ROBERTO BOMMARITO
La morte storica del Führer
professore Ian Maynard Begg, della
McMaster University in Ontario, eviNella psicologia esiste un fenomeno denziano come di norma le persone
chiamato «Illusione della verità».
tendano a ritenere vere le narrative
Alcuni studi, ad esempio quello del con cui hanno più familiarità. In altre
25
parole, si tende a credere a ciò che
viene ripetuto più spesso.
Questo fenomeno potrebbe aiutarci
a comprendere come mai si diano
per scontati avvenimenti che ci sono
stati presentati come autentici dalle
istituzioni educative e dai media
senza però alcun fondamento di base.
Un importante esempio è il suicidio
di Adolf Hitler.
Secondo la storia che conosciamo
tutti, il dittatore e la moglie Eva
Braun Hitler si tolsero la vita nel Führerbunker di Berlino il 30 aprile
1945. Le salme, sempre secondo
questa versione dei fatti, vennero
incenerite per evitare che venissero
esibite come trofei di guerra da Josif
Stalin.
C'è una domanda, però, che in pochi
si pongono. Ovvero quali fatti esistono a supporto di tutto ciò?
L'autore principale della storia del
suicidio di Hitler è stato lo storico
Hugh Trevor-Roper, agente
dell'intelligence britannica durante il
secondo conflitto mondiale.
Fu proprio il governo inglese, infatti,
a incaricarlo di investigare le sorti
del Führer. I risultati di questa investigazione vennero pubblicati nel
1947 all'interno del suo libro The
last days of Hitler, tradotto: Gli ulti-
The last days of Hitler di Hugh Trevor-Roper
mi giorni di Hitler. Come muore una
dittatura.
Purtroppo il lavoro di Trevor-Roper
è tutt'altro che attendibile.
Hanna Reitsch, pilota della Luftwaffe che avrebbe tentato all'ultimo
momento di salvare Hitler atterrando con il suo Fieseler Fi 156 Storch
nel cuore di Berlino, dichiarò ufficialmente di non essere mai stata
intervistata dall'autore, come invece
sosteneva quest'ultimo. Altri intervistati, quale ad esempio il chauffeur
del Führer, Erich Kempka, hanno
apertamente dichiarato di aver raccontato ciò che i loro interlocutori,
incluso Trevor-Roper, volevano sentire, come sottolinea il giornalista
investigativo Gerrard Williams nel
suo libro Grey Wolf - The Escape of
Adolf Hitler. Per di più lo storico non
intervistò mai di persona coloro che
si nascosero nel Führerbunker insieme a Hitler.
Di alcuni di loro lesse solo le dichiarazioni scritte.
Alla luce dei fatti, sarebbe ingenuo
non sospettare che il lavoro di Trevor-Roper sia più un'operazione
propagandistica che altro. Affinché
il nazismo fosse sconfitto del tutto,
l'uomo che lo incarnava doveva esserlo pure. Non c'è da sorprendersi,
quindi, se l'agente dell'intelligence
britannica propagò una tesi che, pur
non essendo fondata su alcun fatto
concreto, venne negli anni presentata come genuina e accurata.
Lo stesso Stalin, durante la Conferenza di Potsdam del luglio 1945,
dichiarò di non credere alla morte di
quello che era stato il suo principale
nemico, dato che nessuno dei corpi
rinvenuti apparteneva a Hitler, ritenendo invece che il dittatore fosse
evaso in Spagna o Argentina.
Alcuni, chiamandola Operatsiya Mif
(Operazione Mito), sospettano che
questo fu solo un tentativo di Stalin
di confondere le acque. Forse. O
forse no. J. Edgar Hoover, direttore
dell'FBI, ben vent'anni dopo la fine
26
della guerra continuò a raccogliere
informazioni sugli avvistamenti di
Hitler, molti dei quali provenienti
dall'Argentina, dove si trova ancora
oggi una vasta comunità tedesca.
Alcuni di questi file sono accessibili,
ma non tutti. La maggioranza di
queste testimonianze sono ancora
mantenute segrete dai governi americani e inglesi. In ogni modo, l'interesse dell'FBI potrebbe essere indicativo di incertezze che riguardano
le sorti del dittatore tedesco condivise anche in ambito governativo.
I denti di Hitler. O no?
Lo scienziato forense Hugh Thomas,
nel suo libro The Murder of Adolf
Eva Braun
toposta all'esame del DNA. Le autorità russe, anche dopo – o forse soprattutto dopo – la scoperta che il
cranio appartiene in realtà a una
donna, si rifiutano di concedere
l'autorizzazione.
Hitler strangolato dalle forze alleate in una vignetta propagandistica sovietica
Hitler, sottolinea come le bruciature
delle ossa che sarebbero appartenute a Führer, descritte nei documenti
dell'autopsia pubblicati parzialmente nel 1968, siano consistenti con
temperature superiori ai 1000°C.
Tali temperature sono ottenibili solo
in un crematorio e non bruciando i
corpi all'aperto con la benzina come
vorrebbe la storia. Opinione, questa, condivisa da W. F. Heimlich, alto
ufficiale dell'amministrazione americana a Berlino nel 1947. A parte ciò,
secondo i resoconti dell'autopsia, il
corpo carbonizzato di Hitler sarebbe
stato ritrovato privo del piede sinistro e delle costole del lato destro.
Se il corpo fu davvero seppellito immediatamente dopo essere stato
bruciato, non si spiega che fine avrebbero fatto le parti mancanti.
Ma dopotutto le ossa erano davvero
quelle del dittatore?
L'esame genetico della calotta cranica rinvenuta nei pressi del Führerbunker che secondo Mosca sarebbe
stata quella di Hitler, ha rivelato che
in realtà apparteneva a una giovane
donna. L'archeologo che ha effettuato l'indagine, lo statunitense
Nick Bellantoni dell'università del
Connecticut, ha aggiunto che il cranio non poteva nemmeno appartenere alla moglie in quanto «non c'è
nessuna indicazione che Braun si sia
sparata o sia stata raggiunta da un
colpo d'arma da fuoco.»
La mandibola conservata negli archivi dell'FSB (ex KGB) – l'altro reperto
che sarebbe appartenuto al dittatore – per quanto corrisponderebbe
alla ricostruzione fatta dal dentista
personale del Führer, Hugo Blaschke, nel 1945, non è mai stata sot-
La calotta cranica che sarebbe dovuta appartenere a Hitler, in realtà quella di una giovane
donna non identificata
27
Frammento della mandibola
che apparterrebbe a Hitler
A questo punto è giusto domandarsi
se è davvero così assurda l'ipotesi
che la mandibola possa essere
anch'essa un falso? Come escludere
la possibilità che l'assistente del
dentista Blaschke, Kaethe Heusemann, ovvero colei che avrebbe identificato il reperto, non abbia voluto ingannare i sovietici?
Quando i russi si recarono nello studio del professore Blaschke al Kurfuerstendamm 213, vi trovarono
invece un altro dentista che aveva
preso il suo posto, il dottor Fedor
Bruck.
Fu questo a consigliare ai sovietici di
rintracciare l'assistente di Blaschke,
per l'appunto Kaethe Heusemann, e
il tecnico dentale Fritz Echtmann,
dato che tutte le documentazioni
relative agli interventi su Hitler – al
contrario di quelli di Heinrich Himmler, Hermann Goering e Joseph
Goebbels – non si trovavano più negli archivi dello studio.
Una volta rintracciata, la Heusemann venne condotta alla Reichskanzlei (Cancelleria del Reich) in
cerca delle documentazioni che però, ancora una volta, non vennero
trovate.
La donna fu così portata nei quartieri generali della SMERSH, il diparti-
mento di controspionaggio sovietico.
Lì le mostrarono la mandibola che
era già stata estratta dal corpo carbonizzato, conservata all'interno di
una scatola di sigari. L'assistente disse che i denti appartenevano al dittatore, affermando di riconoscerne i
segni lasciati dalle trapanature di
Blaschke. Aggiunse pure di essere
stata presente durante l'intervento,
osservando tutto da vicino con molta
attenzione. Purtroppo, come vedremo, fu lo stesso professore a smentirla.
Questa non fu nemmeno l'unica falsa
testimonianza della donna. La Heusemann, cosa poco nota questa,
mentì anche riguardo a Eva Braun,
sostenendo di riconoscerne la mandibola che, secondo lei, avrebbe presentato un ponte dentario. In realtà
il ponte non venne mai applicato alla
blicata, come delinea Giordan Smith
nel suo saggio Fabricating the death
of Adolf Hitler.
Bisognerebbe perciò limitarsi a credere sulla parola le autorità russe?
E, in ogni modo, chi ci assicura che il
modello di Blaschke fu davvero quello dei denti di Hitler e non l'ennesimo tentativo di depistaggio?
In uno scenario dove Hitler invece di
suicidarsi si dà alla fuga, fornire false
prove ai sovietici che gli danno la
caccia – come probabilmente tentò
Hugo Blaschke
di fare la Heusemann, che fu poi demandibola, aveva invece dichiarato portata in Russia dove sparì per semagli agenti sovietici, a quanto pare
pre – sarebbe tutt'altro che assurdo.
mentendo, di aver assistito Blaschke I dubbi sono tanti. Le certezze riguarnon solo durante l'intervento della
dano solo le incongruenze delle testitrapanazione, come detto in prece- monianze rilasciate da Kaethe Heudenza, ma anche in ben altre cinque semann.
operazioni dentali – per un totale di In ultima analisi, non esistono prove
sei – effettuate al dittatore a cavallo forensi certe che i corpi carbonizzati
ritrovati davanti al Führerbunker fossero davvero quelli di Hitler e della
moglie Braun. Le prove continueranno a mancare finché non si effettuerà per lo meno il test del DNA sui
frammenti della mandibola.
Cosa accadde quindi al dittatore tedesco?
La fuga
L'agenzia di stampa britannica Reuters, fra le più importanti del mondo,
insieme all'altrettanto nota AssociaLo sketch di Heusemann. Fino a che punto è affidabile?
ted Press, pubblicarono la testimonianza di Peter Erich Baumgart damoglie del Führer, come ammesso
fra il 1944 e 1945.
vanti alla corte di Varsavia, nella quada
La donna, secondo il dentista, avreb- le sosteneva di aver pilotato l'aereo
Echtmann.
be visto solo le lastre dei raggi X.
a bordo del quale Hitler e sua moglie
Avendo mentito sulla Braun, quanto Quelle giunte fino a noi sembrano
evasero da Berlino.
rimane credibile la testimonianza
coincidere con la mandibola.
Baumgart era un pilota della Luftwafdella Heusemann su Hitler?
A questo punto, però, bisogna affiJunkers Ju-52
L'attendibilità della Heusemann si fa darsi alla buona fede del professore
ancora più dubbiosa se prendiamo in Blaschke, fidandoci che le lastre apconsiderazione le affermazioni dello partenessero davvero a Hitler.
stesso professore Blaschke.
Al dentista venne pure chiesto di riNel 1948 il dentista disse in un'inter- costruire un modello dei denti del
vista che la donna non l'aveva mai
Führer. Questo sarebbe corrisposto
accompagnato durante gli interventi al reperto custodito dai russi. Ma l'ueffettuati su Hitler. La Heusemann, so del condizionale è d'obbligo in
che eseguì anche uno sketch della
quanto la prova non è stata mai pub28
fe esperto in voli clandestini, la sua
bravura attestata dalla Croce di Ferro di prima classe. Il 28 aprile 1945
atterrò con il suo apparecchio – un
Ju 52 assegnato alla Kampfgeschwader 200, il braccio della Luftwaffe dedicato alle operazioni speciali – a Hohenzollerndamm, una
stazione del distretto Wilmersdorf
di Berlino. Imbarcò i suoi passeggeri,
prima di decollare per la volta di
Tønder in Danimarca, volando a
bassa quota per evitare il fuoco nemico. Il pilota scoprì che fra i suoi
passeggeri c'erano Hitler e Braun
solo dopo che questi erano saliti a
bordo.
Baumgart dovette fare una sosta
inaspettata a Magdeburg, per evitare il traffico aereo nemico, ma il
giorno dopo, il 29 aprile, arrivò finalmente con il suo equipaggio a destinazione.
La testimonianza del pilota è supportata da quella di un ufficiale delle SS, Friedrich von AngelottyMackensen, il quale dichiarò che il
U-Boat tipo IXC
nello della Luftwaffe Werner Baumbach, colui in carica del reparto speciale Kampfgeschwader 200. Fu lui,
come possiamo evincere dai suoi
diari, a disegnare il piano di volo di
sei ore che da Travemünde avrebbe
portato i due in Spagna, per la precisione a Reus in Catalonia, a bordo di
uno Ju 252. Quest'altro trimotore
aveva infatti una durata di volo superiore allo Ju 52.
Dato l'appoggio del regime fascista,
la scelta della Spagna come trampolino di lancio per il Sud America appare abbastanza logica.
Il generale sovietico Nikolai E. Berzarin qualche tempo dopo dichiarò:
«La mia personale opinione è che
Hitler sia evaso da qualche parte in
Europa, forse nella Spagna di Franco. Aveva la possibilità di farlo.»
Dalla base militare spagnola di Reus,
di nuovo a bordo di un Ju 52 ma
questa volta con coccarde spagnole,
la coppia fu trasportata nella base
Werner Baumbach
militare nazista di Jandía, una peniFührer fece un ultimo discorso pro- sola disabitata delle isole Canarie.
prio a Tønder, nel quale preannun- Da lì una U-Boat tipo IXC, l'unico dei
ciava la resa della Germania nazista, sommergibili tedeschi capaci di inprima di imbarcarsi di nuovo sull'ae- traprendere un viaggio così lungo, li
reo diretto a Travemünde.
avrebbe portati in Sud America.
Ad attendere la coppia ci fu il colon- La ricostruzione della fuga di cui so29
pra segue quella delineata da Gerrald Williams e Simon Dunstan. Ricostruzione che vedrebbe Hitler e la
moglie sbarcare infine in Argentina.
L'uso del condizionale è ancora una
volta d'obbligo in quanto le tappe
del viaggio sono basate sulle testimonianze di coloro che avrebbero
accompagnato o incontrato la coppia di fuggitivi. Non c'è quindi alcuna certezza che le cose siano andate
esattamente in questo modo.
Allo stesso tempo però non bisogna
dimenticarsi che anche la versione
ufficiale – basata soprattutto sul libro di Trevor-Roper – è stata messa
in piedi affidandosi esclusivamente
ai resoconti che presentavano diverse incongruenze e addirittura in alcuni casi, come in quelli di Erich
Kempka, Hanna Reitsch e Kaethe
Heusemann, dimostrati falsi o, in
ogni modo, falsificati.
Le contraddizioni riguardano anche
coloro che affermarono di aver visto
i corpi senza vita di Hitler e la moglie
all'interno del Führerbunker.
Il resoconto del 1956 di Heinz Linge,
cameriere del Führer, non coincide
con quello di Otto Günsche, Sturmbannführer delle SS. La posizione
dei corpi varia nelle due versioni.
Secondo Linge, la coppia fu ritrovata
sul divano. Günsche dichiarò invece
che solo Eva Braun sedeva sul divano, mentre Hitler si sarebbe tolto la
vita nella sua poltrona. Le testimonianze variano anche per quanto
riguardano la ferita mortale. In una
versione il dittatore si sarebbe sparato in bocca. In un'altra in testa.
Günsche dichiarò anche, al contrario di altri, di non aver sentito il colpo di pistola.
Ricapitolando: per quanto sia vero
che non possiamo essere certi dei
socialista. I nazisti sembrava avessero in mente una conquista ideologica delle Americhe. Ernst Hasse, presidente della Alldeutscher Verband o
«lega pangermanica», predisse che
le repubbliche argentine e brasiliane
avrebbero accettato l'influenza nazista.
Nel giro di un secolo, sosteneva
sempre Hasse, anche il Nord America avrebbe accolto con favore l'ideologia nazionalsocialista. Ne fu tanto sicuro da dichiarare, probabil-
Too late Adolf (Troppo tardi Adolf) per l'Argentina, come illustrava A. W. Mackenzie in questa
vignetta del 1944, o no?
mente con una nota d'ironia, che
«l'imperatore germanico risiederà
forse a New York.»
Anche se le cose non andarono come previsto da Hasse, l'influenza
politica esercitata sui governi del
Sud America e in particolar modo su
quello argentino di Juan Perón da
parte delle forze naziste fu rilevante. Nel 1943, l'autore americano Allan Chase scrisse: «Le Falange
dell'America Latina appartengono a
Hitler.»
Prendendo in considerazione tutto
Hitler in sei varianti diverse, di Eddie Senz
dettagli che riguardano la fuga di
Hitler, è altrettanto vero – e questo
è il punto essenziale – che possiamo
invece ritenerci sicuri che la versione storica della sua morte non è
corretta. Per di più manca qualsiasi
prova concreta, forense o meno, a
sostegno del suicidio del Führer tedesco.
In Argentina
Nel 1939, all'inizio della guerra, in
Argentina risiedevano circa 237.000
tedeschi non ebrei, di cui 60.000
erano membri del partito nazional-
Adolf Hitler ed Eva Braun
30
ciò, la scelta dell'Argentina come
destinazione della fuga del Führer e
della moglie Eva Braun appare sensata.
Nel 1944 l'FBI americana compilò
dei documenti che segnalavano i
possibili luoghi dove il dittatore tedesco avrebbe potuto rifugiarsi in
Argentina dopo la caduta della Germania nazista.
Un anno prima, il giornalista americano Drew Parsons aveva scritto che
i tedeschi stavano costruendo un
rifugio, sempre in Argentina, per il
loro Führer.
Non fu solo l'FBI a occuparsi della
scomparsa del dittatore tedesco. Un
documento della CIA risalente al
1955 testimonia un avvistamento
di Hitler, anche se questa volta in
Colombia. Ma già dopo il D-Day del
6 giugno 1944, l'OSS, Office of Strategic Services, predecessore della
CIA, aveva incaricato Eddie Senz, un
make-up artist di New York, di riprodurre una foto del Führer, variandone le apparenze, per aiutarne l'identificazione nel caso fosse evaso dalla
Germania.
L'interesse dell'FBI, come già evidenziato in precedenza, rimase vivo
negli anni, continuando a collezionare testimonianze.
Come riportato dall'International
Portrait of German leader Adolf Hitler in old
age (Ritratto del leader tedesco Adolf Hitler
anziano) di Andrzej Dragan
Sinopsi di un documento dell'FBI che investiga la presenza di Hitler in Argentina
Business Times nel 2011, l'FBI ha
rilasciato 867 pagine di documenti,
centinaia dei quali trattano l'ipotesi
che Hitler sia fuggito in Argentina,
dichiarando esplicitamente che il
dittatore avrebbe inscenato il suicidio.
Negli anni le testimonianze di gente
che dice di aver incontrato Hitler in
Argentina si sono accumulate.
In alcuni casi, come in quello del falegname del dittatore croato Ante
Pavelic, Hernán Ancin, l'incontro si
sarebbe ripetuto più volte, anche un
decennio dopo la fine della guerra
negli anni '50.
Le innumerevoli dichiarazioni di persone che avrebbero incontrato il
Führer tedesco e altri funzionari nazisti scoparsi dal radar della storia
come Martin Bormann sono troppe
per poter essere elencate tutte in
questo articolo, analizzandone la
veridicità. Quello che conta è comprendere che la possibilità di un esilio in Sud America è tutt'altro che
impossibile, dato che anche durante
il periodo della guerra sia
l'intelligence alleata che la stampa
riteneva questa ipotesi molto concreta.
In conclusione, possiamo dire che le
31
falle sono tali da non giustificare la
certezza dogmatica con la quale oggi viene preso per vero il suicidio di
Hitler.
Le istituzioni accademiche e i principali media rischiano di creare, come
detto nelle battute d'apertura, un'illusione della verità che trasforma la
storia in un simulacro narrativo privo di fondamenta. La possibilità di
una fuga in Argentina è di fatto probabile, per quanto non sicura, ma
proprio per questo l'investigazione
sulle sorti del dittatore tedesco andrebbe ripresa, affidandosi sull'evidenza dei fatti piuttosto che non su
motivazioni propagandistiche come
fu probabilmente il caso con TrevorRoper.
Finché non sarà fatto questo – e un
buon punto d'inizio sarebbe l'estrazione del DNA dai frammenti mandibolari, comparandolo poi con quello
dei parenti di Hitler, sperando in una loro collaborazione che finora
purtroppo non è mai stata data –
rischiamo di credere all'illusione di
un suicidio, forse il più importante
del secolo passato, ma che appartiene nondimeno alla coscienza storica
attuale di noi tutti.
NON PRENDIAMOCI
SUL SERIO...
32
L’EGITTO PRIMA
DEI FARAONI
ROBERTO LA PAGLIA
Per quanto la materia sia stata
ampiamente trattata, alcune zone d'ombra rimangono ancora
nella storia dell’antico Egitto, soprattutto quando si prova a leggere un documento che sembra
provocare un notevole imbarazzo nell’archeologia ufficiale: il
papiro di Manetone.
Si tratta in pratica di una cronologia dei faraoni che comprende
anche notizie relative agli avvenimenti accaduti prima del 3000
a.C., data della comparsa di Menes, primo Faraone ufficialmente riconosciuto dall’egittologia.
Nello stesso periodo è però degno di nota registrare il fatto che
apparve sorprendentemente una forma perfetta di scrittura,
una misteriosa competenza tecnica in campo architettonico e
precise conoscenze astronomi-
che; da dove provenne questo
improvviso balzo in avanti?
L’egittologo inglese Toby Wilkinson così commentò
l’avvenimento: “…sembrano non
avere antenati o periodi di sviluppo, sembra che siano apparsi
dal nulla…”; anche il francese
Gaston Maspero ammise
l’enigma dell’Egitto prima dei
Faraoni: “…la religione e parte
dei loro testi sacri erano già esistenti in un periodo antecedente
la prima Dinastia…per capire
non possiamo che tentare di entrare nello stato d’animo di coloro che vissero in quel periodo…”.
Gli antichi Egizi consideravano la
loro civiltà come un retaggio
proveniente direttamente da esseri divini, un retaggio che esisteva in Egitto migliaia di anni
prima delle dinastie faraoniche
33
oggi conosciute; il Canone Reale
contenuto nel Papiro di Torino,
scritto in caratteri geroglifici e
risalente a Ramses II, presenta
un elenco di tutti i faraoni che
regnarono nel paese d'Egitto;
questa lista comprende non solo
i faraoni storici ma anche quelli
che regnarono per retaggio divino e che provenivano da
“altrove”; il Canone, infine, ci
informa che questo periodo, antecedente a Menes, durò circa
tredicimila anni!
Certo non è facile ignorare tutto
questo, così come è altrettanto
difficile dare consistenza a quello che fino ad oggi è stato considerato soltanto un mito, ma lo è
stato veramente?
Nonostante il Canone Reale risulti mancante del nome di questi misteriosi Faraoni, possiamo
aiutarci con la Stele di Palermo,
sulla quale sono riportati i mitici
regnanti, oltre che aiutarci con i
resoconti storici di vari scrittori
dell’epoca.
Secondo Manetone uno di questi Faraoni fu Thoth che regnò
all’incirca dall’8.670 al 7.100
a.C.; a tal riguardo è curioso osservare come lo stesso Manetone venga ritenuto affidabile dai
ricercatori ufficiali per tutto ciò
che riguarda le dinastie conosciute, mentre viene costantemente taciuto per tutto il resto.
Manetone ci fornisce dettagli
molto interessanti su queste misteriose dinastie chiamate
“divine”, che suddivide in tre distinte categorie: divinità, eroi e
"Manes". Allo stesso modo, anche la categoria degli Dei viene
suddivisa in sei sezioni, ciascuna
comandata da un dio: Horus, Anubi, Thoth, Ptah, Osiride e Ra;
queste divinità, continua Manetone, provenivano dalla Terra,
divennero in seguito celesti e
vennero associate con le stelle
quando raggiunsero il cielo.
