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Il caso prospettato è sicuramente molto complesso, visto il

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Il caso prospettato è sicuramente molto complesso, visto il
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Il caso prospettato è sicuramente molto complesso, visto il coinvolgimento di più soggetti, che
risultano tutti, seppur a diverso titolo, penalmente responsabili.
In particolare Tizio ha violato i limiti di velocità imposti dal Codice della Strada cagionando in
questo modo delle lesioni a Caio e conseguentemente ha innescato la serie di condotte negligenti
dei sanitari, Mevio e Sempronio, che hanno portato alla morte dello stesso.
Per risolvere la questione, occorre precisare quali, tra i comportamenti suddetti è stato quello che ha
determinato la morte di Caio, cioè è necessario stabilire se Tizio risponda del delitto di lesioni
personali colpose oppure del più grave reato di omicidio colposo, o se quest’ultimo sia ascrivibile ai
due medici, Mevio e Sempronio, intervenuti nella vicenda.
Per questo motivo, ai fini della risoluzione del caso illustrato, è necessaria un’indagine degli artt. 40
e 41 c.p. che rispettivamente disciplinano il rapporto di causalità ed il concorso di cause.
In base al dettato dell’art. 40 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge
come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è
conseguenza della sua azione od omissione”.
A quali condizioni l’evento lesivo possa essere considerato conseguenza dell’azione, però, non è
precisato dal nostro codice e per tale ragione sul punto si sono registrate svariate teorie, le quali
tentano di soddisfare l’esigenza di limitare e separare le sfere di responsabilità.
Tale esigenza è ravvisabile altresì nel controverso comma 2 dell’ art. 41 . c.p., il quale stabilisce che
“Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a
determinare l'evento. In tal caso, se l'azione od omissione precedentemente commessa costituisce
per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita”.
La disposizione deve essere intesa come norma che tende a “temperare” gli eccessi punitivi
derivanti da una rigorosa applicazione del criterio condizionalistico. L’esigenza di temperamento
emerge, in particolare, in rapporto a quei casi che appaiono connotati da uno sviluppo causale che
fuoriesce dagli schemi di un’ordinaria prevedibilità, come quello sottoposto alla nostra attenzione.
In forza dell’art. 41, comma 2, e del suo chiaro intento delimitativo, un nesso causale penalmente
rilevante dovrebbe essere perciò escluso in tutti i casi nei quali l’evento lesivo non sia inquadrabile
in una successione normale di accadimenti.
Il tema di cui si discute è stato ripetutamente esaminato dalla Corte di Cassazione, soprattutto con
riguardo al rischio terapeutico. Si può dire che l’ambito che ha determinato le maggiori discussioni
sulla portata dell'art. 41 cpv., è sicuramente quello in cui l'attività di cura interagisce con gli effetti
determinati dalla precedente condotta illecita, aggravandoli.
La Suprema Corte ha ripetutamente escluso che, nel caso di lesioni personali seguite dal decesso
della vittima dell'azione delittuosa, l'eventuale negligenza o imperizia dei medici possa elidere il
nesso di causalità tra la condotta lesiva dell'agente e l'evento morte. La colpa dei medici, infatti,
anche se grave, non può ritenersi causa autonoma ed indipendente rispetto al comportamento
dell'agente che, provocando il fatto lesivo, ha reso necessario l'intervento dei sanitari. Infatti la
negligenza o imperizia dei medici non costituisce di per sè un fatto imprevedibile, eccezionale,
atipico rispetto alla serie causale precedente di cui costituisce uno sviluppo evolutivo normale anche
se non immancabile (Cassazione penale, sez. IV, n. 44763/2013; Cassazione penale, sez. IV,
16/03/2011, n. 22165).
