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La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico

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La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
Capitolo8
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
In questo capitolo consideriamo il saldo del bilancio pubblico in un contesto di
lungo periodo, analizzando gli effetti che si protraggono nel tempo della politica fiscale
espansiva che determina un deficit di bilancio pubblico. Oltre agli effetti di breve
periodo, relativi all’aumento di reddito ed allo spiazzamento degli investimenti privati,
l’esistenza di un disavanzo di bilancio produce degli effetti che si protraggono nel
tempo. Tali effetti sono studiati introducendo nell’analisi il vincolo di bilancio del
settore pubblico, vincolo che si pone perché la presenza di un disavanzo richiede che
questo venga finanziato attraverso l’emissione di moneta o di titoli del debito pubblico.
Nel caso di finanziamento con titoli, si rafforza la possibilità che l’aumento della spesa
pubblica determini uno spiazzamento del settore privato.
Inoltre, in un’ottica di lungo periodo, occorre considerare che il finanziamento
del disavanzo di bilancio con emissione di titoli del debito pubblico comporta la
necessità di pagare degli interessi su tale debito, interessi che costituiscono un’ulteriore
uscita dal bilancio dello Stato e vanno ad incrementare il disavanzo di bilancio. Tali
pagamenti per interessi permangono fino a quando il debito pubblico non viene estinto.
Infine, il perdurare nel tempo dei disavanzi pubblici dà luogo a flussi continui di
debito che si aggiungono allo stock già esistente di debito. La crescita del debito
pubblico non può però continuare senza limiti: il sistema economico deve rispettare le
condizioni che garantiscono la sostenibilità nel tempo del debito pubblico. La presenza
di un limite alla crescita del debito pubblico rappresenta un vincolo alla conduzione
della politica fiscale, ma può rappresentare anche un vincolo per la possibilità di
condurre autonome politiche monetarie.
1. – Il vincolo di bilancio pubblico e gli effetti di lungo periodo
In questo paragrafo studiamo le implicazioni per l’efficacia della politica fiscale
della presenza del vincolo di bilancio del settore pubblico. Inserire nell’analisi il vincolo
del bilancio pubblico significa tener conto che ogni deficit corrente deve essere
finanziato con emissione di titoli del debito pubblico o con emissione di base monetaria
da parte della banca centrale. Sulla parte di deficit finanziato con emissione di titoli del
debito pubblico occorre pagare un rendimento dato dal tasso di interesse. Pertanto
l’analisi si deve estendere al di là del breve periodo keynesiano: fino a quando il
bilancio pubblico non è in pareggio, vi sono effetti sul sistema economico che non
risulta quindi in equilibrio.
Infatti, in presenza di disavanzo pubblico, nel sistema economico aumenta lo
stock di titoli detenuto dal settore privato oppure aumenta lo stock di moneta. Poiché
titoli e moneta sono grandezze nominali, le trasformiamo in grandezze reali,
comparabili con G e T, dividendole per il livello dei prezzi P. Per semplificare l’analisi,
1
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
assumiamo che il livello dei prezzi non vari, e quindi poniamo P = cos t = 1 . In termini
generali, possiamo adesso scrivere il saldo del bilancio dello Stato per l’anno t = 0 ,
esplicitando la spesa per gli interessi sul debito pubblico, scorporandola dalla spesa
pubblica, ed esplicitando altresì le possibili modalità di finanziamento di tale saldo:
[1.1]
D0 ≡ G0 − T0 − t0 (Y + iB0 ) ≡ ∆M + ∆B
dove il pedice relativo alle diverse variabili indica il periodo di tempo nel quale
misuriamo la variabile stessa. Nell’equazione [1.1] B0 rappresenta lo stock di titoli
pubblici in essere all’inizio dell’anno, i è il tasso di interesse nominale1 e iB0 è
l’ammontare degli interessi sul debito che devono essere pagati nell’anno.2 Rispetto
all’equazione [2.3] del Capitolo 7, abbiamo introdotto esplicitamente le uscite dal
bilancio pubblico per il pagamento degli interessi sullo stock del debito. Abbiamo anche
ipotizzato che gli interessi percepiti dalla detenzione del debito pubblico siano soggetti a
tassazione in quanto costituiscono parte del reddito del settore privato.3 L’equazione
[1.1] mette chiaramente in evidenza che un saldo non nullo del bilancio pubblico
(D ≠ 0) comporta una variazione nello stock di moneta (∆M ) e/o nello stock del debito
pubblico (∆B ) . Tali variazioni determinano degli effetti sul sistema economico, che
sono l’oggetto dell’analisi del presente paragrafo. L’analisi svolta in precedenza viene
quindi arricchita, nel senso che non si considerano soltanto gli effetti d’impatto delle
politiche fiscali, ma anche quelle di più lungo periodo. Infatti, come illustrato in
precedenza, una politica fiscale espansiva provoca comunque un peggioramento del
saldo del bilancio dello Stato, anche se fa aumentare il reddito nazionale e quindi le
entrate fiscali legate al reddito. L’analisi di questo paragrafo tiene conto del fatto che gli
effetti di tale politica si protraggono nel tempo, nel senso che, fino a quando il bilancio
pubblico rimane in disavanzo, si continuano a produrre effetti economici sul resto
dell’economia legati al finanziamento del disavanzo, cioè alla crescita dello stock di
titoli del debito pubblico o dello stock di moneta. In sostanza, introduciamo nell’analisi
il vincolo intertemporale del bilancio pubblico che tiene conto del fatto che il soggetto
pubblico, al pari dei soggetti privati, non può spendere indefinitamente al di là delle
risorse a sua disposizione: se per alcuni periodi di tempo ciò avviene e il soggetto
pubblico si indebita, in altri esso deve ‘risparmiare’ per restituire il debito contratto.4 Il
bilancio pubblico, nel complesso della vita dello Stato, deve risultare in pareggio.
