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A10 820 - Aracne editrice

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A10 820 - Aracne editrice
A

Gioacchino Danilo Di Gesù
Teorie sul grottesco
da Victor Hugo a Aldo Braibanti
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: aprile 
Indice

Premessa

Capitolo I
Storia del “grottesco” dalle origini all’ottocento
.. Le origini del vocabolo,  – .. Da B. Cellini a M. Montaigne, .

Capitolo II
Il grottesco per V. Hugo, W. Scott, C. Baudelaire
.. La préface al Cronwell, Shakespeare genio grottesco,  – .. Scott
e il soprannaturale in Hoffmann,  – .. La tesi di Baudelaire,  –
.. Baudelaire e Poe,  – .. Conclusioni, .

Capitolo III
I contributi di K. Rosenkranz e G. Santayana
.. Istruzioni per la ricerca del grottesco,  – .. Una qualità del brutto,
il grottesco per K. Rosenkranz, .

Capitolo IV
Il corpo e la mente, “eccedere e perturbare”
.. Introduzione,  – .. Il corpo,  – .. La reazione della psiche,
l’effetto grottesco, .

Capitolo V
La teoria sul grottesco di A. Braibanti
.. Indagine sul grottesco e senso comune,  – .. Il concetto di angoscia,  – .. Il grottesco e il concetto d’angoscia,  – .. Le tre vie
che conducono al grottesco,  – .. Cenni del rapporto tra estetica e
grottesco,  – .. Prime conclusioni,  – .. Nota alla prima parte, 
– .. Il concetto di amore, .

Indice


Capitolo VI
Incontro con Aldo Braibanti
.. Breve notazione biografica,  – .. Intervista sulla teoria del
“grottesco”, .

Postfazione di Aldo Braibanti

Bibliografia
Premessa
Trattare un tema assai ampio come il grottesco implica, nostro malgrado, una selezione complessa e numerosa di testi, teorie, interventi,
articoli, disseminati in una produzione che tocca la letteratura, l’arte,
la filosofia. Per la nostra ricerca abbiamo recuperato innumerevoli
interventi, alcuni molto illustri, altri meno fondati. Ci siamo trovati
di fronte un materiale informe, a volte ammiccante e allusivo, altrove
affascinante e solido. La scelta di trattare alcune teorie piuttosto che
altre ugualmente significative è avvenuta secondo criteri che mettessero in evidenza le teorie meno considerate al momento della stesura
e avessero delle corrispondenze tali da permettere una serrata critica
intertestuale, tale da mettere in luce elementi fin ora all’oscuro.
La stesura della tesi si dipana dalle origini della parola “grottesco”,
il richiamo alle decorazioni, sino al passaggio del termine dall’arte
alla letteratura. In seguito si analizzano le teorie di W. Scott, V. Hugo
e C. Baudelaire. Le tre teorie mostrano corrispondenze testuali e
metatestuali. Ancora ci siamo soffermati su due concetti fondamentali
che si legano fortemente al grottesco: “l’eccedere e il (per)turbare”,
muovendo da Bachtin e Freud. Infine un contributo importante di un
filosofo italiano A. Braibanti, che nel dicembre  ci ha concesso un’
intervista che, naturalmente, riportiamo.
Ritornando al problema della selezione, ci dispiace aver omesso
volontariamente autori illustri e incisivi (Pirandello, Goethe, Macchia), ma il rischio sarebbe stato di scrivere un trattato molto generale, quindi poco approfondito. Nostro malgrado, è doveroso
ammettere, non siamo riusciti a rintracciare alcuni testi dei primi
anni ’ (Gori, D’amico, Tilgher) che affrontano il problema del
grottesco in ambito teatrale.
. Questo saggio è stato discusso come tesi di laurea in Lettere moderne il  Dicembre
 presso l’Università degli studi di Palermo, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore Prof.
Salvatore Lo Bue, correlatore Prof. Sergio Pattavina, presidente della commissione di laurea
Prof. Natale Tedesco.


