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I fenomeni sismici

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I fenomeni sismici
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© SEI – 2012
I fenomeni
sismici
Il percorso
1 I terremoti
2 La teoria del rimbalzo elastico
3 Le onde sismiche
4 Il rilevamento delle onde sismiche:
sismografi e sismogrammi
5 Intensità e magnitudo dei terremoti
6 La prevenzione sismica
7 Il rischio sismico in Italia
IN ITALIA
CLIL
Spaccatura nel suolo, provocata da un terremoto.
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I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
1 I terremoti
I terremoti, o sismi, sono vibrazioni naturali del suolo, rapide e
violente, provocate dalla liberazione repentina di energia meccanica all’interno della litosfera 1 .
Insieme ai vulcani, i terremoti sono la prova più evidente che la
Terra non è statica: in alcune regioni della litosfera si verificano
fenomeni che deformano, comprimono e stirano le rocce, che
in tal modo possono accumulare (a volte in un arco di tempo
lunghissimo) enormi quantità di energia. Quando si verifica un
terremoto, l’energia accumulata viene liberata in modo repentino: le rocce si fratturano e l’energia viene dissipata in parte sotto
forma di calore, in parte sotto forma di onde elastiche che, giungendo in superficie, generano le scosse che percepiamo.
Il luogo in profondità in cui viene liberata l’energia è l’ipocentro del terremoto, dal quale partono le vibrazioni elastiche che
si propagano in tutte le direzioni dello spazio, verso l’interno e
verso la superficie della Terra.
L’epicentro è, invece, il punto della superficie terrestre, situato
verticalmente sopra l’ipocentro, che viene raggiunto per primo
dalle vibrazioni. È anche il punto in cui le scosse sismiche sono
avvertite con maggiore intensità 2 .
Le vibrazioni possono essere percepite in molti modi: nell’epicentro il sisma si avverte soprattutto come movimento verticale
(scosse sussultorie), nelle aree circostanti come movimento essenzialmente orizzontale (scosse ondulatorie); quando i due
tipi di scosse interferiscono, le scosse si dicono scosse rotatorie.
vibrazione
movimento di oscillazione di un corpo intorno a un punto di equilibrio;
l’oscillazione si ripete periodicamente e viene trasmessa ai corpi vicini.
Le scosse possono durare da pochi secondi a un minuto e possono ripetersi per ore e giorni a intervalli irregolari.
L’energia che si libera in un terremoto varia considerevolmente
da caso a caso: a volte le scosse sono deboli e non percepibili
senza l’ausilio di strumenti sofisticati, in altri casi, invece, una
sola scossa sprigiona in pochi secondi più energia di una bomba atomica. Qualunque sia la forza, l’energia di un sisma si dissipa rapidamente a mano a mano che ci si allontana dall’ipocentro; tuttavia l’evento può essere registrato dagli strumenti di
tutto il mondo.
epicentro
ipocentro
fronti delle
onde sismiche
2  Le onde sismiche sono onde sferiche che si muovono dall’ipocentro e, giunte
nell’epicentro, possono essere scomposte in due componenti: una verticale, che
genera scosse sussultorie, e una orizzontale, che genera scosse ondulatorie.
1  Effetti sull’abitato di Onna (L’Aquila) del sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009 con una serie di scosse di magnitudo 6,3.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
Le cause dei terremoti
Inoltre, hanno una particolarità che li distingue dagli altri:
non sono quasi mai episodi isolati e occasionali, perché sono
legati a situazioni di generale instabilità della litosfera, che
non si esauriscono con un unico sisma.
I terremoti, almeno quelli di piccola o piccolissima entità, sono
molto frequenti: in tutto il mondo se ne verificano almeno un
milione all’anno, ma la maggior parte di essi (microsismi) è
troppo debole per essere avvertita, se non dagli strumenti.
Annualmente, sono invece circa una ventina i terremoti che si
manifestano con scosse di grande intensità (macrosismi) e
spesso hanno conseguenze disastrose.
Le cause che scatenano un sisma possono essere diverse e permettono di classificare i terremoti in quattro categorie: da crollo, da esplosione, vulcanici e tettonici.
I terremoti causati da crollo della volta di una grotta o di una
miniera sono episodi occasionali e in genere di debole intensità, come i terremoti da esplosione che si verificano in seguito
a detonazioni di dispositivi chimici o nucleari nel sottosuolo.
I terremoti vulcanici accompagnano o precedono le eruzioni
vulcaniche e rappresentano solo il 7% degli eventi sismici registrati in un anno. Sono provocati dal movimento del magma nel
sottosuolo. L’attività sismica associata ai fenomeni vulcanici è in
genere debole e si intensifica solo occasionalmente. Le scosse
più violente si verificano durante le eruzioni esplosive, quando a
causa dell’improvviso svuotamento della camera magmatica si
ha una brusca variazione della pressione al suo interno.
I terremoti tettonici avvengono quando masse rocciose si
fratturano improvvisamente in zone della litosfera sottoposte
a forti tensioni, per opera di forze che agiscono all’interno della Terra. I terremoti tettonici sono i più frequenti e violenti.
La distribuzione geografica
dei terremoti tettonici
In base alla distribuzione geografica dei terremoti tettonici
è possibile identificare regioni particolari della litosfera,
dette aree sismiche, dove questi tipi di terremoti si verificano frequentemente, anche se non avvengono con periodicità regolare e ogni nuovo sisma ha ipocentro diverso da quelli precedenti.
La distribuzione delle aree sismiche sulla superficie terrestre
non è casuale: c’è una stretta relazione tra le zone della Terra
più frequentemente soggette ai terremoti e le aree geologicamente più recenti e attive. Osservando la carta della localizzazione degli epicentri dei terremoti tettonici, registrati negli
ultimi decenni 3 , è possibile constatare due fatti importanti:
■■i terremoti tendono a distribuirsi in fasce sottili e allungate;
■■le fasce sismiche coincidono, o sono disposte parallelamente,
alle fasce dove si localizza l’attività vulcanica.
Anche le catene montuose più elevate e recenti, gli archi insulari e le fosse oceaniche identificano fasce sottili allineate con
le fasce sismiche.
terremoti di superficie
terremoti intermedi
terremoti di profondità
orogenesi tardo-mesozoiche e terziarie
asse delle dorsali oceaniche
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3  La distribuzione geografica degli epicentri mette in evidenza che le zone a pericolo sismico più elevato sono distribuite in fasce: la cintura di fuoco circumpacifica,
che coincide con la zona in cui sono presenti le fosse oceaniche e che comprende Giappone, Filippine, arcipelago della Sonda, catena andina, Centroamerica, California,
Alaska; le dorsali oceaniche, dove si verificano sismi con ipocentro superficiale e relativamente poco intensi; le aree corrugate, che partendo dal Mediterraneo
si prolungano fino all’Iran e alla catena himalayana, per estendersi fino in Cina.
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PER SAPERNE DI PIÙ
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I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
I maremoti
Il maremoto è spesso indicato con il termine giapponese tsunami,
che significa onda di porto. Le cause degli tsunami sono molto varie:
frane sottomarine, terremoti con epicentro in mare aperto o lungo la
costa, eruzioni vulcaniche esplosive in mare aperto o sulla costa.
Tra i maremoti causati da terremoti, il più recente è lo tsunami che ha
colpito il Giappone l’11 marzo 2011, conseguenza di un terremoto di
magnitudo 9, con epicentro a poco più di 100 km a largo di Sendai e
ipocentro alla profondità di 24,4 km 4 . Perché si verifichi un mare­
moto è necessario un evento che rilasci un’enorme quantità di ener­
gia, causando contemporaneamente un improvviso innalzamento o
abbassamento del fondale, che metta in movimento grandi masse di
acqua. In entrambi i casi, si genera un’onda che si propaga. In mare
aperto la distanza tra due creste successive può raggiungere le cen­
tinaia di kilometri, mentre l’altezza delle onde non supera il metro.
Inizialmente l’onda si muove velocemente (oltre 800 km/h), ma la sua
velocità si riduce con il diminuire della profondità del fondale, che ha
un effetto frenante sulla base della colonna d’acqua. Contempora­
neamente, la sommità della colonna continua a spingersi in avanti e
l’onda diviene sempre più alta fino a quando non raggiunge la linea
di costa su cui si abbatte con forza devastante. I maremoti possono
provocare danni ingenti, in particolare nelle regioni dove le coste
sono basse e non ci sono rilievi in prossimità della costa.
Il maremoto non si può prevedere, ma spesso ci si può difendere
efficacemente. Poiché le onde di maremoto si muovono alla veloci­
tà di alcune centinaia di kilometri l’ora, per raggiungere coste di­
stanti migliaia di kilometri impiegano diverse ore. In molti casi,
quindi, il tempo è sufficiente per attivare procedure di allarme e
adottare misure per limitare i danni. Ovviamente, è di fondamentale
importanza conoscere la posizione dell’epicentro e la magnitudo
del terremoto che potrebbe aver generato lo tsunami e disporre di
appositi sistemi di rilevamento nelle zone più a rischio.
Non sempre si dispone di tali sistemi e talvolta è difficile anche deter­
minare rapidamente la magnitudo di un terremoto, in particolare quan­
do è molto violento (perché la frequenza delle onde sismiche aumenta).
Infine, la determinazione della magnitudo e la localizzazione dell’epi­
centro del terremoto non sempre permettono di stabilire le caratte­
ristiche dello tsunami che potrebbe verificarsi. In Indonesia, per
esempio, il 28 marzo 2005 c’è stato un nuovo terremoto che aveva
teoricamente la possibilità di generare un forte tsunami, tuttavia ciò
non è avvenuto. Tra i maremoti causati da terremoti, va ricordato lo
tsunami che ha colpito l’Indonesia il 26 dicembre 2004, conseguen­
za di un terremoto di magnitudo 9,3, con epicentro al largo della
costa nord-occidentale di Sumatra e ipocentro alla profondità di cir­
ca 10 km, in una zona molto attiva dal punto di vista sismico 5 .
a
b
c
4  Lo tsunami che ha colpito il Giappone nel marzo del 2011, conseguenza di un
terremoto di magnitudo 9.
5  Immagini da satellite di un tratto di costa dello Sri Lanka un anno prima del
maremoto a ,qualche minuto prima b e nel momento in cui viene invasa dall’onda
c prodotta dal terremoto con epicentro al largo di Sumatra, nel dicembre 2004.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
2 La teoria del rimbalzo elastico
La teoria del rimbalzo elastico non spiega adeguatamente
tutti i fenomeni sismici, che talvolta possono prodursi in
condizioni molto diverse da quelle previste. In alcuni casi,
per esempio, si sono verificati terremoti con ipocentro molto
profondo in zone dove le rocce sono sottoposte a pressioni
enormi e difficilmente si possono verificare movimenti come
quelli lungo le faglie.
sforzo
Per quanto i meccanismi che determinano le scosse sismiche
siano tuttora oggetto di studio, i geologi ritengono che il modello più attendibile per spiegare come si genera un terremoto
tettonico sia fornito dalla teoria del rimbalzo elastico, formulata in seguito all’osservazione degli effetti provocati dal terribile terremoto di San Francisco, avvenuto nel 1906.
Secondo la teoria del rimbalzo elastico, i terremoti tettonici
si verificano nelle regioni della litosfera dove le rocce in profondità sono sottoposte all’azione di pressioni orientate di notevole intensità, che agiscono per tempi lunghissimi.
Secondo questa teoria, quando un blocco di rocce viene sottoposto a sforzo, inizialmente si comporta in modo elastico,
cioè si deforma lentamente, con modalità che dipendono dalle caratteristiche delle rocce interessate. Le rocce, deformandosi, accumulano energia e la deformazione subìta è proporzionale all’intensità e alla durata della forza applicata.
