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diritto commerciale - Università Telematica Pegaso

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diritto commerciale - Università Telematica Pegaso
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO COMMERCIALE
LEZIONE XI
“IL FALLIMENTO”
PROF. VALENTINA SCOGNAMIGLIO
Diritto Commerciale
Lezione XI
Indice
1
I presupposti del fallimento ---------------------------------------------------------------------------- 4
1.1.
1.2.
1.3.
1.4.
1.5.
1.6.
1.7.
1.8.
1.9.
1.10.
1.11.
1.12.
1.13.
1.14.
1.15.
1.16.
1.17.
2
Nozioni generali e recenti riforme ----------------------------------------------------------------- 4
Il presupposto soggettivo --------------------------------------------------------------------------- 7
Le categorie sottratte al fallimento: l‟imprenditore agricolo ----------------------------------- 8
Gli enti pubblici economici ------------------------------------------------------------------------- 9
Il piccolo imprenditore ---------------------------------------------------------------------------- 10
Il decreto correttivo ed i nuovi requisiti di non fallibilità------------------------------------- 11
La questione dell‟imprenditore artigiano ------------------------------------------------------- 12
L‟imprenditore occulto e l‟imprenditore abusivo ---------------------------------------------- 12
Il fallimento dell‟imprenditore che ha cessato l‟esercizio dell‟impresa -------------------- 13
Il fallimento dell‟imprenditore defunto --------------------------------------------------------- 14
Morte del fallito e imprenditore già fallito ----------------------------------------------------- 15
Il fallimento delle società commerciali --------------------------------------------------------- 16
Il fallimento delle società di persone ------------------------------------------------------------ 20
lI fallimento delle società di capitali ------------------------------------------------------------ 21
Società cooperative -------------------------------------------------------------------------------- 22
Il presupposto oggettivo: lo stato di insolvenza------------------------------------------------ 22
Insolvenza e «pactum de non potendo» --------------------------------------------------------- 24
La dichiarazione di fallimento ----------------------------------------------------------------------- 25
2.1
2.2
2.3
2.4
2.5
2.6
2.7
2.8
Il tribunale competente ------------------------------------------------------------------------------- 25
L‟iniziativa per la dichiarazione di fallimento ---------------------------------------------------- 26
L‟audizione obbligatoria del debitore -------------------------------------------------------------- 27
L‟istruttoria -------------------------------------------------------------------------------------------- 28
Il provvedimento che respinge l‟istanza di fallimento ------------------------------------------- 29
Accoglimento dell‟istanza: la sentenza dichiarativa del fallimento ---------------------------- 30
Impugnazione della dichiarazione di fallimento -------------------------------------------------- 31
La revoca del fallimento ----------------------------------------------------------------------------- 33
3
Le conseguenze del fallimento ----------------------------------------------------------------------- 35
4
Gli organi preposti al fallimento -------------------------------------------------------------------- 52
4.1
4.2
4.3
4.4
5
Il tribunale fallimentare ------------------------------------------------------------------------------ 52
Il giudice delegato ------------------------------------------------------------------------------------ 53
Il curatore ---------------------------------------------------------------------------------------------- 55
Il comitato dei creditori ------------------------------------------------------------------------------ 60
La procedura fallimentare ---------------------------------------------------------------------------- 64
5.1
5.2
5.3
5.4
5.5
5.6
Custodia e conservazione del patrimonio del fallito: l‟apposizione dei sigilli ---------------- 64
L‟inventario dei beni --------------------------------------------------------------------------------- 64
L‟amministrazione del patrimonio ----------------------------------------------------------------- 64
L‟amministrazione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare ---------------------------- 65
La continuazione dell‟impresa del fallito ---------------------------------------------------------- 65
L‟affitto dell‟azienda del fallito --------------------------------------------------------------------- 66
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale
Lezione XI
5.7 L‟accertamento del passivo -------------------------------------------------------------------------- 67
5.8 La verifica delle domande di rivendicazione, restituzione e separazione delle cose mobili 69
5.9 La previsione di realizzo insufficiente ------------------------------------------------------------- 69
5.10 Rimedi contro lo stato passivo ------------------------------------------------------------------- 69
5.11 Domande tardive di ammissione allo stato passivo ------------------------------------------- 71
6
L’accertamento e la liquidazione dell’attivo ------------------------------------------------------ 72
6.1
6.2
6.3
6.4
7
La chiusura del fallimento ---------------------------------------------------------------------------- 77
7.1
7.2
7.3
7.4
7.5
7.6
7.7
7.8
8
L‟accertamento dell‟attivo --------------------------------------------------------------------------- 72
La liquidazione dell‟attivo --------------------------------------------------------------------------- 72
La liquidazione del beni immobili ------------------------------------------------------------------ 74
La ripartizione dell‟attivo ---------------------------------------------------------------------------- 75
I casi di chiusura del fallimento --------------------------------------------------------------------- 77
La procedura di chiusura del fallimento ed i suoi effetti----------------------------------------- 77
Il concordato fallimentare --------------------------------------------------------------------------- 79
L‟assuntore del concordato -------------------------------------------------------------------------- 80
Esame ed approvazione della proposta di concordato ------------------------------------------- 81
Il giudizio di omologazione ------------------------------------------------------------------------- 82
Effetti ed esecuzione del concordato --------------------------------------------------------------- 82
Risoluzione e annullamento del concordato: riapertura del fallimento ------------------------ 84
L’esdebitazione del fallito ----------------------------------------------------------------------------- 86
8.1 Nozione e condizioni di ammissione --------------------------------------------------------------- 86
8.2 Il procedimento --------------------------------------------------------------------------------------- 87
8.3 Effetti dell‟esdebitazione ---------------------------------------------------------------------------- 87
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Diritto Commerciale
Lezione XI
1 I presupposti del fallimento
1.1.
Nozioni generali e recenti riforme
Il fallimento è la principale e più diffusa procedura concorsuale: le altre procedure
(amministrazione straordinaria, liquidazione coatta etc.) si pongono cioè come eccezioni — a cui si
può ricorrere in presenza di determinati requisiti — rispetto alla regola generale rappresentata dalla
procedura fallimentare.
La procedura fallimentare può essere definita pertanto come quella procedura giudiziale
attraverso cui viene sottoposto ad esecuzione l‟intera patrimonio di un imprenditore commerciale
quando questi si trova nell‟ impossibilità obiettiva di far fronte regolarmente agli impegni assunti
nei confronti dei propri creditori.
Da questa definizione ricaviamo le caratteristiche essenziali del fallimento:
a) è una procedura giudiziale: a garanzia di tutti i creditori, l‟intero procedimento è gestito
da organi giurisdiziona1i (tribunale fallimentare, giudice delegato etc.);
b) determina l‟esecuzione dell‟intero patrimonio dei debitore; si accerta cioè l‟ammontare
complessivo di tutti i beni appartenenti all‟imprenditore (cd. attivo patrimoniale) e lo si sottopone a
liquidazione per poter soddisfare sul ricavato tutti i creditori;
c) sono richiesti determinati requisiti: il debitore deve essere un imprenditore commerciale
(art. 2082 c.c.) e deve trovarsi in uno stato obiettivo di incapacità a sovrintendere ai propri impegni
debitori che prende il nome di stato di insolvenza. In assenza di tali requisiti i creditori non
potranno beneficiare della procedura fallimentare, ma, per poter vedere soddisfatte le proprie
pretese, dovranno ricorrere alle ordinarie forme di esecuzione individuale.
Poiché la legge fallimentare, nella sua originaria formulazione, si dimostrava ormai
inadeguata alle recenti realtà imprenditoriali e commerciali, e visti anche i numerosi interventi della
Corte Costituzionale che aveva dichiarato l‟illegittimità di alcuni articoli, il legislatore, più di
recente, è intervenuto nella materia in tre diversi momenti:
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Diritto Commerciale
Lezione XI
a) nel 2005, attraverso il D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (cd. «decreto competitività»), convertito
in L. 14 maggio 2005, n. 80, la disciplina è stata modificata solo marginalmente, in quanto i
cambiamenti hanno riguardato:
— il sistema delle revocatorie fallimentari (artt. 67 e 70 L.F): sono stati dimezzati i termini
previsti per il periodo sospetto ai fini della proposizione dell‟azione, è stato esteso l‟esonero dalla
revocatoria ad un certo numero di atti e sono stati introdotti nuovi e più sistematici principi in
ordine agli effetti restitutori dell‟azione;
— il concordato preventivo: sono stati modificati i presupposti di ammissione, sostituendo ai
requisiti di meritevolezza dell‟imprenditore la previsione di un piano di ristrutturazione dei debiti e
di soddisfazione dei crediti che preveda altresì la suddivisione dei creditori in classi omogenee e
trattamenti differenziati per ogni classe; è inoltre stato ammesso alla procedura anche l‟imprenditore
che si trovi in stato di crisi, vale a dire in una situazione anteriore all‟insolvenza.
Queste modifiche sono entrate in vigore il 17 marzo 2005. La legge di conversione del
decreto competitività (L. 80/2005) ha inoltre delegato il governo ad attuare una più sistematica e
completa riforma dell‟intera legge fallimentare, dettandone i principi ispiratori;
b) nel 2006, con il D.Lgs. 9gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle
procedure concorsuali), il legislatore ha completamente riscritto la maggior parte dei precedenti
articoli della legge fallimentare del „42, seguendo i principi ispiratori della legge delega.
Indichiamo tuttavia sommariamente i maggiori cambiamenti che caratterizzano l‟intervento
di riforma, alla luce delle indicazioni della legge delega:
— è stato esteso l‟ambito dei soggetti esonerati dal fallimento, attraverso l‟introduzione di
una nuova definizione di «piccolo imprenditore» e di una soglia quantitativa di insolvenza, al di
sotto della quale il fallimento non può essere dichiarato;
— sono state ridefinite le funzioni degli organi della procedura ed i rapporti tra di essi: in
particolare, sono state ampliate le competenze del comitato dei creditori, consentendogli una
maggiore partecipazione alla gestione della crisi, e sono stati modificati i requisiti per la nomina a
curatore;
— per quanto riguarda le conseguenze personali del fallimento, sono state eliminate le
sanzioni personali ed è stato soppresso l‟istituto della riabilitazione; le limitazioni alla libertà di
residenza e di corrispondenza del fallito sono state ristrette alle sole esigenze della procedura;
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Diritto Commerciale
Lezione XI
— è stata accelerata e semplificata la fase di accertamento del passivo, abbreviando i tempi
della procedura e semplificando le modalità di presentazione delle domande di ammissione;
— è stata velocizzata e resa più flessibile la fase della liquidazione dell‟attivo, prevedendo la
redazione di un programma di liquidazione contenente le modalità ed i termini previsti per la
realizzazione dell‟attivo. Le vendite possono inoltre avvenire secondo procedure competitive più
duttili rispetto ai rigidi schemi dell‟esecuzione forzata;
— è stata introdotta la disciplina dell‟esdebitazione, che consiste nella liberazione dell‟ex
fallito, che abbia collaborato con gli organi della procedura e che si sia comportato correttamente
nei confronti dei creditori, dai debiti residui nei confronti dei creditori non soddisfatti;
— è stata abrogata l‟amministrazione controllata.
Il decreto di riforma (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2006) è entrato in vigore
il 16 luglio 2006. La riforma ha inoltre dettato una disciplina transitoria, stabilendo che i ricorsi per
la dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare depositate prima dell‟entrata
in vigore del decreto, nonché le procedure di fallimento e di concordato fallimentare pendenti alla
stessa data siano definiti secondo la legge anteriore;
c) nel 2007, il decreto di riforma è stato parzialmente modificato dal D.Lgs. 12 settembre
2007, n. 169 (cd. decreto correttivo), intervenuto per colmare le lacune ed i punti contraddittori
emersi dall‟attuazione della riforma. In particolare, il decreto correttivo ha modificato nuovamente
l‟area dei soggetti fallibili, introducendo un terzo parametro di assoggettabilità ed eliminando i
riferimenti alla nozione di piccolo imprenditore. In questo modo, è stata allargata l‟area dei soggetti
fallibili, sensibilmente ristretta dalla riforma, addossando al debitore (e non più ai creditori che
richiedono il fallimento) l‟onere di provare di essere un soggetto non fallibile. Il decreto correttivo
ha inoltre ampliato l‟ambito di applicabilità dell‟istituto della esdebitazione, il quale è stato esteso
anche alle procedure pendenti al 16 luglio 2006.
Il decreto correttivo, in vigore dal 1° gennaio 2008, è applicabile sia alle procedure
concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente a tale data, si ai procedimenti per
dichiarazione di fallimento già pendenti.
I presupposti della dichiarazione di fallimento sono sostanzialmente due, e cioè:
— la natura di imprenditore commerciale (privato e non in possesso dei determinati requisiti
previsti dall‟art. i L.F.) del debitore (presupposto soggettivo);
— lo stato di insolvenza (presupposto oggettivo).
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Diritto Commerciale
1.2.
Lezione XI
Il presupposto soggettivo
A norma dell‟art. 1 L.F. sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che
esercitano un‟attività commerciale, esclusi gli enti pubblici.
Nel 2° comma dell‟art. 1, il decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, modificando
ulteriormente il testo già riscritto dalla riforma, ha individuato tre criteri dimensionali (di natura
patrimoniale e di indebitamento) in presenza dei quali l‟imprenditore non è soggetto al fallimento,
abbandonando ogni riferimento alla precedente nozione di «piccolo imprenditore».
Sono, per contro, sottratti al fallimento:
— gli imprenditori agricoli (art. 2135 c.c.);
— gli enti pubblici cd. economici (art. 2093 c.c.);
— gli artigiani (art. 2083 c.c.);
— gli imprenditori che dimostrano di possedere tutti i requisiti patrimoniali e di
indebitamento richiesti dall‟art. 1, 2° comma, L.F. per l‟esclusione dall‟area di fallibilità.
Per poter capire, dunque, chi può essere soggetto a fallimento, si deve anzitutto individuare
la nozione di imprenditore commerciale.
Secondo gli artt. 2082 e 2135 c.c. riveste la qualità di imprenditore commerciale colui il
quale eserciti, con carattere di professionalità, un‟attività economica organizzata al fine della
produzione e dello scambio di beni e servizi, la quale sia riconducibile ad una delle attività indicate
nell‟art. 2195, 1° comma, c.c.:
— l‟attributo della professionalità implica che l‟attività economica sia svolta in maniera
sistematica e continuativa, su base programmatica, con la conseguente esclusione dalla categoria
degli imprenditori di coloro i quali abbiano compiuto solo occasionalmente un determinato atto
economico. Anche il compimento di un solo affare, o di sporadiche operazioni commerciali, può
però conferire la qualità di imprenditore commerciale con conseguente assoggettabilità al
fallimento, purché di svolgimento complesso e di rilevanza economica. Non è, invece, necessario
che tale attività sia esclusiva, essendo giuridicamente possibile, ai fini dell‟acquisto della qualità di
imprenditore commerciale, che un soggetto svolga contemporaneamente più attività, anche se non
tutte di natura commerciale; né si richiede che l‟attività commerciale sia prevalente rispetto alle
altre;
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Diritto Commerciale
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— per organizzazione deve intendersi, invece, il coordinamento di mezzi (capitali o beni) e
dell‟altrui lavoro, indipendentemente dalla loro qualità, sicché è sufficiente che l‟attività sia
sistematica e continua, anche se esercitata con rudimentale e limitata predisposizione di documenti,
danaro od altro, in maniera particolare quando essa sia incentrata in una persona e non richieda che
scarsi mezzi materiali e personali;
— attività economica diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi, infine, è
quella che, a scopo di lucro, mira a soddisfare gli altrui bisogni. Non si richiede, al riguardo,
l‟effettivo conseguimento di un lucro, essendo sufficiente che tale scopo sia perseguito in astratto.
Non è, invece, da considerarsi «attività economica»:
— l‟attività di mero godimento, come quella di amministrazione di un patrimonio da parte
del titolare (così, ad esempio, mentre è imprenditore l‟affittuario di un fondo rustico, non lo è il
nudo proprietario dello stesso anche se gode di una rendita sul fondo);
— l‟attività dei professionisti intellettuale degli artisti, in sé e per sé considerata;
— l‟attività diretta esclusivamente a ricerche minerarie, in quanto risulti continuata entro i
limiti delle ricerche.
La qualifica di imprenditore commerciale si acquista in conseguenza del fatto obiettivo e
concreto di svolgere un‟attività commerciale.
1.3.
Le categorie sottratte al fallimento: l’imprenditore agricolo
L‟imprenditore agricolo è sottratto alla più rigida disciplina dettata per l‟imprenditore
commerciale e, in particolar modo, si sottrae alla disciplina del fallimento: il trattamento
preferenziale appare giustificato dalla natura delle attività agricole che espongono l‟imprenditore al
rischio ambientale (avversità climatiche, resa negativa del fondo etc.), ad un rischio ulteriore, cioè,
a quello comune ad ogni attività d‟impresa.
Attualmente, però, il progresso tecnologico permette la massima riduzione del rischio
ambientale poiché consente lo svolgimento dei processi produttivi agricoli in ambienti totalmente o
parzialmente artificiali (allevamenti in batteria, coltivazioni artificiali etc.). Per rispondere a tale
mutato quadro e alle relative crescenti esigenze di tutela dei terzi che nascono dal momento che la
struttura dell‟azienda agricola rende necessari oggi ingenti investimenti di capitali, il legislatore ha
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Diritto Commerciale
Lezione XI
emanato il D.Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 che ha modificato la nozione codicistica di imprenditore
agricolo di cui all‟art. 2135 c.c.
L‟art. 2135 c.c. nella sua attuale formulazione definisce, al 1° comma, le attività agricole
essenziali, e cioè quelle dirette alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura, all‟allevamento di
animali.
La qualifica di imprenditore agricolo viene, oggi riconosciuta non solo a coloro che
coltivano materialmente il fondo o allevano il bestiame ma anche a chi esercita allevamenti ittici,
alle aziende conserviere e casearie, e a chi presta servizi a favore dell‟agricoltura etc. Agli
imprenditori agricoli è poi consentita la vendita al dettaglio di prodotti provenienti in misura
prevalente dalle rispettive aziende agricole (art. 4 D.Lgs. 228/2001) e può avere per oggetto anche
prodotti derivati, ottenuti attraverso attività di manipolazione o trasformazione di prodotti agricoli e
zootecnici. La qualifica di imprenditore agricolo è, infine, riconosciuta pure alle società di persone
o di capitali in cui uno o più soci abbiano le caratteristiche di imprenditore agricolo professionale
(IAP, come definito dal D.Lgs. 29 marzo 2004, n. 99).
La portata ampliativa della nuova definizione è ancora più evidente se si considera le attività
agricole di allevamento di animali: nell‟attuale formulazione della norma è stato eliminato il
riferimento al concetto tecnico di «bestiame» presente nell‟originaria formulazione della stessa,
sembra che il legislatore abbia abbandonato il principio secondo il quale l‟allevamento di animali,
per essere classificato agricolo, non doveva essere disgiunto dalla terra e dal suo sfruttamento (cd.
collegamento funzionale con la coltivazione del fondo). In tale prospettiva la qualifica di impresa
agricola dovrebbe essere riconosciuta a tutti gli allevamenti di animali, di qualsiasi tipo e genere, e
dovrebbe ritenersi superata quella giurisprudenza che riconduceva all‟attività industriale gli
allevamenti degli animali in batteria, di animali da pelliccia, di cavalli da corsa, l‟apicultura,
l‟avicoltura, qualora non vi fosse un adeguato rapporto col terreno coltivato che costituisse supporto
per l‟alimentazione e la crescita dei capi allevati.
1.4.
Gli enti pubblici economici
Secondo l‟art. 2093 c.c., l‟impresa può essere esercitata anche da enti pubblici. A tale
riguardo, va precisato che:
— gli enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni) quando svolgono attività di
carattere imprenditoriale (generalmente in regime di monopolio, come, ad esempio, le imprese di
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Diritto Commerciale
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trasporto) non acquistano mai la qualità di imprenditore commerciale, pur rimanendo soggetti alle
norme sulle imprese limitatamente alle attività economiche esercitate;
— gli enti pubblici economici (sono tali quegli enti che hanno per oggetto principale o
esclusivo l‟esercizio di un‟impresa commerciale) possono, invece, accanto all‟attività principale di
perseguimento di finalità pubbliche, svolgere una attività accessoria di carattere imprenditoriale
(es.: Poligrafico dello Stato; Istituto nazionale delle assicurazioni). Per tali enti, la ragione della
esclusione dalle procedure richiamate nell‟articolo in commento risiede, secondo la dottrina più
autorevole, nella inconciliabilità della tutela dell‟interesse pubblico che essi perseguono, con una
normativa mirante alla tutela di diritti soggettivi di matrice prettamente privatistica.
Conseguenza della qualificazione come ente pubblico economico è, dunque, l‟inapplicabilità
della procedura fallimentare. Come è stato segnalato in dottrina, tale esclusione è giustificata dalla
frequente e notevole ingerenza della P.A., che attraverso tali enti persegue interessi generali di
carattere pubblicistico. Per il resto lo statuto professionale proprio dell‟imprenditore si applica
integralmente agli enti pubblici economici.
1.5.
Il piccolo imprenditore
Per definire la figura di piccolo imprenditore, ai fini dell‟assoggettamento alla procedura
fallimentare, prima dell‟intervento del decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169, era necessario
fare riferimento all‟art. 2083 c.c. e all‟art. 1,2° comma, L.F.
Secondo l‟art. 1 L.F, novellato dal D.Lgs. 5/2006 ed applicabile ai fallimenti dichiarati dal
16 luglio 2006 al 1° gennaio 2008, non erano piccoli imprenditori, per cui erano assoggettabili al
fallimento o ad altra procedura concorsuale, gli esercenti un‟attività commerciale, in forma
individuale o collettiva, che, anche alternativamente:
— avessero effettuato investimenti nell‟azienda per un capitale di valore superiore a 300.000
euro;
— avessero realizzato, in qualunque modo risultasse, ricavi lordi calcolati sulla media degli
ultimi tre anni o dall‟inizio dell‟attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo
superiore a 200.000 euro.
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1.6.
Lezione XI
Il decreto correttivo ed i nuovi requisiti di non fallibilità
Per risolvere i problemi interpretativi che la riforma del 2006 aveva lasciato irrisolti, è
dunque intervenuto il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (cd. decreto correttivo). Con esso, il
legislatore ha di nuovo completamente riformulato l‟art. i L.F., con l‟importante novità di eliminare
finalmente ogni riferimento alla nozione di «piccolo imprenditore», che aveva suscitato problemi di
coordinamento con la parallela definizione codicistica di cui all‟art. 2083 c.c.
Vengono invece individuati direttamente una serie di requisiti dimensionali massimi che
tutti gli imprenditori commerciali devono avere congiuntamente per non essere assoggettati alle
procedure concorsuali. Accanto ai due criteri strettamente dimensionali già individuati dalla
riforma, viene inoltre introdotto un ulteriore terzo parametro, avente ad oggetto la misura
dell‟esposizione debitoria dell‟imprenditore.
Il nuovo presupposto soggettivo si applica ai procedimenti per dichiarazione di fallimento ed
alle procedure fallimentari, rispettivamente, iniziati o aperte successivamente al 1° gennaio 2008,
data di entrata in vigore del decreto stesso, nonché alle procedure di dichiarazione di fallimento già
in corso a tale data.