Premessa
Questo lavoro è strutturato come un percorso all’interno di una
tematica varia e complessa com’è il “grottesco”. Si presenta come un
percorso, poiché nel mare delle teorie sul tema questo lavoro segna
una rotta, una via possibile che mette insieme punti apparentemente distanti, in realtà coerenti tra loro o meglio che è stato possibile
allineare, confrontare, criticare. Il grottesco, in questo percorso: da pittura ornamentale a genere letterario che unisce comico, mostruoso,
fantastico etc. . . , si mostra privo di una sola definizione codificata, sia
teoretica che estetica.
Il concetto circola trasversalmente nella cultura senza mai perdere
la sua forza contestativa, senza mai poggiarsi in un’unica definizione
che lo contenga pienamente. La tesi si sviluppa dalla scoperta, durante
il rinascimento, delle decorazioni della domus aurea confrontando le
reazioni dei contemporanei, sino alle diatribe sul senso e l’opportunità
di tali pitture nell’epoca rinascimentale, tra chi sostiene l’innaturalità
e l’inadeguatezza di tali raffigurazioni e chi invece ne riscopre le capacità espressive. Il grottesco comincia a porsi come problematica nel
rinascimento, ma ha il momento di maggiore discussione lungo tutto
l’ottocento. Nasce come tematica estetica ma presto diventerà questione teoretica. V. Hugo, W. Scott, C. Baudelaire sono gli interpreti
più calorosi delle temperature che l’argomento vive nella prima metà
dell’ottocento. Abbiamo preso in esame le tre teorie, ne abbiamo
verificato la consistenza e le abbiamo messe in relazione.
Ci siamo accorti di straordinarie corrispondenze che, forse, per la
prima volta vengono messe in luce. Superata questa seconda parte,
abbiamo ritenuto opportuno porre comunque l’accento su due tracce di estetica nei lavori di K. Rosenkranz e G. Santayana, pensando
che tali lavori, a differenza di altri, centrassero con maggiore forza
l’argomento. In ambito estetico il grottesco ha un suo statuto ma è
sempre tema non molto frequentato rispetto al bello, al sublime, al
brutto. La terza parte di questa tesi analizza i concetti di “eccedere” e
“perturbare”, due sottotesti del grottesco sempre presenti, indagate
come singole problematiche referenti al grottesco dal critico russo M.
Bacthin, e dal padre della psicanalisi S. Freud. Il ’ lo abbiamo così
voluto rappresentare, con la rottura psicanalitica da una parte, e con la
critica letteraria dall’altra.
La quarta parte è quella che ci ha regalato maggiori soddisfazioni, la
teoria esaminata è quella del filosofo contemporaneo Aldo Braibanti,
Premessa

tesi poco divulgata probabilmente per il titolo della pubblicazione che
non ha attinenze con l’argomento trattato. La consideriamo la parte
più valida della ricerca, chiaramente non per sminuire il resto, ma
perché completata da un intervista che lo stesso filosofo ha voluto
concederci. L’intervista contribuisce a sviscerare in tutti i suoi aspetti
dirompenti e straordinariamente innovativi i contenuti del saggio, di
seguito una postfazione a completamento del pensiero del filosofo
scritta di suo pugno.
Per dipanare l’argomento della tesi ci siamo affidati alle fonti testuali
dirette, ricostruendo così le prime attestazioni. Per quanto riguarda le
teorie abbiamo accompagnato passo dopo passo le evoluzioni testuali
con un lavoro sempre critico/interpretativo.
Un sincero ringraziamento a chi mi ha permesso di principiare e di
portare a termine questo lavoro: Aldo Braibanti e Beniamino Biondi.
Capitolo I
Storia del “grottesco” dalle origini all’ottocento
.. Le origini del vocabolo
Il termine “grottesco” è senza dubbio di difficile definizione. Il termine nasce in ambito artistico e si trasferisce solo in avanti nel linguaggio
letterario. Deriva da “grottesca”, aggettivo che storicamente cominciò
a circolare in epoca Rinascimentale per definire la natura particolare
degli affreschi rinvenuti nella neroniana domus aurea , e più specificamente nelle grotte della residenza, ed è proprio da “grotte” che
il termine “grottesco” deriva in funzione squisitamente aggettivale.
Gli affreschi raffiguravano una tessitura fantasiosa di foglie e fiori
intrecciati a figure mitiche per metà umane e per metà bestiali, o raffiguravano ancora colonne sormontate da capitelli animati e adornati
di occhi, di barbe di uomini o di crini leonini.
L’aggettivo “grottesco”, che si formò in seguito a questo rinvenimento, divenne proprio di qualcosa di deforme, di strano, di innaturale.
Divenne forma aggettivale per definire quindi qualcosa di troppo, di
eccedente, e nello stesso momento forma aggettivale per definire
mancanza o riduzione della realtà.
Naturalmente nessuna coscienza del nuovo genere ne avrebbero
avuto gli artisti del tempo. Il termine che identificava questa pitture
era grylli, l’aggettivo che connotava l’essere grottesco rimandava ad
una serie di sinonimi come deformis o absurdus o ancora ridiculus e
forse più specificamente monstruosus (propriamente deformis rende
in italiano “brutto”, absurdus “strambo”, ridiculus “che fa ridere”,
monstruosus “prodigioso” con accezione chiara di “fuori dal reale”.
. Il palazzo dell’imperatore in cui, secondo una tradizione popolare, sorretta dall’apocalisse, si seppellì un rospo mostruoso da lui vomitato fra bave immonde. La leggenda
sottolinea quale inquietudine pervadeva il popolo alla vista di tali figure. (A. Graf, Roma
nella memoria e nelle immaginazioni del medio evo, Torino, )


