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ANALISI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO:
IL CASO DI UN ISTITUTO DI CREDITO
VINCENZO FORMISANO*
Sommario 1. IL CLIMA ORGANIZZATIVO: SIGNIFICATO, CARATTERISTICHE E STRUMENTI DI ANALISI. 1.1 PARADIGMI TEORICI DI RIFERIMENTO. 1.2 ANALISI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO: STRUTTURALE, PERCETTIVO, INTERATTIVO E
CULTURALE. 1.3 CLIMA ORGANIZZATIVO E FATTORI DI
INTERESSE: SODDISFAZIONE LAVORATIVA, MOTIVAZIONE E VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCES. 1.4 IL CAMBIAMENTO ORGANIZZATIVO, L’ANALISI DI CLIMA E GLI
EFFETTI SULLE RISORSE UMANE. 1.5 DIMENSIONI E
STRUMENTI DI ANALISI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO. 2.
ANALISI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO: IL CASO BANCA
POPOLARE DEL CASSINATE. 3. ANALISI DEI RISULTATI
E CONCLUSIONI.
Sintesi
I cambiamenti strutturali intervenuti nel sistema finanziario hanno ampliato le possibili traiettorie evolutive delle organizzazioni che in esso
operano, portando, al contempo, ad una riqualificazione del rapporto
tra intermediari, soprattutto bancari, e imprese. Segnatamente emergono nuovi e variegati comportamenti degli intermediari: alcuni puntano su una presenza significativa su molteplici mercati, secondo un approccio imprenditoriale di tipo differenziato al contesto di riferimento; altri incentrano l’operatività su specifiche linee di prodotto o segmenti di clientela, secondo un approccio essenzialmente di tipo concentrato. L’importanza riconosciuta al Know-How quale “driver” del
successo di un’impresa è confermata dall’enfasi sul ruolo strategico che
le risorse immateriali, ed in particolare le risorse umane, possono ricoprire nei processi volti alla creazione di valore prospettico. Da questa
consapevolezza nasce l’esigenza di un riesame strutturale dei sistemi
* Vincenzo Formisano, Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese, Università di Cassino.
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professionali, delle modalità di organizzazione del lavoro e delle prassi di gestione e sviluppo del personale adottate dall’impresa. La “centralità” delle risorse umane nei processi aziendali emerge non solo in virtù di considerazioni meramente etiche, ma perché la competitività
ed il raggiungimento di un vantaggio sostenibile nel tempo, derivano
dal possedere risorse uniche e difficilmente imitabili dalla concorrenza ed oggi la risorsa che più di ogni altra riesce a soddisfare queste
caratteristiche è quella umana. Obiettivo del presente lavoro è quello
di studiare il significato, le caratteristiche e gli strumenti di analisi del
clima organizzativo negli istituti di credito e verificarne gli effetti sulle risorse umane. Lo studio si conclude con la presentazione di un caso aziendale.
1. Il Clima Organizzativo: significato, caratteristiche e strumenti di
analisi
1.1 Paradigmi teorici di riferimento
La nozione di clima organizzativo ha visto riconoscersi nel tempo un livello di attenzione crescente, riuscendo ad affermarsi come un interessante
supporto per comprendere le organizzazioni, non solo dal punto di vista
strutturale, ma soprattutto dal punto di vista psicosociale.
Si può affermare che l’interesse mostrato verso gli studi sul clima sia cresciuto parallelamente alla volontà di apportare miglioramenti all’ambiente sociale e umano: effettuare una diagnosi del clima organizzativo, può infatti portare a riconoscere ed analizzare alcuni segnali rilevanti che, una volta compresi, facilitano l’individuazione di nuove e più efficaci modalità di
gestione della quotidianità.
Fornire una definizione univoca del concetto di clima organizzativo non
è cosa facile; ancora oggi è infatti quantomeno improbabile identificare con
certezza assoluta le sue componenti concettuali ed operative1.
La storia degli studi sul clima organizzativo può essere utilmente ricondotta a diverse fasi:
1 CASCIOLI, A.- CASCIOLI P. (1991), Clima organizzativo e cultura aziendale. Psicologia e Lavoro 1.
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1. introduzione, è la fase di studio e ricerca preliminare, ricca di contributi, che comprende il decennio 1964-1974;
2. definizione su base concettuale, collocabile intorno all’anno 1975, quando si tenta di legittimare il clima organizzativo non solo come concetto
o oggetto di ricerca, ma come vero e proprio modello di analisi e lettura
dei fatti organizzativi. Lo sforzo è quello di definire un modello formalizzato per arrivare a concludere il periodo di sperimentazione.
3. fase del “dibattito”, coincidente con gli anni 1976-1980, caratterizzata dal consolidamento delle posizioni emerse negli anni precedenti e
dominata dal dibattito tra i due orientamenti di fondo prevalenti:
quello più propriamente organizzativo e quello psicologico. In questo
periodo l’analisi si concentra sulle varie sfaccettature del concetto di
clima: il clima e le strutture; la realtà del clima psicologico; le implicazioni gestionali; il clima e il successo organizzativo.
4. fase dell’impegno intellettuale, a partire dagli anni ‘80, caratterizzata dalla consapevolezza della necessità di un nuovo impegno, anche intellettuale, nell’affrontare il tema del clima organizzativo. All’incertezza del
periodo precedente, subentra una più adulta e matura convinzione della complessità del tema e della difficoltà di elaborare modelli soddisfacenti per affrontarlo. Al tempo stesso si presentano nuove connessioni del clima con altri temi organizzativi. In questo periodo si tenta di
pervenire ad un nuovo modello di clima attraverso la proposta di una triplice lettura, individuale, di gruppo ed organizzativo, che sottolinea
l’influenza del clima psicologico sul comportamento lavorativo.
L’ipotesi di base, comune alle diverse fasi e ai diversi approcci, è che i risultati e le performances delle organizzazioni, indipendentemente dal fatto
che siano espressi in termini di prodotti/servizi o in termini di “immagine aziendale”, scaturiscono dall’interazione tra le diverse componenti
soggettive e oggettive dell’organizzazione.
Il clima organizzativo, adottando un approccio tradizionale e funzionale,
è stato studiato da alcuni Autori, come caratteristica o attributo proprio
di un’organizzazione. Tra questi vanno ricordati innanzitutto James e
Jones (1974)2 secondo i quali l’analisi del clima organizzativo poteva
evolvere in due ulteriori approcci: il primo, che per descrivere il clima si avvaleva di indicatori oggettivi; il secondo che si basava invece su misure per-
2 Il testo in cui i due Autori presentavano tali idee è: JAMES, L.R. e JONES, A.P. (1974), Organizational climate: A review of theory and research. Psichological Bullettin.
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cettive, soggettive di attributi organizzativi. Fondando su queste ispirazioni altri studiosi arrivarono a formulare alcune definizioni.
In particolare, accogliendo il primo approccio, il clima è stato inteso come
“un insieme di caratteristiche relativamente durevoli che permettono di descrivere un’organizzazione e di distinguerla dalle altre; tali caratteristiche influenzano il comportamento degli individui al suo interno”3.
Diversamente, basandosi sul secondo approccio il clima è stato definito
quale “un insieme di attributi specifici di una particolare organizzazione, deducibili dal modo in cui l’organizzazione si rapporta ai propri membri e al
proprio ambiente. Per ogni lavoratore, membro dell’organizzazione, il clima
prende la forma di una serie di atteggiamenti e di aspettative che descrivono
l’organizzazione in termini di caratteristiche statiche (come il livello di autonomia), di conseguenze comportamentali e dei relativi risultati”4.
Prima di procedere ad ulteriore approfondimento è comunque opportuno
risalire a quella che è considerata come la matrice originaria e comune ai diversi studi sul clima organizzativo e cioè il lavoro di Lewin5 sulla dinamica
di gruppo. Da sottolineare è la cosiddetta teoria del campo in virtù della quale il comportamento umano può essere indagato secondo la funzione:
C = f (A,P)
dove C, comportamento umano, è espresso in fuzione (f) dell’ambiente (A)
in cui la persona vive e lavora e della persona stessa (P), con le sue caratteristiche (personalità, carattere, esperienza). In realtà, non essendo facile isolare le due componenti citate, Lewin stesso ne suggerì la trasformazione in
3 Tale definizione è da attribuire al lavoro di FOREHAND G.A., GILMER, H.B. 1964 Environmental variation in studies of organizational behavior, Psychological Bulletin, vol. 62,
4 In questo caso il riferimento è al lavoro di CAMPBELL, J.P., DUNNETTE, M.D., LAWLER, E.E., WEICK,
K.E., Managerial behavior, performance and effectiveness, McGraw Hill, New York, 1970.
5 Lewin, psicologo statunitense di origine tedesca, si occupò con grande attenzione del problema della motivazione individuale e di gruppo (nonché dello sviluppo infantile e sulle caratteristiche della personalità), influenzando notevolmente la moderna ricerca psicologica. Tra le sue teorie di rilevo è la “teoria del campo”, che descrive la
realtà psichica come sistema dinamico comprensivo di persona e ambiente. Il concetto di campo, ripreso dalle scienze fisiche, si riferisce a un sistema globale di forze in movimento, le cui leggi non dipendono dagli elementi presenti nel campo stesso ma dalle loro relazioni. Il campo è una totalità di fatti coesistenti che sono reciprocamente interdipendenti. La psicologia, secondo Lewin, deve dunque concepire lo spazio vitale, comprendente persona e ambiente, come un solo campo, in cui l’individuo è modificato dall’ambiente e viceversa. Di conseguenza il
comportamento, dovrebbe essere analizzato non solo in rapporto alla persona e all’ambiente ma come parte attiva della loro formazione, in quanto ogni azione produce dei risultati che cambiano la situazione.