Alla luce dell‟ art. 1 L.F., non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato
preventivo gli imprenditori commerciali che dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell‟istanza di fallimento o
dall‟inizio dell‟attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo
annuo non superiore a trecentomila euro;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito
dell‟istanza di fallimento o dall‟ inizio dell‟attività sedi durata inferiore, ricavi lordi per un
ammontare complessivo annuo non superiore a duecentomila euro;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore a cinquecentomila euro.
L‟ulteriore importante novità introdotta dal decreto correttivo riguarda l‟individuazione
dell‟onere della prova del presupposto soggettivo di fallibilità: secondo la nuova formulazione
dell‟art. 1, 2° comma, L.F., spetta al debitore l‟onere di fornire la prova dell‟esistenza dei requisiti
di non fallibilità. E‟ quindi onere dell‟imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato, nel
periodo di riferimento, alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma.
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1.7.
Lezione XI
La questione dell’imprenditore artigiano
Per quanto riguarda l‟esonero dell‟ artigiano dall‟ assoggettabilità alle procedure
concorsuali, il problema è stato ampiamente dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza, in quanto,
mentre l‟art. 2083 c.c. ricomprende esplicitamente l‟artigiano tra i piccoli imprenditori, l‟art. i L.F.
(nel testo sia anteriore che successivo alla riforma del 2006) escludeva dal fallimento gli
imprenditori in base a diversi criteri di natura quantitativa e non faceva menzione dell‟artigiano.
I dubbi interpretativi sono destinati a concludersi con l‟entrata in vigore, il 1° gennaio 2008,
del decreto correttivo: infatti, esso ha individuato un‟area di non fallibilità prescindendo dalla
nozione di «piccolo imprenditore», semplicemente ancorandola alla sussistenza di requisiti
dimensionali e di indebitamento, indipendentemente dalla definizione codicistica di piccolo
imprenditore o di artigiano.
Il problema dell‟assoggettabilità al fallimento delle società artigiane (che aveva suscitato
numerosi contrasti in dottrina nella disciplina anteriore alla riforma per il loro difficile
inquadramento nella nozione di piccoli imprenditori) è stato superato sia con l‟introduzione della
riforma, che ha eliminato l‟assoggettabilità al fallimento delle società di modeste dimensioni, sia
con il decreto correttivo, che ha eliminato la definizione di piccolo imprenditore.
1.8.
L’imprenditore occulto e l’imprenditore abusivo
L‟imprenditore commerciale è tale e diventa tale per il solo fatto di esercitare un‟attività
economica professionale ed organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi.
Nella realtà, però, spesso accade che l‟imprenditore organizzi la propria attività in modo da
mascherare la titolarità dell‟impresa, allo scopo di sottrarsi alla responsabilità commerciale ed agli
effetti giuridici patrimoniali derivanti dalla spendita del nome.
Tale scopo viene comunemente perseguito:
— occultandosi dietro un prestanome imprenditore-fittizio (titolare simulato dell‟impresa);
— presentandosi simulatamente quale institore di un imprenditore-fittizio.
Particolari dispute sorgono, in dottrina ed in giurisprudenza, circa l‟individuazione del
soggetto che fallisce nelle anzidette situazioni di simulata titolarità dell‟impresa.
La dottrina dominante afferma che, ammettendo la responsabilità dell‟imprenditore occulto,
si violano i principi del nostro diritto.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione XI
Immediato responsabile (salvo poi ad analizzare i rapporti tra i due soggetti) è il solo
prestanome, che costituisce una figura di mandatario senza rappresentanza del cd. imprenditore
occulto. Pertanto, a stretto rigore di legge, chi fallisce è il solo prestanome, in quanto «colui per
conto del quale altri esercita un‟ impresa in nome proprio non è imprenditore, perché l‟impresa non
si imputa giuridicamente a lui».
Nessun dubbio, invece, può sorgere circa l‟assoggettabilità al fallimento degli imprenditori
commerciali cd. abusivi, di coloro cioè che abbiano esercitato un‟attività commerciale contro un
divieto di legge. La violazione del divieto, infatti, rende illecita l‟attività svolta da questi soggetti,
ma non vale certamente ad esimerli da eventuali responsabilità da essa derivanti.
1.9.
Il fallimento dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio
dell’impresa
L‟imprenditore, sia individuale che collettivo, che, per qualunque causa, ha cessato
l‟esercizio dell‟impresa, può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione dal registro
delle imprese, se l‟insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l‟anno
successivo (art. 10 L.F. novellato dalla riforma).
La norma mira ad impedire che l‟imprenditore venutosi a trovare in stato di insolvenza si
sottragga alla dichiarazione dl fallimento semplicemente cessando l‟esercizio dell‟impresa. Tale
manovra, infatti, vanificherebbe la tutela che il legislatore, attraverso la procedura fallimentare, ha
inteso apprestare alla massa dei creditori.
Il secondo comma dell‟art. 10 attribuisce tuttavia la possibilità di dimostrare il momento
dell‟effettiva cessazione dell‟attività da cui decorre il termine, qualora essa si sia verificata in un
momento diverso dalla cancellazione, facendo pertanto salva in tal caso la disciplina anteriore alla
riforma.
Il decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) è intervenuto sulla norma in esame
precisando che solo il pubblico ministero ed i creditori possono fornire la prova di tale effettiva
cessazione dell‟impresa. Analoga facoltà non è permessa invece al debitore qualora la cessazione
sia avvenuta anteriormente alla cancellazione: la difformità tra situazione di fatto e risultanze del
registro delle imprese non può infatti giovare all‟imprenditore che non si sia curato di cancellarsi
tempestivamente dal registro stesso.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione XI
I creditori ed il P.M. possono invece portare in avanti la data della cessazione dell‟impresa e
far fallire il loro debitore anche dopo il decorso di un anno dalla cancellazione, dando prova che
l‟impresa è proseguita anche dopo l‟avvenuta cancellazione.
1.10.
Il fallimento dell’imprenditore defunto
L‟imprenditore defunto può essere dichiarato fallito entro un anno dalla morte, se
l‟insolvenza si è manifestata anteriormente alla morte o entro l‟anno successivo (art. 11 L.F.).
L‟erede può chiedere il fallimento del defunto, purché l‟eredità non sia già confusa con il
suo patrimonio. Infatti, effetto fondamentale del fallimento post-mortem è la separazione del
patrimonio del defunto da quello dell‟erede e la sua destinazione alla soddisfazione prioritaria dei
creditori ereditari:
a) quando l‟eredità è stata accettata dall‟ (unico) erede senza beneficio d‟inventano, si avrà
la costituzione di due masse patrimoniali distinte: la prima, formata dai beni ereditari, la cui
liquidazione concorsuale è esclusivamente rivolta alla soddisfazione paritaria dei creditori del
defunto; la seconda, formata dai beni appartenenti all‟erede a qualunque titolo, la quale rimane
soggetta all‟azione esecutiva individuale sia degli stessi creditori ereditari (verso i quali, in seguito
all‟accettazione pura e semplice, l‟erede è divenuto illimitatamente responsabile) sia dei creditori
personali dell‟erede medesimo;
b) nell‟ipotesi, invece, in cui vi sia una pluralità di eredi:
— se già vi è stata la divisione dell‟eredità: gli effetti del fallimento riguarderanno l‟intero
asse relitto (viene dichiarato, infatti, il fallimento del defunto e non quello della singola quota
ereditaria) e quindi gli organi fallimentari avranno il potere di apprendere il possesso di tutti i beni
che lo compongono; ciascun coerede, però, ex art. 754 c.c., potrà pagare i debiti inerenti la propria
quota ed impedire così la prosecuzione dell‟azione esecutiva sui beni pervenutigli, versando al
curatore le somme corrispondenti;
— se ancora non è intervenuta la divisione: secondo la dottrina tradizionale, non può
procedersi alla stessa, poiché non appare ammissibile la divisione della comunione ereditaria
sottoposta al fallimento.
Lo stato di insolvenza deve riguardare sempre ed esclusivamente l‟imprenditore defunto,
non già l‟erede, ed è sempre al defunto che vanno riferiti gli effetti personali della dichiarazione di
fallimento, salvo che il dissesto sia stato provocato dall‟erede subentrato nell‟esercizio dell‟impresa
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Lezione XI
ovvero si sia manifestato dopo l‟accettazione pura e semplice dell‟eredità (atto che determina la
confusione del patrimonio dell‟erede con quello del de cuius): in tali casi, infatti, è l‟erede che
fallisce.
Analogamente a quanto dispone l‟art. 10 L.F., che regola la diversa ipotesi di fallimento
dell‟imprenditore che ha cessato l‟esercizio dell‟impresa, anche nella ipotesi in commento lo stato
di insolvenza deve essersi manifestato anteriormente alla morte ovvero entro l‟anno successivo alla
cessazione dell‟impresa.
Ai fini della determinazione del momento della cessazione, bisogna distinguere:
— nell‟ipotesi che il defunto esercitasse ancora l‟impresa al momento della morte, la data di
cessazione dell‟attività verrà a coincidere con quella del decesso;
— nel caso, invece, che l‟imprenditore sia deceduto dopo la cessazione dell‟impresa, il
termine annuale per la dichiarazione di fallimento decorre dal giorno della cessazione.
1.11.
Morte del fallito e imprenditore già fallito
Se l‟imprenditore muore dopo la dichiarazione di fallimento, la procedura prosegue nei
confronti degli eredi, anche se hanno accettato con beneficio d‟inventario. Se ci sono più eredi, la
procedura prosegue in confronto di quello che è designato come rappresentante. In mancanza di
accordo nella designazione del rappresentante entro quindici giorni dalla morte del fallito, la
designazione è fatta dal giudice delegato.
Un problema molto dibattuto è altresì quello che concerne il nuovo fallimento
dell‟imprenditore già fallito.
Al riguardo bisogna distinguere due ipotesi:
a) se l‟imprenditore, mentre era ancora in corso la precedente procedura fallimentare, ha
esercitato una nuova attività imprenditoriale, egli — per il principio secondo cui tutto ciò che si
acquista al fallito durante la procedura fallimentare si acquista al fallimento — non può nuovamente
fallire in quanto il cd. nuovo fallimento non è altro che un ampliamento del precedente;
b) se, invece, egli ha intrapreso la nuova attività dopo che la precedente procedura
fallimentare si era chiusa, allora si avrà un vero e proprio nuovo fallimento.
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1.12.
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Il fallimento delle società commerciali
A norma degli artt. 1 L.F. (come novellato dalla riforma e dal decreto correttivo) e 2221 c.c.
devono ritenersi assoggettati alle disposizioni in materia di fallimento gli imprenditori che
esercitano una attività commerciale, con esclusione degli enti pubblici e degli imprenditori che
dimostrano di possedere i requisiti dimensionali e di indebitamento previsti dal 2° comma dell‟art. 1
L.F.
Da ciò si deduce, in via di principio, la assoggettabilità al fallimento di ogni soggetto
collettivo, dotato di autonomia patrimoniale anche se non di personalità giuridica, che eserciti
un‟impresa commerciale, che non sia un ente pubblico e che superi i limiti dimensionali stabiliti
nella legge fallimentare.
Ricordiamo, infatti, che il legislatore della riforma ha previsto la esclusione dal fallimento
delle società commerciali di modeste dimensioni. Di conseguenza, qualsiasi tipo di società avente
ad oggetto un‟attività non agricola non sarà considerata “fallibile” in quanto tale, ma solo qualora
siano superati i limiti dimensionali individuati dalla norma.
Devono ritenersi, pertanto, soggetti al fallimento:
— le società commerciali (aventi, cioè, ad oggetto un‟attività commerciale, art. 2195 c.c.);
— le associazioni (riconosciute e non riconosciute), le fondazioni e gli enti no-profit,
qualora abbiano come scopo esclusivo o prevalente l‟esercizio di un‟attività commerciale;
— i consorzi fra imprenditori con attività esterna e le società consortili;
— le società cooperative che in concreto esercitino attività commerciale, ancorché questa
non ne costituisca l‟oggetto statutario;
— i Gruppi europei di interesse economico (cd. GEIE);
— le società sportive: alle quali si applicano le procedure concorsuali in seguito all‟entrata
in vigore della legge 18 novembre 1996, n. 586, che ha riconosciuto alle società sportive
professionistiche la possibilità di avere scopo di lucro.
Sono escluse, invece, dalle procedure concorsuali:
a) le società semplici, sempreché, di fatto, non esercitino attività commerciale;
b) le comunioni a scopo di godimento;
e) le associazioni in partecipazione.
L‟ assoggettamento della società commerciale alla procedura fallimentare prescinde
dall‟effettivo esercizio dell‟attività, in quanto esse acquistano la qualità di imprenditore
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commerciale dal momento della loro costituzione, non dall‟inizio del concreto esercizio dell‟attività
d‟impresa, al contrario di quanto avviene per l‟imprenditore commerciale individuale.
La legge fallimentare detta alcune norme speciali (artt. 146 e seguenti) che regolano, in caso
di insolvenza sociale, il fallimento delle società commerciali e dei soci illimitatamente responsabili;
la responsabilità per dolo o colpa degli amministratori di società di capitali; nonché i complessi
rapporti tra fallimento sociale e fallimenti individuali dei soci.
Le più importanti situazioni che riguardano il fallimento dei soggetti collettivi sono:
A)
Il fallimento del socio a responsabilità illimitata
Il fallimento di uno o più soci illimitatamente responsabili non produce il fallimento della
società (art. 149 L.F.).
Al contrario, l‟art. 147 L.F., al primo comma, sancisce che la sentenza che dichiara il
fallimento della società con soci a responsabilità illimitata produce anche il fallimento dei soci, pur
se non persone fisiche1, illimitatamente responsabili.
Pertanto:
— il fallimento di una società in nome collettivo (registrata o irregolare) è causa del
fallimento di tutti i soci (artt. 2291 e 2297 c.c.);
—il fallimento dì una società in accomandita per azioni è causa del fallimento dei soci
accomandatari(art. 2452 c.c.);
—il fallimento di una società in accomandita semplice è causa del fallimento di tutti i soci
accomandatari e dei soci accomandanti che abbiano compiuto atti di amministrazione, ovvero
trattato o concluso affari in nome della società, non in forza di procura speciale per singoli affari
(art. 2320 cc.), o che abbiano consentito che il loro nome fosse compreso nella ragione sociale (art.
2314 c.c.) o — nelle accomandite non registrate — che abbiano partecipato alle operazioni sociali
(art. 2317 c.c.).
Il secondo comma dell‟art. 147 L.F. — nel testo riformulato dalla riforma — stabilisce che il
fallimento dei soci illimitatamente responsabili conseguente al fallimento societario «non può
essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della
responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione,fusione o scissione, se sono state osservate
le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati».
La riforma è intervenuta sul primo comma dell‟art 147 L.F. precisando — attraverso l‟inciso «pur se non persone
fisiche» — che il fallimento dei soci illimitatamente responsabili riguarda sia le persone fisiche che le eventuali società
(sia di capitali che di persone) socie di società di persone.
1
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Contro la sentenza del tribunale che dichiara il fallimento del socio è ammesso appello ai
sensi dell‟art. 18 L.F. ; in caso di rigetto della domanda è invece proponibile il reclamo alla Corte
d‟Appello (ex art. 22 L.F.). Si ricordi che, a partire dal 1° gennaio 2008, ai sensi del decreto
correttivo (D. Lgs . 12 settembre 2007, n. 169) il procedimento di appello è sostituito con quello del
«reclamo»: il rito camerale viene dunque adottato non solo per la decisione di primo grado, ma
anche per la fase di gravame, in quanto mezzo tipico di impugnazione dei provvedimenti
pronunciati in camera di consiglio.
B) Estensione del fallimento al socio occulto illimitatamente responsabile
L‟art. 147, 4° comma, L.F. attribuisce al tribunale che abbia pronunziato il fallimento della
società la competenza a dichiararne l‟estensione a carico dei soci illimitatamente responsabili
successivamente individuati.
La riforma fallimentare ha inserito nella norma le precedenti decisioni della Corte
Costituzionale, attribuendo la facoltà di presentare istanza di fallimento dei soci illimitatamente
responsabili non più solo al curatore, ma anche ai creditori (uno o più), e agli altri soci falliti. È
invece stata eliminata la dichiarazione d‟ufficio, in linea con la soppressione dell‟iniziativa d‟ufficio
della dichiarazione di fallimento.
C) Estensione del fallimento e società occulta
Ponendo fine ai problemi giurisprudenziali e dottrinali sorti nel vigore del testo anteriore alla
riforma, il quale non prendeva in considerazione il problema della società occulta, il nuovo 5°
comma dell‟art. 147 L.F. stabilisce che «qualora dopo la dichiarazione di fallimento di un
imprenditore individuale risulti che l‟impresa è riferibile ad una società di cui il fallito è socio
illimitatamente responsabile», è possibile proporre istanza di dichiarazione di fallimento della
società occulta e degli altri soci illimitatamente responsabili, su istanza del curatore, dei creditori o
del socio fallito.
La società occulta sorge quando più persone costituiscono una società, ma si accordano per
non rivelare all‟esterno la sua esistenza, per cui nei confronti dei terzi essa si manifesta come
un‟impresa individuale e tutte le operazioni sono svolte in nome e per conto dell‟unico soggetto
individuato come imprenditore.
D) Socio unico di società di capitali
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Il socio unico di società di capitali, allorché si verifichi una delle situazioni regolate dagli
artt. 2325, 2° comma e 2362 c.c. (unico azionista di s.p.a.) e dall‟art. 2462 c.c. (unico quotista di
s.r.l.), quando la società si trovi in uno stato di insolvenza, risponde illimitatamente delle
obbligazioni sociali sorte nel periodo in cui la totalità delle azioni o quote gli sono appartenute, ma
non fallisce.
La riforma societaria (D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha peraltro limitato l‟operatività della
responsabilità illimitata, per l‟ipotesi di insolvenza, dell‟unico socio a due sole ipotesi:
— quando non sia stato versato l‟intero ammontare dei conferimenti (artt. 2342 e 2464 c.c.);
— quando gli amministratori o lo stesso socio unico non abbiano depositato la dichiarazione
di pubblicità presso il registro delle imprese richiesta dall‟art. 2362 c.c. per le s.p.a. e 2470, 4°
comma, c.c. per le s.r.l.
Quanto alla non fallibilità del socio unico, secondo la dottrina dominante e la giurisprudenza
della Cassazione, non sarebbe applicabile a tali casi l‟art. 147, 1° comma, L.F. La norma infatti si
riferirebbe solo ai soci che sono originariamente illimitatamente responsabili, non anche a soggetti
che lo possono diventare occasionalmente ed eccezionalmente.
Il socio unico di società di capitali non potrebbe quindi essere dichiarato fallito a seguito del
fallimento societario.
E) Socio finanziatore
Per molti anni, dottrina e giurisprudenza hanno escluso che il fallimento della società si
estendesse al socio finanziatore; ugualmente era escluso dall‟estensione del fallimento il socio che
avesse assunto avalli o fidejussioni, in proprio, nell‟interesse della società.
Più di recente, la Cassazione ha modificato il precedente orientamento affermando che
l‟esistenza del rapporto sociale può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i
finanziamenti in favore dell‟imprenditore, allorquando essi siano ricollegabili ad una costante opera
di sostegno dell‟attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento
degli scopi sociali (Cass., 14 febbraio 2003, n. 2200).
G) Società di fatto e società apparente
Sono assoggettabili a fallimento anche le società di fatto, cioè quelle società non registrate,
sorte per lo più senza un vero e proprio atto costitutivo, scaturite dalla semplice unione di capitali e
di volontà rivolte alla ricerca di un lucro attraverso lo svolgimento di attività commerciale.
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Il fallimento di tali enti comporta il fallimento di tutti coloro che vi partecipano (soci di
fatto).
Quanto alla assoggettabilità a fallimento della cd. società apparente, configurabile
allorquando due o più soggetti si comportino in modo da ingenerare nei terzi il convincimento
giustificato ed immune da colpa che essi agiscano come soci e siano tali nella realtà. In questa
ipotesi il comportamento degli agenti assume una funzione preminente ai fini della tutela
dell‟affidamento dei terzi, senza che sia necessario indagare se la società esista o meno in concreto.
Si afferma, pertanto, che la prova contraria non deve riguardare l‟inesistenza della società,
ma deve essere rivolta a fare escludere il comportamento mediante il quale i soci apparenti hanno
ingenerato nei terzi di buona fede il convincimento incolpevole dell‟esistenza della società.
Per limitare in certo modo la portata di tali principi, la Suprema Corte richiede però:
— che l‟affidamento dei terzi non discenda da loro colpa, per avere trascurato l‟onere di
accertarsi della realtà delle cose;
— che all‟apparenza oggettiva della situazione giuridica e alla buona fede del terzo si
accompagni un comportamento doloso o colposo da parte del titolare della situazione apparente che
ha causato l‟errore del terzo.
In presenza di queste condizioni, è ammesso il fallimento della società apparente.
1.13.
Il fallimento delle società di persone
Nelle società di persone i singoli soci illimitatamente responsabili falliscono anche in
proprio .
Il fallimento della società e quello dei singoli soci illimitatamente responsabili vengono
dichiarati con la stessa sentenza: le diverse procedure e le masse fallimentari rimangono, però,
distinte a causa dell‟autonomia patrimoniale della società (d‟altra parte, se è vero che i creditori
sociali sono anche creditori dei singoli soci, è pur vero che i creditori dei singoli soci non sono
necessariamente anche creditori della società).
Ne consegue che:
— deve procedersi alla formazione di distinti stati passivi ed il decreto con il quale viene
dichiarato esecutivo lo stato passivo del fallimento del singolo socio ha efficacia preclusiva solo
nell‟ambito della massa di tale debitore;
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— per i creditori della società l‟insinuazione al passivo della società medesima si intende
avvenuta anche nel fallimento dei singoli soci (per l‟intero e con il medesimo eventuale privilegio)
ed essi partecipano a tutte le ripartizioni fino all‟integrale pagamento, salvo il regresso fra i
fallimenti dei soci per la parte pagata in più della quota rispettiva;
— per i creditori particolari dei soci l‟insinuazione è limitata al fallimento dei soci loro
debitori.
1.14.
lI fallimento delle società di capitali
Per il fallimento delle società di capitali mancando una persona fisica rispetto alla quale
possono verificarsi effetti personali, la dichiarazione di fallimento non può che influire sullo stato
patrimoniale del soggetto collettivo; limitate conseguenze personali si verificano soltanto rispetto ad
alcune persone.
Pertanto:
— il fallimento va dichiarato in nome della società, in persona degli amministratori che la
rappresentano;
— la dichiarazione di fallimento è causa di scioglimento, non di estinzione, della società e
gli organi di questa continuano ad operare con i poteri compatibili con il perdurante fallimento;
— la dichiarazione di fallimento preclude la liquidazione della società regolamentata dal
codice civile o la sospende se essa è in atto;
— il giudice delegato può, su proposta del curatore, ingiungere con decreto, ai soci a
responsabilità limitata ed ai precedenti titolari delle azioni o delle quote, di eseguire i versamenti
ancora dovuti, anche qualora non sia scaduto il termine stabilito per il pagamento ;
— gli amministratori ed i liquidatori sono tenuti agli obblighi imposti al fallito dall‟art. 49
L.F.;
— l‟eventuale responsabilità penale per bancarotta ricade sugli amministratori e sui
liquidatori;
— gli amministratori e i liquidatori vanno sentiti ogni qual volta la legge prescrive che sia
sentito il fallito;
— l‟azione di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di
controllo, i direttori generali e i liquidatori, a norma degli artt. 2393 e 2394bisc.c., è esercitata dal
curatore, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori.
