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XI “NEGOZI E OBLIGATIONES (A)” M. L

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XI “NEGOZI E OBLIGATIONES (A)” M. L
INSEGNAMENTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
LEZIONE XI
“NEGOZI E OBLIGATIONES (A)”
PROF. FRANCESCO M. LUCREZI
Istituzioni di Diritto Romano
Lezione XI
Indice
1
2
3
4
Atti traslativi di titolarità ------------------------------------------------------------------------------- 3
1.1
Concetto di ‘negozio giuridico’ -------------------------------------------------------------------- 3
1.2
Mancipatio -------------------------------------------------------------------------------------------- 3
1.3
In iure cessio------------------------------------------------------------------------------------------ 4
Atti costitutivi di obligationes -------------------------------------------------------------------------- 5
2.1
Commodatum e mutuum---------------------------------------------------------------------------- 5
2.2
Depositum -------------------------------------------------------------------------------------------- 6
2.3
Obligationes re contracate -------------------------------------------------------------------------- 7
2.4
Concetto di obligatio -------------------------------------------------------------------------------- 7
2.5
Obligationes verbis contractae e litteris contracate---------------------------------------------- 8
Ius civile e formalismo negoziale ---------------------------------------------------------------------- 9
3.1
La pubblicità degli atti nella società rurale ------------------------------------------------------- 9
3.2
Prevalenza della ‘forma’ nel negozio giuridico ------------------------------------------------ 10
Superamento del formalismo ------------------------------------------------------------------------ 11
4.1
La svolta mercantile del III secolo a.C. --------------------------------------------------------- 11
4.2
Le alterne sorti dello ius civile ------------------------------------------------------------------- 11
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione XI
1 Atti traslativi di titolarità
1.1 Concetto di ‘negozio giuridico’
Abbiamo visto come, secondo l’antico ius civile, i rapporti di appartenenza, tanto familiari
(patria potestas) quanto reali (mancipium, dominium, servitù) o servili (domenica potestas),
potessero sorgere in forza di meri eventi naturali (nascita di nuovi sottoposti, così come di nuovi
servi o animali subumani, incrementi di proprietà tramite accessio), senza che la volontà o i
comportamenti del titolare venissero in alcun modo presi in considerazone.
Molte volte, però, fin da epoca remota, i diritti venivano a costituirsi o a cambiare titolare a
seguito di atti di libera disposizione privata effettuata dai soggetti, che andavano così a modificare
volontariamente la propria sfera giuridica. Secondo la mentalità moderna, tali manifestazioni di
volontà, in quanto atti leciti determinativi di conseguenze sul piano del diritto, possono essere fatti
rientrare nell’estesa categoria dei cd. ‘negozi giuridici’, ma è importante ricordare che i Romani non
conobbero mai tale nozione, né accomunarono mai i diversi atti dispositivi in una categoria
comune, generale e astratta.
1.2 Mancipatio
Per quanto riguarda i poteri esercitati sulle cose, sugli animali e sulle servitù, già in età
molto antica si era andata cristallizzando una forma di alienazione atta a trasferire dei beni dal
mancipium di un soggetto (detto mancipio dans, “colui che cede dal proprio mancipium”) a quello
di un altro (mancipio accìpiens, “colui che riceve nel proprio mancipium”), il quale, in cambio della
res, cedeva all’alienante del metallo, che veniva pesato al momento dello scambio.