Teorie sul grottesco da Victor Hugo a Aldo Braibanti
Talvolta in alcuni casi si combinano “absurdus atque ridiculus” che
naturalmente non conferiscono il particolare significato che la parola
“grottesco” specifica. Già nel  d.c. il poeta Orazio ne la “Ars Poetica”
stabilisce un nesso tra lo stile decorativo di moda all’epoca di Augusto
e il procedimento poetico, interviene nel passaggio delle grottesche
dall’ambito artistico figurativo a quello della scrittura.
Il poeta Orazio estende la licenza dei pittori ai poeti nel fare uso di
finzioni, ma il privilegio dell’invenzione è comunque subordinato alle
leggi del decoro. Vitruvio , intorno al  a.C., protestava agli artisti
suoi contemporanei di affrescare forme “mostruose” piuttosto che
dipingere limpide immagini del mondo familiare. È testimonianza
diretta e fondamentale perché è il primo testo letterario che si occupa
di tali raffigurazioni. Ecco il capitolo VII:
Sed haec, quae [a veteribus] ex veris rebus exempla sumebantur, nunc iniquis moribus improbantur. Nam pinguntur tectoriis monstra potius quam
ex rebus finitis imagines certae; pro columnis enim statuuntur calami, pro
fastigiis harpaginetuli striati cum crispis foliis et volutis teneris, item candelabra aedicularum sustinentia figuras, supra fastigia earum surgentes
ex radicibus cum volutis coliculi teneri plures habentes in se sine ratione
sedentia sigilla, non minus etiam ex coliculis flores dimidiata habentes ex
se exeuntia sigilla, alia humanis, alia bestiarum capitibus [similia]. Haec
autem nec sunt, nec fieri possunt, nec fuerunt. Ergo ita novi mores coegerunt, uti inertia mali iudicis conniverent artium virtutes. Quemadmodum
enim potest calamus vere sustinere tectum aut candelabrum [aediculas
et] ornamenta fastigii, seu coliculus tam tenuis et mollis sustinere sedens
sigillum, aut de radicibus et coliculis ex parte flores dimidiataque sigilla
procreare? At haec falsa videntes homines non reprehendunt, sed delectantur, neque animadvertunt, si quid eorum fieri potest nec ne. Iudiciis autem
infirmi ab obscuratae mentes non valent probare quod potest esse cum
auctoritate et ratione decoris. Neque enim picturae probari debent, quae
non sunt similes veritati; nec si factae sunt elegantes ab arte, ideo de his
statim debet recte iudicari, nisi argumentationis certas habuerint rationes
sine offensionibus explicatas.
. Vitruvius P, De Architectura libri decem, libro VII, Einaudi,Torino.
. Tr.: «Ma queste [pitture], che dagli antichi erano riprese da cose vere, ora per
cattivo costume sono respinte. Giacché sugli intonachi si dipingono mostri piuttosto che
immagini di cose vere. Così invece di colonne si pongono canne, e invece di frontespizi,
arabeschi scanalati, ornati di foglie ricce e di viticci: o candelabri che reggono figure
sopra il frontespizio di piccole casette, o molti gambi teneri che sorgendo dalle radici
con delle volute, racchiudono senza regola figurine sedenti; come anche fiori che usciti
. Storia del “grottesco” dalle origini all’ottocento

