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DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA

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DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA
RELATIVISTICA
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
1. Introduzione
La teoria della Relatività è una teoria affascinante per tutti e il suo fondatore, Albert Einstein, è probabilmente il personaggio più noto in tutta la
storia del pensiero scientifico. Tuttavia ben pochi la conoscono effettivamente ed in generale si ritiene che si tratti di una teoria molto difficile ed
astratta, rivolta soltanto agli specialisti. In realtà la sua prima parte, detta
Relatività Speciale o Ristretta, è comprensibile anche da parte di coloro che
non hanno una preparazione matematica e fisica a livello universitario. Può
dunque essere molto interessante esporre le basi della teoria della Relatività
Speciale a studenti delle classi IV e V di un Liceo, mostrando loro a quali
conclusioni strabilianti portano le idee di Einstein con lo stravolgimento di
concetti fondamentali come quello di spazio e tempo e conseguenze molto
lontane dalle nostre comuni percezioni.
Nel 1905 la prestigiosa rivista Annalen der Physik pubblica tre articoli su
un tema completamente nuovo: la relatività. Nel post-scriptum compare
una equazione sibillina : E = M c2 . L’autore è un giovane e sconosciuto
impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna: Albert Einstein. Quindici anni
dopo, le ricerche astronomiche confermano con l’esperienza la sua teoria.
Nasce cosı̀ uno dei grandi miti del Novecento.
2. Introduzione storica alla relatività speciale
La teoria della relatività fu formulata all’inizio del XX secolo ad opera di
Albert Einstein.
Essa è diventata ormai un luogo comune in fisica: è data per scontata e viene
usata
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quotidianamente dagli scienziati nello studio dei fenomeni atomici molto
raffinati, nella fisica nucleare e soprattutto nella fisica delle alte energie.
2.1. Chi era Albert Einstein? Gli antefatti
Siamo all’inizio del 1894. Sul treno Monaco - Milano un ragazzo di 16 anni
medita sul proprio futuro. Ha appena lasciato il Gymnasium, dove lo avevano iscritto i genitori, per raggiungerli in Italia.
Non è stata una decisione facile perché ha cosı̀ rinunciato all’università,
ma non ne poteva più di quel sistema educativo rigido e severo. I genitori,
in seguito a difficoltà finanziarie avevano deciso di lasciare Monaco con la
figlia piccola Maja e avevano lasciato Albert a terminare l’anno scolastico
presso una famiglia di conoscenti.
Albert nasce nel 1879 nel decennio che vede l’unificazione tedesca sotto l’egida della Prussia. Nel volgere di una sola generazione, quella di
Bismark e dei genitori di Albert, la Germania diventa una nazione ricca,
nel pieno di un galoppante processo di industrializzazione. Non mancano
però i contrasti dovuti alle differenze religiose, sociali e regionali che solo
lo sviluppo del nazionalismo e del militarismo riescono in parte a mascherare. L’infanzia di Albert si svolge in un clima di esaltazione della forza
e glorificazione della tradizione culturale tedesca: Kant, Goethe, Schiller,
Beethoven.
I Gymnasien sono gli istituti dove si forma l’elite del paese, riflettono quel
modo di pensare e vi si impartisce un insegnamento autoritario che esige
dagli studenti un nozionismo quasi enciclopedico assieme ad una disciplina
quasi militare.
Sono proprio queste le cose che Albert non riesce a sopportare e dunque,
disgustato dalla disciplina militare e incitato dall’ostilità di alcuni professori che non tollerano la sua indipendenza di giudizio e la sua libertà di
pensiero, Albert decide di partire per l’Italia. Un altro movente lo spinge
a lasciare la Germania: sottrarsi al servizio militare. Spera di ottenere in
tempo la nazionalità svizzera (che ebbe nel 1901) in modo da non essere
considerato un disertore.
Vedendolo giungere in Italia, i suoi genitori sono certamente preoccupati.
Il figlio ha volontariamente rinunciato ad accedere all’Università e quindi
alle professioni che garantiscono sicurezza finanziaria. Il padre Hermann
infatti, pur dotato di spiccate disposizioni per la matematica, aveva dovuto rinunciare all’università in quanto ebreo non benestante e aveva dovuto
occuparsi degli affari di famiglia.
Ora, la Germania di Bismark è più aperta nei confronti degli ebrei, anzi
si è di fronte a un’incredibile ascesa sociale di questi ultimi. L’uscita dal
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ghetto era stato un processo lento ed irreversibile iniziato dopo gli ideali
della rivoluzione francese: vari decreti avevano sancito la totale e definitiva
emancipazione degli ebrei nel 1869.
Albert, nato 10 anni dopo, appartiene alla prima generazione di ebrei
tedeschi i cui diritti sono riconosciuti per legge sin dalla nascita!
In quegli anni di crescita economica, gli ebrei, da poco emancipati, partecipano attivamente allo sviluppo e vengono ad occupare in poco tempo
importanti posizioni economiche.
I genitori di Albert, ebrei non praticanti, probabilmente sono convinti che
l’antisemitismo presto sarà un ricordo, che l’integrazione culturale sarà
piena, che gli ebrei tedeschi saranno presto tedeschi come gli altri e quindi
nutrono per il figlio speranze di una carriera borghese.
2.2. Perché in Italia. Il Politecnico di Zurigo
Verso il 1880 il boom economico favorisce la Baviera dove risiede la famiglia
Einstein. Hermann, spinto dal fratello Jakob che ha inventato una dinamo,
avvia un’industria per la sua commercializzazione. Ma non ha fortuna negli
affari! Decide cosı̀ di tentare la sorte in Italia dove la diffusione dell’elettricità sta muoventdo i primi passi.
Tutta la famiglia emigra cosı̀ a Milano lasciando Albert al Gymnasium.
Dopo il raggiungimento della famiglia in Italia, Albert decide di tentare
l’ammissione in una grande scuola di ingegneria: il Politecnico di Zurigo.
Questo (il Polytechnikum) prepara alla carriera di docente universitario:
sembra il posto adatto per accontentare i genitori e per soddisfare la sua
passione per la fisica; inoltre non c’è bisogno del diploma tedesco di studi
secondari per potervi accedere: si viene ammessi per concorso.
Albert si prepara da solo per l’esame dell’ottobre 1895, ma viene bocciato.
Non si scoraggia, frequenta una scuola che prepara al concorso e l’anno
dopo (1896 - Albert ha 17 anni) viene ammesso al Polytechnikum.
Qui incontra Mileva Maric, una ragazza serba, come lui studentessa di
matematica e fisica. Un secolo fa era davvero un fatto eccezionale che una
ragazza potesse studiare in una scuola di ingegneria celebre come il Polytechnikum di Zurigo, il primo istituto in Europa ad aprire le sue porte alle
donne!
Albert e Mileva si innamorano e ben presto pensano di sposarsi. Ma la
famiglia di Albert è contraria: Mileva frequenta studi cosı̀ poco femminili,
è più vecchia di Albert, claudicante, straniera e non ebrea. I dissapori con
la famiglia aumentano sempre più, ma alla fine Albert rinuncia al matrimonio.
Nella primavera del 1901 Mileva si accorge si essere incinta, rientra in
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famiglia per partorire una bambina di cui presto si perderanno le tracce
e che probabilmente muore nella prima infanzia. Tornata a Zurigo, Mileva non riesce a superare gli esami finali e si ritrova senza diploma e senza
lavoro.
2.3. L’Ufficio Brevetti di Berna
I primi anni di Albert nella vita adulta non sono particolarmente felici.
Nel luglio 1900, a 21 anni, si diploma in una delle scuole più prestigiose di
Europa, ma ha subito una cocente delusione. Forse per alcune divergenze
con un professore di Zurigo non gli viene offerto il posto di assistente che
gli era stato prospettato. Per due anni si adatta a fare vari lavori saltuari
tra cui il precettore. Solo nel giugno 1902, grazie ad una raccomandazione,
riesce a trovare un impiego stabile all’Ufficio Brevetti di Berna.
Lavorare all’Ufficio Brevetti fu per Albert, in un certo senso, un vero toccasana. Doveva esaminare nuovi apparecchi per lo più elettrici. Era questo
un campo in cui era molto competente e perciò lo impegnava poco e gli
lasciava molto tempo libero. La sera poteva studiare ed approfondire le
grandi problematiche della fisica che lo interessavano tanto.
Certo se avesse avuto un posto all’università sarebbe stato molto più impegnato!
Questi anni vedono la perdita della figlia, il fallimento della vita professionale della fidanzata, i continui contrasti con la famiglia finiti soltanto
nel 1902 con la morte del padre quando può finalmente sposare Mileva.
Eppure proprio in quel periodo Albert elabora e matura gli straordinari
lavori del 1905.
Come lui stesso ha più volte confermato, la forza di sopportare le difficoltà
della vita le trova proprio nella riflessione e nella gioia del pensiero.
2.4. La Fisica prima della Relatività
Quando Einstein inizia la sua carriera scientifica nei primi anni del Novecento la fisica attraversa un periodo di crisi.
Nella fisica degli inizi Novecento, coesistono due teorie: la meccanica, scienza del movimento degli oggetti materiali e l’elettromagnetismo, la scienza
della luce.
Purtroppo queste due teorie si contraddicono in molti aspetti.
Le leggi della fisica classica, accettate prima della nascita della teoria della
relatività, erano fondate sui principi della meccanica enunciati nel XVII
secolo da Isaac Newton.
La meccanica newtoniana differisce dalla meccanica relativistica sia nei
principi fondamentali sia nella forma matematica, ma giunge a risultati
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equivalenti se applicata allo studio di processi che coinvolgono velocità piccole rispetto a quella di propagazione della luce. Una descrizione corretta
di sistemi in moto con alte velocità richiede invece l’uso della relatività.
Le origine della relatività sono da ricercare nell’elettromagnetismo.
In effetti alla fine dell’800 l’elettromagnetismo e l’ottica vengono collegati e
interpretati tramite le cosiddette equazioni di Maxwell (dal nome del fisico
britannico che le formulò).
Poiché le trattazioni precedenti riguardanti fenomeni ondulatori avevano
sempre fatto uso di un mezzo per la propagazione delle onde (vedi aria per
il suono), era naturale per i fisici supporre che anche la luce avesse bisogno
di un mezzo entro il quale propagarsi. In base alle proprietà note della luce
era necessario ammettere che questo mezzo, chiamato etere, riempisse tutto
lo spazio, fosse di densità trascurabile e interagisse in maniera trascurabile
con la materia. Esso aveva ragione di esistere unicamente come veicolo per
la propagazione della luce (onde elettromagnetiche).
L’ipotesi di esistenza dell’etere poneva i fenomeni elettromagnetici in una
situazione particolare rispetto al resto della fisica.
Da molto tempo era noto che le leggi della fisica sono le stesse rispetto
ad osservatori privilegiati, detti inerziali, in quiete o animati l’uno rispetto
all’altro di moto traslatorio rettilineo ed uniforme (principio di relatività
galileiano).
Ciò si esprime dicendo che le leggi della meccanica sono invarianti
rispetto a trasformazioni di Galileo.
Ma le equazioni di Maxwell, il nucleo dell’elettromagnetismo, non erano
invarianti per trasformazioni di Galileo. Questa considerazione mise in
dubbio la validità del principio di relatività galileiano e quindi l’equivalenza di tutti gli osservatori inerziali.
In soli sei mesi Einstein sciolse il groviglio di contraddizioni in cui si dibatteva la fisica.
Nel giugno del 1905 elabora la teoria della relatività speciale (ristretta),
una teoria della luce che fa a meno dell’etere e nella quale scompare la
contraddizione fra meccanica ed elettromagnetismo.
Va certamente riconosciuto il merito dell’organizzazione della fisica tedesca
dell’epoca, ed in particolare degli editori della principale rivista di fisica,
gli “Annalen der Physik” che pubblicarono, cosa che oggi nessuna rivista
scientifica si azzerderebbe a fare, due articoli assolutamente rivoluzionari,
scritti da uno sconosciuto impiegato dell’Ufficio Brevetti di Berna. Einstein
a soli 26 anni ha la responsabilità e il merito di aver risolto, da solo, e con
stupefacente semplicità problemi che avevano messo a dura prova scienziati
ben più esperti!
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Brevemente poi la sua vita: nel 1907 comincia a pensare alla relatività generale (in cui i riferimenti non sono inerziali) che verrà formulata in modo
completo nel 1915. Un tempo si diceva che solo tre persone al mondo erano in grado di comprenderne gli aspetti matematici. Questa è certo una
esagerazione, ma ad Eistein occorsero nuovi strumenti matematici (fra essi
il calcolo tensoriale) che trovò in grandi matematici del suo tempo (Grossmann, Minkowski, Ricci Curbastro).
Nel 1908 lascia l’Ufficio Brevetti e ottiene un incarico presso l’Università di
Berna, nel 1911 in quella di Praga.
Nel 1912 viene nominato docente presso il Politecnico di Zurigo. Qui trova
Marcel Grossmann un vecchio compagno di studi che insegna matematica
e che lo aiuterà a costruire le basi matematiche della sua nuova teoria.
Nel 1919 Eistein è già una celebrità mondiale.
Nel 1922 Eistein ebbe il premio Nobel per i suoi lavori sull’effetto fotoelettrico che si pensava potessero avere delle applicazioni industriali e non per
la teoria della relatività giudicata troppo audace da alcuni membri del comitato.
Nel 1933 lascia la Germania ed emigra negli Stati Uniti.
Morirà nell’aprile del 1955. Innumerevoli e fondamentali i suoi contributi
alla fisica cosı̀ come il suo impegno pacifista.
(Visione della parte introduttiva del CD: AULA 1. (La fisica prima di Einstein))
Prima di affrontare gli argomenti fondamentali della relatività speciale occorre avere ben presenti i concetti fondamentali della meccanica newtoniana.
A tal fine nella Parte I richiamiamo alcune nozioni di base e proponiamo
la risoluzione di alcuni esercizi mirati rimandando all’Appendice 2 per una
trattazione completa ed esauriente.
3. Parte I: Richiami di meccanica classica
Richiameremo alcuni concetti di Meccanica Classica, vista nell’ambito della
Meccanica Razionale (sottosettore della Matematica).
La Meccanica Razionale viene denominata Meccanica perché si occupa dello
studio del moto dei corpi reali e Razionale perché è una teoria matematica
e dunque basata su postulati, definizioni e loro conseguenze (proposizioni,
lemmi, teoremi). La Meccanica Razionale è una teoria deduttiva come tutte
le teorie matematiche.
La Meccanica si suole suddividere in tre parti:
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- Cinematica: si occupa del moto dei corpi indipendentemente dalle
loro cause (cioè le forze);
- Cinetica o Geometria delle Masse: studia la struttura materiale dei corpi e introduce le grandezze fondamentali che intervengono
nel seguito;
- Dinamica: si occupa dello studio del moto dei corpi in relazione
alle loro cause (cioè le forze).
Il moto dei corpi avviene nello “spazio” e nel “tempo”.
Vediamo di approfondire questi due concetti nei tre successivi paragrafi.
3.1. Spazio geometrico e vettori liberi
Come “spazio” in Meccanica Classica si assume l’usuale spazio tridimensionale in cui è ambientata la Geometria Euclidea; esso si utilizza per rappresentare lo spazio fisico, cioè lo spazio reale nel quale siamo immersi.
Cosı̀ come “punto”, “retta” e “piano”, anche lo spazio è visto come un
concetto primitivo, ossia un ente che non riusciamo a definire utilizzando altri enti definiti in precedenza.
Indichiamo con E lo Spazio che chiameremo Spazio Geometrico.