Ogni massa rocciosa ha un limite oltre il quale non può deformarsi elasticamente (limite di elasticità). Se la forza continua ad agire e la tensione accumulata supera il limite di elasticità, il blocco roccioso si spacca improvvisamente nel punto più debole, producendo una faglia, una frattura lungo la
quale due blocchi rocciosi si muovono in senso opposto e subiscono spostamenti verticali, orizzontali o obliqui 6 .
Nel momento in cui si forma la faglia, le rocce slittano lungo
i margini della frattura e liberano repentinamente l’energia,
accumulata per decine o centinaia di anni, sotto forma di calore e di intense e rapide vibrazioni che si propagano in tutte
le direzioni. Il punto di rottura diventa quindi l’ipocentro del
terremoto, le cui forza e durata dipendono dall’energia accumulata.
Le masse rocciose, scorrendo lungo i margini della faglia,
riacquistano il loro volume e la loro forma e, in pochi secondi, si stabilisce una nuova condizione di equilibrio. Il rimbalzo elastico delle rocce prossime all’ipocentro causa la deformazione delle rocce circostanti e lo slittamento si propaga lungo la faglia con una velocità che può superare i 3 km/s,
finché l’energia dissipata e l’attrito non esauriscono il fenomeno. Il movimento in questo modo può propagarsi lungo
una faglia anche per decine o centinaia di kilometri a velocità impressionante. L’energia accumulata si libera in genere
con una forte scossa principale (mainshock), che talvolta può
essere preceduta da una serie di scosse premonitrici (foreshocks), quasi sempre di debole intensità, che possono verificarsi per diversi giorni prima dell’inizio del terremoto vero
e proprio.
Molto spesso la scossa principale è seguita da una serie di
scosse successive (repliche o aftershocks), che possono verificarsi nei giorni o mesi seguenti (talora anche per un anno
o più) e in genere hanno intensità via via decrescente. In
altri casi, invece, si realizza uno sciame sismico (swarms),
costituito da una serie di scosse di intensità simile, la cui
frequenza in genere aumenta fino a un massimo per poi decrescere.
deformazione elastica
frattura
6  Secondo la teoria del rimbalzo elastico, quando i materiali della crosta
terrestre vengono sottoposti a sforzo, dapprima si deformano elasticamente
e lentamente poi, se la tensione continua, si fratturano. In quel momento
l’energia accumulata nel corso della deformazione si libera in modo repentino
e si verifica un terremoto.
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I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
PER SAPERNE DI PIÙ
Gli effetti delle forze endogene sulle rocce
Le forze endogene che causano i terremoti sottopongono le rocce
sia all’interno della litosfera, sia in superficie, a sollecitazioni inten­
se. Le rocce, come tutti i solidi, possono rispondere a tali sollecita­
zioni in tre modi differenti e subire:
■ una deformazione di tipo elastico; le rocce cambiano la loro
forma, ma quando la sollecitazione termina ritornano alla confor­
mazione originaria;
■ una deformazione di tipo plastico; il corpo roccioso si deforma
in modo permanente, e non ritorna più alla conformazione originaria;
■ una deformazione di tipo rigido; il corpo roccioso si frattura in
blocchi e frammenti.
Tutte le rocce, sottoposte a sforzi crescenti, dapprima si deformano
elasticamente poi, se lo sforzo è molto intenso o perdura nel tempo,
subiscono una deformazione plastica e, infine, una fratturazione.
L’intensità dello sforzo oltre la quale si verifica la deformazione pla­
stica è detta limite di elasticità, mentre l’intensità oltre la quale le
rocce si fratturano è detta limite di rottura 7 .
Il comportamento di una roccia per quanto riguarda i limiti di ela­
sticità e di rottura, non dipende soltanto dalla sua composizione e
dalla sua struttura, ma anche dalle condizioni fisiche in cui si trova.
In particolare svolgono un ruolo importante:
■ l’intensità e la durata dello sforzo; un piccolo sforzo costante,
applicato per lungo tempo, può favorire un comportamento plastico
delle rocce, mentre lo stesso sforzo applicato in modo istantaneo
può portare alla rottura;
■ la pressione in superficie; a pressione atmosferica, le rocce si
comportano come corpi rigidi e si fratturano facilmente; in profon­
dità, invece, dove la pressione litostatica non è più unidirezionale,
ma agisce in tutte le direzioni, esse hanno un comportamento pla­
stico più evidente;
■ la temperatura; un aumento di temperatura favorisce un compor­
tamento plastico; poiché la temperatura aumenta con la profondità,
molti materiali rocciosi che sono fragili in superficie possono acquisi­
re un comportamento plastico quando si trovano in profondità.
In relazione a tutti i fattori elencati, le forze endogene possono pro­
durre nei corpi rocciosi due tipi di strutture caratteristiche.
1 Quando lo sforzo è molto intenso, i corpi rocciosi sollecitati si
fratturano 8 : se la frattura avviene senza uno spostamento relativo
delle parti a contatto viene detta diaclasi; quando invece si verifica
uno spostamento (dislocamento), la frattura è una faglia.
2 Quando le masse rocciose vengono sottoposte a movimenti lenti
e sforzi prolungati si formano le pieghe: per piega s’intende quindi
una deformazione di tipo plastico di una massa rocciosa, che subi­
sce flessioni di ampiezza e lunghezza variabili 9 .
8  Affioramento di rocce calcaree molto compatte che, in condizioni di pressione
poco elevata, si comportano come corpi rigidi e tendono a fratturarsi.
forza massima
limite di
rottura
tica
deformazione
plastica
orm
azi
o
ne
ela
s
piega
def
sollecitazione crescente
limite di elasticità
deformazione crescente
7  Gli effetti dei tre differenti tipi di sforzo tettonico su un blocco roccioso.
9  Affioramento di rocce calcaree stratificate, interessate
da una piega molto pronunciata.
Le caratteristiche delle faglie
Le caratteristiche delle pieghe
Nelle faglie si riconoscono alcuni elementi strutturali caratteristici.
La superficie lungo la quale è avvenuto il dislocamento degli strati è
detta piano di faglia e le due parti dislocate sono chiamate labbri. Il
piano di faglia spesso viene lucidato e striato a causa della frizione tra le
rocce in movimento e le rocce fratturate danno origine a brecce di frizione e miloniti. Lo spostamento relativo degli strati, rispetto alla giacitura
originaria, è detto rigetto e viene misurato lungo il piano di faglia 10.
labbro
sollevato
piano di
faglia
rige
tto
labbro
abbassato
letto
tetto
10  Elementi strutturali di una faglia.
Secondo il modo in cui sono applicati gli sforzi e in base al tipo di
roccia su cui essi agiscono, le deformazioni plastiche possono av­
venire in modo diverso e produrre vari tipi di pieghe, con caratteri­
stiche e dimensioni anche molto diverse.
In una piega completa possiamo distinguere 12:
■ il piano assiale, cioè la superficie che unisce i punti di massima
curvatura dei singoli strati e che divide la piega in due parti più o
meno simmetriche;
■ l’asse, cioè la linea di intersezione tra il piano assiale e gli strati.
Nella maggior parte dei casi l’asse delle pieghe non è rettilineo, ma
presenta ondulazioni, con rilievi e depressioni, ed è sempre perpen­
dicolare alla direzione in cui ha agito lo sforzo;
■ i fianchi, cioè i due versanti della piega.
Una piega si dice anticlinale, quando la convessità è rivolta verso
l’alto; si dice, invece, sinclinale quando la convessità è rivolta verso
il basso. In una piega anticlinale la parte centrale, il nucleo, risulta
costituito dallo strato più antico fra quelli coinvolti nella flessione; in
una piega sinclinale il nucleo è costituito dallo strato più recente fra
quelli che hanno subìto la flessione 13 .
In relazione all’inclinazione del piano assiale si possono distin­
guere 14 : pieghe diritte, che hanno il piano assiale verticale; pieghe inclinate; pieghe coricate, nelle quali gli strati si rovesciano
su un fianco e il piano assiale della piega diventa orizzontale; pieghe rovesciate, in cui gli strati si ripiegano su uno dei due fianchi.
A seconda della posizione il piano di faglia può essere verticale,
inclinato o orizzontale.
■ Se il piano di faglia è verticale, e il rigetto avviene sul piano orizzontale, si parla di faglie trascorrenti. Il rigetto può essere destro, quando il
lato opposto a quello in cui si pone l’osservatore risulta spostato verso
destra, rispetto alla conformazione originaria; sinistro nel caso opposto.
■ Se il piano di faglia è inclinato, la parte che giace sopra al
piano prende il nome di tetto, mentre quella che giace sotto il piano
si chiama letto. In questi casi si parla di faglia diretta, se gli strati
del tetto risultano dislocati a un livello inferiore rispetto al letto, e di
faglia inversa, se gli strati del tetto sono dislocati a un livello supe­
rigetto
rigetto
riore rispetto a quelli del letto 11 .
Le faglie dirette sono tipiche delle zone in cui la litosfera viene sottopo­
12
sta a “stiramento”, perciò vengono chiamate faglie di distensione; piano
le assiale
asse
faglie inverse, invece, dette anche faglie di compressione, sono tipi­
fianco
che delle zone soggette a forze che tendono a comprimere lateralmen­
te gli strati rocciosi.
piano assiale
asse
fianco
nucleo
nucleo dell’anticlinale
nucleo della sinclinale
nucleo dell’anticlinale
rigetto
rigetto
rigetto
letto
letto
tetto
tetto
13
faglia
diretta
faglia
trascorrente
anticlinale
sinclinale
rigetto
letto
tetto
tetto
11
tetto
letto
faglia inversa
letto
14
piega inclinata
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PER SAPERNE DI PIÙ
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
piega coricata
piega rovesciata
144
I FENOMENI ENDOGENI
Le faglie attive
IN ITALIA
Secondo la teoria del rimbalzo elastico, dunque, gli ipocentri
dei terremoti tettonici sono collocati sul piano di scorrimento
di una faglia. Finché la faglia resta attiva (cioè si mantengono
le tensioni che deformano i blocchi rocciosi ai due lati della
frattura), essa può generare nuovi eventi sismici. Infatti, se le
forze che hanno causato un terremoto continuano ad agire anche dopo l’evento sismico, le rocce ai lati della faglia iniziano
nuovamente ad accumulare energia e a deformarsi. Quando
viene superato il limite di elasticità delle rocce, si verificheranno una nuova rottura e un nuovo terremoto. Si può notare
quindi che i blocchi rocciosi lungo la faglia si muovono a scatti: si deformano impercettibilmente nei periodi di quiete e subiscono uno slittamento anche considerevole quando si verifica un sisma. In genere, se gli eventi sismici lungo una faglia
sono frequenti, le scosse non sono troppo violente; se invece
l’intervallo tra un sisma e l’altro si prolunga, le rocce possono
accumulare una maggiore quantità di energia elastica e le scosse avranno effetti sicuramente più gravi.
Un esempio di faglia attiva dal punto di vista sismico è la faglia
di San Andreas, che attraversa la California per 950 km, causa
di numerosi terremoti, come quelli del 1906 e del 1989 a San
Francisco o quello di Los Angeles del 1994. Nel caso del terremoto di San Francisco del 1906, un’analisi accurata dei rilevamenti topografici della zona, effettuati negli anni precedenti,
permise di scoprire che le scosse erano state precedute da un
movimento impercettibile, ma reale, dei blocchi di rocce localizzati ai lati della faglia di San Andreas. Infatti, nei 50 anni
precedenti, fiumi, strade, filari, palizzate che attraversavano la
faglia si erano incurvati, spostandosi rispetto all’originario allineamento di diversi metri, come se i terreni ai lati della faglia
si fossero mossi, lentamente e senza scatti in direzioni opposte.
