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LA SINDROME DI BUDD – CHIARI M. Picciotto

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LA SINDROME DI BUDD – CHIARI M. Picciotto
Editoriali
La sindrome di Budd-Chiari
Antonino Picciotto
(Ann Ital Med Int 2004; 19: I-III)
Il caso clinico presentato in questo numero di Annali da
Bragagni et al.1 ci permette di focalizzare una patologia
non frequente la cui diagnosi e gestione sono ancora oggetto di dibattito2.
Per sindrome di Budd-Chiari si definisce un’ostruzione al flusso venoso epatico che avvenga a qualsiasi livello, dalle piccole vene epatiche sino alla vena cava inferiore
ed all’atrio destro3. La definizione esclude la malattia veno-occlusiva epatica (ostruzione non trombotica dei sinusoidi o delle vene centrolobulari conseguente a danno
tossico delle pareti) e la patologia cardiaca.
Dal punto di vista emodinamico la sindrome è caratterizzata da un’aumentata pressione nei sinusoidi epatici e
quindi da ipertensione portale. Nelle fasi iniziali la perfusione venosa portale è diminuita per cui potrebbe manifestarsi trombosi portale4. La stasi e la congestione venosa determinano un danno ipossico parenchimale e
l’ischemia porta ad un rilascio di radicali liberi e ad un danno ossidativo delle cellule. La conseguenza di questi meccanismi è la necrosi degli epatociti nelle zone centrolobulari, la progressiva fibrosi, l’iperplasia rigenerativa nodulare ed infine la cirrosi. La creazione di uno shunt
portosistemico o lo sviluppo di circoli collaterali, riducendo
la pressione sinusoidale, possono indurre un miglioramento della funzione epatica.
La sindrome di Budd-Chiari può essere causata da vari fattori (Tab. I) che possono essere identificati in circa
il 75% dei pazienti5. La concomitante presenza di più di
un fattore come nel caso descritto da Bragagni et al.1 è documentata in un numero crescente di pazienti6. Le emopatie, in particolare i disordini mieloproliferativi, sono le
cause più comuni. La policitemia vera è responsabile del
10-40% dei casi mentre la trombocitemia essenziale e la
mielofibrosi sono meno prevalenti. È di rilievo il ruolo che
giocano gli stati trombofilici sia ereditari che acquisiti (deficit di antitrombina III, proteina C, proteina S, sindrome
da antifosfolipidi) in alcuni casi associati ai disordini
mieloproliferativi6.
TABELLA I. Cause di sindrome di Budd-Chiari.
Stati di ipercoagulabilità
Ereditari
Deficit di antitrombina III
Deficit di proteina C
Deficit di proteina S
Mutazione del fattore V di Leiden
Acquisiti
Malattie mieloproliferative
Emoglobinuria parossistica notturna
Sindrome da anticorpi antifosfolipidi
Neoplasia
Gravidanza
Contraccettivi orali
Invasione neoplastica
Epatocarcinoma
Carcinoma renale
Carcinoma surrenale
Cause varie
Aspergillosi
Sindrome di Behçet
Briglie o membrane della vena cava inferiore
Traumi
Malattie infiammatorie intestinali
Terapia con dacarbazina
Idiopatica
La presentazione clinica è eterogenea e dipende
dall’estensione e dalla rapidità dell’ostruzione venosa e
dall’eventuale sviluppo di circoli collaterali. Anche se
non vi è ancora pieno consenso sulla classificazione della severità della malattia3, la sindrome può essere distinta in fulminante (encefalopatia portosistemica entro 8 settimane dallo sviluppo di ittero), acuta (ascite intrattabile,
necrosi epatica senza formazione di circoli collaterali), subacuta (la più comune, con esordio insidioso, modesta
ascite e necrosi epatica, sviluppo di circoli collaterali) e
cronica (si manifesta come una cirrosi complicata)5.
Poiché la sindrome può essere rapidamente progressiva è indispensabile ottenere correttamente e urgentemente
la diagnosi. Questa dovrebbe sempre essere sospettata in
caso di: a) presenza simultanea di ascite, epatomegalia e
dolore ai quadranti superiori dell’addome; b) pazienti con
epatopatia cronica in cui la presenza di ascite intrattabile
contrasta con l’evidenza di test epatici modicamente al-
U.O. di Medicina Interna ad Orientamento Immunologico (Direttore:
Prof. Francesco Indiveri), Dipartimento di Medicina Interna e
Specialità Mediche, Università degli Studi di Genova
I
Ann Ital Med Int Vol 19, N 3 Luglio-Settembre 2004
terati; c) documentata epatopatia in un paziente in cui è nota una trombofilia; d) insufficienza epatica acuta associata
ad epatomegalia ed ascite; e) epatopatia cronica ad eziologia non identificata. La conferma diagnostica è ottenuta dalla dimostrazione dell’ostruzione del flusso venoso
attraverso le tecniche per immagine (Fig. 1). L’ecotomografia epatica con Doppler ha una sensibilità e specificità
di oltre il 75% ed è l’esame strumentale di prima scelta7.
La mancata visualizzazione o la tortuosità delle vene epatiche è comune ma non specifica poiché può essere vista
anche nella cirrosi avanzata. In caso di incertezza diagnostica si deve ricorrere alla tomografia computerizzata o preferibilmente alla risonanza magnetica nucleare.
Questa permette di visualizzare meglio l’intera lunghezza della vena cava inferiore e di distinguere la forma acuta dalle forme subacute e croniche8. Il terzo livello diagnostico è rappresentato dalla venografia con biopsia che
permette di escludere, in caso di dubbio, una malattia veno-occlusiva o una cirrosi di altra eziologia9.
Un algoritmo terapeutico proposto dall’European Group
for the Study of Vascular Disorders of the Liver è rappresentato nella figura 22,3. Oltre alla gestione dei fattori
eziologici, la terapia anticoagulante è da prendere sempre
in considerazione sia per la frequente presenza di uno
stato trombofilico che per l’evidenza di un miglioramento della prognosi con il suo impiego generalizzato10. Nei
pazienti sintomatici si devono trattare l’ascite (diuretici,
paracentesi) e le varici esofagee (farmaci, terapia endoscopica). L’insuccesso terapeutico o la recidiva del quadro clinico indicano di ricorrere sequenzialmente all’angioplastica con trombolisi, allo shunt transgiugulare portosistemico preferito a quello chirurgico per la minore in-
FIGURA 1. Flow-chart diagnostica strumentale.
cidenza di mortalità ed infine al trapianto di fegato.
Tuttavia questo algoritmo rimane argomento di dibattito:
lo shunt transgiugulare portosistemico, invece dell’angioplastica, è stato proposto nei pazienti con breve stenosi
ed il trapianto di fegato come prima procedura terapeutica nei pazienti con severa epatopatia.
La sindrome di Budd-Chiari è una patologia in cui la diagnosi e la terapia sono ancora oggetto di controversie che
possono essere superate attraverso studi prospettici multicentrici che forniscano solidi risultati e quindi chiare linee guida. L’approccio alla malattia deve essere multidisciplinare con la stretta collaborazione dell’internista, del
radiologo ed eventualmente del chirurgo. L’internista ha
il difficile compito di formulare il sospetto diagnostico soprattutto in quei casi ad insorgenza subdola ed atipica.
FIGURA 2. Approccio terapeutico al paziente con sindrome di Budd-Chiari.
TIPS = shunt transgiugulare portosistemico.
II
Antonino Picciotto
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III
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