Alcune grandezze, come la temperatura, il tempo, la massa, sono completamente individuate da un numero reale non negativo che ne definisce la
misura rispetto ad una certa unità. Esse si chiamano grandezze scalari
o semplicemente scalari. Per conoscere altre grandezze, come ad esempio
la velocità e l’accelerazione, non è sufficiente conoscerne la misura, ma è
necessario conoscere altre loro caratteristiche. Per tale motivo occorre introdurre la nozione di vettore libero a partire da da E (Vedi Appendice
2).
Come unità di misura per le lunghezze si usa il metro (m).
I vettori dello spazio geometrico vengono denotati in genere con una lettera (maiuscola o minuscola, latina o greca) sormontata da una freccia: ~u,
oppure sottolineata: u, oppure in grassetto: u.
3.2. Concetto di tempo assoluto
Anche il Tempo come lo Spazio è un concetto primitivo.
La nozione di tempo nasce dall’osservazione che ognuno di noi è in grado di
ordinare sequenzialmente gli eventi classificandoli in anteriori, posteriori e
simultanei. In Meccanica Classica si assume che la successione degli eventi
sia la stessa per chiunque li osservi ossia che il fluire del tempo non dipenda
da nessuna entità esterna: dunque in Meccanica Classica il tempo ha
carattere assoluto.
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Anche se il tempo è un concetto primitivo, ne possiamo dare una rappresentazione matematica.
Il tempo è un insieme, indicato con T , i cui elementi sono detti istanti,
che è in corrispondenza biunivoca con una retta orientata. Ad ogni istante
τ ∈ T corrisponde un punto della retta che a sua volta è individuato dalla
sua ascissa t a partire da un origine fissata sulla retta stessa. Dunque all’istante τ è associato il numero reale t che lo individua in maniera completa
e che viene chiamato coordinata temporale.
L’origine fissata sulla retta è detta origine dei tempi.
Perciò, fissata l’origine dei tempi, il tempo T è in corrispondenza biunivoca
con R.
Definizione 3.2.1. Se un dato fenomeno inizia all’istante τ1 di coordinata
temporale t1 e finisce all’istante τ2 di coordinata temporale t2 (t2 > t1 ),
diciamo che la durata temporale del fenomeno è : t2 − t1 .
Se si cambia l’origine dei tempi, allo stesso istante τ viene associata, in
luogo di t la nuova coordinata temporale t tale che
(1)
t = t + t0 ,
dove t0 è l’ascissa della vecchia origine rispetto alla nuova.
Si osservi che, anche se si cambia l’origine dei tempi, la durata temporale
di un fenomeno non varia.
Il tempo viene misurato mediante un orologio. Ovviamente si suppone che
l’unità di misura per il tempo sia la stessa per tutti gli orologi (il secondo).
Come conseguenza del postulato del tempo assoluto, se due orologi sono
sincronizzati, ossia utilizzano la stessa origine dei tempi, associano ad uno
stesso evento la stessa coordinata temporale. Se non sono sincronizzati,
associano due diverse coordinate temporali, correlate come in (1).
Nel seguito, una volta fissata l’origine dei tempi, per semplicità, invece di
dire istante di coordinata temporale t diremo istante t.
3.3. Sistemi materiali
Lo scopo della Meccanica Razionale è di introdurre degli opportuni modelli
matematici che consentano di schematizzare i corpi reali e di condurre lo
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studio del loro moto ad un problema matematico.
Per studiare il comportamento dei corpi reali è necessario tenere conto
di due loro caratteristiche: essi occupano determinate regioni nello spazio
fisico e sono costituiti di un dato materiale. Ogni modello deve perciò tenere
conto di queste due proprietà.
Definizione 3.3.1. Si dice sistema o corpo materiale ogni modello
matematico che consente di schematizzare un corpo reale.
In cinematica, di cui per il momento ci stiamo occupando, ciò che conta è
la posizione occupata dai corpi e non la loro struttura materiale, cioè ciò
che interessa sono le proprietà geometriche della regione spaziale occupata
dai corpi stessi.
Il modello più semplice è quello di punto materiale. Se un corpo reale
ha dimensioni molto più piccole rispetto all’ambiente nel quale si muove,
possiamo riguardare la regione spaziale che questo occupa durante il moto
come ridotta ad un punto. Ad esempio, se si studia il moto di un pianeta
del sistema solare attorno al sole, possiamo schematizzarlo semplicemente
con un punto.
Più in generale, un corpo reale lo schematizziamo mediante un insieme di
punti.
Definizione 3.3.2. Se i punti che costituiscono il sistema materiale sono in
numero finito o si possono mettere in corrispondenza con i numeri naturali
1, 2,... , diciamo che il sistema materiale è discreto. In caso contrario
diciamo che il sistema è continuo.
Definizione 3.3.3. Un sistema materiale formato da più punti (discreto
o continuo) si dice rigido se i punti da cui è costituito, qualunque sia la
posizione occupata, mantengono sempre tra loro la stessa distanza.
Dunque un sistema rigido occupa nello spazio, durante un suo
qualsiasi moto, regioni sempre congruenti tra loro.
Un sistema rigido schematizza abbastanza bene il comportamento dei corpi
reali solidi, che mantengono inalterata forma e volume.
3.4. Concetto di osservatore
Il moto dei corpi, come tutti sappiamo, ha carattere relativo, cioè viene
a dipendere dall’ente cui il moto stesso è riferito. Ad esempio, se stiamo
viaggiando in automobile, il paesaggio circostante si muove rispetto a noi,
viceversa se siamo fermi sul ciglio della strada, sono i veicoli a muoversi rispetto a noi. Dunque per studiare un moto occorre precisare bene
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l’ente cui è riferito il moto stesso, occorre cioè introdurre la definizione di
osservatore.
Si può dimostriamo la seguente
Proposizione 3.4.1. Ad un sistema rigido possiamo sempre associare un
riferimento cartesiano spaziale ortonormale in modo che, qualunque sia la
posizione del corpo nello spazio geometrico, le coordinate dei suoi punti
rispetto a tale riferimento siano sempre le stesse.
(Per quanto riguarda la nozione di riferimento cartesiano si rimanda
all’Appendice 2.)
Diremo che il riferimento cartesiano ortonormale considerato nella proposizione è solidale al sistema rigido.
Si osservi che ad ogni corpo rigido si possono associare più riferimenti solidali.
Diamo ora la definizione di Osservatore.
Definizione 3.4.1. Definiamo osservatore per un dato moto l’insieme di
un corpo rigido cui è associato un riferimento cartesiano ortonormale ad
esso solidale e di un orologio.
Allora, considerato un corpo in moto rispetto ad un dato osservatore, per
studiarne il moto dovremo stabilire come variano al trascorrere del tempo
(misurato tramite l’orologio dell’osservatore) le coordinate dei punti del
corpo rispetto al riferimento cartesiano associato all’osservatore stesso.
3.5. Esercizi
In questo paragrafo si danno come acquisite le nozioni di Cinematica esposte
nell’Appendice 2 e si propongono alcuni semplici esercizi.
1. Moto rettilineo uniformemente vario. Le osservazioni eseguite in seguito ad un incidente stradale hanno permesso di rilevare che l’automobile investitrice raggiunse l’ostacolo con la velocità di 10m/sec
e che la frenata incominciò 40m prima dell’urto. Mentre i freni
agivano il moto dell’automobile era uniformemente vario con accelerazione a1 < 0 di intensità pari a 2m/sec2 . A quale velocità
transitava l’automobile quando furono azionati i freni?
R.: ∼ 16m/sec.
2. Moto circolare uniforme. Due punti (ad es. gli estremi delle lancette
di un orologio) si muovono di moto uniforme su due circonferenze
concentriche nello stesso verso. Noti i periodi, determinare ogni
quanto tempo si trovano allineati col centro e dalla stessa parte
nell’ipotesi che lo siano all’istante iniziale.
R.: Nel caso dell’orologio dopo circa 1h 50 2700 .
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3. Teorema di composizione delle velocità. Una persona si muove (in
linea retta) con velocità u sotto la pioggia inclinata di 60◦ (nel
piano verticale in cui cammina la persona) rispetto all’orizzontale.
Sapendo che la velocità delle gocce di pioggia è in modulo uguale a
u, si chiede qual è l’inclinazione ottima per l’ombrello della persona.
R.: 30◦ .
4. Teorema di composizione delle accelerazioni. Un punto P scende
lungo una retta inclinata di π/4√sull’orizzontale con accelerazione
relativa ar in modulo uguale a 2 m/sec2 . A sua volta la retta
inclinata trasla, rispetto ad un certo osservatore, verso destra con
accelerazione costante uguale a e1 .
Determinare l’accelerazione assoluta di P rispetto all’osservatore.
Come si muove il punto P rispetto all’osservatore se inizialmente la
velocità assoluta ha la direzione dell’asse Ox2 ?
R.: a = −e2 , scende lungo l’asse Ox2 con moto uniformemente
vario.
5. Dinamica del punto. Stabilire la traiettoria del moto di un punto
materiale soggetto a una forza vettorialmente costante.
La risoluzione degli esercizi viene svolta in aula dagli studenti con l’aiuto
dei docenti.
3.6. Trasformazioni Galileiane
La meccanica classica è basata:
- sui postulati della geometria euclidea,
- sul postulato del tempo assoluto
e inoltre è governata dal principio di relatività di Galileo.
Principio di Relatività di Galileo: Tutti i fenomeni meccanici si
sviluppano nello stesso modo rispetto ad ogni osservatore inerziale.
Dunque se si eseguono esperienze di carattere meccanico, non si riesce a
mettere in evidenza lo stato di quiete o di moto traslatorio rettilineo uniforme di un osservatore inerziale rispetto ad un altro.
Quindi i risultati di tali tipi di esperienze sono gli stessi sia che li eseguiamo
in un luogo o in un altro (invarianza rispetto alle traslazioni e alle
rotazioni), sia che li eseguiamo prima o dopo (invarianza rispetto alle
traslazioni temporali), sia che li consideriamo rispetto a due osservatori
inerziali in moto l’uno rispetto all’altro (invarianza rispetto ai trascinamenti.)
Quando si studia un fenomeno meccanico rispetto a due diversi osservatori,
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ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
intervengono due riferimenti Ox1 x2 x3 e Ox1 x2 x3 e due orologi che potranno eventualmente essere non sincronizzati. Supponiamo che tale fenomeno
avvenga nel punto P e in un dato istante τ . Per il primo osservatore il
punto P ha coordinate cartesiane (x1 , x2 , x3 ) e l’istante τ ha coordinata
temporale t. Per il secondo osservatore il punto P ha coordinate cartesiane (x1 , x2 , x3 ) e l’istante τ ha coordinata temporale t. Le coordinate
xh , h = 1, 2, 3 sono legate alle coordinate xi , i = 1, 2, 3 mediante le relazioni
che sussistono tra le coordinate di uno stesso punto rispetto a due diversi
riferimenti cartesiani (vedere Appendice 2)).
Dunque la disposizione ordinata (x1 , x2 , x3 , t) è legata alla disposizione ordinata (x1 , x2 , x3 , t) mediante una trasformazione.
Definiamo trasformazioni di Galileo quelle trasformazioni relative a due
osservatori rispetto alle quali sono invarianti le equazioni che governano la
Meccanica Classica.
Quindi sono quelle trasformazioni che sussistono fra due osservatori inerziali.
Tenendo presente che due osservatori inerziali sono in quiete o in moto
traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro, è evidente che tali
trasformazioni si ottengono componendo i seguenti quattro tipi di trasformazioni:
- Traslazioni spaziali,
- Rotazioni spaziali,
- Traslazioni temporali,
- Trascinamenti.
Le equazioni corrispondenti sono:
- Traslazioni spaziali:
xh = xh + sh , sh = costanti, h = 1, 2, 3,
t = t.
I due osservatori sono in quiete l’uno rispetto all’altro, i riferimenti cartesiani associati hanno origine diversa e gli assi paralleli, gli
orologi associati sono sincronizzati.
- Rotazioni spaziali:
xh =
3
X
βhi xi ,
h = 1, 2, 3,
t = t,
i=
2
2
2
βh1
+ βh2
+ βh3
= 1, h = 1, 2, 3,
βh1 βk1 + βh2 βk2 + βh3 βk3 = 0, h 6= k, h, k = 1, 2, 3.
I due osservatori sono in quiete l’uno rispetto all’altro, i riferimenti
cartesiani associati hanno la stessa origine, gli orologi associati sono
sincronizzati
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- Traslazioni temporali:
xh = xh ,
h = 1, 2, 3,
t = t + α.
I due osservatori sono in quiete l’uno rispetto all’altro, i riferimenti
cartesiani associati sono sovrapposti, gli orologi associati non sono
sincronizzati.
- Trascinamenti:
xh = xh − vh t, vh = costanti, h = 1, 2, 3,
t = t.
Il II osservatore si muove di moto traslatorio rettilineo uniforme
rispetto al I con velocità v di componenti (v1 , v2 , v3 ) rispetto alla base comune associata ai riferimenti Ox1 x2 x3 e Ox1 x2 x3 , gli
orologi sono sincronizzati e all’istante t = 0 i due riferimenti sono
sovrapposti.
In particolare chiamiamo trasformazione speciale di Galileo la trasformazione
x1 = x1 − vt,
v = costante,
x2 = x2 ,
x3 = x3 ,
t=t
cioè il trascinamento avviene con velocità diretta come Ox1 .
4. Parte II: Meccanica relativistica nell’ambito della relatività
speciale
4.1. Introduzione
La critica alla Meccanica Classica e al principio di relatività di Galileo ebbe
origine dallo studio dei fenomeni elettromagnetici, ossia quei fenomeni legati
alla presenza di cariche e correnti elettriche e poli magnetici.
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ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Come i fenomeni meccanici sono governati dalle tre leggi di Newton e in
particolare dalla legge fondamentale della dinamica, cosı̀ i fenomeni elettromagnetici sono governati da un sistema di 4 equazioni piuttosto complicate
dette equazioni di Maxwell dal nome del fisico inglese che le stabilı̀ nel
1873. In tali equazioni compare una costante c, avente le dimensioni di una
velocità , introdotta da Oersted nel 1820. Nel 1856 Weber e Kohlrausch si
accorsero che quella costante c era uguale alla velocità della luce nel vuoto,
in tutte le direzioni, data da c = 300.000km/sec.
L’intuizione di Weber e Kohlrausch, i successi della teoria di Maxwell e la
scoperta che i campi elettromagnetici si propagano mediante onde aventi
velocità c convinsero i fisici di fine Ottocento che la luce fosse un fenomeno
elettromagnetico. Pensando che un’onda elettromagnetica per oscillare
avesse bisogno di una sorta di mezzo (cosı̀ come le onde acustiche hanno bisogno per esempio dell’aria), si ipotizzò l’esistenza di una sostanza
particolare permeante l’universo rispetto alla quale le onde si propagassero
con velocità c. Tale sostanza fu chiamata etere (etere in greco significa
aria).
D’altra parte si può provare che le equazioni di Maxwell, a differenza
delle equazioni della meccanica classica, non sono invarianti rispetto
alle trasformazioni di Galileo.
Per tale motivo, nella seconda metà dell’Ottocento si pensò che fra tutti
gli osservatori inerziali ne esistesse uno privilegiato nel quale valgono le
equazioni di Maxwell e rispetto al quale la velocità di propagazione della
luce assume lo stesso valore c in tutte le direzioni. In base alla teoria dell’etere si ipotizzò che tale osservatore fosse quello rispetto al quale l’etere
era in quiete. Si pensava, in base al teorema di composizione delle velocità , che una misura della velocità della luce effettuata rispetto ad un
osservatore che si muovesse rispetto all’etere, e dunque in moto rispetto all’osservatore privilegiato, avrebbe portato un risultato maggiore o minore
di c di una quantità che dipendeva dalla velocità dell’osservatore rispetto
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
15
all’etere (velocità di trascinamento). Pertanto si riteneva che misurando la
velocità della luce rispetto ad un osservatore solidale alla Terra si potesse
determinare la velocità della Terra rispetto all’etere. Furono effettuati diversi esperimenti di ottica che diedero risultati negativi: il più importante
è quello di Michelson e Morley (M-M)(1881 e ripetuto più volte con strumenti più precisi).