L’analisi sarà condotta assumendo che non sia possibile un finanziamento
monetario del deficit pubblico, cosicché ∆M = 0 . Tale scelta dipende da due
motivazioni:
1
Nella nostra analisi, il tasso di interesse nominale coincide con quello reale, data la costanza del livello
dei prezzi. Infatti, si ricordi che la relazione tra i due tassi è r = i − π , dove con r indichiamo il tasso di
interesse reale e con π il tasso di inflazione. Per l’ipotesi sulla costanza del livello dei prezzi, il tasso di
inflazione è nullo e il tasso di interesse nominale e quello reale quindi coincidono.
2
Assumiamo che i titoli pubblici siano titoli di durata annuale su cui si paga un interesse nominale pari ad
i.
3
La corrispondente equazione della tassazione è pertanto: T = T0 + t0 (Y + iB0 ) .
4
Lo studente faccia riferimento all’analisi microeconomica della scelta tra consumo presente e consumo
futuro.
2
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
a) la prima è che, nell’ambito del dibattito tra economisti keynesiani e monetaristi circa
l’efficacia relativa della politica monetaria rispetto alla politica fiscale, il confronto
più significativo è quello tra la politica monetaria e la politica fiscale “pura”. La tesi
monetarista più estrema è che la politica fiscale è inefficace nel determinare
variazioni di reddito, perché la spesa pubblica “spiazza” totalmente la spesa privata.
b) La seconda motivazione è legata ai limiti esistenti nella possibilità di un
finanziamento monetario dei disavanzi pubblici. In generale, la Banca Centrale può
acquistare titoli del debito pubblico al momento della sua emissione (si parla in
questo caso di acquisti sul mercato primario) emettendo moneta che viene versata
all’amministrazione pubblica. In tal modo aumenta la base monetaria e la quantità di
moneta in circolazione nell’economia. In Italia, fino al 1981 la Banca d’Italia era
tenuta ad acquistare tutti i nuovi titoli emessi dallo Stato che risultassero invenduti.
Tale obbligo è cessato nel 1981,5 anno di massimo tasso di inflazione del dopoguerra
(oltre il 20% annuo): da quel momento, la creazione di moneta legata al
finanziamento monetario del deficit pubblico ha risposto alle esigenze della Banca
Centrale e non a quelle del governo. Con il Trattato di Maastricht, in vista della
nascita dell’Unione Monetaria Europea, dal 1993 è stato inoltre stabilito il divieto del
finanziamento monetario dei deficit pubblici dei paesi membri.
Per l’ipotesi di esclusivo finanziamento con titoli, l’equazione [1.1] deve quindi
essere riformulata come segue:
[1.2]
D0 ≡ G0 − T0 − t0 (Y + iB0 ) ≡ ∆M + ∆B
1.1 – La politica fiscale finanziata con emissione di titoli
Esaminiamo nuovamente le conseguenze di un aumento della spesa pubblica
finanziato con emissione di titoli del debito pubblico facendo riferimento al modello ISLM. La considerazione, all’interno di questo modello, del vincolo di bilancio pubblico
rende intrinsecamente dinamico il modello IS-LM: l’equilibrio macroeconomico tra IS e
LM può essere definito soltanto se il saldo del bilancio pubblico è nullo, e non varia
quindi la spesa per interessi sul debito pubblico, che rappresenta una parte del reddito
del settore privato.
Come abbiamo visto nel Capitolo 2, quando lo Stato ricorre al finanziamento
con titoli pubblici si verifica normalmente il fenomeno del parziale spiazzamento della
spesa privata da parte di quella pubblica, fenomeno messo in moto dall’aumento del
tasso di interesse. Dall’analisi del Capitolo 7, inoltre, è emerso che l’effetto
spiazzamento può essere rafforzato dalla presenza degli effetti ricchezza. La
considerazione del vincolo di bilancio pubblico rende l’analisi più complessa di quella
condotta in precedenza; cercheremo comunque di darne una illustrazione semplificata.
Per chiarezza espositiva, ipotizziamo una situazione iniziale in cui il bilancio
pubblico sia in pareggio. L’equazione [1.2] diventa quindi
[1.3]
(G 0 + iB 0 ) − T0 − t 0 (Y0 + iB 0 ) = 0
5
Si è parlato in quell’occasione di “divorzio” tra Banca Centrale e Governo.
3
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Capitolo 8
Esaminiamo ora le conseguenze di un aumento della spesa pubblica finanziato
con emissione di titoli del debito pubblico. Facciamo riferimento alla figura 7 del
Capitolo 2, che riportiamo per comodità nella figura 1.
In corrispondenza del punto di equilibrio E1 che si raggiunge a seguito
dell’aumento della spesa pubblica, si determina un deficit del bilancio pubblico:
abbiamo già illustrato che, dopo l’aumento esogeno della spesa pubblica, il maggiore
livello delle imposte, frutto del maggiore livello di domanda aggregata e di produzione,
è comunque inferiore all’incremento della spesa pubblica.
i
LM
E1
i1
i0
E0
IS1
IS
Y0
Y1
Y
Figura 1 – Effetti di breve periodo di una politica fiscale “pura”
Assumiamo che tale deficit venga finanziato ricorrendo al collocamento di titoli
del debito pubblico presso il settore privato. Il vincolo di bilancio pubblico in questo
caso diventa:
[1.4]
(G 1 + iB 0 ) − T0 − t 0 (Y0 + iB 0 ) = ∆ B
dove ∆B indica la variazione nello stock del debito. Mentre l’aumento della spesa
pubblica può aver luogo una volta per tutte, il deficit che esso provoca permane nel
tempo e richiede la continua emissione di titoli. Tali emissioni hanno diversi effetti. Da
una parte – data l’offerta di moneta6 – essi portano a spostamenti continui della curva IS
verso destra, in quanto la spesa per il pagamento degli interessi può essere interpretata
alla stregua dei trasferimenti dal bilancio pubblico. Essi vanno ad aumentare il reddito
disponibile del settore privato, che diventa quindi:
Y D = Y + iB − T0 − t0 (Y + iB) = (1 − t0 )(Y + iB) − T0 .