Faglie attive
All’origine dei terremoti tettonici, come abbiamo visto
c’è sempre un movimento di faglia. In Italia sono sta­
te studiate e monitorate diverse faglie che hanno
causato terremoti in passato allo scopo di capire sia
la dinamica dell’evento sismico, sia la possibile ripre­
sa di attività. Un esempio particolarmente significati­
vo è la faglia che ha prodotto il terremoto dell’Irpinia
del 1980. Si tratta di una faglia lunga nel complesso
35 km 16. In questo caso il terremoto, che aveva ma­
gnitudo 6,9, si è propagato rapidamente causando
tre distinti fenomeni di rottura, non contemporanei,
ma a distanza di una ventina di secondi l’uno dall’al­
tro, in tre diversi segmenti della faglia L’osservazione
della faglia ha permesso di rilevare l’entità della di­
slocazione provocata dal sisma del 1980 e di stabilire
la dinamica di altri eventi sismici del passato.
16 Andamento delle faglie attive che hanno provocato il terremoto
in Irpinia nel 1980. Il sistema di fratture ha raggiunto la superficie dove
ha generato una scarpata di faglia (nella foto) osservabile per 35 km.
© SEI – 2012
In seguito al terremoto, tutte le strutture lineari che attraversavano la faglia risultarono spezzate con uno slittamento laterale
anche di 6 m.
I terreni ai due lati della faglia di San Andreas si spostano con
una velocità di circa 2 cm l’anno (ciò significa che la città di Los
Angeles si sta avvicinando a quella di San Francisco). In alcune
zone, lo scorrimento muove lentamente le masse rocciose,
mentre in altri tratti l’attrito tra i due margini le frena e ne impedisce i movimenti. In questo modo si accumula nuova energia che provocherà nel tempo un nuovo terremoto 15 .
15  Foto aerea della faglia di San Andreas, in cui è visibile lo spostamento subìto
da un canale che attraversa la faglia. La faglia attraversa il campo dell’immagine
in direzione verticale, il canale in direzione orizzontale.
Teora
N
Caposele
Calabritto
le
Se
Laviano
M.Valva
1248
Colliano
M.Marzano
M.Eremita
1524
1579
M.Carpineta
1461
M.Cucuzzone
1141
San Gregorio Magno
faglia attiva
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
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3 Le onde sismiche
un vero spostamento dei materiali che attraversano, ma solo vibrazioni delle particelle che, pur oscillando, mantengono una posizione media costante.
La vibrazione si propaga perché le particelle che compongono le
rocce, oscillando, trasmettono alle particelle vicine l’impulso ricevuto. Il comportamento elastico delle rocce, tuttavia, non è
perfetto e una parte dell’energia viene dissipata per vincere l’attrito e si trasforma in calore. Per questo, allontanandosi dall’ipocentro, l’attrito smorza progressivamente l’impulso e il movimento
delle particelle si attenua fino ad annullarsi.
Le onde e la materia
In fisica il termine onda indica una perturbazione che si propaga
nello spazio trasportando energia a distanza, a partire da un pun­
to chiamato sorgente.
Si parla di perturbazione perché il passaggio di un onda comporta solo
la variazione locale, momentanea e spesso periodica, di una o più gran­
dezze fisiche. Dal punto di vista della natura e delle modalità di propa­
gazione si distinguono due principali categorie di onde: elettromagnetiche e meccaniche (o elastiche). La luce è un’onda che trasmette ener­
gia elettromagnetica e si muove anche nel vuoto. Le onde sismiche e
quelle sonore, invece, sono esempi di onde meccaniche, perché con­
sistono in vibrazioni meccaniche del mezzo (cioè del materiale) attra­
versato. Queste onde hanno tre caratteristiche importanti:
■ non si propagano nel vuoto, ma solo nella materia;
■ non causano una traslazione delle particelle di cui il mezzo è costituito;
■ provocano una deformazione elastica del mezzo attraversato.
Un mezzo può essere considerato elastico se, in seguito a una de­
formazione, tende a recuperare forma e dimensioni originali. In pri­
ma approssimazione tutti i materiali che costituiscono la Terra pos­
siedono questa proprietà, almeno nell’ambito di deformazioni picco­
le. Quando le onde meccaniche attraversano un mezzo elastico,
y
v
P
x
O
y
trasmettono energia alle particelle di materia presenti. Per effetto
dell’energia ricevuta le particelle oscillano intorno a una posizione
fissa e trasmettono così la vibrazione a quelle vicine, senza però al­
lontanarsi. In questo modo la perturbazione si muove, spesso anche
a notevole velocità, trasportando energia, ma non materia. Sintetiz­
zando si può dire che si muove l’onda (e con essa l’energia), ma
non il mezzo attraversato. Ciò accade anche nel caso delle onde in
mare aperto: si muove la deformazione, ma non la materia.
Le onde in mare aperto sono diverse da quelle sonore o sismiche,
perché sono superficiali, mentre quelle sonore e le onde simiche
sono invece onde tridimensionali sferiche.
Si può descrivere il movimento di un’onda indicandone velocità e dire­
zione. In particolare si chiama direzione, o raggio di propagazione,
qualsiasi semiretta che va dalla sorgente a un punto raggiunto dalla
perturbazione 17. Se le particelle del mezzo vibrano perpendicolarmen­
te al raggio di propagazione, si parla di onde trasversali (come accade
quando le persone allo stadio fanno la “ola”: il movimento delle braccia
è perpendicolare rispetto alla direzione di propagazione dell’onda 18);
se invece le particelle del mezzo vibrano nello stesso senso del raggio
di propagazione (come accade quando si fa oscillare in verticale una
molla a cui è attaccato un pesetto), si parla di onde longitudinali.
Come sappiamo, le onde trasversali si propagano solo nei solidi, mentre
le onde longitudinali si propagano nei solidi, nei liquidi e nei gas.
Le onde sonore, che si propagano nell’aria, sono onde longitudinali
causate da compressione e dilatazione delle masse d’aria interpo­
ste tra sorgente e ricevente.
direzione di propagazione dell’onda
v
P
O
direzione
dell’oscillazione
17
x
18  L’ola (onda in italiano) è un effetto creato dagli spettatori in uno stadio che si
alzano e si siedono in rapida successione. Si ha la sensazione visiva di un
movimento che si propaga percorrendo in circolo le gradinate, sebbene il singolo
spettatore rimanga in realtà al proprio posto.
FISICA E GEOLOGIA
L’energia liberata dal sisma provoca due tipi di effetti:
■■deformazioni statiche e permanenti, che accompagnano la
formazione o il movimento lungo la faglia;
■■deformazioni dinamiche, cioè onde elastiche, che si propagano dall’ipocentro in tutte le direzioni dello spazio.
Le onde elastiche generate nei terremoti sono dette onde sismiche e provocano una deformazione dinamica dei materiali che
attraversano perché, dopo il loro passaggio, ogni singolo volume di roccia riacquista la sua conformazione originaria.
Come tutte le onde elastiche, anche quelle sismiche non causano
146
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
Esistono tre diversi tipi di onde sismiche: P, S e L.
Le onde P (primarie) e le onde S (secondarie) sono onde di volume: si generano nell’ipocentro del terremoto e si propagano in
tutte le direzioni dello spazio (in modo del tutto indipendente le
une dalle altre). Le onde L, invece, sono onde superficiali: si propagano solo lungo particolari superfici chiamate superfici di discontinuità; sulla superficie terrestre si generano nell’epicentro.
Le onde P
Le onde P sono le più veloci, per cui vengono registrate per prime dai sismografi. Sono chiamate anche onde di compressione,
o onde longitudinali, perché deformano i materiali nello stesso
senso della loro propagazione, causando una variazione di volume del mezzo attraversato. Per capire i loro effetti sulle rocce,
bisogna immaginare che la litosfera sia costituita di blocchetti
rocciosi. Al passaggio delle onde P, ogni cubetto ideale subisce
una compressione seguita da una dilatazione (come un corpo
elastico che subisce l’effetto di una spinta improvvisa nello stesso senso di propagazione dell’onda), che trasmette il movimento al cubetto contiguo. Le particelle di materia investite oscillano avanti e indietro rispetto alla loro posizione media, nella
stessa direzione di propagazione dell’onda, avvicinandosi e allontanandosi tra loro 19 a . Le onde P si propagano nei solidi, nei
liquidi e nei gas, ma la loro velocità varia in relazione allo stato
fisico e alla natura litologica dei materiali attraversati. Esse, inoltre, modificano bruscamente la loro direzione quando, all’interno della Terra, incontrano una superficie di discontinui­tà, cioè
passano da uno strato di rocce a un altro, con caratteristiche
meccaniche totalmente differenti. Nella crosta terrestre si muovono a una velocità che può variare da 4 a 8 km/s.
a
b
lunghezza di onda
Le onde S
Le onde S scuotono i materiali che attraversano in senso trasversale rispetto alla direzione di propagazione e producono
in essi una variazione di forma, ma non di volume. Per queste
caratteristiche, sono anche dette onde di distorsione, o onde
trasversali. Al loro passaggio, infatti, ogni singolo blocchetto
di roccia viene distorto, poi torna alla forma originaria, mentre le particelle di materia oscillano in direzione perpendicolare a quella di propagazione dell’onda sismica 19 b . Le onde S
si propagano solo nei solidi e non nei fluidi, perché questi
modificano la loro forma senza rispondere elasticamente.
Nei fluidi le forze di coesione tra le particelle sono deboli e
instabili, perciò le eventuali deformazioni o vibrazioni di una
particella non si trasmettono alle altre.
Anche la velocità delle onde S cambia a seconda delle caratteristiche fisiche e della composizione dei blocchi rocciosi,
pur restando sempre inferiore (a parità di condizioni chimico-fisiche) alla velocità delle onde P: nella crosta si muovono
a una velocità che varia da 2,3 a 4,6 km/s; esse inoltre, come
le onde P, subiscono brusche deviazioni quando incontrano
una discontinuità.
Le onde L
Le onde L, o onde superficiali, vengono generate quando le P
e le S incontrano una superficie di discontinuità e si muovono
dal punto di origine, come le onde prodotte da un sasso gettato nell’acqua. Le onde L si generano sempre quando le P e le
S raggiungono la superficie terrestre, dove provocano oscillazioni di varia forma: alcune fanno vibrare
il terreno con oscillazioni di forma ellittica (onde di Rayleigh), altre con un movimento trasversale, ma sul piano orizzontale rispetto alla direzione di propagazioonde P (longitudinali)
ne (onde di Love). Viaggiano con una
velocità costante pari a circa 3,5 km/s, e
percorrono distanze lunghissime. In poche ore possono fare il giro della Terra e
ripeterlo diverse volte prima di smorzarsi. Rispetto alle onde P e S, l’energia trasportata dalle onde L si disperde più lentamente con la distanza; esse, pertanto,
onde S (trasversali)
sono quelle che nei terremoti provocano i
danni maggiori, anche a notevoli distanze
19 c . Effetti secondari del passaggio di
queste onde sono scuotimenti, frane, liquefazioni, fratture, crolli ecc.
Analoghe alle onde L, inoltre, sono quelle
onde
di Rayleigh
che si formano nelle acque degli oceani
quando avviene un maremoto.
onde L
(superficiali)
c
onde
di Love
19  Modelli di propagazione delle onde sismiche.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
4Il rilevamento delle onde sismiche:
sismografi e sismogrammi
La registrazione delle onde sismiche viene effettuata con strumenti detti sismografi. Per analizzare in modo completo l’andamento delle onde sismiche, in ogni stazione di rilevamento
sono contemporaneamente in funzione almeno tre sismografi:
uno registra la componente del movimento secondo la verticale, gli altri le due componenti del movimento sul piano orizzontale, tra loro perpendicolari. Il tracciato che registra le onde
sismiche rilevate con un sismografo è detto sismogramma 20 .
Su un sismogramma le onde sismiche corrispondono a oscillazioni di ampiezza e frequenza più o meno elevate. Su ciascun
tracciato è possibile identificare tre gruppi di oscillazioni che
corrispondono alle onde P, S e L. Le prime a essere registrate
sono le onde P, rappresentate da oscillazioni regolari di piccola
ampiezza e breve periodo. Seguono le onde S, meno veloci,
rappresentate da oscillazioni meno regolari, di maggiore ampiezza e con un periodo più lungo. Infine, vengono registrate le
onde L, ancora più lente, irregolari, di ampiezza ancora maggiore e di più lunga durata 21 .