(Vedi CD - LABORATORIO 1)). I risultati negativi degli esperimenti
precedenti quello di M-M furono imputati all’inadeguatezza degli strumenti
usati perchè non erano in grado di misurare termini dell’ordine di V 2 /c2 ,
con V velocità della Terra rispetto all’etere. Infatti , in base a cosiderazioni
teoriche, si riteneva che l’effetto sulla velocità della luce del moto della Terra rispetto all’etere si manifestasse solo mediante termini del tipo V 2 /c2 e
quindi molto piccoli. Nell’esperimento di M-M lo spostamento delle frange
d’interferenza che si doveva trovare era proporzionale a V 2 /c2 .)
Dall’esperimento di M-M si dedusse che la velocità della Terra rispetto
all’etere era nulla e che la velocità di propagazione della luce era
sempre c nel vuoto in tutte le direzioni e qualunque fosse il moto
della sorgente.
Nel 1905 Einstein nei suoi celeberrimi articoli propose che fosse abbandonata la teoria dell’etere.
Le osservazioni sperimentali e gli studi teorici portarono Einstein alle due
seguenti conclusioni:
- La velocità della luce nel vuoto è indipendente dal moto della sorgente ed è la stessa in ogni osservatore inerziale.
- Le leggi della natura (e quindi non solo le leggi meccaniche) sono le
stesse rispetto ad ogni osservatore inerziale.
Questi due conclusioni sono in contraddizione con la meccanica classica.
Infatti, per il teorema di composizione delle velocità , se la luce ha velocità
c rispetto ad un dato osservatore e v è la velocità di un secondo osservatore
in moto traslatorio rettilineo uniforme rispetto al primo, allora la velocità
della luce rispetto al secondo è data da
cr = c − v,
quindi cr 6= c in contraddizione con 1).
Einstein propose di abbandonare la meccanica classica e di costruirne una
nuova basandosi su un nuovo principio di relatività.
Il principio di Relatività di Einstein asserisce:
La velocità della luce, nel vuoto, è indipendente dal moto della
sorgente ed è la stessa in ogni osservatore inerziale.
16
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Le leggi della natura sono le stesse rispetto ad ogni osservatore
inerziale.
4.2. Cinematica Relativistica e trasformazioni di Lorentz
La meccanica classica era basata sui postulati della Geometria Euclidea e
sul postulato del Tempo Assoluto.
La nuova meccanica continua ad usare in parte i postulati della Geometria
Euclidea per lo spazio geometrico ma respinge totalmente il postulato del
tempo assoluto perchè ad ogni osservatore inerziale viene associato un tempo proprio.
La Relatività Ristretta è ristretta nel senso che limita le considerazioni ad
osservatori inerziali, cioè ad osservatori per i quali la luce ha sempre
velocità c e le leggi della natura rimangono invariate.
Osserviamo che nel caso della Terra, le accelerazioni associate al suo moto
di rotazione e orbitale sono abbastanza piccole da poter essere trascurate
nella maggior parte dei casi. Perciò, salvo avviso contrario, considereremo
la Terra e gli osservatori in moto con velocità costante rispetto ad essa come
osservatori inerziali.
Lo scopo è ora quello di determinare delle trasformazioni che svolgano nella
relatività ristretta il ruolo svolto dalle trasformazioni di Galileo in Meccanica Classica. Come per quelle di Galileo le nuove trasformazioni mettono in
relazione due osservatori inerziali e dunque due osservatori che sono in quiete relativa o in moto traslatorio rettilineo uniforme l’uno rispetto all’altro.
Poichè non vale più il postulato del tempo assoluto, ad ogni osservatore
è associato un tempo proprio. Dovremo allora pensare che all’osservatore
non sia associato un solo orologio, ma che in ogni punto dello spazio in cui
occorra efettuare delle misure di tempo, sia presente un orologio in quiete rispetto all’osservatore stesso perché, come vedremo, il tempo viene a
dipendere dalle coordinate del punto in cui si effettua la misura.
Siano Ox1 x2 x3 , Ox1 , x2 , x3 i riferimenti cartesiani ortonormali associati ai
due osservatori. Se per il I osservatore (O) un evento avviene nel punto
P di coordinate cartesiane (x1 , x2 , x3 ) e all’istante di coordinata temporale
t, per il secondo osservatore (O) l’evento avviene nel punto di coordinate
cartesiane (x1 , x2 , x3 ) e all’istante di coordinata temporale t.
Le trasformazioni che cerchiamo legano la disposizione ordinata (x1 , x2 , x3 , t)
alla disposizione ordinata (x1 , x2 , x3 , t) mediante equazioni del tipo
(2)
xh = Fh (x1 , x2 , x3 , t),
h = 1, 2, 3,
t = F4 (x1 , x2 , x3 , t).
Si noti che, a differenza del caso presente, nelle trasformazioni di Galileo la
relazione fra t e t non faceva intervenire le coordinate spaziali e si riduceva
a t = t + α.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
17
Poichè le trasformazioni coinvolgono due osservatori inerziali, queste devono
essere tali che:
- la velocità della luce nel vuoto sia c per entrambi gli osservatori,
- se le velocità coinvolte sono molto più piccole rispetto a c, si riducano, in via approssimata, a quelle di Galileo.
Questa seconda richiesta deriva dall’osservazione di Einstein che quando le
velocità in gioco sono piccole (come nella nostra vita quotidiana) rispetto
a quella della luce, la Meccanica Classica dà ottimi risultati. Le trasformazioni cercate si assumono in ogni caso lineari come quelle di Galileo.
Noi ci limiteremo a considerare quelle trasformazioni che sono le
analoghe delle trasformazioni speciali di Galileo.
A tal fine, supponiamo di avere due osservatori inerziali tali che il riferimento Ox1 , x2 , x3 associato al secondo si muova di moto traslatorio rettilineo
uniforme rispetto al primo nella direzione e nel verso positivo dell’asse Ox1
con velocità data da v = v e1 (con v costante positiva), per cui durante
il moto l’asse Ox1 scorre sull’asse Ox1 . Assumiamo inoltre che all’istante
t = t = 0 si abbia O = O.
A partire da t = 0 sia inviato dall’origine del I riferimento un segnale
luminoso che si propaga in tutte le direzioni. Poiché la sua velocità di
propagazione è c, rispetto al primo osservatore all’istante t avrà raggiunto
tutti quei punti la cui distanza da O è data da c t, ossia tutti quei punti le
cui coordinate cartesiane (x1 , x2 , x3 ) sono tali che
x21 + x22 + x23 − c2 t2 = 0.
Sia P di coordinate (x1 , x2 , x3 ) uno dei punti raggiunti dal segnale luminoso
all’istante t rispetto al primo osservatore.
La trasformazione (2) a (x1 , x2 , x3 , t) associa (x1 , x2 , x3 , t) per cui, rispetto
al secondo osservatore, viene raggiunto dal segnale luminoso all’istante di
coordinata temporale t il punto di cartesiane (x1 , x2 , x3 ). Poiché, anche
18
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
rispetto al II osservatore il segnale luminoso è partito dall’origine del suo
riferimento all’istante t = 0 e la sua velocità di propagazione è c deve essere
2
x21 + x22 + x23 − c2 t = 0.
Per concisione poniamo:
s = x21 + x22 + x23 − c2 t2 ,
2
s = x21 + x22 + x23 − c2 t .
La trasformazione che cerchiamo deve dunque essere tale che, se per il I
osservatore s = 0, per il II osservatore in corrispondenza si abbia s = 0.
Tale condizione è certamente verificata se la trasformazione (2) ci fornisce
s=
3
X
Fh2 (x1 , x2 , x3 , t) − c2 F42 (x1 , x2 , x3 , t) = x21 + x22 + x23 − c2 t2 = s.
h=1
Come si può verificare (si può fare per esercizio) le trasformazioni che
soddisfano a tale condizione sono:
x1 − vt
x1 = r
,
v2
1− 2
c
x2 = x2 ,
x3 = x3 ,
v
t − 2 x1
c
(3)
t =r
.
v2
1− 2
c
Queste trasformazioni furono stabilite per la prima volta alla fine dell’800
da Lorentz nelle sue ricerche sui fenomeni elettromagnetici e per tale motivo sono note come trasformazioni speciali di Lorentz. Agli inizi del
’900 Poincarè ha esteso tali trasformazioni al caso generale in cui la velocità del II osservatore rispetto al I ha direzione qualsiasi e gli assi dei due
riferimenti spaziali associati agli osservatori non sono paralleli.
Einstein ha ritrovato le (3) e le loro generalizzazioni con argomenti di relatività.
Nel seguito noi ci limiteremo a considerare solo trasformazioni di Lorentz
speciali.
Usualmente il termine
v
si indica con β
c
e
1
p
1 − β2
Osservazioni
- Per invertire le (3) basta sostituire v con −v.
si indica con γ.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
19
- Se β 1, ossia se v c, allora le trasformazioni speciali di
Lorentz si riducono, in via approssimata, alle trasformazioni speciali
di Galileo.
- Se v = c i denominatori si annullano e dunque le (3) perdono di significato. Se ne deduce che la velocità della luce non è raggiungibile
da nessun osservatore inerziale rispetto ad un altro (β < 1, γ > 1).
Diamo ora il valore del coefficiente γ in un paio di casi interessanti.
Una stazione spaziale che orbita in prossimità della terra ha una velocità
v di circa 8km/sec. In questo caso si ha γ ∼
= 1.000001 e dunque differisce
di pochissimo dall’unità anche per velocità elevate come quella di un razzo
orbitante.
Nell’anello Adone che opera nei laboratori nazionali di Frascati, elettroni e
positroni si muovono a una velocità prossima a quella della luce tanto che
γ = 3000. In questo caso le (3) sono ben lontane da una pignola correzione
delle trasformazioni speciali di Galileo!
(Visione della parte 2 (Relatività ristretta) dell’AULA del CD)
4.3. Conseguenze delle trasformazioni di Lorentz
Vediamo ora di dedurre alcune conseguenze delle trasformazioni di Lorentz
del tutto contrarie al senso comune e che fin dalla loro scoperta furono
sottoposte ad innumerevoli verifiche sperimentali. Nonostante tale giusto
accanimento, a tuttoggi non vi è nessuna evidenza sperimentale che riveli
una contraddizione al principio di relatività di Einstein ed alle trasformate
di Lorentz che ne sono la veste matematica. Anzi, ogni giorno esse vengono
verificate nel lavoro quotidiano del fisico delle alte energie e dell’astrofisico.
Consideriamo due osservatori inerziali in moto l’uno rispetto all’altro come
nel paragrafo precedente. Per semplicità denotiamo con (O) l’osservatore
cui è associato il riferimento Ox1 x2 x3 e con (O) l’osservatore cui è associato
il riferimento Ox1 x2 x3 .
Supponiamo che rispetto all’osservatore (O) si verifichi un dato evento nel
punto P di coordinate spaziali (x1 , x2 , x3 ) all’istante t (ad esempio all’istante t passi per P un punto in moto). Tale evento, poiché si verifica in
un punto, è detto evento puntuale.
Definizione 4.3.1. Dato l’evento puntuale che rispetto all’osservatore (O)
accade nel punto P di coordinate spaziali (x1 , x2 , x3 ) all’istante t, diremo
che la disposizione ordinata (x1 , x2 , x3 , t) è la successione delle coordinate
spazio-temporali dell’evento stesso rispetto all’ osservatore (O).
Si osservi che rispetto all’osservatore (O) allo stesso evento è associata una
nuova disposizione ordinata (x1 , x2 , x3 , t) con xh e t dati dalle (3).
20
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Simultaneità di eventi in punti distinti
Supponiamo che rispetto all’osservatore (O) allo stesso istante t si verifichino due eventi puntuali in due punti distinti, nel punto P di coordinate spaziali (x1 , x2 , x3 ) e nel punto P ∗ di coordinate spaziali (x∗1 , x∗2 , x∗3 ).
Rispetto all’osservatore (O) i due eventi sono dunque simultanei.
Vediamo se i due eventi risultano simultanei anche rispetto all’osservatore
(O).
Per tale osservatore, grazie alle (3), si ha che il primo evento avviene all’istante t dato da
β
t − x1
t =p c .
1 − β2
∗
Il secondo evento avviene all’istante t dato da
β
t − x∗1
∗
t =p c .
1 − β2
∗
Poiché in generale si avrà x1 6= x∗1 , risulta t 6= t .
Abbiamo cosı̀ ottenuto la seguente
Proposizione 4.3.1. Due eventi puntuali in punti distinti che sono simultanei rispetto ad un dato osservatore non lo sono rispetto ad un altro.
Dunque il concetto di simultaneità ha senso solo se riferito ad un dato
osservatore.
Ritardi mutui degli orologi o dilatazione dei tempi
Consideriamo due eventi puntuali che si verificano nello stesso punto P fisso
rispetto all’osservatore (O) di coordinate spaziali (x1 , x2 , x3 ) in due istanti
∗
∗
diversi t, t , (t > t). La distanza temporale tra i due eventi è dunque
∗
4t = t − t.
Ci chiediamo ora quanto vale la distanza temporale tra i due eventi per
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
21
l’osservatore (O). Al primo evento (O) associa la coordinata temporale t
data da
β
t + x1
t= p c ,
1 − β2
al secondo evento la coordinata temporale
β
∗
t + x1
t∗ = p c .
1 − β2
Perciò per (O) la distanza temporale tra i due eventi è
(4)
4t
4t = t∗ − t = p
1 − β2
= γ4t.
Poiché γ > 1 deduciamo 4t > 4t.
Tenendo presente che (O) e quindi anche ogni orologio in quiete rispetto ad (O) si muove rispetto a (O) con velocità v, otteniamo la seguente
proposizione:
Proposizione 4.3.2. Un orologio che si muove con velocità v rispetto ad
un osservatore inerziale ritarda del fattore γ rispetto agli orologi in quiete
rispetto a tale osservatore.
Osserviamo che il ritardo è mutuo, cioè se consideriamo due eventi che
avvengono in uno stesso punto in quiete rispetto ad (O) si ha 4t > 4t.
Ovviamente la differenza tra i due intervalli di tempo diventa tanto più
grande quanto più β si avvicina a 1, cioè la velocità di un osservatore
rispetto all’altro si avvicina a c.
Da questa conseguenza trae origine il celeberrimo paradosso dei gemelli.
Contrazione delle lunghezze
Consideriamo nuovamente due osservatori (O) e (O). Osserviamo che se
abbiamo un punto in moto rispetto ad entrambi, il suo moto rispetto ad
(O) è descritto dalle equazioni
xi = xi (t),
i = 1, 2, 3,
rispetto ad (O) dalle equazioni
xh = xh (t) h = 1, 2, 3.
Sia dato ora un segmento rigido, di estremi P e P ∗ , in quiete rispetto ad
(O) e che giace sull’asse Ox1 . Le ascisse x1 e x∗1 di P e P ∗ sono dunque
costanti. La lunghezza del segmento l è data da
l = x∗1 − x1 .
22
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Rispetto all’osservatore (O) il segmento non è in quiete, ma si muove di
moto traslatorio rettilineo uniforme con velocità v nella direzione di Ox1 .
La sua lunghezza l rispetto a tale osservatore è data dalla differenza tra
i valori che le ascisse degli estremi misurate in (O) assumono nello stesso
istante t, cioè
l = x∗1 (t) − x1 (t).
D’altra parte, per le trasformazioni di Lorentz, si ha
x1 − vt
x1 = p
,
1 − β2
x∗ − vt
x∗1 = p1
,
1 − β2
da cui
x1 (t) =
p
x∗1 (t) =
p
1 − β 2 x1 + vt
1 − β 2 x∗1 + vt.