A cosa si riferiva? Semplici argomentazioni mitiche o resoconti
di avvenimenti realmente accaduti e successivamente descritti?
La categoria degli eroi comprende invece esseri di natura terrestre ma con poteri che oggi definiremmo soprannaturali; in ultimo troviamo i Manes o Khus,
esseri gloriosi corrispondenti agli spiriti degli antenati venerati
in altre culture.
Sia queste fonti che altri storici
ed eruditi quali Plutarco ed Eusebio di Cesarea ci parlano di u34
na stirpe di divinità che regnarono ciascuna per diverse centinaia di anni, soltanto dopo vengono citati i nomi dei regnanti
che oggi conosciamo.
Ovviamente nella nostra visione
della storia e dell’evoluzione della civiltà umana è quasi impossibile pensare che dei sovrani di
origine divina abbiano regnato
per centinaia di anni, anche se
poi, solitamente, nessuno batte
ciglio quando si leggono le vetuste età riportate nella Bibbia in
merito ai vari profeti e patriarchi.
E’ possibile trovare una giustificazione a quanto riportato da
Manetone?
Saremmo tentati a questo punto di riprendere le teorie del filosofo Schwaller de Lubicz e dei
suoi “Seguaci di Horus”, oppure
quelle portate avanti
dall’orientalista Zecharia Sitchin,
ma esiste un mistero ancora più
intrigante, legato forse alle teorie dei due autori appena citati,
un mistero che riguarda gli enigmatici crani dolicocefali.
La dolicocefalia è una particolare
deformazione del cranio, ma anticamente era anche una pratica
molto diffusa sia tra gli Aztechi
che tra gli stessi egiziani.
Con l’ausilio di fasciature rituali,
e in seguito di assi di legno, si
tentava di modificare la normale
saldatura delle ossa del cranio al
fine di renderlo allungato.
Si trattava soltanto di un rituale?
O forse era soltanto un tentativo, di certo cruento, di riprodurre l’antica immagine di qualcuno
che, in epoche remote, aveva
attirato l’attenzione proprio per
questa sua strana anomalia?
Parlavamo prima di un gruppo di
persone, presumibilmente
scomparso intorno al 4000 a.C.,
con conoscenze sofisticate e notevolmente avanzate; forse lo
35
stesso gruppo di persone che
viene ricordato negli elenchi degli antichi regnanti.
Il professor Walter B. Emery,
scomparso nel 1971, eccellente
archeologo, condusse per più di
45 anni scavi in Egitto; tra i suoi
ritrovamenti figurano alcune
tombe contenenti i resti di persone che vissero in epoca predinastica nel nord dell’Egitto. La
caratteristica principale di questi
scheletri è il cranio di dimensioni
abnormi, dolicocefalo.
Gli scheletri sono più grandi ri-
spetto all’altezza media registrata nella zona del ritrovamento, la loro struttura è più
pesante; una civiltà completamente sconosciuta, forse la
stessa che si tentava di emulare con il rituale di allungamento del cranio.
Non si trattava comunque di
una caratterizzazione propria
dell’Antico Egitto; scheletri con
i crani allungati vennero alla
luce in diverse regioni del mondo;
In Perù sono state identificati
ben tre gruppi con le stesse caratteristiche, tutti appartenenti
al periodo pre Incarico: i Chinchas, gli Aymara e gli Huancas.
Anche in questo caso venne
confermato che il rituale si riferiva ad avvenimenti realmente
accaduti, immagini di uomini
che materialmente avevano
vissuto insieme gli abitanti del
luogo.
I Chinchas, ad esempio, presentavano un cranio con tratti
dolicocefali dovuti alle bende
con le quali erano soliti fasciare
le teste dei neonati, ma questo
non avveniva in un contesto
religioso bensì con lo scopo di
assomigliare ai componenti degli altri due gruppi che, pur
presentando questa caratteristica, non avevano mai eseguito il bendaggio del cranio.
Queste persone erano già conosciute e rispettate ancor pri36
ma del mitico Manco Capac, il
Primo Inca, e probabilmente
influenzarono anche la cultura
Maya e quella egiziana; forse
non a caso crani dolicocefali si
trovano nella storia dell’antico
Egitto e contemporaneamente
esposti nel museo di Tihuanaco.
Possiamo quindi ipotizzare
l’esistenza di una razza antidiluviana, i cui resti sono stati ritrovati in molte parti del mondo,
che si distingueva per il cranio
di forma conica allungato naturalmente?
E come se non bastasse…per
quale motivo molti crani dolicocefali conservati presso il
Museo della Valletta, a Malta,
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Roberto La Paglia
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Non è facile spiegare in poche righe quali strade,
quali sensazioni ci portino ad affrontare tematiche
che, a prima vista, potrebbero apparire infinitamente
lontane da quello che è il nostro quotidiano. Una delle tante risposte potrete trovarla proprio tra le pagine che state per leggere, una selezione per certi versi unica nel suo genere, la prima che si prefigge di
raccogliere e sottoporre all’attenzione del grande
pubblico uno degli aspetti forse meno conosciuti ma
estremamente affascinante delle Canarie, i suoi antichi e moderni misteri. Molto spesso questo incredibile “paradiso terrestre” viene ampiamente menzionato soltanto negli spazi pubblicitari delle agenzie turistiche, questo scenario ha portato, nel tempo, ad accantonare spesso la storia
dell’arcipelago, con le sue numerose leggende, i luoghi mitici e gli innumerevoli fatti
misteriosi che ancora oggi ne disegnano i contorni.
37
sono stati ritirati alla vista del
pubblico?
Molti di questi enigmatici reperti, circa 700, vennero ritro-
Esiste poi una strana serie di
coincidenze: l'antico nome di
Malta è Melita, riferito al vocabolo latino per miele, mentre il
suo simbolo è un’ape e un alveare esagonale.
L’ape era anche uno dei simboli
del Faraone, oltre che uno dei
suoi titoli, mentre il miele era
un prodotto esclusivo riservato
allo stesso Faraone e ai capi dei
sacerdoti.
Tenuto conto che la scomparsa
di questa misteriosa popolazione è avvenuta nello stesso periodo sia a Malta che in Egitto
vati a Malta, negli ipogei di Hal si potrebbero aprire molte
Saflieni e nelle tombe dei tem- nuove strade per una ricerca
pli megalitici di Taxien e Ggan- sull’argomento.
tja
I LIBRI DI ROBERTO LA PAGLIA
38
CONFESSO, HO VIAGGIATO
DI NOEMI STEFANI
APRILE A LONDRA
Torno in Inghilterra, stanno chiamando il volo. Mi metto in coda a
una lunga fila e mi accorgo che il
cellulare è "morto". Provo e riprovo ma non da segni di vita. Cominciamo bene dico tra me e me.
<Mi raccomando chiamami appena
arrivi, che ti vengo incontro>... Sì,
certo. E adesso non so proprio come, ma in qualche modo farò. Dopo quasi un anno riabbraccerò mia
figlia e non sto nella pelle all'idea
di tenermela stretta forte per un
po’. Lo so, è adulta sa badare a se
stessa, ma per me è ancora la mia
piccolina. Quella che non mangiava
se non l'imboccavo e raccontavo
una storia, quella che faceva i primi
passi nel girello con i pastelli in mano e colorava i muri di casa... Arte
e libri, la mia stessa passione. Una
sensibilità esasperata al limite
che faceva di testa sua sempre e
sempre contraria. Sempre.
Sono pochi giorni ma per me è
tanto. Vuol dire staccare dalla tranquilla quotidianità e fare un salto nel paese dei balocchi. Ah!
Quanto ho amato l'Inghilterra. Anni fa con la famiglia avevamo
fatto il giro della Gran Bretagna, su
fino alla Scozia.
Mentre aspetto il mio turno al banco del gate la mente vaga.
39
La Scozia... Ricordo il verde intenso
dei boschi e le curve a gobba di
cammello delle Highlands. I laghi (che poi erano fiordi)... Strisce
azzurre scintillanti e increspate che
si insinuavano tra le scogliere a
picco.
Era estate, il vento scuoteva, e i
rami si incurvavano gentilmente.
Macchie d'ombra sulla strada che
si snodava in ripide salite e discese
in sequenza continua.
Su e giù, alti e bassi, una perfetta parafrasi della vita.
Non c'era traffico. Le poche persone che abbiamo visto erano dentro ai pub dove ci fermavamo per
dra sarebbe stata ancora la stessa.
Una mega metropoli che per attraversarla sembrava non avesse mai
fine.
Il mio è un volo economico. Prepagato e prenotato, tutto regolare...
Quindi che problema c'è?
Lo diventa quando nel bagaglio a
mano che ho già riempito di prelibatezze, chiedono di riporre anche
la borsa. Mi fermano al gate d'imbarco, mentre forzo la cerniera e
il mio colorito deve essere prossimo al bordò perché sto bloccando i
passeggeri.
Riesco a far rientrare quello che
straborda e la zip grazie a Dio tiene.
una sosta e avevano l'aspetto e la
parlata tronca dei contadini scozzesi... Come Braveheart... Sorrido.
Che posto da pecore.
Tanti branchi di pecore segnate di
blu che con sguardo assente ci vedevano passare da dietro ai reticolati. Pascolavano sotto il sole. Macchie bianche tra cespugli smeraldini che costeggiavano la strada.
Tempo d'estate, e più a nord andavamo e più il giorno sembrava lungo, non diventava mai buio.
Invece la fila si accorcia e tra poco
tocca a me.
Se mi chiedessero che ricordo mi è
rimasto di Londra, non avrei esitazioni.
Descriverei l'Inghilterra con il profumo dei saponi alla rosa dei piccoli alberghi dove sostavamo. La teiera elettrica sempre pronta con
qualche bustina di gusti differenti
da scegliere, bei giardini curati
e fioriti, grandi distese verdi con
poche fattorie. Dietro
ai recinti cavalli che pascolano
tranquilli dove nulla sembrava turbare quella quiete… L'azzurro di
un cielo gonfio di nuvole bianche,
grevi, che corrono veloci, e il vento che gioca a sospingerle qua e là.
Chissà se avrei avuto ancora le
stesse impressioni, se Lon40
migi, e tutto scorre come fosse un
film, ma sono veramente lì e sto
pregustando quello che verrà.
La vedo, testina bionda che sobbalza tra la folla della stazione, mi viene incontro con passo svelto, sorride. Un abbraccio interminabile e le
stampo un paio di bacioni sulle
guance. Mi guarda le scarpe con il
tacco e scuote la testa, <Non vanno bene. Preparati a scarpinare>
dice. Indossa ancora un giaccone
pesante. Insomma, la temperatura
non è proprio primaverile, sole e
pioggia si alternano continuamenSull'aereo il mio posto prenotato è
già stato preso, tutto occupato e la
borsa non ci sta. Non c'è più spazio
per riporre nulla, tutto stivato al
centimetro e siamo in molti.
La hostess gentilmente mi dice di
sedermi dove mi pare che intralcio
il traffico e poi il decollo.
Dopo un po’ arrivano con il carrello
delle bevande, snack e panini. Tutto a pagamento s'intende. Prima
dell'arrivo gli assistenti di volo cercano di piazzare persino i biglietti
della lotteria gratta e vinci, ma nessuno li compra. Volo al risparmio stile Fantozzi e gente taccagna...
Appena arrivo, fuori dall'aeroporto
respiro profondamente, qui c'è
un'aria diversa. Che meraviglia, aria pulita. Leggera brezza,
venticello pungente un Aprile ancora quasi freddo.
Ma quanti corvi...
Si rincorrono tra loro, parlano e si
rispondono gracchiando.
Dopo circa un'ora di autobus la
metropoli si offre in tutta la sua
estensione e grande magnificenza.
Londra dagli autobus rossi a due
piani, le cabine telefoniche rosse
anche quelle, che rimangono superstiti nonostante la tecnologia
avanzata dei cellulari le dichiari ormai obsolete.
Un traffico caotico, i ponti sul Ta-
te.
Vittoria Station e il nostro primo lunch insieme per sciogliere la
tensione. Tante cose da chiedere
e da ascoltare, poi incominciamo a
fare programmi per il fine settimana. Un bus per andare all'hotel,
lasciare la valigia e capire dove sarò per orientarmi.
Cosa fare nel tempo che rimango
l'ho già progettato e immaginato
nel dettaglio. Vorrei assolutamente
vedere la Chiesa dei Templari che
è proprio vicino al Blackfriars Bridge (ponte dei frati neri) dove è
stato trovato impiccato il noto banchiere Calvi e se riesco vorrei tor41
nare a Stonehenge.
Naturalmente le cose vanno in modo diverso. La Chiesa dei Templari
è chiusa per restauri, ci sono delle
Gallerie d' arte da vedere, e poi il
mercato di Portobello Road a Notting Hill. Non c'è tempo per Stonehenge.
Prendiamo la "tube", metropolitana londinese. La prima cosa che
noto sono le mura ai lati della ferrovia. Accipicchia, sono mura romane. I nostri antenati hanno lasciato segni tangibili anche qui.
L'hotel è gestito da indiani, tutto al
risparmio. Se si brucia una lampadina, pazienza. Manca lo shampoo? Lo chiedi e ti portano cinque
buste di bagnoschiuma. Per
quel poco che rimango, mi vanno
bene anche le bruciature di sigaretta nelle tende. Ma anche questa è Londra.
Vicino alla National Gallery, c'è la
Galleria dei Ritratti e vale la pena
di entrare. Ci sono cose che non ho
potuto fotografare, e lo sapevo,
nelle Gallerie non lo permettono.
A volte sono inquietanti. Il ritratto
di Aleister Crowley, noto satanista
e occultista che per un certo periodo era stato collegato ai Beatles,
quando erano all'apice della loro
carriera.
Come non associarlo ad una strana composizione di oggetti e piume appesi a un trespolo che formano un' ombra sulla parete...
Completo di corna, e del tutto improbabile per quel luogo, ne esce
fuori l'ombra del dannato.
Inghilterra, l'isola degli angeli. Il
chakra del cuore del mondo. Ma
non solo questo mi sembra.
Guardo i gadget nelle vetrine, portachiavi con angeli o diavoli a scelta. Nel pomeriggio facciamo un giro al mercato di Portobello Road a
Notting Hill.
Ci sono ragazzi che suonano le canzoni dei Beatles, ed è suggestivo
camminare tra le bancarelle con le
canzoni più belle della mia vita.
Non mancano tipi strani, come un
uomo anziano che attraversa la
strada, tutto vestito di nero, persino il cappello che porta in
testa e il mantello che svolazza nel
vento, tipo Dracula. Che dire, molto suggestivo.
Il tempo passa in fretta, ci si stanca
a camminare, fa freschetto e così entriamo a bere qualcosa dentro ai pub. Non sono esattamente
come i nostri bar. Ci si trova
per socializzare ma si mangia anche come al ristorante. Locali mol-
42
to frequentati dai Londinesi, che
mi pare bevano tantissimo.
Tempo di finire la birra e loro ne
hanno già ordinate almeno
tre. Sono allegri, parlano e bevono.
Prendiamo il bus e ci portiamo verso il centro di Londra. Dopo Marble
Arch, ancora un po’ di percorso e
l'autobus rallenta per una curva
stretta. Sull'angolo del muro di un
palazzo, proprio davanti a me, in
bella evidenza vedo il "caprone". Il
simbolo del male.
C'è un negozio che attira la mia
attenzione e decidiamo di entrare
a fare shopping <All Saints>. Ritiriamo il nostro acquisto e indovina
un po’ cosa c'è sulla shopper?
Ebbene si, ancora lui... Sulla busta,
sempre un cranio con le corna dentro a un cerchio magico.
Si vede che qui ha una certa importanza. Pare che la famiglia reale
faccia parte dei famosi tredici illuminati che governano il mondo, e
se così fosse i conti tornano.
Tutto potrebbe essere, visto la foto del principe William con lo
stemma sul petto, sempre lo stesso
(satanasso) che è il simbolo delle Royal Air Force a cui appartiene.
Potrai dire che sono strane coincidenze... Ma sono tante, e fanno
pensare.
Per quello che mi riguarda, meglio
cercare il bello delle cose. Una visita alla Tate Galleria d'arte moder-
na, e per arrivarci passiamo dal
Millenium Bridge. Da qui lo sguardo spazia lungo un bel tratto del
Tamigi fino al Tower Bridge, che è
il ponte più conosciuto di Londra e
poi proviamo a entrare alla Cattedrale di St. Paul, una delle
chiese-monumento più famose di
Londra.
C'è una scritta sulla porta a vetri
all'ingresso. Dice che questa è <La
porta del paradiso>.
Non ti nascondo il mio disappunto
quando sono entrata e fatti pochi
passi, un tipo mi chiede 15 Pounds
per poter fare la visita.
Son talmente contrariata che decidiamo di uscire subito.
La domenica, dove vanno i Londinesi? Ma al Covent Garden naturalmente e lì andiamo anche
noi... Un grande edificio di forma
rettangolare nel cuore di Londra all'interno del quale gli artisti di
strada si esibiscono, suonando o
facendo giochi di prestigio.
Ci sono anche negozi e una pasticceria-pub dove fanno dei dolci deliziosi, sia esteticamente che come
qualità.
Questa volta porterò con me il ricordo dei gelsomini fioriti vicino
all'hotel, e il comportamento diverso e disinibito delle persone.
Il sole fa capolino tra le nuvole e
dopo un po’ riprende a piovigginare, e così va avanti per tutto il
tempo che resterò.
C'erano gruppi di ragazze che giravano con infradito e camicette
scollate come fosse luglio e altre
persone con tanto di paltò e pelliccia.
C'è anche chi gira con i bigodini in
testa, ma non desta l'interesse di
nessuno sguardo. A quanto pare il
perfetto "self control" degli inglesi
non è soltanto un modo di dire.
Strano Paese dove una ragazza
43
seduta accanto a me sul bus, toglie
lo specchio dalla borsa e con disinvoltura incomincia a strapparsi le
sopracciglia e i peli dal naso.
Il guidatore è uno spilungone di
colore dalla bocca larga. Deve aver
visto la mia espressione allibita nello specchietto retrovisore
perché si volta indietro e mi sorride rassicurante.
Il momento peggiore è quello del
distacco. Dover andar via...
Profumo di gelsomini, negozi di
gadget, traffico di una Megalopoli
all'imbrunire, che se attraversi con
il quasi-rosso corri veloce perché ti
investono senza pietà.
Rabbrividisco ma non è per il freddo. Come è faticoso cercare di non
piangere, "sorridere con le lacrime
agli occhi", come dice una vecchia
canzone, e nell'ultimo abbraccio
voltare la testa dall'altra parte per
non far vedere lo sforzo...
Ma so che è giusto così.
Sapere che le persone che ami sono felici, (una figlia ha trovato il
suo spazio vitale) è l'unica cosa
che fa felice anche me.
Ogni giorno è un nuovo giorno, e
ogni giorno ricomincia una nuova
vita. La mia vita.
G.R.S. (GRUPPO RICERCHE SARDEGNA)
L’EVENTO DELLA LUCE DEI FORI
APICALI DEL NURAGHE
RUJU DI TORRALBA
Strane coincidenze all’interno dei
“castelli nuragici”
Come sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli archeologi, delle strutture di carattere
militare; eppure in questi ultimi anni
la loro unica funzione di fortezza è
venuta meno, sostituita gradualmente da altri ruoli, come quello di magazzini o residenze reali. Pochissimi
cattedratici hanno ipotizzato che fossero templi, il più noto fra questi è
sicuramente il Prof. Massimo Pittau.
Sono ormai storici gli studi di Carlo
Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad
aver portato come prova della funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari
eventi che accadono periodicamente
all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi due studiosi ad
aver messo in evidenza il singolare
evento da noi chiamato “fenomeno
della luce dal foro apicale”. Gli eventi
all’interno del nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi
furono da loro scoperti. A questi due
casi si sommarono quello del nuraghe Is Paras di Isili (Zedda 1992) e
altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani
di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi
studiato e reso noto, assieme ad un
accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del toro” (G.R.S
Gruppo Ricerche Sardegna, PTM
2011).
L’evento in questione si verifica
quando il sole, nei giorni del solstizio
d’estate, raggiunge una determinata
altezza. In questo giorno così particolare è possibile ammirare uno degli
eventi più sbalorditivi che animano
queste antiche torri. Un sottile raggio
di luce penetra attraverso il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice
Interno camera secondaria
44
della cupola costruita all’interno del
nuraghe. Tale raggio attraversa tutta
l’ampia volta e va ad illuminare (se
presente) la nicchia in sala, oppure la
base della camera (Is Paras di Isili).
Tecnicismo
del fenomeno della luce
dai fori apicali (sezione)
In quest’ultimo nuraghe da noi visitato, un nuraghe complesso a due camere sovrapposte, il Ruju di Torralba,
visuale dall’esterno
intenzioni degli antichi costruttori di
non chiudere immediatamente
l’ultimo corso anulare della volta con
la pietra apicale ma sviluppare un
prolungamento definito tecnicamente lanterna (un lucernaio) per superare lo spessore del terrazzo e raggiungere il suo piano di calpestio onde poter chiudere l’apertura. Questa
condizione, assolutamente singolare,
ha come unica finalità quella di poter rimuovere liberamente la pietra
apicale dal terrazzo per consentire il
verificarsi dell’evento solare.
L’eccezionale stato di conservazione
dell’ultima parte della cupola e
dell’intera sala (avente altezza di
4,88 m e una base circolare di 3,45
metri di diametro), nonché lo scrupoloso tecnicismo dell’illuminazione
della nicchia centrale, è la prova della volontarietà e della predittività
dell’evento, oltre ad attestarsi come
il caso maggiormente preciso, tra
tutti quelli finora conosciuti.
visuale interno camera
l’evento si è materializzato puntualmente, secondo quanto da noi ipotizzato. Il corridoio di ingresso della
camera secondaria (frazionato dal
raggiungimento della scala elicoidale
ascendente) del Nuraghe Ruju è orientato al passaggio del sole all’alba
del solstizio d’inverno. Un dato che
andrà confermato empiricamente al
prossimo solstizio.
Ciò che è innegabile, a nostro parere, è che il fenomeno che qui si verifica è assolutamente voluto. Fu nelle
45
Il fenomeno della luce dal foro apicale (Làcanas – anno x numero 57, IV
2012, Pag. 20) come mostrano le
foto, è straordinario. Il raggio solare
procede lentamente verso il basso,
man mano che il sole prosegue il suo
cammino apparente nel cielo, per
poi andare ad illuminare l’architrave
della nicchia, creando inaspettatamente la precisa forma di una bipenne. Pochi minuti dopo, alle 10:45
solari, quando il sole si trova ad un
azimut di 121° e ad un’altezza
(angolazione) di 63°, il raggio supera
l’architrave e taglia esattamente a
metà la nicchia illuminandone
l’interno. Avendo preso le misure
della nicchia (base inferiore 66 cm, al
vertice 40 cm, h 1,39 m, profondità
1,62 m, sopraelevata dal piano di
calpestio di 95 cm) ci siamo resi conto che le dimensioni sono sufficienti
affinché una persona adulta ci possa
stare comodamente seduta. Dopo
qualche minuto l’evento si esaurisce,
poiché il raggio prosegue il suo cammino spostandosi lateralmente rispetto alla nicchia.
Il nuraghe Ruju è ubicato a 40° 29’
48”N – 8° 48’46”E , a questa latitudine il passaggio del sole al momento cruciale del solstizio d’estate in
meridiano si contrassegna intorno ai
74°.
Il perché gli antichi costruttori abbiano voluto anticipare l’evento di qualche ora e in virtù di questo edificare lo stesso monumento per espletare questa condizione non ci è dato sapere, ma
quello che sorprende è che in questo
preciso punto di sosta, ove avviene
l’evento dal foro apicale ( ai 121° e a
una altezza di 63°) si identifica con la
direzione dell’alba del solstizio
d’inverno.