La lettura e l’interpretazione dei sismogrammi sono sempre
piuttosto complesse. In particolare, i sismogrammi registrati
nelle zone vicine all’epicentro sono spesso confusi, perché le
oscillazioni sono molto ampie e tutte le onde arrivano quasi
contemporaneamente e lasciano tracce che quasi si sovrappongono. Più le stazioni sono distanti dall’epicentro, più l’intervallo tra un gruppo di onde e l’altro aumenta, così da permettere il riconoscimento delle onde P, S e, infine, L. In realtà
bisogna sempre tenere presente che le onde P e S partono
rullo
dall’ipocentro ed è quindi necessario correggere
opportunarotante
mente le misure che si ottengono. Tuttavia, con l’aumentare
della distanza dall’epicentro, intervengono nuove complicazioni, poiché vengono registrate anche le onde che hanno attraversato gli strati profondi della crosta subendo deviazioni
e le
pennino
oscillazioni si smorzano.
Una lettura corretta dei sismogrammi è importante perché
permette di stabilire la posizione dell’epicentro, la profondità
dell’ipocentro e la potenza del terremoto.
a)
rullo
rotante
a riposo
Come si localizza un terremoto
La posizione dell’epicentro I sismogrammi possono essere
utilizzati per stabilire la posizione dell’epicentro di un terremo-
to e il suo “tempo di origine”, cioè il momento in cui è stata rilasciata l’energia e si è formata la faglia che ha provocato il sisma.
Per comprendere il procedimento adottato, bisogna innanzitutto notare due aspetti del comportamento delle onde sismiche:
■■i tre tipi di onde sismiche si muovono nello stesso mezzo con
velocità differenti; partendo nello stesso momento dall’ipocentro, le onde P giungono alla stazione sismica per prime, mentre
le onde S vengono registrate dopo un tempo quasi doppio rispetto alle P. Solo all’epicentro (che si trova sulla verticale
dell’ipocentro, a una distanza da esso relativamente breve) le
onde P e S giungono molto vicine le une alle altre, perché devono percorrere un breve tratto;
■■il ritardo delle onde S rispetto alle P cresce con la distanza
della stazione di rilevamento dall’epicentro.
molla
massa
la posizione
dell’indicatore
rimane costante
21  Sismogramma del terremoto che ha colpito Haiti nel 2010, registrato in Italia.
Le prime onde a essere registrate sono le onde P, cui seguono le S e infine le L.
il terreno si solleva
il terreno si abbassa
la posizione dell’indicatore
rimane costante
molla
massa
la posizione
dell’indicatore
rimane costante
pennino
a)
a
a riposo
il terreno si solleva
il terreno si abbassa
b)
b
20  Sismografo meccanico per la registrazione della componente verticale del movimento del suolo a , costituito da una massa sospesa a una molla, collegata con un
pennino che lascia una traccia su un rullo di carta rotante, solidale con il terreno. Durante i movimenti sismici, la massa resta ferma per inerzia, mentre il suolo e il rullo
la posizione
dell’indicatore
oscillano su e giù. Nei sismografi utilizzati per misurare le componenti orizzontali
dei movimenti
del suolo b , la massa e il pennino sono sospesi a un pendolo vincolato a
rimane costante
oscillare in una sola direzione; durante un terremoto il rullo oscilla, mentre il sistema massa-pennino resta stazionario e traccia il sismogramma.
147
148
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
Consideriamo, per esempio, un evento sismico registrato in due
stazioni di rilevamento poste rispettivamente a 80 km e 160 km
dall’epicentro: se alla prima stazione le onde S giungono con un
ritardo di 10 s rispetto alle P, la seconda stazione registrerà le onde
S con un ritardo di 20 s. Più in generale, si può dunque affermare
che i sismogrammi di uno stesso terremoto, registrati da stazioni
poste a diversa distanza dall’epicentro, sono differenti: se la stazione di rilevamento è vicina all’epicentro, sul sismogramma le onde
P sono poco distanziate dalle S; se, invece, la stazione è distante,
l’intervallo sul sismogramma tra le onde P e S aumenta 22.
stazione di rilevamento
stazione di rilevamento
onde L
epicentro
onde
P ed
onde L
epicentro
S
o nd e P e d S
ipocentro
ipocentro
L
L
P
S
S
P
sismogramma
aa)
tempo
momento del terremoto
bb )
tempo
momento del terremoto
22  Le onde S e L sono sempre in ritardo rispetto alle onde P; tale ritardo aumenta progressivamente all’aumentare della distanza dall’epicentro (onde L)
Poiché gli studi sperimentali dimostrano che il rapporto tra la
velocità delle onde P e S è sempre lo stesso (se, per esempio, passando da un materiale a un altro la velocità delle onde P raddoppia, raddoppia anche quella delle onde S), l’intervallo sul sismogramma tra le onde P e S può essere utilizzato come una misura
indiretta della distanza tra stazione di rilevamento ed epicentro.
Per questo, ogni stazione dispone di un diagramma spaziotempo nel quale sono riportate le curve dei tempi di propagazione (dette dromocrone) delle onde P e S in funzione della distanza dall’epicentro. Per stabilire tale distanza, è sufficiente
sovrapporre al diagramma spazio-tempo il sismogramma registrato nella stazione, in modo che la distanza tra l’arrivo delle onde P e S sul sismogramma coincida con l’intervallo in ordinata tra le due dromocrone. Sull’asse delle ascisse si leggerà
direttamente la distanza tra l’epicentro e la stazione 23 .
onde S
17
16
15
14
13
onde S
S
12
11
dr
om
oc
ro
m
ao
nd
e
tempo dal momento di inizio (min)
e dall’ipocentro (onde S). Nel sismogramma registrato nella stazione di rilevamento più vicina all’epicentro a , le tracce delle onde P, S ed L risultano più ravvicinate
rispetto al sismogramma registrato nella stazione più lontana b .
10
9
8
onde P
dromocrone
onde P
7
6
a
m
ro
oc
om
dr
5
4
de
on
dal greco dromos, “corsa“ e cronos, “tempo“, sono curve che collegano
i momenti d’arrivo delle onde P e delle onde S alle stazioni sismologiche.
P
3
2
1
0
1000
2000
3000
4000
5000
6000
distanza dall’epicentro (km)
23  Sull’asse delle ascisse del diagramma viene indicata la distanza della stazione
dall’epicentro, mentre sull’asse delle ordinate è indicato il tempo trascorso dal
momento in cui è iniziato il terremoto.
Sul diagramma vengono riportati i sismogrammi relativi a un gran numero di
terremoti di cui è noto l’epicentro. Si uniscono i punti che indicano la registrazione
dell’arrivo delle prime onde P nei diversi sismogrammi: si ottiene così la
dromocrona delle onde P. Si ripete lo stesso procedimento per le onde S e si
ottiene la dromocrona delle onde S.
Le due dromocrone hanno origine comune perché le onde P e S partono insieme.
La distanza tra le due curve rappresenta l’intervallo di tempo tra l’arrivo delle
prime onde P e delle prime onde S: tale distanza aumenta a mano a mano che ci
si allontana dall’epicentro.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
I dati di una stazione di rilevamento, tuttavia, non
sono sufficienti per determinare la posizione esatta
dell’epicentro (che teoricamente potrebbe trovarsi in
un punto qualsiasi di una circonferenza con raggio
pari alla distanza calcolata per l’epicentro).
Per determinare la posizione dell’epicentro è necessario confrontare i dati provenienti da almeno tre stazioni sismografiche. In base a tali dati si tracciano su
una carta geografica equidistante tre circonferenze con
raggio uguale alla distanza ricavata per ciascuna stazione. L’epicentro del terremoto corrisponde al punto
di intersezione delle tre circonferenze 24 .
carta geografica equidistante
è una carta geografica sulla quale le distanze sono proporzionali alle distanze reali.
Vladivostok
Hakodate
AKITA
epicentro
La posizione dell’ipocentro Per determinare la posizione dell’ipocentro è necessario disporre di un nu-
mero maggiore di sismogrammi relativi allo stesso sisma (almeno una decina). L’operazione è molto complessa e non sempre dà risultati attendibili. Nei casi
studiati, è stato comunque possibile osservare che la
profondità dell’ipocentro varia entro un intervallo
molto ampio.
In base alla profondità dell’ipocentro si distinguono:
■■terremoti superficiali, con ipocentro tra 0 e 70 km di
profondità (sono i più frequenti, 75% dei terremoti registrati in 1 anno);
■■terremoti intermedi, con ipocentro a profondità tra
70 e 300 km (22%);
■■terremoti profondi, con ipocentro tra 300 e 700 km
(3%).
La massima profondità finora rilevata corrisponde a
un terremoto verificatosi nell’isola di Celebes, nell’arcipelago indonesiano: l’ipocentro, secondo i calcoli,
si trovava a 720 km di profondità.
Toyama
ne
po
p
Gia
TOKYO
Nagova
PUSAN
Nagasaki
Hiroshima
Kobe
Osaka
Kumamoto
24  Per determinare la posizione dell’epicentro di un terremoto è necessario confrontare
i dati di almeno tre stazioni sismografiche. Su una carta geografica equidistante si
tracciano circonferenze con raggio pari alla distanza determinata da ciascuna stazione.
L’epicentro del terremoto corrisponde al punto di intersezione delle tre circonferenze.
STORIA E GEOLOGIA
Il primo sismoscopio
Il sismoscopio è un apparecchio in grado di segnalare un
terremoto, ma non di misurare o registrare tutte le sue
caratteristiche.
Il più antico sismoscopio noto fu inventato dal filosofo cine­
se Zhang Heng nel 132 d.C.. Questo apparecchio era costi­
tuito da una grande anfora ben fissata al terreno; lungo il
cerchio orizzontale di massimo diametro di questo vaso
sporgevano otto piccole teste di drago, orientate secondo
la direzione della rosa dei venti. Ciascun drago teneva in
bocca una pallina metallica la quale, in seguito a piccole
scosse, cadeva dentro la bocca di una delle otto rane situa­
te sotto il drago, in corrispondenza del punto di caduta del­
la pallina stessa. La sferetta, cadendo, faceva un rumore
metallico che fungeva da allarme. In funzione delle palline
che cadevano, si poteva individuare una scossa, intuendo­
ne la direzione (ma non l’intensità e la durata) 25.
Si tramanda che con questo strumento vennero segnalate
vibrazioni, distanti anche centinaia di kilometri, che non
venivano invece percepite dall’uomo. Questo primo sismo­
scopio rimase in funzione diversi secoli.
149
25
150
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
5 Intensità e magnitudo dei terremoti
La forza di un terremoto può essere rilevata con due metodi
diversi, che consentono di costruire vere e proprie scale sismiche: la scala delle intensità e la scala delle magnitudo.
L’intensità di un sisma in genere diminuisce progressivamente
allontanandosi dall’epicentro. Normalmente perciò si indica
come intensità di un sisma il massimo valore registrato.
La scala delle intensità
Le isosisme
La scala delle intensità più adottata è la scala mcs (Mercalli,
Cancani, Sieberg), che utilizza un metodo di valutazione messo
a punto da G. Mercalli nel 1902 e successivamente modificato,
senza tuttavia apportare sostanziali cambiamenti.
La scala delle intensità assegna a ogni sisma un valore numerico, detto grado di intensità, determinato in base agli effetti
delle scosse sismiche sul territorio e al grado di distruzione
che esse provocano nella regione in cui il sisma viene rilevato tab 1 .
La raccolta delle informazioni necessarie viene effettuata principalmente utilizzando quattro generi di “indicatori”: lesioni a
costruzioni, danni a persone e animali, modifiche di elementi
dell’ambiente naturale (fratture, crolli ecc.), effetti sugli oggetti
in uso (mobili, stoviglie ecc.).