Lewin si è occupato anche delle dinamiche di gruppo. Il gruppo è da lui concepito come una totalità dinamica: i problemi di gruppo non sarebbero riconducibili ai problemi di ogni suo singolo elemento perché i bisogni del gruppo non sono riducibili ai bisogni dei singoli. (Enciclopedia Treccani).
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C = f (A,P)= f (SpV)
dove Persona e Ambiente sono unite nella variabile “Spazio di Vita” in cui
confluiscono gli stimoli derivanti dall’interazione dei due elementi: viene
qui introdotto il concetto di interdipendenza per indicare un rapporto di
influenza reciproca dal quale nasce un sistema dinamico che non è rappresentabile come semplice somma delle sue componenti ma come un sistema di forze in equilibrio. Questo sistema, utile per la comprensione dei
comportamenti individuali, costituisce dunque la base di partenza per
analizzare le interazioni sociali non limitandosi a ciò che viene percepito
immediatamente come tale ma indagando nel più ampio ambito dell’atmosfera sociale, comprensivo dell’insieme delle attività entro cui si manifestano i comportamenti dei singoli.
È ancora Lewin ad introdurre per la prima volta nel 1939 il concetto di “clima sociale”6 presentandolo in un lavoro in cui venivano descritte le conseguenze prodotte da differenti stili di leadership sui gruppi e nei vissuti interpersonali; solo trent’anni dopo il concetto di clima sociale venne adottato da studiosi di stampo comportamentista per essere applicato al management e agli studi sull’efficienza organizzativa.
Tra i diversi autori che hanno inteso proporre ulteriori contributi per lo studio del clima organizzativo, Argyris (1958) è forse il primo a coniare il
termine “organizational climate” e ad utilizzare il concetto per sviluppare un
vero e proprio modello in cui risaltano tre gruppi di variabili organizzative:
∑• le politiche, le procedure e le posizioni formali nell’organizzazione;
∑• i fattori personali (bisogni, valori e capacità individuali);
∑• l’insieme di variabili legate agli sforzi degli individui per allineare i propri fini a quelli dell’organizzazione.
Queste variabili identificano l’ “organizational behavior” ossia il campo di
analisi discreto, risultante dall’interazione tra i livelli di analisi individuale, formale, informale e culturale7.
Argyris, importante studioso di tematiche organizzative, identificava il clima/morale con lo stato del sistema: il clima, visto come un processo dinamico, è cioè un elemento di regolazione del sistema organizzativo che ne
permette il funzionamento.
6 Lewin collaborò con altri esponenti Lippit e White e trattò il tema del clima sociale nella pubblicazione sulla psicologia umana “Patterns of aggressive behaviour in experimentally created “Social Climate”.
7 DE CASTRI M., TOMASI D., HINNA A. Organizzazione d’azienda. Materiali di studio, 2003, Aracne, Roma
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Negli anni immediatamente successivi McGregor8 utilizzava il concetto di
“managerial climate” per indicare il clima percepito dal gruppo dei lavoratori derivante dalle modalità gestionali adottate dai manager.
Durante gli anni ‘70 invece, altri teorici contribuirono a definire il concetto, considerando il clima organizzativo come una qualità relativamente durevole dell’ambiente interno di un’organizzazione risultante dal comportamento e dalle politiche dei suoi componenti, specialmente del top management: il clima è “percepito” dai membri dell’organizzazione e serve sia come base per interpretare le situazioni organizzative e sia come fonte di pressione per dirigere le attività e distinguere un’organizzazione da un’altra.
Da questi studi, Payne e Pugh9, nel loro scritto “Organizational structure and climate”, arrivarono a formulare ipotesi più complesse, basate sulla relazione tra le varie dimensioni della struttura e i differenti aspetti del
clima, concludendo che il clima “descrive i processi comportamentali
caratteristici di un sistema sociale in un particolare momento. Questi
processi riflettono i valori, gli atteggiamenti e le credenze dei membri
dell’organizzazione che diventano, quindi, parte del concetto”. L’ipotesi
chiave di Payne e Pugh è che strutture diverse producono climi diversi
nei quali, nonostante la contemporanea presenza sia di variabili psicologiche che strutturali, le prime finiscono per essere ridotte e vincolate alle seconde.
Negli studi sul clima un ruolo importante è da attribuire ai lavori di
Schneider, che definisce il clima come “un insieme di percezioni globali che gli individui hanno del loro ambiente organizzativo e di lavoro; queste percezioni rifletterebbero l’interazione tra le caratteristiche personali e
organizzative, in quanto l’individuo, come elaboratore di informazioni,
usa gli input che gli provengono dagli eventi oggettivi, dalle caratteristiche
dell’organizzazione e dalle caratteristiche soggettive (valori, bisogni) del
percettore”.10
8 Mc Gregor (1960) proponeva due filosofie per descrivere il rapporto tra individuo e organizzazione. La prima rappresenta un modo di concepire l’organizzazione come un legame delle energie umane a disposizione
per il raggiungimento dei fini e degli obiettivi della organizzazione stessa (teoria X); in questo si rifà al modello di Taylor, il cre ntato ad un misconoscimento dei bisogni emotivi e personali dell’individuo
La seconda filosofia rivaluta invece pienamente l’individuo con le sue esigenze e le sue potenzialità positive(teoria Y).. (DECASTRI M., TOMASI D., HINNA A. Organizzazione d’azienda. Materiali di studio, 2003, Aracne, Roma)
9 DE VITO PISCICELLI P., Il clima organizzativo e le sue dimensioni; Psicologia e lavoro 2, 1984
10 La definizione è da attribuire a SCHNEIDER B., I climi organizzativi, Psicologia e lavoro, 47, 1978.
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1.2 Analisi del clima organizzativo: strutturale, percettivo, interattivo e
culturale
Tenendo presente la scansione temporale effettuata, è possibile descrivere il concetto di clima organizzativo facendo riferimento ai quattro approcci di studio che ne hanno maggiormente caratterizzato le ricerche11:
• approccio strutturale;
• approccio percettivo;
• approccio interattivo;
• approccio culturale.
L’approccio strutturale s’interessa principalmente dei rapporti tra misure percettive e oggettive del clima organizzativo. Il clima è considerato
come un attributo dell’organizzazione che esiste indipendentemente dalle percezioni individuali dei suoi membri; atteggiamenti, valori e percezioni di questi ultimi risultano essere invece influenzati dalle condizioni esistenti nella struttura. Questa impostazione è condivisa da Payne e Pugh, autori richiamati in precedenza, secondo i quali il clima si forma dagli aspetti oggettivi della struttura organizzativa che sono:
• dimensioni;
• grado di centralizzazione delle decisioni;
• numero dei livelli gerarchici;
• tipo di tecnologia impiegata;
• ruoli formali;
• politiche del personale.
In quest’ottica, aspetti essenziali dell’impresa quali dimensioni, scala gerarchica, tecnologie e strumenti impiegati, sono valutati con i comportamenti e le formalità richieste ai dipendenti. Il risultato è che l’organizzazione produce da sé un clima con caratteristiche indipendenti da quelle percepite dai suoi componenti, e le persone acquisiscono il clima della struttura nella quale operano.
11 La classificazione cui si fa riferimento è stata proposta da Moran&Volkwein, pubblicata nel 1992 sulla rivista specializzata Human Relations e comunemente accettata, anche se nella realtà le varie concezioni di clima organizzativo, che possono apparire così separate, sono spesso molto vicine. Le situazioni reali sono infatti sempre più riconducibili a posizioni intermedie piuttosto che ad un unico approccio.
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L’approccio strutturale deriva dunque da quella tradizione intellettuale che
sostiene che la realtà deriva unicamente da condizioni oggettive. Sebbene
taluni aspetti di tale impostazione possono essere condivisi, si notano
in essa delle carenze oggettive, come il non poter spiegare perché in reparti diversi della stessa struttura il clima possa essere percepito dai membri
in maniera anche molto diversa12.
Mentre la prospettiva strutturale pone l’attenzione sulle proprietà costitutive delle organizzazioni, l’approccio percettivo si focalizza sulle prerogative dell’individuo affermando che i singoli rispondono ed interpretano le variabili situazionali in base ad aspetti psicologicamente significativi per loro, e non più basandosi esclusivamente sulle caratteristiche oggettive della situazione o della struttura.
L’approccio percettivo crede quindi che il clima derivi da processi di elaborazione ed interpretazione psicologica compiuti su qualche elemento dell’ambiente, ritenuto di interesse. In altre parole, il soggetto percepisce il contesto
organizzativo creando un’astrazione o rappresentazione psicologica del clima stesso attraverso dei processi di cui fanno parte le comunicazioni, la leadership, le modalità del processo decisionale operanti nell’organizzazione.
Le percezioni costituiscono quindi una mappa cognitiva di funzionamento dell’organizzazione che viene ampiamente utilizzata e suggerisce
agli individui i comportamenti più appropriati da adottare in specifiche situazioni. In quest’accezione, mentre la soddisfazione si riferisce ad una valutazione fondata sullo stato interno dell’individuo, il clima diventa un elemento legato alla descrizione dello stato organizzativo esterno.