Le ipotesi su come potesse venir
sfruttato tale evento ovviamente
sono molteplici . Si ipotizza che una
figura sacerdotale o un capo alloggiasse in tale spazio. La visione sarebbe stata sicuramente sbalorditiva, e avrebbe recato diverso prestigio agli individui capaci di creare e
controllare un simile fenomeno, ol-
la Bipenne sull’architrave della nicchia
potevano manifestare divinità iconografiche, tuttavia in forma immateriale; un simbolismo segreto, celato
all’interno del monumento, custode
e dispensatore.
Il nuraghe è il tempio del Bronzo
Medio.
La nicchia centrale illuminata
tre a dargli la conoscenza della misura dell’anno e del progressivo decadere della stagione estiva, da questa
data in poi, infatti, si accorcia sempre di più la durata delle ore solari.
In virtù della paternità di questa
scoperta se ci è permesso una nostra personalissima interpretazione,
non possiamo esimerci innanzitutto
dall’ enfatizzare la grandi capacità e
le conoscenze architettoniche dei
nostri padri, capaci di saper “ ammaestrare” con il linguaggio della pietra
e della luce, un evento
“sbalorditivo”, generando uno scenario simbolico, raffigurativo, del
sacrificio del Toro-Sole.
È interessante notare che i nuraghi
nell’arco della loro edificazione registrano manufatti e cultura materiale
propensa all’aniconico. Questo è
confermato anche dal singolare riutilizzo come materiale da costruzione
(per nuraghi e tombe dei giganti)
l’Evento da un’altra angolazione
delle enigmatiche statue menhir iconografiche del periodo eneolitico
insulare del terzo millennio avanti
Cristo.
Non sarà difficile inquadrare
l’archetipo del nuraghe come il più
grandioso “Monolito” architettonico
realizzato dall’uomo, espressamente
destinato alle conoscenze astronomiche e alle funzioni sacre e in cui si
Nuraghe Bidd’è Pedra
Il menhir all’interno della camera di un Nuraghe
Ingresso camera
46
Un evento simile accade anche nel Pantheon
(tempio di tutti gli dei) di Roma, dove tale
evento, da sempre sotto gli occhi di tutti, è
stato messo in relazione ad una spettacolarizzazione del fenomeno, sfruttato per illuminare l’imperatore in una particolare cerimonia in una data precisa, per dimostrare
maggiormente il suo potere divino (Il Fatto
Storico, 23-08-2011 “Il Pantheon era una
meridiana romana?”).
La fisionomia del nuraghe nata dai
dettami del ciclo solare
Lo stesso Giovanni Lilliu nel 1998,
nell’interrogarsi riguardo ai nuraghi
monotorre così scriveva : “ la loro
forma monumentale e il volume
troncoconico quasi simbolico delle
torri che si elevano come un altare
e alla loro ubicazione spesso in luoghi dominanti e attrattivi come
quelli delle chiese e di santuari
montani” . Afferrata questa preziosa
intuizione abbiamo incluso anche un
altro difficile quesito ; sul perché vi
Frammenti menhir nelle mura
sia una netta inferiorità dei vuoti
strutturali rispetto alla massa muraria costituente il monumento e per
quale motivo avere delle camere
intenzionalmente lasciate in uno
stato di semioscurità. Queste condizioni indirizzarono la nostra principale linea guida di ricerca, unitamente alla comprensione delle planimetrie di progetto e le soluzioni
tecniche del pensiero architettonico
dei nuraghi monotorre. La risposta
soddisfacente dai risultati palesati
dal Fenomeno della luce dei fori apicali , della Luce del Toro e di altri
eventi e studi (che non tratteremo
in questa sede) confermerebbero la
destinazione dei nuraghi a templi
del sole, che effettivamente controllano eventi astronomici sensibili,
come l’alba del solstizio d’inverno,
l’alba del solstizio d’estate ed il suo
zenit, oltre alla luna e altri astri di
particolare visibilità.
L’espressione massima, l’apice, di
questo fenomeo è l’impatto della
luce sulla parete o addirittura dentro la nicchia centrale, che visivamente realizza la forma taurina, nitida ed inconfutabile, oppure che si
definisce semplicemente, come altri
casi osservati, con una fisionomia
stilizzata.
Le Stanze del Sole
In questo excursus, sono state oggetto del nostro studio anche le
Torri aggiunte, dette “finestrate”
dei nuraghi complessi, ribattezzate
nel nostro caso come “le Stanze del
Sole”. Questa particolare tipologia
di torre, rispetto al nuraghe origina-
Evento della Luce del Toro al nuraghe S.Barbara di Villanova Truschedu
Il fenomeno della luce del toro
In sintesi il fenomeno della Luce del
Toro si identifica nei nuraghi che
Nuraghe Arrubiu Orroli, un particolare del
presentano la porta d’ingresso oparamento esterno
rientata in un range che va dai 122°
ai 145° nella fase del solstizio
Evento nuraghe Zuras
d’inverno.
Il tecnicismo
del fenomeno della luce del toro è
operato dall’allineamento del sole
con il finestrino di scarico
dell’architrave del nuraghe, Il quale
a sua volta genera, all’interno, un
fascio luminoso che percorre tutto il
corridoio e la stessa sala.
Tecnicismo del fenomeno della luce del toro
47
Evento nuraghe Caddaris
rio, è caratterizzata principalmente
dal fatto di essere provvista di “ finestrelle” disposte a raggiera intorno alla camera ( in un numero che
non supera generalmente le dieci
aperture, raramente dodici ) per la
maggiore realizzate ad una certa
quota dal piano di calpestio. Le finestrelle attraversano tutto lo spessore murario, sovente in modo strombato verso la camera, esternamente
invece la finestrella si riduce ad una
stretta fessura o di poco più larga.
Seppure sia accertato che queste
torri siano costruite per addossamento oppure allacciate attraverso
cinte murarie alla torre principale
(per questo motivo ritenute più recenti della stessa) il tutto palesa la
progressiva evoluzione della civiltà
nuragica, la sua continuità cultuale,
ma soprattutto quella architettonica. Perché Le torri nuragiche dotate
di finestrelle, in ogni caso, inglobano tutta l’arte delle antiche maestranze Sarde, caratterizzate
dall’uso della camera voltata ad ogiva e da tutti i criteri tipici
dell’edilizia nuragica. Le torri Finestrate, si può affermare con sicurezza, sono strettamente subordinate
alla torre originaria e presenti solo
in questo contesto, vale a dire che
questa tipica torre non potrà mai
essere osservata in modo isolato,
inoltre questa si distingue per non
possedere la scala elicoidale (intesa
a partire dal corridoio), mentre in
alcuni casi invece è presente quella
sviluppata ad una certa altezza nella
camera. Ne consegue che non sono
mai visibili le classiche nicchie di
La stanza de sole nuraghe S.Barbara
camera che caratterizzano le torri
principali, salvo alcuni casi (nuraghe
Arrubiu di Orroli), tantomeno sarà
presente la nicchia d’andito, disposta immediatamente dopo
l’ingresso.
Alba Equinozio
Alba Solstizio d’inverno
Le torri secondarie (con finestrelle
e non), per motivi a noi sconosciuti
non hanno mai superato, per dimensioni e soluzioni tecnico/
architettoniche le torri arcaiche.
Ugualmente, non esiste esempio di
complesso nuragico che racchiuda
la realizzazione con due torri
“principali” gemelle con le stesse
caratteristiche, delineando in un
certo senso una vera e propria involuzione edilizia (eccezion fatta per il
Duos Nuraghe di Borore ). Per questo motivo e per le condizioni sopraelencate sono da ritenere anche
il marcatore più evidente della cesura esistente tra il periodo della
costruzione dei monotorre a sviluppo verticale (a più camere sovrapposte e dotati di scala elicoidale ) e
quello delle torri “finestrate” unite
da cinte murarie. Le torri con fine48
strelle, dalla tipica planimetria caratterizzante il loro “spirito architettonico”, si diffondono in modo omogeneo nel territorio aumentando
di molto l’impianto di quelli che diventeranno poi dei nuraghi complessi. Addizionando appunto alla
torre principale altre torri secondarie, tramite il semplice addossamento, oppure con la connessione attraverso le cortine murarie. Di conseguenza le torri secondarie si distribuiscono in riferimento alla torre
principale, in modo frontale, laterale, circolare, oppure con altri impianti. Identificati per il numero di
torri componenti, i nuraghi complessi sono stati pertanto classificati
per tipologie: bilobato, trilobato,
quadrilobato, pentalobato e così
via.
Anche queste torri finestrate, a loro
volta in alcuni casi, subiranno una
parziale cesura o mascheramento
dettato dalla fase in cui si realizzavano i poderosi rifasci nell’intero
paramento esterno del complesso,
con incremento notevole sia della
superficie di base del complesso
che della superficie dello stesso Terrazzo. E bene sottolineare che In
diversi nuraghi Polilobati dove sono
presenti i robusti antemurali (Su
Nuraxi di Barumini), che operano
puramente con lo scopo di delimitare lo stesso complesso, si riproponevano ancora e di numero le classiche torri perimetrali finestrate,
realizzando infine dei veri e propri
complessi architettonici di alto prestigio monumentale.
Resta di fatto che le torri finestrate
sono anch’esse edifici da noi identificati come possessori di una precisa funzionalità, quella di controllare
plurimi eventi astronomici.
Coscienti che i misteri dei nuraghi,
ormai bistrattati da secoli da innumerevoli ipotesi formulate da studiosi ufficiali e outsiders, non potranno mai essere pienamente svelati; resta per ora come soluzione
quella di indagare il nuraghe nella
sua planimetria e architettura, su
quella pietra sapientemente posata
da mani antiche, che ancora oggi
paradossalmente racconta ad occhi
che sanno osservare. Quello che Il
gruppo G.R.S. propone non sono
nient’altro che palesi testimonianze
fotografiche a prova del più scettico
“San Tommaso” e null’altro vogliamo dare da queste ricerche, se non
una flebile possibilità di riflessione.
Alla “luce” di questi avvenimenti,
sempre più numerosi e non casuali,
è palese come sia arrivato il momento di abbandonare la visione
unidirezionale del nuraghe fortezza
o dimora del capo, in voga ormai da
quasi un secolo e di gettare nel dimenticatoio quella di abitazione,
luogo di riposo o magazzino, per
iniziare a considerare l’ipotesi che
tali strutture fossero dei templi dedicati al culto solare, cosa che accomuna quasi tutte le civiltà megalitiche e ciclopiche, e che i costruttori
di tali edifici avessero delle avanzate conoscenze in campo astronomico.
nili. Secondo alcuni studiosi rappresenterebbe il sole, il tuono, la forza
dell'elemento celeste e la regalità,
nelle culture Minoica e Cretese si
pensa rappresenti rapporti strettamente legati al culto taurino come
simbolo della potenza generatrice
della natura, l'ascia dunque sarebbe
utilizzata come strumento rituale
per sacrificare gli stessi tori nei riti
di tauromachia.
Sincretismi in riti e feste popolari.
Da una canzone popolare raccolta
da Francesco Enna in Sos cantos de
foghile, si racconta una storia dalle
antiche origini, trasmessa oralmente (in versi) per non perderne la memoria. Nella canzone di Maria Giusta come interpreta la Dolores Turchi riemerge con evidenza il culto
delle acque praticato da sacerdotesse munite dell’ascia bipenne a scongiurare i drammi e le tragedie della
calamità e in primis della siccità.
Foto 1
Approfondimento bipenne
La Labrys o ascia bipenne è un arma simbolo, dai forti significati distruttivi e riparatori, mediatrice
dell’uomo con il divino. Di questo
simbolo antichissimo si trova testimonianza in tutto il Mediterraneo,
nel Medioriente, in Africa e in Nord
Europa e soprattutto anche in Sardegna. L’ascia bipenne è facilmente
associata come arma tipica dei
guerrieri indoeuropei, grazie agli
scavi archeologici diffusi in questi
siti sono stati ritrovati reperti esemplari appartenenti sia alle culture
Celtiche e Vichinghe, alla Grecia
Classica, e alla civiltà Nuragica; esempi di ascia bipenne, databili attorno al 1500 a.C. sono stati rinvenuti in Spagna, in Danimarca e a
Creta, in Sardegna (Santa Vittoria di
Serri e altri siti) e anche in Etruria.
Questa arma di grande potere simbolico è stata attribuita a diverse
divinità guerriere maschili o femmi-
Palazzo di Malia(Creta), e chiesa di San
Giovanni Battista di Tramatza (Or) rappresentazione della bipenne
Nella Grecia Classica e nella cultura
Celtica rappresentava anche la
grande dea Madre, la più antica di
tutte le divinità cretesi, simbolo
della Terra, della fertilità e del potere femminile, creatrice universale. Per i Celti in particolare era il
simbolo di Rosmerta “La Grande
Dispensatrice” e dea della fertilità,
che veniva sempre rappresentata
con un'ascia bipenne al collo o in
mano. In età romana, ma anche
precedentemente, la labrys era lo
strumento rituale usato nel sacrificio del toro e di altri animali offerti
alle divinità. Anche in massoneria
l’ascia bipenne infissa nella pietra
cubica assume un significato simbolico particolare, il cercare di penetrare il vero significato delle cose.
49
Foto 2
Foto 3
1 )Chiesa si Sant’Andrea apostolo a Villanova
Truschedu: bipenne e altri simboli scolpiti sui lati
delle finestre. ( 2) San Pietro Ponte a Quartu S.E.
Archetti pensili con teste di toro scolpiti. (3) Chiesa di S. Andrea (Quartu) loggiato sorretto da
travi in legno in forma taurina.
Scavi archeologici
Foto 4
Foto 5
Foto 6
(4 ) Chiesa di San Pietro di Bulzi, Testa taurina
scolpita sui pilastrini degli archetti. ( 5 ) Santuario di San Bachisio, Bolotana. Tre teste di toro
scolpite sul cordone dell’architrave della porta
d’ingresso. ( 6 ) Chiesa di San Francesco, Oristano. Toro scolpito.
A Nuoro è ancora vivo il ricordo di
donne che durante periodi persistenti di siccità, radunavano gruppi
di bambini che muniti de “sas ruchittas” stecche di canne verdi incrociate e sostenute da un bastone di ferula nella forma ricordante la sacra bipenne, andavano in una sorta di processione al fiume per fare cessare
questa avversità.
Santa vittoria di Serri
Al santuario nuragico S. Vittoria di
Serri siamo di fronte all’autenticità
della testimonianza di fede della religiosità “Nuragica” e dei riti svolti dagli antichi sardi. Il sito comprende sia
un pozzo sacro, un nuraghe, un recinto delle feste e numerose altre
costruzioni, oltre all’omonima chiesetta di Santa Vittoria. I ritrovamenti
dei ricchi depositi votivi attorno al
tempio a pozzo e nelle numerosissime capanne cultuali hanno restituito
un tesoro inestimabile composto da
spade, pugnali, lance, contenitori di
bronzo, oltre ai classici bronzetti offerenti, madri con figlio in grembo,
sacerdotesse, oranti, arcieri, capotribù con bastone di comando, inoltre
ancora rappresentazioni miniaturistiche di contenitori in bronzo per derrate, carri, figurine di colombe, tori,
cervi, capre volpi, protomi animali di
navicelle nuragiche, aghi crinali in
bronzo, pugnali ad elsa gammata,
bracciali, anelli, ceramiche e tanto
altro ancora, segno incontrastabile
di secoli di frequentazione di questa
area sacra. Tra i reperti ritrovati vennero alla luce sculture zoomorfe assolutamente rilevanti, due protomi
taurine in calcare, dimostrazioni
dell’arte scultorea a tutto tondo provenienti dal tempio a pozzo, da riferirsi a quella divinità –toro adorata
sin dall’età neolitica.
Una estrapolazione del disegno di Elio Moncelsi ( Dolers
Turchi Maschere, miti e feste della Sardegna)
50
In quasi tutto il sito , nelle capanne
del recinto delle feste, nel tempio
ipetrale, nella torre con finestrelle,
nel recinto dei fonditori, e in altre,
ancora persiste allo stato stratigrafico i resti di pasti sacrificali composti
da bovini, suini, ovini, cervi, e le immancabili valve di molluschi
(Cardium o Mythilis) . In particolare
portiamo all’attenzione la “Capanna
della Bipenne” all’interno della quale
è stato ritrovato, ai piedi dell’altare,
un pilastrino che si inseriva in una
basetta con una dentellatura superiore in pietra calcarea ed una grande ascia bipenne in bronzo lunga 27
cm (Inspiegabilmente non visibile in
nessun museo). Lo stesso Taramelli
la definì la “Sacra Bipenne Betilica”
ad uso di sacrifici rituali di animali,
confermato dallo stesso recinto delle
feste e altre parti dell’area sacra che
ne mantenevano le tracce.
Capanna della bipenne
Anche nella capanna delle Bipenne,
presso la base dell’altare, sono stati
rinvenuti resti di abbondanti pasti,
ma quello veramente sorprendente
e che il Taramelli operò un saggio di
scavo sotto il pavimento lastricato
in calcare, e portò mise alla luce una sottostante pavimentazione
sempre realizzata in lastre di calcare. Lo strato di terriccio tra i due
pavimenti conteneva oltre ai resti di
pasto anche (sicuramente offerte
votive) manufatti nuragici, ceramiche, frammenti di pugnale, anelli,
statuette bronzee e anche un modellino di bipenne immanicato.
Alla luce di questo ultimo reperto lo
stesso Taramelli ne testimonia la
persistenza del culto della bipenne
nelle due fasi edilizie della capanna.
Questo modo frettoloso di identificare “due fasi edilizie” appare poco
convincente ed è prova invece di
una persistenza del culto con le medesime modalità, testimonianza
della prosecuzione dei riti religiosi
senza che vi sia stata alcuna cesura
“etnica”. In questi ambienti dediti al
culto gli occupanti non ripulivano
intenzionalmente il luogo e anzi,
sovrapponevano a più strati le offerte sacrificali di pasto o di oggetti
in ceramica e bronzo lasciando il
tutto in uno stato di conservazione
volontario ( La luce del Toro PTM
Mogoro 2011 capitolo VII). Questa
condizione di fatto è riscontrabile in
molti siti dove si è operato uno scavo stratigrafico vuoi che essi siamo
templi a pozzo, capanne “cultuali”,
e gli stessi Nuraghes.
Arbus località Riu D’Ome e S’Orcu Bipenne
miniaturistica in piombo IX – VIII a. C.
Reperto dell’alta Marmilla
Il complesso nuragico
Antigori Sarroch
Il complesso nuragico di Antigori è
un insediamento costituito da diverse torri, rocce naturali e cortine rettilinee a circondare un colle che si
innalza a dominare visivamente cir51
ca venti chilometri di spiaggia, da
Cagliari sino a Punta Zavorra. La
stessa collina va a consumarsi verso
il mare non prima dell’attuale stabilimento petrolifero di Sarroch.
Di tutto questo complesso prendiamo in esame il vano A che presenta
una pianta quadrangolare
(3.20 /2.20 m) nonostante gli scavi
clandestini abbiano in parte rovinato le sequenze stratigrafiche della
parte centrale, sono stati conseguiti
comunque scavi stratigrafici dei depositi che residuavano lungo le pareti orientale e occidentale. Di questo vano permane il dubbio che fosse coperto a volta ogivale anche se
risulta molto più probabile una copertura a frasche come le classiche
capanne. La ceramica nuragica in
associazione a quella Micenea
(alcuni frammenti sono stati datati
con certezza al Miceneo IIIb e al
IIIc ) è stata ritrovata nei diversi
strati recenti e antichi e in
quest’ultimo e altri è stata rinvenuta solo ceramica nuragica. Questo
conferma il sito prettamente di matrice nuragica, che tuttavia mostra
una certa consuetudine con contatti
diretti con Micenei in loco oppure di
plausibile diretta importazione nuragica. Una curiosità allo strato 2 è il
ritrovamento di una quarantina di
pesi da “rete” di forma cilindrica
con base piatta rinvenuti disposti in
strati sovrapposti e con costante
andamento a semicerchio, i quali
fanno pensare per la loro giacitura a
una rete da pesca arrotolata a deteriorarsi in situ (questo secondo
l’interpretazione dell’archeologa R.
Assorgia). Questa lettura lascia alquanto perplessi nel giustificare una
disposizione regolare di pesi cilindrici (in piombo o litici non è stato
chiarito ) di una rete da pesca, non
fosse peraltro che l’abbandono di
tale rete in un vano così esiguo,
troppo evidente e ingombrante,
avrebbe ingenerato il buon senso
del recupero di tali pesi o molto più
semplicemente la rimozione
(pulizia). Le disposizioni regolari di
questi oggetti cilindrici son più da
ascrivere a dei gesti cultuali, visto
anche lo stato di rinvenimento e la
loro particolare disposizione in strati sovrapposti, la quale sarebbe sicuramente stata sconvolta dalle
successive frequentazioni antropiche di poco successive.
Nel saggio di scavo lungo la parete
Est del vano A, oltre a restituire
frammenti ceramici Nuragici e Micenei è stata portato alla luce la
straordinaria doppia Ascia Bipenne
miniaturistica votiva in piombo con
foro impervio per infissione sul manico h 2,5 / 3 cm largh. 5 cm. Recenti indagini (non chiarite) hanno appurato che tale reperto proviene
dalla grotta sepolcrale “O”.
Risalenti all'età del bronzo, anche in
Sardegna, l’ascia bipenne (uno dei simboli più belli e caratteristici da osservare)
è presente sia come
reperti che come potente simbolo cultuale. Secondo alcuni
archeologi quella forma era per l'uomo
nuragico la rappresentazione delle corna del toro, oppure
della falce lunare, associando il binomio "toro-sole" e "vacca-luna".
I TRE ASSI e il primigenio simbolo
della Bipenne
È ormai noto che i punti cardini del
sole e della stessa luna non hanno
subito sostanziali variazioni in relazione al fenomeno della precessione degli equinozi, poiché la differenza misurata è di 40’ primi. Di
conseguenza la posizione del sole
alla sua levata e al suo tramonto è
sostanzialmente quella che osservavano gli antichi Sardi dell’età del
bronzo. Una persona dedita ad osservare l’astro del sole in uno stesso
luogo nell’arco di un anno, munita
di semplici mezzi, come dei paletti,
poteva raggiungere lo scopo di avere un quadro generale del moto apparente del sole, fattore che in quel
periodo sicuramente manifestava
un livello di conoscenza
elevato.
La figura della bipenne
dunque, per nostra interpretazione, si può
inserire in uno schema
o in un simbolo che
rappresenti la levata e
il tramonto del sole nei
periodi principali
dell'anno come solstizi
ed equinozi. In modo
elementare gli antichi
potevano raffigurare,
inciso come un simbolo appunto,
una formula riassuntiva, un
“progetto di realizzazione generica”, che racchiudeva in sé gli elementi basilari per la
realizzazione
dell’opera, stilizzata
con la forma della
croce di
Sant’Andrea ovvero
come la Bipenne.
Lo schema dei tre
assi dimostra come
in modo empirico si
potevano rilevare
gli orientamenti del
sole nei momenti
più importanti durante il trascorrere
52
dell'anno.
Nello schema si osserva la disposizione dei tre assi seguendo una logica semplice ma efficace, in primis si
inserisce un palo per terra in direzione di un solstizio, in un secondo
tempo il secondo palo segue la linea
dell'altra alba del solstizio, cosi a
formare in quella determinata posizione un intersecarsi delle due ombre.
Di conseguenza il terzo palo posto
al centro dell'incrocio rileverà gli
equinozi. In questo modo la figura
che si crea è quella di una bipenne,
infatti quando il sole sorge a 58°,
l’alba del solstizio d'estate, la luce
solare che colpisce l’asticciola di
legno crea un ombra che va in direzione dei 238° dove avviene il tramonto al solstizio invernale.