e dunque, man mano che si verificano uscite dal bilancio pubblico per interessi, esse
producono ulteriori spostamenti a destra della curva IS. I successivi equilibri
macroeconomici sono caratterizzati da livelli crescenti del tasso di interesse e
conseguente ulteriore spiazzamento degli investimenti privati. Dall’altra parte, le
emissioni di titoli, a seguito del permanere del deficit, aumentano le uscite dal bilancio
pubblico per il pagamento degli interessi, anche se in parte compensate dal
6
Che per ipotesi non varia, poiché il finanziamento del disavanzo avviene attraverso il debito pubblico.
4
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Capitolo 8
contemporaneo aumento delle entrate fiscali legato all’aumento del reddito disponibile
grazie ai maggiori interessi percepiti.
In termini grafici, nella figura 2(a) all’iniziale spostamento a destra della retta IS
dovuto all’aumento della spesa pubblica, si aggiungono spostamenti successivi della
stessa retta, fino a quando continua ad aumentare il pagamento degli interessi; tali
spostamenti sono indicati attraverso le frecce nella figura. Nella figura 2(b) l’iniziale
equilibrio del bilancio pubblico si modifica per lo spostamento verso l’alto della retta
delle uscite del bilancio pubblico, G + iB , inizialmente per l’aumento della spesa
pubblica ( G1 > G 0 ) e successivamente per il crescente onere degli interessi sul debito
pubblico ( iB0 < iB1 < iB 2 < ... ). Infatti, fino a quando permane il disavanzo di bilancio,
lo stock del debito pubblico continua ad aumentare7 e l’ammontare complessivo delle
uscite pubbliche per interessi cresce.
i
LM
E1
i1
i0
E0
IS’’
IS
IS’
Y0
Y
Y1
Figura 2(a)
T, G
T
G1+iB1
G1+iB0
G0+iB0
D
AE
T0
Y0
Y1
Y
Figura 2(b) – Effetti di medio periodo di una politica fiscale “pura”
7
Anche a parità del tasso di interesse, ma a maggior ragione qualora il tasso di interesse fosse crescente
per consentire di collocare sul mercato uno stock crescente del debito.
5
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
Il disavanzo del bilancio pubblico è alimentato ora da due fonti: l’incremento
iniziale della spesa pubblica, che è solo parzialmente colmato attraverso l’incremento
delle entrate fiscali legate all’incremento di reddito, e l’onere del pagamento degli
interessi sul debito pubblico, che deve anch’esso essere colmato attraverso l’incremento
delle entrate fiscali legate all’incremento di reddito; poiché il pagamento degli interessi
va a incrementare il reddito del settore privato, le entrate fiscali sono legate anche agli
interessi sul debito pubblico ed aumentano di conseguenza.
Affinché tale processo di incremento dello stock del debito e della spesa per
interessi abbia termine, occorre che in un certo momento futuro il saldo di bilancio
pubblico torni in pareggio, cioè occorre che il livello di reddito cresca a sufficienza da
generare entrate fiscali aggiuntive che ripristinino l’equilibrio del bilancio pubblico.8
Infatti, fino a quando il bilancio pubblico rimane in deficit, nuovi titoli devono essere
emessi e su di essi si pagano ulteriori interessi.
Possiamo calcolare di quanto dovrebbe aumentare il reddito per riportare il
bilancio pubblico in equilibrio, dopo lo squilibrio generato dall’aumento della spesa
pubblica. In altri termini, teniamo conto del vincolo intertemporale di bilancio pubblico
e definiamo quale livello di reddito permette di rispettarlo. Partiamo dalla condizione
iniziale di equilibrio del bilancio pubblico (equazione [1.3]) e la riesprimiamo come:
[1.5]
G 0 − T0 − t 0 Y + i (1 − t 0 )B 0 = 0
da cui otteniamo il livello di reddito che inizialmente garantisce il saldo nullo del
bilancio pubblico:
[1.6]
Y0 =
1
[G0 − T0 + i(1 − t0 )B0 ]
t0
Calcoliamo ora la variazione del reddito necessaria a garantire il pareggio del
saldo di bilancio pubblico considerando che, a seguito della variazione della spesa
pubblica, varia anche lo stock del debito:
1
[∆G + i (1 − t0 )∆B]
t0
Dalla [1.7] appare chiaramente che l’incremento di reddito necessario per
ottenere il pareggio di bilancio tiene conto di entrambe le cause del disavanzo:
l’incremento della spesa pubblica e l’incremento dell’onere degli interessi (al netto della
tassazione su di essi) sul debito emesso per finanziare il disavanzo creato con
l’incremento di spesa pubblica.9
[1.7]
∆Y =
8
Altra questione, che sarà affrontata nel paragrafo 3, è quella del rientro del debito pubblico, cioè della
riduzione e dell’eventuale annullamento dello stock di debito accumulato nel tempo.