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Allo stesso modo, il curatore può esercitare l‟azione di responsabilità contro i soci della
s.r.l., ai sensi dell‟art. 2476, 7° comma, c.c. (precisazione introdotta dalla riforma).
1.15.
Società cooperative
Le società cooperative sono soggette al fallimento qualora svolgano un‟attività commerciale,
salvo i casi in cui leggi speciali prevedano l‟obbligatorio assoggettamento alla procedura alternativa
della liquidazione coatta amministrativa (es.: società cooperative che esercitano il credito, casse
rurali ed artigiane, cooperative per la costruzione e l‟acquisto di case popolari ed economiche). Per
quanto concerne il regime della responsabilità dei soci, la riforma del diritto societario, modificando
l‟art. 2518 c.c., ha eliminato la distinzione tra società cooperativa a responsabilità limitata ed
illimitata, ed ha introdotto un unico regime di responsabilità, prevedendo che per le obbligazioni
sociali è esclusivamente responsabile la società con il suo patrimonio.
1.16.
Il presupposto oggettivo: lo stato di insolvenza
L‟art. 5 L.F. dispone: «L‟imprenditore che si trova in stato d‟insolvenza è dichiarato fallito.
Lo stato d‟insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che
il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni».
Tale norma riveste una duplice importanza in quanto da un lato precisa cos‟è lo stato di
insolvenza e dall‟altro indica come esso si manifesta.
L‟inadempimento consiste nella mancata esatta prestazione di ciò che era dovuto. Esso:
— si riferisce sempre e soltanto ad una singola, determinata obbligazione;
— si obiettiva in una mancata prestazione.
Va rilevato che l‟inadempimento, oltre che dalla impossibilità per il debitore di adempiere,
può anche dipendere da differenti cause (ad esempio: dalla erronea credenza di nulla dovere o dalla
esistenza di eccezioni che il debitore in buona fede possa ritenere fondate etc.).
Su un piano diverso si pone, invece, l‟insolvenza. Essa, infatti:
— si riferisce non ad una singola obbligazione, bensì a tutta la situazione patrimoniale del
debitore;
— non consiste necessariamente in una mancata prestazione.
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È insolvente non soltanto chi non può pagare tutti i suoi creditori, ma anche chi può pagarne
solo alcuni o può pagare solo parzialmente i suoi debiti; ovvero può pagare tutti, ma in un tempo
successivo rispetto alla scadenza; ovvero, ancora, può continuare a pagare i debiti, ma svendendo ad
un prezzo vile i suoi beni, il che, pur se non rende inadempiente il soggetto, ne aggrava tuttavia la
situazione economica complessiva, con pregiudizio degli altri creditori.
Per stato di insolvenza si intende la situazione di oggettiva impotenza non transitoria ad
adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni, determinata dalla mancanza
dei mezzi necessari per effettuare i pagamenti dovuti e dall‟impossibilità di procurarsi tali mezzi
altrove, mediante ricorso al credito.
Ai fini della dichiarazione di fallimento, la verifica della sussistenza dello stato d‟insolvenza
presuppone un giudizio sulla capacità prospettica dell‟organizzazione dell‟impresa di fronte agli
impegni presi in modo regolare, secondo i criteri usuali di un‟ordinata vita d‟affari; insolvente è,
perciò, l‟imprenditore che non può soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni o perché non ha
nel suo patrimonio i mezzi per effettuare il pagamento o perché non può procurarseli, cioè
l‟imprenditore che ha perso il credito e non ha attività sufficienti a fronteggiare il passivo.
Di notevole importanza in merito alla portata e alla rilevanza dello stato di insolvenza è la
novità introdotta dalla riforma fallimentare nell‟art. 15, ultimo comma, L.F. (modificato
successivamente dal decreto correttivo 12 settembre 2007, n. 169), il quale prevede che il fallimento
non si possa dichiarare quando «l‟ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell‟
istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila». Tale importo potrà
essere aggiornato ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle
variazioni degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati
intervenute nel periodo di riferimento.
Il suddetto decreto correttivo ha innalzato la soglia di insolvenza introdotta dalla riforma
portandola da venticinquemila a trentamila euro: di conseguenza, per le dichiarazioni di fallimento
pendenti al 1° gennaio 2008 (data di entrata in vigore del decreto stesso) o aperte successivamente,
si prenderà in considerazione l‟ammontare dei debiti pagati e non scaduti pari a trentamila euro,
mentre fino a tale data continuerà ad applicarsi la soglia di venticinquemila euro introdotta dalla
riforma del 2006.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale
1.17.
Lezione XI
Insolvenza e «pactum de non potendo»
Non può parlarsi di insolvenza dell‟imprenditore allorché questi, pur attraversando un
periodo di crisi, ispira tuttavia fiducia per la sua capacità produttiva e per le sue doti di correttezza e
puntualità, per cui può ancora ottenere crediti o dilazioni nei pagamenti.
Spesso, il debitore — per dimostrare di trovarsi nella situazione favorevole anzidetta —
fornisce la prova dell‟avvenuta temporanea rinuncia patrizia, da parte di tutti o solo di alcuni dei
suoi creditori, al soddisfacimento delle obbligazioni scadute: trattasi del cd. «pactum de non
petendo», ritenuto valido dalla prevalente giurisprudenza nel quadro dell‟autonomia contrattuale
riconosciuta dall‟art. 1322 cc., in quanto costituente accordo finalizzato alla dilazione dei termini di
scadenza dei crediti.
Con il DL. 35/2005 (cd. «decreto competitività, in vigore dal 17 marzo 2005), hanno per la
prima volta assunto rilievo normativo nella legge fallimentare gli accordi stragiudiziali tra debitore
e creditori.
Essi sono stati introdotti nella nuova disciplina in due distinti momenti:
— negli accordi di ristrutturazione dei debiti : il debitore può raggiungere un accordo con i
creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti, da sottoporre al successivo controllo del
tribunale;
— per l‟eventualità di un successivo fallimento, nell‟esenzione da revocatoria per «gli atti, i
pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un
piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria del impresa e ad
assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un
professionista iscritto nel registro dei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall‟art. 28, ai
sensi dell‟art. 2501 bis, 4° comma, cc.» .
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Diritto Commerciale
Lezione XI
2 La dichiarazione di fallimento
2.1
Il tribunale competente
Competente alla dichiarazione di fallimento è il tribunale del luogo ove l‟imprenditore ha la
sede principale dell‟impresa (art. 9 L.F): trattasi di competenza funzionale e, perciò, inderogabile.
Ai fini della competenza territoriale a decidere sul fallimento, la sede principale, o effettiva,
dell‟impresa deve essere individuata alla data di presentazione (deposito in cancelleria) dell‟istanza
di fallimento, ovvero, in caso di richiesta da parte del P.M., alla data del provvedimento con cui si
dispone la comparizione del debitore in camera di consiglio, con la conseguenza che — in base al
principio della perpetuatio iurisdictionis — diviene irrilevante ogni successivo spostamento di sede.
La riforma ha precisato, al 2° comma dell‟art. 9 L.F., che «il trasferimento della sede
intervenuto nell‟ anno antecedente all‟ esercizio dell‟iniziativa per la dichiarazione di fallimento
non rileva ai fini della competenza». In questo modo, è stato sancito normativamente il principio,
già affermato più volte dalla Cassazione, dell‟irrilevanza del cambiamento della sede effettuato
dall‟imprenditore nell‟imminenza della dichiarazione di fallimento, rimanendo radicata la
competenza territoriale del tribunale della sede di provenienza.
Prima dell‟intervento della riforma molto discusso era il problema della validità ed efficacia
della sentenza dichiarativa di fallimento emessa da tribunale incompetente.
La riforma è intervenuta sul problema con l‟art. 9bis L.F., stabilendo che se il tribunale che
ha pronunciato il fallimento si dichiara incompetente (o se sia dichiarato incompetente da altra
autorità giudiziaria) deve disporre con decreto l‟immediata trasmissione degli atti al tribunale
dichiarato competente. Quest‟ultimo, entro 20 giorni dal ricevimento degli atti, dispone la
prosecuzione della procedura fallimentare, provvedendo alla nomina del nuovo giudice delegato e
del curatore. Gli effetti degli atti precedentemente compiuti restano salvi.
I giudizi promossi ai sensi dell‟art. 24 L.F. dinanzi al tribunale dichiarato incompetente
possono essere riassunti davanti al giudice competente e a tal fine il giudice incompetente assegnerà
alle parti un termine per la riassunzione del giudizio e ordinerà la cancellazione della causa dal
ruolo .
Nel caso, poi, in cui si manifesti un conflitto positivo di competenza, vale a dire qualora il
fallimento sia stato dichiarato da più tribunali, la riforma ha previsto che il procedimento prosegua
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Lezione XI
avanti al tribunale competente che si è pronunciato per primo. Di conseguenza, il tribunale che ha
dichiarato per secondo il fallimento dispone la trasmissione degli atti a quello che si è pronunciato
per primo.
2.2
L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento
A norma dell‟art. 6 L.F., nuovo testo, «il fallimento è dichiarato su ricorso del debito re, di
uno opiù creditori o su richiesta del pubblico ministero».
La riforma ha soppresso la dichiarazione di fallimento per iniziativa d‟ufficio ed ha previsto
che nel ricorso presentato dal creditore l‟istante possa indicare il recapito telefax o l‟indirizzo di
posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla
legge. Esaminiamo le singole ipotesi:
A) Ricorso di uno o più creditori
Qualsiasi creditore dell‟imprenditore, sia chirografario che privilegiato, anche se non munito
di titolo esecutivo ed anche se vanta un credito che non è ancora scaduto, può presentare ricorso al
tribunale perché venga dichiarato il fallimento dell‟imprenditore. Il ricorrente è tenuto a fornire, sia
pure in forma sommaria, la prova del suo credito. Non è necessario che il credito vantato sia di
natura commerciale né che la prova sia rigorosa, anzi l‟eventuale insufficienza o la mancanza di tale
prova non giustificano di per sé il rigetto dell‟istanza: infatti il tribunale è sempre tenuto a svolgere
indagini al riguardo.
B) Richiesta dello stesso debitore
Anche il debitore può chiedere il proprio fallimento.
Questi è tenuto, insieme alla richiesta di fallimento, a presentare le scritture contabili e
fiscali obbligatorie relative alla gestione dei tre esercizi precedenti (o dell‟intera esistenza
dell‟impresa se questa ha avuto una durata inferiore), lo stato particolareggiato ed estimativo delle
sue attività, l‟elenco nominativo dei creditori con l‟indicazione dei rispettivi crediti, l‟indicazione
dei ricavi lordi per ciascuno degli ultimi tre anni, l‟elenco nominativo di coloro che vantano diritti
reali e personali su cose in suo possesso e l‟indicazione delle cose stesse e del titolo da cui sorge il
diritto.
In ogni caso il tribunale deve accertare la obiettiva esistenza dello stato di insolvenza, non
bastando la sola dichiarazione del debitore, anche avvalendosi di altre fonti e, eventualmente, delle
deposizioni rese, in sede di interrogatorio, dagli stessi creditori.
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Lezione XI
È, infatti, innanzitutto sulla base di questi elementi che il tribunale accerterà direttamente
l‟eventuale stato di insolvenza.
C) Istanza del P.M.
Il P.M. deve proporre istanza di fallimento se, nel corso di un procedimento penale,
l‟insolvenza risulti dalla fuga, dall‟irreperibilità o dalla latitanza dell‟imprenditore, dalla chiusura
dei locali dell‟impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta
dell‟attivo; oppure qualora nel corso di un qualsiasi procedimento civile, l‟insolvenza sia rilevata
dal giudice che ne dia segnalazione al P.M. (art. 7 L.F, nuovo testo).
Nelle ipotesi anzidette, pertanto, la legge stabilisce un vero e proprio obbligo del P.M. di
domandare la dichiarazione di fallimento.
D) Dichiarazione d’ufficio
La riforma ha soppresso la dichiarazione di fallimento per iniziativa d‟ufficio del giudice,
anche alla luce dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale.
A partire dal 16 luglio 2006, dunque, il fallimento può essere richiesto solo dal debitore, dai
creditori e dal P.M. Tuttavia, il giudice ha il dovere di segnalare al P.M. l‟insolvenza eventualmente
rilevata nel corso di un giudizio civile in cui l‟imprenditore sia parte, affinché il pubblico ministero
possa richiedere il fallimento.
2.3
L’audizione obbligatoria del debitore
L‟art. 15 L.F., completamente riscritto dal decreto di riforma e successivamente modificato
dal decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), regolamenta la fase dell‟istruttoria
prefallimentare, la quale si svolge davanti al tribunale in composizione collegiale con le modalità
dei procedimenti in camera di consiglio.
Il legislatore del 2006 ha in primo luogo stabilito l‟obbligo della previa convocazione
dell‟imprenditore fallendo (nonché dei soci illimitatamente responsabili cui si estende il fallimento
della società di persone), in modo da garantirgli il diritto alla difesa ed al fine di consentire il pieno
contraddittorio tra le parti.
Il debitore ed i creditori istanti devono quindi essere convocati avanti al tribunale, con
decreto apposto in calce al ricorso per la dichiarazione di fallimento, sottoscritto dal presidente del
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Lezione XI
tribunale o dal giudice relatore — se la trattazione del procedimento è stata a lui delegata — e
notificato a cura della parte; per assicurare al debitore congrui termini di difesa, in accordo con le
esigenze di speditezza e di celerità del procedimento, è disposto che tra la data della notifica e
quella dell‟udienza debba intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni (il decreto
correttivo ha soppresso la loro precedente qualifica di «giorni liberi»).
La sentenza dichiarativa di fallimento pronunziata senza che sia stato assicurato il diritto di
difesa del debitore, o del legale rappresentante della società debitrice, è nulla.
La nullità in questione può essere fatta valere soltanto proponendo reclamo alla
dichiarazione di fallimento (art. 18 L.F.), anche se non espressamente dedotta con l‟atto introduttivo
del giudizio.
In mancanza di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento, invece, la nullità
viene sanata.
2.4
L’istruttoria
Iniziatasi la procedura, il tribunale deve convocare il debitore in camera di consiglio e
sentirlo, anche in confronto dei creditori istanti.
L‟istruttoria prefallimentare si svolge avanti al tribunale in composizione collegiale, con le
modalità del procedimento in camera di consiglio (art. 15 L.F, nuovo testo).
In primo luogo, deve essere accertata l‟esistenza dei presupposti per la dichiarazione di
fallimento. Spetta, pertanto, al tribunale valutare i requisiti necessari per poter qualificare il debitore
stesso imprenditore commerciale assoggettabile a fallimento (presupposto soggettivo), nonché la
verifica della sussistenza dello stato di insolvenza (presupposto oggettivo).
La riforma ha inoltre introdotto nella fase prefallimentare un‟importante novità: la
possibilità per il tribunale di emettere, ad istanza di parte, provvedimenti cautelari e conservativi, a
tutela del patrimonio o dell‟impresa. Tali provvedimenti hanno un‟efficacia limitata alla durata del
procedimento, in quanto saranno confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa di fallimento,
ovvero revocati con il decreto che rigetta l‟istanza. Ricordiamo infine che il nuovo testo dell‟art. 15,
ultimo comma, L.F. ha introdotto una barriera di non fallibilità, stabilendo che il fallimento non è
dichiarabile se l‟ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell‟istruttoria
prefallimentare è complessivamente inferiore a trentamila euro (importo elevato dal decreto
correttivo, per cui è applicabile alle sole dichiarazioni di fallimento già in corso o successive al 10
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Diritto Commerciale
Lezione XI
gennaio 2008; fino a tale data, la soglia è di venticinquemila euro). Tale cifra è aggiornabile a
cadenza triennale con decreto del Ministro della giustizia sulla base della media delle variazioni
degli indici ISTAT dei prezzi al consumo.
All‟esito delle indagini, il tribunale può o respingere l‟istanza o accoglierla, dichiarando il
fallimento.
2.5
Il provvedimento che respinge l’istanza di
fallimento
Il tribunale, prima di accertare nel merito la esistenza dei presupposti, può ritenere, anche
d‟ufficio, la propria incompetenza enunciandola con sentenza dichiarativa. In questo caso, il
tribunale dichiaratosi incompetente dispone con decreto l‟immediata trasmissione degli atti a quello
competente, secondo la stessa procedura determinata in caso di fallimento dichiarato dal tribunale
incompetente . Fuori dall‟ipotesi di incompetenza, il tribunale può rigettare nel merito il ricorso del
creditore, con decreto motivato, quando ritenga l‟insussistenza dei presupposti richiesti dalla legge.
Il decreto di rigetto è impugnabile con reclamo alla Corte di appello, entro trenta giorni dalla
sua comunicazione: con tale reclamo la Corte viene investita dell‟esame di merito del ricorso
rigettato dal tribunale.
Il termine di trenta giorni previsto per il reclamo contro il provvedimento di rigetto è stato
così modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), per cui è applicabile ai
soli procedimenti di dichiarazione di fallimento iniziati dopo il 1° gennaio 2008 o già pendenti a
tale data. Il precedente termine era di quindici giorni. La riforma, recependo la precedente decisione
della Corte Costituzionale (sentenza n. 328/1999), ha precisato che legittimato al reclamo è anche il
debitore, qualora il tribunale, pur rigettando l‟istanza, non abbia accolto le domande di condanna,
formulate dal debitore stesso, volte ad ottenere la rifusione delle spese ed il risarcimento del danno
per responsabilità aggravata. Il debitore, infatti, non può chiedere tali condanne in un separato
giudizio.
La Corte di appello decide in camera di consiglio e la sua decisione, che assume la forma del
decreto, può essere:
— di rigetto;
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Diritto Commerciale
Lezione XI
— di accoglimento, nel qual caso la Corte rimette di ufficio gli atti al tribunale, per la
dichiarazione di fallimento, salvo che, su segnalazione di parte, accerti che sia venuto meno alcuno
dei presupposti necessari .
Il provvedimento della Corte di appello, sia che respinga sia che accolga il reclamo
proposto, non è suscettibile di ricorso per Cassazione. Le parti, ad ogni modo, non restano prive di
tutela: infatti in caso di accoglimento del ricorso e rimessione degli atti al tribunale fallimentare il
debitore potrà impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento; in caso, invece, di rigetto del
ricorso con conferma della non procedibilità dell‟iniziativa atta a far dichiarare il fallimento, il
creditore potrà comunque proporre una nuova istanza di fallimento, adducendo nuovi mezzi
probatori.
2.6
Accoglimento dell’istanza: la sentenza dichiarativa
del fallimento
Se il tribunale riscontra l‟esistenza dei presupposti previsti dalla legge, dichiara il fallimento
con sentenza.
La sentenza dichiarativa del fallimento ha contenuto complesso; essa infatti, oltre a
dichiarare il fallimento del debitore, contiene:
— la nomina dei principali organi della procedura (giudice delegato e curatore);
— l‟ordine al fallito di depositare, entro tre giorni, bilancio e scritture contabili e fiscali
obbligatorie, nonché l‟elenco dei creditori;
— la fissazione del luogo, del giorno e dell‟ora della prima udienza di verifica dei crediti
(accertamento dello stato passivo), che deve avvenire entro 120 giorni dal deposito della sentenza.
Sul punto è intervenuto il decreto correttivo (applicabile alle procedure di dichiarazione di
fallimento aperte dopo il 1° gennaio 2008 o pendenti a tale data), il quale, al fine di consentire un
più lungo termine per la fissazione dell‟adunanza per l‟esame dello stato passivo nei casi di
procedure particolarmente complesse, e quindi con numerosi creditori, ha previsto che il termine
possa essere di 180 giorni;
— l‟assegnazione ai creditori ed ai terzi che vantano diritti reali o personali su cose in
possesso del fallito, del termine perentorio di 30 giorni prima dell‟udienza di accertamento del
passivo, per la presentazione delle domande di insinuazione allo stato passivo, di restituzione o di
rivendica .
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Lezione XI
Quanto alla pubblicità, dispone l‟art. 17 L.F., nuovo testo, che la sentenza entro il giorno
successivo al deposito in cancelleria:
— è notificata al debitore (per intero), su richiesta del cancelliere, eventualmente presso il
domicilio eletto nel corso dell‟istruttoria prefallimentare;
— è comunicata per estratto, tramite biglietto di cancelleria o a mezzo telefax o posta
elettronica , al P.M. (novità aggiunta dal decreto correttivo), al curatore ed al richiedente il
fallimento, indicando i nomi del debitore e del curatore, il dispositivo e la data del deposito della
sentenza;
— è annotata presso l‟ufficio del registro delle imprese ove l‟imprenditore ha la sede legale
e, se questa differisce dalla sede effettiva, anche presso quello corrispondente al luogo ove la
procedura è stata aperta. A tal fine, il cancelliere trasmette l‟estratto della sentenza al registro delle
imprese, anche per via telematica.
La sentenza dichiarativa di fallimento viene ad esistenza dalla data della sua pubblicazione
(momento che coincide con il deposito in cancelleria) e produce i suoi effetti tra le parti da tale
momento, pur se diverso da quello della sua deliberazione; nei confronti dei terzi, invece, gli effetti
si producono dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.
La sentenza è provvisoriamente esecutiva.
Subito dopo la pubblicazione della sentenza, è formato dal cancelliere un fascicolo, anche
con modalità informatiche, nel quale devono essere contenuti tutti gli atti attinenti al procedimento,
esclusi quelli che, per ragioni di riservatezza, devono essere custoditi separatamente. Possono
consultare il fascicolo il comitato dei creditori e ciascun suo componente (senza alcuna limitazione),
nonché il fallito (ad eccezione della relazione del curatore e dei documenti per i quali il giudice
delegato ha stabilito la custodia separata). Gli altri creditori ed i terzi hanno diritto di prendere
visione e di estrarre copia degli atti e dei documenti per i quali sussiste un loro specifico ed attuale
interesse, previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il curatore.
2.7
Impugnazione della dichiarazione di fallimento
Contro la sentenza che dichiara il fallimento possono fare reclamo il debitore e «qualunque
interessato» (art. 18 L.F., nuovo testo), cioè chiunque abbia interesse, non solo patrimoniale ma
anche semplicemente morale, ad ottenere la revoca del fallimento (ad esempio, il coniuge del
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Lezione XI
fallito, il suo erede e il curatore dell‟eredità giacente, un creditore che abbia interesse contrario al
fallimento e tutti coloro che possono temere di essere colpiti da azioni revocatorie, l‟amministratore
della società dichiarata fallita). L‟art. 18 L.F., già sensibilmente toccato dalla riforma del 2006, è
stato parzialmente modificato dal decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169). La
formulazione contenuta nella riforma prevedeva infatti il procedimento dell‟appello per
l‟impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Il correttivo, invece, in coerenza con il rito
camerale, ha sostituito il precedente procedimento di appello con quello del «reclamo»: il rito
camerale viene dunque adottato per la decisione di primo grado.
Secondo la nuova formulazione dell‟art. 18 il ricorso deve essere depositato entro 30 giorni
presso la Corte d‟appello e non sospende gli effetti della sentenza impugnata.