E di conseguenza l'ombra creata
dall'asse posizionata verso i 122°,
l’alba del solstizio invernale, darà la
direzione opposta cioè 302°, tramonto del solstizio d'estate.
LIFE AFTER LIFE
DI NOEMI STEFANI
IL DESTINO È NELLE
NOSTRE MANI.
MAI ARRENDERSI
(DETTATO DA JESUS)
Senza fare sforzi non avreste nulla. Non possedete
un'anima per avere tutto
presto.
Altro pensiero è stare bene
con voi stessi e per questo
non vi serve alcuna passio-
ne.
Non avete nessun bisogno
di mettervi in gioco per cose che non sono date.
Quando una Creatura sente
delle necessità che la spingono a cercare, vuol dire
53
che tutto quello che la circonda non corrisponde alle
sue esigenze.
Una cosa è cercare il bene
della propria salute e un'altra cercare cose che ti turbano il cuore.
Meglio essere senza denti
e avere il pane o perdere
tutto il cibo perché nessuno pensa a te come tu ti
senti di essere?
Non siete umani per avere
tutto. Siete umani per avere ciò che viene dato per
tenervi sollevati dalle trappole del dannato.
Quello che vedete scintillare non è oro vero. È solo un
pessimo percorso che vi
viene mostrato per sviare
ciò che veramente vale.
L'allegria e la capacità di
sentire le paure di chi ti sta
accanto, sono doni che
porti.
Secondo te valgono poco?
Una sola cosa vale quanto
il tesoro più grande di tutto
l'universo.
Un bel sorriso per te.
Nessuno può portartelo
via, nessuno può turbare la
tua serenità se riesci a impedire ai mostri che vi
stanno perseguitando di
fare che vi tolgano la pace.
(Politici)
Una sola cosa potreste fare
e ve lo voglio dire perché lo
sappiate.
Insegnare ai vostri figli una
sana esatta
"inconcludente" vita perché possano avere una vita
esatta e incontrare le opportunità che desiderano
vivere.
"Inconcludente" non significa senza scopo. Significa
che non segue i dettami e
gli scopi che loro vorrebbero che voi viveste.
Non state a pensare al futuro che verrà. Non state a
preoccuparvi se le cose
possono essere peggiori o
migliori.
Il caso non può fare danni,
il destino che vorreste è deciso da chi una volta decise
di essere umano.
Sarà secondo la vostra particolare decisione, senza
seguire nessuno.
Avete bisogno di stare in
pace, avete bisogno di avere una sicurezza che vi dia
serenità.
Lasciate che tutto sia secondo le vostre decisioni e
poi se tutto è conforme alle
aspettative, avrete una serena vittoria.
Se togliete le aspettative e
lasciate che il destino provveda, sarà soltanto un ripiego e perderete il senso
di ciò che volevate.
Non perdete il senso della
volontà. Decidete ciò che
volete e poi portatelo fino
alla fine, senza avere paura di quello che sarà. Alla
fine avrete già avuto la vostra vittoria, una vita secondo le vostre decisioni, e
54
non un seguire il pessimo
interesse che vi distoglie da
voi.
Vedrete che le cose sono
facili, sono più facili di
quello che pensate.
Abbiate fede in voi stessi e
state attenti a non cadere
nei tranelli di chi vi vuole
separare dal vostro Credo.
Faccio un breve commento
perché so che non è facile
da comprendere.
Per quanto riguarda la prima frase, Jesus dice
che dentro di noi abbiamo
già tutto per stare bene.
E questo lo diceva anche
nei Vangeli.
Ma qui scende nel dettaglio e spiega qual è la differenza del sapersi
accontentare e subire passivamente il destino che è
frutto delle nostre scelte,
e decidere noi stessi..
Dice invece che è gioia essere consapevoli, dice di
fare un progetto di
vita, e viverla fino in fondo.
Secondo i dettami del nostro vero "io" e non quello
che è giusto secondo il
resto del mondo.
Non è bellissimo?
IL PIÙ ANTICO
TEMPIO DEL MONDO
PHILIP COPPENS
(TRADUZIONE DI ARIO LIBERT]
Con la pubblicazione di questo studio ricordiamo il ricercatore Philip Coppens, recentemente scomparso.
Simone Barcelli
Un tempio antico di 12.000 anni che
è oggetto di scavi in Turchia sta riscrivendo la storia. Sembra appartenere ad una civiltà più vasta sino ad
ora sconosciuta e che si sta scoprendo lentamente.
Cinque millenni ci separano dalla
nascita dell'Egitto antico verso il
3100 a. C. Aggiungiamo ancora cinque millenni e siamo nel 8100 a. C.,
l'inizio dell'era del Cancro.
Aggiungiamo un altro millennio e
mezzo ed otteniamo la data in cui
Göbekli Tepe, è stata costruita negli
altipiani della Turchia vicino alle
frontiere irachena e siriana.
Archeologicamente classificato co-
me sito preceramico, un periodo
neolitico (verso il 9.600-7.300 a. C.),
il tempio più antico del mondo è
situato nella prima parte di quest'epoca ed è stato datato al carbonio
14 al 9.500 a. C. È l'epoca in cui sarebbe sparita l'Atlantide di Platone.
Ed è stato costruito 5.000 anni prima dell'emergere di ciò che molti
considerano come la civiltà più antica Sumer, non molto distante da
Göbekli Tepe quando si discende
l'Eufrate e si lasciano gli altipiani dei
monti Taurus in Turchia.
Göbekli Tepe è un sito incredibile.
David Lewis-Williams, professore di
Archeologia all'Università di Witwatersrand a Johannesburg, dichiara
che "Göbekli Tepe è il sito archeologico più importante del mondo".
Si tratta di una piccola collina all'orizzonte, a 15 chilometri a nordovest della città di Sanliurfa, più comunemente conosciuta con il nome
di Urfa, che è stata legate con l'Abramo biblico (alcuni pretendono
che Urfa era la città di Ur menzionata nella Bibbia) e che ha un tempo
accolto il Santo Mandylion, on legame con la Passione del Cristo.
Anche conosciuto con il nome di
Edessa, Urfa è sul bordo della zona
piovosa dei monti Taurus, fonte del
fiume che attraversa la città e raggiunge l'Eufrate. Urfa era (ed è an55
cora) un'oasi, il che potrebbe spiegare perché Göbekli Tepe è stata
costruita nelle vicinanze.
Una statua di grandezza naturale in
calcare che è stata trovata ad Urfa,
presso lo stagno Bailli Gol, è stata
datata al carbonio 14 tra i 10.000 e
9.000 anni a. C., il che ne fa la più
antica scultura in pietra mai scoperta. I suoi occhi sono fatti di ossidiana.
Un vecchio pastore curdo, Savak
Yildiz, ha scoperto la vera natura di
Göbekli Tepe nell'ottobre del 1994,
quando, scorgendo qualcosa, ne
rimosse la polvere che espose una
grande pietra di forma oblunga.
Uno scavo del sito era stato effettuato dall'archeologo americano
Peter Benoît nel lontano 1963, ma
identificò la zona come un cimitero
bizantino. Quando gli scavi dell'archeologo tedesco Harald Hauptmann e Adnan Misir e Eyüp Bucak
del Museo di Urfa hanno iniziato nel
1995, hanno subito capito che il sito
era qualcosa di più.
Göbekli Tepe è una serie di strutture di circoli ed ovali situati soprattutto sui pendii di una collina, conosciuta con il nome Göbekli Tepe Ziyaret. "Ziyaret" significa "visita", ma
questo è spesso escluso da questo
nome. Alcuni traducono "Göbekli
Tepe" con "Ombelico del Mondo",
"Göbek" non significa "ombelico" o
"ventre" e "Tepe" significa "colline",
la traduzione più corretta del nome
del sito deve essere "la collina panciuta".
I media sensazionalisti hanno fatto
per di più dei tentativi per legare
Göbekli Tepe con il giardino biblico
dell'Eden. Göbekli Tepe è molto antica, ma non è unica, né un giardino.
Tuttavia, durante gli ultimi 50 anni,
l'epoca dell'inizio della civiltà è stata
progressivamente spostata indietro
rispetto all'ascesa della civiltà sumera sino alla costruzione di Göbekli Tepe.
Ahimé, questo spostamento non ha
ricevuto l'attenzione che meritava.
Retrodatare la nascita della civiltà
La scoperta della biblica città di Gerico e delle sue mura in pietra, datata a circa l'8.000 a. C. fu la prima a
sospingere la data di nascita della
"civiltà". ‘Ain Ghazal che è spesso
considerata come un sito gemello di
Gerico con i suoi 15 ettari, è il più
grande sito neolitico del Medio
Oriente ed è quattro volte più grande di Gerico. L'americano Gary O.
Rollefson, il suo principale archeologo, è stato capace di datare la città
al 7.250 a. C., ed esistono prove che
l'agricoltura nella regione risale al
6.000 a. C. più tardi della creazione
della città stessa. Al suo apogeo,
2.000 persone vivevano a Ain Ghazal.
Tuttavia, nel 5.000 a. C. la città è
completamente deserta. Trenta statue sono state scoperte, misuranti
dai 35 ai 90 centimetri, sono degli
esseri umani apparentemente, ma
che potrebbero rappresentare delle
divinità o gli spiriti degli antenati.
La scoperta di Gerico dà ulteriore
peso all'argomento secondo il quale
la Bibbia è storia, non un mito.
Ma quando si viene a sapere successivamente che esistevano anche
dei siti più antichi di Gerico,
"sfortunatamente" che non si trovano in Palestina, ma più a nord, in
Anatolia, nel sud-est della Turchia,
l'interesse dei media per queste
nuove scoperte sembra esaurirsi.
Il più famoso di questi siti è Çatal
Höyük. È stato scoperto nel 1958
dall'archeologo britannico James
Mellaart, che ha cominciato gli scavi
nel 1961 e che ha infine datato il
sito tra il 7.500 ed il 5.700 a. C.
È il più grande ed il meglio conservato dei siti neolitici scoperti sinora.
Mellaart lo ha descritto come una
"Roma del neolitico", ed essa è veramente degna di questo nome:
"città". Le sue costruzioni mostrano
dei segni evidenti che i suoi abitanti
possedevano una religione, etichettata da alcuni come un culto della
Dea Madre, benché questa teoria
sia stata oggetto di numerose controversie.
Ciò che sappiamo, è che i morti erano sepolti sotto il pavimento degli
edifici, e che molte di queste strutture contengono delle rappresentazioni di tori. Alcune persone hanno
anche lasciato intendere che esiste
probabilmente un'origine comune
tra Çatal Höyük e la civiltà minoica
di Creta, a dispetto del fatto che le
separino 3.000 anni.
Çatal Höyük era la prima di alcune
scoperte che hanno svelato lenta56
mente la storia antica della regione
turca. Göbekli Tepe non è che uno
dei numerosi siti molto antichi ed è
il più antico scoperto sino ad oggi.
Tuttavia, l'esistenza di questi siti
non è stata segnalata che sulla
stampa specializzata, benché ogni
sito abbia un carattere sensazionale.
Il sito di Çayönü, situato a circa 96
chilometri da Göbekli Tepe, è conforme ad una concezione che è nota
come "pianta a griglia". Ciò rivela
che una pianificazione minuziosa
entrò nella sua costruzione.
Gli Americani Linda e Robert Braidwood, in collaborazione con l'archeologo turco Halet Cambel, hanno cominciato a scavare Çayönü nel
1964 ed hanno constatato che i piani delle costruzioni erano fatte di
granito (calce viva e argilla), anche
se al momento della scoperta, si
pensò che ciò era stato utilizzato
dapprima dai Romani. Il sito ha anche rivelato l'utilizzo di metalli e la
prima prova della fusione del rame,
benché alcuni sostengano, tuttavia,
che il rame sia stato martellato a
freddo piuttosto che fuso.
L'utilizzazione del rame non è una
sorpresa totale, perché il sito è a
portata dei giacimenti di minerale di
rame (ed anche di ossidiana) di Ergani nella vicina provincia di Diyarbakir. E tutto ciò in un sito datato
tra il 7500-6600 a. C.
Çayönü è spesso considerato come
il sito in cui cominciò l'era che doveva approdare a Çatal Höyük.
Çayönü presenta delle prove dei
primi porci da allevamento, ma ha
rivelato anche un tesoro di crani
umani, se ne scoprirono sotto un
altare, a forma di lastra e macchiato
di sangue umano. Alcuni hanno concluso che si trattava di un'indicazione di sacrificio umano, mentre altri
non hanno voluto trarre questa
conclusione avendo a disposizione
un solo tipo di questo manufatto.
Altre prove archeologiche suggeriscono che alcune persone sono state uccise in enorme fosse della mor-
te, mentre dei bambini sono stati
sepolti vivi dentro pozzi o grandi
contenitori di bronzo. Çayönü è
dunque una civiltà, ma forse non
come ci piacerebbe conoscerla.
Un altro sito importante è Nevali
Cori, nella provincia di Hilvan tra
Diyarbakir e Sanliurfa. Qui, gli scavi
di Harald Hauptmann sono iniziati
nel 1979 ed egli ha potuto scoprire
delle statue di pietra calcarea. Nel
1991, il sito è stato sommerso da un
lago dopo la costruzione della diga
Atatürk. Condivide numerosi paralleli con Göbekli Tepe ed è datato tra
il 8400-8000 a. C. Tutti gli oggetti
ritrovati sono ora nei musei, compresa una testa a forma d'uovo a
grandezza naturale con delle orecchie rozze ed una coda di cavallo
scolpita, essa fu ritrovata in una nicchia al centro di un muro nord
ovest. Fatto interessante, la coda di
cavallo è infatti un serpente a fregio
che termina con un fungo a forma
affusolata. Qualsiasi cosa essa cerchi di rappresentare, l'archeologo
tedesco Klaus Schmidt pensa che si
tratti di un idolo.
Nevali Cori ha preparato il terreno a
Göbekli Tepe: poco tempo dopo la
sua scomparsa sotto le acque,
Göbekli Tepe è stata sommersa dalle sabbie. Numerosi sono coloro che
sottolineano la forma a T, Dei pilastri di Göbekli Tepe come la "firma"
del sito. Tuttavia, pilastri a T, sono
stati trovati anche a Nevali Cori.
Nevali Cori è più quadrato che di
forma circolare, anche se una cinta
quadrata è stata trovata a Göbekli
Tepe. Benché esistano alcuni paralleli tra i due siti, i pilastri di Nevali
Cori sono tuttavia più piccoli ed il
suo santuario è situato nel cuore di
un villaggio.
Il sito Göbekli Tepe rivelato
In paragone al sito di Göbekli Tepe
è debole. L'autore britannico
Andrew Collins ha paragonato la
sua dimensione a quella di "tre
campi da tennis". I suoi principali
scavatori sono Klaus Schmidt e
Harald Hauptmann dell’Istituto tedesco di archeologia, a Istanbul.
Tutti i complessi a Göbekli Tepe che
essi hanno scoperto sinora sono
caratterizzati da strutture contenenti dei pilastri a T.
Questi pilastri sono stati utilizzati
come "delle tavole da disegno" e
molti rappresentano degli animali,
con una preferenza evidente per i
cinghiali, le volpi, dei rettili, dei leoni, dei coccodrilli e degli uccelli, così
come per gli insetti ed i ragni.
La maggior parte tra di loro erano
intagliati sulle superfici piane dei
pilastri. Tuttavia, alcuni sono delle
sculture tridimensionali, di cui una
57
scoperta, nel corso della stagione di
scavi 2006, rappresenta un rettile
che scende sul lato di un pilastro a
T, il che dimostra che colui che ha
creato quest'ultimo aveva padroneggiato l'arte della scultura su pietra su un piede di eguaglianza con
quelle che, migliaia di anni dopo,
vedremo a Sumer ed in Egitto.
Sino ad ora, quattro complessi circolari, ovali sono stati scavati. Le
mura sono fatte di pietra a secco e
grezze e suoli terrazzati. L'interno
delle mura hanno in genere alcuni
pilastri a T divisi lungo queste stanze in un motivo raggiante, la profondità del pilastro normalmente
contro o vicino al muro affinché le
due facce principali del pilastro possano essere scolpite e viste da chiunque è presente all'interno del
complesso. Un banco basso corre
lungo tutto il muro esterno di ogni
complesso.
Le strutture sono situate sul versante sud della collina, orientato approssimativamente nord-sud, con la
loro entrata a sud. Tutti i pilastri a T
sono stati ricavati da una cava di
pietra sulla pendenza sud-ovest in
basso alla collina. Uno dei pilastri è
rimasto in situ nella cava, ha sette
metri di lunghezza e tre metri di larghezza, e se fosse stato interamente scavato sarebbe pesato 50 tonnellate, ciò evidenza che la costruzione con pietre che pesano tonnellate non è iniziata in Egitto o in Inghilterra con Stonehenge.
Il complesso A, la prima struttura
circolare ad essere stata scavata, è
detta "l'edificio a colonne di serpente", perché le rappresentazioni del
serpente prevalgono nelle sculture
sui pilastri a T. Una è una rete di
serpenti. Un altro pilastro, tuttavia,
rappresenta una "triade" il toro, la
volpe e la gru, posti uno sull'altro.
Alcuni pilastri rappresentano soltanto un toro, altri soltanto una volpe,
e così via.
Il complesso B misura nove metri di
diametro, misurato da est ad ovest
e da 10 a 15 metri da nord a sud
(parte ancora non scavato).
È tuttavia il solo complesso scavato
sino al livello del pavimento che rivela la superficie del terrazzamento.
Due pilastri centrali hanno una
grande volpe rappresentata su di
essi. Il pilastro centrale, n° 9, è di
3,4 metri di altezza; il pilastro n° 10
è di 3,6 metri di altezza, il loro peso
è di 7,1 e 7,2 tonnellate rispettivamente. Il complesso è stato chiaramente concepito per ospitare questi pilastri monolitici, il che prova
che i nostri antenati si trovavano a
loro agio nel lavorare pietre gigantesche, e non soltanto nello scavo di
cave ma anche nell'elaborazione e
la decorazione. Gli archeologi pensano che 200 pilastri a T erano in
origine a Göbekli Tepe. Se ognuno
pesava "soltanto" cinque tonnellate, ciò significherebbe che 1000
tonnellate di pilastri sono stati
estratti e decorati, e ciò sottolinea
l'importanza del sito e lo sforzo che
è stato fatto per crearlo.
Il complesso C è chiamato "il cerchio del cinghiale", perché descrive
alcuni maiali selvatici. Restano nove
pilastri intorno il muro, ma alcuni
sono stati rimossi ad un certo momento in passato. Un pilastro mostra una rete di uccelli. Più tardi,
altre culture sono conosciute per
aver catturato delle gru migratrici
nelle reti, ciò potrebbe essere
un'usanza che si praticava molto
prima di quanto si fosse creduto
sinora?
Il complesso C è interessante perché una pietra a forma di U è stata
trovata lì, e si ritiene che essa possa
essere stata la pietra d'accesso.
Questa pietra ha un passaggio centrale di 70 centimetri di larghezza,
ed un lato della U è sormontata da
una rappresentazione di un cinghiale; l'altro lato è purtroppo mancante. Ancora una volta, la forma a U
ed il cinghiale sottolineano le competenze tecniche degli artigiani nella scultura, il che è dimostrato ancor più sul pilastro 27, che raffigura
la creatura rettile tridimensionale
citata prima. Questa scultura complessa potrebbe essere considerata
come su un piede di eguaglianza
con il David di Michelangelo.
Il complesso è chiamato "lo zoo
dell'Età della Pietra". Il pilastro 43
presenta degli scorpioni, ed alcuni
pilastri sono infatti così abbondantemente decorati, molto più intensamente che negli altri complessi,
tanto che Zoo "è del tutto una buona descrizione". Una volta ancora,
vi sono due pilastri, i 18 e 31, molti
altri pilastri rivelano dei simboli,
come uno a forma di lettera H così
come di una H ruotata di 90°.
Il sito ha rivelato altri simboli, più
precisamente una croce, una semiluna decrescente e delle barre orizzontali, la prova che l'origine della
scrittura è probabilmente molto più
antica di quanto si pensi. Il pilastro
33 è la protagonista del complesso.
Schmidt dichiara che le sue forme
su questo pilastro sono vicine ai
geroglifici egiziani, da cui egli pone
l'esistenza di un linguaggio pittografico durante il decimo millennio a.
C.
Insieme questi quattro pilastri e gli
altri, rimasti intatti sono una serie di
elissi e somigliano alla disposizione
a forma ovale dei complessi dell'età
della pietra ritrovati a Malta.
Ciò è tanto più notevole in quanto
le forme ovali di Malta sono state
considerate come uniche, benché
58
alcuni megalitici in Sardegna presentino ugualmente alcune tendenze alla forma ovale ma non così nettamente come a Göbekli Tepe.
Un tempio di "pietra" più in basso
sul pendio è anch'esso di forma ovale ed ha un'apertura verso la camera di "sepoltura". Considerando
che in altri siti queste aperture sono
così strette che gli uomini non possono penetrarvi all'interno, qui è
abbastanza ampio da poterci entrare. Da un'altra parte sul sito, sul versante nord della collina, vi è una
costruzione rettangolare chiamata
"la costruzione con la colonna di
leone". I suoi quattro pilastri hanno
delle rappresentazioni di esseri leonini, che potrebbero anche essere
delle tigri o dei leopardi.
Un pilastro ha un graffito di 30 centimetri di altezza che rappresenta
una donna rannicchiata che sembra
partorire.
Speculazione su Göbekli Tepe
Gli scavi di Göbekli Tepe sono sempre in corso. Soltanto un quarto dei
200 pilastri a T sono stati scoperti
sino ad ora, e tutte le strutture non
sono state rinvenute. In breve, altre
sorprese possono venire ancora
fuori. È dunque presto per trarre
delle conclusioni importanti, ma
cosa può rappresentare tutto ciò?
Il sito dimostra definitivamente che
le cose che ci sembravano molto più
recenti sono molto più antiche e
tutte le persone presenti in un solo
sito, situato in una regione che mostra che una civiltà degna di questo
nome esisteva là, durante il X millennio a. C., millenni prima di quanto lo si sarebbe potuto supporre
soltanto alcuni decenni prima. Klaus
Schmidt ha qualificato Göbekli Tepe
come "primo tempio" ed un
"santuario del cacciatore dell'età
della pietra". Egli vede il sito nel
quadro di un culto della morte, non
specificatamente legato ad un gruppo sedentario, ma è una specie di
santuario centrale per molte tribù
viventi nella regione. Si pensa che
gli animali scolpiti siano lì per proteggere i morti. A Çayönü, come
detto poco sopra, una sola struttura
dispone di una cava in cui è stata
constatata la presenta di crani umani e di ossa. Sino ad ora, tuttavia, a
Göbekli Tepe non vi è prova di alcuna abitazione, sembra dunque essere stata puramente un centro religioso.
Una volta ancora, sembra che, così
come era per gli antichi Egiziani, la
civiltà che ha costruito Göbekli Tepe
aveva molto più considerazione per
i suoi edifici religiosi che per ogni
altra struttura di carattere "pratico"
o più materialista. Eppure sino ad
oggi, il solo Complesso B è stata scavato sino al livello del suolo, non si
è scoperto nessuna tomba o nessuna sepoltura. Alcuni hanno espresso
delle critiche sul fatto che i cacciatori-raccoglitori abbiano potuto creare una struttura come quella di
Göbekli Tepe. Le numerose punte di
freccia in silice (e la mancanza di
utensili da costruzione) trovate intorno al sito sembrano appoggiare
questa critica, e si potrebbero anche concepire questi oggetti nel
quadro di cacce sacre piuttosto che
nel quadro delle attività quotidiane
per mettere procurarsi il nutrimento.