12 THOMAS MORAN E., FREDERICKS VOLKWEIN J. (1992), The cultural approach to the formation
of organizational climate. Rivista Human Relations. (Trad. it. Fabio Biancalani). Nella presentazione dell’
articolo si legge: “This paper examines approaches to the formation of organizational climate. Three perspectives appearing in the literature the structural, the perceptual, and the interactive are identified and examined. Additionally, a perspective termed the "cultural approach" is developed. This approach posits that organizational climate arises from the intersubjectivity of members as they interact within a context established by an organization’s culture. A definition of organizational climate, informed by this approach, is presented. Finally, distinctions
between organizational climate and organizational culture are examined”.
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Ciò che emerge da un’analisi percettiva riguarda dunque aspetti della personalità, delle relazioni, della considerazione del posto occupato nella scala gerarchica. Adottando tale ottica di ricerca, possono essere sicuramente ricavate informazioni sulla visione dell’individuo circa la realtà lavorativa e crea gli
accadimenti che si susseguono intorno, pur rimanendo ad un livello di analisi troppo poco oggettivo. Conseguenza di ciò è la sottolineatura del clima
psicologico piuttosto che di clima organizzativo, essendo il risultato una descrizione del contesto fondata su basi intuitive ed elaborazioni psicologiche.
In tale contesto ci si trova nella situazione complementare all’approccio
strutturale: qui è l’individuo che impone all’organizzazione il suo significato e il suo modo di reagire all’ambiente circostante.
Diversa è la posizione assunta da chi sostiene l’approccio interattivo che
considera come presupposti per descrivere il clima:
- le interazioni tra gli individui
- il modo in cui l’impresa viene vista da coloro cha la vivono.
Si abbandona quindi l’idea che l’origine del clima sia da ricercare esclusivamente nelle caratteristiche dell’organizzazione o nelle percezioni soggettive.
Il fondamento di quest’approccio è che l’interazione tra gli individui in risposta al contesto fa emergere il “consenso delle parti” che rappresenta la vera base del clima organizzativo. Suo importante sostenitore fu Schneider che
condusse diverse ricerche su questo tema e, nel tentativo di superare i limiti
degli studi precedenti, propose un nuovo modello di studio (che va oltre la
contrapposizione individuo/contesto organizzativo) ipotizzando che gli
individui formano, controllano, sospendono, trasformano le percezioni degli eventi alla luce delle interazioni che hanno con gli altri nell’ambiente.13
13 Ad esempio, in un lavoro del 1983, Shneider analizza congiuntamente: scale di misura della soddisfazione e
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Il clima organizzativo viene dunque concepito come una caratteristica
delle organizzazioni riflettendosi nelle descrizioni che i singoli fanno
delle politiche, delle pratiche e delle condizioni esistenti nell’ambiente
di lavoro.
Tale approccio che si avvicina ad una visione più complessa e più completa dell’argomento, riconosce che i processi relazionali generano significato e richiedono l’interazione tra il contesto oggettivo (approccio
strutturale) e la consapevolezza soggettiva (approccio percettivo) autentica novità rispetto alle tesi precedenti.
Tutto ciò presuppone l’esistenza di un elemento essenziale: la comunicazione, che diventa la raffigurazione dell’interazione tra i componenti di un
gruppo e partecipa quindi come elemento centrale alla formazione del clima.
Concludendo, è possibile affermare che secondo quest’ottica una parte di clima è formato dalla struttura dell’organizzazione così come essa è, un’altra parte dalle personalità individuali e adesso anche dalle
loro interazioni.
del clima organizzativo, indici oggettivi, turnover e indici di efficacia. Dall’analisi emerse che clima e soddisfazione sono correlati in egual misura per alcuni individui e per alcuni ruoli organizzativi, ma non per tutti. Le persone forniscono giudizi più o meno omologhi per il clima più di quanto facciano per la soddisfazione, mentre
entrambi i due costrutti non risultano significativamente correlati ai dati relativi l’efficacia. La soddisfazione poi,
diversamente dal clima, risulta correlata dal turnover. (quanto detto è stato tratto da D’Amato, A., Majer, V., Il
vantaggio del clima. La ricerca del clima per lo sviluppo organizzativo, Raffaello Cortina Editore, 2005, che a sua
volta si riferisce a Shneider, B., Reiches, A.E., On the etiology of climates, Personnel Psychology, 1983).
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In ultimo, il cosiddetto approccio culturale sposta l’attenzione dalle percezioni individuali (approccio percettivo) all’interazione tra individui, (concetto espresso già in dall’approccio interattivo) e, compiendo un ulteriore evoluzione rispetto a quest’ultimo, passa a delineare il ruolo che la
cultura organizzativa ha nella formazione del clima, abbracciando una
visione di tipo sociologico.
La cultura, nella più ampia accezione del termine, contiene elementi come
i valori, le norme, le conoscenze formali, le credenze, i significati storicamente costruiti che, considerati unitamente, orientano le azioni verso il
consenso, rendono possibili gli sforzi organizzativi e, dunque, sostengono l’esistenza dell’organizzazione stessa.
In sintesi, la cultura è basata su:
1. contenuto, ovvero il significato dato da credenze, norme e ideologie
che collegano le persone e permettono loro di interpretare la realtà
che li circonda;
2. modo, cioè la forma in cui vengono espressi i significati, sia direttamente che indirettamente, tramite l’elaborazione di modelli condivisi, rituali e simboli.
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L’approccio culturale sottolinea il ruolo critico che riveste la cultura organizzativa nel modellare i processi che producono il clima, nonché il tipo di
relazione che lega il clima stesso con la cultura: mentre quest’ultima cresce lentamente, nel senso che esiste quando una certa unità sociale vive da
lungo tempo il clima, pur essendo composto dagli stessi elementi della cultura, prende forma più rapidamente e più rapidamente si rinnova. Il clima
agisce infatti sul livello degli atteggiamenti e dei valori, mentre la cultura
agisce anche su livelli più “profondi” (ideologie, filosofie di un’organizzazione). Il clima aziendale è anche il risultato delle variazioni di breve periodo dell’ambiente interno ed esterno dell’organizzazione.
Per comprendere il significato di quanto asserito si può pensare ad una situazione in cui si verifichino cambiamenti di persone nello staff, tagli di budget, licenziamenti o nuove politiche del personale. Tali eventi possono sicuramente
colpire velocemente il clima di un’azienda, ma è molto improbabile che abbiano lo stesso impatto sulla cultura. In ogni caso, va detto che anche il sapere è un
elemento dinamico e, se pur lentamente, può cambiare evolvendo dalle cognizioni attraverso cui l’uomo diventa consapevole della propria esperienza.
Clima e cultura si trovano quindi ad interagire attraverso i processi di
socializzazione ed interazione fra i soggetti dell’organizzazione contribuendo a delineare l’essenza dell’organizzazione stessa.
1.3 Clima organizzativo e fattori di interesse: soddisfazione lavorativa, motivazione e valutazione delle performances
L’importanza del clima organizzativo in azienda e sul luogo di lavoro, ed
i sui riflessi sul benessere percepito dei lavoratori è stato evidenziato da
gran parte della letteratura inerente gli studi di organizzazione.
La relazione clima-benessere rappresenta oggi un tema di grande interesse e sempre più spesso viene indicato come uno dei fattori esplicativi del
livello di qualità raggiunto dall’azienda.
Per comprendere come questa relazione si realizzi è opportuno illustrare
sinteticamente le caratteristiche di alcuni elementi che in misura diversa,
possono avere un impatto su di essa come il concetto di soddisfazione sul
lavoro, di motivazione e di valutazione delle performances.
La soddisfazione lavorativa, primo elemento da analizzare, è certamente
un aspetto fondamentale nella gestione delle risorse umane in quanto, se
sperimentata, facilita il raggiungimento degli obiettivi aziendali e contribuisce ad innescare processi virtuosi di generazione di valore.
Essa può essere considerata come un indicatore di appagamento e di apprezzamento che gli individui utilizzano per segnalare la qualità delle lo58
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ro relazioni con l’organizzazione14; essa si riferisce al grado di appagamento relativo alla situazione lavorativa dell’individuo dovuta alla soddisfazione di un bisogno, al raggiungimento di un obiettivo precedentemente
individuato (in ciò si richiama la teoria di Maslow15) .
Le componenti principali della soddisfazione lavorativa sono riconducibili alle seguenti tre dimensioni:
- valori personali connessi al lavoro;
- l’importanza attribuita a questo;
- percezione16.
Pur essendo strettamente connessi, è possibile rilevare netta la differenza
tra il concetto di “soddisfazione lavorativa”, ed i concetti di “morale” e
“coinvolgimento nel lavoro”, infatti:
• il morale è una sorta di immagine esplicativa di una reazione di
gruppo ed include il livello generale di soddisfazione ed il desiderio
di trovarsi all’interno di una certa organizzazione.
• Il coinvolgimento nel lavoro si riferisce al grado in cui una persona
viene assorbita dal proprio lavoro, ritenuto soddisfacente o insoddisfacente a seconda del risultato di tale coinvolgimento.
La non soddisfazione, o l’insoddisfazione, è da tenere costantemente
sotto controllo perché pregiudica l’ottenimento dei risultati sperati. Necessario è quindi monitorarne le possibili cause.