Il decreto correttivo ha specificato il contenuto del ricorso, il quale deve comprendere
l‟indicazione della Corte d‟appello competente, le generalità dell‟impugnante e l‟elezione del
domicilio nel comune in cui ha sede la Corte, l‟esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui
si basa l‟impugnazione con le relative conclusioni, nonché l‟indicazione dei mezzi di prova e dei
documenti di cui il ricorrente intende avvalersi.
È stata inoltre prevista una più compiuta e precisa disciplina, applicabile alle dichiarazioni di
fallimento aperte dopo il 10 gennaio 2008 o già pendenti a tale data:
— il presidente, nei cinque giorni successivi al deposito del ricorso,fissa con decreto
l‟udienza di comparizione, da tenersi entro sessanta giorni dal deposito stesso;
— il ricorso e il decreto devono essere quindi notificati dal reclamante al curatore e alle altre
parti entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto. La notifica deve avvenire in modo che tra
di essa e l‟udienza intercorra un termine di almeno trenta giorni, per garantire il diritto di difesa
delle controparti;
— le parti resistenti devono costituirsi almeno dieci giorni prima dell‟udienza, depositando
una memoria contenente l‟esposizione delle difese in fatto e in diritto ed indicando i mezzi di prova
ed i documenti prodotti;
— l‟intervento di qualunque interessato non può avere luogo oltre il termine stabilito per la
costituzione dei resistenti e con le stesse modalità.
All‟udienza il collegio, sentite le parti, assume, anche d‟ufficio, nel rispetto del
contraddittorio, i mezzi di prova che ritiene necessari.
La Corte d‟appello decide sul reclamo con sentenza, ricorribile in Cassazione entro il più
breve termine di trenta giorni dalla sua notificazione. È stata invece esclusa la possibilità di
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Lezione XI
utilizzare per la decisione il rito della trattazione orale della causa ed immediata pronuncia della
sentenza, in quanto incompatibile con la struttura camerale del procedimento.
La sentenza con cui si chiude il giudizio di appello può accogliere il ricorso, disponendo la
revoca del fallimento. In tal caso la sentenza è notificata al curatore, al creditore che ha chiesto il
fallimento e al debitore, e deve essere pubblicata, comunicata ed iscritta a norma dell‟art. 17.
In alternativa, la Corte può rigettare il reclamo, confermando pertanto il fallimento; la
decisione è, in questo caso, notificata al ricorrente.
La riforma, riscrivendo l‟art. 19 L.F., ha previsto ex novo la possibilità per la parte che
propone l‟impugnazione o per il curatore di richiedere alla Corte la sospensione, in tutto o in parte,
o anche solo temporaneamente, della liquidazione dell‟attivo eventualmente già iniziata. Il collegio
può accogliere l‟istanza quando ricorrono gravi motivi, previa comparizione delle parti in camera di
consiglio.
Non è invece prevista, per cui non ammissibile, la sospensione della provvisoria esecutorietà
della sentenza.
2.8
La revoca del fallimento
Secondo la previsione dell‟art. 18 L.F., nuovo testo, l‟accoglimento del ricorso con cui è
stata impugnata la sentenza dichiarativa di fallimento comporta la «revoca» del fallimento stesso.
I motivi che, generalmente, legittimano la revoca del fallimento sono:
a) l‟insussistenza dello stato d‟insolvenza del debitore, dichiarato fallito, alla data della
dichiarazione di fallimento;
b) la non appartenenza del fallito alla categoria dei soggetti o enti assoggettabili alla
procedura fallimentare;
e) la dichiarazione di fallimento dell‟imprenditore che da oltre 1 anno ha cessato l‟esercizio
dell‟impresa (art 10 L.F.);
d) la dichiarazione di fallimento dell‟imprenditore defunto da oltre 1 anno (art. 11 L.F.);
e) la mancata audizione del fallito (art. 15 L.F.).
A seguito della revoca della sentenza di fallimento:
a) restano salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento;
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b) riacquistano la pienezza dei loro effetti quegli atti la cui inefficacia si sia
automaticamente attuata con la dichiarazione di fallimento (artt. 64 e 65 L.F.) o sia stata
giudizialmente dichiarata attraverso l‟esperimento della revocatoria fallimentare;
c) permangono gli effetti degli atti di diritto sostanziale frattanto realizzatisi a favore dei
terzi, come l‟interruzione o il compimento della prescrizione, ovvero il verificarsi dell‟usucapione;
d) l‟«ex fallito» riacquista tutte le libertà personali (artt. 48 e 49 L.F.) e le capacità già
limitatesi o perdute, ivi compresa la capacità processuale;
e) vengono eliminati tutti gli effetti negativi per i creditori (es.: la sospensione degli interessi
dei loro crediti), in quanto non è più necessario realizzare gli scopi peculiari del concorso ed attuare
la par condicio;
f) le spese della procedura ed il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale con
decreto, su relazione del giudice delegato;
g) se è proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza che revoca il fallimento, il
ricorrente può chiedere alla Corte di appello la sospensione della liquidazione ;
h) tali spese sono poste a carico del creditore istante, qualora questi sia stato condannato ai
danni per aver chiesto la dichiarazione di fallimento con colpa, mentre sono poste a carico del
fallito persona fisica, se con il suo comportamento ha dato causa e adito alla dichiarazione di
fallimento.
La competenza a pronunziarsi sulla responsabilità del creditore istante è del giudice investito
del giudizio di impugnazione.
Oggetto della obbligazione di risarcimento è ogni danno subito dal debitore in conseguenza
della dichiarazione, della eventuale paralisi della sua attività lavorativa, del discredito commerciale
o professionale o semplicemente personale.
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Lezione XI
3 Le conseguenze del fallimento
3.1 Gli effetti della sentenza di fallimento
La sentenza dichiarativa del fallimento produce molteplici conseguenze che, secondo la loro
natura, si distinguono in:
a) effetti di natura privata
i quali, a loro volta, possono riguardare:
— la posizione giuridica del debitore e sono personali e patrimoniali;
— la posizione giuridica dei creditori;
— la posizione giuridica dei terzi;
— i rapporti giuridici preesistenti;
b) effetti di natura processuale;
c) effetti di natura penale.
3.2
Effetti personali nei confronti del fallito
A) Effetti sui diritti fondamentali
La sentenza dichiarativa di fallimento incide, innanzitutto, su due diritti civili
dell‟imprenditore, costituzionalmente garantiti: il diritto di libertà e segretezza della corrispondenza
(art. 15 Cost.) ed il diritto di locomozione e soggiorno (art. 16 Cost.). Per effetto del fallimento,
infatti:
a) il fallito, persona fisica, deve consegnare al curatore la propria corrispondenza, inclusa
quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento (art. 48 L.F., nuovo testo). Nel caso
di mancato ottemperamento dell‟obbligo, il fallito decade dal beneficio dell‟esdebitazione;
b) il fallito, o gli amministratori o i liquidatori della società o dell‟ente, deve comunicare al
curatore ogni cambiamento della propria residenza o del proprio domicilio. In caso di mancato
adempimento, è prevista una sanzione penale. Egli deve presentarsi personalmente agli organi del
fallimento per fornire informazioni o chiarimenti sulla gestione della procedura, anche a mezzo di
mandatario in caso di legittimo impedimento .
Le suddette limitazioni perdurano fino alla chiusura del fallimento.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione XI
B) Incapacità derivanti dal fallimento
La riforma, nell‟ottica dell‟eliminazione delle sanzioni personali a carico del fallito, ha
abolito il registro dei falliti (peraltro mai istituito) attraverso l‟abrogazione del l‟art. 50 L.F., nonché
ha soppresso la prevista incapacità per il fallito, nei 5 anni successivi al fallimento, di esercitare il
diritto di voto (elettorato attivo) .
In coordinamento con tali interventi, è stato soppresso l‟istituto della riabilitazione.
In caso di fallimento di imprenditore collettivo, gli effetti personali assumono aspetti
particolari; così, in caso di fallimento di società:
a) restano in carica gli organi sociali, che esercitano quei poteri che la legge concede al
debitore fallito;
b) mentre la riforma del 2006 aveva previsto l‟obbligo di consegna al curatore della
corrispondenza riguardante i soli rapporti compresi nel fallimento anche rispetto alla
corrispondenza diretta agli amministratori e ai liquidatori di società , il decreto correttivo (D.Lgs. 12
settembre 2007, n. 169), intervenuto sulla disposizione in esame ed in vigore a partire dai fallimenti
aperti dopo 1° gennaio 2008, ha circoscritto la salvaguardia degli interessi di riservatezza della
corrispondenza al solo «fallito persona fisica», mentre negli altri casi ha previsto che tutta la
corrispondenza diretta alla società fallita debba essere consegnata al curatore;
c) l‟obbligo di comunicazione del mutamento di residenza è vigente nei confronti degli
amministratori o dei liquidatori della società fallita. Tali soggetti devono essere sentiti in tutti i casi
in cui è previsto che sia sentito il fallito;
d) non possono, naturalmente, verificarsi le incapacità che colpiscono la persona fisica,
tuttavia sono ipotizzabili alcune incapacità per la società, quale l‟esclusione dagli appalti per le
opere pubbliche.
3.3 Effetti patrimoniali nei confronti del fallito
A) Lo spossessamento del patrimonio del fallito
In seguito alla dichiarazione di fallimento, il fallito viene spossessato dei suoi beni, che
passano all‟amministrazione del curatore, il quale li prende in consegna. La dichiarazione di
fallimento priva il fallito del potere di amministrazione e di disposizione dei beni, ma non anche
della proprietà. Lo spossessamento avviene di diritto alla data della dichiarazione del fallimento,
riferita al deposito in cancelleria della relativa sentenza, che ne rappresenta l‟esteriorizzazione.
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Lezione XI
B) I beni non acquisibili al fallimento
Lo spossessamento non si estende a tutti i beni del fallito, in quanto ne restano esclusi:
1) i beni e i diritti strettamente personali.
2) gli assegni aventi carattere alimentare; gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito
guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della
famiglia.
3) i frutti derivanti dall‟usufrutto legale sui beni dei figli minori nonché i beni costituiti in
fondo familiare ed i loro frutti;
4) le cose non soggette a pignoramento ai sensi dell‟art. 514 c.p.c. (cose sacre, anello
nuziale, biancheria, utensili di casa, letti necessari alla famiglia etc.).
C) I beni compresi nel fallimento
Rientrano nello spossessamento, quindi, ad eccezione di quelli sopra visti:
— tutti i beni del fallito, siano essi mobili o immobili, corporali o incorporali;
— i diritti, i crediti, le azioni di impugnativa, di risoluzione;
— le facoltà di acquistare beni o diritti (accettazione di eredità, legati o donazioni);
— le azioni di danno spettanti al fallito (artt. 2393 e 2394 c.c.).
D) I beni che pervengono al fallito durante il fallimento
A norma dell‟art. 42,2° comma, L.F., «sono compresi nel fallimento anche i beni che
pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l‟acquisto e la
conservazione dei beni medesimi».
Trattasi di qualsiasi bene sopravvenuto, a titolo oneroso o gratuito, per atto tra vivi o
successione a causa di morte; ma anche di beni derivanti da un‟attività non avente carattere
negoziale (es.: ritrovamento di un tesoro o di cose smarrite) ovvero di quanto ricavato dallo
sfruttamento dei beni creati dallo stesso fallito (es.: opere artistiche o letterarie, invenzioni
industriali).
Devono dedursi, però, le passività incontrate per l‟acquisto e la conservazione dei beni
medesimi, per cui in definitiva l‟amministrazione fallimentare si appropria solo dell‟utile netto
risultante dalla differenza fra il valore del bene sopravvenuto e queste spese. La riforma ha previsto
l‟ipotesi in cui i beni che pervengono al fallito durante la procedura abbiano costi da sostenere per il
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Lezione XI
loro acquisto e la loro conservazione superiori al loro presumibile valore di realizzo: in tal caso, il
curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisirli .
3.4
L’indisponibilità patrimoniale
A norma dell‟art. 44 L.F., sono inefficaci rispetto ai creditori:
— tutti gli atti compiuti dal fallito ed i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di
fallimento;
— i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa del fallimento.
L‟inefficacia ditali atti, che è operativa ex lege, prescinde dalla loro idoneità a recare
pregiudizio ai creditori e dalla buona fede dei terzi e discende esclusivamente dalla sottrazione, in
capo al fallito, dei poteri di disponibilità del proprio patrimonio, che consegue alla dichiarazione di
fallimento.
Ne consegue che i terzi che pongono in essere con il fallito negozi giuridicamente rilevanti,
ovvero che effettuano o ricevono pagamenti, sono colpiti dalla sanzione medesima per il solo fatto
che l‟atto è compiuto dopo la dichiarazione di fallimento, senza che abbia alcuna rilevanza la loro
eventuale ignoranza colpevole in ordine all‟intervenuto assoggettamento del fallito alla procedura
concorsuale, e cioè la loro buona fede.
La riforma ha in proposito precisato che sono acquisite al fallimento anche le utilità che
conseguono al fallito per effetto degli atti inefficaci.
3.5 Alimenti ed abitazione del fallito
Al fallito al quale — in seguito alla dichiarazione di fallimento ed al conseguente
spossessamento del suo patrimonio — vengano a mancare i mezzi di sussistenza, la legge riconosce
la possibilità di ottenere un sussidio a titolo di alimenti per lui e la famiglia. Detto sussidio, che può
essere «una tantum» o periodico, non costituisce però un diritto, in quanto il giudice delegato può
concederlo, sentito il curatore ed il comitato dei creditori.
La legge, inoltre, concede al fallito di rimanere nella casa di abitazione di sua proprietà, nei
limiti in cui è necessaria, fino alla liquidazione delle attività. Secondo la Suprema Corte, trattasi di
un vero e proprio diritto soggettivo del fallito (Cass., 14 marzo 2001, n. 3664).
3.6
L’apertura del concorso dei creditori
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Lezione XI
Dall‟art. 52 L.F. — secondo cui «il fallimento apre il concorso dei creditori sul patrimonio
del fallito» — si deduce che l‟effetto fondamentale della sentenza dichiarativa di fallimento, nei
confronti di tutti i creditori del fallito, è il conferimento ad essi del diritto di partecipare alla
distribuzione del ricavato dalla liquidazione del patrimonio del fallito , sulla base dell‟importo del
credito al momento della dichiarazione di falli mento.
Il concorso dei creditori sui beni del fallito deve avvenire nel rispetto del già enunciato
principio della par condicio creditorum per cui, dal giorno della dichiarazione del fallimento,
restano precluse ai singoli creditori le azioni esecutive e cautelari individuali sui beni del fallito,
ancorché si tratti di crediti da collocarsi in prededuzione in quanto maturati durante il fallimento.
Il principio della par condicio, tuttavia, trova applicazione per i soli creditori chirografari,
quei creditori cioè che, «hanno seguito la fiducia del debitore», ma non anche per i creditori cui
fanno capo cause specifiche di prelazione, come ipoteche, pegni o privilegi.
Questi ultimi fanno valere il loro diritto di prelazione sul prezzo dei beni vincolati (per il
capitale, gli interessi e le spese) e solo allorché non siano soddisfatti interamente con il valore
realizzato da tali beni, diventano per il residuo creditori chirografari e concorrono con costoro (per
la medesima percentuale) nelle ripartizioni del resto dell‟attivo, in quanto sui beni non vincolati alla
prelazione la loro situazione giuridica è identica alle altre.
3.7
Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori: la revocatoria
fallimentare
Nell‟attivo fallimentare rientrano non soltanto i beni appartenenti al debitore al momento
della dichiarazione di fallimento, ma anche quei beni che hanno cessato di appartenere a lui
anteriormente alla dichiarazione stessa e che la legge, ricorrendo determinati presupposti, ritiene
opportuno ricomprendere fra i beni soggetti all‟esecuzione collettiva. Uno dei rimedi e dei mezzi
più efficaci (e di più larga applicazione) per la ricostruzione dell‟attivo fallimentare è l‟azione
revocatoria fallimentare (art. 67 L.F.).
Finalità della revocatoria fallimentare è, infatti, quella di ricostruire il patrimonio
dell‟imprenditore fallito, richiamando in esso beni che ne siano usciti o espellendo da esso debiti o
garanzie che siano venuti a farne parte illegittimamente, con pregiudizio per i creditori.
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Lezione XI
A differenza della revocatoria ordinaria, la revocatoria fallimentare è preordinata alla
salvaguardia del principio della par condicio creditorum e si fonda sul presupposto che il
patrimonio del debitore è destinato a soddisfare alla pari tutti i creditori.
Essa è, perciò, diretta alla tutela non del singolo ma di tutta la massa dei creditori e, come
tale, può essere promossa solo dal curatore fallimentare e nell‟interesse della massa.
Gli effetti della revocatoria fallimentare sono, tuttavia, identici a quelli della revocatoria
ordinaria, in quanto anch‟essa importa inefficacia relativa (e cioè inopponibilità) degli atti compiuti
in frode ai creditori; tale inopponibilità, però, non riguarda il singolo creditore ma la massa, che si
avvantaggia alla pari degli effetti stessi.
Quanto agli atti sottoposti alla revocatoria fallimentare, il legislatore ha distinto due
categorie:
a) per gli atti a titolo oneroso, pagamenti di debiti scaduti e garanzie che presentino
anormalità tali da far sospettare l‟intenzione fraudolenta (es.: vendita di un bene per una somma
irrisoria; dazione in pagamento di un bene notevolmente superiore al debito etc.) ha posto una
presunzione iuris tantum di consilium fraudis se compiuti nell‟anno anteriore alla dichiarazione di
fallimento (per i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie per debiti scaduti, però, se
compiuti entro i 6 mesi antecedenti), ammettendo, tuttavia, la possibilità che il terzo acquirente
provi di aver ignorato lo stato di insolvenza del debitore nel momento in cui è stato compiuto l‟atto
;
b) per gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie che non presentino irregolarità ha
ammesso la revoca solo se il curatore provi che l‟altra parte conosceva lo stato di insolvenza e gli
atti stessi siano stati compiuti entro i 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento .
3.8 I presupposti della revocatoria fallimentare
Presupposti dell‟azione revocatoria fallimentare sono:
— il compimento dell‟atto impugnato nel «periodo sospetto» stabilito dall‟art. 67 L.F.;
— la conoscenza dello stato d‟insolvenza da parte del terzo.
L‟art. 67 L.F. sancisce una presunzione relativa di conoscenza dell‟insolvenza da parte del
terzo, mentre pone a carico del curatore, per le ipotesi previste dal 2° comma, l‟onere di provare lo
stato soggettivo del terzo .
È tuttora controverso, invece — in dottrina ed in giurisprudenza — se possono
ricomprendersi tra i presupposti ditale azione anche il consilium fraudis e l‟eventus dammi
(presupposti tipici dell‟azione revocatoria ordinaria).
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Lezione XI
Lo stato di insolvenza del debitore si presume esistente all‟ epoca del compimento de gli atti
impugnati.
La revocatoria fallimentare è esperibile anche nei confronti del sub-acquirente (il quale
abbia acquistato dal terzo contraente, che ha trattato con il debitore fallito). In tal caso, grava sulla
curatela del fallimento l‟onere di provare la malafede del sub-acquirente, consistente nella
consapevolezza, al momento dell‟acquisto, che il primo alienante era in stato di insolvenza
all‟epoca del primo trasferimento (in favore del dante causa del sub-acquirente).
L‟inefficacia dell‟atto, invero, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di
buona fede (salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione).
3.9 Atti relativi a patrimoni destinati ad uno specifico affare
La riforma delle procedure concorsuali ha tenuto conto dell‟istituto dei patrimoni destinati
ad uno specifico affare, introdotto dalla riforma delle società (D.Lgs. 6/2003).
A partire dal 1° gennaio 2004, le s.p.a. possono costituire uno o più patrimoni ciascuno dei
quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare, separando i singoli cespiti rispetto al
patrimonio unitario della società . I soci possono, quindi, in alternativa alla costituzione di una
nuova società, dedicare una parte del patrimonio sociale ad uno scopo economico determinato,
limitando la responsabilità nello svolgimento di una specifica attività al solo patrimonio ad essa
destinato.
In materia di revocatoria, il nuovo art. 67bis L.F. estende l‟ambito delle revocatorie
fallimentari anche agli atti dispositivi che incidono sul patrimonio destinato ad uno specifico affare
solo allorquando essi siano pregiudizievoli non già del solo patrimonio dedicato, bensì di quello
dell‟intera società. Il presupposto soggettivo dell‟azione revocatoria è rappresentato dalla
conoscenza dello stato di insolvenza della società.
3.10 Atti esclusi dalla revocatoria fallimentare
Il D.L. 35/2005 ha previsto dei casi in cui gli atti, anche se compiuti all‟interno del periodo
sospetto, non possono essere revocati dalla procedura fallimentare (art. 67, 3° comma, L.F.).
Sono quindi sempre esclusi dalla revocatoria, in qualsiasi momento siano compiuti:
— i pagamenti di beni e servizi effettuati nell‟esercizio dell‟attività d‟impresa nei termini
d‟uso;
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Lezione XI
— le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera
consistente e durevole l‟esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
— le vendite a giusto prezzo d‟immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l‟abitazione
principale dell‟acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;
— i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri
collabora tori, anche non subordinati, del fallito;
— gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in
esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria
dell‟impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, la cui ragionevolezza sia
attestata ai sensi dell‟articolo 2501 bis, 4° comma, c.c., «da un professionista iscritto nel registro dei
revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall‟art. 28 L.F.», relativi al curatore (precisazione
introdotta dal decreto correttivo);
— gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo
di accordi di ristrutturazione stipulati ed omologati a norma dell‟articolo 182bis L.F.;
— i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione
di servizi strumentali all‟accesso al concordato preventivo.
3.11 Gli effetti della revocatoria fallimentare: ricostruzione del
patrimonio del fallito
L‟azione revocatoria fallimentare assolve la funzione di attuare la difesa dei creditori contro
gli atti compiuti dal debitore in frode delle loro ragioni, tendendo a reintegrare la garanzia
patrimoniale mediante la dichiarazione di inefficacia degli atti dispositivi del proprio patrimonio
posti in essere dal debitore.
Non si tratta, conseguentemente, di un‟azione di nullità, odi annullamento, o di risoluzione,
ma di un‟azione recuperatoria o restitutoria, nel senso, però, che ha di mira non già la restituzione al
fallimento del bene oggetto dell‟atto revocato, bensì il recupero dello stesso bene alla garanzia
patrimoniale dei creditori, rendendo possibile l‟esperimento dell‟azione esecutiva concorsuale.
L‟atto revocato non ha effetto per i creditori del fallito, ma rimane valido tra le parti.
Il bene, comunque, deve essere restituito al curatore, nella sua integrità e consistenza, per
essere assoggettato all‟esecuzione.
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Lezione XI
Il terzo soccombente in revocatoria, che restituisce ciò che ha ricevuto, resta creditore
concorsuale di quanto eventualmente deve ancora ricevere oltre che del corrispondente di ciò che ha
restituito nella misura del prezzo pagato per l‟acquisto maggiorato, secondo parte della dottrina,
delle spese per gli eventuali miglioramenti o per la conservazione della cosa.