Nello studio di un terremoto, in ogni località interessata viene
registrato un particolare valore d’intensità. Dopo aver riportato su una carta geografica i valori dell’intensità calcolati, se si
congiungono tutti i punti in cui il terremoto ha avuto la stessa
intensità, si ottiene una serie di linee curve chiuse, dette isosisme, che separano zone in cui si è manifestato con intensità
differenti. La più interna di queste è l’area che comprende l’epicentro ed è la più colpita; nelle aree più esterne l’intensità decresce rapidamente.
Se la Terra fosse un solido omogeneo, le isosisme sarebbero
linee circolari concentriche, ma in realtà le rocce possono
comportarsi assai diversamente nei confronti delle onde elastiche, perciò l’energia del sisma non si propaga nello stesso
modo in tutte le direzioni. Le caratteristiche diverse delle roc-
Tabella 1 La scala mcs classifica i terremoti secondo il grado di intensità, che può variare da I a XII
grado di intensità
descrizione degli effetti
I
Scosse registrate dagli strumenti e non percepite dall’uomo.
II
Scosse leggerissime, avvertite nei piani superiori delle case (oscillazione dei lampadari).
III
Scosse leggere, avvertite anche in mezzo ai rumori del traffico e di cui si può calcolare la durata (purché
riconosciute come dovute a un terremoto).
IV
Scosse medie, avvertite anche all’aria aperta; nelle case si avvertono tintinnii di bicchieri.
V
Scosse forti, svegliano dal sonno, provocano scricchiolii nei pavimenti e fanno cadere oggetti pesanti e pezzi di
calcinacci dai muri.
VI
Scosse molto forti, accompagnate da rumori nel sottosuolo; provocano lievi lesioni negli edifici.
VII
Scosse fortissime, fanno crollare i camini e oscillare i campanili (le campane suonano da sole), infrangono i vetri,
provocano lesioni negli edifici più solidi.
VIII
Scosse rovinose, provocano crolli parziali di edifici, fanno cadere le statue dai piedistalli; provocano frane. Si
possono avere vittime.
IX
Scosse disastrose, provocano la distruzione di edifici. Si possono avere numerose vittime.
X
Scosse distruttive, provocano il crollo degli edifici e dei ponti, la rottura delle tubature, l’apertura di fratture nel
suolo, la messa in movimento di frane e la fuoriuscita dell’acqua da dighe e laghi.
XI
Scosse catastrofiche, provocano il crollo di ogni costruzione, la rottura delle dighe, la distorsione delle rotaie e
l’apertura di voragini nel suolo.
XII
Scosse ultracatastrofiche, provocano la distruzione totale delle opere dell’uomo, imponenti frane, la scomparsa di
laghi e la deviazione dei corsi d’acqua.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
ce e molti altri fattori, come la presenza nel sottosuolo di particolari corpi litologici, alterano la propagazione regolare delle
onde elastiche, esaltandone o attenuandone l’effetto. Le isosisme sono perciò quasi sempre linee irregolari. L’andamento
allungato o lobato in direzioni particolari delle isosisme indica la presenza nel sottosuolo di una formazione rocciosa che
trasmette le onde sismiche in una direzione preferenziale.
Una carta delle isosisme può quindi essere d’aiuto al geologo
per avere ulteriori informazioni sulla struttura geologica profonda dell’area esaminata 26 .
I limiti della scala delle intensità
La scala delle intensità presenta alcuni evidenti limiti dal punto di vista scientifico. Innanzitutto, l’intensità non è una misura dell’energia liberata dal terremoto (non si utilizza né uno
strumento né un’unità di misura), ma una descrizione dei danni che provoca.
A questo proposito è bene osservare che la gravità dei danni non
dipende solo dall’energia sprigionata dal sisma, ma da molti altri
fattori, come la posizione dell’ipocentro (più un sisma è superficiale più è devastante), la presenza o meno di centri abitati e di
costruzioni antisismiche, la conformazione geologica del territorio interessato, la presenza di falde acquifere ecc. 27. Tutti questi fattori (persino l’ora della giornata può essere importante
quando il sisma ha un epicentro vicino a una grande città) rendono molto difficile valutare correttamente la forza di un sisma
in base all’intensità rilevata 28.
27  Gli effetti di un sisma sugli edifici dipendono da molti fattori: le vecchie
abitazioni di Teora (in Irpinia), costruite sulla collina, sono state rase al suolo
durante il terremoto del 1980, mentre gli edifici più recenti della zona in pianura
sono rimasti quasi intatti.
VI
Perugia
Assisi
Foligno
V
Spoleto
IV
26 Carta delle isosisme del terremoto
in Umbria (26 settembre 1997).
Nella foto, immagine scattata
il 14 ottobre 1997 durante una scossa
di magnitudo 4,9, che ha provocato il
crollo del cupolino della Torre Civica,
simbolo di Foligno.
28  Durante il terremoto che colpì Kobe (Giappone) il 17 gennaio 1995 alle 5,45
del mattino, sono crollati 550 m dell’autostrada di Hansin, causando la morte di 12
automobilisti. Se il crollo fosse avvenuto anche solo due ore dopo, quando
l’autostrada è molto affollata, le vittime sarebbero state sicuramente molte di più.
151
152
I FENOMENI ENDOGENI
In effetti, terremoti con uguale forza possono avere diverso grado
di intensità per le diverse circostanze in cui avvengono 29. Per
esempio, il terremoto avvenuto il 17 ottobre del 1989 a Loma
Prieta, nella penisola di San Francisco, ha liberato un’energia almeno 30 volte superiore rispetto a quello avvenuto in Umbria nel
1997 e ha provocato spettacolari collassi in alcune delle vie di comunicazione, a causa della particolare struttura geologica della
regione caratterizzata da suoli soffici e saturi di acqua. Il numero
di vittime tuttavia è stato limitato (meno di un centinaio), grazie
alla presenza di costruzioni antisismiche nella regione. Un terremoto di forza quasi uguale, avvenuto nel 1988 in Armenia, in una
regione molto popolata e caratterizzata da centri urbani costruiti
senza alcun criterio antisismico, ha causato invece la morte di
30 000 persone. Un ulteriore esempio è fornito dal terremoto che ha
colpito Haiti nel 2010, di forza uguale a quello dell’Armenia, che ha
provocato 230 000 vittime; ad Haiti, infatti, non esiste alcuna regolamentazione per la costruzione di edifici antisismici 30.
Un altro esempio significativo dell’imprecisa correlazione tra
danni e forza del sisma è il terremoto di Città del Messico del
1985. In quel caso l’epicentro era collocato a una certa distanza
dalla città (350 km), ma i danni furono minori nelle regioni vicino all’epicentro e molto più elevati in una zona circoscritta del
territorio abitato (un’area di soli 35 km2), collocata su sedimenti
alluvionali non cementati che cedettero, provocando il crollo di
800 palazzi e la morte di 20 000 persone.
© SEI – 2012
di valutazione della forza di un terremoto l’ampiezza delle onde
sismiche registrate in una qualsiasi stazione di rilevamento.
Ovviamente per costruire una scala di valore scientifico, occorre disporre di un’unità di misura, che in questo caso è un
sismogramma di riferimento. Inoltre, per effettuare la misura
correttamente si devono tenere presenti anche la distanza
dall’epicentro e il conseguente indebolimento delle onde man
mano che tale distanza aumenta.
La prima scala delle magnitudo è stata introdotta da C. Richter,
nel 1935. Secondo la scala Richter, la magnitudo di un terremoto si ottiene confrontando l’ampiezza massima delle oscillazioni registrate in una stazione di rilevamento con quella delle
oscillazioni di un sismogramma di riferimento.
La scala delle magnitudo proposta da Richter è una scala logaritmica, dove la magnitudo M è data dalla seguente relazione:
M = log 10
A
A0
+Q
Per misurare in modo più rigoroso la forza di un terremoto, gli
scienziati utilizzano la scala delle magnitudo, che si basa su un
principio teoricamente semplice: tanto maggiore è l’energia liberata da un sisma, tanto più ampie sono le oscillazioni registrate dal sismografo. Si può quindi utilizzare come elemento
dove:
A = ampiezza massima delle oscillazioni del terremoto che si
sta osservando;
A0 = ampiezza massima delle oscillazioni causate da un terremoto di riferimento;
Q = fattore di correzione, che tiene conto della distanza reale
dall’epicentro della stazione di rilevamento e della profondità
dell’ipocentro.
Normalmente il terremoto di riferimento A0 viene scelto in
modo che provochi un’oscillazione massima di 0,001 mm, su un
sismografo posto alla distanza di 100 km dall’epicentro. Tuttavia,
poiché le misure di magnitudo vengono effettuate in stazioni di
rilevamento che si trovano quasi sempre a una distanza dall’epicentro superiore, o inferiore, a 100 km, il valore di A0 viene di
volta in volta adattato opportunamente, utilizzando il fattore
correttivo Q, che tiene conto della distanza reale dall’epicentro.
La magnitudo è un numero e il suo valore non dipende dalla
distanza dall’epicentro della stazione di rilevamento.
29  Il 22 febbraio 2011, la città neozelandese di Christchurch è stata colpita da un
sisma di magnitudo 6,3 che ha causato il crollo di numerosi edifici. Le vittime
sono state 181, i feriti oltre 1 000. Il 3 settembre 2010, un terremoto di magnitudo
7 aveva colpito la città, ma non aveva provocato vittime. La devastazione
provocata dal terremoto del 2011, seppur di magnitudo più bassa della scossa di
qualche mese prima, è dovuta alla scarsa profondità dell’ipocentro (appena 5 km)
e alla vicinanza dell’epicentro ai centri abitati. Inoltre, le abitazioni erano già
gravemente danneggiate dal sisma precedente.
30  Effetti del catastrofico terremoto che ha colpito Haiti nel 2010. È stata
registrata una magnitudo 7, con epicentro localizzato circa a 25 km dalla
capitale Port-au-Prince e ipocentro a 13 km di profondità.
La scala delle magnitudo
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
Poiché la scala Richter è logaritmica, aumentando di un’unità
di magnitudo si ha un valore dell’ampiezza delle onde sismiche
10 volte maggiore. Un sisma di magnitudo 4, quindi, provoca
sul sismografo oscillazioni di ampiezza massima 1000 volte più
grandi rispetto a un terremoto di magnitudo 1. La scala delle
magnitudo, inoltre, non ha un valore massimo predefinito e
sono possibili valori di magnitudo inferiori a 0 (un terremoto
di magnitudo 0 è uguale al terremoto standard), corrispondenti alle registrazioni delle scosse più deboli, ottenute dagli strumenti più sofisticati e moderni.
La magnitudo di un terremoto dipende principalmente dall’ener­
gia liberata nell’ipocentro, sotto forma di onde sismiche, anche se
non esiste una formula che permetta di ricavare automaticamente il valore dell’energia dal valore della magnitudo, perché altri
fattori, come la profondità dell’ipocentro e la natura geologica
del territorio, possono determinare variazioni da un caso all’altro.
In linea di massima, tuttavia, si può dire che l’aumento di 1 unità
di magnitudo comporta un aumento dell’energia dissipata di circa 30 volte tab 2 .
La magnitudo non è strettamente correlata all’intensità di un
sisma e non esiste un metodo per effettuare una qualche equivalenza diretta tra i due parametri. Le due scale si basano su
princìpi concettualmente molto diversi: la scala delle intensità
è una scala empirica, di scarso valore per quanto concerne la
determinazione della forza reale di un sisma, mentre la scala
Richter è una scala che fornisce misure quantitative definite.
La maggior parte dei terremoti registrati in 1 anno ha magnitudo inferiore a 5: sismi di magnitudo inferiore a 3 provocano
scosse che non vengono quasi percepite, mentre tra 3 e 5 le
scosse sono evidenti e possono causare danni, sebbene in genere questi non siano rilevanti. I terremoti disastrosi hanno
magnitudo superiore a 6.