Vitruvio sostiene, da quanto si deduce, che questi ornamenti erano
divenuti al suo tempo di moda. La sua critica mette in contrapposizione tali pitture fantastiche con la concezione dell’arte che raffigura la
natura, quindi in antitesi all’arte classica dell’età augustea. Tali sconciature di mostri, licenziose figure ridicole e innaturali dimostrano
per certo che alcuni pittori non si rifanno più al principio della verosimiglianza e non sono da attribuire ad una corrente pittorica ma
all’ingegno stravagante di questi artisti.
Il vocabolo nel rinascimento è stato poi al centro di numerosi
dibattiti, riguardanti particolarmente la corrispondenza della voce
“grottesco” all’oggetto riferito. (Già in G. Vasari il vocabolo non indicava solo dei motivi ornamentali ma una tecnica di rilievo, in stucco a
colore o in altro materiale).
Alcuni critici e studiosi sostengono che proprio il rinascimento sarebbe nato dalla scoperta di tesori nascosti come le grottesche pitture
della domus aurea, studiate a lume di candela e che diedero impulso
ad una produzione notevole, che giunge fino al tardo rinascimento.
Chiara testimonianza ne dà l’architetto di villa d’Este Pirro Ligorio.
L’architetto appassionato studioso di Roma antica scrisse il “Libro dell’antichità di Roma” nel , riportiamo uno stralcio sulle grottesche
contenuto in E. Battisti “L’antirinascimento” . Il discorso si riferisce
alle decorazioni ma è estendibile agli arredi, agli utensili, ai mobili del
tempo e non per una estensione interpretativa ma per la vocazione
del tempo ad esprimere tali concetti.
Se bene al vulgo pareno materie fantastiche, tutte erano simboli et cose
industriose, non fatte senza misterio [. . . ]. Vi sono forme fantastiche et
dai gambi terminano in mezzi busti, simili alcuni ad effige umana, altri a bestie: quando
ché queste cose non vi sono, non vi possono essere, né mai vi sono state. Eppure queste
nuove usanze hanno prevalso tanto, che per ignoranti falsi giudizi si disprezza il vero
valore delle arti. Come può mai infatti una canna sostenere un tetto, o un candelabro,
una casa con gli ornamenti del tetto, o un gambicello così sottile e tenero sostenere una
figura sedente, oppure da radici e gambi nascere mezzi fiori e mezze figure? Eppure gli
uomini, nonostante tengano per false queste cose, non solo le riprendono, ma anzi se ne
compiacciono, non riflettendo, se possano esistere o no tali cose: per cui la mente falsa
da falsi giudizi non può più discernere quello che può essere, o non essere per ragione
e regole di decoro. Né mai si debbono stimare pitture, che non siano simili al vero: ed
ancorché fossero dipinte con eccellenza, non se ne deve dare giudizio, se non se ne troverà
prima col raziocinio la ragione chiara e senza difficoltà».
. E. B, L’antirinascimento, Feltrinelli, Milano .