Per quanto riguarda i soggetti su cui ricade l‟effetto restitutorio, quando i pagamenti sono
avvenuti per conto del fallito tramite intermediari specializzati, procedure di compensazione
multilaterale ovvero società fiduciarie o di revisione, la revocatoria si esercita e produce effetti nei
confronti del destinatario finale del pagamento, e non di chi si sia limitato a fase da intermediario.
La riforma ha introdotto un termine di decadenza per l‟esercizio dell‟azione: le azioni
revocatorie non possono più essere promosse decorsi 3 anni dalla dichiarazione di fallimento e
comunque decorsi 5 anni dal compimento dell‟atto.
3.12 La revocatoria ordinaria nel fallimento
Quando gli atti dispositivi compiuti dal debitore non rientrano nelle categorie di atti
sottoposti alla revocatoria fallimentare, al curatore rimane, comunque, la possibilità di esperire la
revocatoria ordinaria, ai sensi dell‟art. 2901 e seguenti c.c.
Elementi dell‟azione revocatoria sono:
1) un atto di disposizione tale da incidere, attualmente o in futuro, in modo negativo sul
patrimonio del debitore;
2) l‟eventus damni, ossia la diminuzione (o il pericolo di diminuzione) del patrimonio del
debitore;
3) il consilium fraudis, ossia la consapevolezza nel debitore di arrecare, con il proprio atto,
un pregiudizio al creditore.
Come per la revocazione fallimentare, il terzo che, per effetto della revoca ordinaria, ha
restituito quando aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito.
Deve ricordarsi, infine, che il termine di prescrizione quinquennale previsto per l‟azione
revocatoria ordinaria decorre dalla data di stipulazione dell‟atto impugnato e non da quella della
dichiarazione di fallimento.
3.13 Atti privi di efficacia per presunzione assoluta di frode
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Una categoria di atti che si sottrae totalmente all‟azione revocatoria è quella degli atti a
titolo gratuito e dei pagamenti di crediti non scaduti al momento in cui è intervenuta la
dichiarazione di fallimento (crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento
medesima o posteriormente: art. 65 L.F.). Essi infatti sono considerati direttamente dalla legge
fallimentare privi di effetto rispetto ai creditori — se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla
dichiarazione di fallimento — e, come tali, non hanno bisogno di una pronuncia giudiziale di
revoca.
Il curatore non deve dare la prova della consapevolezza del terzo dello stato d‟insolvenza ed
il terzo non ha possibilità di dimostrare la propria inconsapevolezza.
L‟ufficio fallimentare può automaticamente impossessarsi del bene distratto: procedendo ad
inventariarlo, se questo è ancora presso il debitore, ovvero rivendicandolo giudizialmente presso il
terzo (in quest‟ultimo caso la sentenza è dichiarativa e non costitutiva, per cui è imprescrittibile).
3.14 Atti compiuti tra coniugi
Tutti gli atti a titolo oneroso e gratuito — compiuti tra coniugi nel tempo in cui il fallito
esercitava un‟impresa commerciale, quindi anche oltre il biennio anteriore al fallimento — si
presumono eseguiti in danno della massa dei creditori e sono revocati, salvo che il coniuge provi
che non era a conoscenza dello stato di insolvenza del coniuge fallito (art. 69, 1° comma, L.F.,
nuovo testo).
Trattasi di inefficacia ex lege e pertanto non occorre una dichiarazione giudiziale.
3.15 I beni del coniuge e la presunzione muciana
L‟art. 70 L.F. stabiliva che fossero acquisiti al fallimento i beni del coniuge del fallito
acquistati nei cinque anni precedenti alla dichiarazione di fallimento.
Questo istituto, che riecheggiava la cd. presunzione muciana del diritto romano, trova va il
suo fondamento nel fatto che i beni del coniuge si presumono acquistati con danaro del fallito.
Da tale presunzione derivava al curatore il potere di apprendere senz‟altro al fallimento detti
beni, come se gli stessi appartenessero direttamente al fallito.
A seguito, però, dei profondi mutamenti dell‟istituzione familiare, la Cassazione ha
affermato che la presunzione muciana deve ritenersi implicitamente abrogata e definitivamente
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cancellata dal nostro ordinamento a seguito dell‟entrata in vigore della legge n. 151/1975 sulla
riforma del diritto di famiglia.
Tale orientamento è stato formalizzato dal D.L. 35/2005 il quale ha definitivamente
soppresso tale disposizione, prevedendo nell‟art. 70 L.F. gli effetti della revocatoria .
3.16 Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione
Per stabilire se al momento della dichiarazione di fallimento, il contratto sia stato o meno
eseguito da entrambe le parti, occorre aver riguardo alle obbligazioni principali che a ciascuna di
esse derivano dal contratto; più precisamente, il contratto deve ritenersi eseguito quando prima della
dichiarazione di fallimento abbia avuto luogo il trasferimento del diritto (ad esempio, il venditore
abbia consegnato all‟acquirente la cosa compravenduta ovvero il compratore abbia pagato il
prezzo), mentre è irrilevante che non siano state eseguite altre prestazioni accessorie (quali, ad
esempio, la consegna dei titoli o dei documenti o la riproduzione dell‟atto di vendita in forma
pubblica).
Il testo originario della legge fallimentare non conteneva una disciplina generale riferita ai
contratti tra il fallito ed i terzi pendenti nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento.
Essa si limitava, invece, a regolamentare singoli tipi contrattuali con disposizioni applicabili
per analogia ai rapporti non espressamente regolati.
Ciò aveva comportato due inconvenienti: da un lato, erano prive di regolamentazione alcune
forme contrattuali tipiche, dall‟altro, rimaneva dubbia la sorte dei contratti venuti ad esistenza in
tempi recenti. La giurisprudenza aveva pertanto cercato di trarre dalla disciplina dei singoli
contratti, e principalmente da quella della vendita, alcune indicazioni di carattere generale dirette a
riempire le lacune normative.
La riforma, con l‟intenzione di eliminare tali carenze, ha previsto nell‟art. 72 L.F. una
disciplina generale applicabile ai contratti pendenti al momento della dichiarazione di fallimento.
I principi di tale regolamentazione sono:
a) i contratti già eseguiti da una delle parti restano in vita; se, però, ad eseguirli è stata la
controparte del fallito, questa, in quanto creditore, entrerà nel numero dei creditori concorrenti e
dovrà accontentarsi della percentuale fallimentare;
b) per i contratti non ancora eseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti,
bisogna distinguere:
1) alcuni, e cioè quelli basati sull‟intuitus personae, si sciolgono «ipso iure»; tali sono:
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— l‟associazione in partecipazione, in caso di fallimento dell‟associante;
— il contratto di appalto, quando la persona dell‟appaltatore (poi dichiarato fallito)
costituisca un elemento determinante del contratto e salvo che il committente non consenta
comunque la prosecuzione del rapporto;
— il contratto di borsa a termine, il conto corrente, il mandato in caso di falli mento del
mandatario, la commissione;
— il rapporto sociale nella società di persone;
— la locazione finanziaria (leasing) in caso di fallimento della società conce dente;
— i finanziamenti destinati ad uno specifico affare, quando la procedura fallimentare
impedisce la realizzazione dell‟affare cui il finanziamento è dedicato;
2) altri (quali l‟assicurazione contro i danni ed i rapporti di lavoro subordinato) proseguono
necessariamente con subentro automatico del curatore nella posizione del fallito;
3) altri ancora, infine, possono essere mantenuti in vita e viene attribuita al curatore, previa
autorizzazione del comitato dei creditori, la facoltà di scelta tra subentro e scioglimento. Il rapporto
rimane sospeso in attesa che gli organi fallimentari comunichino le loro intenzioni.
3.17
Vicende di alcuni contratti tipici
1) la compravendita
La riforma, prevedendo nel nuovo art. 72 L.F. una disciplina generale applicabile a tutti i
contratti in corso, ha soppresso la regolamentazione prima prevista per il contratto di vendita. Di
conseguenza, per i fallimenti dichiarati dopo il 16 luglio 2006 che riguardino il compratore o il
venditore, si applicherà la regola generale, che prevede la sospensione del contratto fino alla
decisione, effettuata dal curatore con l‟autorizzazione del comitato dei creditori, di sciogliere o di
subentrare nel contratto in corso.
Il contraente in bonis potrà mettere in mora il curatore chiedendo al giudice delegato di
fissare un termine, non superiore a 60 giorni, decorso il quale il contratto si intende comunque
sciolto.
2) Contratti relativi ad immobili da costruire
Con il D.Lgs. 20 giugno 2005, n. 122 (in vigore dal 21luglio 2005) è stata introdotta una
puntuale tutela degli acquirenti di immobili in costruzione, con particolari disposizioni che
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Diritto Commerciale
Lezione XI
riguardano altresì la disciplina del fallimento, nel caso in cui il venditore fallisca dopo la
conclusione del preliminare di vendita o del definitivo.
Il decreto citato ha inoltre introdotto un nuovo articolo nella legge fallimentare (art. 72bis
L.F.), il quale è stato successivamente integrato dalla riforma. Di conseguenza per i contratti relativi
ad immobili da costruire, in caso di fallimento del venditore è previsto:
— l‟esecuzione del contratto preliminare di vendita rimane sospesa fino a quando il
curatore, con l‟autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in
luogo del fallito o di sciogliersi dal medesimo, ai sensi della regola generale prevista dall‟art. 72
L.F.;
— il contratto si intende sciolto se, prima che il curatore comunichi la scelta tra esecuzione o
scioglimento, l‟acquirente abbia escusso la fideiussione a garanzia della restituzione di quanto
versato al costruttore, dandone altresì comunicazione al curatore. In ogni caso, la fideiussione non
può essere escussa dopo che il curatore abbia comunicato di voler dare esecuzione al contratto.
La formulazione dell‟art. 72bis L.F. anteriore all‟ intervento del decreto correttivo
prevedeva l‟applicazione della anzidetta disciplina a qualsiasi situazione di crisi del costrutto re, la
quale ricorreva non solo in caso di fallimento del costruttore ma altresì qualora egli fosse sottoposto
ad esecuzione immobiliare o ad altra procedura concorsuale (compresa l‟amministrazione
straordinaria). Il decreto correttivo ha invece eliminato tale riferimento, in quanto ritenuto estraneo
alla materia dei rapporti pendenti nel fallimento.
3) L‟associazione in partecipazione
L‟associazione in partecipazione si sciogli per il fallimento dell‟associante (art. 77L.F.).
Nell‟ipotesi di fallimento dell‟associato nulla prevede espressamente la legge fallimentare.
Si afferma, comunque, in dottrina che:
— qualora l‟apporto sia stato interamente versato: l‟associazione in partecipazione continua
egualmente con l‟amministrazione fallimentare e spetta al curatore esercitare il controllo
sull‟impresa o sullo svolgimento dell‟affare e richiedere il rendiconto;
— qualora, invece, l‟apporto non sia stato integralmente versato: è in facoltà del curatore
sciogliersi dal contratto o subentrare in esso completando il versamento.
4) Conto corrente
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Diritto Commerciale
Lezione XI
Il contratto di conto corrente si scioglie per il fallimento di una delle due parti. Il conto
corrente bancario si scioglie automaticamente con il fallimento del correntista ed in caso di sua
prosecuzione di fatto gli accreditai devono essere acquisiti al fallimento e la banca non può operare
pagamenti a terzi su disposizione del correntista fallito (essa può, però, trattenere le spese per la
tenuta e la conservazione del conto).
5) Mandato
Il contratto di mandato si scioglie automaticamente solo in caso li fallimento del mandatario
(art. 78 L.F., nuovo testo): il mandante ha un diritto di rivendicazione dalla massa attiva del
fallimento sulle cose di sua proprietà già in possesso del fallito per l‟esecuzione del mandato.
Se fallito è il mandante, il curatore può scegliere se subentrare nel contratto o scioglierlo. Se
decide di subentrarvi, il mandatario ha un diritto di credito per quanto deriva dall‟esecuzione del
contratto e può insinuarsi al passivo del fallimento. Tale credito è privilegiato sulle cose di proprietà
del mandante fallito ed in deposito presso il man datario, privilegio che è esteso oltre che al capitale
anche agli interessi.
6) Commissione
Il contratto di commissione si scioglie automaticamente per l‟assoggettamento a fallimento
di una delle parti (committente o commissionario): lo scioglimento opera ex lege ed il curatore non
può agire neppure per concludere l‟affare in corso.
Il committente può rivendicare le cose acquistate, per suo conto ma in nome proprio, dal
commissionario fallito, se ancora esistenti nel patrimonio di questi; in caso contrario, egli ha un
diritto di credito per il valore corrispondente, da insinuare al passivo del fallimento.
7) La locazione
Quanto alla locazione di immobili, l‟art. 80 L.F., nuovo testo, dispone che:
a) il fallimento del locatore non scioglie il contratto, nel quale subentra il curatore che
riscuoterà ed acquisirà all‟attivo fallimentare il canone prima riscosso dal fallito;
b) in caso di fallimento del conduttore, invece, spetta al curatore la scelta fra man tenere
l‟esecuzione del contratto o recedere, in qualunque tempo, dallo stesso (anche quello avente per
oggetto i locali adibiti all‟esercizio dell‟attività di impresa del fallito).
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Lezione XI
8) L‟affitto di azienda
Stante il silenzio dell‟originario testo della legge fallimentare, la riforma ha introdotto una
disciplina per il contratto di affitto di azienda in corso alla dichiarazione di falli mento.
In caso di fallimento del locatore o dell‟affittuario, il contratto non si scioglie ma entrambe
le parti possono recedere entro 60 giorni, corrispondendo all‟altro un equo indennizzo, il quale, in
caso di disaccordo, è determinato dal giudice delegato. L‟indennizzo dovuto dalla curatela è pagato
in prededuzione.
9) L‟appalto
Per l‟appalto, la legge stabilisce in via normale lo scioglimento, dando la facoltà al curatore,
se lo ritiene opportuno, di mantenere in vita il contratto subentrando nel rapporto in seguito ad
autorizzazione del comitato dei creditori, dandone comunicazione all‟altra parte entro 60 giorni
dalla sentenza dichiarativa di fallimento e offrendo idonee garanzie. La prosecuzione non è mai
possibile qualora la considerazione della persona dell‟appaltatore, nell‟ipotesi di fallimento di
quest‟ultimo, sia stata un motivo determinante del contratto, salvo che il committente non consenta
la prosecuzione del rapporto.
10) L‟assicurazione
Quanto ai vari tipi di contratti di assicurazione, deve rilevarsi che:
a)il contratto di assicurazione contro i danni non si scioglie con il fallimento dell‟assicurato
a meno che dal fallimento non derivi un aggravamento del rischio per l‟assicuratore;
b) l‟art. 82 L.F. nulla dispone circa i contratti di assicurazione sulla vita e la dottrina
prevalente ne deduce la implicita volontà del legislatore di risolvere i contratti me desimi, in seguito
al fallimento dell‟assicurato.
11) La locazione finanziaria
Per evitare le difficoltà interpretative createsi nel silenzio della normativa previgente, la
riforma ha introdotto la disciplina della locazione finanziaria (cd. leasing). In essa non è fatta alcuna
distinzione tra leasing di godimento e leasing a carattere traslativo.
La norma prevede la seguente regolamentazione del contratto in corso:
1) se fallisce il conduttore in leasing: si applica la regola generale prevista dal nuovo art. 72
L.F., quindi l‟esecuzione del contratto è sospesa fino a quando il curatore non decida di sciogliere o
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Lezione XI
proseguire il contratto. Nel caso in cui sia disposto l‟esercizio provvisorio dell‟impresa, il contratto
continua ex lege ad avere esecuzione, salvo che il curatore dichiari di volerlo sciogliere.
In caso di scioglimento del contratto, il concedente in leasing:
— ha diritto alla restituzione del bene;
— è tenuto a versare alla curatela la differenza fra la maggiore somma ricavata dalla vendita
o da altra collocazione del bene rispetto al credito residuo in linea capitale;
— deve insinuarsi nel passivo del fallimento per la differenza fra il credito vantato alla data
del fallimento e quanto ricavato dalla nuova collocazione del bene.
Le somme che il concedente ha già riscosso sono esenti dalla revocatoria, in quanto
pagamenti di servizi effettuati nell‟esercizio dell‟attività d‟impresa (ex art. 67, 3° comma, lett. a,
L.F.);
2) se fallisce la società concedente: il contratto prosegue e alla scadenza il conduttore
conserva la facoltà di acquistare la proprietà del bene, previo pagamento dei canoni e del prezzo
pattuito.
12) Finanziamenti destinati ad uno specifico affare
La riforma delle società (D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha introdotto per le società per
azioni la possibilità di concludere un contratto relativo al finanziamento da parte di un terzo di uno
specifico affare, prevedendo che al rimborso totale o parziale del finanziamento stesso siano
destinati i proventi dell‟affare cui esso è dedicato.
Il finanziamento si attua sulla base di un contratto tra la società ed i soggetti finanziatori
esterni, nel quale deve essere stabilito quanta parte dei proventi dell‟affare intrapreso debba essere
destinata al rimborso del finanziamento, e quanta parte, invece, possa essere destinata ad altre
finalità.
La riforma ha previsto gli effetti del fallimento societario nei confronti del contratto di
finanziamento in corso alla data della dichiarazione di fallimento.
Con il fallimento della società il contratto di finanziamento si scioglie quando la procedura
fallimentare impedisce la realizzazione o la continuazione dell‟affare cui il finanziamento è
destinato. Il finanziatore può insinuarsi al passivo del fallimento per il suo credito, al netto di
quanto già ricevuto a titolo di rimborso.
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Lezione XI
Qualora, viceversa, l‟operazione finanziata possa continuare senza alcun pregiudizio, il
curatore, sentito il comitato dei creditori, può decidere di subentrare nel contratto in luogo della
società.
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4 Gli organi preposti al fallimento
I quattro organi preposti alla procedura fallimentare sono:
— il tribunale fallimentare;
— il giudice delegato;
— il curatore;
— il comitato dei creditori.
4.1
Il tribunale fallimentare
Tribunale fallimentare è «il tribunale che ha dichiarato il fallimento, quindi, che ha
instaurato la procedura»; esso è, in concreto, l‟organo supremo del fallimento, che sovrintende a
tutta la procedura con vasti poteri di controllo (art. 23 L.F.).
Spetta, infatti al tribunale:
— nominare e (eventualmente) revocare o sostituire il giudice delegato ed il curatore;
— risolvere le disparità di vedute tra gli organi anzidetti;
— decidere le controversie relative alle procedure che non sono di competenza del giudice
delegato;
— decidere sui reclami contro i decreti del giudice delegato;
—chiedere chiarimenti, informazioni ed indicazioni al curatore, al fallito ed al comitato dei
creditori.
Il tribunale fallimentare, oltre che organo preposto alla procedura fallimentare, è anche
giudice naturale di tutte le cause che derivano dal fallimento qualunque ne sia il valore; si suol dire,
nella pratica, che il fallimento esercita una vis attractiva delle cause suddette.
Secondo i consolidati principi giurisprudenziali della Cassazione:
— sono di competenza del tribunale fallimentare le controversie che nascono in dipendenza
dello stato di dissesto dell‟imprenditore ed anche quelle che incidono sulla procedura concorsuale,
volta a realizzare unitariamente l‟esecuzione del patrimonio del debitore e ad assicurare la «par
condicio creditorum».
Tale competenza è altresì estesa alle domande di accertamento, quando siano dirette a porre
in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna;
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Diritto Commerciale
Lezione XI
— sono estranee, invece, all‟ambito di attrazione nel foro fallimentare tutte quelle azioni che
il curatore esercita per fare valere pretese inerenti a rapporti che non discendono direttamente dal
fallimento o che non siano da questo, comunque, influenzate.
I provvedimenti del tribunale, nelle materie previste dall‟art. 23 L.F., sono pronunciati, salvo
diversa previsione normativa , con decreto.
L‟art. 26 L.F., nuovo testo, ha infatti stabilito la reclamabilità dei decreti del tribunale salvo
che non sia diversamente disposto: in questo modo ha sancito il principio generale
dell‟impugnabilità, riservandosi poi di prevedere, di volta in volta, la natura del provvedimento del
tribunale e la sua reclamabilità.
4.2
Il giudice delegato
La riforma ha inciso in modo rilevante sul ruolo assunto dal giudice delegato, attribuendogli
funzioni di controllo e di vigilanza sulla regolarità della procedura e sottraendogli la precedente
funzione di direzione delle operazioni del fallimento. Molte delle attività gestorie prima a lui
affidate sono passate nella competenza del curatore e del comitato dei creditori.
Al giudice delegato sono ora attribuite le seguenti funzioni (art. 25 L.F., nuovo testo):
a) riferire al tribunale su ogni affare per il quale è richiesto un provvedimento del tribunale
stesso; b) emettere o provocare dalle autorità competenti i provvedimenti urgenti per la
conservazione del patrimonio, ad esclusione di quelli che incidono su diritti di terzi che
rivendichino un proprio diritto incompatibile con l‟acquisizione;
c) convocare il curatore ed il comitato dei creditori nei casi prescritti dalla legge e ogni
qualvolta lo ritenga opportuno per il corretto e sollecito svolgimento della procedura;
d) su proposta del curatore, liquidare i compensi e disporre l‟eventuale revoca dell‟incarico
conferito alle persone la cui opera è stata richiesta dal curatore stesso nell‟interesse della procedura;
e) provvedere sui reclami proposti contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori;
f) autorizzare per iscritto il curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto.
L‟autorizzazione deve essere data per atti determinati e, qualora riguardi i giudizi, deve essere
rilasciata per ogni grado di essi;
g) su proposta del curatore, nominare gli arbitri, verificata la sussistenza dei requisiti previsti
dalla legge . La nomina dei difensori è invece ora rimessa al curatore;
h) procedere all‟accertamento dei crediti e dei diritti reali e personali vantati dai terzi;
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Diritto Commerciale
Lezione XI
i) nominare il comitato dei creditori e sostituirlo in caso di impossibilità di funziona mento ;
l) autorizzare l‟esercizio provvisorio dell‟impresa qualora non sia stato disposto con la
sentenza di fallimento ;
m) autorizzare l‟affitto dell‟azienda ;
n) autorizzare gli atti conformi al programma di liquidazione;
o) sospendere le operazioni di vendita quando ricorrono gravi e giustificati motivi;
p) ordinare il riparto finale .
Va rilevato che il giudice delegato perde, nella disciplina riformata, il potere autorizzativo
degli atti di straordinaria amministrazione compiuti dal curatore, il quale passa al comitato dei
creditori.
Per evitare eventuali situazioni di stallo della procedura, la riforma ha previsto che il giudice
delegato possa provvedere direttamente nei casi di inerzia odi impossibilità di funzionamento del
comitato dei creditori (come nel caso di mancata costituzione per insufficienza di numero e di
indisponibilità di essi) o anche in situazioni in cui si riscontri urgenza per l‟adozione del
provvedimento (ex art. 41,40 comma, L.F.).
Infine, con l‟intervento del decreto correttivo, il giudice delegato è stato spogliato del potere
di autorizzare il programma di liquidazione, precedentemente conferitogli dal la riforma del 2006: il
D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 (in vigore per i fallimenti iniziati dopo il 10 gennaio 2008) ha
infatti attribuito tale potere al comitato dei creditori, prevedendo tuttavia che il giudice delegato
debba autorizzare gli atti di vendita previa verifica della correttezza di essi rispetto al programma.