Schmidt sostiene che i cacciatoriraccoglitori si sarebbero radunati in
questi luoghi durante certi periodi
dell'anno. Se questi incontri erano
determinati da cicli solari o lunari,
lo si ignora, ma è tuttavia una questione interessante su cui meditare.
Allo stesso modo si può logicamente concludere che coloro che hanno
costruito il sito vi vivevano e avevano una risorsa dedicata fornita da
altri che li hanno sostentati nei bisogni alimentari e di alloggio. Gli archeologi hanno stimato che sino a
500 persone sarebbero state necessarie per estrarre i pilastri di 10-20
tonnellate e per spostarli dalla cava
alla loro destinazione, su una distanza che andava dai 100 ai 500
metri. Tuttavia, Schmidt pensa che
il mantenimento della comunità dei
costruttori è stata la vera ragione
per la quale i nostri antenati hanno
"inventato" l'agricoltura: essi hanno
iniziato a coltivare le erbe selvatiche
sulle colline per nutrire questa popolazione sedentaria. In breve, egli
stima che "la religione ha motivato i
popoli ad intraprendere una coltivazione agricola".
E manifestando un significato rituale, Göbekli Tepe, con i suoi grandi
blocchi di pietra decorate con gusto, rivela che i suoi creatori avevano una straordinaria capacità e familiarità con l'arte muraria e la scultura. Che i nostri antenati nel
10.000 a. C. siano stati così abili è
una scoperta archeologica che can59
cella convinzioni durate a lungo
sull'origine della civiltà. In quanto
alle sculture, perché alcuni animali
sono stati scelti e altri no? Perché le
rappresentazioni non sembrano
avere un'organizzazione chiara ed
evidente, ma sembrano essere una
raccolta casuale? La verità è: non lo
sappiamo. Nelle civiltà successive,
tutti questi animali hanno ricevuto
degli attributi divini. Alcune culture
hanno scelto di dipingere dei serpenti perché questi animali cambiano la pelle, che essi consideravano
simbolo di rinascita. Altre hanno
optato per lo stesso animale per
motivi diversi. Sino ad ora, non c'è
alcun mezzo per conoscere le credenze dei creatori e di coloro che
risiedevano a de Göbekli Tepe.
Alcuni osservatori hanno evidenziato che alcune delle gru sono dipinte
con ginocchia simili a quelli degli
uomini ed hanno suggerito che una
forma di sciamanesimo è stato praticato in questo tempio. I siti fratelli
hanno rivelato delle sculture rappresentanti un intreccio animale ed
umano, in particolare quella con un
corpo di uccello ed una testa umana. Gli Egiziani, migliaia di anni dopo, hanno utilizzato questo simbolo
come uno geroglifico rappresentante il ba, l'anima dell'uomo liberata
dal corpo al momento del decesso o
durante il volo sciamanico.
Andrew Collins ha particolarmente
insistito sul potenziale sciamanico di
questi siti nell'attuale Turchia.
L'immagine della donna nuda menzionata precedentemente descrive i
suoi capelli a forma di cappella di
fungo. Il lato di un pilastro a Göbekli
Tepe comporta una serie di serpenti
dalla testa a forma di fungo, quattro
che scendono verso il basso ed un
quinto che sale loro incontro, mentre l'altro mostra alcuni serpenti
allacciati tra di loro che portano delle cappelle di fungo, otto emergono
sulla cima ed un nono in basso.
È questa la prova di un rituale implicante i funghi allucinogeni o sostanze simili che alterano la psiche?
Delle ossa di avvoltoio sono state
trovate a Nevali Cori, Göbekli Tepe
e Jerf el-Ahmar (in Siria). Un sito di
grotta comunitaria, Shanidar, nei
monti Zagros nel nord dell'Iraq, conteneva una serie di ali di uccelli
recise ricoperte di ocra rossa.
I resti sono stati datati al 8.870 a. C.
Le ali si presumono siano state utilizzate in alcune cerimonie, ma come resta ignoto.
Tuttavia, si sa che, in un passato
remoto, la gente di questa regione
poneva i corpi dei morti su delle
grandi strutture e lasciavano che gli
avvoltoi mangiassero la carne dei
morti. Le rappresentazioni di una
tale scarnificazione neolitica sono
state trovate su un affresco a Çatal
Höyük. Fatto interessante, delle ossa umane sono state recentemente
trovate nel suolo che riempivano le
nicchie dietro i megaliti a Göbekli
Tepe. Schmidt afferma: "... gli antichi cacciatori portavano i cadaveri
dei parenti qui, e li esponevano in
nicchie aperte tra le pietre. I cadaveri erano in seguito scarnificati.
"Non soltanto gli avvoltoi ma anche
gli animali selvatici sembrano aver
preso parte a questo rituale. Questo
può spiegare perché un così gran
numero di animali è rappresentato
sui pilastri a T: forse il popolo che
ha costruito questi siti ha creduto
che "qualcosa" dei morti viveva in
questi animali.
non è unica". D'altronde, se le date
di alcuni di questi siti in Turchia anticipano il tempo presunto dal calendario degli avvenimenti come la
scomparsa di Atlantide o il Diluvio
Universale, ciò significa che questi
antenati più antichi non possono
essere considerati come
"sopravvissuti di un diluvio".
La nostra storia antica è diventata
molto più interessante e complessa.
Le culture che sono seguite alla
creazione di Göbekli Tepe hanno
addomesticato i porci, le pecore, i
bovini e le capre e le specie di
cereali coltiva come il farro.
Infatti, una recente analisi ha dimostrato che la prima cultura di cereale addomesticato è avvenuta a
Karacadag, una montagna a 32
chilometri da Göbekli Tepe.
Gli altri cereali addomesticati, come
la segale e l'avena provenivano
anch'essi da qui. Secondo Schmidt,
quest'avventura è iniziata verso
l'8000 a. C.
È facile ed allettante considerare
questa regione come "la culla della
civiltà", ma il fatto è che è già stato
provato che il mais è stato concepito in Messico alla stessa data, sottolineando il modo in cui le frontiere
della "civiltà" sono respinte sui due
continenti. Infatti, esistono delle
prove che le pecore di Barbaria sono state allevate dai nostri antenati
Culla della civiltà
Sappiamo che Göbekli Tepe ed i
suoi siti fratelli hanno respinto l'età
delle costruzioni monolitiche, molto
più lontano nel tempo. In precedenza, abbiamo cercato dei monumenti
come Stonehenge e le piramidi
d'Egitto, ma ora,constatiamo che i
nostri antenati hanno trasportato
delle pietre massicce per le loro costruzioni 12.000 anni fa circa. Anche
se una struttura come la Sfinge fosse improvvisamente ritrovata e risalente a 10.000 anni fa, la reazione
immediata sarebbe ora: "E allora?
60
nel nord Africa sin dal 18.000 a. C.
Inoltre, alcuni semi di farro sono
stati trovati sul sito palestinese di
Nahal Oren, che suggerisce che la
coltivazione di questa pianta è avvenuta sin dal 14.000 a. C.
È chiaro, ad ogni modo che Göbekli
Tepe non è isoalata. Può ricevere
molta attenzione, ma un altro sito,
Karahan Tepe, a 63 chilometri ad
est di Urfa sui monti TEKTEK, merita
attenzione. Scoperto nel 1997 e studiato dall'archeologo Bahattin Çelik
della Società di storia turca, è stato
datato tra il 9.500-9.000 a. C.
C'è un certo numero di pilastri a T,
così come degli altorilievi di un serpente e altre sculture simili a quelle
di Göbekli Tepe. Coprendo una superficie di 325.000 mq, Karahan Tepe è molto più grande di Göbekli
Tepe. I pilastri di pietra sono distanziati ad 1,5 a 2,0 metri e sporgono
dal terreno, aspettando che un archeologo li porti del tutto alla luce.
Altre pietre scolpite includono un
torso martoriato di un uomo nudo
e della pietra levigata con forme di
capre, gazzelle e conigli.
È Troppo presto per trarre delle
conclusioni straordinarie su questi
siti, a parte il fatto che la nostra
storia non è più così come la conoscevamo. Ma proprio come Gerico
ha in parte dimostrato che la Bibbia
contiene dei fatti storici, questi siti
possono anch'essi dimostrare alcuni
dei miti sumerici, che affermano
che l'agricoltura, l'allevamento e la
tessitura sono stati dati all'umanità
da sacro monte Du-Ku, che era abitato dalle divinità Annuna. Benché
sia poco probabile che questa montagna sia stata Göbekli Tepe, siamo
probabilmente nelle vicinanze del
monte Taurus.
Intorno all'8.000 a. C., i discendenti
dei creatori di Göbekli Tepe si ribellano contro le realizzazioni dei loro
antenati ed il loro tempio è stato
sepolto sotto tonnellate di terra,
creando così la collina artificiale, il
"ventre", che vediamo oggi.
La ragione per la quale essi hanno
fatto ciò è sconosciuta, benché la
decisione ha conservato il monumento per i posteri, benché ciò implicò anche una quantità straordinaria di tempo e di fatica.
Schmidt sostiene che il paesaggio
locale ha cominciato a cambiare
durante quest'epoca:che gli alberi
venivano abbattuti, il suolo cominciò a perdere la sua fecondità, la
regione è diventata arida e nuda,
e le persone erano costrette a spo-
cacciatori-raccoglitori, come essi
vedevano questi animali e ciò che
essi credevano accadesse dopo la
morte, è un argomento difficile, che
richiederà anni di studio.
Ahimè, è un campo in cui pochi archeologi osano arrischiarsi, e molto
probabilmente, essi salteranno da
un sito all'altro, come hanno fatto
per molti decenni, scoprendo
"soltanto" che la civiltà è molto più
antica di quanto non lo si era supposto. Già altri siti sono in competizione con Göbekli Tepe. Il sito menzionato in precedenza Jerf d’elAhmar, situato lungo l'Eufrate in
Siria, è stato datato tra il 9.6008.500 a. C. Altri siti presenteranno
starsi altrove. Forse è in questo mo- certamente presto le loro candidamento che essi hanno cominciato la ture.
loro discesa e che, mille anni dopo, È probabile che tutti riveleranno di
fondarono ciò che chiamiamo la
fare parte della nostra storia, ma
civiltà sumera?
non così come la conosciamo.
Un tale scenario è soltanto una delPiù che dell'astronomia in termini generici,
le possibilità.
del meccanismo della precessione degli
Anche nell'Egitto antico, delle coequinozi, concetto centrale e fondativo
struzioni religiose erano spesso ab- della mentalità arcaica di tutte le culture
bandonate se non smantellate dopo mondiali, nozione trasmessa esotericamenun certo periodo perché appartene- te sino ai nostri giorni attraverso il mito,
vano ad un "ciclo" di tempo partico- l'iconografia sacra, l'architettura e l'urbanistica. Cfr. Giorgio de Santillana, Il mulino di
lare oramai trascorso.
Amleto e l'opera pionieristica "soppressa"
Se questo fosse il caso di Göbekli
di Charles François Dupuis L'Origine de
Tepe, ciò vorrebbe dire che la cono- tous les cultes del 1795 (nota del traduttoscenza dell'astronomia* è più antica re).
di molti millenni. Gli ultimi cinque
LINK al post originale:
anni hanno così radicalmente modi- http://www.philipcoppens.com/
ficato la nostra comprensione del
gobekli.html
periodo tra il 10.000 ed il 4.000 a.
This article appeared in Nexus Magazine,
C., più precisamente il livello di
"civiltà" che i nostri antenati aveva- Volume 16, Number 4 (June-July 2009) and
Darklore (Volume 4).
no raggiunto durante quest'epoca,
che ciò non dovrebbe essere del
tutto una sorpresa. E sembra che
sia un dato di fatto che da qualche
parte, delle città, ancora più antiche
siano in attesa di essere scoperte.
Tuttavia, è altrettanto chiaro che
entrare nella mentalità di questi
Goodbye Fil...
61
LA PERDUTA TECNOLOGIA
DELLE ANTICHE CIVILTÀ
SIAMO DAVVERO LA PRIMA CIVILTÀ
AVANZATA DELLA STORIA?
CONFERENZA AM, 1° DICEMBRE 2012
BIBLIOTECA 'S, ZAVATTI' – CIVITANOVA MARCHE
Premessa
Se qualcuno approdando in Conferenza sperava di assistere ad una
carrellata di Oopart è rimasto deluso. Si perché, inoltre, di Oopart veri
ve ne sono molto pochi e siamo
dell'idea che come out of place artifacts non siano – ad esempio – classificabili le Linee di Nazca o il complesso architettonico di Al-Jizah, i
giganti di pietra nei pressi di Campana (Cosenza) o il Trilithon di Baalbek.
Un Oopart è un oggetto appartenente per logica ad un'epoca necessariamente incompatibile col periodo a
cui l'oggetto appartiene. Le mappe
di Oronzio Fineo o di Mercator dove
si evince l'Antartide sono affatto Oopart poiché l'epoca è antecedente al
periodo ufficiale della scoperta del
continente ghiacciato. Gli esempi
precedenti testimoniano semmai
risultati di un'altra tecnologia a noi
sconosciuta e catalogarla nell'ambito
degli oggetti fuori dal loro tempo è
riduttivo delle vette cognitive sulle
quali gli antichi ci hanno imposto la
riflessione.
Nemmeno i boomerang ritrovati nella tomba di Tut-Ankh-Amun possono
definirsi tali: i 'bang' erano conosciuti fin da tempi immemori tra le popolazioni dell'odierno Sudan, area
piuttosto raggiungibile dall'Egitto
pur con mille difficoltà. La riflessione
è invece necessaria sulla presenza
dei manufatti anche in Australia e
possibilmente, sulla scorta di ulteriori indizi probatori o vere e proprie
prove, ipotizzare contatti tra popolazioni aborigene ed afro-orientali in
periodi insospettabili. Siamo oltretutto dell'idea di relegare l'acronimo
Oopart tra le inquietudini dell'Ortodossia poiché per l'Eterodossia si
tratta semplicemente di manufatti
62
antichi e neanche troppo sorprendenti. È infatti tra i fondamenti eterodossi considerare lo sviluppo della
civiltà come un processo ciclico, ripetibile, secondo canoni diversificati
rispetto ai vari periodi (nessuno
tranne i millantatori sognerebbe di
trovare un 'Macintosh' nelle Grotte
di Qumran; ma il 'meccanismo di Antikythera' - per esempio - demolisce
di misura il percepito di un passato a
tenuta stagna, compartimentato tra
'clave e grugniti' da un lato e missioni odierne marziane dall'altro), foriero di condizioni in cui il 'comfort' sociale non è ascrivibile esclusivamente agli ultimi 60 anni.
Questa Conferenza ha preso spunto
da un'anomalia – presunta – inerente la capacità avionica degli antichi
per sottolineare un paradigma evolutivo fondato sul percepito generale
erroneo:
" l'evoluzione è a tenuta stagna e
lineare ".
Non è così e a dirlo non è l'Eterodossia: è l'Ortodossia...
Excursus
L'agenda dell'incontro prevedeva tre
punti fondamentali tra loro legati:
- evoluzione umana
- mito
- anomalie
Quale impianto espositivo?
Dimostrare, anzi ricordare, le effettive posizioni scientifiche sull'annoso
problema evoluzionistico e in special
modo quello inerente il genere Homo; collegare al risultato derivato
dalla riflessione evoluzionista il concetto di mito e sue differenze da
quello di leggenda nonché sottolinearne le implicazioni nell'intellettualità umana e nella storia sociale; analizzare le anomalie cronologiche –
secondo la visione ortodossa della
scienza – in particolare una molto di
frontiera riguardante l'avionica teorizzata come possibile ed applicata in
un remoto passato della nostra vicenda planetaria.
Quale filo logico?
Presentare una ciclicità di periodi
caratterizzati da civiltà sviluppate
pari a quella dei nostri giorni, la convivenza con specie umane contemporanee ma con un profilo dato dal
diverso sviluppo tecnologico e socia-
le, la presenza del mito come collante culturale che sottende a diverse
epoche e culture ma ricco di archetipi comuni ad ogni civiltà e infine dimostrare attraverso manufatti controversi l'eco effettiva di organizzazioni e vette umane anacronistiche
in senso positivo.
Evoluzione
La premessa, fondamentale, è stata
reale del mondo circostante.
Il secondo quesito, fortemente accessorio al primo: 'trasformazione o
evoluzione?'. E ancora: 'prima e dopo o durante?'.
Esiste una rappresentazione oramai
sedimentata nel nostro percepito
che lancia un messaggio erroneo inerente l'evoluzione umana.
Questa (sotto):
introdotta attraverso una domanda:
'dalla scimmia o insieme alla scimmia?'.
Abituati come siamo a pensare per
stereotipi spesso non ci accorgiamo
di ciò che davvero viene formulato
aldilà del nostro percepito, complice
una cattiva educazione culturale e la
pigrizia nell'approfondimento – non
in chiunque chiaramente – aspetti
questi dannosi per la conoscenza
Basata su uno schema a due dimensioni, non aiuta a comprendere il
cammino complesso delle varie specie ominidi; al massimo può diventare esplicativa del cammino fatto dal
Genere Homo e della Famiglia Hominina ma non rende giustizia delle
convivenze che la stragrande maggioranza degli esseri umani primordiali ha vissuto.
La stessa immagine (a fianco) così
arricchita ci svela invece che cosa è
effettivamente accaduto alle specie
Sapiens e Neanderthalensis insieme
ai Rhodensiensis, Heidelbergensis e
altri protagonisti: si sono sviluppate
contemporaneamente all'interno di
lassi temporali estremamente estesi.
Non solo: l'ominide subito fuori il
riquadro rosso rappresenta l'homo
Erectus, più conosciuto come Pithecanthropus, presente sul pianeta da
1,8 milioni di anni, convissuto con i
precedenti per quasi 600.000 anni.
L'Ortodossia stessa sostiene questa
tesi arrivando ad ipotizzare tre scenari tesi a giustificare una condizione
poco coerente con gli inizi dell'evoluzione darwiniana ma al contrario
perfettamente adatta all'interdisci-
63
plinarietà dell'evoluzionismo non
ultimo l'apporto sostanziale della
genetica. La visione scientifica è
sempre più improntata al progenitore comune; eppure non è mai stato
trovato.
Si tratta infatti solo ed esclusivamente di una teoria, al momento la
più accreditata, che pone l'evolversi
di un gruppo di primati nel Gran Rift
africano intorno ai 6 milioni di anni
or sono e che poi si siano differenziati definitivamente con l'Homo
Habilis e l'Erectus tra i 2 e gli 1,8 milioni di anni or sono (Out of Africa I II). Essi erano differenti dall'Australopithecus che prese una via evolutiva diversa, si estinse 1 milione di
anni fa pur presentando nelle varie
specie caratteristiche utensili (molto
semplici) nonché capacità di macellazione delle prede.
Ancora una volta, comunque, l'estinzione dell'Australopithecus è caratterizzata da convivenza con Habilis ed Erectus questi ultimi 'apparsi'
almeno 1 o addirittura 1,5 milioni di
anni prima.
L'evoluzione, in particolar modo
quelle umana, non è compartimentata in periodi successivi a tenuta
stagna bensì è un processo complesso ricco di molte interazioni periodiche e giocoforza ipotesi di incontri
tra Hominina.
Ritornando alla teoria esposta in
precedenza dobbiamo sapere che
non è l'unica, anzi: ve ne sono altre
due che meritano una ricognizione
per avere il quadro della situazione
più chiaro.
Una di queste è l'Ipotesi Multiregionale, nata con l'antropologo F. Weidenreich e successivamente elaborata nel 1988 da M. H. Wolpoff. In
breve essa sostiene che l'attuale umanità sia la risultante di un processo interattivo tra le varie specie Homo a partire dall'inizio del Pleistocene 2,5 milioni di anni fa. In realtà
l'analisi dei tratti morfologici alla
base dell'enunciazione riporterebbe
a fasi di semplice convergenza evolutiva ovvero dimostrando la somiglianza non per scambio genetico
ma adattamento a condizioni ambientali comuni. La diatriba, però,
non è ancora chiusa: questa tesi rilutta l'evoluzione parallela preferendone la cosiddetta variazione clinale, ossia la gradualità del fenotipo
per ogni singola specie in una peculiare area geografica.
Altra teoria molto interessante in tal
senso è l'Eva Mitocondriale: una evidenza cromosomica femminile, definita Eva, che avrebbe dato origine
ad una sola stirpe , linea genetica di
femmine da oltre 200.000 anni a
partire dall'Africa sud-orientale.
64
Questo implica che la totalità degli
esseri umani avrebbero di fatto un
progenitore femminile unico. La
comparsa dell'Adamo Ycromosomale avrebbe fatto il resto
influendo sulla totalità degli esseri
umani e si sarebbe originato 75.000
anni fa.
La veridicità di questa teoria, che
prevede un collo di bottiglia nell'evoluzione poiché sia l'Adamo Ycromosomale e l'Eva Mitocondriale
avrebbero contato pochissimi individui, è suffragata da un evento catastrofico avvenuto proprio tra 75 e
70.000 anni fa noto come la Catastrofe di Toba, un supervulcano che
avrebbe ridotto l'umanità a poche
migliaia di individui (S. H. Ambrose,
1998) a causa del prolungamento
dell'Era Glaciale Pleistocenica. Ancora una volta entra in gioco il catastrofismo che smentisce di fatto certe velleità lineari assolutamente fuori luogo data la scala temporale con
la quale ci misuriamo.
Un fatto è certo: la retrodatazione
umana, giunta fino a 6 milioni di anni or sono, ancora non riesce a trovare il famigerato 'anello mancante'
e anche gli studi sui Proconsul, scimmie antropomorfe risalenti a circa
18 milioni di anni fa, sembrano confermare la mancanza di requisiti sostanziali per poter essere considerate 'il progenitore', la 'specie Alfa',
vera spina nel fianco della teoria Out
of Africa I e II.
La considerazione che invece ci interessa fare è che a furia di retrodatare l'umanità perdiamo di vista la sua
milionaria interazione credendo impossibile condizioni cicliche della
civiltà in epoche decisamente più
ancestrali degli ultimi 6.000 anni come ad esempio in contemporanea
con la 'comparsa' (o meglio 'arrivo
sulla scena') dei Sapiens, conviventi
dei Neanderthanlensis per periodi
mediamente 60 volte superiori all'inizio di ciò che noi definiamo
'Storia' (comparsa della scrittura,
3.000 a.C. ca.).
A volte il buonsenso sembra abban-
donare gli Accademici.
È bastata l'osservazione di questa
composizione per comprendere la
contemporaneità di gruppi umani
dai diversi stili di vita e di progresso
intuendo come sia assurdo considerare esclusivamente in questa fase
odierna una così ampia differenziazione e non per esempio in passato.
Liberatoria la domanda all'assemblea: 'ma perché oggi si e ieri no...?'
L'Eterodossia sostiene questa idea:
- né prima né dopo bensì 'durante';
- non vi sono trasformazioni fondanti ma selezioni entro le quali possono verificarsi mutazioni;
- l'evoluzione parallela è insufficiente rispetto alle ipotesi di convergenza;
- il progenitore comune potrebbe
non esistere e conseguentemente
fare i conti con un processo di speciazione ossia una vera e propria
comparsa dell'uomo come unicità.
Pertanto, considerando il lasso temporale in analisi è inconcepibile
un'impennata gaussiana nell'evoluzione né si possono escludere a
priori civiltà tecnologicamente e socialmente avanzate – con gradi di
intensità pari all'odierna – in periodi
insospettabili.
MITO
Sulla scorta delle riflessioni precedenti abbiamo l'obbligo di trovare il
sostrato, la sedimentazione comune
che possa effettivamente teorizzare
un passato luminoso ma al contempo chiuso in periodi ciclici e non lineari.