9
Qualora fosse possibile il finanziamento monetario del disavanzo creato con l’incremento di spesa
pubblica, l’aumento di reddito necessario a riportare il bilancio pubblico in equilibrio sarebbe minore, in
1
quanto l’equazione [1.7], per ∆B = 0 , diventa ∆Y = ∆G . Quest’ultima equazione, espressa come
t0
t0 ∆Y = ∆G , mostra chiaramente che - per riportare in pareggio il bilancio pubblico - un dato aumento di
spesa pubblica deve generare nel tempo entrate fiscali di pari ammontare. In caso di finanziamento con
titoli, invece, al fine di raggiungere il pareggio di bilancio, le entrate fiscali generate dallo stesso
incremento di spesa pubblica devono essere maggiori, poiché devono essere considerati anche i
pagamenti per interessi (al netto della tassazione su di essi).
6
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Capitolo 8
Il problema è che con il finanziamento con titoli il sistema economico potrebbe
non tornare più ad una situazione di bilancio pubblico in pareggio. In altri termini, non è
detto che l’incremento delle entrate fiscali conseguenti all’aumento del reddito (dovuto
all’aumento iniziale della spesa pubblica ed a quelli successivi per pagamento degli
interessi) risulti maggiore dell’incremento delle uscite di bilancio legato alla spesa
pubblica ed al pagamento degli interessi. In termini analitici, partendo dal bilancio in
pareggio iniziale (equazione [1.5]) la condizione di equilibrio finale richiede che
l’insieme delle variazioni della spesa pubblica, della spesa per interessi e delle entrate
fiscali legate al reddito10 mantenga il saldo nullo del bilancio:
∆G − t0 ∆Y + i (1 − t0 )∆B = 0
[1.8]
Se il reddito non crescesse a sufficienza, la presenza del disavanzo si tradurrebbe
in una crescita senza limiti del disavanzo e dello stock del debito. In ogni periodo,
infatti, l’indebitamento pubblico deve aumentare per finanziare sia la parte della
maggiore spesa pubblica non compensata dall’aumento delle entrate fiscali, sia il
pagamento degli interessi sullo stock del debito esistente. Ma ciò dà luogo, nel periodo
successivo, ad un aumento della spesa per interessi e quindi ad una nuova emissione di
titoli, e così via. Si tratta del processo di autoalimentazione del debito, le cui
conseguenze saranno analizzate successivamente.
Esempio numerico
Si consideri un sistema economico caratterizzato dai seguenti dati della
politica fiscale: t0=0,25; T0=50; G0=235; B0=1.200. Assumiamo inoltre che il
tasso di interesse sia i=0,03. Applicando la formula dell’equazione [1.6], si
trova il livello di reddito che garantisce il saldo nullo del bilancio dello Stato:
Y0 =
1
[235 − 50 + 0 ,03 ⋅ (1 − 0 ,25 ) ⋅ 1200 ] = 848 .
0 , 25
Assumiamo ora che la spesa pubblica aumenti di ∆ G = 15 , portando il suo
livello a G1=250. Fermi restando tutti gli altri dati, al fine di mantenere il
bilancio pubblico in pareggio, il reddito deve aumentare di
∆Y =
1
[15 + 0 ,03 ⋅ (1 − 0 , 25 ) ⋅ 15 ] = 61,35
0 , 25
Qualora fosse invece possibile finanziare l’incremento della spesa pubblica
con emissione di base monetaria, non sarebbero presenti aggravi nell’onere
del pagamento degli interessi. In tal caso, l’aumento di reddito necessario a
riportare il bilancio pubblico in pareggio sarebbe inferiore:
∆Y =
1
[15 ] = 60
0 , 25
Ne segue che il finanziamento del disavanzo con emissione di titoli del debito
pubblico risulta in equilibrio può espansivo rispetto al finanziamento
monetario; il problema è che tale tipo di finanziamento può risultare instabile,
non in grado cioè di riportare in pareggio il saldo di bilancio dello Stato.
10
Nell’esame della politica fiscale “pura” si assume che non vi sia variazione della tassazione autonoma.
7
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
2. Gli effetti ricchezza e l’equivalenza ricardiana
Data l’importanza della crescita del reddito nel determinare il raggiungimento di
un equilibrio di piena occupazione, nonché il ritorno all’equilibrio di bilancio,
consideriamo in questa sede uno sviluppo dell’analisi (che fa riferimento alla scuola
monetarista ed a quella della Nuova Macroeconomia Neoclassica) che sottolinea la
possibile inefficacia della politica fiscale nell’influenzare il livello di reddito di
equilibrio e, contemporaneamente, la neutralità delle modalità di finanziamento di un
dato ammontare di spesa pubblica.
Come sottolineato nel Capitolo 7, un disavanzo pubblico finanziato con titoli ha
un effetto espansivo d’impatto sul livello del reddito, ma fa anche aumentare lo stock
dei titoli in mano al settore privato, modifica l’entità e la composizione della ricchezza
detenuta e, per questa via, determina ulteriori variazioni nella domanda di beni e nella
domanda di moneta dei soggetti privati. Abbiamo visto come l’effetto complessivo sul
reddito dipende dall’entità relativa degli effetti ricchezza sulla domanda di beni e sulla
domanda di moneta: l’inefficacia della politica fiscale emerge come conseguenza di uno
spiazzamento completo della spesa privata da parte della spesa pubblica.
L’analisi condotta finora si basa sull’ipotesi che i titoli di Stato, che sono emessi
per finanziare la spesa pubblica, costituiscano ricchezza netta per il settore privato
(contrariamente ai titoli emessi dal settore privato) e pertanto influenzino la spesa
privata per consumi e la domanda di moneta come attività finanziaria. L’assunzione che
i titoli pubblici costituiscono ricchezza netta per il settore privato è stata contestata sulla
base dell’argomentazione che, se lo Stato contrae debiti per finanziare la propria spesa,
prima o poi questi debiti (con i corrispondenti interessi) andranno ripagati, e a tal fine
dovranno essere introdotte nuove imposte. Poiché il settore privato che detiene i titoli
pubblici è lo stesso che dovrà pagare le imposte, famiglie e imprese terranno conto
dell’onere fiscale futuro e non considereranno i titoli pubblici in loro possesso come
ricchezza netta. Questa argomentazione è stata avanzata da Barro nel 1974, ma il
problema era già stato analizzato da David Ricardo nei suoi Principles del 1814.