Al fine di garantire la sua posizione di imparzialità, l‟art. 25 L.F. stabilisce che egli non
possa decidere le cause da lui autorizzate, né partecipare, come membro del tribunale in
composizione collegiale, ai giudizi di reclamo proposti contro i suoi atti.
Tutti i provvedimenti del giudice delegato sono pronunciati con decreto motivato. Contro di
essi — eccettuati quelli per i quali sono espressamente previsti mezzi di impugnazione diversi — è
ammesso reclamo al tribunale, da parte del fallito, del curatore, del comitato dei creditori e di
chiunque vi abbia interesse (art. 26 L.F.).
Il reclamo non ha carattere sospensivo dell‟esecutività del provvedimento del giudice
delegato.
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Lezione XI
4.3
Il curatore
Nell‟originaria formulazione della legge fallimentare il curatore è l‟organo della procedura
fallimentare cui spetta, come compito principale, l‟amministrazione dei beni del fallito ed il
compimento di tutte le operazioni della procedura, sotto la vigilanza del giudice delegato e del
comitato dei creditori (art. 31 L.F.).
Il curatore deve, entro i due giorni successivi alla comunicazione della sua nomina, far
pervenire al giudice delegato la propria accettazione (art. 29 L.F.).
Se il curatore non osserva questo obbligo, il tribunale, in camera di consiglio, provvede
d‟urgenza alla nomina di altro curatore.
L‟accettazione dell‟incarico da parte del curatore può manifestarsi anche tacitamente,
attraverso l‟esercizio effettivo di atti ed operazioni inerenti al relativo incarico.
Una volta accettato l‟incarico, il curatore riveste la qualità di pubblico ufficiale per quanto
attiene all‟esercizio delle sue funzioni (art. 30 L.F.).
Il curatore è nominato con la sentenza che dichiara il fallimento o, in caso di sostituzione o
di revoca, con decreto del tribunale (art. 27 L.F.). È inoltre previsto dall‟art. 37bis L.F., introdotto
dalla riforma, che, in sede di udienza di verifica dello stato passivo, i creditori che rappresentino la
maggioranza dei crediti allo stato ammessi possa no chiedere la sostituzione del curatore, indicando
al tribunale le ragioni della richiesta ed un nuovo nominativo: il tribunale provvede alla nomina del
soggetto designato dai creditori, salvo che non siano rispettati i criteri di cui all‟art. 28 L.F.
Il decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) è intervenuto sulla disposizione in
esame sostanzialmente in due punti: in primo luogo, ha precisato che la richiesta di sostituzione del
curatore può essere effettuata dalla maggioranza di tutti i creditori ammessi soltanto al termine
dell‟adunanza di verifica,prima della pronuncia del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, in
luogo della precedente previsione della nonna che richiedeva la maggioranza dei creditori «allo
stato ammessi». Ciò al fine di evitare che una maggioranza occasionale di creditori presenti in
adunanza (anziché la maggioranza di tutti i creditori ammessi) possa provocare la sostituzione di un
curato re sgradito solo ad alcuni.
In secondo luogo, ha precisato che il tribunale non è più tenuto a disporre in ogni caso la
sostituzione del curatore, ma solo dopo aver verificato la sussistenza di giusti motivi, in coerenza
con i poteri conferiti al tribunale dall‟art. 37 L.F. in merito alla revoca del curatore.
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Lezione XI
La riforma ha inoltre individuato nuove categorie di soggetti che possono ricoprire l‟incarico
di curatore (requisiti positivi). Possono infatti essere chiamati a svolgere tali funzioni (art. 28 L.F.):
a) avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ragionieri commercialisti;
b) studi professionali associati o società tra professionisti, sempre che i soci delle stesse
abbiano i requisiti professionali suddetti;
c) coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società
per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali e purché non sia intervenuta nei loro
confronti dichiarazione di fallimento.
Sono invece limiti negativi assoluti per la nomina a curatore:
— l‟essere stato interdetto, inabilitato o dichiarato fallito;
— l‟essere stato condannato a pena che comporta l‟interdizione, anche temporanea, dai
pubblici uffici.
Sono limiti negativi relativi (poiché, a differenza di quelli enunciati, si riferiscono soltanto
ad un determinato fallimento):
— l‟essere coniuge, parente o affine entro il quarto grado del fallito;
— l‟essere creditore del fallito;
— l‟aver concorso al dissesto dell‟impresa durante i 2 anni anteriori alla dichiarazione di
fallimento;
— trovarsi in conflitto di interessi con il fallimento.
Le funzioni del curatore sono intrasmissibili (poiché l‟unicità verrebbe vanificata dalla libera
trasferibilità) e possono essere delegate ad altri soltanto entro i limiti previsti dall‟art. 32 L.F.
In particolare, la nomina del delegato, per le procedure iniziate dopo il 1° gennaio 2008,
deve essere autorizzata dal comitato dei creditori. Il decreto correttivo ha infatti nuovamente
modificato l‟art. 32 L.F., prevedendo che l‟autorizzazione alla delega proposta dal curatore spetti
appunto al comitato dei creditori, e non al giudice delegato (come aveva previsto la riforma del
2006), in linea con il nuovo ruolo assunto dal comitato stesso nella procedura fallimentare.
Anche per i coadiutori è necessaria l‟autorizzazione del comitato dei creditori, come aveva
già previsto la riforma del 2006 (in luogo di quella del giudice delegato prevista invece dalla
disciplina ante riforma). Il curatore è sempre responsabile dell‟operato dei coadiutori.
Il curatore ha il dovere di:
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Lezione XI
1) accettare espressamente l‟incarico conferitogli, entro due giorni dalla comunicazione
della nomina, in quanto la mancata accettazione equivale a rinuncia (art. 29 L.F.);
2) apporre i sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell‟impresa fallita e sugli
altri beni del fallito;
3) redigere «nel più breve tempo possibile» l‟ inventano dei beni del fallito, con l‟assistenza
del cancelliere e previo avviso al fallito ed al comitato dei creditori ;
4) presentare al giudice delegato domanda di autorizzazione alla prenotazione a debito delle
tasse di bollo e dell‟imposta di registro, allorquando rilevi l‟assenza (anche temporanea) di denaro
liquido fra le attività fallimentari ;
5) redigere la prima relazione informativa sulle cause del dissesto, entro sessanta giorni dalla
data della sentenza di fallimento. In tale relazione egli deve anche far cenno alla condotta
prefallimentare del debitore, al suo stato patrimoniale e, soprattutto, alle ragioni obiettive del
dissesto dell‟impresa;
6) redigere per il giudice delegato, ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione
suddetta, un rapporto riepilogativo delle attività svolte, con indicazione di tutte le informazioni
raccolte dopo la prima relazione, accompagnato dal conto della sua gestione;
7) redigere il bilancio dell‟ultimo esercizio del fallito se questi abbia omesso di farlo o, se
esso è stato fatto, revisionarlo ed, eventualmente, completarlo;
8) tenere un registro, previamente vidimato da almeno un componente del comitato dei
creditori e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione;
9) esaminare le domande di ammissione al passivo, predisporre elenchi separati dei creditori
e dei titolari di diritti sui beni mobili od immobili di proprietà o in possesso del fallito, e depositare
il progetto distato passivo nella cancelleria del tribunale con le proprie conclusioni sulle ragioni e
sul titolo delle domande fatte valere ;
10) presenziare all‟udienza di discussione dello stato passivo ed intervenire per sollevare le
eccezioni relative all‟ammissione al passivo ;
11) esaminare le domande di ammissione al passivo proposte tardivamente ed
eventualmente, ricorrendone le condizioni, contestarle;
12) presentare domanda di revocazione avverso il decreto del giudice delegato di
ammissione di un credito allorché si sia scoperto che l‟ammissione di tale credito o di una garanzia
siano state l‟effetto di falsità, dolo o errore essenziale di fatto, ovvero si rinvengano documenti
decisivi prima ignorati e non prodotti tempestivamente per causa non imputabile. Doveri uguali il
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curatore ha anche per le domande di rivendicazione, restituzione e separazione di cose mobili od
immobili possedute dal fallito, proposte da terzi;
13) presentare domanda di impugnazione avverso il decreto del giudice di ammissione di un
credito, con cui contestare che la domanda di un creditore o di altro concorrente sia stata accolta;
14) presentare istanza al tribunale di non farsi luogo al procedimento di accertamento dello
stato passivo per insufficiente realizzo dell‟attivo (art. 102 L.F., introdotto dalla riforma);
15) depositare immediatamente le somme riscosse, a qualunque titolo sul conto corrente
intestato alla procedura, entro il termine massimo di 10 giorni dalla corresponsione ;
16) presentare ogni quattro mesi (anziché ogni due mesi, come avveniva nella disciplina
anteriore alla riforma) un prospetto delle somme disponibili depositate su tale conto ed, insieme, un
progetto di riparto ditali somme fra i creditori ammessi definitivamente, riservando le somme
occorrenti per la procedura.
Tale progetto viene poi reso esecutivo e il curatore deve provvedere al pagamento dei
creditori;
17) presentare il rendiconto particolareggiato della sua gestione, dopo aver compiuto la
liquidazione dell‟attivo e prima del riparto finale;
18) promuovere la chiusura del fallimento , quando si verifichi una delle cause previste
dall‟art. 118 L.F.;
19) procedere agli adempimenti necessari, in caso di concordato fallimentare.
Il potere più importante del curatore, da cui derivano tutti gli altri, è l‟amministrazione e la
custodia del patrimonio fallimentare cioè di quel complesso di beni mobili ed immobili, di diritti ed
obblighi, di rapporti attivi e passivi, destinato al soddisfaci mento paritario dei creditori concorsuali.
Entrato, infatti, in possesso della titolarità, provvisoria e funzionale, del patrimonio del
fallito, il curatore diventa custode di tutte le attività in esso comprese, con tutti i conseguenti poteri
di amministrazione e di liquidazione, per assicurare ai creditori l‟esecuzione collettiva.
La dottrina prevalente inquadra l‟attività amministrativa del curatore nella seguente
ripartizione:
a) atti di ordinaria amministrazione: che rientrano nei pieni poteri del curatore, senza
necessità di intervento di altri organi;
b) atti di straordinaria amministrazione e quelli specificamente elencati dall‟art. 35 L.F.,
nuovo testo (riduzioni di crediti, transazioni, compromessi, rinunzie alle liti, ricognizioni di diritti
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Lezione XI
dei terzi, cancellazione di ipoteche, accettazioni di eredità o donazioni, restituzione di pegni e di
cauzioni): per il compimento dei quali occorre l‟autorizzazione del comitato dei creditori;
c) atti di cui alla lett. b) aventi valore superiore a 50.000 euro e transazioni di qualsiasi
valore: per il compimento dei quali occorre la previa informazione al giudice delegato, salvo che gli
stessi non siano già stati autorizzati dal medesimo in seno al programma di liquidazione, oltre
all‟autorizzazione del comitato dei creditori.
Appare opportuno infine ricordare che, ai sensi deII‟art. 25 L.F., il curatore, per stare in
giudizio nelle controversie che riguardino il debitore fallito, ha bisogno dell‟autorizzazione scritta
del giudice delegato, e tale autorizzazione deve essere data per ogni grado del giudizio.
Il curatore è tenuto ad adempiere ai propri doveri, imposti dalla legge o derivanti dal piano
di liquidazione, con la diligenza richiesta dalla natura dell‟incarico come qualsiasi pubblico
ufficiale.
Contro gli atti di amministrazione del curatore (atti processuali, odi ordinaria
amministrazione compiuti autonomamente, o di straordinaria amministrazione compiuti con o senza
autorizzazione) o contro suoi comportamenti omissivi, il fallito ed ogni altro interessato (quindi
anche i creditori e il comitato dei creditori) possono proporre reclamo al giudice delegato, il quale
decide con decreto motivato. La riforma ha precisato che il reclamo deve essere proposto entro 8
giorni dalla conoscenza dell‟atto o, in caso di omissione, dalla scadenza del termine indicato nella
diffida a provvedere.
Contro il provvedimento del giudice delegato è proponibile, entro 8 giorni dalla data dello
stesso, ricorso al tribunale (la disciplina ante riforma prevedeva un termine di 3 giorni).
Il tribunale decide entro 30 giorni con decreto motivato non impugnabile, sentiti il curatore
ed il reclamante (art. 36 L.F.).
Secondo la nuova formulazione della riforma, se è accolto il reclamo riguardante un
comportamento omissivo del curatore, questi deve dare esecuzione al provvedimento del tribunale.
Il tribunale, inoltre, può revocare il curatore in ogni tempo — con decreto — su proposta del
giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o di ufficio, sentiti il comitato dei creditori
ed il curatore medesimo .
Al curatore spetta un compenso proporzionato all‟ammontare dell‟attivo e del passivo del
fallimento, nonché il rimborso delle spese sostenute.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale
Lezione XI
Tale compenso consiste in una percentuale a scaglioni, variabile in ragione dell‟attivo
realizzato (e non già di quello inventariato), che non va soltanto inteso nel senso di ricavato
pecuniario delle operazioni di liquidazione ma comprende tutta quanta la liquidità, comunque
acquisita dalla curatela, o per effetto della riscossione di crediti o a seguito del vittorioso
esperimento di azioni giudiziali o, ancora, reperita nella disponibilità del fallito all‟inizio della
procedura fallimentare.
Il curatore può chiedere acconti sul compenso finale ed il tribunale può concederglieli.
4.4
Il comitato dei creditori
Il comitato dei creditori è un organo collegiale, composto da tre o cinque creditori e
nominato dal giudice delegato (art. 40 L.F., nuovo testo).
Il comitato deve essere costituito entro 30 giorni dalla sentenza di fallimento sulla base delle
risultanze documentali, sentiti il curatore ed i creditori che, nella domanda di ammissione al passivo
o precedentemente, hanno dato la disponibilità ad assumere l‟incarico o hanno segnalato altri
nominativi con i requisiti previsti.
Entro dieci giorni dalla nomina, il comitato provvede a nominare a maggioranza il proprio
presidente. Il presidente convoca il comitato per le deliberazioni di competenza o quando sia
richiesto da un terzo dei suoi componenti.
Tutte le decisioni dell‟organo sono prese collegialmente a maggioranza, in caso di inerzia
(cioè quando il comitato non decide nel termine massimo di quindici giorni), di impossibilità
funzionamento o di urgenza, provvede il giudice delegato.
I componenti del comitato hanno in genere diritto solo al rimborso spese per l‟ adempimento
degli obblighi del proprio incarico, ma ad essi non spetta alcun compenso. Tuttavia la riforma ha
stabilito che, in sede di adunanza di verifica dei crediti, i creditori che rappresentano la maggioranza
di quelli ammessi, indipendentemente dall‟entità dei crediti vantati, possano stabilire che ai
componenti del comitato sia attribuito, oltre al rimborso delle spese, un compenso per la loro
attività, in misura non superiore al 10% di quello liquidato al curatore, a carico della massa
fallimentare.
Nella disciplina ante riforma, la nomina del comitato da parte del giudice delegato poteva
avvenire solo entro i 10 giorni successivi al decreto di approvazione dello stato passivo. Il comitato
era composto sempre da tre a cinque membri ed il presidente era scelto dal giudice delegato.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Diritto Commerciale
Lezione XI
Alla luce della riforma, il comitato è organo autorizzativo e gestorio, in particolare
dell‟attività posta in essere dal curatore (art. 41 L.F., nuovo testo).
Esso infatti:
— autorizza tutti gli atti straordinaria amministrazione che devono essere eseguiti dal
curatore, nonché gli altri atti specificatamente indicati all‟art. 35 L.F.;
— autorizza il nuovo curatore a proporre l‟azione di responsabilità contro il curatore
revocato;
— autorizza il curatore alla rinuncia ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante il
fallimento se i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al
loro presumibile valore di realizzo;
— autorizza il curatore a subentrare nei contratti pendenti in luogo del fallito;
— decide di interrompere l‟esercizio provvisorio dell‟impresa, qualora ne ravvisi la
necessità;
— secondo la nuova formulazione apportata dal decreto correttivo, approva il programma di
liquidazione predisposto dal curatore e le eventuali modificazioni allo stesso;
— autorizza la nomina dei delegati e dei coadiutori del curatore;
— dispone che le disponibilità liquide delle somme riscosse dal fallimento vengano in tutto
o in parte investite con strumenti diversi dal deposito in conto corrente, purché sia garantita
l‟integrità del capitale.
L‟attività gestoria è esercitata in particolar modo nella necessità che determinati atti,
compiuti dal giudice delegato, siano subordinati al previo parere favorevole del comitato.
Contro le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori e i relativi comporta menti
omissivi, il fallito ed ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato entro 8
giorni dalla conoscenza dell‟atto o, in caso di omissione, dalla diffida a provvedere. Il giudice
delegato decide con decreto motivato, reclamabile al tribunale entro 8 giorni dalla comunicazione.
Il tribunale decide sul ricorso entro 30 giorni con decreto motivato non impugnabile. Se è accolto il
reclamo riguardante un comporta mento omissivo del comitato, il giudice delegato provvede in
sostituzione di quest‟ultimo con l‟accoglimento del reclamo (art. 36 L.F., nuovo testo).
Il comitato dei creditori svolge inoltre una funzione consultiva ed ha, altresì, poteri di
controllo sull‟operato degli altri organi fallimentari (art. 41 L.F.).
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Diritto Commerciale
Lezione XI
Sotto il primo profilo, il comitato deve essere ascoltato in tutti i casi previsti dalla legge
(attività consultiva necessaria) e tutte le volte che il tribunale o il giudice delegato lo ritengano
opportuno (attività consultiva eventuale).
La richiesta del parere non vincolante è obbligatoria:
— per la revoca del curatore ;
— per il subentro del curatore nel contratto di finanziamento destinato ad uno specifico
affare;
— per la decisione di non procedere all‟accertamento del passivo per insufficiente realizzo
dei beni;
— per la vendita dei beni prima dell‟approvazione del programma di liquidazione;
— per sospendere le operazioni di vendita qualora ricorrano gravi e giustificati motivi;
— per la chiusura del fallimento in caso di insufficienza di attivo;
— per procedere all‟esdebitazione del fallito;
— per l‟esercizio delle azioni di responsabilità esercitate dal curatore contro gli
amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali, i liquidatori ed i soci di
società a responsabilità limitata .
Sotto il secondo profilo, il comitato o singoli suoi membri possono, di propria iniziativa,
ispezionare le scritture contabili e i documenti del fallimento, nonché chiedere notizie e chiarimenti.
Essi hanno diritto di essere informati specificamente su tutte le vicende del procedimento. A
tale funzione può ricollegarsi la legittimazione a proporre reclamo contro gli atti del curatore e
contro i decreti del giudice delegato, nonché a chiedere la revoca del curatore medesimo .
La riforma ha introdotto un regime di responsabilità del comitato, stabilendo che ai suoi
componenti si applichi, in quanto compatibile, l‟art. 2407 c.c., relativo alla responsabili
del
collegio sindacale nelle società per azioni, in solido con gli amministratori. Sulla disposizione è
intervenuto successivamente il decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), il quale ha
limitato il richiamo all‟art. 2407 c.c. ai soli 1° e 3° comma di esso ed esonerando così il comitato
dei creditori dalla cd. culpa in vigilando, consistente nella responsabilità del comitato, in solido con
il curatore, per i fatti o le omissioni di questo, quando il danno fosse casualmente collegabile
all‟omessa o negligente vigilanza del comitato stesso. In questo modo, la responsabilità del
comitato, troppo rigidamente prevista dalla riforma del 2006, è stata ampiamente ridimensionata,
anche valutando le diversità di ruoli tra il comitato ed il collegio sindacale.
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Lezione XI
In forza ditale rinvio, a partire dalle procedure iniziate dopo il 1° gennaio 2008, i membri del
comitato:
— devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura
dell‟incarico;
— sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui
fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Il decreto correttivo ha inoltre precisato che l‟azione di responsabilità è proponibile, dal solo
curatore, anche durante lo svolgimento della procedura, previa autorizzazione del giudice delegato;
con il decreto di autorizzazione il giudice delegato sostituisce i componenti del comitato nei cui
confronti ha autorizzato l‟azione.
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Lezione XI
5 La procedura fallimentare
5.1
Custodia e conservazione del patrimonio del fallito:
l’apposizione dei sigilli
La prima fase della procedura fallimentare è diretta all‟apprensione ed alla conservazione del
patrimonio del fallito.
L‟atto iniziale che caratterizza tale fase è quello della apposizione dei sigilli, che viene disposta
d‟ufficio con la sentenza dichiarativa del fallimento e segue immediatamente ad essa.
Competente all‟apposizione dei sigilli è il curatore, il quale procede secondo le norme del codice di
procedura civile e può chiedere altresì l‟intervento della forza pubblica.
Dell‟apposizione dei sigilli va redatto processo verbale, in cui sono elencati anche tutti i beni che
non sono stati posti sotto sigillo e che vengono affidati al curatore o ad un custode nominato dal
giudice procedente.
5.2
L’inventario dei beni
L‟apposizione dei sigilli è un provvedimento di carattere temporaneo, cui segue, «nel più breve
termine possibile» (art. 87 L.F.), la loro rimozione e la redazione dell‟inventario ad opera del
curatore, presenti o avvisati il fallito ed il comitato dei creditori. Funzione dell‟ inventano è quella
di individuare i beni del fallito e farli prendere in consegna dal curatore (art. 88 L.F.).
Il curatore (prima della riforma spettava al giudice delegato) può disporre norme e cautele speciali
per la redazione dell‟inventano e può nominare uno stimatore con il compito di determinare il
valore dei beni indicati nell‟inventano.
La redazione ha una funzione impegnativa del curatore che, dalla data di tale redazione, rimane
responsabile della custodia e dell‟amministrazione dei beni del fallito.
5.3
L’amministrazione del patrimonio
Il curatore — entrato nel possesso della titolarità del patrimonio del fallito— diventa custode dei
beni in esso compresi e subentra nell‟amministrazione degli stessi. In particolare:
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Lezione XI
a) gli atti di ordinaria amministrazione rientrano nei pieni poteri del curatore, senza necessità di
intervento di altri organi. Tali atti (es.: gli atti conservativi, la esazione dei crediti, la vendita dei
frutti e la vendita dei beni deteriorabili) sono compiuti liberamente dal curatore; il giudice delegato
può impartire direttive, ma la loro inosservanza non comporta nullità o annullabilità degli atti, bensì
solo la possibilità di revoca del curatore; ogni interessato, tuttavia, può sempre provocare il
controllo del giudice delegato nell‟attività di ordinaria amministrazione del curatore o nelle relative
omissioni, a mezzo di reclamo (art. 36 L.F., nuovo testo);
b) gli atti di straordinaria amministrazione sono posti in essere dal curatore previa autorizzazione
del comitato dei creditori (art. 35 L.F.).
Il decreto correttivo ha in proposito precisato che il curatore, nel richiedere l‟autorizzazione del
comitato, deve formulare le proprie osservazioni sulla convenienza dell‟ affare.
5.4
L’amministrazione dei patrimoni destinati ad uno specifico
affare
La riforma ha previsto un apposito capo relativo all‟amministrazione di tali patrimoni in caso di
fallimento della s.p.a. L‟art. 155 L.F., nuovo testo, stabilisce che l‟amministrazione del patrimonio
destinato è attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata:
— se il patrimonio risulta capiente, il curatore può decidere di cederlo a terzi e solo se la cessione
non è possibile, provvede alla sua liquidazione (seguendo le regole della liquidazione societaria);
— se risulta incapiente, al momento della dichiarazione di fallimento o durante la sua gestione, il
curatore provvede senz‟altro alla sua liquidazione, con autorizzazione del giudice delegato .