Dunque
p
l = l 1 − β2.
Perciò otteniamo che l è indipendente da t e che l < l.
l è detta lunghezza propria o lunghezza a riposo del segmento e viene
indicata con lo .
Abbiamo dunque stabilito la seguente proposizione:
Proposizione 4.3.3. Un segmento rigido che si muova di moto traslatorio
rettilineo uniforme con velocità v lungo l’asse Ox1 rispetto ad un osservatore
(O) ha rispetto a questo lunghezza l inferiore rispetto alla sua lunghezza a
riposo lo e precisamente
p
(5)
l = lo 1 − β 2 .
Ovviamente se il segmento è disposto perpendicolarmente all’asse Ox1 la
sua lunghezza rimane inalterata.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
23
Esercizi
1. Determinare il valore 4t per un osservatore (O) in moto alla velocità di 30m/sec rispetto ad (O), che registri due eventi simultanei
per (O) e che si verificano alla distanza 100m, misurata da (O).
R.: ∼
= 3 × 10−14 sec. Solo accuratisssimi orologi da laboratorio
registrerebbero il ritardo!
2. Determinare il valore 4t per un osservatore (O) (un’astronave) in
moto alla velocità di 0.99c rispetto ad (O), che registri due eventi
simultanei per (O) e che si verificano alla distanza 10000km, misurata da (O).
R.: ∼
= 2.3 × 10−1 sec. Il ritardo è piccolo, ma apprezzabile.
3. Gli astronauti che si trovano su una navicella spaziale, che viaggia
con velocità v = 0.6 c, incrociando la Terra, segnalano al controllo
spaziale che si concedono un sonnellino di un’ora, al termine del
quale richiameranno.
Qual è la durata del sonnellino misurata sulla Terra?
R.: 1h 150 .
4. Calcola la contrazione relativistica di un aereo di lunghezza 100m
in moto alla velocità di 300m/sec (1080km/h) relativamente ad un
osservatore inerziale in quiete sulla Terra.
R.: Non c’è contrazione apprezzabile.
5. Calcola la contrazione relativistica di una astronave di lunghezza
100m in moto alla velocità di 0.99c relativamente ad un osservatore
inerziale in quiete sulla Terra.
R.: ∼
= 14m.
6. Con che velocità deve muoversi un metro rigido per avere la lunghezza di una iarda (yd) rigida? (La relazione fra metro e iarda è:
1 m = 1.094 yd.)
R.: v = 0.406c.
Esempio 4.3.1. Un esempio interessante delle osservazioni nelle sezioni 4.3
e 4.3 è fornita dai muoni (mesoni µ). Il muone è una particella elementare
che si origina dai decadimenti innescati dall’interazione con l’atmosfera di
protoni provenienti dai raggi cosmici che quotidianamente bombardano la
terra.
I muoni decadono nel tempo secondo la legge matematica
(6)
N (t) = N0 e−t/τ
dove N0 è il numero di muoni all’istante t = 0, N (t) è il numero dei muoni
al tempo t e τ è la vita media, pari a circa 2µs = 2 × 10−6 sec per muoni
fermi.
24
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
I muoni si creano nell’alta atmosfera a molte migliaia di metri sul livello
del mare. Un tipico muone che si muove con la velocità di 0.998c percorrerebbe, classicamente, solo 600m in 2µs, prima di decadere (spazio =
998 × 3 × 105 × 2 × 10−6 ∼
= 600m).
Tuttavia si osserva che in prossimità della superficie terrestre se ne possono
rilevare molti! Come è allora possibile che giungano ai laboratori di rilevazione sulla superficie terrestre se vengono prodotti a ben più di 600m da
terra?
Il fattore γ in questo caso vale circa 15 e quindi, rispetto all’osservatore
terrestre, la vita media del muone è 2γ µs ∼ 30µs. Dunque il muone percorre circa 600 × 15 = 9000m.
Rispetto all’osservatore muone l’intervallo di tempo è 2µs e l’atmosfera
(cioè l’osservatore terrestre) gli va incontro alla velocità di 0.998c: quindi
la distanza si contrae a solo 600m.
Sperimentalmente si può vedere la conferma della teoria relativistica. Supponiamo di avere 108 muoni a 9000m di altitudine in un certo intervallo
di tempo. Quanti ne dovremmo osservare a livello del mare nello stesso
intervallo di tempo?
Secondo la teoria classica: il tempo impiegato per percorrere 9000m è circa
30µs, cioè 15 vite medie. Sostituendo in (6) si ha N ∼ 30.6.
Quindi dei 100 milioni di muoni solo 31 arrivano al suolo.
Secondo la teoria relativistica: la Terra deve percorrere solo 600m rispetto
al riferimento del muone. Questo richiede circa 2µs, cioè 1 vita media.
Sostituendo in (6) si ha N ∼ 3.68 × 107 . Quindi, nello stesso intervallo di
tempo, dovremmo osservare circa 36.8 milioni di muoni.
Esperimenti hanno confermato le previsioni relativistiche!
Concludiamo il paragrafo osservando che la contrazione delle lunghezze
non deve essere vista come se il metro variasse la sua dimensione e la
dilatazione dei tempi non deve essere vista come se l’orologio segnasse un
tempo diverso. Le misure infatti saranno differenti solo se effettuate da
un altro osservatore in moto relativo (traslatorio rettilineo ed uniforme):
la lunghezza del proprio metro e la durata del proprio minuto è la stessa
per tutti gli osservatori. Inoltre il restringimento della lunghezza avviene
solo nella direzione del moto e sia lo scorrere più lento del tempo, sia il
restringimento dello spazio si verificano assieme.
La teoria ammette questi effetti come conseguenza della peculiarità di c e
del moto relativo ed è quindi conseguenza del nostro modo di guardare le
cose. La lunghezza propria è la più grande fra tutte le lunghezze relative
ai punti di vista, ma non per questo è più reale delle altre. Sarebbe come
notare che più lontani siamo da un oggetto e più piccolo questo ci sembra:
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
25
niente ci può dire se l’oggetto si rimpicciolisce veramente o se sia un effetto
dovuto alla distanza. Infine la persona che ipoteticamente sperimentasse
la contrazione dello spazio non avrebbe la sensazione di sentirsi ristretta
in quanto il suo sistema di misurazione rimarrebbe lo stesso (il suo metro
sarebbe sempre lungo un metro!).
(Visione del CD: AULA 3.1, 3.2, 4.1, 4.2, 4.3, 4.4)
4.4. Teorema di composizione delle velocità
Vediamo ora come si modifica il teorema di composizione delle velocità in
Relatività Ristretta limitandoci sempre a considerare le trasformazioni di
Lorentz speciali.
Siano (O) e (O) due osservatori inerziali le cui coordinate spazio-temporali
siano correlate mediante le (3). Si abbia poi un punto in moto rispetto ad
entrambi.
Come in meccanica classica, conveniamo di chiamare moto assoluto del
punto il suo moto rispetto all’osservatore (O) e moto relativo del punto
il suo moto rispetto all’osservatore (O). Definiamo poi moto di trascinamento il moto del II osservatore rispetto al I.
Il moto assoluto del punto è descritto dalle equazioni
xi = xi (t),
i = 1, 2, 3,
il moto relativo dalle equazioni
xh = xh (t) h = 1, 2, 3.
Il moto di trascinamento nel caso particolare che stiamo considerando è un
moto traslatorio rettilineo uniforme nella direzione di Ox1 con velocità v.
Se è noto il moto relativo del punto è possibile determinarne il moto
assoluto, grazie alle trasformazioni di Lorentz invertite
x1 + vt
,
x1 = p
1 − β2
x2 = x2 ,
x3 = x3 ,
β
t + x1
(7)
t =p c .
1 − β2
Come per l’analogo teorema della Meccanica Classica, introduciamo alcune
definizioni.
Definizione 4.4.1. Definiamo velocità assoluta del punto la sua velocità
nel moto assoluto e la denotiamo con u,
26
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
velocità relativa del punto la sua velocità nel moto relativo e la denotiamo con u, velocità di trascinamento del punto la velocità che il punto
avrebbe rispetto all’osservatore (O) se lo pensassimo rigidamente solidale
all’osservatore (O) e la denotiamo con uτ .
Ovviamente uτ = v e1 .
Utilizzando le equazioni (7), si può dimostrare il seguente
Teorema 4.4.1. Dato un punto in moto rispetto ai due osservatori (O) e
(O), la sua velocità assoluta si esprime tramite la velocità relativa e quella
di trascinamento nel modo seguente:
p
p
u1 + v
u2 1 − β 2
u3 1 − β 2
(8) u1 =
,
u2 =
,
u3 =
.
β
β
β
1 + u1
1 + u1
1 + u1
c
c
c
Se confrontiamo il teorema con quello della Meccanica Classica (“la velocita’ assoluta è data dalla somma vettoriale della velocità relativa e della
velocità di trascinamento”), vediamo che in relatività l’espressione ottenuta per la velocità assoluta è molto più complicata.
Facciamo alcune osservazioni sulle (8).
- Se v, |u1 | c, deduciamo:
u1 = u1 + v,
u2 = u2 ,
u 3 = u3 ,
risultato che avremmo ottenuto nelle stesse ipotesi in meccanica
classica.
- Se v = 0, otteniamo senza alcuna approssimazione:
u1 = u1 ,
u 2 = u2 ,
u 3 = u3 .
- Se u = 0, abbiamo u = uτ , come in Meccanica Classica.
- Se il moto relativo del punto avviene lungo l’asse Ox1 , cioè u2 =
u3 = 0, anche u2 = u3 = 0, ossia anche il moto assoluto avviene
nella direzione di quello relativo.
- Se u = c e1 si deduce u = c e1 o più in generale si può far vedere
che se |u| = c anche |u| = c, cioè la velocità della luce è sempre
uguale a c.
Infine, utilizzando le (8), si dimostra che nessun punto o segnale può
avere velocità in modulo maggiore di c rispetto ad un osservatore
inerziale. La velocità della luce costituisce dunque un limite invalicabile per il moto dei corpi.
Ribadiamo ancora una volta che il teorema classico di composizione delle
velocità è valido per tutti i corpi che si muovono sulla Terra, anche quelli
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
27
che dal nostro punto di vista appaiono velocissimi. Le (8) invece devono
essere applicate, ad esempio, nella fisica delle particelle elementari, dove gli
acceleratori portano le particelle a velocità confrontabili con quelle della
luce.
Esercizi
7. Un aeroplano supersonico si muove rispetto a noi con la velocità
di 1000m/s (circa 3 volte la velocità del suono) lungo l’asse Ox1 .
Un secondo aeroplano si muove lungo l’asse Ox1 con la velocità di
500m/s rispetto al primo.
Con quale velocità si muove il secondo aereoplano rispetto a noi?
R.: Il termine di correzione è molto piccolo: ∼
= 5 × 10−12 . Risultato
classico e relativistico praticamente coincidono.
8. Un fascio di luce si muove lungo l’asse Ox1 con velocità c rispetto
all’osservatore (O). Qual è la sua velocità misurata rispetto all’osservatore (O)?
R.: Ovviamente c.
9. In un acceleratore di particelle un elettrone e e un positrone (particella di carica opposta e di uguale massa) vengono portati, rispetto
ad un osservatore solidale all’acceleratore, alla velocità 0.5c. Inoltre
essi viaggiano in verso opposto.
Determinare la velocità del positrone rispetto d un riferimento solidale all’elettrone usando le (8).
R.: 0.8c.
10. Un’astronave si avvicina ad un asteroide con velocità 0.750c. Un
astronauta lancia verso l’asteroide una sonda con velocità 0.800c
rispetto all’astronave stessa. Qual è la velocità della sonda rispetto
all’asteroide supponendo assoluto il moto della sonda rispetto all’asteroide?
R.: ∼
= 0.969c.
Si potrebbe dimostrare anche il teorema di composizione delle accelerazioni
che omettiamo per la complessità delle formule. È tuttavia importante osservare che da tale teorema si deduce che l’accelerazione di un punto in
moto rispetto a due osservatori inerziali non è la stessa, a differenza
di quanto avviene in Meccanica Classica.
4.5. Cinetica
Le equazioni di Maxwell sono invarianti rispetto alle trasformazioni di
Lorentz mentre, come conseguenza di quanto osservato al termine del paragrafo precedente, non è invariante l’equazione fondamentale della dinamica
28
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
vista nella prima parte (e tutte le altre equazioni della Meccanica Classica).
È dunque necessario modificare tutte le equazioni della Meccanica in modo
che siano in accordo con il principio di relatività di Einstein. Inoltre occorre
tenere presente che se le velocità in gioco sono piccole rispetto a c, le nuove
equazioni si devono ridurre a quelle newtoniane.
In primo luogo vanno modificate tutte le grandezze che intervengono in
Cinetica.
La prima grandezza che va modificata è la massa di un punto. Einstein
rivoluzionò il concetto classico di massa pensando che questa non è costante
ma dipende dal modulo u della velocità del punto rispetto ad un osservatore inerziale.
Con considerazioni sugli urti Einstein concluse che la definizione appropriata per la massa è
(9)
m0
m= r
1−
u2
c2
dove m è detta massa relativistica e m0 è una costante positiva detta
massa propria o massa a riposo; m0 coincide con la massa che si attribuisce al punto in meccanica classica.
Osserviamo che per u = 0 si ha m = m0 e che per u 6= 0 la massa
relativistica è maggiore della massa propria.
Esempio 4.5.1. La massa relativistica di un elettrone che si muove alla
velocità di 0.8c è ∼
= 1.7m0 , essendo m0 la massa di riposo dell’elettrone.
Ovviamente se u c la massa relativistica si riduce, in via approssimata,
alla massa propria.
In relatività si possono considerare anche particelle che hanno massa a
riposo nulla e massa relativistica non nulla purchè la loro velocità sia c.
Infatti se a secondo membro della (9) facciamo tendere a zero m0 e facciamo
tendere u a c, numeratore e denominatore tendono a zero entrambi e la
nozione di limite consente di poter ottenere m diverso da zero. Particelle
che hanno m0 = 0 e velocità c sono i fotoni che intervengono in meccanica
quantistica. Tali particelle non possono dunque riposare!
In analogia con la Meccanica Classica, si introducono alcune definizioni:
Definizione 4.5.1. Dato un punto materiale di massa propria m0 in moto
rispetto ad un osservatore inerziale con velocità u, definiamo quantità
di moto relativistica o momento lineare relativistico del punto la
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
29
grandezza vettoriale p data da
m0
(10)
p = mu = r
(14)
E = T + m0 c2 = mc2 .
u.
u2
1− 2
c
Definizione 4.5.2. Dato un punto materiale di massa propria m0 in moto rispetto ad un osservatore inerziale con velocità u, definiamo energia
cinetica relativistica del punto la grandezza scalare
1
(11)
T = mc2 − m0 c2 = m0 c2 r
−1 .
u2
1− 2
c
Osserviamo che, se u = 0, allora T = 0 come in Meccanica Classica.
L’espressione dell’energia cinetica risulta cosı̀ costituita da due termini di
cui il primo dipende dalla velocità u del punto, mentre il secondo è indipendente da essa e pertanto prende il nome di energia a riposo. La definizione
di energia cinetica relativistica sembra discostarsi molto da quella dell’energia cinetica in Meccanica Classica, ma in realtà quando u c vale la
seguente approssimazione
r
u2 −1
1 u2
(12)
1− 2
∼1+
.
c
2 c2
Usando questo risultato, quando u c, si ottiene cosı̀
1
1 u2
1
− 1 ∼ m0 c2 1 +
−
1
= m0 u2 .