La secolare reiterazione di tali gesti portò alla definizione di un rituale di scambio
codificato, secondo il quale la vendita doveva avvenire necessariamente alla presenza dell’alienante
e dell’acquirente, oltre che di un soggetto (cd. lìbripens) deputato a pesare il metallo su una bilancia
(libra) e di cinque cittadini, di età pubere, in funzione di testimoni. Il metallo, come detto, avrebbe
dovuto essere pesato al momento, e quindi avrebbe dovuto essere grezzo (aes rude), non coniato
(aes signatum). Tale forma negoziale, detta mancipatio (che, come vedremo, trovò larga
applicazione a scopo successorio, nella forma del cd. testamentum per aes et libram) si andò
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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evidentemente consolidando in età arcaica, quando non esisteva il denaro, gli scambi avvenivano tra
vicini ed era avvertita come necessaria una forte pubblicità dell’atto, valevole a rendere l’intera
comunità edotta dell’avvenuto trasferimento; ma, per il forte tradizionalismo dello ius civile vetus,
essa continuò a essere considerata dovuta (solo per le res màncipi, ossia per quei beni che erano
oggetto di mancipium nell’epoca antica in cui tale forma di alienazione si era andata a ritualizzare)
anche nelle età successive, pur essendo completamente mutato il contesto sociale ed economico di
riferimento.
1.3 In iure cessio
Altra antica forma di alienazione (ma di origine probabilmente meno remota della
mancipatio) fu la in iure cessio, consistente in un processo fittizio, riconosciuto anche dalle XII
Tavole (6.6 [Vat. 50]), nel quale l’acquirente mostrava di rivendicare come propria la res e il
magistrato, di fronte alla mancata resistenza dell’alienante, dichiarava accertata in iure, ossia nel
tribunale, la nuova titolarità, come se fosse stata già preesistente (a dimostrazione di come lo ius
civile ammettesse con difficoltà il trasferimento di mancipium, e richiedesse comunque sempre
notevole solennità e pubblicità per gli atti traslativi).
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2 Atti costitutivi di obligationes
2.1 Commodatum e mutuum
Gli antichi atti di autonomia privata a cui abbiamo finora fatto cenno (mancipatio e in iure
cessio) sortivano quindi l’effetto di trasferire una proprietà da un soggetto a un altro, determinando
la fine di un rapporto di appartenenza e la nascita di un nuovo diritto, senza che tra le due parti
restassero poi vincoli o legami di sorta.
Già fin dalle epoche più remote, però, le esigenze dell’economia agricola e pastorale
richiedevano che la cessione di determinati beni (p. es., attrezzi, armenti ecc.) fosse effettuata a
tempo determinato, a titolo di prestito, facendo perdere al proprietario solo la disponibilità
momentanea delle res, oppure che una certa quantità di materiale fungibile (p. es., frumento,
sementi, commestibili ecc.) fosse consumato da un soggetto diverso dal suo titolare, con l’impegno
secondo cui questi si sarebbe visto poi restituire, dal consumatore, una quantità equivalente di
prodotto, della medesima qualità (il cd. tantùndem eiùsdem gèneris et qualitatis, “altrettanto dello
stesso genere e della stessa qualità”).
In risposta a tali esigenze, apprendiamo dalle fonti che, negli ultimi secoli della repubblica,
si erano consolidati, nella tutela giurisdizionale e nell’elaborazione giurisprudenziale, due forme di
vincolo interpersonale, dette commodatum e mutuum, in forza delle quali un soggetto permetteva a
un altro, a titolo gratuito, rispettivamente, di usare un certo bene per un determinato periodo,
acquisendo la legittima detenzione temporanea dello stesso, oppure di consumare una certa quantità
di prodotto, da restituire poi nel tantundem. Difficile, però, risalire alle origini storiche dei due
negozi. Certamente già nell’era monarchica l’economia rurale dell’antico Lazio conobbe,
nell’ambito dei rapporti di solidarietà tra i patres familias, il prestito di beni fungibili e consumabili
da restituire nell’equivalente, ma la configurazione giuridica di queste prime forme di prestito resta
avvolta nell’incertezza.