Una delle caratteristiche salienti di
questa ipotesi è l'oblio in cui scompare la memoria della realtà e contemporaneamente insorge un fenomeno che potremmo definire attraverso il linguaggio psicoanalitico
'transfert'. Questa rimozione è di
fatto il Mito.
Ma cos’è esattamente? E cosa lo
differenzia dalle leggende?
Il Mito rappresenta la sacralità conferita al racconto delle origini, è immutabile nel Tempo e al
massimo si può assistere a sue decli-
nazioni in segmenti cronologici caratterizzati da parametri
culturali, sociali, filosofici, tecnologici e morali di una civiltà in particolare rispetto ad un’altra. Il
sostrato però è il medesimo. Le leggende, al contrario, sono racconti
fantastici contingentati in
determinate sezioni temporali e si
caratterizzano come compartimenti
stagni tra un periodo e i
propri precedenti o successivi. La
leggenda è in termini esemplificati
sinonimo di fiaba; il Mito
sinonimo di Sapienza, conoscenza.
In questa Conferenza ho utilizzato il
concetto di massima espresso dagli
Autori de ‘Il Mulino di
Amleto’ ovvero il valore puramente
cosmologico del Mito ma al contempo - in apparente
contraddizione - ho scelto di illustrarne la parte invisa a De Santillana più in linea con Mircea
Eliade che riguarda la funzione di
cover-up del Mito e di sostanza delle
religioni: i miti esprimono
ancestrali condizioni sociali e culturali spazzate via da violenti cataclismi. Aldilà dunque del Mito
come struttura che deduce e conduce da e verso archetipi comuni ad
ogni civiltà ho preferito portare
un esempio più legato alla metafora
65
che all’antropologia e alla metafisica.
È quantomeno controverso considerare il Mito come realtà a sé stante
ma poi legarlo
indissolubilmente all’osservazione
celeste e in particolare alla Precessione degli Equinozi
(Intermezzo tra i capp. IV e V de ‘Il
Mulino’ op. Cit. pagg. 83 - 101) conferendo ad esso de facto un
valore di cover-up anche se non
connesso ad eventi particolarmente
cruenti o comunque
caratteristici di un periodo, di
un’esperienza diretta ma esclusivamente cosmologica.
È da questa osservazione in fase
preparatoria che mi venne in mente
la leggenda di San Giorgio e
del Drago: dietro il racconto popolare, infatti, si celano cognizioni astrologiche possenti e forse
persino astronomiche provenienti
da periodi insospettabili. La scelta
del metodo di Eliade è stata
dettata anche dall’aver scoperto una forte colonna mitica a sostegno
di una leggenda che ne ‘Il
Mulino’ è percepita come antitetica
al Mito; la realtà è che potrebbe avere un valore pedagogico.
‘ О μύθος δελοι οτι... ‘ Il Mito insegna che... Dicevano i greci antichi.
Se ad esso è possibile
attribuire valenze morali questo significa giocoforza che deve essere
anche occultamento di realtà
riscontrabili oltre che metafora di
verità ineffabili.
La tradizione narra che presso la città di Selem in Libia vi fosse uno stagno ove dimorava un drago
assassino. La gente del luogo lo placava con due pecore al giorno ma il
drago divenne più famelico
e si rese necessario il sacrificio di
una pecora assieme ad un fanciullo
o una fanciulla tirati a sorte.
Un giorno il destino si fece beffe del
Re e fu estratto il nome della figlia,
Silene.
Il Re tentò per 8 giorni di distoglierla
dal rito mortale ma poi cedette.
Giunse nel frattempo Giorgio
che prese le difese della giovane
rendendo innocuo il drago e pregandola di avvolgere il collo della
bestia che si fece trascinare docilmente in città.
Allora Giorgio proclamò che a fronte
di una conversione a Cristo egli avrebbe ucciso il mostro e
così andò con buona pace dei libici
che vissero serenamente mentre
l’animale fu portato via da 4
coppie di buoi.
Ad una mente allenata risaltano immediatamente alcuni aspetti lapalissiani:
- la fanciulla si chiama Silene;
l’etimo è assai analogo al termine
greco Σελήνη (Seléne) che
significa ‘luna’
- l’eroe è Giorgio, il cui etimo è affatto originario greco Γεωργός
(Gheorgòs) il cui significato è
‘agricoltore’
- i tentativi di distogliere la propria
figlia dal sacrificio sono in numero di
8, numero stranamente
identico alle fasi lunari:
1 Luna nuova (o congiunzione o fase
di novilunio)
2 Luna crescente
3 Primo quarto
4 Gibbosa crescente
5 Luna piena (o opposizione o fase
di plenilunio)
6 Gibbosa calante
7 Ultimo quarto
8 Luna calante
- anche l’uscita della fanciulla con il
drago reso inoffensivo reca i segni
del periodo lunare, ovvero
4 coppie di buoi (8) che lo trascinano fuori dalle mura
- altra situazione enigmatica è la richiesta da parte di Giorgio affinché
la ragazza imbrigli il drago
ed esso si fa trasportare docilmente
in città: pochi istanti prima era disposto a divorarla
- la richiesta di conversione al Cristianesimo sembra essere la vera
leggenda in tutto questo,
assolutamente disallineata rispetto
ad un contesto dai forti connotati
astronomici.
Ci viene in soccorso Mircea Eliade
nel suo celeberrimo ‘Storia delle
Religioni’ una grande opera di
ermeneutica del credo e del mito
inerente le fedi religiose di tutto il
mondo e dislocate nel corso
della storia.
La luna ha un’importanza strategica
nella formazione spirituale
dell’umanità e il suo culto, sotto
diverse forme, è presente costantemente. Essa rappresenta le maggiori
funzioni biologiche: dalla
pioggia alle maree, l’acqua in genere
fino alla sua caratterizzazione femminile legata alla sua
ciclicità nel ciclo mestruale del tutto
simile (28 giorni) all’orbita del satellite (intorno ai 29 giorni).
Non solo: la ciclicità ne fa simbolo
dei periodi di fecondità e in senso
trasposto anche di quella
agricola. In questo senso inizia a farsi strada il perché sia un Γεωργός ad
interessarsi della ‘salute’
lunare (Siléne).
Ma la luna gestisce le acque, dunque essa è nelle acque; il suo simbolo è la spirale che viene
rappresentato dal serpente; o dal
‘drago’ che del serpente è trasposizione. Questi è sinonimo di
trasformazione, divenire ed è indis66
solubilmente legato all’attività lunare. Lo stesso movimento
celeste della luna è rappresentato
attraverso un altro movimento tipico del serpente ovvero la
sinusoide
o più volgarmente le ‘spire’ del serpente o del drago. Il calare e il sorgere della luna, secondo
l’antica concezione del cielo, prevedeva un’emersione al di sopra
dell’equatore celeste - ovvero la
terraferma - e una discesa al di sotto
che era un luogo rappresentato dalle acque. Si capisce quindi
perché il drago della leggenda di San
Giorgio dimorasse in uno stagno.
È per questo che Siléne imbriglia il
drago ed egli si fa docilmente riportare in città o diremmo oggi
alla normalità. Il Mito che si nasconde dietro questa leggenda esprime il
rapporto astronomico produttivo
(agricolo) che l’umanità intratteneva
con le fasi lunari; ancora oggi del
resto
specialmente in fase di messe o produzione vinicola. La paura che questo equilibrio venisse meno
indusse probabilmente gli antichi a
computare le fasi salienti del processo lunare con il fine di
anticipare i tempi fecondi e quelli
non fecondi. O forse anche di evitare che la luna fuggisse via da
Gaia.
Vi sono però delle inquietanti coincidenze con alcune delle attuali conoscenze scientifiche
apparentemente non giustificabili in
periodi antecedenti la nostra civiltà:
- L'origine della Luna è terrestre,
probabilmente da impatto, con alloggiamento orbitale progressivo
'a spirale'
- La Luna è alla base dell'ecosistema
planetario, senza di essa non sarebbe stata possibile la Vita
- La paura di 'perdere la Luna' potrebbe essere un trauma cognitivo
che interessò studiosi e
osservatori del cielo quando del satellite ne calcolarono il comportamento orbitale
- 'Ad oggi' sappiamo che la Luna si
sta allontanando dalla Terra ad una
velocità di 3,8 cm/anno e la
modalità di allontanamento è una
'spirale' orbitale.
Sono solo coincidenze? Oppure è
lecito pensare a cognizioni ancestrali
ma cover-up? Dunque la
conoscenza è di tipo circolare e in
fondo noi, con Platone, ricordiamo
sostanzialmente?
Anomalie
Il filo logico della Conferenza ha il
suo termine nella terza parte, la più
controversa. Ho voluto
appositamente tirare in ballo
l’argomento più di confine proprio
per sottolineare la possibilità di una
evoluzione diversificata in passato e
soprattutto indicare alcuni argomenti finiti sotto la cover-up del Mito.
Affermare un terzo livello nella leggenda di San Giorgio e il drago di
tipo astronomico stretto è una
provocazione violenta ma supportata da coincidenze ed indizi probatori
difficili da eludere con
superficialità
- Il primo livello è dato dalle considerazioni morali insite nella lotta tra
bene e male
- Il secondo livello da concezioni cosmologiche che si riflettono
nell’astrologia come abbozzo
astronomico e socio-culturale
- Ma il terzo livello è astronomia pura difficilmente collocabile secondo
la nostra concezione in
epoche precedenti all’odierna: eppure i dati coincidono.
Siamo dell’idea che gli antichi non
solo alzarono gli occhi al cielo ma
fossero anche in grado di
percorrerlo. La spiegazione della
Macchina di Antikythera fu salutata
così da colui che la studiò a
fondo e ne ricostruì le capacità di
orientamento stellare e planetario
simile a ciò che potremmo oggi chiamare non astrolabio bensì GPS:
“ ...il 'computer' di Antikythera? E'
stato come trovare un aereo a reazione nella tomba di Tut-Ankh-
Amun...! “ (Derek de Dolla Price YALE University - di fronte alla tecnologia finalizzata alla
navigazione del meccanismo di Antikythera).
Forse non si era poi così lontani dalla faccenda dell’aereo a reazione.
Il volo nella preistoria è un argomento affascinante a rischio saturazione fantasy se però non vi
fossero stati studi approfonditi su
alcuni reperti talmente controversi
da ribaltare la visione canonica
ad oggi accettata dalla comunità
scientifica internazionale.
Fermo restando il linguaggio del Mahabaratha o del Ramayana che narra storie appartenenti
all’impero di Rama assieme a strani
racconti di velivoli detti Vimana e
tecniche avioniche correlate,
un reperto ligneo ben più tangibile
dei testi sacri rigveda ancora oggi è
oggetto di polemica tra
mondo accademico e avanguardia.
Si tratta di un reperto 'aeriforme'
risalente a ca. 4000 anni a.C. (oltre
6000 ad oggi) scoperto nel
1898 in una tomba interna all’area
67
archeologica di Saqqara.
L’oggetto n. 6347 è passato alla storia con la denominazione di
'Uccello'.
Nel 1969 i primi dubbi di Khalil Messiah (Prof. di Anatomia Artistica Università di Helwan e
membro dello Egyptian Aeronautical
Club) ruotano attorno alla conformazione poco ornitologica
dell'oggetto al contrario affatto
'avionica' non ultima la posizione
della coda perpendicolare rispetto al
corpo e non parallela come è ampiamente dimostrato in natura per gli
uccelli, dando più l’impressione di
un timone di coda.
Fu istituito un pool da parte dell'allora Ministro della Cultura Egizia
Mohammed G. el Din
Moukhtar il 23 dicembre 1971 per
sancirne la tecnologia aeronautica.
Di esso facevano parte:
- H. Riad - Dir. Museo Ant. Egizie
- A. Q. Selim - Vice Dir. Museo Egiziano Ricerche. Archeolologiche
- H. Nessiha - Dir. Dipartimento Antichità
- K. Naguib - Pres. Unione Aviazione
Egiziana
Così il mondo accademico fece i
conti con personalità credibili disposte ad accettare e confermare
una tesi disarmante e foriera di rivoluzioni culturali dalla portata non
indifferente. Ci pensò la
solerte ricostruzione di Martin Gregorie allora progettista di alianti ed
aeromobili a sancire la
smentita sulle possibilità di volo
dell'Uccello di Saqqara. Erano gli Anni ’70. Nel 2006 l'esperto di
avionica Simon Sanderson ricostruì
un modello in scala dell'Uccello di
Saqqara 5 volte più grande e
in galleria del vento ne dimostrò - al
contrario di Gregorie - le possibilità/
capacità di volo
('Cryptids: The Saqqara Bird' By
Doug Aamoth for TIME - June 09,
2010
http://
techland.time.com/2010/06/09/
cryptids-the-saqqara-bird/)
Un caso isolato non darebbe ragione
del tutto ad un’ipotesi così di confine se non fosse stato per un altro
reperto, questa volta numericamente più cospicuo (una dozzina circa di
pezzi), composto da monili aurei
conservati al Museo dell'Oro di Bo-
gotà risalenti ad un’epoca datata I
sec. a.C. che
rappresenterebbero stilizzazioni zoomorfe di volatili e/o insetti. Tali
manufatti sono ufficialmente
appartenenti alla cultura pre-incaica
Calima o Sinu ognuno dei quali non
è più lungo di 10 cm.
Anche qui le presunte forme zoomorfe inducono più ad uno chassis
piuttosto che ad una struttura
naturale dove ancora una volta la
sezione caudale, e non solo, non dà
ragione a rappresentazioni
entomologhe o ornitologiche di tipo
alcuno bensì aerodinamiche più
consone ad un aircraft, un
velivolo.
L’ing. J. A. Ulrich ex pilota di jet riconobbe uno dei monili come del tutto
analogo allo chassis di un
SAAB 37 Viggen (JA 37) in dotazione
all'Aeronautica Militare Svedese
mentre Peter Belting, ing.
aeronautico tedesco, si spinse oltre
arrivando a riprodurre nel 1997 un
modello 1:6 di un 'Monile di Bogotà'
perfettamente volante e facilmente
manovrabile.
Il video che segue non necessita di
ulteriori commenti
http://www.youtube.com/watch?
68
v=oP3P3vDNjqQ
In conclusione la Conferenza ha
tracciato un iter attraverso alcuni
punti fondamentali suddivisi in
tre aree:
Evoluzione
- l'evoluzione umana non è lineare e
sembra essere decisamente lontana
dagli scimpanzè/bonobi
- per ora non presenta un 'anello
mancante'
- l'origine dell'Uomo è costantemente retrodatata
Mito
- il Mito non è un'invenzione o una
leggenda più articolata bensì un sistema cognitivo metaforico e
mnemonico (la tradizione era infatti
trasmessa oralmente) ad altissima
valenza cosmologica
- le sue principali caratteristiche sono la sacralità, l'univocità degli archetipi originari e la percepita
esistenza di civiltà antichissime e
assai progredite come mankind
craddle
Anomalie
- le Anomalie esistono e prendono il
nome di indizi probatori
- non sono affatto solo invenzioni di
appassionati della cosiddetta
'archeologia misteriosa'.
Parafrasando un grande pensatore
al tempo considerato ultraeterodosso come Galileo Galilei, mi
sono immaginato - assieme a tutti
coloro impegnati nel dare spiegazioni agli enigmi che ci
circondano - sul banco degli imputati nel processo che l’Ortodossia porta con cura e costanza contro
l’Eterodossia.
E in quest’aula austera, opprimente,
sinistra in cui l’Eterodossia è già
messa all’indice preconcetto
osammo sussurrare, dopo esser stati violentemente costretti all’abiura:
‘...eppur volano...’
(Pier Giorgio Lepori
ARCHEOMISTERICA)
KENNEDY,
UN PRESIDENTE
CONTRO
LE BANCHE
ANDREA
DELLA VENTURA
Banche e grande crisi globale
Il 4 Giugno del 1963 un decreto
presidenziale di John Fitzgerald
Kennedy, detto Ordine Esecutivo
11110, fu firmato impedendo alla
Federal Reserve Bank di prestare
soldi a interesse al Governo Federale degli Stati Uniti.
La FRB sarebbe presto fallita e
l’America sarebbe tornata l’unica
vera detentrice del proprio debito. JFK fu il primo presidente della
storia a comprendere quanto lo
strapotere delle banche private
avrebbe ben presto creato un collasso dell’intero sistema economico.
Fu fatto un piccolo tentativo per
togliere alla Federal Reserve Bank
il suo potere di affittare la moneta
al governo facendosi pagare un
interesse. In quel giorno, il presidente degli USA firmò l'ordine che
ripristinava al governo americano
il potere di emettere moneta sen- diventerebbero tutta carta stracza passare attraverso la FRB.
cia".
Cosa significano queste parole?
Lincoln e gli altri
Perché qualcuno non chiarisce la
Presidenti assassinati
questione?
Prendiamo quattro nomi: Abramo
Il 27 settembre del 1964 negli Sta- Lincoln, James Garfield, William
ti Uniti venne pubblicato il famige- McKinley, John Fitzgerald Kenrato rapporto della commissione nedy.
Warren, incaricata di indagare
Chi sono questi quattro signori?
sull'omicidio di Kennedy.
Cosa hanno in comune?
In tale rapporto si sosteneva che I quattro signori in questione sono
unico responsabile dell'assassinio stati tutti Presidenti degli USA,
era Lee Harvey Oswald.
tutti sono stati uccisi durante il
Tale rapporto fa tremare ancora mandato presidenziale e, analizoggi anche i nostri politici più
zando bene i particolari, tutti si
“coraggiosi”.
proponevano di cambiare il sisSu “Libertà” del 27 settembre di
39 anni dopo, infatti si leggono le
parole di Bossi sul debito pubblico:
"Dal 2008 in avanti il sistema cambia, perché altrimenti la gente si
sparerebbe, perché i titoli di stato
69
tema monetario americano estromettendo la Banca Centrale.
I primi tre avevano cominciato a
pensarlo, Kennedy lo stava mettendo in atto.
Seguiamo poi la pista dei soldi e
mostriamo com’è connessa direttamente con JKF, e cosa JFK fece
per cercare di aiutare il popolo
americano riguardo al debito nazionale e bancario.
Per spiegare la pista dei soldi, il
modo più facile è quello di far
riferimento alla storia di Abraham
Lincoln.
Lincoln fu presidente durante la
Guerra Civile Americana. La
guerra tra il Nord ed il Sud sulla
questione dello schiavismo. Gli
Yankees contro i Confederates. Il
Presidente Lincoln aveva bisogno
di raccogliere denaro per finanziare l’esercito nordista.
Ci sono tre modi con cui il governo
può trovare il denaro: può tassare
i cittadini, prendere in prestito
denaro o stampare contante e
spenderlo.
Le parentesi monetarie
di Lincoln e Kennedy
colpo di penna, Kennedy stava per
mettere fuori gioco la Federal Reserve Bank di New York. Se fosse
Secondo JFK le banche private
entrata in circolazione una quantinon potevano essere i creditori di tà sufficiente di questi certificati
un’intera nazione e, cosa più im- basati sull'argento, questa avrebportante, non potevano avere il
be eliminato la domanda di banpotere di stampare moneta.
conote della Federal Reserve.
Le somiglianze fra la Federal ReOggi il coraggio necessario per
serve e la BCE, nonché la nostra
attuare una fiscalità sociale a micara Bankitalia, sono a dir poco
sura d'uomo non esiste proprio.
imbarazzanti.
Lincoln e Kennedy ebbero invece
L'ordine di Kennedy dava al Mini- quel coraggio, ma lo pagarono castero del Tesoro il potere "di ero. Lincoln creò le banconote
mettere certificati sull'argento
"green-backs", e venne ucciso pocontro
co dopo, nel 1865. Durante la
qualsiasi riserva d'argento, argen- guerra civile americana, i Roto o dollari d'argento normali che thschild di Londra finanziarono il
erano nel Tesoro".
Nord, e i Rothschild di Parigi il
Questo voleva dire che per ogni
Sud. Per ridurre il livello del debito
oncia di argento nella cassaforte che il suo governo avrebbe affrondel Tesoro, il governo poteva met- tato, Lincoln fece quel denaro. Le
tere in circolazione nuova mone- banconote "green-backs" erano
ta.
come dovevano - e come dovrebIn tutto, Kennedy mise in circola- bero - essere, e cioè prive di intezione banconote per 4,3 miliardi ressi bancari.
di dollari. Le conseguenze di questa legge furono enormi. Con un
Il sistema bancario mondiale
John Fitzgerald Kennedy aveva
iniziato a mettere in atto il
“cambiamento”, quando, coincidenza delle coincidenze, fu ucciso,
nel 1963, a Dallas proprio dove ha
sede il più grande socio finanziario
della Federal Reserve Bank (la
Banca Centrale degli Stati Uniti).
L’assassinio di Kennedy cos’altro
fu se non un avvertimento ai futuri Presidenti e ai politici di tutto il
mondo, che chi comanda sono i
banchieri, attraverso un sistema
mafioso potentissimo e internazionale?
Lincoln invece decise di stampare
le banconote degli Stati Uniti per
finanziare la guerra. Questo modo
evitava la tassazione e
l’indebitamento.
Lincoln stampò contante e lo usò
per la guerra. Non c’era bisogno di
70
tasse e debiti. I banchieri volevano
trarre profitto dalla guerra e
volevano che Lincoln stampasse il
contante e lo consegnasse alle
banche al prezzo del costo di
stampa del denaro. Poi i banchieri
avrebbero restituito il denaro al
governo sotto forma di prestito
bancario per poi chiedere ai contribuenti di pagare una tassa per
ripagare gli interessi ai banchieri.
L’onesto Abraham Lincoln disse di giungere il livello attuale, poiché
NO ai banchieri e fu assassinato. avrebbe
dato al Governo la possibilità di
Morte di Kennedy
ripagare il suo debito senza utilizzare la Federal Reserve e senza
JFK fu il primo ad opporsi alle ban- essere gravato dall'interesse riche private ma purtroppo anche chiesto per la creazione di nuova
l’ultimo.
moneta.
Il suo assassinio fece desistere
Il 11110 dava agli USA la possibiliqualsiasi altro presidente, non so- tà di crearsi la propria moneta galo
rantita da argento.
americano, dal dichiarare guerra Quando Kennedy fu assassinato,
alle banche private.
dopo appena cinque mesi non
L’Ordine Esecutivo 11110 avrebbe vennero più emessi certificati gamesso fine all’attuale sistema
rantiti da argento.
bancario mangia-soldi.
"Final Call" (“Final Call” è un sito
La FRB, come tutte le banche del di contro-informazione politica
resto, prestava (e presta ancora) statunitense, NDR) è a conoscenza
soldi che non ha. Solo un decimo del fatto che l'ordine esecutivo
dell’intero ammontare di capitale non venne mai cancellato da nesche le banche private danno in
sun presidente attraverso un altro
prestito, é realmente detenuto
ordine esecutivo, quindi è ancora
dalla banca.
valido. Perché allora nessun presiLa FRB crea a piacimento ricchez- dente successivo l'ha mai usato?
za, un potere immenso per dei
Virtualmente tutti i seimila miliarprivati. L'ordine esecutivo avrebbe di di dollari di debito sono stati
impedito al debito pubblico di rag- creati a partire dal 1963. Se un
Non a caso sui 5 dollari emessi dal Ministero del Tesoro
su indicazione di JFK compare l’immagine di Lincoln
71
presidente statunitense avesse
utilizzato il 11110, il debito non
sarebbe assolutamente ai livelli
correnti.
Forse l'assassinio di JFK fu un avvertimento ai futuri presidenti che
avessero pensato di estinguere il
debito eliminando il controllo che
la Federal Reserve esercita
sull’emissione monetaria.
Oltre la verità ufficiale
Lincoln fu assassinato da John Wilkes Booth che, secondo alcuni studiosi, era un agente della Casa Rothschild. Dopo la morte di Lincoln
cessò ovviamente anche la stampa dei green-backs.