(13)
T = m0 c2 r
2
2
2
c
2
u
1− 2
c
Definizione 4.5.3. Dato un punto materiale di massa propria m0 in moto rispetto ad un osservatore inerziale con velocità u, definiamo energia
totale del punto la grandezza scalare
Nelle applicazioni pratiche spesso si conosce la quantità di moto e l’energia
di una particella piuttosto che la velocità . Tenendo presente le (10), (14)
è possibile eliminare u ottenendo
(15)
E 2 = p2 c2 + (m0 c2 )2 .
Infatti
E 2 −p2 c2 = m2 c4 −p2 c2 =
m20 4 u2 m20
m20 4
2 2
c 1− 2 = m20 c4 .
u
c
=
c
−
c
u2
u2
u2
1− 2
1− 2
1− 2
c
c
c
30
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Osserviamo che la quantità m20 c4 è invariante perché lo sono m0 e c; essa è
detta invariante energia-quantità di moto.
In particolare, se le particelle hanno massa a riposo nulla, come ad esempio
i fotoni, si ottiene
E = pc
Tramite questa relazione, i fotoni furono posti da Einstein alla base dell’interpretazione dell’effetto fotoelettrico.
Esercizi
11. Calcolare l’energia cinetica classica e l’energia cinetica relativistiva
di un elettrone in moto alle velocità rispettivamente di 0.1c e 0.9c
(massa a riposo dell’elettrone 9.1 × 10−31 kg).
R.: T ∼
= 4.1 × 10−16 J; T ∼
= 3.3 × 10−14 J nel caso classico; T ∼
=
−16
−13
4.1 × 10 J; T ∼
= 1.1 × 10 J nel caso relativistico. Si noti che la
differenza diventa sensibile per velocità dell’ordine di 0.5c.
12. In fisica atomica e nucleare le energie sono espresse in elettronvolt
(eV ) o in megaelettronvolt (M eV = 106 eV ):
1 eV = 1.6 × 10−19 J.
Un elettrone con energia a riposo 0.511 M eV si muove con la velocità u = 0.8c. Calcolare l’energia totale e la quantità di moto
dell’elettrone.
R.: E ∼
= 0.8517 M eV, p ∼
= 0.682 M eV /c. L’unità MeV/c è una
comoda unità di misura della quantità di moto.
(Visione del CD: AULA 4.5, 3.3, LABORATORIO 2), 4))
4.6. Dinamica Relativistica
Come abbiamo osservato in precedenza, occorre costruire una nuova dinamica che si riduca a quella classica quando le velocità in gioco sono piccole
rispetto a c. Limitiamoci a considerare il moto di un punto materiale P di
massa di riposo m0 rispetto ad un osservatore inerziale.
In primo luogo occorre estendere alla Relatività Ristretta la legge di inerzia.
Legge di inerzia relativistica. Un punto materiale (P, m0 ) rispetto ad
un osservatore inerziale conserva il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme se non interviene una causa esterna, ossia in assenza di
una causa esterna si ha
4u
=0
4t
da cui
4p
= 0.
4t
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
31
Notiamo che anche in Meccanica Classica, se un punto è in quiete o si muove
4p
di moto rettilineo ed uniforme, allora
= 0 e dunque p si conserva.
4t
Si dimostra, usando le (8), che anche in Relatività Ristretta, se, rispetto
ad un osservatore inerziale, un punto è in quiete o in moto rettilineo ed
uniforme, allora lo è rispetto ad ogni altro osservatore inerziale.
A questo punto possiamo dare la definizione di forza.
Definizione 4.6.1. Chiamiamo forza applicata al punto (P, m0 ) rispetto
all’osservatore considerato ogni causa esterna che ne modifichi lo stato di
moto; ossia se
4p
6= 0,
4t
definiamo forza agente sul punto P il vettore applicato (P, f ) con f ) data
da
4p
(16)
f=
.
4t
Quanto scritto corrisponde sostanzialmente alla seconda legge della dinamica che in definitiva fornisce la definizione di forza relativistica.
Osserviamo che se la velocità del punto è piccola rispetto a c allora l’equazione fondamentale della dinamica relativistica si riduce a quella clas4p
4u
sica perchè
si riduce a m0
= m0 a. Da qui vediamo che f si riduce
4t
4t
in via approssimata alla forza della Meccanica Classica intesa come interazione fra i corpi.
Ricordando la definizione di p, la (16) si può scrivere come:
4p
4
u
4 m0 u 4(γu)
r
r
= m0
= m0
.
(17)
f=
=
4t
4t
4t
4t
u2
u2
1− 2
1− 2
c
c
È da notare che, in accordo con il secondo postulato del principio di relatività di Einstein (vedi pag. 36), l’equazione fondamentale della dinamica (16)
(o (17)) ha sempre la stessa forma rispetto ad ogni osservatore inerziale.
Ossia se rispetto ad (O) si ha
(18)
f=
4p
,
4t
f=
4p
.
4t
rispetto a (O) si ha
(19)
32
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
dove f , p e t sono forza, quantità di moto e tempo rispetto a (O).
In Meccanica Relativistica, a differenza del caso classico, in cui entrambi
i membri di ma = f non variano al variare dell’osservatore inerziale, i
membri della (16) (o (17)) variano al variare dell’osservatore inerziale, pur
mantenendo l’equazione la stessa forma.
Terminiamo con la seguente osservazione. Ricordiamo che in Meccanica
Classica, se la forza cui è soggetto un punto materiale (P, m0 ) è costante
(supponiamo ad esempio f = f e1 con f costante) e questo all’istante t = 0
si trova nell’origine del riferimento associato all’osservatore con velocità
nulla, allora il punto si muove lungo l’asse Ox1 di moto uniformemente
1
f
vario con x1 (t) = at2 (a =
).
2
m0
Nel caso relativistico, nelle stesse ipotesi, si ottiene ancora che il punto si
muove lungo l’asse Ox1 ma x1 (t), ma ha un’espressione più complicata e
precisamente:
r
c2 a2 t2
x1 (t) =
1+ 2 −1 .
a
c
Se rappresentiamo graficamente le due funzioni precedenti, nel primo caso
si ha una parabola, nel secondo un’iperbole (Si potrebbe fare per esercizio).
Se si ha un sistema materiale discreto formato da più punti la quantità di
moto è la somma delle singole quantità di moto e si può scrivere per tale
sistema l’equazione analoga alla (16) sommando le equazioni relative ad
ogni punto.
Esercizio
13. Un satellite, inizialmente in quiete nello spazio profondo, esplode
in due pezzi. Uno ha massa 150kg e si muove dal punto in cui
è avvenuta l’esplosione con velocità 0.76c. L’altro si muove in direzione opposta con velocità 0.88c. Calcolare la massa a riposo del
secondo pezzo del satellite.
R.: 95 kg.
4.7. Massa ed energia
Come in Meccanica Classica si introduce la nozione di potenza di una forza.
Definizione 4.7.1. Data la forza (P, f ), definiamo potenza della forza la
grandezza scalare Π data da:
(20)
essendo u la velocità di P .
Π=f ·u
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
33
Con la definizione di energia cinetica data in (11) si potrebbe dimostrare il
seguente teorema (che ha un analogo nel caso classico).
Teorema 4.7.1. Dato un punto in moto vale l’uguaglianza
4T
(21)
Π=
4t
dove Π è la potenza della forza agente sul punto.
La (21) si può anche scrivere come
4E
4t
perchè E e T differiscono per un termine costante.
Infine osserviamo che l’energia totale di un punto di massa a riposo m0 in
moto con velocità u rispetto ad un oservatore inerziale ha la forma data
dalla (14):
(22)
Π=
m0 c2
.
E = mc2 = r
u2
1− 2
c
Le conseguenze fisiche di questa formula sono rivoluzionarie rispetto alla
Meccanica Classica. Infatti dalla (23) si deduce che se u aumenta e diviene
prossima all velocità della luce c allora l’energia totale del punto tende
all’infinito. Al contrario, se u diventa nulla, ossia il punto è in quiete,
l’energia totale si riduce a
(23)
(24)
E = m0 c2 .
Questa formula famosissima esprime un fatto del tutto nuovo rispetto alla
Meccanica Classica e cioè che un corpo in quiete possiede una energia di
riposo non nulla.
Le formule (23) e (24) furono estese da Einstein a qualsiasi sistema fisico e a
qualsiasi tipo di energia. Esse esprimono anche un concetto completamente
nuovo rispetto alla Meccanica Classica: affermano l’equivalenza di massa
ed energia (a meno della costante moltiplicativa c2 ) ossia attribuiscono ad
ogni forma di energia una massa (Einstein scrisse che ogni forma di energia
è dotata di inerzia). Dunque massa ed energia sono due aspetti diversi
di una stessa realtà. La massa può trasformarsi in energia e viceversa la
quantità di energia che si produce trasformando la massa è enorme perchè
la massa a riposo m0 viene moltiplicata per c2 = 90 000 000 000 000 000.
Energie tanto elevate si ottengono nelle reazioni atomiche di fissione
(in cui nuclei pesanti come l’uranio si rompono generando parti più leggere
ed energia dal difetto di massa (reattori nucleari, bombe atomiche)) e di
34
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
fusione (in cui nuclei leggeri come il deuterio si fondono formando elio con
trasformazione del difetto di massa in energia) (stelle, bombe H)).
Esercizi
14. Calcolare l’energia liberata in una reazione nucleare in cui il difetto
di massa è di 1g.
R.: E = 9 × 1013 J che costituisce una grande quantità di energia!
15. Il Sole irraggia energia ad un ritmo di 3.92×1026 W (1 W = 1J/sec.,
è l’unità di misura della potenza). Calcolare la corrispondente
diminuzione di massa del Sole per ogni secondo di irraggiamento.
R.: 4.36 × 109 kg. Il Sole perde ogni secondo una notevole quantità
di massa ma essendo la sua massa circa 1.99 × 1030 kg in 1550 anni
il Sole perde circa 10−10 della sua massa totale. Dopo 1.5 miliardi
di anni di irraggiamento a questo ritmo il Sole avrà perso solo lo
0.01% della sua massa!
16. Se si potesse convertire totalmente in energia elettrica un grammo di
materia, per quanto tempo si potrebbe tenere accesa una lampada
da 100 W ?
R.: 28 500 anni.
(Visione del CD: AULA 3.5, 3.4, LABORATORIO 3))
4.8. Cronotopo di Minkowski
Le trasformazioni di Lorentz trattano il tempo alla stregua di una qualunque
coordinata spaziale; dato che un evento può essere sempre individuato
tramite la sua posizione nello spazio geometrico e lungo l’asse temporale, la
meccanica relativistica può essere formulata in uno spazio a 4 dimensioni:
lo spazio-tempo o cronotopo di Minkowski (dal greco tempo-luogo). (Il
matematico H. Minkowski insegnò al politecnico di Zurigo ed ebbe importanti scambi di idee con Einstein.)
Fissato un osservatore (O), in questo spazio ogni punto PM ha coordinate
(x1 , x2 ,
x3 , x4 ), x4 = ct, e rappresenta un evento puntuale che avviene nel punto
geometrico di coordinate (x1 , x2 , x3 ) e all’istante t. Cambiando l’osservatore inerziale le nuove coordinate di PM sono (x1 , x2 , x3 , ct) con xh , t date
dalle trasformazioni di Lorentz.
Per le trasformazioni di Lorentz
2
s = x21 + x22 + x23 − c2 t2 = x21 + x22 + x23 − c2 t = s.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
35
Perciò è naturale definire distanza al quadrato di PM dall’origine OM =
(0, 0, 0, 0) come
(25)
d(PM , OM )2 = s = x21 + x22 + x23 − c2 t2 .
Come già osservato, nello spazio geometrico,
(26)
d(P, O)2 = x21 + x22 + x23 .
Se confrontiamo le (25), (26) vediamo che mentre la (26) dà d(P, O)2 ≥ 0,
d(P, O) = 0 se e solo se P ≡ O, al contrario la (25) non fornisce un segno a
d(PM , OM )2 ed esistono infiniti punti nel cronotopo di Minkowski tali che
d(PM , OM ) = 0.
La (25) stabilisce una classificazione delle regioni dello spazio-tempo. Infatti
si possono distinguere tre regioni:
- Regione costituita dai punti di coordinate (x1 , x2 , x3 , ct) tali che
s < 0. Tali punti sono detti di genere tempo.
- Regione costituita dai punti di coordinate (x1 , x2 , x3 , ct) tali che
s > 0. Tali punti sono detti di genere spazio.
- Regione costituita dai punti di coordinate (x1 , x2 , x3 , ct) tali che
s = 0. Tali punti sono detti di genere luce e definiscono il cono
della luce.
36
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Nella figura T+ , T− rappresentano la regione i cui punti sono di genere
tempo, S rappresenta la regione i cui punti sono di genere spazio e C+ , C−
sono le regioni dei punti di genere luce. Gli indici +, − stanno ad indicare
il segno della coordinata temporale ed individuano il futuro e il passato,
t = 0 ci fornisce il presente.
Nessuna trasformazione di Lorentz può trasformare un punto appartenente
ad una delle tre categorie in uno appartenente ad un’altra categoria.
∗ di
Se abbiamo due eventi distinti cui corrispondono i due punti PM , PM
∗
∗
∗
∗
coordinate (x1 , x2 , x3 , ct), (x1 , x2 , x3 , ct ) il quadrato della loro distanza e’
dato da
∗ 2
d(PM , PM
) = (x1 − x∗1 )2 + (x2 − x∗2 )2 + (x3 − x∗3 )2 − c2 (t − t∗ )2 .
Osserviamo che, se i due eventi sono collegati fra loro da un raggio di luce
allora la loro distanza è nulla .
La geometria in cui la distanza al quadrato è definita dalla (25) fu ideata da Minkowski e prende il nome di Geometria Pseudo-euclidea: pseudo
perchè la distanza al quadrato non è sempre ≥ 0, euclidea perchè lo spazio
di Minkowski, come lo spazio geometrico è piatto. Nella relatività generale
Eistein dimostra che lo spazio fisico reale è curvo.
Successivamente la Geometria Pseudo-euclidea fu generalizzata a spazi di
dimensione n, con n numero naturale qualsiasi.
A questo spazio 4-dimensionale si possono associare vettori a 4 componenti,
ossia dei quadrivettori in analogia con lo spazio geometrico. Un quadrivettore U ha componenti (U1 , U2 , U3 , U4 ) e il suo modulo al quadrato è dato
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
37
da
(27)
|U|2 = U12 + U22 + U32 − U42 .
Un quadrivettore viene classificato di genere tempo, spazio, luce se |U|2 <
0, |U|2 > 0, |U|2 = 0 rispettivamente.
Un esempio importante di quadrivettore è fornito dal quadrivettore della
quantità di moto definito da
E
(28)
P = p1 , p 2 , p 3 ,
.
c
Allora per la (15) |P|2 = −m20 c2 < 0 e dunque il quadrivettore della quantità di moto è sempre di genere tempo!
Le lezioni precedenti erano intese a spiegare il contenuto della Relatività Ristretta partendo dalla Meccanica Classica. Gli ulteriori sviluppi della
teoria sono di natura prevalentemente matematica.
Ad esempio, usando i quadrivettori si può scrivere una sola formula che
sintetizzi la variazione della quantità di moto e dell’energia:
(29)
4P
=F
4t
f · u
dove F è il quadrivettore della forza dato da f1 , f2 , f3 ,
.
c
Nell’equazione (29) compare il tempo t misurato dall’osservatore inerziale (O) rispetto al quale il moto è riferito. A tale equazione si può dare
una forma totalmente indipendente dall’osservatore introducendo quello che
viene detto tempo proprio τ . Il legame esistente tra t e τ è:
r
4τ
u2
= 1− 2.
4t
c
L’equazione (29) assume allora la forma
(30)
4P
= FM
4τ
r
u2 f · u
f
,
f
,
f
,
. L’e1
2
3
c2
c
quazione (30) si dice scritta in forma covariante.