Il corrispettivo della cessione o il residuo attivo della liquidazione sono acquisiti nell‟attivo
fallimentare, detratto quanto spettante ai terzi che abbiano effettuato apporti.
5.5
La continuazione dell’impresa del fallito
Ai sensi dell‟art 104 L.F., nuovo testo, la continuazione dell‟impresa del fallito è consentita in due
ipotesi:
a) al momento della dichiarazione di fallimento, quando dall‟ improvvisa interruzione possa
derivare un danno grave: nel qual caso il tribunale può autorizzare la continuazione temporanea
dell‟esercizio dell‟impresa del fallito, purché non arrechi pregiudizio ai creditori;
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Diritto Commerciale
Lezione XI
b) successivamente, quando il curatore ed il comitato dei creditori ritengano opportuno continuare o
riprendere in tutto o in parte l‟esercizio dell‟impresa. In tal caso il giudice delegato autorizza
l‟esercizio, assunto il parere favorevole del comitato.
La continuazione può riguardare anche solo specifici rami dell‟azienda. Essa ha carattere
provvisorio e può sempre ordinarsene la cessazione. Il tribunale provvede in camera di consiglio,
sentiti il curatore ed il comitato dei creditori, con decreto non soggetto a reclamo.
L‟esercizio provvisorio dell‟impresa è affidato al curatore, che può anche avvalersi dell‟opera del
fallito.
Nell‟ipotesi di esercizio provvisorio, il comitato dei creditori deve essere convocato dal curatore
almeno ogni tre mesi per essere informato sull‟andamento della gestione e per pronunciarsi
sull‟opportunità di continuare l‟esercizio.
Inoltre, ogni semestre (o comunque alla conclusione del periodo di esercizio provvisorio) il curatore
deve presentare un rendiconto dell‟attività e deve informare senza indugio il giudice delegato ed il
comitato di circostanze sopravvenute che possono influire sulla prosecuzione dell‟esercizio.
Durante l‟esercizio provvisorio, i contratti pendenti proseguono, salvo che il curatore non intenda
sospenderne l‟esecuzione o scioglierli.
Si ricordi, infine, che i debiti sorti durante l‟esercizio provvisorio sono debiti di massa da pagarsi in
prededuzione : il curatore, pertanto, è tenuto ad adempiere integralmente gli obblighi assunti
durante il periodo della continuazione del l‟esercizio dell‟impresa.
5.6
L’affitto dell’azienda del fallito
La riforma ha recepito la prassi diffusa di utilizzare l‟affitto di azienda per conservarne
temporaneamente l‟integrità, anche nella prospettiva della sua migliore collocazione sul mercato.
Ha quindi previsto una specifica disciplina dell‟affitto d‟azienda colmando la precedente lacuna
normativa.
Anche prima della presentazione del programma di liquidazione, il giudice delegato, su proposta del
curatore, previo parere favorevole del comitato dei creditori, può autorizzare l‟affitto dell‟azienda
del fallito a terzi anche limitatamente a specifici rami, quando ciò sia utile al fine della più proficua
vendita dell‟azienda o di sue parti. La scelta dell‟affittuario deve tener conto del canone offerto,
delle garanzie prestate e dell‟attendibilità del piano di prosecuzione delle attività, considerata la
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Diritto Commerciale
Lezione XI
conservazione dei livelli occupazionali. La durata dell‟affitto deve essere compatibile con le
esigenze di liquidazione dei beni.
5.7
L’accertamento del passivo
La fase dell‟accertamento del passivo serve ad individuare i creditori ammessi al con corso e
l‟eventuale titolarità dei privilegi, nonché ad accertare i crediti di restituzione di cose mobili o
immobili di proprietà d terzi ma in possesso del fallito. Infatti, tutti i crediti sorti anteriormente alla
data di dichiarazione di fallimento devono seguire la procedura di ammissione ai passivo, compresi
quelli muniti di diritto di prelazione o da pagarsi in prededuzione, nonché, come ha precisato il
decreto correttivo, quelli esentati dal divieto di azioni esecutive e cautelari .
Stessa sorte devono seguire i diritti reali o personali vantati da terzi sui beni del fallito, mobili
immobili.
È uno dei momenti essenziali dell‟attività diretta all‟accertamento del passivo e si svolge attraverso
le seguenti fasi:
a) avviso ai creditori per la verifica;
b) presentazione delle domande di ammissione al passivo ;
c) esame delle domande e formazione del progetto di stato passivo ;
d) deposito dello stato passivo in cancelleria e osservazioni dei creditori;
e) adunanza di verificazione e definitiva formazione dello stato passivo;
f) dichiarazione di esecutività dello stato passivo.
La disciplina è stata sensibilmente modificata dalla riforma la quale ha accelerato e semplificato la
procedura.
Il curatore ha l‟obbligo di comunicare, a mezzo di lettera raccomandata, fax o posta elettronica, ai
creditori ed ai titolari di diritti reali o personali su beni mobili ed immobili in possesso del fallito.
In seguito all‟invito rivolto dal curatore i singoli creditori ed i terzi presentano la domanda di
ammissione al passivo.
Il ricorso, da depositarsi presso la cancelleria almeno 30 giorni prima dell‟udienza di verifica, deve
contenere a pena di inammissibilità: l‟indicazione della procedura cui si intende partecipare e le
generalità del creditore, la somma da insinuare al passivo (o la descrizione del bene di cui si chiede
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Diritto Commerciale
Lezione XI
la restituzione o la rivendicazione), la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che
sono posti a fondamento della domanda.
Scaduto il termine per la presentazione, il curatore esamina le domande e predispone elenchi
separati dei creditori e dei titolari di diritti sui beni del fallito,rassegnando le sue conclusioni.
Predispone quindi il progetto di stato passivo, indicando:
— il nome dei creditori ammessi definitivamente, l‟ammontare del loro credito, le eventuali
garanzie ed i beni su cui esse gravano, gli eventuali diritti di prelazione.
— i creditori ammessi con riserva, secondo quanto diremo di seguito;
— i creditori non ammessi in tutto o in parte.
Il progetto di stato passivo è depositato in cancelleria dal curatore almeno 15 giorni prima di quello
previsto per l‟adunanza per l‟esame del passivo, affinché i creditori e qualunque interessato possano
prenderne visione (previa loro comunicazione) e presentare osservazioni scritte e documenti
integrativi sino all‟udienza. La stessa facoltà spetta al fallito.
Secondo i nuovi artt. 95 e 96 L.F., all‟udienza di verifica il giudice delegato decide su ciascuna
domanda con decreto, accogliendola, respingendola o dichiarandola inammissibile, tenuto conto
delle eccezioni presentate dal curatore e dagli altri interessati; può altresì procedere agli atti di
istruzione richiesti dalle parti. Non è necessaria la presenza delle parti, ma il fallito può chiedere di
essere sentito sul merito delle domande.
Secondo le precisazioni inserite in proposito dal decreto correttivo, il decreto con cui il giudice
delegato accoglie o rigetta il credito deve essere sempre succintamente motivato (e non solo in caso
di contestazioni del curatore o dei creditori, come previsto originariamente dalla riforma del 2006).
Se la domanda è dichiarata inammissibile, il creditore potrà riproporla.
Se le operazioni non possono esaurirsi in una sola udienza, il giudice ne rinvia la prosecuzione a
non più di 8 giorni, senza altro avviso per gli intervenuti e per gli assenti.
Avvenuta la verifica, il giudice delegato forma lo stato passivo e con decreto lo dichiara esecutivo.
Il curatore comunica immediatamente ai creditori l‟avvenuto deposito in cancelleria dello stato
passivo, affinché possa essere esaminato da tutti coloro che hanno presentato la domanda,
informandoli del diritto di presentare opposizione in caso di mancato accoglimento. La
comunicazione è data con raccomandata A/R, telefax o posta elettronica .
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5.8
Lezione XI
La verifica delle domande di rivendicazione, restituzione e
separazione delle cose mobili
Può darsi che nel patrimonio del fallito, accanto ai suoi beni, esistano anche beni mobili o immobili
esattamente individuati per specie, su cui i terzi vantano diritti reali o personali. In tal caso è data ai
singoli interessati la facoltà di richiedere i propri beni attraverso:
a) domande di rivendicazione dirette ad accertare la proprietà o altro diritto reale su di un bene
illegittimamente acquisito alla massa attiva;
b) domande di restituzione, dirette ad ottenere la restituzione di beni detenuti dal fallito ma che
avrebbero dovuto essere restituiti agli aventi diritto;
e) domande di separazione attraverso le quali il titolare di un diritto reale di garanzia. non
appartenenti al patrimonio del fallito ma indebitamente coinvolti nell‟esecuzione concorsuale, mira
a sottrarre tali beni alla procedura fallimentare, o, comunque, a impedire che la loro vendita venga
effettuata senza il rispetto della garanzia di cui è titolare.
5.9
La previsione di realizzo insufficiente
La riforma ha previsto l‟ipotesi in cui, prima dell‟inizio delle operazioni di verifica dello stato
passivo, il curatore accerti che non può essere acquisito unito da distribuire ad alcuno dei creditori
che abbiano chiesto l‟ammissione al passivo (art. 102 LE., nuovo testo).
In questo caso, egli può depositare, almeno 20 giorni prima dell‟udienza di verifica, una relazione
sulle prospettive della liquidazione, facendo istanza al tribunale di non procedersi all‟accertamento
del passivo, fatta salva comunque la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle spese di
procedura. Il tribunale decide con decreto motivato, sentiti il comitato dei creditori ed il fallito.
II curatore comunica il decreto ai creditori che abbiano presentato domanda di ammissione, i quali
possono presentare reclamo alla Corte d‟appello nei 15 giorni successivi.
5.10
Rimedi contro lo stato passivo
Dichiarato esecutivo lo stato passivo, il creditore che ha proposto domanda di ammissione del
credito od il terzo che ha presentato domanda di restituzione o rivendica possono opporsi alle
decisioni del giudice delegato attraverso tre forme di impugnazione dello stato passivo:
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Lezione XI
— l‟opposizione allo stato passivo stesso;
— l‟impugnazione dei crediti altrui;
— la revocazione.
A) Possono proporre l‟opposizione i creditori non ammessi (o ammessi con riserva) o per i
quali è stata esclusa una causa legittima di prelazione, per essere ammessi al passivo o per vedersi
riconoscere un diritto di prelazione escluso dal giudice delegato. Possono altresì presentare
l‟opposizione i terzi titolari di diritti reali o personali sui beni mobili od immobili di proprietà o nel
possesso del fallito. L‟opposizione non può riguardare domande nuove o più ampie rispetto alla
istanza di ammissione a passivo: la domanda non può contenere quindi crediti diversi da quelli
insinuati, né per un importo superiore o per cause di prelazione diverse.
Il fallito non è legittimato a proporre opposizione ed il suo intervento, nel giudizio di
opposizione allo stato passivo, è inammissibile al di fuori dei casi espressamente previsti dall‟art.
43 L.F.
L‟opposizione è proposta nei confronti del curatore (art. 98 L.F., nuovo testo).
B) L‟art. 98 L.F., nuovo testo, consente a ciascun creditore, al curatore nonché al titolare di
diritti su beni mobili od immobili, di impugnare lo stato passivo in ordine all‟ ammissione dei
crediti altrui o all‟accoglimento della domanda di restituzione o rivendica di un altro concorrente.
Non possono proporre l‟impugnazione i creditori esclusi (che non abbiano proposto
opposizione), essendo la stessa riservata ai soli creditori concorrenti, che ne abbiano un peculiare
interesse, nei confronti dei concreditori di grado pari o superiore.
Legittimato passivo dell‟impugnazione è il creditore concorrente, la cui domanda è stata
accolta. Al procedimento partecipa anche il curatore.
C) Contro il decreto di approvazione dello stato passivo, divenuto non più opponibile o non
più impugnabile per decorso dei termini, è, infine, possibile la revocazione qualora, prima della
chiusura del fallimento:
— si scopra che l‟ammissione di un credito, di una garanzia o di un diritto del terzo è stata
determinata da falsità , dolo o errore essenziale di fatto;
— si rinvengano documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non
imputabile (art. 98 L.F., nuovo testo).
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Diritto Commerciale
Lezione XI
La relativa domanda può essere proposta dal curatore, da qualsiasi creditore che vi abbia interesse o
dal terzo che ha presentato domanda di restituzione o rivendicazione. Il termine di proposizione è di
trenta giorni dalla scoperta del fatto o del documento. Legittimati passivi dell‟azione sono il
creditore concorrente la cui domanda di ammissione è stata accolta, o il curatore se la domanda è
stata respinta.
5.11
Domande tardive di ammissione allo stato passivo
La formazione dello stato passivo definitivo non pregiudica la presentazione di ulteriori domande di
ammissione dei crediti: infatti, i creditori, che non abbiano proposto domanda di ammissione nel
termine di 30 giorni prima dell‟udienza di verifica, possono presentare le cd. dichiarazioni tardive di
credito, fino a 12 mesi dopo il decreto di esecutività dello stato passivo (termine prorogabile dal
tribunale fino a 18 mesi in caso di complessità) (art. 101 L.F., nuovo testo).
Decorso tale termine, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell‟attivo,
le domande tardive sono ammissibili solo se l‟istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non
imputabile. Quindi il termine massimo di 12 mesi vale solo per il ritardo colposo del creditore.
Il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge nelle stesse forme previste dall‟art.
95 L.F. per le domande tempestive. Il curatore avvisa coloro che hanno presentato la domanda della
data dell‟udienza; si applicano quindi tutte le disposizioni relative alla formazione dello stato
passivo e alle loro impugnazioni .
Sul procedimento di insinuazione tardiva è inoltre parzialmente intervenuto il decreto correttivo, il
quale ha previsto che il giudice delegato debba fissare ogni quattro mesi, o anche prima se
sussistono motivi d‟urgenza, un‟udienza ad hoc per l‟esame delle domande tardive, allo scopo di
meglio disciplinare il loro ingresso nella procedura.
Il creditore sopporta le spese conseguenti al ritardo nella presentazione della domanda, a
meno che il ritardo non sia dipeso da causa a lui non imputabile. L‟ammissione tardiva gli
attribuisce, ove non sussista una causa di prelazione, soltanto il diritto di partecipare alla
ripartizione dell‟eventuale residuo in proposizione al proprio credito, dopo il riparto fra i creditori
intervenuti tempestivamente.
Se invece il credito è supportato da una causa di prelazione, o se il ritardo è dipeso da cause a lui
non imputabili, il creditore ha diritto di prelevare le quote che gli sarebbero spettate nelle precedenti
ripartizioni .
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Lezione XI
6 L’accertamento e la liquidazione dell’attivo
6.1
L’accertamento dell’attivo
Lo stato attivo del fallimento è costituito da tutti i beni del fallito e da quelli che, per effetto della
revocatoria, sono ritornati, ai soli fini della procedura fallimentare, nel patrimonio di esso.
L‟accertamento di tale stato avviene mediante la redazione dell‟inventano e la presa in consegna dei
beni inventariati da parte del curatore: l‟attivo, inoltre, diventa definitivo dopo che si sono esaurite
le azioni revocatorie e le azioni di rivendica (proposte eventualmente dai terzi proprietari) sui beni
del fallito.
6.2
La liquidazione dell’attivo
Con la liquidazione dell‟attivo i beni del fallito vengono tramutati in danaro, ai fini del
soddisfacimento dei creditori.
La riforma ha cercato di semplificare e di dare maggiore efficienza alla procedura di liquidazione,
riscrivendo l‟intera disciplina. La novità più rilevante introdotta dal D.Lgs. 5/2006, successivamente
modificata nel punto in esame dal decreto correttivo, consiste nel fatto che l‟attività di liquidazione
dovrà avvenire non più con operazioni diversificate, non coordinate ed occasionali bensì all‟interno
di un razionale programma di liquidazione, predisposto dal curatore ed approvato dal comitato dei
creditori .
Il piano deve essere formato entro 60 giorni dalla redazione dell‟inventano, quindi non appena si
siano resi disponibili i necessari elementi di valutazione sull‟entità, sulla qualità e sul valore di
mercato, dei beni appresi all‟attivo.
Il decreto correttivo in linea con il nuovo ruolo assunto dal comitato dei creditori e considerando
che il suddetto piano costituisce l‟atto di gestione principale in ordine alla funzione di soddisfazione
degli interessi dei creditori svolta dal fallimento, ha modificato la disposizione in esame,
prevedendo che l‟approvazione del programma spetti al comitato dei creditori, mentre il giudice
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Lezione XI
delegato dovrà autorizzare i singoli atti di esso previa una mera verifica formale della loro
conformità al piano di liquidazione.
Il programma deve indicare le modalità ed i termini previsti per la realizzazione dell‟attivo,
specificando:
a) l‟opportunità di disporre l‟esercizio provvisorio dell‟impresa o di singoli rami di azienda, o di
autorizzarne l‟affitto a terzi;
b) l‟esistenza di proposte di concordato ed il loro contenuto;
c) le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare;
d) le possibilità di cessione unitaria dell‟azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici
individuabili in blocco;
e) le condizioni di vendita dei singoli cespiti.
Prima della approvazione del programma, il curatore può procedere alla liquidazione di beni, previa
autorizzazione del giudice delegato e sentito il comitato dei creditori se già nominato, solo quando
dal ritardo può derivare pregiudizio all‟interesse dei creditori (per esempio qualora si tratti di beni
facilmente deperibili o che necessitano di spese di conservazione rilevanti). Infine il curatore, previa
autorizzazione del comitato dei creditori, può decidere di non acquisire all‟attivo o rinunciare a
liquidare uno o più beni, se l‟attività di liquidazione non risulti conveniente.
Circa le singole ipotesi di liquidazione, è possibile distinguere tra:
— vendite di beni mobili;
— vendite di beni immobili;
— vendita dell‟azienda;
— realizzo di crediti.
In virtù della più elastica disciplina prevista dalla riforma, il curatore deve provvedere alla vendita
dei beni mobili secondo le modalità indicate nel piano di liquidazione. La stima dei beni è
necessaria solo se essi sono di valore rilevante. La vendita (a trattativa privata) può essere effettuata
direttamente dal curatore, oppure a mezzo di un istituto di vendita giudiziaria, oppure mediante altri
soggetti specializzati.
Il piano di liquidazione può prevedere anche la vendita in blocco, in tutto o in parte, dei beni mobili
o dei rapporti giuridici del fallito:essa può essere effettuata anche a trattativa privata, con adeguate
forme di pubblicità.
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Diritto Commerciale
6.3
Lezione XI
La liquidazione del beni immobili
Qualora il fallito possieda beni immobili, come primo atto della loro apprensione al fallimento il
curatore deve «notificare» (e cioè comunicare) alla Conservatoria dei registri immobiliari un
estratto della sentenza dichiarativa di fallimento, affinché questa sia annotata nei pubblici registri.
In tale comunicazione il curatore deve anche indi care gli esatti estremi dei beni di cui si tratta.
Frequenti nella pratica sono le ipotesi di vendita dell‟azienda del fallito, che può riguardare non solo
tutto il complesso aziendale unitariamente considerato, ma anche uno o più rami dell‟impresa,
complessi di beni, sedi secondarie etc.
La riforma ha attribuito alla vendita d‟azienda un ruolo centrale nella liquidazione dell‟attivo, in
virtù della necessità di conservazione dell‟impianto produttivo già esistente: essa ha infatti previsto
una disciplina specifica, prima inesistente.
La vendita del complesso aziendale o di suoi rami deve essere effettuata con le modalità di cui
all‟art. 107 L.F. (il curatore può scegliere la procedura competitiva più utile e conveniente, quindi
utilizzando sia la vendita all‟incanto che a trattativa privata, anche combinandole tra loro), pur
dovendo rispettare le forme di trasferimento previste dal l‟art. 2556 c.c. (forma scritta ad
probationem e iscrizione nel registro delle imprese). Salvo diverso accordo tra le parti, l‟acquirente
non è responsabile per i debiti relativi all‟esercizio dell‟azienda ceduta sorti prima del trasferimento.
Per la realizzazione dei crediti si applicano le comuni norme del diritto civile.
Il curatore, pertanto, deve fare tutto il possibile per ottenere l‟adempimento spontaneo, altrimenti
dovrà agire giudizialmente, previa autorizzazione scritta dal giudice delegato.
Per evitare ritardi nelle chiusure delle procedure concorsuali che, nel sistema previgente, erano
spesso dovuti ai lunghi tempi connessi alla definizione dei contenziosi fiscali ed ordinari, la riforma
ha previsto la possibilità di cessione di tutti i crediti, qualunque ne sia la natura, compresi quelli
fiscali e futuri e pur se contestati. La vendita è rimessa al curatore. In alternativa, il curatore può
stipulare contratti di mandato per la riscossione dei crediti.
Allo stesso modo, è possibile la cessione delle azioni revocatorie concorsuali, se i relativi giudizi
sono già pendenti.
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6.4
Lezione XI
La ripartizione dell’attivo
Il fine ultimo della procedura fallimentare, che è la soddisfazione (anche se, in genere, soltanto
parziale) dei creditori, è perseguito con la ripartizione dell‟attivo, cioè di quanto conseguito
attraverso la liquidazione dei beni.
E‟ questa una fase eventuale e non necessaria della procedura fallimentare, in quanto il fallimento
può anche chiudersi per mancanza di attivo.
Al riparto hanno diritto di partecipare tutti quei creditori il cui credito è stato ammesso al passivo.
In occasione della ripartizione dell‟attivo fallimentare non è possibile rimettere in discussione i
crediti ammessi e le cause di prelazione riconosciute o escluse in sede di verificazione dei crediti,
essendo ciò precluso dal decreto di approvazione dello stato passivo divenuto esecutivo.
Le somme ricavate dalla liquidazione vanno erogate nel seguente ordine:
Creditori aventi diritto alla prededuzione (cd. debiti di massa prededucibili): Sono
prededucibili i crediti così qualificati da una specifica disposizione di legge e quelli sorti in
occasione o in funzione del fallimento o di una precedente procedura concorsuale. La
codificazione anteriore alla riforma offriva una elencazione più dettagliata di tali crediti, che
può ora ritenersi valida a titolo esemplificativo. L‟art. 111, n. 1, L.F., vecchio testo, infatti,
stabiliva il pagamento in prededuzione di tutte le spese (comprese quelle anticipate dall‟era
rio), dei debiti assunti per far fronte alla procedura, compreso il compenso per il curatore
(cd. spese fallimentari stricto sensu) e per la continuazione dell‟esercizio dell‟impresa, se
autorizzato (cd. spese inerenti all‟amministrazione).
Creditori privilegiati: pagamento dei creditori ammessi con prelazione sulle cose vendute,
secondo l‟ordine fissato dagli artt. 2777 e seguenti c.c. A ciò si provvede solo se, pagate le
spese di cui al n. 1, avanzino altre somme: il che costituisce una notevole limitazione alle
cause di prelazione.
Creditori chirografari: pagamento dei creditori chirografari, in proporzione all‟ammontare
dei crediti per cui ciascuno è stato ammesso, nonché dei creditori privilegiati, qualora non
sia stata ancora realizzata la garanzia ovvero per la parte in cui sono rimasti non soddisfatti
da questa.