Kennedy propose la stessa soluzione e subito dopo fu anch'egli
ucciso a Dallas in Texas, nel 1963.
I suoi obiettivi principali erano di
prendere il controllo della moneta
della nazione, togliendola dalle
mani
delle Banche della Federal Reserve e di terminare così la guerra in
Vietnam.
Il vero motivo del suo assassinio è
percepibile a ogni essere
umano pensante. Dopo quello
storico omicidio il vicepresidente
J.B.Johnson, appena assunta la
carica di Presidente ordinò infatti
il ritiro di tutte le banconote fatte
stampare da Kennedy. Kennedy
aveva infatti ordinato l'emissione
da parte del Tesoro di
4.292.893.815 dollari, con banco-
note che non riportavano più la
scritta "Federal Reserve Note", ma
quella di "United States Note".
Obiettivamente fece un intelligente tentativo per cominciare a togliere alla Federal Reserve il suo
potere di affittare il denaro al governo facendosi pagare un interesse.
La Federal Reserve e l’IRS
I banchieri ottennero il loro scopo
di nuovo nel 1913, quando la FRB
e le tasse di tipo IRS divennero
legge.
I banchieri avevano bisogno di una nuova tassa che ripagasse gli
interessi sul denaro che essi avrebbero creato e dato in prestito
allo stesso governo.
Il governo stampa una banconota
da 100 dollari chiamata banconota della Federal Reserve. La banca
prende i 100 dollari di contante
per 3,5 centesimi di dollaro (costo
di produzione). Poi la banca presta gli stessi 100 dollari al governo. Adesso il governo ha 100 dollari di debito e NOI dobbiamo pagare le tasse IRS per ripagare la
banca dei 100 dollari più gli interessi. Con un costo di 3,5 centesimi di dollaro la banca può ottenere dai 5 agli 8 dollari di interesse
ogni anno. Le banche lo chiamano
un buon affare. Questo è il modo
come loro [americani] creano un
debito di 6 trillioni di dollari, più il
debito di ciascuno stato, paese e
città. Metà o più delle nostre tasse IRS vanno ai banchieri. I banchieri danno poi i soldi ai politici
per assicurarsi che siano eletti ed
aumentare la tassazione a nostro
scapito. Immenso e rischioso.
È un enorme castello di carte, basta un semplice soffio di vento per
farlo crollare. L’intero sistema si
basa su soldi che le banche non
hanno.
JFK aveva compreso a pieno quanto tutto ciò fosse sbagliato. Aveva
intuito che di quel passo l’intera
economia mondiale sarebbe finita
male. Aveva anticipato la crisi economica mondiale che ci sta affliggendo. Con il suo Ordine Esecutivo, il Dipartimento del Tesoro avrebbe avuto il potere di
“emettere certificati d’argento a
fronte di ogni lingotto di argento/
dollari d’argento della Tesoreria.”
Questo significa che la Tesoreria
degli Stati Uniti poteva introdurre
soldi in circolazione basandosi
esclusivamente sui lingotti
d’argento fisicamente presenti
nelle casse dello Stato. Niente più
speculazioni, niente più creazione
72
ad hoc di falsa ricchezza. Solo una
economia solida, costituita sul valore dell’argento realmente detenuto dal governo.
L’FRB non avrebbe più potuto prestare soldi ad interesse
all’America. Gli uomini più ricchi
del mondo non avrebbero più avuto in mano lo scettro del potere.
Gli stavano per portar via il loro
amato giochetto per fabbricare
soldi. JFK si era già messo contro
tutta l’ala conservatrice e militarizzata dell’America schierandosi
contro la guerra in Vietnam, ci
mancavano solo i banchieri privati
da indispettire.
La sua morte era già praticamente
scritta. Kennedy aveva sfidato il
governo monetario attaccando i
due sistemi che sono sempre stati
usati per aumentare il debito: la
guerra e la creazione della moneta
da parte di una banca centrale privata.
Memorabili infatti suoi sforzi per
far uscire dal Vietnam le truppe
americane entro il 1965.
CHIMERA
LA NARRATIVA
LE RECENSIONI DI
Daniele Imperi
presentata da Luigi Milani
Lo
spazzino del
mietitore
un racconto
di Alexia Bianchini
Non c’è
mondo
di
Riccardo
Coltri
La
leggenda di
Sigurd e
Gudrún
di J.R.R.
Tolkien
I FILM MALEDETTI
M.Benedetta Errigo
LA STORIA CHE VERRA’
Nabta Playa
Simone Barcelli
73
Non c’è mondo di Riccardo Coltri
Daniele Imperi
Primo romanzo dell’autore del capolavoro
horror La corsa selvatica, una storia che si
basava sul fantastico italiano, attingendo
ai miti e alle leggende del nostro paese,
in un quadro storico ben preciso: i primi
anni del Regno d’Italia.
In questa prima opera dell’autore siamo
invece ai giorni nostri, anche se Coltri crea un interessante intreccio con la storia di
Romeo e Giulietta. Le vicende del protagonista Roberto Crinti si legano a quelle
della coppia shakespeariana e a quelle di
un’altra coppia del suo periodo.
Siamo molto lontani dalla forza del suo
ultimo romanzo, La corsa selvatica, anche
se qui si comincia a delineare lo stile che
ha contraddistinto l’autore nelle sue pubblicazioni successive, Zeferina e il racconto Venim etiam dell’antologia Carnevale.
Ci sono esperimenti stilistici che, se da un
lato rallentano un po’ la lettura, dall’altro
credo siano serviti a formare lo scrittore,
dando al suo linguaggio un’impronta inconfondibile. In Non c’è mondo lo stile ancora non trasporta come nelle altre opere, anche se intuiamo una ricerca
dell’autore nel volersi discostare da altri
stili e affermarne uno proprio.
Si possono notare dei piccoli particolari
che secondo me sono propri di un autore
alle prime armi. Il nome del protagonista,
Roberto Crinti, ha le stesse iniziali
dell’autore e suona come l’Arthur Gordon
Pym di Edgar Allan Poe. Come se lo scrittore volesse partecipare, in un certo senso, al suo stesso romanzo. E che dire del
don Coltri che fa la sua comparsa nella
storia?
Il romanzo ha comunque una sua forza,
non annoia, anzi ha un buon ritmo. Le atmosfere sono cupe, tenebrose, ma non
pesanti. Nel modo di descrivere le azioni
troviamo un Coltri acerbo, ma già padrone del linguaggio.
Tutta la storia, anche se ambientata per la
maggior parte ai nostri tempi, è avvolta
dal mistero e da un’aura di leggenda.
Questa sarà una caratteristica di Riccardo
Coltri, che ritroviamo anche nel suo racconto in Carnevale.
Come se per l’autore ogni mondo nascondesse un angolo fantastico, soprannaturale. Non c’è storia, altrimenti, al di fuori di
esso. Non c’è mondo, anzi, oltre quello
della fantasia.
Non c’è mondo di Riccardo Coltri
Bonaccorso Editore
110 pagine
giugno 2001
74
La leggenda di Sigurd e Gudrún di J.R.R. Tolkien
Daniele Imperi
Il volume ha un suo valore storico e
anche narrativo, poiché rappresenta
un’altra opera del maestro Tolkien,
questa volta in forma poetica. Siamo
ben lontani da opere come Il Signore
degli Anelli o Lo Hobbit, quindi chi decide di acquistare La leggenda di Sigurd e Gudrún è perché davvero interessato a possedere opere di Tolkien e
a conoscere ogni aspetto della sua
cultura e della sua scrittura.
Al di là di questo, il libro in realtà contiene ben poco di ciò che ha scritto
Tolkien, limitandosi a Il nuovo lai dei
Volsunghi e Il nuovo lai di Gudrún.
Meno di metà libro, dunque.
Il resto è, come al solito, una lunga
teoria di commenti del figlio, che ho
avuto modo di conoscere nelle raccolte di racconti e che già a quel tempo
trovai noiosi e inutili. La minuziosa
mania con cui il figlio Christopher
spiega ogni passo e ogni (probabile)
decisione del padre risulta di lettura
pesante e anche noiosa il più delle
volte.
Ciò che rende prezioso La leggenda di
Sigurd e Gudrún, quindi, è ciò che ha
realmente scritto Tolkien. Interessanti
sono invece le appendici finali, di natura storica, e la postfazione
all’edizione italiana.
Per quanto riguarda i versi, purtroppo
la traduzione italiana non rende merito alla poesia di Tolkien. È un libro da
leggere in lingua originale, perché i
versi sono spesso banali per come sono resi in italiano. Sembra una poesia
forzata, mentre leggendoli in inglese
funzionano.
Forse sarebbe stato più onesto pubblicare l’opera in versi di Tolkien prima, con l’aggiunta di un breve saggio
per spiegarne la genesi alla fine del
libro.
La leggenda di Sigurd e Gudrún di
J.R.R. Tolkien (tit. orig. The Legend of
Sigurd and Gudrún)
Bompiani
436 pagine
ottobre 2009
75
LA STORIA CHE VERRA’
Nabta Playa
Simone Barcelli
Marcatori nel ‘deserto’
nei sedimenti depositati sulla depressione) queste pietre formando anelli circolari, strutture sepolcrali e linee di megaliti da cui osservavano l’orizzonte,
puntando lo sguardo verso il giorno del
solstizio d’estate.
A Nabta Playa, l’archeologo Fred Wendorf
della
Southern
Methodist
University di Dallas, scava dal 1973 e,
tra l’altro, ha portato alla luce centinaia
di focolari, pozzi d’acqua in profondità,
ceramiche, ossa animali e resti di capanne. L’astrofisico John McKim Malville della University of Colorado, a sua
volta, ha determinato gli allineamenti di
alcuni megaliti, in direzione nord-sud e
del sorgere del sole all’orizzonte. Un circolo di pietre del diametro di quattro
metri, con otto pietre accoppiate, permetteva all’osservatore di guardare verso est, il giorno del solstizio d'estate di
7.000 anni fa. L’astrofisico Thomas
Il cosiddetto Primo Tempo, l’alba della
civiltà nell’Egitto di Osiride, è testimoniato dai Testi delle piramidi risalenti alla V dinastia. Stando al racconto mitologico, la divinità avrebbe riunificato, sotto la sua corona, l’intero regno. La storia
narra, invece, che fu re Narmer, forse
identificabile nella figura del mitico Menes, a riunire le terre d’Egitto alla fine
del III millennio a.C. Già nel VI millennio
a.C. un’antica popolazione si rese protagonista della costruzione, nel Sahara orientale, di elaborate strutture perfettamente allineate con il Sole e alcune stelle, simili per molti aspetti a quelle di
Stonehenge. I misteriosi costruttori di
Nabta Playa, una località della Nubia situata quasi sul tropico del Cancro, a un
centinaio di chilometri da Abu Simbel,
eressero (tra il 5.000 a.C. e il 4.700 a.C.
76
Brophy (coautore con Robert Bauval de
“Il mistero della Genesi”, Corbaccio,
2011) si spinge oltre, suggerendo che le
linee di megaliti siano correlate con almeno sei stelle importanti della costellazione di Orione (Alnitak, Alnilam, Mintaka, Betelgeuse, Bellatrix, e Meissa),
così come dovevano apparire nel 6.270
a.C. Un grande centro cerimoniale in cui
già ottomila anni fa convergevano i
gruppi provenienti da piccoli accampamenti stagionali, per registrare gli eventi astronomici di quei megaliti (una
trentina di strutture complesse, sia in
superficie sia interrate), che servivano
anche per stabilire l’arrivo delle piogge.
Curioso costatare che, in quel tempo
remoto, gli allineamenti potevano anche essere sommersi dal livello
dell’acqua di un antico lago che si andava formando durante la stagione delle
piogge, quasi fossero dei marcatori anche per quell’elemento.
toria, come il vicino tempio della Valle
di Chefren, presenta un’erosione diversa rispetto ad altri monumenti, dovuta
essenzialmente a insistenti precipitazioni piuttosto che all’azione classica della
sabbia portata dal vento. Poiché il monumento è stato ricoperto e quindi in
qualche modo protetto dalla sabbia per
quasi tremila anni, quelle piogge torrenziali all’origine dell’azione erosiva potrebbero risalire al periodo pluviale, caratteristico dell’Africa settentrionale tra
9.000 e 13.000 anni fa, all’incirca quando terminò l’ultima glaciazione.
La Sfinge è uno dei monumenti più antichi al mondo. Non risale, come si vuol
far credere, al tempo della costruzione
delle piramidi: almeno questa era
l’opinione diffusa tra i primi archeologi
che visitarono il sito all’inizio del XX secolo. Anche la Stele della Sfinge, opera
del faraone Tutmosi IV, certifica, secondo le ultime interpretazioni, che la statua fu liberata dalla sabbia, ancor prima, dallo stesso Chefren. La stele
dell’inventario,
rinvenuta
dall’archeologo Mariette nel 1850, non
è altro che una copia dell’originale di
Chefren, in cui il faraone sostiene che
Il culto del bestiame
Quasi tremila anni prima della datazione, comunque controversa, assegnata
alla piramide a gradoni di Saqqara, eretta all’incirca nel 2670 a.C. e attribuita al
genio di Imhotep, un popolo nomade
ma socialmente organizzato era depositario di una scienza che potrebbe perdersi nelle pieghe del passato.
Un periodo che potrebbe corrispondere
a quello della Sfinge di Giza, almeno secondo il parere del geologo stratigrafo
Robert Schoch, perché quest’opera scul-
77
prima del suo dominio esistevano già
sulla piana di Giza sia la Casa della Sfinge sia l’attigua Casa di Iside (da intendersi la Grande Piramide); il sovrano
non fece altro che erigere due piramidi
di più ridotte dimensioni, una per se e
l’altra per la figlia Henutsen. Erodoto,
nelle sue opere, non parla della Sfinge,
quindi è possibile che all’epoca il monumento fosse completamente ricoperto
dalla sabbia del deserto. Qualche faraone, periodicamente, la riportava alla luce ma nel giro di qualche centinaio
d’anni la Sfinge, inevitabilmente, era di
nuovo sepolta.
Le conoscenze astronomiche nel profondo del Neolitico, in quelle che sono
ora depressioni desertiche, destano
meraviglia ma anche qualche problema
d’incastro nella cronologia accettata.
Dal VI millennio a.C., in seguito al progressivo inaridimento di Nabta Playa, ci
furono costanti migrazioni di questa
gente nomade verso nord, in direzione
del delta del Nilo. Il sito era occupato
probabilmente solo nella stagione estiva, tra il 9.000 a.C. e il 2.800 a.C., con
parentesi d’abbandono tra il 5.500 a.C.
e il 4.500 a.C. (due i periodi di grande
siccità: tra il 5.300 a.C. e il 5100 a.C. e
tra il 4.700 a.C. e il 4.500 a.C.). Il ritorno
a Nabta Playa, prima del definitivo abbandono, presenta una rilevante evoluzione nel sistema e nell’organizzazione
sociale degli occupanti. Potrebbero essere loro, questo misterioso popolo
proveniente dall’Africa più profonda, ad
aver fondato l’Antico Regno d’Egitto che
tutti conosciamo.
Un tumulo di pietra del diametro di otto metri conteneva i resti completi di
una mucca, sepolta in una camera scavata nel pavimento. Nella stessa zona
sono stati rinvenuti altri sette tumuli di
pietra contenenti resti di bestiame, senza camere sotterranee, con le ossa poste tra le pietre; non sono stati invece
rintracciati resti umani. Un pezzo di legno della copertura ha prodotto una
datazione al radiocarbonio attestata al
4.470 a.C., forse la data di un ultimo rito propiziatorio prima dell’abbandono
del centro cerimoniale. Il culto del bestiame divinizzato era destinato a proseguire altrove. Come scopriremo, da lì
a poco sarà proprio una mucca a essere
considerata la madre del sole (il “Toro
del Cielo”): Hathor rappresentata come
una mucca mentre il marito Horus come un toro possente, con le rispettive
raffigurazioni astrali.
Nella parte inferiore della tavoletta di
re Narmer (3.100 a.C.), il toro che abbatte le mura della città e schiaccia il re
nemico è la rappresentazione del sovrano paragonato a Horus, rappresentato
sia come falco sia come toro possente.
78
I FILM MALEDETTI
M.Benedetta Errigo
Ci sono dei film che si portano dietro
un alone di mistero oltre che di maledizione. Film che vengono ricordati
per esempio per la fine tragica del
protagonista, come Il Corvo che ha visto morire il giovane Brandon Lee durante le riprese, o Il Cavaliere Oscuro,ultima interpretazione di Heath Ledger, morto in circostanza ancora poco chiare.
Ma ce ne sono altri che portano dentro di loro leggende nere, profumo di
terrore, sospetti di patti con altre entità. Questa sorta di maledizione è legata soprattutto ad alcuni film di inizio Novecento, quando forse si sperimentava di più o forse tutto era ancora da scoprire. Vediamone alcuni.
Vorrei partire parlando del film Nosferatu il Vampiro,un film del 1922
che mi ha sempre colpito molto, soprattutto da quando ho scoperto che
la prima volta è stato proiettato il
giorno in cui poi sarei nata io, il 5
marzo.La trama di questo film è nota
a tutti: si tratta del rifacimento della
storia di Dracula, visto che gli eredi di
Stoker non avevano concesso al regista Friedrich W. Murnau i diritti d'autore. Perciò il geniale regista creò sulla falsariga di Dracula la figura del
Conte Orlok,la cui parte fu assegnata
all'attore teatrale Max Schreck. Chiunque di noi, anche se non ha visto il
film, ricorda qualche fotogramma di
questa creatura, alta, nera, spettrale,
senza capelli e con mani dalle dita
lunghissime. Bene, la creatura era
Schreck che stava interpretando il
personaggio che l'avrebbe reso un'icona del mondo cinematografico. Però. Tutto il film è attraversato da un
alone di mistero. Iniziamo dall'attore,
da Max Schreck. Già il nome suona
strano, visto che in tedesco queste
79
due parole significano "Grande terrore". Si trattava forse di un nome d'arte scelto ad hoc? In teoria parrebbe
di no, visto che pare che in alcune locandine di piccole compagnie teatrali
tedesche di inizio Novecento ci sarebbe il nome, scritto molto piccolo, di
questo attore: Friedrich Gustav Max
Schreck.
Qualcuno le ha però mai viste? No.
Proseguiamo. Alcuni dicono che in realtà Murnau si sarebbe recato nei
Carpazi e lì avrebbe scovato un vero e
proprio vampiro che lui avrebbe convinto a recitare. "Nella parte di se
stesso", insomma!
Questa diceria si sarebbe diffusa soprattutto per il fatto che le riprese
con il Conte Orlok si svolgevano di
notte e che nessun provino era stato
fatto per assegnare la parte, ma il regista era arrivato con questo attore,
comparso dal nulla. Se a questo si aggiunge il fatto che durante le riprese
molti membri della troupe subirono
incidenti anche mortali, si può capire
come la leggenda della maledizione
iniziasse già allora a farsi sentire.
Alla fine gli eredi di Stoker bloccarono
l'uscita del film e Murnau fu costretto
a bruciare tutte le copie del girato.
Tutte tranne una che è quella che ci
ha permesso di vedere questo film ai
giorni nostri.
Forse per questo, forse per altri motivi, Max Schrek esce di scena e non ri-
compare in altri film famosi. Questo è
però strano, visto che era stato il protagonista assoluto di questo film e
che quindi avrebbe dovuto avere altre offerte e altri parti di primo piano.
Ma niente, di Max Schreck non si sa
più nulla. Ecco perché si diffuse la leggenda che in realtà Max Schreck fosse
lo stesso regista Murnau, che aveva
deciso di travestirsi e di essere lui il
protagonista prefetto, quello che lui
aveva in mente.
Un'idea di quello che successe durante la lavorazione del film si può avere
guardando "L'ombra del vampiro",
pellicola di Elias Merhige con John
Malckovich nella parte di Murnau e
Wilem Dafoe in quella di Schreck.
Veniamo a Freaks. Freaks è uno dei
film più spaventosi della storia del cinema. Girato nel 1932 da Tod Browing, venne ambientato in un circo
ed interpretato da veri fenomeni da
baraccone, esseri deformi e spaventosi, i "freaks" appunto.
80
La storia è presto detta: in questo circo la bellissima trapezista Cleopatra è
amata dal nano Hans. Lei accetta di
sposarlo, ma in realtà è interessata
solo ai soldi dell'uomo, quindi progetta di ucciderlo con l'amante Hercules,
anche lui lavorante del circo come uomo forzuto.
Ma gli altri freaks, che non avevano
mai amato questa donna e sospettavano che lei volesse uccidere Hans,
scoprono che Cleopatra e Hercules
stanno lentamente avvelenando il nano. Così, durante la notte, inseguono
armati la donna e il suo amante. Lui
viene ucciso subito,mentre a lei vengono tagliate le gambe, cavato un occhio, schiacciate le mani e mozzata la
lingua. Ora anche lei è un freak, e infatti dopo qualche tempo si vede che
viene presentata dal padrone del circo come "la donna gallina". Niente
male eh?
Sta di fatto che il regista dovette tagliare delle scene,dopo la prima messa in scena. Per inciso: Browing chiuse con Hollywood dopo questo film.
Nessuno lo fece più lavorare.
Fu indispensabile tagliare le scene
nelle quali si mostrava esattamente la
mutilazione della donna da parte dei
freaks. Non si contarono infatti i malori tra gli spettatori presenti, tra i
quali una donna incinta che abortì
verso la fine della proiezione.
Purtroppo le scene tagliate sono perse per sempre, tra le quali la vera fine
di Hercules che invece di morire per
mano dei circensi viene castrato e costretto ad esibirsi come una pseudo
donna, anche lui come fenomeno da
baraccone, quindi.
Va da sé che questo film fu vietato
per circa vent'anni in tutto il mondo,
rinnegato in maniera così totale che
persino alcuni attori decisero di non
dire mai di avere partecipato a questa
pellicola. Facciamo un salto avanti di
qualche anno e arriviamo al 1968.
Questo è l'anno in cui Roman Polanski
gira Rosemary's baby, film che posso
immaginare si sia pentito mille volte
di girare.
In questo film si racconta della nascita
dell'Anticristo e Polanski, proprio per
essere il più fedele possibile ai rituali
descritti nella pellicola, chiama come
consulente un erede di Alesteir Crowley, fondatore della Chiesa di Satana.
Purtroppo Charles Manson vide quel
film. L'uomo, che già percorreva una
strada satanica, pare non avesse gra-
81
dito molto che nel film si parlasse di
alcuni rituali segreti. E pare che fu
proprio questa la causa della morte
terribile un anno dopo di Sharon Tate,
moglie di Polanski, massacrata nella
sua villa da Manson e da suoi complici. Il regista era all'estero e a malincuore aveva lasciato a casa la moglie
che era incinta di otto mesi e non si
sentiva di viaggiare. Anche per Mia
Farrow, la protagonista, il film si lega
a un cattivo ricordo, anche se non tragico come l'uccisione della Tate: suo
marito Frank Sinatra le portò sul set i
documenti del divorzio da firmare.
Anche L'Esorcista non gode di buona
fama. A prescindere dalla trama e
dalle scene impressionanti, pare che
buona parte dei parenti della troupe
sia morta durante le riprese, mentre
Linda Blair si ruppe alcune vertebre
girando qualche scena.
I film maledetti sono davvero tanti,
impossibile da racchiudere tutti in un
articolo solo, magari se ce ne sarà
possibilità in futuro vi racconterò di
altre leggende. Per il momento ho de-
ciso di chiudere questo articolo con la
maledizione di Superman.