Per poter proseguire occorre un bagaglio matematico molto più sofisticato
che consenta di trovare, a colpo d’occhio, le proprietà di trasformazione di
tutte le quantità fisiche coinvolte (essenzialmente il calcolo differenziale e il
calcolo tensoriale).
con FM forza di Minkowski data da
1−
38
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Riferimenti bibliografici
[1] G. Arcidiacono. La teoria della relatività. Veschi, 1969.
[2] T. Balibar. Einstein. La gioia del pensiero. Universale Electa. Gallimard. Scienza e
Natura, n. 49, 1994.
[3] C. Moeller. The theory of relativity. Oxford University Press, 1966.
[4] W. Pauli. Teoria della relatività. Boringhieri, 1958.
[5] G. P. Parodi, M. Ostili, G. Moschi Onori. L’evoluzione della fisica. vol. 3, Paravia,
2006.
[6] T. Regge. La relatività di Einstein. CD-ROM multimediale. Zanichelli, 1997.
[7] P. A. Tipler. Invito alla Fisica. vol. 3, Zanichelli, 1990.
[8] J. S. Walker. Fisica. vol. 3, Zanichelli, 2004.
Dipartimento di Matematica, Università di Ferrara
E-mail address: [email protected]
E-mail address: [email protected]
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
39
Appendice 1
Alcuni contenuti del cd da proporre nel laboratorio
Aula
- La fisica prima di Eistein:
Relatività Galileiana, Spazio e tempo secondo Newton, Elettromagnetismo (5 min.), Vento d’Etere (es. le papere) (10 min.).
- Relatività Ristretta:
Principio di relatività (3 min.), La luce non cambia velocità (5 min.),
Simultaneità (6 min.).
- Spazio, Tempo, Massa ed Energia:
Dilatazione dei tempi (5 min.), Contrazione delle lunghezze (7 min.),
Più veloce della luce? (8 min.), Spazio e Tempo per Einstein (4
min.), Massa = Energia (4 min.).
- Paradossi:
Vero o falso?, Astronave relativistica, Treno in galleria, Gemelli,
Orologio di Dalı̀ (5 min.).
Laboratorio
- L’esperimento di Michelson e Morrey (10 min.).
- Orologio di Einstein (6 min.).
- Massa ed energia (4 min.).
- Paradosso della Freccia (6 min.)
40
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Appendice 2
5. Vettori liberi
Sviluppiamo per esteso la nozione di vettore libero a partire da da E.
A tal fine consideriamo l’insieme S di tutti i segmenti orientati dello spazio
geometrico, ciascuno dei quali è definito mediante una coppia ordinata di
punti. Denotiamo con B − A il segmento orientato corrispondente alla
coppia ordinata di punti (A, B) di E, dove A è l’origine del segmento e B
l’estremo.
In S è possibile definire una relazione binaria R, che si dimostra immediatamente essere di equivalenza, nel modo seguente:
Definizione 5.0.1. Dati i due segmenti orientati B − A e D − C, diremo
che B − A è in relazione con D − C se i due segmenti orientati hanno la
stessa lunghezza, la stessa direzione e lo stesso verso.
È evidente che tale relazione, detta anche relazione di equipollenza, è
riflessiva, simmetrica e transitiva e dunque è una relazione di equivalenza:
R =∼. Potremo perciò considerare le classi di equivalenza rispetto a tale
relazione.
Definizione 5.0.2. Chiamiamo vettore libero dello spazio geometrico
ogni classe di equivalenza di segmenti orientati corrispondente alla relazione
∼.
Dunque un vettore libero dello spazio geometrico è l’insieme di tutti i segmenti orientati che hanno ugual lunghezza, uguale direzione e uguale verso.
Come unità di misura per le lunghezze si usa il metro (m).
I vettori dello spazio geometrico vengono denotati in genere con una lettera (maiuscola o minuscola, latina o greca) sormontata da una freccia: ~u,
oppure sottolineata: u, oppure in grassetto: u.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
41
Si osservi che, per definizione di classe di equivalenza, ogni vettore è individuato in maniera univoca tramite un qualsiasi segmento orientato appartenente al vettore stesso, ossia tramite un suo qualsiasi rappresentante.
Questo ci porterà più avanti a denotare un vettore tramite un suo rappresentante.
Definizione 5.0.3. Chiamiamo vettore nullo e lo indichiamo con 0 l’insieme di tutti i segmenti orientati per i quali l’origine coincide con l’estremo,
aventi perciò lunghezza nulla.
Ad ogni vettore libero dello spazio geometrico sono dunque associati:
- un numero reale non negativo, detto modulo, che rappresenta
la lunghezza comune a tutti i segmenti orientati appartenenti al
vettore;
- una direzione, cioè la direzione comune a tutti i segmenti orientati
appartenenti al vettore;
- un verso, cioè il verso comune a tutti i segmenti orientati che appartengono al vettore.
Il vettore nullo ha modulo nullo e direzione e verso indeterminati.
Il modulo del vettore u sarà denotato con |u| oppure semplicemente con u.
Definizione 5.0.4. Chiamiamo versore ogni vettore avente il modulo uguale
a 1.
Se u 6= 0, poniamo
versu =
u
.
u
Definizione 5.0.5. Due vettori non nulli si dicono paralleli se hanno la
stessa direzione. Se inoltre hanno lo stesso verso, i due vettori si dicono
paralleli e concordi, se hanno verso opposto paralleli e discordi.
Nel seguito denoteremo con E~ l’insieme di tutti i vettori dello spazio geometrico.
Prima di concludere il paragrafo enunciamo un lemma che è una conseguenza immediata dei postulati della geometria euclidea.
Lemma 5.0.1. Siano u ∈ E~ e A ∈ E, allora esiste uno ed un solo punto
B ∈ E tale che:
(31)
B − A ∈ u.
42
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Richiamiamo ora le principali operazioni sui vettori liberi.
Somma di due vettori
Definizione 5.0.6. Dati i due vettori liberi u e v, definiamo somma dei
due vettori quel vettore libero, denotato con u + v, che ha come suo rappresentante il segmento orientato D − A se B − A é un rappresentante di
u e C − A è un rappresentante di v.
Si può verificare facilmente che per la somma dei vettori liberi sussistono
le stesse proprietà di cui gode la somma di numeri reali.
Differenza di due vettori
Definizione 5.0.7. Dati i due vettori liberi u e v, definiamo differenza dei
due vettori il vettore dato da
(32)
u − v = u + (−v) = (−v) + u,
dove (−v) è quel vettore, detto opposto di v, che ha la stessa direzione e lo
stesso modulo di v, ma verso opposto.
Prodotto di un numero reale per un vettore
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
43
Definizione 5.0.8. Chiamiamo prodotto del numero reale α per il vettore
u il vettore αu, cosı́ definito:
- se α = 0 o u = 0, allora αu = 0,
- se α 6= 0 e u 6= 0, allora αu è quel vettore il cui modulo |αu| è
dato da |α||u|, la cui direzione è quella di u e il cui verso è quello
di u se α > 0 e quello opposto al verso di u se α < 0.
Si può dimostrare che la moltiplicazione di un numero reale per un vettore
gode delle stesse proprietà della moltiplicazione di numeri reali.
Osserviamo inoltre che se u 6= 0, allora
u
versu = .
u
Definizione 5.0.9. Dati due vettori non nulli, diciamo che sono ortogonali se le loro direzioni sono perpendicolari.
Si può dimostrare il seguente
Teorema 5.0.1. Dati i due vettori u 6= 0 e v, condizione necessaria e
sufficiente affinché v sia uguale al vettore nullo o parallelo ad u, é che
esista uno ed un solo scalare α tale che:
v = αu.
Un altro importante risultato relativo ai vettori liberi è contenuto nel
Teorema 5.0.2. Sia (e1 , e2 , e3 ) la terna ordinata costituita da tre versori
e1 , e2 , e3 , ortogonali due a due. Allora preso un qualsiasi vettore v, esiste
una ed una sola terna di numeri reali (v1 , v2 , v3 ) tale che
v = v1 e1 + v2 e2 + v3 e3 .
Definizione 5.0.10. Diciamo allora che (e1 , e2 , e3 ) è una base ortonormale per E~ e che la terna ordinata (v1 , v2 , v3 ) è la terna delle componenti di v rispetto alla base (e1 , e2 , e3 ).
Si può dimostrare la seguente
Proposizione 5.0.1
∀u, v ∈ E~ : u + v = (u1 + v1 )e1 + (u2 + v2 )e2 + (u3 + v3 )e3 ,
∀α ∈ R, ∀u ∈ E~ : αu = (αu1 )e1 + (αu2 )e2 + (αu3 )e3 ,
u = v se e solo se ui = vi , i = 1, 2, 3
essendo (u1 , u2 , u3 ) e (v1 , v2 , v3 ) le terne delle componenti di u, v.
44
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Prodotto scalare
Definizione 5.0.11. Siano u, v due vettori non nulli. Indicato con O
un punto arbitrario dello spazio geometrico, si considerino le due semirette
orientate di origine O individuate a u e v. Definiamo angolo tra i due
vettori l’angolo φ ∈ [0, π] tra le due semirette.
π
Se i due vettori sono ortogonali, ϕ = .
2
Se i due vettori sono paralleli e concordi ϕ = 0, se i due vettori sono paralleli
e discordi ϕ = π.
Definizione 5.0.12. Il prodotto scalare dei due vettori u e v, é il numero
reale, denotato con u · v, la cui definizione è la seguente:
- se u = 0 o v = 0, allora u · v = 0;
- se u 6= 0 e v 6= 0, allora u · v = u v cos ϕ, essendo ϕ l’angolo
tra i due vettori.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
45
~ allora
Si osservi che se (e1 , e2 , e3 ) è una base ortonormale per E,
- ei · ei = 1
per i, j = 1, 2, 3
- ei · ej = 0 per i 6= j, i, j = 1, 2, 3.
Grazie al risultato precedente si prova la seguente
Proposizione 5.0.1. Sia (e1 , e2 , e3 ) una base ortonormale.
3
3
X
X
Se u = u1 e1 + u2 e2 + u3 e3 =
u i ei e v =
vj ej , si ha:
i=1
j=1
3
X
ui vi = u1 v1 + u2 v2 + u3 v3 ;
- u·v =
i=1
p
- u = u12 + u22 + u32 ;
- ui = u · ei i = 1, 2, 3.
Prodotto vettoriale
Definizione 5.0.13. Il prodotto vettoriale dei due vettori u e v, é il
vettore, denotato con u × v, la cui definizione è la seguente:
- se u = 0 o v = 0, allora u × v = 0;
- se u 6= 0 e v 6= 0, allora il vettore u × v ha modulo |u × v| =
u v sin ϕ per cui nel caso di parallelismo tra u e v (ϕ = 0 o
π) u × v é il vettore nullo, mentre nel caso generale ha direzione
perpendicolare sia a quella di u che a quella di v e verso tale che
la terna ordinata (u, v, u × v) si possa far coincidere con pollice,
indice, medio della mano destra.
46
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Esercizi
1. Data la base ortonormale √
(e1 , e2 , e3 ), determinare le componenti
del vettore v di modulo 3 2, ortogonale ad e3 che forma con e1
l’angolo 3π/4 e con e2 l’angolo π/4.
R.: (−3, 3, 0).
2. Dato il vettore u = 2e1 + e3 , determinare i due vettori v, w tali
che v + w = u con v parallelo a r = e1 − e2 e con w ortogonale a
s = e1 + e3 .
R.: v = 3e1 − 3e3 , w = −e1 + 3e2 + e3 .
3. Sia (e1 , e2 , e3 ) una terna destra. Provare che
ei × ei = 0,
i = 1, 2, 3, e1 × e2 = e3 ,
e2 × e3 = e1 , e3 × e1 = e2 .
Sfruttando tali rissultati determinare u × v con u = 2e1 − e3 e
v = e1 + e2 .
R.: e1 − e2 + 2e3 .
Alla fine di questo paragrafo facciamo un cenno ai vettori applicati. Tale
nozione si rende necessaria in quanto grandezze fisiche, quali la forza, oltre
ad essere caratterizzate da direzione, verso e modulo, necessitano anche
della precisazione del punto in cui sono applicate.
Definizione 5.0.14. Sia (A, B) una coppia ordinata di punti.
Definiamo Vettore applicato avente A come punto di applicazione il segmento orientato che ha A come origine e B come estremo e lo indichiamo
con : B − A o (A, v), dove v è il vettore libero che ha il segmento orientato
B − A come suo rappresentante.
La retta contenente il vettore applicato si chiama supporto del vettore
applicato.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
47
(Quindi il vettore applicato è il singolo segmento orientato, mentre il vettore
libero è una classe di equivalenza di segmenti orientati).
5.1. Riferimenti cartesiani dello spazio geometrico
Definizione 5.1.1. Chiamiamo riferimento cartesiano ortonormale
Ox1 x2 x3 l’insieme di un punto O ∈ E, detto origine e di tre rette orientate
Ox1 , Ox2 , Ox3 , passanti per O e perpendicolari a due a due, dette assi del
riferimento.
Se consideriamo la terna (e1 , e2 , e3 ) costituita dai tre versori paralleli agli
~
assi del riferimento, questa è una base ortonormale per E.
Preso un punto P e considerato il segmento orientato P − O, questo individua un vettore che per comodità continueremo ad indicare con P − O.
Se (x1 , x2 , x3 ) è la terna delle sue componenti rispetto alla base (e1 , e2 , e3 )
si ha:
P − O = x1 e1 + x2 e2 + x3 e3 ;
la terna (x1 , x2 , x3 ) è detta terna delle coordinate cartesiane del punto P rispetto al riferimento Ox1 x2 x3 .
La terna delle sue coordinate cartesiane individua in maniera completa il
punto. Fissato un riferimento cartesiano, lo spazio geometrico E risulta in
corrispondenza biunivoca con R3 .
48
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Nello spazio geometrico considereremo sempre riferimenti cartesiani ortonormali cui siano associate basi che sono terne destre, ossia basi i cui versori si
possono rappresentare mediante pollice, indice e medio della mano destra.
Nel seguito per motivi di concisione e di comodità, denoteremo i vettori
liberi mediante i segmenti orientati che li rappresentano.
Dimostriamo ora la seguente
Proposizione 5.1.1. Fissato in E un riferimento cartesiano ortonormale
e considerati i due punti P e P0 , il vettore P − P0 ha come componenti
rispetto alla base associata al riferimento la differenza tra le coordinate
omologhe di P e P0 .
Dimostrazione. Fissato il riferimento Ox1 x2 x3 , siano (x1 , x2 , x3 ) e (x01 , x02 , x03 )
le due terne delle coordinate di P e P0 .
D’altra parte
P − P0 = (O − P0 ) + (P − O) = (P − O) + (O − P0 ) = (P − O) − (P0 − O)
=
3
X
i=1
xi ei −
3
X
x0i ei =
i=1
La proposizione è dunque dimostrata.
3
X
(xi − x0i ) ei .
i=1
Presi due punti dello spazio geometrico: P (x1 , x2 , x3 ) e P0 (x01 , x02 , x03 )
la loro distanza, denotata con d(P, P0 ), è data da :
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
49
v
u 3
uX
d(P, P0 ) = |P − P0 | = t
(xi − x0i )2 .
i=1
Si osservi che nello spazio geometrico la distanza tra due punti è sempre
non negativa.
Cambiamenti di riferimento
Sia Ox1 x2 x3 un riferimento cartesiano ortonormale che conveniamo di chiamare “vecchio riferimento” e consideriamo un secondo riferimento ortonormale Ox1 x2 x3 che conveniamo di chiamare “nuovo riferimento”.
Il II riferimento é completamente individuato rispetto al primo se è nota
la terna (xO1 , xO2 , xO3 ) delle coordinate cartesiane di O rispetto al I riferimento e sono note le componenti della base (e1 , e2 , e3 ) associata al nuovo
riferimento rispetto alla base (e1 , e2 , e3 ) associata al vecchio riferimento.