Un orientamento dottrinale piuttosto diffuso, ma contro il quale sono anche state sollevate
non poche perplessità, individua l’origine storica dell’azione concessa al mutuante nell’antica
sanzione contro il furto, giacché la posizione di chi non avesse restituito sementi e derrate ricevute
in prestito avrebbe coinciso con quella del ladro (fur), e soltanto in seguito l’actio e la procedura
esecutiva contro il ‘mutuatario’ si sarebbero differenziate da quelle utilizzate contro il ‘ladro’,
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portando così alla elaborazione giuridica di un rapporto relativo e di un obbligo di restituzione
dall’origine lecita, distinti dalla responsabilità derivante da una violazione di mancipium.
Anche per quanto concerne il commodatum, soltanto nell’ambito della giurisdizione pretoria
vediamo che il diritto del comodante al riottenimento del bene viene ricondotto a una specifica
causa negoziale, e viene concessa un’apposita azione processuale a ciò finalizzata (detta actio
commodati), mentre, per l’età più risalente, si è supposto che al proprietario non spettasse altro che
un’azione generica (condictio), giustificata unicamente dal diritto a riottenere un bene di propria
spettanza, ingiustamente trattenuto da un soggetto non più autorizzato.
Verosimilmente, fino ai primi secoli di repubblica, tali forme di cessione avvenivano
esclusivamente a titolo di cortesia e di buon vicinato (come sembra attestare la perdurante
caratteristica della gratuità del prestito), e non esistevano apposite figure negoziali né specifiche
forme di protezione giuridica del diritto del proprietario (al di là dell’autotutela privata o di una
generica azione volta alla rivendica dei beni [condictio] o, magari, a colpire come ‘ladro’ il soggetto
che non avesse ottemperato all’obbligo di restituzione [condictio ex causa furtiva o actio furti]).
Solo un successivo allargamento di tali forme di scambio al di là della cerchia ristretta della prima
comunità rurale, secondo verosimiglianza, avrebbe collegato il dovere di restituzione a uno
specifico impegno negoziale assunto, facendo così configurare degli specifici rapporti relativi (in
quanto intercorrenti tra due soggetti determinati) e degli appositi strumenti di difesa giurisdizionale
(l’actio commodati, per il comodato e, per il mutuo, la condictio certae rei [per il prestito di cose
fungibili] o l’actio certae crèditae pecuniae [per quella che diventò rapidamente, e che sarebbe
rimasta per sempre, la forma di mutuo di gran lunga più diffusa, ossia il prestito di denaro]).
2.2 Depositum
Dal commodatum andò poi differenziandosi, e qualificandosi come negozio tipico, il cd.
depositum, nel quale la detenzione dell’oggetto andava analogamente trasferita, sempre a titolo
gratuito, da un soggetto (depòsitor) a un altro (depositarius), ma nell’interesse del primo dei due, ai
fini della custodia dell’oggetto e della salvaguardia della sua integrità.
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2.3 Obligationes re contracate
In tutti questi casi di trasferimento di beni la giurisprudenza classica qualificò il dovere della
restituzione come una obligatio re contracta (cfr., p. es., Gai 3.90s.), ossia come obbligazione
assunta attraverso il tasferimento della res (re = ablativo di res [cosa]): pur avvenendo lo scambio
su base evidentemente del consenso (altrimenti si sarebbe trattato di furto o comunque di una forma
di appropriazione indebita), alla base dell’obbligo non veniva quindi posta – e ciò per un perdurante
rispetto della logica materialistica dell’antico ius civile – la volontà delle parti, ma unicamente il
dato di fatto materiale del passaggio di mano dell’oggetto, che determinava automaticamente il
sorgere del vincolo alla restituzione (che, in teoria, avrebbe potuto anche essere chiesta subito, a
meno di specifica pattuizione contraria [cd. pactum de non petendo, “patto di non chiedere”]),
mentre la volontà delle parti valeva soltanto, per così dire, ‘in negativo’, ossia per escludere una
responsabilità del soggetto ricevente per possesso illecito.