La neutralità delle modalità di finanziamento di un dato ammontare di spesa
pubblica implica che l’equilibrio reale del sistema economico, ovvero il livello di
reddito, del tasso reale di interesse e la composizione della spesa tra consumi e
investimenti, sia invariante rispetto al finanziamento di una data spesa con imposte
oppure con l’emissione di titoli di debito.
In merito, il teorema di equivalenza ricardiana (o equivalenza di Ricardo-Barro)
afferma che, dato un aumento della spesa pubblica, e imponendo il vincolo del pareggio
intertemporale del bilancio pubblico, l’effetto che tale maggiore spesa pubblica esercita
sul reddito di equilibrio e sui consumi è lo stesso, sia che essa sia finanziata con imposte
oppure con l’emissione di titoli del debito pubblico. Secondo questa impostazione, se i
titoli pubblici non sono considerati ricchezza netta da parte del settore privato, da una
parte, la loro emissione non fa variare la ricchezza e quindi non si producono quegli
effetti sulla domanda di beni di consumo e sulla domanda di moneta che abbiamo
analizzato nel Capitolo 7, mentre dall’altra si ha equivalenza negli effetti sul reddito tra
le due modalità di finanziamento considerate.
8
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
a) Nel caso di finanziamento con imposte non si hanno effetti espansivi rispetto al
reddito: anche se vale il teorema di Haavelmo,11 l’effetto spiazzamento fa sì che una
variazione della spesa pubblica finanziata con imposte non abbia effetti sul reddito di
equilibrio; se le imposte non sono distorsive, la politica fiscale non solo è inefficace,
ma è anche neutrale, non modificando le scelte dei soggetti economici.
b) Nel caso di finanziamento con titoli, il rispetto del vincolo di bilancio intertemporale
da parte dello Stato comporta che un maggior livello di debito nel tempo presente
darà luogo a maggiori imposte future, per la restituzione del debito ed il pagamento
degli interessi nel frattempo maturati su di esso. La consapevolezza delle maggiori
imposte future che lo Stato sarà costretto ad imporre fa sì che i consumatori siano
indifferenti tra essere tassati nel periodo corrente (senza creare debito pubblico) ed
essere tassati nel futuro (per riportare in equilibrio il bilancio dello Stato). Ne
consegue che le decisioni di consumo sono indipendenti dalle modalità di
finanziamento del disavanzo.
Per dimostrare questo teorema, prendiamo in considerazione un sistema
economico con un orizzonte temporale di due periodi di tempo (i periodi possono essere
estesi a piacimento, senza che questo modifichi la sostanza dell’analisi). Anche se nel
corso del periodo il bilancio pubblico dovesse andare in disavanzo, al termine del
secondo anno, il bilancio pubblico deve comunque essere in pareggio. Per semplificare,
assumiamo anche che al tempo t = 0 lo stock di debito pubblico sia nullo ( B0 = 0 ), che
il bilancio pubblico sia in pareggio ( G0 = T0 ) e che tutta la tassazione sia autonoma
(cioè t 0 = 0 ).12 Al tempo t = 1 si verifica un aumento una tantum della spesa pubblica,
tale che G1 > G0 , che porta in disavanzo il saldo di bilancio pubblico, dato da
G1 − T0 = D1 > 0 . Tale disavanzo viene finanziato con l’emissione di debito di durata
annuale in misura corrispondente D1 = B1 > 0 . Nel secondo periodo, t = 2 , la spesa
pubblica ritorna al livello iniziale G2 = G0 , ma il bilancio pubblico rimane comunque in
disavanzo a causa della restituzione del debito emesso in precedenza13 più l’onere degli
interessi sul debito stesso:
[2.1]
D2 = G2 + (1 + i )B1 − T0 = G0 + (1 + i )B1 − T0 = (1 + i )B1
Tale disavanzo non può più essere finanziato con l’emissione di nuovi titoli,
perché alla fine del secondo periodo lo Stato deve riportare in pareggio il proprio
bilancio; dato il vincolo intertemporale di bilancio, lo Stato deve ricorrere ad un
aumento delle imposte in misura tale che esse siano in grado di garantire la restituzione
del debito e il pagamento degli interessi maturati:
[2.2]
11
∆T = T2 − T0 = (1 + i )B1
Ricordiamo dal Capitolo 2 che il teorema del moltiplicatore del bilancio in pareggio afferma che un
pari aumento di spesa pubblica e di imposte autonome, pur non facendo variare il saldo del bilancio dello
Stato, provoca un aumento del reddito di equilibrio pari alla variazione della spesa pubblica.
12
Quest’ultima ipotesi, oltre a semplificare l’analisi, riflette l’impostazione monetarista che esclude che
incrementi di spesa pubblica possano avere un effetto espansivo sul reddito.
13
Il debito deve essere restituito alla fine del secondo periodo in quanto – per ipotesi – l’anno 2
rappresenta il termine dell’orizzonte temporale dello Stato.
9
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
Il rispetto del vincolo intertemporale del bilancio pubblico richiede che al tempo
t = 1 la somma del valore attuale della spesa pubblica sia uguale alla somma del valore
attuale della tassazione:
G
T
[2.3]
G1 + 2 = T1 + 2
1+i
1+ i
da cui, ricordando che G2 = G0 = T0 e che T1 = T0 , si ottiene G1 +
può essere espressa come G1 − T0 =
G0
T
= T0 + 2 , che
1+ i
1+ i
T2
G
− 0 . Ricordando che G1 − T0 = B1 , si
1+ i 1+ i
T2
T
− 0 che si trasforma facilmente nella [2.2].