Denotiamo con αih la componente di eh rispetto ad ei , per cui
αih = eh · ei .
D’altra parte
αih = ei · eh
e dunque αih rappresenta anche la componente di ei rispetto ad eh .
Gli scalari αih godono di particolari proprietà:
(33)
(34)
(α1h )2 + (α2h )2 + (α3h )2 = eh · eh = 1,
α1h α1k + α2h α2k + α3h α3k = eh · ek = 0,
h = 1, 2, 3,
h 6= h, h, k = 1, 2, 3.
50
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Sia P ∈ E e consideriamone la terna delle coordinate nel I riferimento,
(x1 , x2 , x3 ), che chiamiamo terna delle “vecchie coordinate” e la terna delle
coordinate nel II riferimento, (x1 , x2 , x3 ), che chiamiamo terna delle “nuove
coordinate”. Vogliamo stabilire come si esprimono le vecchie coordinate in
funzione delle nuove. Precisamente dimostriamo la seguente
Proposizione 5.1.2. Se (x1 , x2 , x3 ) e (x1 , x2 , x3 ) sono le terne delle
vecchie e delle nuove coordinate di un punto P ∈ E, allora si ha:
(35)
xi =
3
X
αih xh + xOi
i = 1, 2, 3.
h=1
Dimostrazione. Per definizione di coordinate cartesiane abbiamo:
(36)
P −O =
3
X
i=1
xi ei ,
P −O =
3
X
xh eh ,
O−O =
h=1
D’altra parte
P − O = (P − O) + (O − O)
3
X
i=1
xOi ei .
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
51
da cui, usando la (36), discende
3
X
xi ei =
i=1
=
3
X
h=1
3
X
xh eh +
=
xOi ei
i=1
xh
X
3
αih ei
+
3
X
i=1
h=1
=
3
X
3 X
3
X
i=1
3
X
h=1
X
3
i=1
h=1
xOi ei
i=1
αih xh
ei +
3
X
xOi ei
i=1
αih xh + xOi
ei
che ci fornisce le relazioni (35). Ovviamente, se vogliamo esprimere le nuove
coordinate in funzione delle vecchie, otteniamo:
(37)
xh =
3
X
βhi xi + xOh
h = 1, 2, 3,
i=1
dove βhi = αih , (xO1 , xO2 , xO3 ) è la terna delle coordinate di O rispetto al
nuovo (II) riferimento.
Definizione 5.1.2. Fissati in E i due riferimenti Ox1 x2 x3 e Ox1 x2 x3 ,
definiamo trasformazione di coordinate la legge di corrispondenza (o
applicazione)
γ : R3 −→ R3
(x1 , x2 , x3 ) −→ (x1 , x2 , x3 )
dove x1 , x2 , x3 sono date dalle (37).
Definizione 5.1.3. Se i due riferimenti Ox1 x2 x3 e Ox1 x2 x3 hanno gli assi
paralleli si dice che la trasformazione di coordinate è una traslazione.
Una traslazione è dunque caratterizzata dalle seguenti equazioni, conseguenza
delle (37):
(38)
xh = xh + xOh ,
h = 1, 2, 3.
Esempio 5.1.1. Scrivere le equazioni della traslazione che porta l’origine O
in O di coordinate (1, 2, 0).
Definizione 5.1.4. Se i due riferimenti Ox1 x2 x3 e Ox1 x2 x3 hanno la
stessa origine, cioè O = O, si dice che la trasformazione di coordinate è
una rotazione.
52
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Una rotazione è dunque caratterizzata dalle seguenti equazioni conseguenza
delle (37):
(39)
xh =
3
X
βhi xi , h = 1, 2, 3.
i=1
Definizione 5.1.5. Se in particolare i due riferimenti O x1 x2 x3 e
Ox1 x2 x3 hanno la stessa origine ed inoltre l’asse Ox3 è sovrapposto all’asse
Ox3 , la trasformazione è detta rotazione attorno all’asse Ox3 .
Esempio 5.1.2. Scrivere le equazioni della rotazione di π/3 attorno all’asse
Ox3 .
5.2. Cinematica del punto
Consideriamo un punto in moto rispetto ad un dato osservatore.
Se indichiamo con (x1 , x2 , x3 ) la terna delle coordinate del punto rispetto al
riferimento associato all’osservatore, avremo che le sue coordinate variano
al trascorrere del tempo, cioè le sue coordinate sono delle funzioni del tempo
e quindi della forma:
(40)
xi = xi (t),
i = 1, 2, 3.
In particolare se le coordinate xi non variano al trascorrere del tempo,
diremo che il punto è in quiete rispetto all’osservatore.
Definizione 5.2.1. Chiamiamo traiettoria descritta dal punto la curva
dello spazio geometrico generata dalle posizioni che il punto assume durante
il moto.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
53
Definizione 5.2.2. Diremo che il moto è rettilineo se il punto si muove
su una retta fissa rispetto all’osservatore.
La sua traiettoria è dunque un segmento o tutta la retta.
Possiamo prendere tale retta come uno degli assi del riferimento associato
all’osservatore, ad. es. l’asse Ox1 . Perciò le coordinate del punto sono:
x1 = x1 (t),
x2 = 0,
x3 = 0.
Assumiamo come noti i concetti di velocità e accelerazione.
Nel caso di moto rettilineo velocità e accelerazione del punto sono parallele
alla retta su cui si muove.
Dunque
v = v1 (t)e1 , a = a1 (t)e1 .
Definizione 5.2.3. Il moto rettilineo si dice uniforme se v1 è costante,
cioè non varia al trascorrere del tempo.
Dunque in un moto rettilineo e uniforme la velocità è un vettore costante,
inoltre l’accelerazione è nulla ad ogni istante e
x1 (t) = v1 t + x1 (0)
54
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
dove x1 (0) è l’ascissa della posizione occupata dal punto all’istante t = 0.
Viceversa si potrebbe dimostrare che se un punto si muove di moto rettilineo
e la sua accelerazione è nulla ad ogni istante, allora il moto è uniforme.
Definizione 5.2.4. Il moto rettilineo si dice uniformemente vario se
a1 è costante, cioè non varia al trascorrere del tempo.
Dunque in un moto rettilineo uniformemente vario l’accelerazione è un
vettore costante, ed inoltre
1
v1 (t) = a1 t + v1 (0),
x1 (t) = a1 t2 + v1 (0)t + x1 (0)
2
dove v1 (0) è la velocità del punto all’istante t = 0.
Se v1 > 0 in un dato intervallo di tempo e a1 > 0 il moto si dice uniformemente accelerato, mentre se a1 < 0 il moto si dice uniformemente
ritardato. Esercizi
4. Moto rettilineo uniforme. Un’automobile si muove di moto uniforme su di una strada rettilinea con una velocità di 60km all’ora,
partendo da un punto A. Una seconda automobile parte contemporaneamente da un punto B della strada e corre verso la prima
con la velocità costante di 80km all’ora. Quando e dove la seconda
automobile raggiunge la prima, se fra A e B intercorrono 70km?
R.: 1/2 ora, 30Km oppure 3.5 ore e 210km.
5. Moto rettilineo uniformemente vario. Un treno viaggia alla velocità
di 72km all’ora.
Azionando i freni, il treno si muove di moto rettilineo uniformemente vario e si ferma in 20sec. A quale distanza da una stazione
si devono azionare i freni affinchè il treno si fermi in stazione?
R.: 200m.
La traiettoria del moto di un punto può anche non essere rettilinea, ossia
il punto può muoversi lungo una curva fissa rispetto all’osservatore. In tal
caso la sua traiettoria è un arco di tale curva e la velocità è tangente alla
traiettoria nella posizione occupata dal punto. Se orientiamo la curva, cioè
fissiamo su di essa un verso di percorrenza ed indichiamo con t il versore
tangente alla curva concorde col verso di percorrenza, si ha
v = vt t.
Per quanto riguarda l’accelerazione, questa ha due componenti, una tangente alla curva, detta accelerazione tangenziale ed una perpendicolare
al versore t detta accelerazione normale. Se supponiamo che la curva
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
55
sia piana, l’accelerazione normale giace sul piano della curva ed è sempre
orientata verso la concavità della curva stessa.
Si può dimostrare che se nel moto di un punto la sua accelerazione normale
è nulla ad ogni istante, allora il punto si muove di moto rettilineo.
Tenendo presente quanto visto sopra, si conclude che sussiste il seguente
teorema:
Teorema 5.2.1. Dato un punto in moto rispetto ad un dato osservatore,
condizione necessaria e sufficiente affinché il suo moto sia rettilineo uniforme è che ad ogni istante si abbia:
(41)
a = 0.
Definizione 5.2.5. Un punto si muove di moto circolare se nel suo moto
descrive una circonferenza.
La posizione del punto sulla circonferenza si può individuare mediante l’angolo θ che OP forma con OP0 dove O è il centro della circonferenza, P è la
posizione occupata dal punto e P0 è un punto fissato sulla circonferenza.
Se prendiamo come verso sulla circonferenza quello in cui cresce θ, si può
dimostrare che
v = ω(t)Rt,
R = raggio della circonf erenza.
ω è detta velocità angolare del punto e rappresenta quanto rapidamente
varia l’angolo θ al trascorrere del tempo.
Per quanto riguarda l’accelerazione, quella tangenziale è parallela a v e
quella normale è an = −ω 2 (t)R vers(P − O).
Il moto circolare si dice uniforme se ω è costante.
Si dimostra che in tal caso
θ(t) = ωt + θ(0)
56
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
2π
dove T è
essendo θ(0) il valore dell’angolo θ all’istante t = 0. Inoltre ω =
T
l’intervallo di tempo che il punto impiega a percorrere l’intera circonferenza.
T è detto periodo perchè il punto, dopo un intervallo di tempo pari a T ,
ritorna nella posizione iniziale.
Nel moto circolare uniforme l’accelerazione tangenziale è nulla. Esercizi
7. Moto circolare uniforme. Un punto si muove con moto uniforme su
una circonferenza di raggio R = 10m con velocità v = 5m/sec.
Determinare velocità angolare e accelerazione.
R.: 0.5rad/sec, 2.5m/sec2 .
8. Moto circolare uniforme. Trovare la velocità angolare dei punti
di un’elica che compie 2100 giri al minuto. Sapendo che la pala
dell’elica è lunga 1m, se si misura la sua distanza dal centro dell’asse
di rotazione alla punta estrema, calcolare la velocità dei punti del
bordo dell’elica.
R.: ∼ 791.28km/h.
5.3. Cinematica dei sistemi rigidi.
Consideriamo un sistema rigido S in moto rispetto ad un dato osservatore.
Come già visto nel paragrafo 5, ad ogni sistema rigido possiamo associare un
riferimento cartesiano ortonormale solidale al sistema stesso. Al trascorrere
del tempo, le coordinate di ogni punto di S non variano rispetto al riferimento solidale.
Sia (e1 , e2 , e3 ) la base del riferimento associato all’osservatore (detto “riferimento fisso”) e sia (e1 , e2 , e3 ) la base del riferimento solidale.
Dimostriamo la seguente
Proposizione 5.3.1. Il moto del sistema rigido rispetto all’osservatore è
noto se è noto il moto del riferimento solidale rispetto all’osservatore.
Dimostrazione. Il moto del sistema rigido è noto se è nota ad ogni istante
la posizione di tutti i suoi punti.
D’altra parte il riferimento Ox1 x2 x3 si muove rispetto all’osservatore e supponiamo di conoscerne il moto. Allora, fissato un istante t, conosciamo la
posizione occupata dal riferimento in tale istante. Conosciamo dunque
all’istante t le coordinate di O rispetto al riferimento fisso. Tali coordinate dipendono da t e sono (xO1 (t), xO2 (t), xO3 (t)). Inoltre sappiamo anche
come sono orientati gli assi Ox1 , Ox2 , Ox3 rispetto agli assi del riferimento fisso, cioè conosciamo le componenti dei versori della base (e1 , e2 , e3 )
rispetto alla base (e1 , e2 , e3 ). Tali componenti dipendono da t ed avremo
αih = αih (t), i, h = 1, 2, 3. Ora consideriamo un punto P arbitrario del
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
57
sistema rigido. Di P conosciamo le coordinate x1 , x2 , x3 rispetto al riferimento solidale (che non dipendono da t). Le coordinate di P x1 , x2 , x3
rispetto al riferimento fisso invece variano col tempo. Per quanto abbiamo
visto sui cambiamenti di riferimento, abbiamo:
(42)
xi (t) =
3
X
αih (t)xh + xOi (t)
i = 1, 2, 3.
h=1
Dunque le coordinate di ogni punto del sistema rigido rispetto al riferimento fisso sono note ad ogni istante se è nota ad ogni istante la posizione del
riferimento solidale rispetto a quello fisso.
Vediamo ora due particolari moti rigidi.
Moto Traslatorio
Il moto di un sistema rigido si dice traslatorio se, preso un riferimento
solidale, gli assi di questo mantengono inalterato il proprio orientamento
rispetto agli assi del riferimento fisso, ossia se
αih = costante,
i, h = 1, 2, 3.
Si potrebbe dimostrare che:
- le traiettorie descritte dai punti del sistema sono congruenti;
- tutti i punti hanno ad ogni istante la stessa velocità e la stessa
accelerazione.
Il moto traslatorio è detto rettilineo se le traiettorie descritte dai punti
sono rettilinee.
58
ALESSANDRA BORRELLI - MARIA CRISTINA PATRIA
Il moto traslatorio è detto rettilineo uniforme se i suoi punti si muovono
di moto rettilineo uniforme.
Moto Rotatorio
Il moto di un sistema rigido si dice rotatorio attorno all’asse Ox3 se il
riferimento solidale può essere scelto in modo che l’asse Ox3 sia sempre
sovrapposto all’asse Ox3 e dunque rimane fisso rispetto all’osservatore.
Si potrebbe dimostrare che:
- i punti del sistema si muovono di moto circolare su circonferenze che
giacciono su piani perpendicolari all’asse Ox3 ed hanno il centro su
tale asse;
- la velocità angolare ω(t) del moto circolare dei punti è la stessa
e il vettore ω e3 prende il nome di velocità angolare del moto
rotatorio. Inoltre la velocità del punto del sistema rigido che nell’istante considerato si trova in P si può esprimere nella forma:
v(P ) = ωe3 × (P − O).
Se ω è costante, il moto si dice rotatorio uniforme.
Se il moto del sistema rigido è traslatorio, ovviamente la velocità
angolare è nulla.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
59
5.4. Cinematica relativa.
Consideriamo un punto P , mobile nello spazio, in moto rispetto a due osservatori in moto l’uno rispetto all’altro.
Poiché siamo in Meccanica Classica, il tempo ha carattere assoluto e dunque
possiamo assumere che i due osservatori abbiano sincronizzato i loro orologi
in modo da associare ad ogni istante la stessa coordinata temporale. Osserviamo poi che, essendo i due osservatori sistemi rigidi, si muovono l’uno
rispetto all’altro di moto rigido.
Indichiamo con Ox1 x2 x3 il riferimento associato al I osservatore e con
Ox1 x2 x3 il riferimento associato al II osservatore.
Conveniamo di chiamare moto assoluto del punto P il suo moto rispetto
all’osservatore cui è associato il riferimento Ox1 x2 x3 e moto relativo del
punto P il suo moto rispetto all’osservatore cui è associato il riferimento
Ox1 x2 x3 .
Definiamo poi moto di trascinamento il moto del II osservatore rispetto
al I, ossia il moto (rigido) del riferimento Ox1 x2 x3 rispetto al I osservatore.
Siano noti il moto relativo del punto e il moto di trascinamento. Mostriamo
che è possibile determinare il moto assoluto del punto.