Tabella 2 I terremoti più disastrosi dall’inizio del Novecento
regione
anno magnitudo
vittime
India: Kangra
1905
8,6
19 000
California: San Francisco
1906
8,3
700
Cile: Santiago, Valparaíso
1906
8,6
Italia: Messina, Reggio Calabria
1908
Italia: Avezzano
regione
anno magnitudo
vittime
Algeria: El Asnam
1980
7,3
25 000
Messico: Città di Messico
1985
8
20 000
20 000
San Salvador
1986
6
900
7,5
83 000
Cina: Yunnan
1987
7,6
1000
1915
7
29 980
Armenia
1988
7
30 000
Cina: Kansu, Shansi
1920
8,6
100 000
California: San Francisco
1989
7
200
Giappone: Tokio, Yokohama
1923
8,3
99 330
Iran
1990
7,3
600 000
Cina: Nan-Shan
1927
8,3
200 000
California: Los Angeles
1994
6,7
61
Giappone
1933
8,9
2990
Giappone: Kobe
1995
6,9
5000
Pakistan: Quetta
1935
7,5
30 000
Messico: Puerto Angel
1999
7,5
non noto
India: Assam; Tibet
1950
8,7
1530
Turchia: Izmit, Istambul
1999
7,4
15 000
Cile centro-meridionale
1960
8,9
4000
Cina: Taiwan
1999
7,6
2000
Iugoslavia: Skopje
1963
6
1100
India: Guiart
2001
6,9
20 000
Alaska: Anchorage
1964
8,5
178
Iran: Bam
2003
6,3
50 000
Cina settentrionale
1966
6,7-8,3
non noto
Indonesia: Sumatra
2004
9,3
150 000
Italia: Sicilia occidentale
1968
5,9
270
Indonesia: Sumatra
2005
8,7
2000
Iran nord-orientale
1968
7
30 000
India-Pakistan: Kashmir
2005
7,6
74 000
Perù
1970
7,7
50 000
Cina: Sichuan
2008
7,9
88 000
Iran: Teheran
1972
7,1
5374
Italia: Abruzzo
2009
5,8
308
Nicaragua: Managua
1972
6,25
10 000
Haiti
2010
7
230 000
Cina: Anshan
1975
7,3
non noto
Cile: regione del Maule
2010
8,8
521
Turchia: Lice
1975
6,8
2312
Cina: Yushu
2010
6,9
2698
Guatemala: Città del Guatemala 1976
7,5
16 000
Indonesia: Sumatra
2010
7,7
400
Italia: Friuli
1976
6,5
927
Birmania
2011
6,8
150
Cina: Tientsin e Tangshan
1976
8,2
non noto
Nuova Zelanda: Christchurch
2011
6,1
166
Turchia: Van
1976
7,8
5000
Giappone: Tôhoku
2011
9
15 703
Italia: Irpinia
1980
8
2750
Turchia: Van
2011
7,2
604
153
154
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
6 La prevenzione sismica
La previsione dei terremoti
Il rischio sismico
I terremoti sono molto pericolosi, e sarebbe utile prevedere se
e dove si verificherà un sisma e quale magnitudo avrà.
Si può effettuare una previsione probabilistica, calcolando il pericolo sismico di una regione, cioè la probabilità che vi si verifichi, in un certo intervallo di tempo, un terremoto in grado di
causare danni. Per valutare la pericolosità sismica di un’area si
rilevano i terremoti avvenuti in passato, catalogandoli in base
all’intensità e alla magnitudo. Sulla base delle informazioni raccolte, si elaborano carte della pericolosità sismica, utili per elaborare piani di prevenzione, che tuttavia consentono di stabilire solo se statisticamente una regione ha una bassa o un’elevata
probabilità che si verifichi un evento sismico grave.
Si può tentare anche una previsione deterministica, cercando di
localizzare e monitorare le faglie attive. Si misurano i movimenti
dei vari segmenti di una faglia, rilevando i cambiamenti di distanza tra punti di riferimento o le deformazioni delle strutture
che indicano un qualche movimento del suolo. Si identificano
così i segmenti in movimento, la velocità dello scorrimento e le
zone che restano ferme. Poiché il movimento di una faglia è unico, le aree ferme o più lente accumulano energia elastica, che
prima o poi scatenerà un terremoto. Si può dunque ipotizzare in
quali regioni si verificherà un sisma in un futuro prossimo, ma
non si può stabilire esattamente quando e come 31.
Per una previsione deterministica si possono anche valutare segnali premonitori come variazioni di volume, formazione di
microfratture nelle rocce, diversa conducibilità delle onde sismiche, aumento della conduttività elettrica (tali proprietà dipenderebbero dall’aumento del contenuto d’acqua delle rocce, provocato dalla risalita di acque profonde), variazioni del livello del
suolo o dell’acqua nelle falde acquifere, aumento del tasso di
rado (liberato dalle rocce quando si fratturano). Gli studi finora
effettuati hanno dato tuttavia risultati contraddittori.
Poiché la previsione allo stato attuale delle conoscenze fornisce
indicazioni vaghe, risulta più utile, in un Paese a elevata pericolosità sismica come il nostro, effettuare un’opera di prevenzione.
Il primo passo nella prevenzione sismica consiste nel definire
il rischio sismico di una regione, considerando tre fattori:
■■il pericolo sismico (di cui si è già detto)
■■la vulnerabilità
■■l’esposizione.
La vulnerabilità sismica è una valutazione della predisposizione da parte di persone, edifici o attività a subire danni o modifiche in seguito a un terremoto. La vulnerabilità è più elevata se
il terremoto può provocare una totale irrecuperabilità di persone, edifici, mezzi di soccorso ecc.
L’esposizione sismica viene definita in base alla distribuzione e
al valore dei beni e delle attività presenti sul territorio, che possono essere danneggiati direttamente o indirettamente dall’evento sismico e serve per valutare i costi che un sisma può avere in
termini di perdite e di interventi di recupero e ricostruzione.
In base alla valutazione complessiva dei parametri elencati, si
costruiscono carte del rischio sismico e si progettano gli interventi più adatti per evitare vittime e ridurre i danni.
La forma prioritaria di prevenzione è la costruzione di edifici, ponti,
strade, porti, dighe ecc., che rispettino le norme tecniche per le costruzioni in zona sismica, che stabiliscono regole precise per la scelta
dei terreni, dei materiali da utilizzare, e definiscono le caratteristiche
costruttive degli edifici 32.
Un secondo aspetto utile per la prevenzione consiste nell’elaborazione di piani di evacuazione e di soccorso e di strategie
per preparare la popolazione ad affrontare un evento sismico.
Ovviamente nessuna di queste misure è in grado di eliminare i
rischi connessi a un terremoto, tuttavia ciascuna di esse può
contribuire a ridurre i costi in termini di vite umane e danni.
sismografi
laser
inclinometri
31 Alcuni strumenti utilizzati per la previsione degli eventi sismici. I sismografi registrano
l’attività microsismica, gli inclinometri le variazioni di inclinazione del terreno e con i laser
si rilevano eventuali movimenti del suolo, per esempio, in prossimità delle faglie. Nella
foto, stazione di monitoraggio dei movimenti del terreno lungo la faglia di San Andreas.
32 Realizzazione di prove di resistenza al crollo su un provino in un laboratorio
dell’enea (Ente per le Nuove tecnologie, l’Ambiente e l’Energia) per la realizzazione
di costruzioni antisismiche. I provini vengono fissati su speciali pedane che simulano
le vibrazioni prodotte da un sisma.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
7 Il rischio sismico in Italia
L’Italia è situata in un’area geologicamente attiva e relativamente
recente, che attraversa il Mediterraneo. Tale zona è particolarmente instabile, come è testimoniato dall’intensa attività vulcanica e dai sismi che la sconvolgono periodicamente. In questa zona
vi sono moltissime faglie e si realizzano complessi movimenti, i
quali interessano numerose regioni africane ed europee, che vengono compresse e costrette a ruotare. Questi movimenti coinvolgono in modo particolare la nostra penisola che pertanto presenta un’attività sismica particolarmente violenta e frequente.
In epoca storica, i terremoti segnalati in Italia risultano almeno
un migliaio. Di questi, più di 160 hanno provocato effetti disastrosi e causato un numero di morti vicino al mezzo milione di
persone (per quanto i dati siano frammentari e in parte incerti).
Certamente la sismicità nella nostra penisola non è paragonabile a quella dell’area circumpacifica, ma sicuramente si tratta di
una delle regioni più tormentate del pianeta. Considerando i
dati attuali e la ricostruzione degli eventi passati, ottenuta sulla
base dei danni descritti nei documenti storici, si può dire che
nella maggior parte dei casi si tratta di terremoti con ipocentro
poco profondo: quasi tutti i sismi hanno avuto origine entro la
crosta, a una profondità in genere non superiore ai 40 km. Solo
in casi eccezionali, nell’area del medio e basso Tirreno, si sono
verificati sismi con ipocentro profondo. La massima profondità
registrata è di 480 km circa.
Osservando la mappa 33, è interessante notare che il pericolo sismico varia considerevolmente da regione a regione: i terremoti
34  Un edificio antisismico costruito a L’Aquila dopo il terremoto del 2009.
sono più frequenti nelle aree di corrugamento più recente e lungo
le linee di tensione della crosta, dove sono in corso fenomeni di
assestamento. La zona più stabile è la Sardegna, seguita dalla penisola salentina e dall’arco alpino, dove la pericolosità, escludendo il
Friuli-Venezia Giulia, è relativamente bassa. La sismicità aumenta
spostandosi dalle regioni settentrionali lungo la catena appenninica verso il Centro-Sud, dove si localizzano le aree più soggette a
terremoti: Campania, Molise, Basilicata, Calabria e Sicilia.
In base ai livelli di pericolo sismico accertati e monitorati dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (ingv) è stata redatta la
carta della classificazione sismica del territorio italiano e sono state emanate le norme che disciplinano la progettazione e la costruzione di opere architettoniche (edifici e infrastrutture) 34 e 35.
accelerazione massima
del suolo (m/s )
zone sismiche
2
4a zona
< 0,025 - 0,050
3a zona
0,050 - 0,100
2a zona
0,100 - 0,150
2a zona speciale
0,150 - 0,200
1a zona
0,200 - 0,250
0,250 - 0,300
0
50 100 150 km
33  Mappa della pericolosità sismica del territorio italiano (ingv, 2004).
35  Classificazione sismica del territorio italiano.
155
IN ITALIA
156
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
I terremoti più devastanti
In passato si sono verificati sul nostro territorio eventi sismici di ma­
gnitudo e intensità superiori a quelli registrati negli ultimi 50 anni. Di
questi, restano cronache più o meno frammentarie dalle quali è possi­
bile ricavare informazioni sulla portata dei danni e sul numero di vitti­
me e grazie ai quali è stato possibile costruire una lista dei terremoti
avvenuti nel nostro Paese in epoca storica, nella quale si riportano
approssimativamente il grado di intensità e il numero delle vittime 36.
In base ai dati attualmente disponibili sembra che il sisma che in
Italia ha liberato la maggior quantità di energia sia stato quello del
5 dicembre 1456, che ha causato danni in buona parte dell’Italia
centro-meridionale. Un’attenta analisi delle cronache del tempo fa
ritenere che non si sia trattato di un singolo evento con un unico
epicentro, ma di una sequenza di eventi sismici, che prese l’avvio il
5 dicembre e interessò principalmente tre aree dell’Appennino cen­
tro meridionale (Sannio, Matese, Irpinia meridionale). In base alle
testimonianze, le vittime furono almeno 30 000, un numero eleva­
tissimo in un’epoca in cui la penisola italiana era scarsamente po­
polata rispetto alla situazione odierna.