Esse sono riconducibili a tre categorie principali:
- una prima fonte di insoddisfazione si riferisce al contenuto del lavoro, alla natura del compito, alle sue concrete modalità di svolgimento e all’ambiente fisico in cui esso si svolge;
- una seconda categoria si riferisce invece all’ambiente sociale nel
quale il lavoratore opera e alla dinamica dei ruoli organizzativi;
- la terza categoria di fonti di insoddisfazione è invece legata a variabili legate alle differenze individuali.
14 Una possibile definizione di soddisfazione lavorativa è quella proposta da Locke (1967) secondo il quale la
soddisfazione è un sentimento di piacevolezza derivante dalla percezione che l’attività professionale svolta consente di soddisfare importanti valori personali connessi al lavoro.
15 Maslow, noto studioso di tematiche organizzative, porpone un modello di crescita motivazionale, in cui vengono messe in evidenza sia la gerarchia, sia la genesi delle diverse motivazioni. È stato il primo autore a pensare ad una gerarchia dei bisogni umani, descritti nella cosiddetta piramide dei bisogni, comprensiva di cinque categorie: fisiologici, sicurezza, appartenenza, stima, autorealizzazione: partendo dal livello più basso,
man mano che l’uomo soddisfa ognuno di questi bisogni, si fa vivo un bisogno di ordine superiore e i relativi problemi. Il raggiungimento della soddisfazione è il raggiungimento dell’obiettivo, ed è ciò che motiva l’uomo. La motivazione è la prima spinta di ogni azione. (MASLOW, A. H., Motivazione e personalità,
Armando, Roma 2002).
16 Il riferimento è alle idee di AVALLONE F., ARNOLD J & DE WITTE K. (1997) Feelings work in Europe.
Quaderni di Psicologia del Lavoro n. 5. Milano: Guerini
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Non tutti gli individui reagiscono infatti allo stesso modo; alcune teorie a
riguardo cercano di spiegare questa asserzione basandosi sull’assunto
che le valutazioni delle persone rispetto a ciò che si aspettano dal lavoro,
differiscono perché i singoli utilizzano diversamente i propri costrutti cognitivi. In altre parole, il livello di soddisfazione deriva dalla differenze tra
ciò che si desidera e ciò che viene esperito sul lavoro.
Come detto, tra clima e soddisfazione lavorativa sussiste un legame molto stretto, ma non va dimenticato che tra i due concetti permangono delle differenze di rilievo.
Innanzitutto il clima è una percezione sviluppata principalmente a livello
di gruppo, mentre la soddisfazione è maturata a livello puramente individuale. Inoltre, se il clima è una caratteristica dell’organizzazione presente nelle descrizioni dei membri, la soddisfazione è una risposta affettiva degli individui che si presenta nelle valutazioni soggettive del lavoro.
Fermo restando quanto detto, misurare il grado di soddisfazione in un contesto lavorativo si rivela essere uno strumento utile per comprendere a fondo la situazione in cui si opera; tale analisi permette infatti di migliorare la
comunicazione con i lavoratori, di valutare gli effetti del cambiamento e
diagnosticare i problemi dell’organizzazione. Oltre a questo l’analisi può
essere anche finalizzata ad un’opera di prevenzione e cioè evitare che si crei
insoddisfazione nei confronti del contesto lavorativo, con indubbie conseguenze negative per l’organizzazione: abbassamento della performance e del sentimento di appartenenza, assenteismo e turnover, problemi di
equilibrio psico-fisico.
Per massimizzare le prestazioni dei lavoratori e quindi i risultati in termini di
produttività e successo dell’azienda, è altresì importante cercare di stimolare e accrescere continuamente la motivazione al lavoro di ciascun dipendente. La motivazione è in grado di influire anche sul clima organizzativo percepito dai lavoratori ed il management dovrebbe essere costantemente teso a favorire il progressivo avvicinamento fra il progetto aziendale e il progetto di
vita di ogni individuo, liberando così le potenzialità esistenti all’interno del sistema organizzativo, così come all’interno del sistema individuale.
Il termine “motivazione”17 indica il complesso insieme di variabili che attivano, dirigono e sostengono nel tempo il comportamento, conducendo l’in17 La motivazione è definibile come una delle determinanti della prestazione ed è rappresentabile da un set di forze a livello individuale che danno avvio o sostegno alla condotta lavorativa, influenzandone:
- la direzione (dei corsi di attività)
- l’intensità (del livello dello sforzo)
- la persistenza (cioè la continuità di fronte ad ostacoli, difficoltà ed imprevisti)
M=DxIxP
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dividuo ad applicarsi con impegno nel lavoro. Si tratta di bisogni, desideri,
valori, aspettative e progetti di vita personali, ma anche di forze che derivano da compiti, obiettivi, relazioni sociali, struttura e cultura organizzativa.
Come sintetizzato nella rappresentazione grafica seguente, la motivazione ha una natura ciclica e non può essere identificata né con il comportamento in sé, né con la performance poiché riguarda l’azione delle forze
interne ed esterne che portano una persona ad agire.
Lo studio della motivazione si interessa del perché le persone si comportano in un certo modo, perché scelgono un particolare corso di azioni preferendole ad altre, perché continuano nell’azione scelta, spesso per
un lungo periodo, fronteggiando difficoltà e problemi.
Se, come sostenuto autorevolmente in dottrina, è vero che l’uomo, sistema organico e non meccanico, è motivato per sua natura (McGregor, 1966), allora
la sfida è quella di dirigere le energie in particolari azioni piuttosto che in altre.
Solo raramente il comportamento umano può considerarsi come una risposta diretta alla realtà, molto più spesso è, invece, una reazione alla percezione della realtà.
Per questo motivo l’analisi del clima organizzativo è strettamente connessa con il livello motivazionale e la sua determinazione risulta importante
per guidare le scelte strategiche dell’azienda. Una volta analizzato e rilevato il clima presente, si può decidere infatti in quale aree intervenire e
quali cambiamenti attuare per ottimizzare l’attività lavorativa.18
18 Possibili interventi migliorativi si potrebbero ad esempio avere ricorrendo a: rotazione degli operatori su compiti diversi, ampliamento, allargamento della gamma dei compiti compresi nell’attività lavorativa, arricchimento, inserimento di elementi di maggiore varietà attraverso la ricomposizione del ciclo produttivo.
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Soddisfazione lavorativa e motivazione al lavoro rappresentano fattori in
grado di influenzare la natura e l’entità del clima organizzativo ed, in maniera indiretta, la misura delle performance aziendali.
Il continuo mutamento dei fattori chiave per la competitività costringe il
management a tenere costantemente sotto controllo il comportamento
dell’azienda. Non ci si può infatti affidare troppo a lungo alle formule di
successo conosciute e alle conoscenze consolidate perché ciò che ha portato al successo in un determinato periodo può essere esattamente ciò che
può portare al fallimento nei periodi successivi, al cambiare degli elementi dello scenario competitivo.
La misura della performance è un fattore che riguarda l’azienda nel suo complesso (e quindi anche sedi decentrate, specifici reparti o singoli responsabili) ed ha
per obiettivo quello di portare l’azienda a migliorare la capacità di regolare i propri risultati, fissando obiettivi generali per assumere poi decisioni specifiche.
I vari livelli di prestazione lavorativa da parte dei lavoratori possono essere determinati seguendo diversi approcci. Ad esempio, secondo la formula di Vroom19 scaturiscono dal prodotto “prestazione = abilità X motivazione”, mentre Schneider, inserendo un ulteriore elemento, afferma che la
prestazione é uguale all’abilità del soggetto accompagnata da un clima
che favorisca il manifestarsi delle differenze individuali (Schneider, 1978),
evidenziando l’importanza che il clima aziendale ricopre per determinare
e soprattutto, migliorare le performances dei lavoratori e quindi dell’azienda nel suo complesso.
1.4 Il cambiamento organizzativo, l’analisi di clima e gli effetti sulle risorse
umane
Le organizzazioni, nel corso della loro vita, sono interessate da continui
processi di trasformazione e cambiamento in virtù dei quali nessuna di es19 Victor Vroom propose un’ importante teoria anche sulla motivazione; la teoria si basa sul concetto di motivazione definita da due parametri: la valenza (ossia quanto l’individuo desideri una cosa) e l’aspettativa (ossia quanto creda di poter ottenere quella determinata cosa).
La valenza può andare da un valore di -1 a un valore di +1 in cui -1 rappresenta il non volere qualcosa, +1 il
volere qualcosa e 0 rappresenta l’indifferenza della persona
-1_______________0_______________+1
L’aspettativa invece va da un valore di 0 a un valore di +1 in cui 0 rappresenta il non credere di poter giungere a quel risultato con azioni specifiche e +1 invece rappresenta il credere che un’azione porterà ad un risultato; da qui si deduce che un’elevata valenza unita ad un’elevata aspettativa porteranno ad un’elevata motivazione. Nel caso uno dei due parametri sia basso la motivazione sarà moderata.
(Le teorie cui si è accennato sono tratte da A.Grandori, Organizzazione e comportamento economico, il mulino, Bologna, 1999; Comportamento Organizzativo, di Henry L. Tosi, Massimo Pilati, Neal P. Mero e John
R. Rizzo, edizioni Egea, Milano).
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se può porsi utilmente in maniera statica, tentando di conservare le caratteristiche originarie.