1+ i 1+ i
Il settore privato si troverà quindi nel secondo periodo a dover fronteggiare un
incremento di imposte, il cui valore attuale al periodo t = 1 è uguale all’onere
complessivo del debito pubblico. I titoli pubblici emessi nel primo periodo ed acquistati
dal settore privato non ne influenzano le decisioni di consumo, in quanto non sono
percepiti come ricchezza netta: il loro valore è infatti esattamente equivalente al valore
presente delle imposte future che lo Stato dovrà imporre per rispettare il proprio
vincolo. Conseguentemente, il livello del consumo e quindi la domanda aggregata
risulta la stessa sia che la spesa pubblica venga finanziata con debito sia che la si finanzi
con imposte. L’equilibrio del sistema risulta invariante rispetto alle modalità di
finanziamento del disavanzo pubblico.
ha B1 =
Esempio numerico
Si consideri un sistema economico con un orizzonte temporale di due periodi,
nel quale vi è solo tassazione autonoma, non vi è debito pubblico ereditato dal
passato, B0=0, e presenta un bilancio pubblico in pareggio, D0=G0-T0=0, dove
G0=200 e T0=200. Assumiamo che il tasso di interesse sia i=0,03.
Nel primo dei due periodi considerati, la spesa pubblica aumenta a G1=220
cosicché si determina un disavanzo del bilancio pubblico: D1=220-200=20 che
deve essere finanziato con emissione di titoli del debito pubblico: D1=B1=20.
Anche se nel secondo periodo la spesa pubblica ritorna al livello iniziale,
G2=G0, il bilancio pubblico continua a presentare un disavanzo, pari agli
interessi sul debito emesso. Inoltre, dato l’orizzonte temporale limitato a due
periodi, nel secondo periodo i titoli pubblici devono essere restituiti.
Complessivamente, ciò richiede che vi sia un incremento della tassazione per
coprire la restituzione del debito ed il pagamento degli interessi, ∆T= (1+i)B0,
cioè che la tassazione sia pari a T2=200+(1+0,03)20= 220,6. L’imposizione
nel secondo periodo risulta maggiore dell’incremento della spesa pubblica del
primo periodo proprio a causa del pagamento degli interessi.
Si può facilmente verificare il rispetto del vincolo intertemporale del bilancio –
equazione [2.3]:
200
220,6
220 +
= 200 +
1 + 0,03
1 + 0,03
10
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
Contro la proposizione di equivalenza ricardiana sono state avanzate diverse
obiezioni. In generale, la validità della proposizione richiede che i consumatori siano
indifferenti rispetto al momento in cui si verifica la tassazione. Da una parte, essi
devono avere un orizzonte di pianificazione sufficientemente lungo da risentire del
vincolo intertemporale del bilancio pubblico14 e, dall’altra, non devono essere soggetti a
vincoli di liquidità.
Rispetto all’orizzonte temporale, se i consumatori anticipano che l’aumento
delle imposte necessario per ripagare il debito pubblico esistente avverrà oltre la durata
della propria vita, i titoli pubblici verranno percepiti come ricchezza netta ed il consumo
delle generazioni presenti avverrà a scapito del consumo delle generazioni future sulle
quali peseranno le maggiori imposte future. Il debito pubblico rappresenta in questo
caso un sorta di sussidio al consumo delle generazioni correnti finanziato con imposte
pagate dalle generazioni future. In termini di politica economica, le modalità di
finanziamento dei disavanzi pubblici sono nuovamente rilevanti, avendo effetti diversi
sul sistema economico. A questa critica si controbatte che, se i consumatori delle varie
generazioni sono legati da una catena di lasciti ereditari motivati da altruismo, la
proposizione di equivalenza ricardiana riacquista validità anche qualora l’aumento delle
imposte avvenga in un futuro lontano. I consumatori che si preoccupano del benessere
delle generazioni successive terranno conto delle maggiori imposte cui queste ultime
dovranno fare fronte e utilizzeranno il maggior reddito derivante dal mancato aumento
corrente delle imposte e dagli interessi percepiti sui titoli pubblici per effettuare
maggiori lasciti ereditari alle generazioni future, che li utilizzeranno per far fronte alle
maggiori imposte. L’onere fiscale futuro diventa quindi rilevante anche per la
generazione attuale, spingendola a risparmiare di più ed a consumare di meno. L’effetto
ricchezza sui consumi causato dall’emissione di titoli pubblici sarebbe quindi annullato.
Anche l’eventuale esistenza di vincoli di liquidità rende non neutrale la modalità
di finanziamento del disavanzo pubblico. Un vincolo di liquidità significa che esiste una
limitazione quantitativa nell’accesso al credito delle famiglie, legata all’incertezza circa
la restituzione del capitale (ed il pagamento degli interessi) insita nel contratto di
debito/credito. Questo fenomeno è noto come razionamento del credito, nel senso che
non tutto il credito che si desidera ottenere al tasso di interesse di mercato viene reso
disponibile. Il vincolo di liquidità limita il consumo, in quanto il consumatore non può,
pur desiderandolo, incrementare il consumo al di sopra delle risorse correntemente
disponibili. Per i consumatori soggetti a vincoli di liquidità, ogni risparmio sulla
tassazione corrente è destinato al consumo e quindi il finanziamento dei disavanzi con
titoli risulta più espansivo di quello con imposte.