Magnitudo di poco inferiore (circa 7) ha avuto probabilmente il ter­
remoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, che viene ricorda­
to come l’evento che ha causato il maggior numero di vittime in
Italia 37 . Il terremoto si verificò all’alba del 28 dicembre con epicen­
tro nello stretto di Messina. Le scosse principali in soli 37 s distrus­
sero le città di Messina, Reggio Calabria e i centri limitrofi. Le scos­
se furono così violente che a Messina meno del 10% degli edifici
epicentro di terremoto
grave (VII-VIII)
epicentro di terremoto
disastroso (VIII-IX)
epicentro di terremoto
catastrofico (IX-X)
Trento
Aosta
Milano
rimase intatto. Molti tra i sopravvissuti, disorientati, cercarono im­
mediatamente rifugio sulle spiagge vicine ma furono vittime del
maremoto che si abbatté subito dopo il terremoto sulle coste cala­
bre e siciliane intorno allo stretto di Messina. Tre grandi ondate di
oltre 10 m di altezza spazzarono le coste provocando un numero
imprecisato di morti. In totale le vittime furono più di 100 000, 80 000
delle quali a Messina, che allora contava circa 130 000 abitanti.
Il terremoto e il maremoto del 1908 sono ampiamente documentati
sia dalle cronache sia dai dati forniti dalle stazioni di rilevamento
sismico dell’epoca. Ciò nonostante molti aspetti di questo evento
restano da chiarire, in particolare le relazioni tra terremoto e mare­
moto. Secondo alcuni il maremoto fu una conseguenza diretta del
movimento della faglia che ha causato il terremoto (come è acca­
duto a Sumatra del 2004). Una recente analisi dei dati dell’epoca
sembra invece confutare questa ipotesi. Infatti l’epicentro del sisma
è localizzato in prossimità di Messina, ma la città fu raggiunta dalle
onde anomale almeno una decina di minuti dopo le scosse. Un ritar­
do del genere fa pensare che lo tsunami si sia originato a una certa
distanza da Messina. Lo tsunami inoltre raggiunse la massima vio­
lenza in altre zone dove le onde superarono anche i 15 m. Per que­
ste ragioni oggi si pensa che il maremoto si sia generato nello Ionio,
a circa un centinaio di kilometri da Messina, in una località antistan­
te Giardini Naxos, probabilmente a causa di una frana sottomarina
che mise in movimento un volume di roccia di circa 20 km3. Tale
frana è stata oggi identificata.
Trieste
Venezia
Torino
Bologna
Genova
Firenze
Ancona
Perugia
L'Aquila
Roma
Campobasso
Bari
Napoli
Cagliari
Potenza
Catanzaro
Palermo
36  Epicentri dei terremoti verificatisi in Italia con intensità superiore al VII grado
della scala mcs.
37  Danni provocati a Messina dal terremoto del 1908, in una foto dell’epoca.
7 I fenomeni sismici
CLIL
Earthquake Prediction
Long-Term Prediction
Short-Term Prediction
Long-term earthquake prediction recognizes that earthquakes have recurred many times along existing faults and
will probably occur in these same regions again. For example,
in the United States, although some faults exist in plate interiors (as in the New Madrid earthquake zone), the most active faults lie along the west coast at plate boundaries 1 .
Long-term prediction tells us where earthquakes are likely to
occur. This information is useful because it allows engineers to
establish strict building codes in earthquake-prone regions 2 .
However, long-term prediction gives only a vague idea of when
the next earthquake will strike. Near New Madrid, earthquakes
have occurred separated by 400, 300, and 200 years. The last
one struck in 1811. Based on an average 300-year interval, one
might expect a quake in the year 2100, but such an analysis
could be in error by hundreds of years.
Short-term predictions are forecasts that an earthquake may
occur at a specific place and time. Short-term prediction depends on signals that immediately precede an earthquake.
Foreshocks are small earthquakes that precede a large
quake by a few seconds to a few weeks. The cause of foreshocks can be explained by a simple analogy. If you try to
break a stick by bending it slowly, you may hear a few small
cracking sounds just before the final snap. If foreshocks
consistently preceded major earthquakes, they would be a
reliable tool for short-term prediction. However, foreshocks
preceded only about half of a group of recent major earthquakes selected for study. In addition, some swarms of small
shocks thought to be foreshocks were not followed by a
large quake.
Highest hazard
Peak Horizontal Accelerations (% g) Having
10% Probability of Being Exceeded in 50 Years.
64+
49-64
33-48
17-32
9-16
5-8
0-4
Lowest hazard
1  This map shows earthquake hazards in the United States. The predictions
are based on records of frequency and magnitude of historical earthquakes
(%g equals percent of the acceleration of gravity).
157
Fault: (geology) an extended
break in a rock formation, marked
by the relative displacement and
discontinuity of strata
to Forecast: to predict a future
event
Boundary: a line marking the
limits of an area
to Bend: shape or force (something
straight) into a curve or angle
Foreshock: a mild tremor
preceding a larger earthquake
CONTENT AND LANGUAGE INTEGRATED LEARNING
© SEI – 2012
CONTENT AND LANGUAGE INTEGRATED LEARNING
CLIL
158
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
Another approach to short-term earthquake prediction is
to measure changes in the land surface near an active fault
zone. Seismologists monitor unusual Earth movements with
tiltmeters and laser surveying instruments because distortions of the crust may precede a major earthquake. This method has successfully predicted some earthquakes, but in other
instances predicted quakes did not occur or quakes occurred
that had not been predicted.
Other types of signals can be used in short-term prediction.
When rock is deformed prior to an earthquake, microscopic
cracks may develop as the rock approaches its rupture point. In
some cases, the cracks release radon gas previously trapped in
rocks and minerals. The cracks may fill with water and cause
the water levels in wells to fluctuate. Air-filled cracks do not
conduct electricity as well as solid rock, so the electrical conductivity of rock decreases as microscopic cracks form.
In January 1975, Chinese geophysicists recorded swarms of
foreshocks and unusual bulges near the city of Haicheng,
which had a previous history of earthquakes. When the foreshocks became intense on February 1, authorities evacuated
portions of the city. The evacuation was completed on the
morning of February 4, and in the early evening of the same
day, an earthquake destroyed houses, apartments, and factories but caused few deaths.
After that success, geologists hoped that a new era of earthquake prediction had begun. But a year later, Chinese scientists failed to predict an earthquake in the adjacent city of
Tangshan. This major quake was not preceded by foreshocks,
so no warning was given, and 240,000 people died. Over the
past few decades, shorterm prediction has not been reliable.
Although some geologists continue to search for reliable indicators for short-term earthquake prediction, many other geologists believe that this goal will remain elusive.
While geologists cannot reliably predict an earthquake hours,
days, or weeks before the event, it is possible to predict earth
movement a few seconds before buildings begin to shake and
topple. This prediction is based on two principles.
■■If a ring of seismographs is built around the outside perimeter of a city, the seismographs would detet most earthquakes
before they reached the city. A warning could then be transmitted to the city electronically, because electronic signals
travel faster than earthquake waves.
■■Second, P waves travel faster then either S waves or surface
waves. However, P waves are less destructive than the other
two types. Therefore, when seismographs detect the P waves,
they can be programmed to issue an automated warning a few
seconds before the more-destructive waves arrive.
Combining these two approaches, Japanese scientists were able
to broadcast accurate warnings 16 seconds before an August 25,
2005, magnitude 7,2 earthquake in Sendai, Japan. Sixteen seconds may not sound like much, but the warning signals, in theory, could trigger computerized control systems to shut off gas
mains, high-tension electric transmission lines, sensitive equipment in chemical factories and refineries, and mass transit systems. In addition, controllers could abort airplane landings,
alert physicians performing surgery, and trigger emergency signals that could alert motorists on freeways. All of these procedures could save lives and material damage. Unfortunately, in
the Sendai, Japan, earthquake, while the warning system functioned flawlessly so that city planners knew that an earthquake
was imminent, the computerized controls and public warning
systems were not adequately in place, so there was little response
to the warning. City planners continue to improved the system.
from Thompson-Turk, Earth Science and Environment, 4E. © 2007.
True or false
2  The technique using wood to create the structure of buildings allows to build
houses which are flexible and earthquake-resistant. In this photo, a residential
neighborhood under construction in California.
Tiltmeter: an instrument
designed to measure very small
changes from the horizontal level,
either on the ground or in
structures
Bulge: a rounded swelling
distorting a flat surface
Main: principal pipe carrying
water or gas or a cable carrying
electricity
1. Short term earthquake prediction is still being
researched but has so far proved unreliable.
T
F
2. Changes in land shape are used for long-term
earthquake prediction.
T
F
3. Long-term earthquake prediction can tell where
the next earthquake is likely to occur.
T
F
4. Long-term earthquake prediction can tell when
the next earthquake is likely to occur.
T
F
5. Construction design plays an important role
in the control of earthquake damage
and the survivability of earthquakes.
T
F
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
PER RIPASSARE
in profondità
in superficie
TERREMOTI
IPOCENTRO
EPICENTRO
punto da cui partono
le onde sismiche
TETTONICI
cause
sulla verticale dell’ipocentro
si localizza con le
DROMOCRONE (curve dei tempi
relativi a ciascun tipo di onda)
terremoti:
si registrano
TEORIA DEL RIMBALZO
ELASTICO
superficiali
intermedi
SCOSSE
SISMICHE
profondi
deformazione elastica delle rocce
accumulo di energia
rottura di blocchi di rocce
FAGLIA
liberazione di energia in forma di calore e di VIBRAZIONI
attraversando le rocce subiscono
rifrazione e riflessione
ONDE SISMICHE
seguono i princìpi
del moto ondulatorio
permettono di studiare l’interno
della Terra
dall’ipocentro
P
LONGITUDINALI
ONDE DI COMPRESSIONE
SI PROPAGANO IN SOLIDI,
LIQUIDI E GAS
sono studiate dalla SISMOLOGIA
con i SISMOGRAFI
dall’ipocentro
S
TRASVERSALI
dall’epicentro
L
SUPERFICIALI
ONDE SISMICHE
ONDE DI DISTORSIONE
NON SI PROPAGANO
NEI FLUIDI
FORZA DEI TERREMOTI
si valuta con la scala
RICHTER
MCS
misura l’ampiezza
delle oscillazioni del sismografo
(MAGNITUDO)
12 gradi
descrive gli effetti distruttivi
(INTENSITÀ)
159
I FENOMENI ENDOGENI
© SEI – 2012
PER RICORDARE
I terremoti sono rapide e violente vibrazioni
elastiche, percepite in superficie come scosse
sismiche e causate dall’improvvisa liberazione
di energia all’interno della litosfera.
L’ipocentro del terremoto è il luogo in profon­
dità nel quale viene rilasciata improvvisamente
energia e da cui partono le vibrazioni elastiche
che si propagano come onde sferiche (onde
sismiche) in tutte le direzioni. Il punto della
superficie terrestre raggiunto per primo e con
maggiore intensità dalle onde sismiche, poiché
situato sulla verticale dell’ipocentro, è detto
epicentro.
I terremoti vengono classificati in base alle cau­
se che li originano in:
•terremoti vulcanici
•terremoti da crollo
•terremoti da esplosione (artificiali)
•terremoti tettonici.
I terremoti tettonici sono ricorrenti in aree par­
ticolari, dette aree sismiche, che coincidono
con buona approssimazione con quelle vulca­
niche. L’origine dei terremoti tettonici viene
normalmente spiegata mediante la teoria del
rimbalzo elastico; secondo tale teoria, quan­
do i materiali della litosfera sono sottoposti a
sforzi, dapprima si deformano elasticamente,
fino a raggiungere il limite di rottura, poi si
spaccano, liberando repentinamente l’energia
accumulata sotto forma di calore e di vibrazio­
ni. Nel luogo in cui avviene la frattura si forma
una faglia.
sforzo
160
Le onde sismiche che partono dall’ipocentro
sono:
•onde P, longitudinali o di compressione, sono
le più veloci; provocano una variazione di volu­
me del materiale attraversato; possono propa­
garsi nei materiali allo stato solido e fluido;
•onde S, trasversali o di distorsione, si muo­
vono più lentamente; provocano una varia­
zione di forma del materiale attraversato;
non possono propagarsi nei fluidi.