Se indichiamo con (x1 , x2 , x3 ) le coordinate di P rispetto a Ox1 x2 x3 , il
moto assoluto è descritto dalle equazioni:
xi = xi (t),
i = 1, 2, 3.
Notiamo che nel moto assoluto dobbiamo riguardare fissi il punto O e gli
assi Ox1 , Ox2 , Ox3 .
Se indichiamo con (x1 , x2 , x3 ) le coordinate di P rispetto al riferimento
Ox1 x2 x3 , il moto relativo è descritto dalle equazioni:
xh = xh (t),
h = 1, 2, 3.
Notiamo che nel moto relativo dobbiamo riguardare fissi il punto O e gli
assi Ox1 , Ox2 , Ox3 .
Il moto di trascinamento è descritto dalle funzioni
xOi = xOi (t) i = 1, 2, 3
che rappresentano il moto di O rispetto al primo riferimento e dalle funzioni
αih = αih (t) i, h = 1, 2, 3
che ci dicono come variano col tempo le componenti dei versori della base
(e1 , e2 , e3 ) rispetto alla base (e1 , e2 , e3 ).
Supponiamo di conoscere il moto relativo e il moto di trascinamento, ossia le
funzioni del tempo che descrivono tali moti. Possiamo determinare il moto
assoluto tenendo presente come si esprimono le coordinate di un punto
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rispetto ad un riferimento mediante le sue coordinate rispetto ad un altro
riferimento. Infatti nel nostro caso intervengono due diversi riferimenti:
Ox1 x2 x3 e Ox1 x2 x3 .
Per quanto visto in precedenza avremo:
(43)
xi (t) =
3
X
αih (t) xh (t) + x0i (t) i = 1, 2, 3.
h=1
Abbiamo perciò ottenuto il seguente
Teorema 5.4.1. Dato un punto in moto rispetto a due osservatori in moto
l’uno rispetto all’altro, se è noto il suo moto relativo ed è noto il moto di
trascinamento, é noto anche il suo moto assoluto.
Si dice che il moto assoluto si ottiene componendo il moto relativo con il
moto di trascinamento.
Vediamo ora di enunciare il teorema di composizione delle velocità.
Premettiamo alcune definizioni.
Definizione 5.4.1. Chiamiamo velocità assoluta del punto la sua velocità nel moto assoluto, cioè nel moto rispetto al primo osservatore. Denotiamo la velocità assoluta con v.
Chiamiamo velocità relativa del punto la sua velocità nel moto relativo,
cioè nel moto rispetto al secondo osservatore. Denotiamo la velocità relativa
con vr .
Chiamiamo velocità di trascinamento del punto la velocità che il punto
avrebbe rispetto al primo riferimento quando si trova in P se lo pensassimo
rigidamente solidale al secondo riferimento. Denoteremo con vτ la velocitá
di trascinamento.
Il teorema di composizione delle velocità è il seguente:
Teorema 5.4.2. Dato un punto in moto rispetto a due osservatori in moto l’uno rispetto all’altro, ad ogni istante la velocità assoluta è la somma
(vettoriale) della velocità relativa e di quella di trascinamento, ossia:
(44)
v = vr + vτ .
Vediamo due casi particolari di moti di trascinamento.
Supponiamo che il moto di trascinamento sia traslatorio, allora tutti i punti
rigidamente solidali al riferimento Ox1 x2 x3 hanno uguale velocità e dunque
hanno la stessa velocità di O. Allora in tal caso:
(45)
v = vr + v(O) .
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
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Supponiamo che il moto di trascinamento sia rotatorio attorno all’asse Ox3 .
Allora:
vτ = ωe3 × (P − O)
(46)
e per il teorema di composizione delle velocità si ha:
v = vr + ωe3 × (P − O).
(47)
Esercizi
10. Teorema di composizione delle velocità. Un treno viaggia alla velocità di 108km/ora; verso di esso viene lanciato un sasso in direzione
perpendicolare al binario, con la velocità di 40m/sec. Determinare
la velocità del sasso relativa al viaggiatore.
R.: 50m/sec.
11. Teorema di composizione delle velocità. Si vuole attraversare in barca un fiume per raggiungere sull’altra riva un approdo prospicente
quello di partenza. La velocità della barca relativamente all’acqua è
di 4km/ora e la corrente uniforme del fiume ha velocità di 2km/ora.
Come deve dirigersi la barca?
R.: Angolo fra barca e direzione corrente 120◦ .
Ci proponiamo ora di enunciare il teorema di composizione delle accelerazioni.
A tal fine premettiamo alcune definizioni.
Definizione 5.4.2. Chiamiamo accelerazione assoluta del punto la sua
accelerazione nel moto assoluto. Tale accelerazione sarà denotata con a.
Chiamiamo accelerazione relativa del punto la sua accelerazione nel moto relativo. Denoteremo l’accelerazione relativa con ar .
Chiamiamo accelerazione di trascinamento l’accelerazione che il punto
avrebbe rispetto al primo riferimento quando si trova in P se fosse solidale
al secondo riferimento. Tale accelerazione sarà indicata con aτ .
Nel teorema di composizione delle accelerazioni interviene un’ulteriore accelerazione che non ha il corrispettivo nel teorema di composizione delle
velocità. Tale accelerazione è l’accelerazione complementare o di Coriolis, denotata con ac . Noi non ne diamo la definizione generale, ma
precisiamo soltanto quanto vale in tre casi particolari:
- ac = 0 se il punto è in quiete nel moto relativo
- ac = 0 se il moto di trascinamento è traslatorio
- ac = ωe3 × vr se il moto di trascinamento è rotatorio attorno
all’asse Ox3 .
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Teorema 5.4.3. Dato un punto in moto rispetto a due osservatori in moto
l’uno rispetto all’altro, ad ogni istante l’accelerazione assoluta é la somma
(vettoriale) dell’accelerazione relativa, dell’accelerazione di trascinamento
e di quella di Coriolis, ossia:
(48)
a = ar + aτ + ac .
I teoremi visti sopra si estendono anche al caso in cui si abbiano più di due
osservatori.
Esercizi
14. Teorema di composizione delle accelerazioni. Un punto P si muove
uniformemente con velocità v sul bordo di un disco di raggio R, il
quale, a sua volta, si muove, rispetto ad un osservatore con moto
di traslazione di accelerazione ae1 , costante, parallela al piano del
disco. Trovare l’accelerazione di P rispetto all’osservatore quando
P si trova nei punti A1 , A2 del diametro parallelo a e1 nell’ipotesi
v2
che a =
.
R
2
v
R.:
e1 , 0.
R
Definizione 5.4.3. Diciamo che due osservatori sono equivalenti se sono
in quiete l’uno rispetto all’altro o si muovono di moto traslatorio rettilineo
uniforme l’uno rispetto all’altro.
Si può facilmente verificare che questa è una relazione di equivalenza.
Potremo allora andarne a considerare le classi di equivalenza.
Ogni classe di equivalenza rispetto a tale relazione è detta classe di equivalenza galileiana.
Dimostriamo ora il seguente
Teorema 5.4.4. Dato un qualsiasi punto mobile nello spazio, la sua accelerazione è la stessa rispetto a due osservatori che appartengono alla stessa
classe di equivalenza galileiana.
Dimostrazione. Consideriamo un qualsiasi punto in moto rispetto a due
osservatori che appartengono alla stessa classe di equivalenza galileiana.
Riguardiamo moto assoluto quello rispetto al primo osservatore e moto relativo quello rispetto al secondo.
Osserviamo che ∀t : ac = 0 in quanto il moto di trascinamento è traslatorio
o la quiete.
Inoltre aτ = 0 perchè il moto di trascinamento é traslatorio rettilineo uniforme o la quiete.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
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D’altra parte per il teorema di composizione delle accelerazioni abbiamo
a = ar + ac + aτ =⇒ a = ar .
Il teorema è dunque dimostrato.
Il teorema 5.4.4 ha un corollario che ci sarà molto utile in dinamica.
Corollario 5.4.1. Se un punto è in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme rispetto ad un osservatore, è in quiete o si muove di moto
rettilineo uniforme rispetto ad ogni altro osservatore equivalente al primo.
Dimostrazione. Riguardiamo come moto assoluto del punto il suo moto
rispetto al I osservatore e moto relativo il suo moto rispetto ad un qualsiasi
altro osservatore equivalente al I.
Per il Teorema 5.4.4 abbiamo
a = ar .
Ma a = 0 e dunque ar = 0. Perciò anche il moto relativo è la quiete o è
rettilineo uniforme.
5.5. Cenni di Cinetica.
La Cinetica rappresenta quella parte della Meccanica che mette in relazione
la Cinematica con la Dinamica. In Cinematica, come avevamo osservato,
non si tiene conto di una caratteristica fondamentale dei corpi reali, cioè del
fatto che sono dotati di una data struttura materiale. In Cinetica, per tener
conto di questo, si associa ai modelli che vengono utilizzati per descrivere i
corpi reali la “massa”, che appunto sintetizza la loro struttura materiale.
La massa è una grandezza scalare assunta come concetto primitivo che in
Meccanica Classica ha carattere assoluto, cioè è indipendente dal moto dei
corpi e quindi anche dal tempo.
Consideriamo dapprima un punto materiale. La massa di un punto materiale è una grandezza scalare, strettamente positiva, invariabile nel tempo e che
viene denotata con m. La sua unità di misura è usualmente il chilogrammo
(kg).
Può essere utile indicare un punto materiale con la notazione (P, m).
Se il sistema materiale considerato è un sistema discreto formato da un
numero finito N di punti materiali: (P1 , m1 ), ..., (PN , mN ), chiameremo
massa totale del sistema la somma delle masse dei punti che lo compongono:
m=
N
X
s=1
ms .
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Se il sistema è continuo il concetto di massa è molto più complesso da introdurre e pertanto non ce ne occuperemo.
Nell’ambito della Cinetica si introducono poi altre grandezze, dette grandezze
cinetiche, che svolgono un ruolo importante in meccanica. Definiamone
alcune per un singolo punto materiale che ci saranno utili in seguito.
Definizione 5.5.1. Sia dato il punto materiale (P, m) in moto rispetto ad
un osservatore con velocità v. Definiamo quantità di moto o momento
lineare di (P, m) la grandezza vettoriale data da:
p = mv.
Definiamo poi energia cinetica di (P, m) la grandezza scalare data da:
T =
1
mv2
2
(v2 = v · v).
L’unità di misura dell’energia è il Joule (1J = 1kg m sec−2 ).
Le definizioni date si estendono facilmente al caso in cui si abbia un sistema materiale discreto costituito da un numero finito di punti materiali
sommando le grandezze cinetiche dei singoli punti.
5.6. Dinamica del punto materiale.
La dinamica è la parte della meccanica che studia il moto dei corpi in
relazione alle loro cause. Non si può, in questo caso, prescindere dalla
struttura materiale dei corpi e dall’interazione tra i corpi stessi. Oltre
ai concetti primitivi di spazio e tempo, in dinamica occorrono altri due
concetti primitivi: quello di massa e di forza.
- Il concetto di massa è già stato affrontato nel paragrafo precedente.
- La forza é rappresentata tramite il vettore applicato (P, f ) dove
P é detto punto di applicazione della forza; il supporto del vettore
applicato è detto linea d’azione della forza e |f | intensitá della forza.
(L’intensità di una forza si misura usualmente in Newton (N).)
Le forze rappresentano l’interazione tra i corpi. Nel suo significato più stretto, la forza (P, f ) applicata al punto materiale (P, m) viene a rappresentare
l’azione che gli altri corpi esercitano su (P, m), azione che diventa tanto più
piccola sino ad annullarsi quanto più tali corpi si allontanano da (P, m).
La dinamica di un punto materiale si basa sulle tre leggi di Newton ossia
sui tre assiomi che ora enunciamo.
- I Legge di Newton, detta anche principio d’inerzia. Un punto
materiale persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme se non interviene una forza a modificare tale stato.
DALLA MECCANICA CLASSICA ALLA MECCANICA RELATIVISTICA
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- II Legge di Newton. Se ad un punto materiale (P, m) é applicata
una forza (P, f ), allora
ma = f .
- III Legge di Newton detta anche principio di azione e reazione.
Se il punto materiale (P2 , m2 ) esercita sul punto (P1 , m1 ) una forza
(P1 , f ), questa forza è diretta lungo la congiungente i due punti e
il punto (P1 , m1 ) esercita su (P2 , m2 ) una forza (P2 , −f ). (P1 , f ) è
detta azione, mentre (P2 , −f ) è detta reazione.
Facciamo alcune osservazioni sulle tre leggi di Newton.
- La seconda legge contiene la prima. Infatti
f =0
∀t =⇒ a = 0
∀t
e quindi il punto o è in quiete o si muove di moto rettilineo ed
uniforme.
- La seconda legge stabilisce una proporzionalità vettoriale tra forza
e accelerazione.
- L’accelerazione, a parità di forza, è tanto più piccola in modulo
quanto più è grande la massa; quindi la massa è una misura del
grado d’inerzia del punto materiale.
Notiamo che nelle leggi di Newton compaiono concetti relativi, cioè concetti
che dipendono dall’osservatore, come quello di quiete, moto e accelerazione.
Ci chiediamo rispetto a quali osservatori valgono le tre leggi e in particolare la seconda. In effetti se al termine “forza” attribuiamo il significato
che prima abbiamo esposto, ossia se con “forza” intendiamo l’azione dovuta
alla presenza di altri corpi che tende a zero quando i corpi si allontanano
all’infinito, allora i tre principi valgono solo rispetto ad alcuni osservatori
privilegiati, detti galileiani o inerziali.
Infatti, se rispetto ad un osservatore vale la legge la II legge di Newton
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(ma = f ), allora un punto infinitamente lontano dagli altri deve essere in
quiete o muoversi di moto rettilineo uniforme rispetto a tale osservatore,
essendo soggetto a forza nulla.
Le osservazioni astronomiche mostrano che è inerziale un osservatore stellare, cioè un osservatore a cui è associato un riferimento che ha origine in
una stella fissa e i cui assi sono orientati secondo stelle fisse. Ricordiamo
che si definisce “stella fissa” ogni stella cosı̀ lontana dalla terra da poter
essere considerata fissa. Infatti da osservazioni astronomiche si è visto che
una stella infinitamente lontana dalle altre è in quiete o si muove di moto
rettilineo uniforme rispetto ad un osservatore stellare. D’altra parte abbiamo visto che un punto in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto ad
un osservatore è ancora in quiete o in moto rettilineo uniforme rispetto ad
un altro osservatore se questo appartiene alla stessa classe di equivalenza
galileiana, ossia se il secondo osservatore è in quiete o si muove rispetto al
primo di moto traslatorio rettilineo ed uniforme.
Allora sono inerziali tutti quegli osservatori che appartengono alla classe di equivalenza galileiana individuata da un osservatore
stellare.
Se dunque al termine “forza” si attribuisce il significato precedente, le
leggi di Newton valgono per osservatori inerziali. Quindi in un qualsiasi
osservatore inerziale:
ma = f
dove l’accelerazione a è la stessa per ogni osservatore perchè gli osservatori
inerziali appartengono tutti alla stessa classe di equivalenza galileana. Tale
equazione è nota come equazione fondamentale della dinamica.
Si potrebbe dimostrare che se si conoscono velocità e posizione iniziale del
punto, l’equazione fondamentale della dinamica consente, attraverso l’uso
di particolari strumenti matematici, di determinare il moto del punto.
Se invece di un punto materiale abbiamo un sistema materiale all’equazione
fondamentale della dinamica bisogna sostituire un sistema più complesso
di equazioni che mantengono la stessa forma in ogni osservatore inerziale e consentono anche in tal caso di determinare il moto del sistema se si
conoscono le velocità dei suoi punti e la sua posizione all’istante iniziale.
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