Numerosi studi empirici hanno cercato di verificare la validità, o meno, del
teorema di equivalenza ricardiana nella realtà. Non è stata raggiunta una conclusione
unanimemente condivisa. Per tutti, riportiamo le conclusioni di un’ampia rassegna sulla
materia: “Sebbene l’evidenza empirica proveniente dall’analisi delle serie storiche
appaia nettamente in contrasto con l’ipotesi ricardiana, essa non fornisce tuttavia
un’indicazione di quanto l’equivalenza ricardiana sia violata nella realtà. In generale,
tuttavia, sia considerazioni di carattere teorico, sia lo studio del comportamento effettivo
14
In altri termini, l’orizzonte temporale del settore privato (delle famiglie) deve essere uguale a quello
dello Stato.
11
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
degli individui sembrano disegnare un quadro all’interno del quale la tesi ricardiana
appare alquanto improbabile.” (Bernheim, 1987, p. 291)
3. L’autoalimentazione del debito pubblico
Il debito pubblico consiste nello stock di tutti i titoli emessi in passato dallo Stato
posseduti dai vari soggetti15 e non ancora rimborsati. Ricordiamo che l’emissione di
titoli del debito pubblico consegue alla presenza di disavanzi di bilancio pubblico. Il
disavanzo dà luogo ad un flusso di debito che si aggiunge allo stock già esistente di
debito: vi è quindi un legame diretto tra disavanzo e debito.
Partendo dall’equazione del saldo di bilancio dello Stato nel caso di esclusivo
finanziamento del disavanzo con emissione di titoli del debito pubblico, datiamo il saldo
ad un generico tempo t:
[3.1]
Dt ≡ ∆B
⇒
Gt − Tt + iBt −1 = Bt − Bt −1
da cui, risolvendo per Bt , otteniamo l’equazione della dinamica del debito pubblico:16
[3.2]
Bt = Gt − Tt + (1 + i )Bt −1
Questa equazione ci dice che il debito al tempo t può essere maggiore di quello esistente
al tempo t − 1 per due motivi: per la presenza di un eventuale disavanzo primario, cioè
dalla differenza tra la spesa pubblica al netto degli interessi e le entrate fiscali,e per il
pagamento degli interessi sullo stock di debito già in essere.
Dimostriamo ora che, anche se il disavanzo primario non persiste nel tempo, lo
stock di debito continua comunque a crescere, in un processo di autoalimentazione.
Infatti, il debito pubblico presenta la caratteristica di autoalimentarsi nel tempo: anche
se la politica fiscale espansiva all’origine del debito dovesse cessare in un qualche
momento successivo, il debito pubblico continuerebbe comunque ad aumentare.
Illustriamo questo fenomeno con un esempio. Assumiamo che all’inizio
dell’anno 0 non vi sia alcuno stock di debito pubblico, B0 = 0 ; ciò significa che fino a
quel momento il bilancio pubblico era in pareggio: G−1 = T−1 , G−2 = T−2 , e così via. Nel
corso dell’anno 0 – per un qualche evento negativo temporaneo, ad esempio un evento
che richiede un aumento della spesa pubblica – si determina un disavanzo di bilancio
pubblico:
[3.3]
G0 − T0 = D0 > 0
che viene finanziato con l’emissione di titoli del debito pubblico. All’inizio dell’anno 1
avremo quindi B1 = D0 . Ipotizziamo ora che l’evento negativo temporaneo non si
presenti ulteriormente, cosicché il governo è in grado di coprire la spesa pubblica al
netto degli interessi con le entrate fiscali, cioè nel corso dell’anno 1 avremo G1 = T1 . La
differenza G1 − T1 costituisce il cosiddetto saldo primario, cioè il saldo di bilancio
pubblico al netto delle spese per interessi. La nostra ipotesi equivale ad assumere che il
15
Il debito pubblico è detenuto dalle famiglie, dalle imprese, dalle istituzioni finanziarie (banche) sia del
paese emittente (investitori nazionali), sia di altri paesi (investitori esteri).
16
Si tratta di un’equazione alle differenze finite, dove la variabile endogena al tempo t dipende, tra l’altro,
dalla stessa variabile endogena misurata al tempo t − 1 .
12
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
saldo primario sia in pareggio. A causa del pagamento degli interessi sul debito
pubblico emesso nell’anno precedente, tuttavia, il saldo complessivo del bilancio
pubblico continua presentare un disavanzo che deve essere finanziato con un’ulteriore
emissione di titoli:
[3.4]
D1 = G1 − T1 + iB1 = iB1 > 0
All'inizio dell’anno 2 lo stock del debito sarà dato dalla somma dei deficit finanziati con
titoli:
[3.5]
B2 = D0 + D1 = B1 + iB1 = (1 + i )B1
Anche nell’anno 2 il governo realizza il pareggio del saldo primario, G2 = T2 , ma deve
emettere nuovi titoli per coprire il pagamento degli interessi su debito esistente:
[3.6]
D2 = G2 − T2 + iB2 = iB2 = i(1 + i )B1
cosicché all’inizio dell’anno 3 lo stock del debito sarà:
[3.7]
2
B3 = D0 + D1 + D2 = B1 + iB1 + i(1 + i )B1 = (1 + i )B1 + i(1 + i )B1 = (1 + i ) B1
Nonostante le entrate fiscali coprano la spesa pubblica (il saldo primario continua ad
essere in pareggio), il pagamento degli interessi sul debito emesso determina una
continua accumulazione del debito pubblico. Il tasso di crescita del debito si può
calcolare come
2
[3.8]
B3 − B2 (1 + i ) B1 − (1 + i )B1
=
= 1+ i −1 = i
(1 + i )B1
B2
Il debito pubblico cresce quindi in base al tasso di interesse i. La ragione è semplice:
mentre il disavanzo primario è nullo, il debito è positivo, e così pure gli interessi che
maturano sul debito stesso. Ogni anno lo Stato deve emettere più debito per pagare gli
interessi sul debito esistente. L’accumulazione del debito cesserà soltanto quando il
governo deciderà di avere un avanzo primario tale da coprire la spesa per interessi: il
bilancio pubblico va in pareggio e non si emettono nuovi titoli. In questo caso il debito
si stabilizzerà. Si noti che l’avanzo primario necessario a stabilizzare il debito risulta
tanto più grande quanto più il governo attende a realizzare l’avanzo primario. Il debito
potrà invece ridursi soltanto se l’avanzo primario supera le uscite per interessi: solo se
realizza un surplus di bilancio, lo Stato sarà in grado di ridurre il debito.