Le onde L o superficiali si generano in corrispon­
denza dell’epicentro, quando le onde P ed S rag­
giungono la superficie; poiché tali onde si propaga­
no in superficie e la loro energia si disperde molto
lentamente con la distanza, esse sono le maggiori
responsabili dei danni provocati dai terremoti.
La velocità delle onde sismiche varia in funzione
dello stato fisico e della composizione delle roc­
ce attraversate. Vengono registrate con strumen­
ti detti sismografi. La registrazione delle onde
prodotte da un sisma è detta sismogramma.
La forza di un terremoto viene attualmente
valutata utilizzando due tipi di scale sismiche.
•La scala delle intensità più adottata è la
scala mcs, che assegna a ogni sisma un gra­
do di intensità variabile da I a XII, sulla base
degli effetti che le scosse producono in su­
perficie. L’intensità di un terremoto non mi­
sura la sua energia, perché i danni possono
dipendere da molti fattori.
•La scala delle magnitudo, o scala Richter,
è basata sulla determinazione della magnitudo di un terremoto, stabilita confrontando
l’ampiezza massima delle oscillazioni registrate
da un sismografo della stazione di rilevamento
e l’ampiezza massima delle oscillazioni di un
sismogramma standard, utilizzato come unità
di misura. La scala delle magnitudo è una scala
logaritmica, i cui valori vengono rilevati con
strumenti e non dipendono dalla distanza del­
la stazione di rilevamento dall’epicentro.
Nei confronti dei terremoti si può effettuare:
•una previsione probabilistica, calcolando
il pericolo sismico, che corrisponde alla
probabilità che si verifichi in quell’area, in un
certo intervallo di tempo, un terremoto in
grado di causare danni. Sulla base delle in­
formazioni raccolte, si elaborano carte della
pericolosità sismica;
•una previsione deterministica, cercando
di localizzare e monitorare le faglie attive e
valutando segnali premonitori.
Nell’ambito della prevenzione antisismica, è
bene valutare il rischio sismico di una regio­
ne considerando tre fattori:
•il pericolo sismico
•la vulnerabilità
•l’esposizione.
In base alla valutazione dei tre fattori, si costrui­
scono carte del rischio sismico, si elabora
una normativa antisismica per la realizzazio­
ne degli opere architettoniche, e si predispon­
gono piani di evacuazione e di soccorso
delle popolazioni.
Il pericolo e il rischio sismico in Italia sono
piuttosto elevati in quanto la penisola è situata
in una zona geologicamente attiva e di forma­
zione relativamente recente.
7 I fenomeni sismici
© SEI – 2012
VERIFICA
Definisci
ipocentro, epicentro, faglia, onde sismiche, sismografo, sismo­
gramma, dromocroma, maremoto, intensità, magnitudo.
Stabilisci quali affermazioni sono vere e quali false
1 Le onde sismiche P ed S si muovono con velocità
variabile, che dipende dal mezzo attraversato.
2 Due terremoti con uguale magnitudo
hanno uguale intensità.
3 Due terremoti con uguale magnitudo
liberano la stessa quantità di energia.
4 I terremoti tettonici che si verificano lungo
la medesima faglia hanno in genere ipocentro diverso.
5 Un terremoto di magnitudo 2
è 100 volte meno forte di uno di magnitudo 4.
6 Le onde L partono dall’ipocentro.
7 Le onde sismiche si propagano in linea retta
in un mezzo a densità e composizione costante.
8 L’epicentro è il luogo della superficie terrestre
in cui l’intensità di un terremoto è massima.
9 Le onde S si propagano nei liquidi,
mentre le onde L no.
10 I maremoti sono sismi con ipocentro in mare aperto.
V
F
V
F
V
F
V
F
V
F
V
V
F
V
F
V F
V
determinano nel tempo una lenta deformazione delle masse
rocciose che accumulano ...............................................................................
Quando si supera il ........................................................ di .................................
....................... dei materiali, i due blocchi si ..................................................
..................... e il punto di rottura diventa l’...................................................
di un .........................................................
5 Anche se i terremoti tettonici si verificano ripetutamente lungo
le .................................................................................... attive, non si può pre­
vedere in modo ........................................................................................................
né la collocazione dell’.............................................................................., né il
................................................................, né l’........................................................ che
potrebbe liberare un futuro terremoto; è possibile, invece, ef­
fettuare un’opera di prevenzione valutando il .....................................
........................................... sismico di una regione in base a tre fattori:
...................................................................., .....................................................................
e .........................................................
F
F
Completa le frasi
1 Le onde sismiche S provocano nei materiali che attraversano
..................................................... delle particelle ...................................................
alla direzione di ............................................................................ dell’onda.
Attraversano i materiali ............................................................., causando
una variazione di ........................................................................ dei “cubetti”
di roccia attraversati.
2 Le onde P sono anche chiamate onde di ................................................
................................, perché al loro passaggio ogni “cubetto” di roc­
cia subisce una variazione di ....................................................................... e
di .........................................................
3 Quando le onde ......................................... e .........................................., che
partono dall’ipocentro, giungono in superficie generano le
onde ..........................................., che partono dall’............................................
............................ e si propagano lungo la ........................................................
Onde simili si generano anche all’interno della Terra ogni volta
che le onde ......................................... e ......................................... passano
da uno strato a un altro con caratteristiche diverse.
4 Secondo la teoria del rimbalzo elastico, i terremoti .........................
............................... ........................................................ sono associati ai movi­
menti delle .............................................................., che sono ............................
................................. lungo i cui piani avviene uno ........................................
.......................... relativo delle masse rocciose. Le ......................................
.................................., che agiscono lentamente in senso opposto
sulle masse rocciose ai due lati della ......................................................,
Scegli il completamento corretto
1 L’ipocentro di un sisma:
a si colloca quasi sempre a profondità superiore ai 300 km.
b se ha profondità 0 km coincide con l’epicentro.
c è il punto in superficie in cui le scosse sono più violente.
d è il punto da cui partono le onde P, mentre le onde S ed L
partono dall’epicentro.
2 Secondo la teoria del rimbalzo elastico:
a tutti i terremoti si verificano lungo le faglie.
b i terremoti tettonici liberano l’energia accumulata nella
lenta deformazione delle rocce, causata dalle deformazio­
ni ai lati delle faglie.
c c’è una relazione di causa-effetto tra vulcani e terremoti
tettonici.
d tutte le fratture della crosta possono generare terremoti.
3 L’epicentro di un terremoto:
a non si può rilevare senza conoscere l’intensità del sisma
secondo la scala mcs.
b si determina da una stazione di rilevamento disponendo di
tre sismografi.
c si determina solo se si dispone dei sismogrammi di alme­
no tre diverse stazioni di rilevamento.
d è il punto della superficie terrestre in cui il terremoto ha
magnitudo maggiore.
4 Le onde P:
a hanno velocità costante.
b poiché si propagano solo all’interno della Terra, non ven­
gono registrate dai sismografi.
c raggiungono l’epicentro insieme alle onde S, generando
poi le onde superficiali L.
d sui sismogrammi sono tanto più distanziate dalle onde S
quanto maggiore è la distanza dell’epicentro dalla stazio­
ne di rilevamento.
161
162
I FENOMENI ENDOGENI
5 Due terremoti:
a se si verificano lungo la medesima faglia, hanno la stessa
magnitudo.
b hanno la stessa intensità, se producono sismogrammi uguali.
c possono avere la medesima intensità, ma diversa magnitudo.
d non possono avere la medesima intensità se hanno diversa
magnitudo.
6 L’epicentro di un terremoto è:
a il luogo da cui partono le onde P e S.
b collocato nella crosta, sempre in prossimità di una faglia.
c il punto più vicino all’ipocentro.
d il punto da cui partono le onde L.
7 Relativamente alle onde sismiche si può dire che:
a sono onde di tipo elettromagnetico che subiscono fenomeni
di rifrazione e riflessione.
b sono onde di tipo elastico, perché deformano solo momen­
taneamente i materiali che attraversano.
c non si possono propagare sulla superficie terrestre.
d non possono essere registrate a grande distanza dall’epicentro.
8 I terremoti tettonici:
a si verificano sempre nei medesimi punti della superficie
terrestre.
b sono frequenti nella cintura di fuoco circumpacifica.
c sono distribuiti a caso sulla superficie terrestre.
d hanno tutti ipocentro compreso tra 1 e 50 km di profondità.
9 Le dromocrone sono:
a dei sismogrammi particolari, utilizzati per stabilire la distan­
za di una stazione dall’epicentro di un terremoto.
b curve che rappresentano la velocità di propagazione delle
onde sismiche P e S in una data regione.
c curve che rappresentano la velocità di propagazione delle
onde L in una data regione.
d curve che rappresentano la velocità di propagazione delle
onde sismiche P in una data regione.
Individua il completamento sbagliato e correggilo
1 Sono da considerarsi zone asismiche:
a le zone in cui i terremoti non si sono mai verificati o sono
stati eventi rarissimi.
b le zone dei fondali oceanici comprese tra dorsale e margi­
ne continentale.
c le aree più antiche e centrali dei continenti.
d le dorsali oceaniche.
2 Sono terremoti a ipocentro superficiale:
a i terremoti il cui ipocentro si colloca a una profondità compre­
sa tra 0 e 70 km.
b i terremoti tettonici.
c i terremoti che si verificano lungo l’asse delle dorsali oceaniche.
d più della metà dei terremoti che si verificano in un anno.
3 Secondo la scala mcs:
a l’intensità di un sisma decresce allontanandosi dall’epicentro.
b per calcolare l’intensità di un sisma non è necessario disporre
dei dati forniti dai sismogrammi.
c l’energia di un sisma di VIII grado è 10 volte superiore all’ener­
gia di un sisma di VII.
d si indica come intensità di un terremoto il valore massimo rilevato.
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Osserva il grafico e rispondi alle domande
sismogramma B
25
S
sismogramma onda
B
sismogramma A
25
20
onda S
sismogramma A
intervallo
di 11 min
20
15
intervallo
di onda
11 minP
15
10
onda P
10
5
intervallo
di 3 min
5
0
0
2000intervallo4000
di 3 min
6000
8000
10 000
0
2000
6000
8000
10 000
0
4000
sismogramma C
0
5
sismogramma C
10
15
20
25
tempo (min)
1 Quali dati sono riportati sull’asse delle ascisse e sull’asse del­
0
5
10
15
20
25
tempo (min)
le ordinate?
2 Quanto tempo impiegano approssimativamente le onde P per
raggiungere una stazione di rilevamento distante 2000 km
dall’epicentro? Quanto tempo approssimativamente impiega­
no le onde S per raggiungere la medesima stazione?
3 Quanto tempo impiegano approssimativamente le onde P per
raggiungere una stazione di rilevamento distante 11 000 km
dall’epicentro? Quanto tempo approssimativamente impiega­
no le onde S per raggiungere la medesima stazione?
4 Il sismogramma C si riferisce a un terremoto che viene regi­
strato in una stazione di rilevamento. Quanto dista la stazione
dall’epicentro di questo terremoto? Quale ritardo hanno in que­
sto caso le onde S rispetto alle onde P?
Rispondi alle domande
1 In che modo, secondo la teoria del rimbalzo elastico, si genera
un terremoto?
2 Come vengono classificati i terremoti?
3 Descrivi le differenze tra le onde P, S, L.
4 Spiega il principio sul quale si basa il funzionamento di un si­
smografo. Quanti sismografi sono necessari in una stazione di
rilevamento per analizzare in modo completo i movimenti del
suolo prodotti dalle scosse sismiche?
5 Quali sono le principali differenze tra le scale mcs e Richter?
6 Quali princìpi regolano la propagazione delle onde sismiche?
7 I danni provocati da un sisma sono una diretta conseguenza
dell’energia liberata, ma non permettono di valutarla in modo
significativo. Spiega perché.
8 Per quale motivo un sisma di magnitudo 5 è 10 volte più forte
di un sisma di magnitudo 4?
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