L’instabilità che caratterizza l’ambiente esterno rende necessario il confronto continuo dell’organizzazione con lo stesso, in modo da ricercare e
perseguire le modalità migliori per adattarsi alle esigenze sempre nuove e
mutevoli al fine di rispondere adeguatamente alle richieste del mercato.
Nel particolare ambito delle risorse umane, ed in riferimento ai componenti
dell’organizzazione, le trasformazioni formali e strutturali devono essere
sempre accompagnate da corrispondenti adeguamenti nelle componenti organizzative, evolvendo parallelamente ad esse per trovare un nuovo equilibrio.
L’organizzazione può vivere il cambiamento solo se con essa mutano le
stesse persone che ne costituiscono il fondamento.
È possibile affermare che i primi studi sul clima abbiano avuto origine proprio dalla volontà di affrontare il problema del cambiamento sociale ed organizzativo: cambiare è difficile, significa modificare delle regole già acquisite con il pericolo di minare alla base equilibri preesistenti e richiede di intervenire non solo sugli aspetti più superficiali ma anche su quelli meno visibili della realtà organizzativa. Il cambiamento è anche difficile da gestire, soprattutto se non viene creata un’azione in grado di supportare il
consolidamento di nuovi equilibri: il tentativo di rinnovamento viene
infatti precluso se non si riesce ad agire sul clima e sulla cultura aziendale.
Il problema è dunque agire sulla persona modificando il modo di “pensare l’organizzazione”. Per riuscire in questo è necessario adottare una vera
e propria filosofia d’azione generale20, logica e coerente con il cambiamento, tale da trasformare le politiche e le pratiche di gestione.
L’analisi del clima rappresenta uno strumento di estrema utilità proprio perché consente di individuare le aree di criticità su cui intervenire, i punti di
forza e le potenzialità delle risorse umane interne all’organizzazione,
nonché la disponibilità degli attori organizzativi a misurarsi con se stessi
e con il loro essere parte di un sistema complesso.
20 Tra le possibili filosofie d’azione si ricordano:
filosofia del Capitale Umano: le persone crescono e riescono ad essere creative se le condizioni esistenti lo permettono; fiducia, sostegno e relazioni interpersonali sono da valorizzare per perseguire il cambiamento;
filosofia socio-tecnica: il cambiamento sociale (delle persone) va attuato in modo integrato con quello tecnico evitando cioè di trascurare le possibili implicazioni sociali derivanti dall’introduzione di innovazione tecnologiche;
filosofia del Total Quality Management,di grande attualità: il cambiamento è radicale, totale e coinvolge tutti gli
attori dell’organizzazione. Il cliente è al centro dell’attenzione e, per soddisfarlo pienamente, il livello di qualità non può essere solo accettabile. Il TQM ha effetti sulla pianificazione preventiva, sulla formazione, sullo sviluppo di aspettative elevate sulla qualità; per questo si rende necessaria la collaborazione con i fornitori e soprattutto, un concreto sforzo del management nell’attuare un vero cambiamento di rotta rispetto al passato.
(B.BOLOGNINI, L’analisi del clima organizzativo, Carocci Editore, 2006)
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Conoscere il clima organizzativo vuol dire quindi “fotografare” lo stato di
salute di un’organizzazione così come è percepita da chi ne fa parte.
L’analisi di clima si pone come strumento di conoscenza utile per cogliere con precisione il percorso che l’organizzazione sta seguendo e la direzione verso la quale si sta muovendo; l’obiettivo che con essa si vuole
perseguire è prendere piena coscienza del percorso attraverso un’attenta,
dettagliata, condivisa conoscenza dei vissuti dei lavoratori, delle loro percezioni e stati d’animo21.
L’intervento di analisi del clima organizzativo comporta dunque indubbi
elementi di positività e attraverso la rilevazione e misurazione di eventuali tensioni preesistenti, contribuisce a ridurne la pericolosità.
Va comunque detto che, se da una parte si presenta come efficace strumento a supporto dell’attività dell’organizzazione, dall’altra comporta alcuni
rischi, legati al fatto che un’analisi di questo tipo può creare effetti inaspettati. In estrema sintesi è possibile elencare vantaggi e svantaggi connessi
all’analisi del clima organizzativo:
In definitiva, l’indagine di clima è identificabile come uno strumento di ricerca e insieme, d’intervento. Da una parte, infatti, studia gli aspetti strutturali che compongono l’organizzazione (ambiente fisico, gerarchia, percezioni sul lavoro, aspettative, rapporti intersoggettivi, aspirazioni), dall’altra fornisce un feedback sullo stato dell’organizzazione. Quest’ultimo
rappresenta solo un punto di partenza per intervenire sulla stessa e migliorarla (inserendo, ad esempio, piani e programmi mirati per raggiungere un
clima organizzativo ancora più soddisfacente).
21 Inoltre, fornendo informazioni precise sulla realtà organizzativa si rivela valido anche ai fini della pianificazione e programmazione poiché in grado di razionalizzare i problemi, reali, nascosti e ipotizzare quelli futuri, stimolando le persone ad acquisire consapevolezza di quanto accade nel contesto in cui si trovano a lavorare. In tal senso, gli stessi membri risultano preparati ad affrontare i cambiamenti, stimolati e motivati
ad attivare forze ed energie per risolvere eventuali difficoltà.
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Affinché questo sia possibile è però necessaria la compresenza di elementi che favoriscano un certo equilibrio organizzativo, e cioè:
• adeguata cultura organizzativa,
• accurati processi di selezione,
• persone giuste al posto giusto,
• condivisione delle informazioni,
• stile di leadership opportuno.
Possedere tutte queste condizioni rappresenterebbe una situazione “ideale” per qualsiasi organizzazione ma non va dimenticato che, a causa di cambiamenti sia di natura esterna che interna, l’equilibrio può essere turbato
e possono sorgere nuovi ostacoli per raggiungerlo.
Effettuare un’analisi del clima organizzativo non è solo utile ma diventa
addirittura auspicabile quando l’azienda prevede nuovi interventi o necessita di un “check up” organizzativo, o ancora quando attraversa un periodo di crisi caratterizzato da una certa tensione nella gestione delle risorse
umane. Lo studio del clima si rivela essere particolarmente interessante per
le ripercussioni che ha sui componenti dell’organizzazione.
Gli individui sono al tempo stesso soggetto ed oggetto dell’analisi e
quindi amplificano il loro grado di soddisfazione nei confronti del loro
lavoro (Effetto Hawthorne)22.
I singoli sono portati a riflettere su alcune particolari situazioni dell’organizzazione, confrontando la loro percezione con quella degli altri soggetti creando un senso di comprensione e valori condivisi.
Dunque, se l’organizzazione intraprende un processo di analisi organizzativa, assume anche la responsabilità di realizzare interventi finalizzati a favorire un miglioramento effettivo della qualità di vita delle risorse umane.
1.5 Dimensioni e strumenti di analisi del clima organizzativo
La rilevazione del clima organizzativo si presenta come un’attività particolarmente complessa a causa della natura altamente soggettiva e multi-dimensionale del fenomeno. Le dimensioni cui si fa riferimento nello studio
del clima, sono assai numerose e comprendono tutti quegli aspetti della vi-
22 L’effetto Hawthorne prende il nome dagli studi condotti negli anni ‘30, da Elton Mayo (negli impianti della Western Electric, ad Hawthorne),con i quali si rilevò che quando le persone vengono studiate o si trovano sotto osservazione, possono subire un’influenza sui loro comportamenti a livello di aumento della
motivazione e, nel caso specifico, della produttività.
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ta aziendale che, in modo più o meno intenso, riescono ad influire sull’entità e sulla percezione dello stesso.
Dall’analisi della letteratura, non risulta esserci un orientamento unico nella definizione di queste dimensioni: ogni Autore, partendo da studi precedenti, tende infatti ad eliminare alcune dimensioni e ad identificarne di nuove; altre volte, vengono invece utilizzati termini diversi per identificare dimensioni tra loro molto simili (riferite ad esempio ad una stessa situazione della quale però si colgono sfumature diverse)23.
Le situazioni sulle quali si può focalizzare l’attenzione possono essere, evidentemente, molteplici; per questo motivo, i diversi Autori, identificando di volta in volta le dimensioni per loro più salienti e significative, sono
arrivati a costruire di modelli di analisi con un numero variabile di dimensioni da osservare.
Le teorie e le pratiche inerenti il clima organizzativo hanno messo in evidenza che, ad oggi, lo strumento maggiormente utilizzato per diagnosticare lo stesso è il questionario24 che, in pratica, è lo strumento attraverso
il quale si “misurano” gli atteggiamenti, le opinioni, i pareri, le percezioni
dei singoli nei confronti delle varie componenti dell’organizzazione.
I questionari più utilizzati nelle ricerche e nelle organizzazioni sembrano
essere i seguenti:
Organizational Climate Questionnaire (OCQ, Litwin&Stringer, 1971)
È stato costruito da Litwin&Stringer (1968) allo scopo di analizzare le relazioni tra il contesto organizzativo e le percezioni dei suoi membri. Infatti, secondo gli stessi il clima organizzativo può essere definito operativamente come la somma delle percezioni degli individui che lavorano in
una organizzazione.