Teorie sul grottesco da Victor Hugo a Aldo Braibanti
comè in sogni, vi furono mesticate le cose morali et favolose deglio Iddij
[. . . ]. Né nonostante ritrovate accaso, né a fantastico fine, né per mostrare
cose vitiose et pazze, né per accomodare con la loro varietà et invaghire gli
alloggiamenti. Anzi sono fatte per recare stupore et meraviglia, per dire
così, ai miseri mortali, per significare quanto sia possibile la gravidanza
et pienezza d’intelletto et le sue immaginazioni [. . . ] et per mostrare gli
accidenti per accomodare la instabilità delli varij et strani concetti covati da
tante varietà che sono nelle cose create.
La testimonianza ci rivela una speculazione sottile e profonda che
coglie un importante valore al di là dell’estetica, Ligorio intuisce già
forse per primo i fondamenti del grottesco: la “gravidanza et pienezza” che hanno anche un interesse psicologico. Nello stesso tempo
la contaminazione delle figure, il cui giudizio non può contemplare
esclusivamente il piano estetico, sembra toccare con allegoria segreti
della materia e della vita. Il Ligorio coglie profondamente gli aspetti
più animistici, forse quel vitalismo del tardo rinascimento che vedrà, in
questo tipo di decorazioni, gli aspetti più interessanti. (È sicuramente
curioso sottolineare come la positività del Ligorio cozza completamente con il giudizio di J. Ruskin , il quale sostiene, influenzato dalle
letture romantiche, che il grottesco del tardo rinascimento coglie un
idea di oscenità, di abominevole sensualità, di degrado morale. E’,
ancora, non sense che tocca il vertice più alto nelle logge vaticane di
Raffaello Sanzio).
In conclusione del paragrafo vorremmo sottolineare come la
rappresentazione simbolica delle grottesche neroniane non hanno
alcun glossario e nessuna sintassi, nessuno schema di riferimento.
Ma dall’osservazione delle varietà potremmo giungere ad individuare alcune costanti: ) l’esasperazione della materia. ) l’elaborazione
in senso biomorfico, spesso animalesco, in varie associazioni. Questi
caratteri tendono a creare figure vaghe che si limitano a suggerire
possibili creazioni, vaghe e allusive. Sicuramente queste caratteristiche hanno contribuito in maniera determinante alla “fortuna” di
quest’arte di concetto.
. J. R. Le pietre di Venezia, Rizzoli, Milano 
. Storia del “grottesco” dalle origini all’ottocento

.. Da B. Cellini a M. Montaigne
B. Cellini lamentava come “grottesco” fosse parola accidentale, poco
espressiva e inadeguata nel definire le decorazioni di fogliami che lui
stesso produceva:
In questo tempo mi capitò certi piccoli pugnaletti turcheschi, ed era di
ferro il manico sì come la lama del pugnale: ancora la guaina era di ferro
similmente. Queste ditte cose erano intagliate, per virtù di ferri, molti bellissimi fogliami alla turchesca, e pulitissimamente commessi d’oro. [. . . ] Li
fogliami turcheschi non sono altro che foglie di gichero con alcuni fiorellini
di clizia; se bene hanno qualche poco di grazia, la non continua di piacere,
come fanno i nostri fogliami. Benché innell’Italia siamo diversi di modo di
fare fogliami; perché i Lombardi fanno bellissimi fogliami ritraendo foglie
de elera e di vitalba con bellissimi girari, le quali fanno molto piacevol
vedere; li Toscani e i Romani in questo genere presono molto migliore
elezione, perché contra fanno le foglie d’acanto, detta branca orsina, con i
sua festuchi e fiori, girando in diversi modi; e in fra i detti fogliami viene
benissimo accomodato alcuni uccelletti e diversi animali, qual si vede chi
ha buon gusto. Parte ne truova naturalmente nei fiori salvatici, come è
quelle che si chiamano bocche di lione, che cosí in alcuni fiori si discerne,
accompagnate con altre belle inmaginazione di quelli valenti artefici: le qual
cose son chiamate, da quelli che non sanno, grottesche. Queste grottesche
hanno acquistato questo nome dai moderni, per essersi trovate in certe
caverne della terra in Roma dagli studiosi, le quali caverne anticamente
erano camere, stufe, studii, sale e altre cotai cose. Questi studiosi trovandole
in questi luoghi cavernosi, per essere alzato dagli antichi in qua il terreno
e restare quelle in basso, e perché il vocabolo chiama quei luoghi bassi in
Roma, grotte; da questo si acquistorno il nome di grottesche. Il qual non
è il suo nome; perché sí bene, come gli antichi si dilettavano di comporre
de’ mostri usando con capre, con vacche e con cavalle, nascendo questi
miscugli gli domandavono mostri; cosí quelli artefici facevano con i loro
fogliami questa sorte di mostri: e mostri è ’l vero lor nome e non grottesche.
La testimonianza dello scultore e orafo fiorentino, oltre ad iscriversi come prima autobiografia “moderna”, in quanto incentrata sulla
esperienza individuale, rappresenta in queste pagine una tra le prime
indagini sul “grottesco” e, seppure elementare, una prima ricerca filologica del termine. Si mostrano chiaramente i lineamenti di queste
sue sculture, si trovano le similitudini con le tipologie già presenti in
. B. C, La Vita, Rizzoli, Milano , cap. XXXI, pag. 