2.4 Concetto di obligatio
Se la giurisprudenza laica concepì la obligatio come un legame giuridico, ideale e astratto,
dal contenuto essenzialmente patrimoniale (nel senso che l’inottemperanza determinava in genere la
soggiacenza a un obbligo di risarcimento monetario), molto si discute, in dottrina, sulla nascita di
tale concetto nell’età arcaica, e sull’originario senso dei termini obligare e obligatio nell’ambito
dell’antica economia rurale, quando i beni avevano primieramente un valore d’uso e il denaro non
fungeva da parametro comune di valutazione degli interessi concreti.
Probabilmente, come è stato ipotizzato, lo stesso termine obligatio rivelerebbe un’antica
accezione fisica, materiale del vincolo, nel senso che il soggetto ricevente poteva trovarsi, in caso di
inadempimento, fisicamente ridotto alla mercé dell’avente diritto alla restituzione, in quanto legato,
come nexus, a una condizione di asservimento e costrizione, e solo il graduale superamento
dell’antica economia materiale, e la progressiva patrimonializzazione del debito, avrebbero
trasformato la realtà fisica dell’obligatio nel concetto derivato di ‘obbligo di adempimento’
(sintetizzato nella definizione offerta dalle Istituzioni di Giustiniano [probabilmente escerpita da
pensiero del giurista Papiniano], 3.13pr.: “Obligatio est iuris vinculum, quo necessitate
adstrìngimur, alicùius solvendae rei”: “l’obligazione è un vincolo giuridico, in forza del quale
siamo costretti ad adempiere qualcosa”).
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2.5 Obligationes verbis contractae e litteris contracate
Accanto alle obligationes re contractae, così, si sarebbero tipizzate altre fome di
obligationes, definite verbis contractae (assunte mediante le parole [verba]) o litteris contractae
(scaturenti da determinate forme di scrittura [litterae]): alla prima categoria si ascrivevano quegli
impegni presi in forza della pronuncia di precise formule rituali (per esempio, l’antichissima
stipulatio, forse in origine chiamata anche sponsio, attraverso cui un soggetto assumeva un certo
obbligo, a dare o a fare qualcosa, rispondendo con delle parole vincolate [certa verba] a una
domanda formulata dalla controparte [p. es., “dare mihi hoc spondes?”, “prometti che mi darai
questo?”: “spòndeo”, “prometto”); alla seconda, quegli obblighi, di origine meno remota, che si
facevano sorgere dalla sottoscrizione autografa del debitore (p. es., la cd. acceptilatio, ossia
l’iscrizione del debito nel codex accepti et expensi [libro di quanto incassato ed elargito], sorta di
solenne registro contabile custodito dal pater familias, la cui eventuale falsificazione sarebbe stata
oggetto di aspra riprovazione sociale). Va sottolineato che tanto i certa verba quanto le litterae non
assumevano un valore meramente probatorio, essendo considerate l’imprescindibile fonte
dell’obligatio, che si considerava contracta, appunto, verbis o litteris, per mezzo delle parole o
delle lettere.
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3 Ius civile e formalismo negoziale
3.1 La pubblicità degli atti nella società rurale
Lo ius civile vetus, nel suo complesso, appare quindi configurato come un sistema fondato
su un’esigenza di definizione certa delle forme di appartenenza , degli obblighi e dei diritti, nel
quale il rispetto delle varie titolarità e dei doveri di adempimento negoziale si imponeva come
presupposto fondamentale della comunità patriarcale, sigillo e garanzia della pace sociale e della
parziale cessione di sovranità da parte dei patres familias.
Di primaria importanza, soprattutto, appariva l’esigenza che il complesso dei cittadini fosse
posto a conoscenza delle varie situazioni giuridiche facenti capo ai singoli soggetti: era essenziale
che il cippo di confine rendesse i consociati edotti del punto dove finiva il mancipium di Tizio e
cominciava quello di Caio, così come era necessario sapere sotto quale potestas o manus
ricadessero i vari sottoposti, a chi si trasmettessero i vari diritti alla morte del titolare, chi fosse il
proprietario dei beni e chi avesse la mera possibilità di usarli in forza di prestito ecc.