Il questionario contiene 50 item e i soggetti sono chiamati ad esprimere la
loro opinione usando una scala Likert a 4 punti, a seconda che siano: decisamente d’accordo, in accordo, in disaccordo o assolutamente in disaccordo con le affermazioni proposte. Precedentemente, gli stessi autori avevano ideato nove scale, definite come: struttura (8 items), che analizza i vissuti dei lavoratori nei confronti di metodi, regole e procedure del-
23 L’eventuale sovrapposizione di significato ricorre perché una data esperienza organizzativa può essere
descritta in molti modi. Ad esempio, alcuni possono descrivere il modo con cui si è supervisionati in termini di sostegno che i superiori concedono loro, altri possono dare maggior peso alla fiducia percepita, altri
ancora possono focalizzare la loro attenzione sull’autonomia accordata dai capi.
24 (Bailey Kenneth D., Metodi della ricerca sociale , Il Mulino Bologna 1982)
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l’organizzazione; responsabilità (7 items), che indaga quanto i membri si
sentono i capi di se stessi; premi (6 items), la presenza o meno di premi incentivanti; rischio (5 items), il senso di rischio e di sfida nel lavoro e nell’organizzazione; supporto (5 items), la percezione di aiuto da parte dei
managers e degli altri lavoratori; calore (5 items), unione e fiducia che si
percepisce nel contesto lavorativo; standards (6 items), la percezione
dell’importanza dei risultati impliciti ed espliciti.
In questo modello, il concetto di clima organizzativo è utilizzato come una
variabile interveniente, che media tra i fattori organizzativi e le tendenze
motivazionali. Fattori organizzativi come la struttura, la leadership, le
pratiche manageriali e i processi di decisione sono realtà. Ma queste realtà sono comprese solo se percepite dai membri dell’organizzazione, riconoscendo che il clima può essere visto come un filtro attraverso il quale devono passare i fenomeni oggettivi.25
Team Climate Inventory (TCI, Anderson & West, 1994)
Un altro questionario presente in letteratura e utilizzato per misurare il clima organizzativo è il TCI, ideato nel 1994 da Neil R. Anderson & Michael
A. West. Esso è composto da 61 items raggruppati in 4 scale: la visione del team di lavoro, che cerca di ricavare informazioni sulla visione dei membri di
un’organizzazione circa la chiarezza, l’attendibilità e i valori degli obiettivi
del gruppo. I soggetti devono esprimere la loro opinione rispondendo a 12
items e utilizzando una scala Likert a sette punti. La sicurezza di partecipazione, che viene divisa in due componenti: la partecipazione e la sicurezza del
gruppo. La prima viene sondata attraverso 15 items a cui bisogna rispondere con una scala a 5 punti; la seconda con 9 items, esprimendo le proprie percezioni sulla sicurezza del contesto lavorativo attraverso una scala a 5 punti. L’orientamento al compito, dove si analizza l’impegno all’orientamento
di merito, di valutazione e di operazione attraverso la presentazione di 17
items e la valutazione con una scala a 7 punti. Infine il sostegno all’innovazione, che analizza quanto tempo, risorse e pratiche vengono utilizzate
per sviluppare e sostenere nuove idee e sviluppi. La valutazione dei soggetti viene espressa attraverso una scala a 5 punti in risposta a 8 items.26
25 Patterson M.G., West M.A., Shackleton V.J., Dawson J.F., Lawthom R., Maitlis S., Robinson D.L., Wallace A.M., Validating the organizational climate measure: links to managerial practices, productivity and innovation; Journal of Organizational Behavior, 26 , 379-408 (2005).
26 Anderson, N.R., West, M.A, “Measuring climate for work group innovation: development and validation
of the team climate inventory”, Journal of Organizational Behavior, Vol. 19 No.3, pp.235-58.
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Work Environment Scale (WES, Rudolph Moos, 1994)
Questo strumento è stato sviluppato da Rodolph Moos nel 1994, che
propose una sua teoria e la Work Environment scale per misurarne le
componenti essenziali. La scala WES valuta il clima sociale di molti tipi di
unità del lavoro, mettenti a fuoco sui rapporti fra gli impiegati, fra gli
impiegati ed i soprintendenti e sulla struttura organizzativa e sul funzionamento dell’unità.
Essa si compone di 90 item con 10 subscale: coinvolgimento, quanto i dipendenti si sentono coinvolti ed impegnati nel loro lavoro; coesione tra
colleghi, quanto i dipendenti sono reciprocamente solidali, amichevoli;
supporto dei superiori, quanto i superiori incoraggiano e sostengono i dipendenti; autonomia, quanto i dipendenti sono incoraggiati a prendere decisioni autonome e ad essere autosufficienti; orientamento al compito, il
grado di importanza dato alla buona pianificazione, all’ efficienza ed al lavoro svolto; pressione sul lavoro, il grado di pressione sul lavoro e di urgenza che domina nell’ ambiente di lavoro; chiarezza, quanto gli impiegati conoscono effettivamente i loro compiti quotidiani e quanto le regole e le
rompe sono chiaramente comunicate ed esplicitate; controllo, quanto i superiori utilizzano regole e sistemi di pressione per controllare i dipendenti; innovazione, il grado di importanza attribuito alla varietà, al cambiamento ed ai nuovi approcci di lavoro; confort fisico, quanto la comodità e la bellezza dell’ ambiente fisico contribuisce a rendere più gradevole il lavoro27.
Majer-D’Amato Organizational Questionnaire (M-DOQ, Majer&D’Amato, 2001)
Il Majer-D’Amato Organizational Questionnaire si fonda sul modello
teorico che concepisce il clima come costrutto multi-dimensionale e un fenomeno complesso al quale partecipano una pluralità di cause e che si traducono poi in una pluralità di effetti (Quaglino&Mandler, 1987). Esso è
composto da 120 item proposti sottoforma di affermazioni alle quali il soggetto risponde esprimendo il proprio grado di accordo utilizzando una scala tipo Likert a 4 punti. Le affermazioni consentono di rilevare i vissuti dei
lavoratori in riferimento a 13 fattori (scale) in cui si articola il costrutto di
clima secondo il modello teorico di riferimento. I 13 fattori sono: team, che
analizza la coesione di gruppo; leadership, che analizza le relazioni e comu27 Moos, R. H. (1994). The social climate scales: A user’s guide (2nd Ed.). Palo Alto, California: Consulting Psychologists Press, Inc.
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nicazioni con i superiori; Job involvement, coinvolgimento nel lavoro e nella organizzazione; autonomia,autonomia e responsabilità nell’organizzazione del lavoro; libertà, libertà di manifestare i propri sentimenti e le
proprie idee; coerenza, coerenza fra orientamenti strategici e loro declinazione operativa; dinamismo,vitalità organizzativa e propensione all’innovazione; job description, chiarezza dei ruoli e dei compiti; equità, sensibilità sociale e sentimento d’imparzialità; sviluppo, apertura al progresso
sociale e personale; comunicazione, disponibilità e chiarezza nella diffusione delle informazioni; environment, ambiente fisico e psicologico; incentivazione,riconoscimento dei meriti e stimolo allo sviluppo professionale28.
Da quanto finora esposto si può facilmente intuire che, nella maggior
parte dei casi, gli strumenti di rilevazione del clima organizzativo, anche se
considerano dimensioni talvolta diverse, hanno come base comune il fatto che riconoscono alle percezioni soggettive dell’ambiente di lavoro, il
ruolo principale per la comprensione del clima.
I questionari presentati, cercando di descrivere come i lavoratori “vivono”
l’organizzazione cui appartengono, raffigurano il clima come una variabile che, con diverse sfumature, agisce tra il contesto organizzativo ed il comportamento dei lavoratori; è la natura stessa del concetto che impedisce,
come visto, di avere un modello di riferimento unico e comunemente
adottato per la sua valutazione ed analisi.
Tra le numerose soluzioni adottabili per misurare il clima organizzativo,
nel presente lavoro si è deciso di optare per l’impiego di un strumento di
rilevazione di recente elaborazione, ma già noto per il suo essere oltre che
teoricamente fondato, anche empiricamente convalidato: il Questionario
OCM, acronimo di Organizational Climate Measure, del quale si illustreranno basi teoriche e caratteristiche peculiari nel capitolo successivo.
2. Analisi del clima organizzativo: il caso Banca Popolare del Cassinate
La Banca Popolare del Cassinate, fondata nel 1955 a Cassino da Pier Carlo Restagno e da un gruppo di imprenditori locali, rappresenta oggi una delle più solide realtà bancarie tra le popolari di minori dimensioni.
Il suo patrimonio è di circa 80 milioni di Euro, con una raccolta diretta di
Euro 450 milioni ed indiretta di Euro 100 milioni , mentre gli impieghi sono di cira 300 milioni di Euro.
28 D’Amato A., Majer V.(2005), Majer D’Amato Organizational Questionnaire 10 (M_DOQ10). OS, Firenze.
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La rete degli sportelli è costituita da 20 unità localizzati tutti in provincia
di Frosinone.
I soci (circa 1.500) hanno avuto un rendimento nel 2008 del 7,25%
Ai 108 dipendenti della Banca popolare del Cassinate è stato somministrato
un questionario strutturato secondo il Modello OCM (Organizational Climate Measure). Il questionario OCM29 è il risultato di un’intensa attività di
studio e di ricerca portata avanti da un nutrito gruppo di studiosi30 con l’intento di sviluppare e convalidare uno strumento di misurazione del clima organizzativo “multidimensionale”, uno strumento capace cioè di legare la
valutazione del clima stesso, con aspetti riguardanti le pratiche manageriali,
la produttività e la propensione all’innovazione dell’organizzazione.