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Tuttavia, tale rigoroso orientamento, poco propenso a riconoscere l'interruzione del nesso causale,
sembra essere stato smentito e ribaltato da una recente pronuncia della stessa Corte di Cassazione
(Cass. Pen., n. 33329/2015), la quale richiama un principio di diritto espresso in una nota decisione
delle Sezioni Unite, secondo cui “un comportamento è “interruttivo” non perchè “eccezionale” ma
perchè eccentrico rispetto al rischio che il garante è chiamato a governare. Tale eccentricità renderà
magari in qualche caso (ma non necessariamente) statisticamente eccezionale il comportamento ma
ciò è una conseguenza accidentale e non costituisce la reale ragione dell’esclusione
dell'imputazione oggettiva dell'evento.
Nella sentenza n. 33329/2015, la Corte di Cassazione richiama anche un caso che può dirsi
praticamente identico a quello in esame (Sez. 5^, 27 gennaio 1976, Nidini).
La Corte ha ritenuto che la finale condotta del medico che errò nell’effettuare le trasfusioni, pur
inserendosi nella serie causale dipendente dalla condotta dell'automobilista che provocò l'incidente,
agì "per esclusiva forza propria" ed interruppe il nesso di condizionamento. Rispetto all'evento
morte l'originaria condotta colposa dell'automobilista, pur costituendo un antecedente necessario per
l'efficacia delle cause sopravvenute, assume il ruolo di semplice occasione e non di fattore causale.
Si tratta di una decisione senza dubbio condivisibile, visto che da un lato si è in presenza di un
rischio non particolarmente grave, innescato dall'incidente; dall'altro si evidenzia non solo un errore
di esecuzione dell'intervento di osteosintesi, ma anche e soprattutto di un errore gravissimo
costituito dall'erronea individuazione del gruppo sanguigno, originatosi in una situazione in cui non
si provvedeva alla cura della frattura ma si tentava di rimediare agli errori commessi dal chirurgo
Dunque, “L’approccio fondato sulla comparazione dei rischi consente di escludere l’imputazione al
primo agente quando le lesioni originarie non avevano creato un pericolo per la vita, ma l’errore del
medico attiva un decorso mortale che si innesta sulle lesioni di base e le conduce a processi nuovi e
letali: viene creato un pericolo inesistente che si realizza nell’evento. Discorso analogo può esser
fatto quando la condotta colposa del medico interviene dopo che il pericolo originario era stato
debellato da precedenti cure: anche qui viene prodotto un rischio mortale nuovo. La teoria del
rischio spiega bene l’esclusione dell’imputazione del fatto nel caso dell’emotrasfusione sbagliata: vi
è una tragica incommensurabilità tra la situazione non grave di pericolo determinata dall’incidente,
che aveva comportato la rottura del femore, e l’esito mortale determinato dal macroscopico errore
nell’individuazione del gruppo sanguigno” (Cass. Pen., n. 33329/2015).
Alla luce di ciò, occorre distinguere la posizione dei due sanitari: Sempronio, in seguito
all’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento e dell’elemento della colpa ex art. 43
c.p. sarà responsabile del reato di lesioni personali colpose gravissime ex art. 582, 583 e 590 c.p.,
per il fatto di avere, nell’espletamento della propria attività professionale, disatteso i principi di
prudenza, diligenza e perizia, che hanno causato a Caio le lesioni gravissime.
La negligente ed imperita condotta di Mevio, invece, ha causato la morte di Caio: la sua azione
infatti, è da sola idonea a cagionare l’evento morte ed è interruttiva del nesso di causalità tra la
condotta di Sempronio e l’evento secondo quanto previsto dal secondo comma dell’art. 41 c.p..
Mevio è responsabile della morte del paziente a causa di una trasfusione di sangue di gruppo
diverso da quello dell’offeso; si configura, pertanto a suo carico il reato di omicidio colposo, ai
sensi dell’art. 589 c.p. Inoltre il giudice in sede di commisurazione della pena potrebbe avvalersi del
disposto dell’art. 133 c.p. laddove prevede che il giudice, nell’esercizio discrezionale del potere di
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applicazione della pena deve tenere conto della gravità del reato desunta dal grado della colpa cosi
come previsto dal comma 1 n. 3
In conclusione a Tizio sarà unicamente addebitale il delitto di lesioni personali colpose ex art. 590
c.p., eventualmente aggravate dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale.
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