Quando avveniva un mutamento di titolarità, immediato o futuro, l’intera comunità doveva
essere messa in grado di esserne a conoscenza: i vari atti produttivi di effetti giuridici, così, erano
spesso compiuti alla presenza delle istituzioni pubbliche (adrogatio, in iure cessio, adoptio,
testamenta calàtis comitiis e in procinctu, confarreatio) o di alcuni cittadini in funzione di testimoni
(mancipatio, coëmptio, testamentum per aes et libram), o richiedevano comunque dei
comportamenti facilmente riconoscibili dai consociati, al riparo da dubbi interpretativi (usus della
uxor, dazione delle res prestate, pronuncia dei certa verba, compilazione del codex accepti et
expensi ecc.). Il formalismo negoziale (ossia il collegamento genetico tra il mutamento di titolarità o
il sorgere dell’obligatio e l’espletamento di determinati gesti esterni, rituali e codificati) appare, in
generale, direttamente funzionale alle esigenze di una comunità stanziale e contadina, caratterizzata
da esigenze di certezza nella definizione delle situazioni giuridiche e di pubblicità dei loro
mutamenti, e dai tempi lenti e scanditi dell’economia agreste.
La modifica della sfera giuridica dell’individuo, in tale contesto, era collegata direttamente
al compimento di atti riconoscibili all’esterno, che impegnavano direttamente la responsabilità
dell’agente. Non c’era spazio per un’indagine introspettiva sulle intenzioni interiori del soggetto, né
potevano sorgere dubbi riguardo agli effetti conseguiti dai gesti rituali, che venivano fatti scaturire
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in modo meccanico e automatico. A incidere sulle situazioni giuridiche del pater familias, infine,
era generalmente lo stesso pater, dacché la civiltà contadina, basata su una vicinanza fisica tra il
titolare e i suoi beni ed interessi, non richiedeva – né, di norma, permetteva - che a negoziare
potesse essere una persona diversa da quella direttamente coinvolta dagli effetti del negozio.
3.2 Prevalenza della ‘forma’ nel negozio giuridico
Se, pertanto, la moderna dottrina ha distinto, nella struttura del cd. ‘negozio giuridico’, i tre
elementi insostituibili della ‘forma’ (ossia l’esternazione dell’atto), della ‘causa’ (la specifica
finalità socioeconomica) e della ‘volontà’ (il movente, interno e psicologico, del soggetto agente),
non c’è dubbio che, nell’età rurale,
l’elemento formale assumesse un’importanza primaria e
assorbente, in grado di comprendere in sé l’intera funzione negoziale (a nulla sarebbe valsa, per
esempio, in caso di pronuncia di certa verba, o di compimento di atto librale, una dichiarazione di
mancata o incompleta consapevolezza riguardo agli effetti sortiti da tali gesti e parole).
Non c’era una diversificazione di ‘cause’ rispetto alla realizzazione di una stessa ‘forma’, e
la valutazione della ‘volontà’ del soggetto si limitava sostanzialmente all’esclusione dalla capacità
negoziale di quegli individui la cui attitudine a disporre dei propri interessi fosse palesemente
carente (in quanto minori [impuberes] o dementi [furiosi]). Ma, va ricordato, tale tripartizione
(forma, causa, volontà) rappresenta una schematizzazione moderna, così come sconosciuta ai
Romani – come abbiamo già notato – era la stessa categoria astratta del cd. ‘negozio giuridico’.
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4 Superamento del formalismo
4.1 La svolta mercantile del III secolo a.C.
La rapida trasformazione della società romana, a partire dal terzo secolo a.C., in senso
commerciale e mercantile metterà profondamente in discussione, come vedremo, i princìpi dello ius
civile, funzionali alle esigenze di un’economia statica e rurale.