Gli ideatori del questionario OCM hanno affrontato come primo problema, quello di individuare le “giuste dimensioni” da inserire nel modello; tali
dimensioni dovevano infatti comprendere un set di variabili, organizzative e psicologiche, in grado di:
- rappresentare il contesto nel quale si svolgevano le azioni individuali
- condurre analisi comparative tra organizzazioni diverse.
Gli Autori, per rispondere a questa esigenza, ritennero opportuno fare riferimento al cosiddetto Competing Values Model, un modello teorico di
grande utilità poiché comprensivo dei principali approcci organizzativi
emersi fino a quel momento nella letteratura specializzata.
Il “modello dei valori competenti” di Robert Quinn e Rohrbaugh (1983)31
è stato sviluppato partendo dall’idea che i criteri organizzativi, che come
noto sono numerosi e assai diversificati, potevano essere meglio compresi se “classificati” lungo dimensioni fondamentali.
29 La costruzione del questionario è stata basata sull’analisi della pubblicazione “Validating th organizational
climate measure: links to managerial practices, productivity and innovation”. Tratta da Journal of Organizational Behavior, Pubblicato online in Wiley InterScience (www.interscience.wiley.com).
30 Gli studiosi cui si fa riferimento sono:
Patterson M.G.( Institute of Work Psychology, University of Sheffield, Sheffield, U.K.),
West M.A. (Work and Organizational Psychology, Aston Business School, Birmingham, U.K.),
Shackleton V.J(Work and Organizational Psychology, Aston Business School, Birmingham, U.K.),
Dawson J.F. (Work and Organizational Psychology, Aston Business School, Birmingham, U.K.),
Lawthom R.( Manchester Metropolitan University, Manchester, U.K.),
Maitlis S.( Sauder School of Business, University of British Columbia, Vancouver, British Columbia, Canada),
Robinson D.L.( Institute of Work Psychology, University of Sheffield, Sheffield, U.K.),
Wallace A.M. (University of Queensland, Brisbane, Queensland, Australia)
31 Alla definizione del modello parteciparono anche altri importanti studiosi del tempo, in particolare Quinn
collaborò con McGrath,( 1985) e con Gifford, Zammuto, & Goodman, (2002). Nei loro scritti essi sostengono che le ideologie manageriali possono essere recepite nelle organizzazioni in modo diverso; a seconda
di come queste vengono intese deriva poi la formazione di diverse culture organizzative. Punto essenziale
dei loro discorsi è che l’adozione di una certa ideologia o cultura organizzativa porterà l’organizzazione ad
agire in un certo modo e questo, conseguentemente, avrà riflessi sul clima organizzativo percepito.
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Sulla base di ricerche ed analisi statistiche condotte su specifici indicatori di efficacia organizzativa, essi riuscirono ad individuare due concezioni di fondo delle dimensioni organizzative:
• la prima, che si sviluppa in senso orizzontale, riguardante il grado di attenzione rivolto alle persone presenti nell’organizzazione o all’organizzazione in sé (orientamento interno – esterno);
• la seconda, che si muove in senso verticale, riferita al contrasto tra flessibilità/cambiamento e controllo/stabilità che caratterizza la struttura organizzativa (flessibilità – controllo).
Considerando congiuntamente le due dimensioni, si dà origine una griglia
di questo tipo:
e dalle possibili combinazioni degli elementi che la costituiscono deriva
l’individuazione dei quattro quadranti su cui si basa il Competing Values
Model. I quadranti così individuati descrivono altrettante ideologie manageriali che tentano di illustrare i criteri organizzativi da seguire per raggiungere gli obiettivi organizzativi sperati.
Come di seguito illustrato, si fa riferimento a quattro modelli principali:
1. Modello delle Relazioni Umane: l’enfasi è posta sulla flessibilità e sul focus interno; la coesione, la morale, la fiducia interpersonale e lo sviluppo
delle risorse umane (perseguito attraverso pratiche di empowerment e la
partecipazione del personale alle vicende aziendali), sono indicati come
principi da seguire per raggiungere l’efficacia organizzativa.
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2. Modello dei Sistemi Aperti: dà risalto alla flessibilità e al focus esterno
e illustra come la prontezza, lo sviluppo di nuove risorse, l’innovazione,
la creatività e l’adattamento siano da considerare tra i migliori principi
guida per ottenere risultati di successo.
3. Modello degli Obiettivi Razionali: controllo e focus esterno sono le dimensioni che lo caratterizzano e considera la produttività, l’efficienza
e la pianificazione degli obiettivi come elementi su cui costruire il successo aziendale.
4. Modello del Processo Interno: in quest’ultimo caso l’interesse è concentrato sul controllo e sul focus interno; gli effetti derivanti dall’incertezza ambientale sono ignorati o minimizzati per cui ci si basa sull’impiego di rigide regole e procedure per assicurare il giusto grado di coordinamento ed il controllo. Questo modello richiama essenzialmente il classico approccio burocratico.
Nel Competing Values Model l’attenzione è posta sul fatto che nelle organizzazioni coesistono valori “opposti”: il compito più difficile per un manager diventa allora quello di riconoscere che tutti questi valori sono importanti; tra di essi deve essere però ricercato e mantenuto un giusto equilibrio.
In assenza di questo equilibrio diventa difficile ottenere i risultati sperati: è infatti improbabile riuscire ad avere successo perseguendo simultaneamente percorsi tra loro “incompatibili”: innovare e mantenere al contempo stabilità e controllo interni, puntare all’efficienza produttiva ed insieme, al benessere dei lavoratori.
La forza del modello in esame, nel contribuire a sviluppare una misura efficace del clima organizzativo, risiede nel fatto che le dimensioni sulle quali si sviluppa, toccando valori fondamentali ed universalmente riconosciuti, riescono a fornire un quadro di riferimento completo per studiare
e comprendere a fondo qualsiasi tipologia di organizzazione.
Per ciascuno dei quattro quadranti, gli Ideatori del questionario OCM hanno selezionato e indicato le dimensioni maggiormente significative (e
quindi da indagare con lo stesso questionario), rifacendosi agli aspetti
trattati con più frequenza nelle ricerche sul clima organizzativo32.
Il processo di selezione delle dimensioni da analizzare è stato lungo ed interattivo; ha visto infatti la collaborazione e la partecipazione di diversi stu-
32 In particolare essi guardarono agli studi e alle ricerche che emersero nel periodo compreso tra il 1960 e il 2000.
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diosi ed ha altresì richiesto numerosi incontri prima di arrivare ad identificare con assoluta chiarezza gli aspetti da esaminare.
In particolare, per ciascun approccio teorico di riferimento, le dimensioni inserite nel questionario risultano essere le seguenti33:
Modello delle Relazioni Umane
Benessere dei dipendenti: come e quanto l’organizzazione cura e valorizza
i propri lavoratori;
Autonomia: propensione a progettare il lavoro in modo tale da lasciare ampia autonomia di gestione al dipendente; considera la possibilità di sentirsi capi di sè stessi;
Partecipazione: osserva la possibilità di intervenire in un processo di decisione
comune e la partecipazione agli scopi e alle politiche legate all’organizzazione;
Comunicazione: libertà di condividere le informazioni ad ogni livello organizzativo
Attenzione alla formazione: incentivi allo sviluppo di nuove competenze tra
e per il personale
Integrazione: trasmissione dei sentimenti di fiducia e cooperazione in
tutta l’organizzazione
Supporto dei supervisori: aiuto e comprensione verso i dipendenti da parte dei diretti supervisori.
Modello dei Sistemi Aperti
Flessibilità: propensione al cambiamento e all’adattamento alle contingenze ambientali delle persone e dell’organizzazione
Innovazione: ricerca di idee sempre nuove e di approcci originali nella gestione; considera la percezione dell’importanza data all’innovazione e
alla creatività nel lavoro.
Attenzione al mercato: attenzione alle emergenti esigenze del mercato e dei
consumatori.
33 Ciascuna di esse può essere presente nelle organizzazioni in modo più o meno incisivo. Gli Autori del questionario OCM sono arrivati alla individuazione delle dimensioni del clima organizzativo da indagare (19 in totale) attraverso un’intensa attività di verifica empirica: la validità del questionario venne infatti testata somministrandolo presso 55 imprese britanniche, operanti nel settore manifatturiero, con un numero di dipendenti variabile tra i 60 e i 1929 (in media 256 dipendenti). In totale vennero distribuiti 12051 questionari: nelle 49 imprese con meno di 500 impiegati venne richiesto a tutti di completarlo mentre, nelle imprese con più di 500 dipendenti venne selezionato un campione casuale, rappresentativo del 60% della forza lavoro, per rispondere
al questionario. Dall’attenta analisi dei dati contenuti nei questionari compilati, gli Autori riuscirono a raffinare lo stesso eliminando i quesiti ritenuti “non amichevoli” o”difficoltosi” e modificandone altri, fino ad arrivare all’ elaborazione della sua versione definitiva. I risultati ottenuti confermarono comunque la validità del
questionario quale strumento in grado di analizzare aspetti complessi delle organizzazioni.
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Riflessività: “ripensare” obiettivi, strategie, processi di lavoro per rimanere sempre al passo con i tempi.