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Lezione XI
Compiuta la liquidazione dell‟attivo e prima del riparto finale, il curatore presenta al giudice
delegato una esposizione analitica delle operazioni contabili e della attività di gestione delle
procedura .
Trattasi di un rendiconto di gestione (e non solo di cassa): il curatore, pertanto, non può limitarsi ad
indicare le somme che ha riscosso e quelle che ha speso, nonché ad offrire la dimostrazione della
regolarità contabile delle varie partite in entrata ed in uscita; egli deve, altresì, porre in evidenza che
le operazioni riportate nel conto sono state effettuate secondo criteri di legittimità e di convenienza
economica, così da fornire la giustificazione del suo operato, esponendo le ragioni di tutte le
operazioni fallimentari.
Il giudice ordina il deposito del conto in cancelleria e fissa l‟udienza in cui ogni interessato può
presentare le sue osservazioni o contestazioni: udienza da tenersi non prima di 15 giorni dal
deposito.
Della fissazione di tale udienza viene data immediata comunicazione al fallito e a tutti i creditori
(compresi gli opponenti e i creditori in prededuzione non soddisfatti).
Se all‟udienza non sorgono contestazioni, o su queste si raggiunge l‟accordo, il giudice approva il
conto; altrimenti rimette la controversia al tribunale che provvede in camera di consiglio.
Approvato il conto e liquidato il compenso al curatore, il giudice delegato, sentite le proposte del
curatore, ordina il riparto finale, che è eseguito dal curatore medesimo.
Il riparto finale avviene secondo le regole previste per i riparti parziali.
In esso sono distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente fatti, ma se la condizione non si è
ancora verificata, la somma è depositata nei modi stabiliti dal giudice, affinché, una volta
verificatisi gli eventi indicati, possa essere versata ai rispettivi creditori o fatta oggetto di riparto
supplementare fra gli altri.
La riforma ha precisato che gli accantonamenti non impediscono la chiusura della procedura.
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Lezione XI
7 La chiusura del fallimento
Il capo VIII della legge fallimentare è dedicato alla cessazione della procedura fallimentare ed è
diviso in due sezioni, che si riferiscono, rispettivamente:
— alla chiusura del fallimento;
— al concordato fallimentare.
7.1
I casi di chiusura del fallimento
I casi in cui può esser disposta la chiusura del fallimento si verificano:
a) quando i creditori non propongono domande dì ammissione al passivo, nel termine stabilito nella
sentenza dichiarativa di fallimento.
b) quando tutto il passivo accertato a carico del patrimonio fallimentare è stato saldato.
c) quando tutto il patrimonio del fallito è stato ripartito.
d) quando non sono possibili ripartizioni o pagamenti di crediti prededucibili per mancanza di
attivo.
Quando si verifica una delle ipotesi previste, la procedura fallimentare, qualunque sia la fase in cui
essa si trova, si arresta e si modifica nel senso che deve tendere all‟emanazione, da parte del
tribunale, del provvedimento di chiusura, che formalmente assume la veste del decreto.
7.2
La procedura di chiusura del fallimento ed i suoi effetti
La chiusura del fallimento va dichiarata dal tribunale con decreto motivato, su istanza del curatore,
del debitore o anche d‟ufficio. Per esso sono prescritte le stesse forme di pubblicità previste per la
sentenza dichiarativa .
Se la chiusura è determinata dalla mancanza di attivo la riforma ha precisato che qualora essa
avvenga prima dell‟approvazione del programma di liquidazione, il tribunale deve previamente
sentire il comitato dei creditori ed il fallito.
Il decreto di chiusura o di rigetto della relativa istanza è reclamabile entro 10 giorni, avanti la Corte
d‟appello, da parte di qualsiasi creditore ammesso, anche se con ritardo, dal fallito e dal comitato
dei creditori .
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Lezione XI
Come ha precisato il decreto correttivo, il decreto di chiusura acquista efficacia quando è decorso il
termine per il reclamo senza che questo sia stato proposto, oppure quando il reclamo è stato
rigettato in modo definitivo .
Con la chiusura del fallimento cessano gli organi della procedura nonché gli effetti della stessa sul
patrimonio del fallito e sulle sue incapacità personali: quest‟ultimo, pertanto, riacquista la
disponibilità e l‟amministrazione dei propri beni residuati alle vicende della liquidazione e la
legittimazione processuale attiva e passiva.
Il fallito riacquista ogni libertà limitata dal fallimento (inerente la corrispondenza, la variazione di
residenza).
I creditori riacquistano tutti i loro diritti nei confronti del debitore e possono liberamente esercitare
azioni individuali per ottenere l‟eventuale parte dei propri crediti non soddisfatti per intero.
Quando la procedura è stata chiusa per ripartizione finale dell‟attivo (che non abbia portato alla
integrale soddisfazione dei creditori ammessi), o per mancanza di attivo, la legge consente che il
fallimento stesso si «riapra», quando:
— non siano ancora trascorsi cinque anni dal decreto di chiusura;
— nel patrimonio del fallito esistano attività tali da rendere utile il provvedimento, oppure il fallito
offra garanzia di pagare almeno il 10% ai creditori vecchi e nuovi;
— vi sia espressa domanda del debitore stesso o di uno dei creditori.
Quando ricorrono le tre condizioni , il tribunale ordina, con sentenza, la riapertura del fallimento,
richiamando il curatore e il giudice delegato, o nominandone di nuovi.
Dal fatto che presupposto della riapertura è la richiesta del debitore stesso, o dei creditori, deriva
che il nuovo fallimento non può essere dichiarato d‟ufficio dal tribunale. La sentenza di riapertura,
in particolare, va deliberata in camera di consiglio e può essere reclamata ai sensi dell‟art. 18 L.F.
(che riguarda l‟impugnazione avanti alla Corte d‟appello della sentenza di fallimento). La
proposizione del reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata.
Con la riapertura comincia daccapo la procedura fallimentare secondo le norme già viste: i termini,
però, possono essere abbreviati non oltre la metà.
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Diritto Commerciale
7.3
Lezione XI
Il concordato fallimentare
Il concordato fallimentare è una causa legale di cessazione del fallimento: cioè uno strumento
diretto a realizzare, nel rispetto del principio della par condicio, il soddisfacimento di tutti i
creditori.
La riforma ha sostanzialmente modificato l‟istituto, semplificandone ed accelerandone la disciplina
e garantendone una maggiore efficacia ed applicabilità, in coordinamento con le esigenze del ceto
creditorio. La nuova disciplina si applica ai soli ricorsi di concordato presentati dopo il 16 luglio
2006, data di entrata in vigore della riforma. Le disposizioni del concordato sono state
successivamente oggetto di numerose modificazioni ad opera del decreto correttivo (D.Lgs. 12
settembre 2007, n. 169). Esse si applicano alle sole procedure di concordato aperte successivamente
al 10 gennaio 2008.
Secondo l‟art. 124 L.F,, la proposta di concordato può essere presentata:
— da uno o più creditori o da un terzo, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato
passivo, purché i dati contabili e le altre notizie disponibili consentano al curatore di predisporre un
elenco provvisorio dei creditori del fallito da sottoporre all‟approvazione del giudice delegato. Il
decreto correttivo ha inoltre inserito un ulteriore importante requisito: il debitore fallito deve avere
tenuto fino a quel mo mento la contabilità, dalla quale possano dunque emergere in modo chiaro ed
univoco i dati e le notizie necessarie per la predisposizione del suddetto elenco;
— dal fallito (o da società cui egli partecipi come socio illimitatamente responsabile o sottoposte a
comune controllo), solo dopo un anno dalla dichiarazione di fallimento (termine così elevato dal
decreto correttivo in luogo dei precedenti 6 mesi previsti dalla riforma del 2006) e purché non siano
decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo.
La proposta deve essere presentata con ricorso al giudice delegato, sottoscritto personalmente dal
ricorrente o da un rappresentante munito di procura ad hoc.
La proposta può prevedere:
— la suddivisione dei creditori in classi, secondo posizione giuridica ed interessi economici
omogenei;
— trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse, indicando le ragioni della
diversità. Il trattamento stabilito per ciascuna classe non può tuttavia alterare l‟ordine delle cause
legittime di prelazione;
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79 di 88
Diritto Commerciale
Lezione XI
— la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche
mediante cessione dei beni, accollo o altre operazioni straordinarie, compresa l‟attribuzione ai
creditori, o a società da questi partecipate, di azioni, quote, obbligazioni (anche convertibili in
azioni) o altri strumenti finanziari e titoli di debito.
7.4
L’assuntore del concordato
Tra le diverse garanzie che il fallito può proporre spicca l‟assunzione, da parte di un terzo, delle
obbligazioni derivanti dal concordato.
Il terzo assuntore, che nella nuova disciplina può presentare autonomamente la proposta di
concordato, assume in proprio il rischio della liquidazione, obbligandosi ad adempiere il
concordato, anche eventualmente in solido con il fallito,previo rilievo di tutto l‟attivo fallimentare,
alla cui liquidazione egli provvede per suo Conto.
Il decreto correttivo ha in proposito precisato che il concordato con assunzione può essere proposto
non solo dal terzo assuntore, ma anche da uno o più creditori.
Caratteristica peculiare della figura giuridica dell‟assuntore è la cessione allo stesso delle attività
fallimentari.
Nulla vieta che gli assuntori possano essere più di uno: in tal caso il trasferimento dei beni potrà
essere previsto a loro favore globalmente pro indiviso, oppure rispettivamente per singoli cespiti.
Dal lato passivo, essi risponderanno solidalmente per l‟esecuzione del concordato, salvo clausola di
divisione del debito.
L‟ art. 124 L.F., nuovo testo, prevede la possibilità di cessione all‟assuntore — con espresso patto
di concordato — anche delle azioni di pertinenza della massa, purché autorizzate dal giudice
delegato, con indicazione specifica dell‟oggetto e del fondamento della pretesa.
La figura dell‟assuntore deve essere tenuta distinta da quella del fidejussore, il quale non condivide
la proposta di concordato formulata dal fallito, ma si aggiunge nella stessa come coobbligato in
solido, assumendo verso i creditori un‟obbligazione che opera nell‟ambito della garanzia e rimane
accessoria rispetto a quella del proponente.
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Diritto Commerciale
7.5
Lezione XI
Esame ed approvazione della proposta di concordato
La proposta di concordato deve essere esaminata dal giudice delegato, previo parere del curatore e
del comitato dei creditori, con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione.
Se la proposta contiene condizioni differenziate per singole classi di creditori, essa deve essere
sottoposta, con i pareri così acquisiti, al giudizio del tribunale, il quale verifica il corretto utilizzo
dei criteri seguiti per la suddivisione in classi e per la diversificazioni dei trattamenti, tenuto conto
della relazione di stima dei beni o dei crediti oggetto della garanzia offerta dai creditori muniti di
diritto di prelazione.
La proposta viene quindi comunicata ai creditori, fissando un termine, non inferiore a venti né
superiore a trenta giorni, entro il quale gli stessi possono far pervenire le loro dichiarazioni di
dissenso in cancelleria.
A questo punto, la proposta di concordato deve essere sottoposta al voto dei creditori, quali,
valutata l‟opportunità delle condizioni in essa contenute ed esaminati i pareri formulati dagli organi
fallimentari, dovranno decidere se approvare o meno il concordato.
L‟art. 128 L.F., nuovo testo, prevede che la proposta sia approvata quando ottiene il voto favorevole
dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi voto. Se sono previste diverse
classi di creditori, è necessario che tale maggioranza a raggiunta anche nel maggior numero di
classi: è questa la principale modifica apportata dal decreto correttivo, il quale, a differenza di
quanto previsto nella originaria formulazione della riforma — la quale richiedeva che fosse
raggiunta la maggioranza solo in ogni classe — stabilisce la necessità che ogni tipo di concordato,
anche quello suddiviso in classi, sia approvato sempre con la maggioranza dei creditori ammessi al
voto. I creditori che non fanno pervenire il loro dissenso nel termine fissato dal giudice delegato si
ritengono consenzienti.
creditori chirografari hanno una duplice alternativa nell‟espressione di voto:
— dichiarazione di dissenso;
— omessa dichiarazione di dissenso, alla quale la legge attribuisce valore ed efficacia di consenso.
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Diritto Commerciale
7.6
Lezione XI
Il giudizio di omologazione
La disciplina del giudizio di omologazione del concordato è stata radicalmente modificata e
semplificata dal decreto di riforma. Tale regolamentazione è stata poi in parte ritoccata dal decreto
correttivo.
Decorso il termine stabilito per le votazioni, il curatore presenta al giudice delegato una relazione
sul loro esito e, se i creditori hanno approvato la proposta, il giudice delegato dispone che ne sia
data immediata comunicazione al proponente, affinché ne richieda l‟omologazione al fallito e ai
creditori dissenzienti. Con decreto da pubblicare ai sensi dell‟art. 17 L.F. (come ha stabilito il
decreto correttivo) fissa un termine, non inferiore a quindici giorni e non superiore a trenta, per la
proposizione di eventuali opposizioni, anche da parte di qualsiasi altro soggetto che sia interessato
alla prosecuzione del fallimento, e per il deposito della relazione motivata con il parere conclusivo
del comitato dei creditori (e non del curatore, come prevedeva il testo originario della riforma,
modificato in questo senso dal decreto correttivo); se il comitato non vi provvede nel termine, la
redazione deve essere redatta dal curatore e depositata nei 7 giorni successivi.
L‟opposizione e la richiesta di omologazione si propongono con ricorso al tribunale a norma
dell‟art. 26 L.F.
Il decreto di omologazione pronunciato dal tribunale è reclamabile con ricorso dinanzi alla Corte di
appello, che decide in camera di consiglio, nel termine perentorio di trenta giorni dalla sua
notificazione fatta dalla cancelleria (art. 131 L.F., nuovo testo). Il decreto correttivo, che ha toccato
parzialmente la disciplina, ha precisato il contenuto che deve avere il ricorso, corrispondente a
quello del reclamo alla sentenza di dichiarazione di fallimento.
All‟udienza fissata, il collegio, assunte anche d‟ufficio tutte le informazioni e le prove necessarie,
provvede con decreto motivato, il quale deve essere notificato alle parti e pubblicato a norma
dell‟art. 17 L.F.
Esso può essere impugnato in Cassazione entro il termine di trenta giorni.
7.7
Effetti ed esecuzione del concordato
Già dal momento in cui scadono i termini per opporsi all‟omologazione, o da quando si esauriscono
le richieste di approvazione previste dall‟art. 129 L.F., la proposta di concordato acquista piena
efficacia , producendo immediatamente due effetti fondamentali:
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Diritto Commerciale
Lezione XI
a) vincola il fallito, o il proponente, o il terzo garante o assuntore all‟adempimento degli obblighi
assunti;
b) rende obbligatorio il concordato per tutti i creditori anteriori all‟apertura del fallimento, compresi
quelli che non abbiano presentato domanda di ammissione al passivo (anche per mancata
conoscenza del fallimento).
Quando il decreto di omologazione diventa definitivo, cioè quando sono terminati i giudizi di
reclamo o sono spirati i termini per proporli, il curatore rende il conto della gestione ai sensi
dell‟art.116 L.F. ed il tribunale dichiara chiuso il fallimento (art. 130, 2° comma, L.F.).
Gli effetti prodotti dalla chiusura:
a) Quanto al fallito:
— ritornano allo stesso i beni non trasferiti all‟assuntore o vincolati al concordato, con il
riacquistato pieno potere di disporne;
— cessa ogni compressione della legittimazione processuale attiva e passiva;
— egli è definitivamente liberato per la parte differenziale tra l‟ammontare dei crediti dei suoi
creditori e la percentuale pattuita con il concordato.
b) Quanto ai creditori:
— il concordato è, come detto, obbligatorio per tutti i creditori anteriori all‟apertura del fallimento,
compresi quelli che non hanno presentato domanda di insinuazione al passivo, salvo gli effetti della
clausola limitatrice degli impegni assunti dall‟assuntore;
— le garanzie offerte, però, non si estendono ai creditori che non hanno ancora presentato domande
di ammissione;
— i creditori conservano le loro azioni per il residuo credito non soddisfatto contro i coobbligati, i
fideiussori del fallito e gli obbligati in via di regresso; ma non possono più agire, contro il fallito (né
contro il terzo assuntore), per la parte non soddisfatta del loro credito (permane però in vita, per il
residuo, una obbligazione naturale a carico del fallito, per cui se egli paga spontaneamente non può
più chiedere la restituzione).
Con l‟omologazione del Concordato non decadono gli organi della procedura fallimentare (a
differenza che negli altri casi di chiusura), ma restano in funzione per sorveglia re l‟adempimento
del concordato stesso, secondo le modalità stabilite nel decreto di omologazione.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale
7.8
Lezione XI
Risoluzione e annullamento del concordato: riapertura del
fallimento
Il concordato può essere risolto o annullato:
a) è risolto, se le garanzie promesse non vengono costituite, o se gli obblighi assunti con esso non
sono adempiuti. La domanda di risoluzione può essere proposta con ricorso da uno dei creditori. Il
decreto correttivo ha infatti riservato ai soli creditori la legittimazione a chiedere la risoluzione del
concordato, sopprimendo la precedente iniziativa concessa al curatore, al comitato dei creditori e al
giudice d‟ufficio. La risoluzione non può trovar luogo quando sia trascorso un anno dalla scadenza
dell‟ultimo pagamento stabilito nel concordato; né quando vi sia stata assunzione da parte di un
terzo, con liberazione immediata del debitore.
Il relativo procedimento è di competenza del tribunale, che deve ordinare la comparizione del fallito
e dell‟eventuale garante e procede secondo le regole dell‟art. 15 L.F. Secondo la nuova
formulazione prevista dal decreto correttivo, la risoluzione è pronunziata con sentenza emessa in
camera di consiglio, provvisoriamente esecutiva e reclamabile, analogamente a quanto previsto per
la pronuncia dichiarativa di fallimento (nella procedura anteriore al decreto correttivo, la risoluzione
veniva pronunciata con decreto emesso in camera di consiglio, reclamabile e impugnabile con
ricorso per Cassazione);
b) è annullato, se si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo, ovvero sottratta o
dissimulata una parte rilevante di attivo.
L‟annullamento, proponibile entro 6 mesi dalla scoperta del dolo ed in ogni caso non oltre 2 anni
dalla scadenza fissata per l‟ultimo adempimento, è pronunciato, con sentenza dei tribunale, su
domanda del curatore o di un creditore, in contraddittorio delle parti: il debitore, infatti, è
contraddittore necessario nel relativo giudizio.
Annullato o revocato il concordato, si riapre la procedura fallimentare , con le conseguenze già
viste; in particolare:
— il curatore può iniziare o proseguire le azioni revocatorie interrotte in conseguenza del
concordato;
— i creditori conservano le garanzie avute dal concordato e trattengono le somme riscosse a causa
di esso; quindi concorrono nel fallimento per il residuo credito;
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale
Lezione XI
— reso esecutivo il nuovo stato passivo, il proponente può proporre una nuova do manda di
concordato, la cui omologazione è però subordinata al deposito di tutte le somme occorrenti per il
suo integrale adempimento o alla prestazione di garanzie equivalenti .
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Diritto Commerciale
Lezione XI
8 L’esdebitazione del fallito
8.1
Nozione e condizioni di ammissione
La riforma ha introdotto ex novo nella legge fallimentare l‟istituto dell‟esdebitazione del fallito,
dedicandogli un apposito Capo (il nono) e prevedendone le condizioni e la procedura in tre articoli
(dal 142 al 144).
L‟esdebitazione consiste nella liberazione del fallito, una volta chiusa la procedura senza l‟integrale
pagamento di tutti i creditori, dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non
soddisfatti per intero, a condizione che egli sia considerato «meritevole».
Può beneficiare dell‟esdebitazione solo il fallito persona fisica, essendo pertanto escluse dall‟istituto
le società dichiarate fallite.
Presupposto oggettivo negativo di ammissione all‟istituto è che non siano stati soddisfatti, neppure
in parte, i creditori concorsuali. Non sarà cioè possibile richiedere l‟esdebitazione quando il
fallimento si è chiuso per insufficienza di attivo che non abbia con sentito di pagare nemmeno
parzialmente i creditori concorsuali. È invece possibile qualora vi siano stati riparti parziali e finali
che abbiano portato al pagamento in percentuale, seppur esigua, dei creditori. Non è prevista una
percentuale minima di pagamento.
Il fallito può richiedere l‟esdebitazione solamente qualora sia in possesso dei seguenti requisiti
soggettivi positivi:
1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la
documentazione utile all‟accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle
operazioni;
2) non abbia ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
3) non abbia violato le disposizioni di cui all‟art. 48 L.F., riguardante l‟obbligo di con segna al
curatore della corrispondenza inerente i rapporti compresi nel fallimento;
4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei 10 anni precedenti la richiesta;
5) non si sia reso autore di una delle seguenti attività fraudolente:
—distrazione dell‟attivo;
—esposizione di passività insussistenti;
—aggravamento del dissesto, che abbia reso gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio
e del movimento degli affari;
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Lezione XI
—ricorso abusivo al credito;
6) non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per il reato di bancarotta fraudolenta
o per delitti contro l‟economia pubblica, l‟industria e il commercio, e altri delitti compiuti in
connessione con l‟esercizio dell‟attività d‟impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la
riabilitazione.
8.2
Il procedimento
Il beneficio dell‟esdebitazione può essere concesso dal tribunale, su ricorso presentato dal debitore,
in due momenti:
— nel decreto con cui è dichiarata la chiusura del fallimento;
— oppure successivamente purché entro un anno dalla chiusura.
Il tribunale decide con decreto, dopo aver verificato l‟esistenza delle condizioni richieste dall‟art.
142 L.F., e tenuto conto dei comportamenti collaborativi del fallito. Devono essere previamente
assunti i pareri (obbligatori ma non vincolanti) del curatore e del comitato dei creditori.
Con il decreto di esdebitazione, il tribunale dichiara inesigibili nei confronti del fallito i debiti
concorsuali non soddisfatti integralmente.
Contro il decreto di accoglimento o di rigetto del ricorso, possono proporre reclamo alla Corte
d‟appello, entro 10 giorni, il debitore, i creditori non integralmente soddisfatti, il P.M e qualunque
interessato, secondo le regole previste dall‟art. 26 L.F., nuovo testo.
8.3
Effetti dell’esdebitazione
Il decreto del tribunale che accoglie la richiesta di esdebitazione produce i seguenti effetti nei
confronti dei creditori:
a) i creditori che hanno partecipato al fallimento (concorsuali), in quanto avevano presentato
domanda di insinuazione al passivo dello stesso ed hanno partecipato alle ripartizioni, perdono ogni
diritto di agire individualmente nei confronti del fallito per la parte di credito rimasta insoddisfatta.
Essi pertanto non avranno più alcuna azione esperibile nei suoi confronti. Tuttavia, essi conservano
il diritto di agire per la parte residua dei loro crediti nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori del
debitore e degli obbligati in via di regresso del fallito;
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(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione XI
b) i creditori del fallito che, pur vantando un credito anteriore alla procedura di fallimento, non
hanno partecipato allo stesso, non avendo presentato domanda di insinuazione, potranno agire
individualmente nei confronti del fallito per la sola parte che sarebbe loro spettata qualora avessero
partecipato al fallimento.
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