Nuovi beni si imporranno come oggetto di interesse, e tutte le forme di ricchezza saranno
apprezzate più per il loro valore di scambio che per l’intrinseca funzione. Il denaro si affermerà
prepotentemente come bene per eccellenza, atto ad assorbire tutti gli altri interessi nel proprio metro
valutativo. La stessa sentenza processuale di condanna avrà, per lo più, un contenuto meramente
monetario. Il commercio richiederà tempi rapidi e forme agili e spedite per gli atti negoziali.
Sempre più spesso uno stesso soggetto sarà chiamato a trattare contemporaneamente più affari
relativi alla propria sfera di interesse, e manderà, a concludere gli atti necessari, altre persone, a lui
legate da vari tipi di rapporto. La volontà del soggetto agente si affermerà come principale motore
dell’agire giuridico. Il contatto con genti straniere porterà a recepirne usi e linguaggi, e ad elaborare
nuovi strumenti di diritto, atti ad agevolare gli scambi, al di là dei confini nazionali, tra romani e
peregrini. L’ampliamento dello spazio mercantile in ambito transmarino renderà normale la
conclusione di affari tra soggetti sconosciuti, e il nuovo concetto di fiducia (o, con termine greco,
pistis) diventerà elemento accomunante tra i vari popoli del Mediterraneo. Il formalismo e la
pubblicità dei negozi saranno spesso avvertiti come un anacronistico intralcio. Le esigenze del
traffico faranno salire in primo piano l’interesse al complessivo volume d’affari, facendo apparire
non grave – anzi, fisiologico – il singolo inadempimento di uno specifico debito.
4.2 Le alterne sorti dello ius civile
Tutte queste nuove realtà troveranno, nel ius gentium e nel ius honorarium, nuove cornici di
disciplina giuridica. Ma è importante ricordare che lo ius civile, anche se non più come unico e
imperativo ius civitatis, continuerà sempre ad esistere, e a svolgere una funzione essenziale. A volte
i suoi istituti cadranno in desuetudine (è il caso, p. es., delle legis actiones, della coëmptio
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matrimonii causa, dei testamenta in procinctu e calàtis comitis); altre volte, pur apparendo forse
obsoleti, resteranno teoricamente cogenti, e costringeranno il pretore e i giuristi a complicati e
faticosi percorsi di elusione e aggiramento (l’obbligo della mancipatio o della in iure cessio per il
trasferimento delle res màncipi, il principo secondo cui deve essere lo stesso titolare del diritto a
disporne attraverso l’atto negoziale); altre ancora (laddove, in particolare, non si presenteranno
esigenze di velocità mercantile, e la pubblicità e il formalismo degli atti conserveranno una loro
utilità) si conserveranno pressoché intatti nella loro forma e funzione (i modi di acquisto della
proprietà per incremento naturale, le servitù di passaggio, l’adrogatio, l’adoptio, l’emancipatio, il
testamento per aes et libram); a volte, infine, si preserveranno, lungo un’apparente linea di
continuità, ma modificando in profondità i propri effettivi contenuti (è il caso, per esempio, della
patria potestas, pilastro, formalmente ‘eterno’ e immobile, della civiltà romana, che avrebbe in
realtà conosciuto molti e incisivi adattamenti funzionali).
Soprattutto, lo ius civile avrebbe conservato per sempre il crisma della legittimità, di una
autorevolezza e sacralità scaturente dalle remote e nobili origini quiritarie. Ad esso, quindi, si
sarebbe fatto continuo riferimento, non solo per ribadire la vigenza e l’obbligatorietà di quegli
istituti giuridici che si volevano conservare intatti e vitali, ma anche per ammantare di solennità
princìpi di diritto artatamente presentati come arcaici, anche se, in realtà, di più recente
introduzione.
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