Teorie sul grottesco da Victor Hugo a Aldo Braibanti
Italia e se ne fa una attenta analisi che coniuga la capacità di descrittiva
ad una critica d’arte notevole. Nonostante tutto, l’accurata descrizione
del Cellini metterà in seguito confusione sul parallelo che egli fa tra
“turchesco” e “grottesco”. Turchesco è sinonimo di arabesco, cioè di
quel tipo di “decorazione tipica del mondo islamico che stilizza alcuni
elementi di lontana derivazione naturalistica, elementi soprattutto
floreali” . Per arte islamica si intende quell’arte che si sviluppa, a rigor
di logica, dalla fondazione della religione islamica cioè nel VII sec.
d.C., quindi ben più di sei secoli dopo la testimonianza di Vitruvio.
Da qui si originerà la causa di una continua sinonimìa, forzata, fra
decorazione grottesca e arabesca.
Nel  il cardinale Piccolomini incaricò Pinturicchio di ornare
alcune volte della cattedrale di Siena con configurazioni che oggi denomineremmo grottesche, tra gli altri esempi del genere ricordiamo
le logge vaticane di Raffaello o le logge della cattedrale di Orvieto
del Signorelli e di Agostino Veneziano. Tutte figure che avevano la
funzione di colmare i bordi ma che finivano per attirare un eccessivo
interesse del pubblico, quasi da sovvertire l’ordine “gerarchico” delle
figure rappresentate.
Il termine assume valore letterario solo nel XVII secolo, compare
in un saggio di M. Montaigne. L’autore paragona se stesso ad un
pittore che riempie il vuoto tutto intorno di disegni grotteschi che
non hanno alcun valore se non quello della loro varietà e stranezza,
egli crede addirittura di usare la stessa tecnica del pittore quando
dipinge tali figure:
Considerando il procedimento adoperato da un pittore in un opera che
io ho, mi è venuta voglia di seguirlo. Egli sceglie il più bel sito in mezzo
ad ogni parete per collocarvi un quadro lavorato con tutta la sua arte; ed
il vuoto tutto intorno, lo completa di grottesche, le quali sono pitture di
soggetti fantastici che hanno solo la grazia della varietà e della stranezza.
Che sono infatti anche queste qui se non grottesche e corpi mostruosi,
. G. S, Dizionario delle Arti, Istituto Geografico De Agostini, Novara .
Voce: pag. , Decorazione arabesca: “Motivo topico della decorazione islamica è la
stilizzazione di alcuni elementi di lontana derivazione naturalistica: elementi sopratutto
floreali. [. . . ] Se altre esperienze d’arte hanno colto l’oggetto naturale nella sua essenziale
struttura geometrica, ritmica, fino a ridurlo ad una armonica immagine lineare, priva
ormai di ogni riferimento vitale, è proprio dell’arte islamica aver approfondito questa
stabilizzazione in tutte le sue possibilità lineari”.
. Storia del “grottesco” dalle origini all’ottocento

acconciati con membra diverse, senza figura determinata senza altro ordine,
né logica, né altra proporzione che il caso .
“Grottesco” in questo caso, così come in tutti gli altri usi, assume
il significato di “bizzarro” e “innaturale”, in ogni caso è sottolineata
la sua estraneità alla natura. Documento che riportiamo, così come
la testimonianza del Cellini, per l’importanza capitale che riveste per
la nostra ricerca. (Nel  E. Burke ne “L’inchiesta sul bello e sul
sublime” usa il termine a proposito delle “tentazioni di Sant’Antonio”
ancora nel senso di “inconsueto” e “selvaggio” e paragona il brivido del sublime all’impressione causata da una superficie “scabra e
accidentata”, cioè “ineguale”).
. M. M, Dell’amicizia in Saggi, Mondadori, Milano , libro I, cap. XXVIII
. D. Burke, Inchiesta sul bello e sul sublime, Aesthetica, Palermo , pag. 
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