Modello degli Obiettivi Razionali
Chiarezza degli obiettivi: gli obiettivi sono definiti in modo puntuale e trasmessi senza ambiguità ai dipendenti
Impegno: contributo individuale al raggiungimento degli obiettivi organizzativi; considera la percezione di continua sfida, impegno nel lavoro e
continuo miglioramento delle prestazioni.
Efficienza: importanza della produttività dei lavoratori per ottenere performance di alto livello
Qualità: conformità dei risultati alle procedure indicate per l’ottenimento di prodotti “di valore”
Spinte alla produzione: motivazioni e stimoli ai dipendenti per raggiungere gli obiettivi prefissati attraverso la possibilità di accedere a premi
quali la paga, gli avanzamenti di carriera basati sull’abilità e sul tempo speso sul lavoro
Feedback/Valutazione delle prestazioni: misurazione e valutazione della performance lavorativa.
Modello del Processo Interno
Formalizzazione: attenzione rivolta al rispetto di regole e procedure
Tradizione: tendenza a conformare il modo di operare a modelli già consolidati.
In totale le dimensioni prescelte per “misurare” con buoni esiti il clima organizzativo, risultano essere 19; definite queste, il passo successivo nell’elaborazione del questionario è stato quello di individuare, per ogni dimensione,
degli specifici item per sottoporre alcune domande ai soggetti intervistati.
Il questionario OCM presenta complessivamente 82 items, di cui:
-
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29 riferiti alla macroclasse delle Human Relations (dimensioni indagate: benessere, autonomia, integrazione, coinvolgimento,supporto
dei supervisori, formazione)
9 all’ Internal Process (dimensioni indagate: formalizzazione, tradizione),
16 all’approccio Open System (dimensioni indagate: innovazione e flessibilità, attenzione al mercato, riflessività)
gli ultimi 28 al criterio del Rational Goal (dimensioni indagate: chiarezza degli obiettivi, efficienza, impegno, feedback dei risultati,incentivi alla produzione, qualità)
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Gli items sono presentati sotto forma di affermazioni alle quali il soggetto intervistato deve rispondere esprimendo il suo grado di accordo (o
disaccordo) attraverso una scala di risposta tipo Likert a quattro punti34 dove: 1= decisamente falso; 2= abbastanza falso; 3= abbastanza vero; 4= decisamente vero.
Nella costruzione del questionario sono stati utilizzati items chiusi,
escludendo così il ricorso a domande aperte: l’agevole codifica, tabulazione ed analisi delle risposte date, la velocità di somministrazione dei questionari, la possibilità di ottenere risposte fra loro confrontabili, fanno sì che
nelle ricerche e nelle inchieste si tenda ad utilizzare, qualora possibile ed appropriato, soprattutto il formato di risposta chiuso.
Inoltre gli items sono stati formulati sia in versione affermativa (ad esempio: “la direzione lascia che i dipendenti prendano decisioni da sè”) che negativa (es:“i cambiamenti vengono realizzati senza parlare con le persone
coinvolte in essi”), allo scopo di rilevare effettivamente il giudizio dei
soggetti e per evitare eventuali bias35 al momento della compilazione.
34 La scala Likert è una tecnica di misurazione dell’atteggiamento che si distingue principalmente per la possibilità di applicare metodi di analisi degli item basati sulle proprietà statistiche delle scale di misura a intervalli o rapporti. Tale metodo è tuttora impiegato in numerosissimi settori della ricerca applicata. La tecnica consiste principalmente nel formulare un certo numero di affermazioni (tecnicamente definiti item) che
esprimono un atteggiamento positivo e negativo rispetto ad uno specifico oggetto. La somma di tali giudizi permette di definire in modo ragionevolmente preciso l’atteggiamento del soggetto nei confronti dell’oggetto. Per ogni item si presenta una scala di accordo/disaccordo, generalmente a 4 o 7 passi. Ai rispondenti si chiede di indicare su di esse il loro grado di accordo o disaccordo con quanto espresso dall’affermazione. Questo metodo è applicabile per valutare sia atteggiamenti di tipo unidimensionali che multidimensionali (per i quali sono necessarie tecniche statistiche, come ad esempio l’analisi fattoriale). Likert R. (1932)
Technique for the misure of attitudes Arch.Psycho., Vol. 22 N. 140
35 Il bias è una forma di distorsione causata dal pregiudizio verso un punto di vista o un’ideologia. La mappa
mentale di una persona presenta bias laddove è condizionata da idee preconcette. Come la distorsione in generale, non è possibile eliminarli ma si può tenerne conto a posteriori, correggendo la percezione per diminuirne gli effetti.
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3. Analisi dei risultati e conclusioni
I dati rilevati dall’intero universo dei dipendenti della Banca Popolare
Del Cassinate possono essere così sintetizzati:
Per semplificarne la lettura si è provveduto ad inserire una linea verticale in
Corrispondenza del valore medio generale.
Ciò consente di visualizzare subito le dimensioni al di sotto della media e
le dimensioni al di sopra della media.
In particolare le dimensioni con valori molto al di sotto andrebbero lette
come punti di debolezza dell’organizzazione, mentre le dimensioni al di
sopra come punti di forza.
Per l’interpretazione del grafico è utile sottolineare che il punteggio dato
alle singole dimensioni varia in un range compreso tra 1 e 4. Più è alto il
punteggio su una dimensione, più la dimensione è percepita come punto
di forza, viceversa se il punteggio è basso.
L’analisi sul profilo generale mette in evidenza innanzitutto un livello
della media, pari a 2,5 (valore che si colloca sopra la metà della scala utilizzata (1-4)); di per sé questo è già un risultato confortante.
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Si procede quindi ad analizzare le dimensioni in funzione dei valori ottenuti.
Dimensioni valutate molto positivamente:
- impegno
- qualità
- efficienza
- attenzione al mercato
Dimensioni valutate con punteggio intermedio:
- autonomia
- integrazione
- coinvolgimento
- supporto dei supervisori
- formalizzazione
- tradizioni
- spinte alla produzione
Dimensioni con punteggio al di sotto della media generale:
- formazione
- benessere
- innovazione
- riflessività
- chiarezza degli obiettivi organizzativi
- valutazione delle prestazioni
Da questa analisi si intuisce che l’organizzazione è caratterizzata da un ottimo approccio verso la ricerca della qualità. La qualità si conferma essere tra le più apprezzabili priorità aziendali ed il suo raggiungimento è sicuramente facilitato sia dall’impegno che ciascun collaboratore profonde nel
lavoro che svolge, sia dall’attenzione, con cui il management guarda costantemente al mercato (facendo in particolare attenzione a soddisfare pienamente le esigenze dei propri clienti).
Dai dati emerge inoltre che esiste un buon livello di relazioni interpersonali, sia sotto l’aspetto dell’integrazione che sotto l’aspetto del coinvolgimento (ciò si deve anche al supporto dato dai supervisori), nonché una
buona consapevolezza del valore dato al rispetto delle tradizioni e delle procedure operative.
I dati suggeriscono poi che qualcosa potrebbe essere migliorato riguardo
alla possibilità di fruire di interventi formativi (sopratutto in previsione di
nuove attività da svolgere), al benessere generale di cui le persone riescono a godere e all’adozione di equi sistemi di valutazione delle prestazioni.
Concentrarsi su questi aspetti è importante per allontanare l’eventualità che
la situazione peggiori con il tempo: migliorare, ad esempio, la verifica
del grado di raggiungimento dei risultati e/o la comunicazione dei criteri
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di valutazione ed incentivazione, potrebbe essere utile per aumentare la
motivazione del personale e, conseguentemente, l’efficacia organizzativa.
Le aree in cui l’organizzazione presenta invece delle criticità riguardano la
riflessività, intesa come capacità di “mettersi in discussione”), la chiarezza degli obiettivi organizzativi (migliorabile agendo, ad esempio, sui
processi di comunicazione formale) e l’innovazione che in questo studio
non è stata intesa in senso strettamente tecnologico ma in senso organizzativo, considerando cioè aspetti relativi alle modalità di gestione dei
processi, al miglioramento delle procedure, al supporto nello sviluppo di
idee innovative e all’innovazione delle professionalità.
Le ultime situazioni osservate non sono tuttavia preoccupanti, anzi, potrebbero essere d’aiuto al management se interpretati come punti di partenza per progettare ed intraprendere nuovi processi di miglioramento
aziendale.
L’analisi del clima organizzativo in un Istituto di Credito in definitiva consente , in particolare di focalizzare l’attenzione sulle criticità da superare per
poter raggiungere una concreta situazione di benessere organizzativo.
Individuati tali aspetti si potranno implementare azioni di miglioramento (a lungo, a medio e a breve termine) da intraprendere:
- a livello strategico, sulle politiche di gestione delle risorse umane e sulle politiche di comunicazione interna ed esterna;
- a livello organizzativo, ponendo particolare attenzione all’analisi dei
fabbisogni interni, alla individuazione degli obiettivi, alla cura della comunicazione per promuovere la partecipazione attiva ai processi di lavoro e per l’esercizio di uno stile di leadership efficace e diffuso;
- a livello operativo, pensando all’adozione di strumenti di formazione
per valorizzare il contributo individuale e lo sviluppo delle competenze, nonché a favorire il lavoro di gruppo e per progetti, a facilitare la
comprensione degli obiettivi aziendali e di servizio e ad incrementare
la verifica dei risultati per aiutare ogni persona a concentrarsi sull’oggetto del lavoro e a consolidare il senso di appartenenza al team e all’organizzazione.
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