Pare infatti che qualsiasi attore abbia
interpretato il supereroe abbia avuto
una vita sfortunata. Tutti noi ricordiamo Christopher Reeve, protagonista
del film del 1978, che nel 1995 cadde
da cavallo e rimase paralizzato, morendo poi agli inizi del Duemila. Ma
anche i primi due Superman non ebbero vita facile: il primo, Kirk Alyn, si
vide chiudere davanti tutte le porte
del cinema, visto che ormai lo si identificava solo con l'uomo volante. Morì
povero e solo. Anche George Reeves,
il Superman degli anni Cinquanta, rimase senza lavoro per lo stesso motivo e purtroppo si suicidò.
Come dire, non è tutto oro quello che
luccica...
82
LA NARRATIVA DI CHIMERA
presentata da Luigi Milani
Lo spazzino del
mietitore
un racconto di Alexia Bianchini
Alexia Bianchini è un’instancabile tessitrice di storie: con CIESSE edizioni ha pubblicato MINON, un romanzo Dark Fantasy, Io vedo dentro Te, un’opera sci-fi, e
l’antologia D-Doomsday di cui è curatrice. Con Linee Infinite il romanzo Scarn, la
nuova era dei vampiri, a breve in nuova versione. Con GDS Edizioni l’antologia
SYMPOSIUM, di cui è curatrice, le novelle Sibilla, visioni di morte e Il cerusico.
Con EDS ha la raccolta cyber punk Alter Ego e quattro racconti di fantascienza. È
stata selezionata in diversi concorsi fantasy, horror e di sci-fi.
Non paga, collabora con Speechless e ST-books ed è editor, curatore di collana e
direttore del webmagazine Fantasy Planet.
Lo spazzino del Mietitore, la storia proposta alla nostra rivista, è un’altra prova
della versatilità di questa autrice. L’ambientazione e l’andamento horror-fantasy
riveleranno al lettore una terribile verità, offrendo al contempo più piani di lettura e di riflessione.
Buona lettura.
Luigi Milani
83
Lo spazzino del mietitore
un racconto di Alexia Bianchini
«Nulla, Mio Signore, non ho lasciato tracce dopo il suo passaggio» disse
l’ombra scarna di quello che un tempo era un uomo.
«Bravo, servo fedele, persevera nel tuo dovere, prostrati ai piedi di colui
che semina morte e non abuserò del tuo corpo per sentire grida di strazio» enunciò una voce possente. Apparteneva alla figura più letale che il
genere umano avesse mai temuto. Il Mietitore aveva appena finito di seminare morte, tranciando vittime, ora esigeva riposo. Il suo corpo immenso divenne impalpabile, un fumo nero si espanse nell’antro del riposo, scavato nelle profondità della terra, e svanì attraverso le viscere.
Nihil era rimasto solo, nel nulla.
«Ho finito di ripulire le macchie di sangue, aspirando gli avanzi con estrema riluttanza, ma sono spinto dalla necessità di mantenere
l’apparenza e non ho il potere di rifiutare» pronunciò a voce alta, consapevole che le sue parole non avevano più peso.
«Sono colui che giunge dopo il Mietitore e ripulisce le tracce dell’atroce
violenza che il male dell’uomo scatena. L’odio chiama odio, scatenando le
belve che il mio padrone libera contro chi si è macchiato. Esse annusano
scalpitanti l’odore di marcio che il sudore dei malvagi emana.
L’eccitazione sovrasta i loro sensi e non distinguono più gli innocenti»
sussurrò, mentre la figura di una giovane dilaniata dalle fauci delle bestie
del suo padrone aleggiava nell’aria davanti al suo sguardo. Gli sembrò di
udire di nuovo le grida di terrore, poi tutto svanì, ma non il dolore che
stritolava il suo petto.
84
Nihil, che non rammentava chi fosse stato un tempo, era chiamato ad agire dopo lo scempio, e l’odore del sangue penetrava le sue narici.
Quale essere osceno era mai stato, se doveva assorbire la feccia, la sporcizia e l’ipocrisia dimoranti nei resti sparsi di membra squartate?
«Ero uno di voi, ero umano, ero …» si ritrovò a ripetere per l’ennesima
volta. Un pensiero che lo torturava dentro, perché il ricordo era ormai
svanito.
«Ora sono solo lo Spazzino dell’oscuro Signore, piegato dal tempo che
più non mi condanna, segnato dal dolore che ormai non mi sfiora» dichiarò, nella convinzione che esprimere il proprio fato potesse dargli un
tono, una forma. Era troppo il tormento indotto dalla consapevolezza di
essere stato scelto per ciò che aveva commesso.
«Chi sono stato? È questo il prezzo da pagare per i peccati che ho commesso?» domandò, gridando le sue ansie.
Appoggiato a un muro freddo e levigato cercò riposo. Strinse le meningi
nella vana speranza di un vago ricordo, ma solo l’orrore tornava a galla,
nulla di terreno e palpabile, solo sangue e carne.
«Ieri e domani la mia condizione sarà immutabile» disse a denti stretti,
cercando di accettare l’orrida situazione.
«Nihil!» gridò il padrone, «alzati dal tuo giaciglio e seguimi!».
Il servo non rispose, la paura di sbagliare era immane. I demoni dalle
fauci immonde, ancora legati a grosse catene, latravano, sbavando desiderosi di attaccare.
«Attendete ancora miei cari, vediamo se l’uomo è in grado di arretrare
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sui suoi sbagli. Non sono ingordo, voglio che impariate a vedere se il nostro intervento sia necessario» disse il Mietitore ai suoi amati cuccioli.
Il suo abito nero si polverizzava e ricomponeva davanti a quella landa,
dove un manipolo di uomini armati stava attaccando un accampamento
di agricoltori.
«Guardateli, poveri illusi. Hanno distrutto il loro mondo, tornando alle
origini della specie. La civiltà si è ritorta su se stessa e loro sono ancora a
caccia, nella speranza di sopravvivere evitando la fatica, schiacciandosi
l'un l'altro» disse con un ghigno malefico.
Nihil rimase davanti alla scena che stava per svolgersi. La furia ingorda
degli assalitori fu devastante.
«Inutile perdere tempo, attaccate!» esclamò il mietitore, sguinzagliando
le belve.
Per gli umani non ci fu sentore di ciò che il fato aveva in serbo per loro.
Nemmeno le vittime che tentavano invano la fuga furono risparmiate
dalle fauci spalancate e voraci. Grida di terrore saettarono nel cielo che si
terse di viola e schizzi di sangue tinsero la scena. Parvero innocui e innocenti persino i carnefici, inermi davanti alla potenza dei demoni della
notte.
Nihil deglutì, senza voltare lo sguardo. Era convinto che farlo avrebbe significato non portare rispetto al suo Signore. Fece un passo avanti, pronto per il suo lavoro di spazzino, ma una mano scarna, grande il doppio
della sua figura, gli si parò davanti.
«Aspetta che l’ultimo sia stato trucidato, poi potrai scendere» lo ammonì
il Signore della Morte.
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«Sì padrone» riuscì solo a dire.
Nihil discese il pendio. La sua veste di stracci si mescolava, nei suoi tanti
lembi, ai lunghi capelli neri. Non doveva pensare, solo agire e ingurgitare. La sua bocca si spalancò disumanamente e iniziò ad aspirare l’odio
che aleggiava fra le anime dei defunti. Poi venne il turno dei resti che,
sbriciolati nel turbine che si librava dalla sua bocca, si infilarono nel suo
corpo.
Rigonfio d’immondizia umana Nihil rimase in attesa del suo Signore, che
giunto nel luogo della battaglia, sprofondò il suo bastone nella terra, creando un varco.
«Liberati!» ordinò al suo servo, che obbedì, lasciando che tutto sprofondasse nell’abisso.
Quando il padrone richiuse il varco le belve si ammansirono.
«Nessun richiamo d’odio nell’aria. Torniamo al riposo!» proferì il Signore, e il vento li trasportò nel loro antro, ma non per molto. L’uomo, si sa,
è un debole che cede velocemente, incapace di vivere in pace, soprattutto
se non ha più niente.
Nel silenzio del buio profondo Nihil cercò il sonno. Sequenze di numeri
riempivano i suoi sogni, scatenando stati d’ansia devastanti, alternandosi
con sensazioni di assenza e presenza che non riusciva a decifrare.
Chi era stato? Più cercava la risposta e più si confondeva. Poteva uno come lui, che provava disgusto nel vedere il sangue e sentiva pietà
nell’osservare il dolore delle vittime, essere stato malvagio al punto da
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meritarsi quel lavoro? Il tormento lo consumava dall’interno.
Quanto fu il tempo del riposo nessuno lo può dire.
«Andiamo!» sentì pronunciare, e un attimo dopo erano davanti a un villaggio di case diroccate dove i sopravvissuti cercavano di resistere.
«Eccoli, pochi e miseri umani. Questo luogo sembra in quiete, ma c’è un
crescendo d’odio che mi ha richiamato. Vedrai fra poco la pace fasulla
spazzata dalla mano dell’uomo malvagio. Se non impareranno, entro pochi anni non resterà più nessuno!» esclamò il Signore.
Nihil guardò il suo Signore e non trovò ingiustizia nelle sue parole, poi
tornò a dare un’occhiata a quei ruderi, dove figure femminili stendevano
stracci al vento. Non riuscì a evitare di incrociare lo sguardo con una giovane dai capelli corvini e dalle labbra cremisi.
«Padrone…» sussurrò a fatica.
«Leggo i tuoi pensieri Nihil, ma non c’è pietà per l’umanità, quando essa
rifiuta l’evoluzione facendosi dominare dalla smania del possesso. Merita
solo la falce!» sentenziò il Mietitore, tirando le catene, per tenere a freno
le belve.
Gli assalitori entrarono nel villaggio, con i loro mezzi blindati coperti per
sembrare mercanti. Solo quando la gente uscì allo scoperto si rivelarono.
«Solo lei…» disse di nuovo Nihil, mentre l’attacco era partito inesorabile.
«Guarda piccolo servo, guarda di cosa è capace l’uomo» disse il Signore,
ignorando volutamente la supplica.
La giovane che Nihil non smetteva di seguire con lo sguardo cercava riparo fra le rovine. La vide arrampicarsi lesta su un traliccio ritorto su se
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stesso che un tempo ostentava alta nel cielo una grande scritta pubblicitaria. Tra le lamiere ritorte la ragazza trovò una nicchia e sembrò quasi al
riparo dai soprusi, quando due uomini videro il lembo del suo abito svolazzare. Il cuore di Nihil ebbe un tumulto, un battito improvviso, e quasi
desiderò che le belve indemoniate si lanciassero sulla folla, pur di risparmiare la violenza di uno stupro a quella giovane. Il suo padrone sembrò
quasi leggergli nel pensiero e sguinzagliò le bestie immonde, ma due assalitori avevano già raggiunto la preda e la trascinarono a terra, strappandole i vestiti di dosso.
Non vi fu premeditazione nel suo pensiero, né consapevolezza del pericolo in quell’azione di disobbedienza, ma Nihil iniziò a correre verso il villaggio.
Quando raggiunse la ragazza, i due uomini si voltarono verso di lui, straniti, disorientati. Non doveva avere un aspetto normale, visto ciò che da
tempo immemore faceva per il Mietitore. I due si guardarono, proruppero in una grassa risata, prendendolo in giro per i suoi miseri stracci.
«Ci penso io a questo, intanto occupati della femmina!» esclamò il più
grosso, mentre l’altro teneva una sciabola puntata al collo della vittima.
Il grido esultante delle bestie affamate si mischiò con il fragore della battaglia, ma nel luogo dove si trovava il servo i due assalitori non capirono
cosa stesse avvenendo nel villaggio e perseverarono nel loro atto diabolico.
«Lasciatela!» intimò Nihil.
«Ti distruggo!» disse il suo assalitore.
Il servo spalancò la bocca, un turbine ne fuoriuscì. La forza di quel potere
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era tale che l’uomo davanti a lui si sbriciolò, schizzando sangue ovunque.
Lo sguardo di orrore dipinto sul volto del compare era una maschera di
terrore, si staccò dalla giovane riversa a terra e si allontanò di corsa.
Nihil raggiunse la ragazza. Mentre l’aiutava a rialzarsi lei guardò il suo
assalitore scappare e poi salire su un cumulo di macerie, quando un animale nero di dimensioni spropositate fece capolino sulla cima di quella
collina di detriti. Si udì solo un grido, l’uomo si voltò su se stesso per correre verso di loro venendo istantaneamente braccato dalle fauci che lo
stritolarono squartandogli le carni.
«Scappiamo!» gridò la ragazza.
Nihil la prese fra le braccia e iniziò a correre, non sapendo se le belve lo
avrebbero risparmiato, trovandolo lì, in mezzo ai Peccatori.
L’odore del sangue aumentava d’intensità, ma il servo correva veloce verso il suo padrone.
«Perdonatemi, non ho resistito!» disse il servo, tenendo ancora fra le
braccia la giovane, che tremava convulsamente, tenendo gli occhi spalancati sull’orrore che si stava compiendo nel suo villaggio.
Il padrone non rispose, forse troppo indignato per quell’atteggiamento
poco consono ai doveri di un servitore.
«Le belve hanno finito, lasciala a terra e vai a fare il tuo lavoro» sentenziò
il padrone.
La ragazza, in stato di evidente confusione, si rannicchiò a terra, stringendo a sé le ginocchia, terrorizzata.
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«Gonfio del male appena assorbito, mi sento straripante di odio. È mio
dovere, il mio obbligo verso questa società ormai persa, ma non sarò mai
pronto ad accettare tutto questo. Trattengo il rigurgito per riversare tutto
nelle viscere della terra, eppure questa mia condizione sembra non avere
mai fine, quasi non bastasse aspirare il male» disse Nihil, osservando gli
scarti che stava per risucchiare.
«Il tuo lavoro è stato eccellente» disse il padrone, osservando il villaggio
ripulito da ogni traccia.Il grande vento trasportò il padrone e il suo seguito nell’antro del riposo. Il signore della Morte accettò di buon grado che
la donna sopravvivesse alla fame indomabile delle belve. Svenuta, sopportò il viaggio, svegliandosi di soprassalto nell’oscurità di un luogo sconosciuto.
«Dove sono?» chiese la ragazza con voce treante.
«Nell’antro del riposo. Il mio Signore necessita di pace fra una missione e
l’altra» rispose umilmente il servo.
«Ho paura, portami via di qui» implorò la ragazza.
«Non devi temere nulla nella sua dimora. Dimmi come ti chiami e di cosa
hai bisogno, farò di tutto per accontentarti» sostenne Nihil.
«Mi chiamo Alidia. Ho molta fame e vorrei un po’ di luce» sussurrò la ragazza.
«Dovremo spostarci da qua» pronunciò il servo con disagio, ma d'altronde si era proposto di aiutarla, non poteva più tirarsi indietro.
Prendendole la mano, attraversò cunicoli stretti, dove serpi immense
dormivano sonni eterni.
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Giunsero in un'asettica stanza rettangolare, dove uno strano sole quadrato illuminava il luogo. Nihil guardò quell’ambiente senza sapere dove realmente si trovassero. Mai aveva osato allontanarsi dal suo giaciglio, il
luogo dove il padrone lo riportava dopo ogni sporco lavoro.
«Conosci la combinazione?» chiese la ragazza.
Nihil rimase in silenzio, poi lei gli prese la mano e la poggiò su un riquadro luminoso. Si sentì un rumore strano, poi la porta si spalancò.
«Andiamo!» lo esortò Alidia.
Si incamminarono lungo stanze illuminate straripanti di macchinari di
ogni genere.
«Dobbiamo trovare l’uscita!» disse la ragazza, muovendosi svelta fra i locali.
«Ma io non posso andarmene, devo stare con il mio padrone, o subirò le
ire della sua furia immane. Possiamo cercare ciò di cui tu hai bisogno, ma
io devo tornare al mio lavoro» disse Nihil.
«Quale lavoro?» chiese la ragazza, fermandosi e fissandolo curiosa.
«Io pulisco i resti, assimilo l’odio per nascondere la violenza. Mi chiamo
Nihil, sono lo spazzino del Mietitore e non posso negarmi a lui» spiegò il
servo.
«Quale Mietitore? Parli di quella macchina di morte e dei suoi tentacoli
mostruosi sulle cui estremità sono state montate delle falciatrici?» domandò Alidia.
Nihil rimase in silenzio, perplesso da quelle parole senza senso. Il suo Signore era immenso, orrendamente elegante nelle sue movenze. Come poteva quella giovane paragonarlo a una macchina?
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«Ti ricordi qual è la tua codifica e per cosa sei stato assemblato?» domandò di nuovo Alidia.
«Assemblato?» chiese Nihil interdetto.
«Lascia stare, cerchiamo le stanze dove ci sono i computer a cui siete collegati, prima che quel mostro si risvegli» disse Alidia, trascinando con sé
Nihil basito e confuso.
Camminavano spediti e Nihil vide le serpi dormienti che mutavano
d’aspetto. Non respiravano più, erano divenuti semplici cavi dal diametro
di trenta centimetri. I meravigliosi e quadrati soli che incontravano lungo
il cammino persero la loro fattezza, per divenire semplici lampade. Tutto
ciò che vedeva mutava, persino i suoi capelli fluttuanti sembravano ora
fili elettrici.
«Eccolo, dev'essere quello!» esclamò Alidia.
Una grande porta in acciaio si spalancò dinanzi a loro ed entrarono in un
salone immenso, dove enormi vetrate si aprivano su quella che un tempo
doveva essere stata una metropoli. Nihil guardò fuori, osservando il disastro. L’aria frizzante entrava dalle vetrate rotte, migliaia di detriti erano
sparsi ovunque. La devastazione era totale.
«Sono passati cinque anni, ma sembra un’eternità» disse Alidia, accostandosi a lui per osservare quel panorama terrificante.
«Sono passati da cosa?» chiese il servo, che ricordava bene dalle parole
del suo padrone che il mondo era collassato per colpa di uomini malvagi.
«Che sia stato un errore umano o dei computer non lo sappiamo, ma tutto è esploso!» spiegò Alidia.
«Esploso…» ripeté l’androide accanto a lei.
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«Dovresti essere un modello base per l’aiuto in casa, per le faccende domestiche, anche se il tuo aspiratore è stato modificato e reso molto potente» constatò Alidia, accarezzando Nihil.
«Mi sento confuso!» dichiarò l’androide guardandosi le mani, arti metallici privi di carne, dalla parvenza umanoide.
«Ne avevo uno come te da bambina. Anche lui sentiva. Venne portato via
per essere disassemblato. A quei tempi non era previsto che un androide
potesse avere emozioni, poi il genere umano ha compreso. Peccato che
quando la società ha iniziato a evolversi nel verso giusto, e l’umanità ha
scelto il percorso più corretto, tutto è collassato. Abbiamo toccato il paradiso con un dito, per poi risprofondare nell’inferno» si rammaricò la ragazza.
«C’è odore di odio nell’aria, è questo che alimenta il mio signore» asserì
Nihil, tentennando sulle ultime due parole.
«Qualcosa di strano deve essere successo durante l’esplosione. È solo un
macchinario
antisommossa
che
si
è
auto-modificato
e
auto-
programmato, non è affatto il tuo Signore. Dobbiamo disattivarlo!» disse
Alidia.
«Disattivarlo? Ma lui elimina i violenti, i banditi. Hai visto come ha difeso il tuo villaggio!» esclamò l’androide.
«Difeso? Certo, mi hai salvata, ma quanti innocenti sono morti? Ogni
giorno venivamo attaccati e ogni giorno riuscivamo a difenderci. Quella
macchina non è in grado di distinguere il bene dal male e continuerà nelle sue stragi. L’eco dei morti si è diffuso fra molte comunità, ma nessuno
è riuscito mai a disattivarlo» disse la ragazza.
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Un allarme prese a suonare e Alidia si allarmò, cercando l’origine di quel
suono. Nihil rimase immobile per qualche secondo, aveva riconosciuto
quel suono che antecedeva il solito richiamo al dovere. Ripensò al suo padrone e alla sua visione distorta di ciò che vedeva. L’immagine di
quell’essere superiore vestito di nero con i suoi cani enormi al guinzaglio
era fasulla? Forse una distorsione della realtà prodotta da un difetto del
suo chip mnemonico. Frugò nei ricordi ripensando a tutte le disposizioni
che gli intimavano di credere che la sua missione fosse un obbligo inderogabile nei confronti del suo Signore, per poi confrontarle con le parole
nuove di Alidia, la giovane donna che gli aveva rivelato la verità.
«Di qua» gridò Nihil, deciso ormai ad aiutare la ragazza.
Ora sapeva dove andare per disattivare XP8, la grande macchina anti
sommossa che aveva perso il controllo dopo l’esplosione.
Appena entrati nel laboratorio Nihil vide il suo padrone che ancora teneva gli occhi socchiusi, mentre le catene immense ricadevano pesanti sul
terreno, dove le belve dormivano. L’allarme suonava e un computer segnalava che in una zona poco distante c’erano movimenti sospetti. Il sensore segnalava il livello due, mentre l’allarme impazzava. Al livello successivo XP8 si sarebbe attivato, scatenando le bestie.
«Muoviamoci!» gridò Alidia osservando Nihil imbambolato a guardare il
suo padrone.
«Servo, cosa fai qui!» disse una voce cupa che risuonò nella stanza.
«Perdonatemi, io …» disse Nihil, mentre Alidia cercava di scuoterlo per
richiamarlo alla realtà.
«Non oserai ribellarti ai tuoi doveri?» domandò furiosa quella figura o-
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scura e potente.
«Non è il Signore della Morte, non è il tuo padrone!» urlò più volte la ragazza, mentre Nihil sentiva le catene che vibravano per richiamare le belve.
«Ma io …» sussurrò il servo confuso, terrorizzato dagli occhi furenti, rossi di sangue, che il suo padrone fissava su di lui. Poi sentì un latrato e si
voltò verso le belve con le fauci spalancate, ma un frame si sovrappose a
ciò che vedeva e l’animale si smaterializzò, lasciando spazio a un oggetto
meccanico.
«Svegliati! Dimmi come faccio a spegnerlo!» disse Alidia.
Grandi maglie taglienti si mossero verso le due figure e lo stridore del
ferro ricoprì il rumore dell’allarme. Un solo frammento di tempo e tutto
sarebbe diventato vano.
«Ora ricordo … l’alimentazione si trova dietro, ma non servirà a nulla
staccarlo» spiegò Nihil.
«Non dire così, proviamoci!» esclamò Alidia. Ancora pochi istanti e la
forza deviata di quella grande macchina ne avrebbe fatto poltiglia.
«Io sono il tuo servo, sono nulla senza di te, ma tu sei niente senza di
me» gridò al suo padrone, aprendo uno sportello sul suo addome, strappando con violenza i fili al suo interno e cadendo fragorosamente a terra.
«Noo…!» gridò Alidia, accasciandosi.
Tutto si spense, il mostro era morto per mano del suo umile servitore, un
androide nato per raccogliere immondizia nelle case degli umani e divenuto artefice e creatore del suo stesso carnefice. Quando la sua programmazione era andata in tilt, Nihil aveva mutato il suo status e la sua mis-
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sione, plasmando il Signore della Morte fra i detriti vicino al laboratorio
dove era stato assemblato in origine.
«Non piangere, siamo riusciti a spegnerlo» sussurrò Nihil a fil di voce.
«Ma perché? Potevi ricominciare!» esclamò la ragazza.
«Ho dato vita io alla versione distruttrice di XP8. Sarebbe stato in grado
di autoalimentarsi, ma con il suo telecomando fuori uso è solo un ammasso di ferraglia. Perdonami se puoi, non riuscivo a vedere la realtà, a
distinguere il bene dal male» spiegò, spegnendosi per sempre.
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TRACCE
D’ETERNITA’
IN EDICOLA
SULLE PAGINE
DELLA RIVISTA
MENSILE
XTIMES
EDITO DA
XPUBLISHING.
OGNI MESE
UN INSERTO
DI VENTI PAGINE
CURATO
DALLA NOSTRA
REDAZIONE
100
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