Esempio numerico
Si consideri un sistema economico nel quale vi è solo tassazione autonoma,
non vi è debito pubblico ereditato dal passato, B0 = 0 , e che presenta un
bilancio pubblico in pareggio, D−1 = G−1 − T−1 = 0 , dove G−1 = 200 e T−1 = 200.
Assumiamo che il tasso di interesse sia i=0,03. Nel corso dell’anno 0 si
verifica un aumento della spesa pubblica, G0 = 220 e si determina un
disavanzo D0 = 220− 200 = 20 finanziato a fine anno con emissione di titoli.
Nel corso dell’anno 1 la spesa pubblica torna al livello iniziale, cosicché il
saldo primario è in pareggio, ma il saldo complessivo di bilancio presenta un
deficit legato alla spesa per interessi sullo stock di debito B1 = 20 :
D1 = 200 − 200 + 0,03⋅ 20 = 0,6 .
13
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
Anche nell’anno 2 il saldo primario è nullo, ma il deficit del saldo complessivo
continua ad aumentare, in quanto la spesa per gli interessi è relativa ad uno
stock di debito maggiore: B2 = 20 + 0,6 = 20,6 . Il disavanzo diviene quindi
D2 = 200 − 200 + 0,03⋅ 20,6 = 0,618. Pertanto, lo stock di debito all’inizio del
terzo anno è pari a: B3 = 20 + 0,6 + 0,618 = 21,218. Il processo di crescita del
debito continua fino a quando permane un deficit del saldo complessivo, cioè
fino a quando il saldo primario non è in avanzo in misura pari al pagamento
degli interessi sullo stock di debito in essere.
Il tasso di crescita dello stock del debito è dato da:
B3 − B2 21,218− 20,6
=
= 0,03 ed è quindi pari al tasso di interesse sui titoli del
B2
20,6
debito pubblico.
L’analisi condotta fin qui si basa sull’ipotesi di un tasso di interesse che non
varia nel tempo e, in particolare, che è indipendente dall’ammontare del debito emesso.
In realtà, e l’esperienza recente in Europa ne è un chiaro esempio, il tasso di interesse
che uno Stato deve assicurare agli investitori per spingerli a detenere ulteriori quote di
titoli pubblici nel proprio portafoglio va aumentando al crescere dello stock del debito,
in quanto incorpora un premio per il rischio di insolvenza, rischio che è tanto più
elevato quanto maggiore è il debito contratto. In questo caso, il processo di
autoalimentazione del debito risulta ancora più accentuato e più difficili da soddisfare le
condizioni per la stabilizzazione o per la riduzione del debito.
4. La sostenibilità del debito pubblico
La rilevanza del debito per un sistema economico si misura attraverso il rapporto
tra debito pubblico e prodotto nazionale, in quanto il reddito nazionale è una misura
della capacità di detto sistema economico di onorare il debito. Solo rapportando il
debito a questa variabile di scala possiamo dire se il debito pubblico è “troppo” elevato
o meno. Inoltre, poiché il debito pubblico, Bt , è una grandezza espressa in termini
nominali, occorre esprimere anche il reddito nazionale in termini nominali,
moltiplicandolo per il livello dei prezzi, Pt . Pertanto, per studiare la dinamica del
rapporto tra debito pubblico e prodotto nazionale riprendiamo l’equazione [3.2] del
vincolo di bilancio pubblico, esprimendola nel tempo continuo17
B& = G − T + iB
[4.1]
t
t
t
t
dove il punto sopra la variabile dello stock del debito indica la variazione nel tempo del
dB
debito stesso: B& t = t . Dividiamo ora entrambi i lati della [4.1] per il reddito nominale
dt
PtYt :
17
Consideriamo cioè variazioni continue del tempo e non intervalli discreti di tempo come fatto finora.
14
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
B&t Gt − Tt
B
=
+i t
Pt Yt
Pt Yt
PtYt
[4.2]
e definiamo il saldo primario in rapporto al PIL come
debito pubblico e prodotto nazionale come
(Gt − Tt ) = a
Pt Yt
t
e il rapporto tra
Bt
= bt . L’equazione [4.2] può quindi
PtYt
essere espressa come
B&t
= at + ibt
[4.3]
Pt Yt
Il termine a sinistra dell’equazione [4.3], cioè il rapporto tra la variazione del
debito e il PIL nominale può essere espressa (come illustrato nell’Appendice 8.1) come
B& t
[4.4]
= b&t + bt (π t + g t )
Pt Yt
dYt
dove gt è il tasso di crescita del reddito reale ( g t = dt ) e π t è il tasso di inflazione
Yt
dPt
( π t = dt ).
Pt
[4.5]
Sostituendo la [4.4] nella [4.3], con alcuni semplici passaggi si ricava
b& = a + (i − π − g )b
t
t
t
t
t
La [4.5] mette in evidenza che la variazione il rapporto debito pubblico/PIL è
data dalla somma algebrica di due termini: il primo, at , è il rapporto tra disavanzo
primario e PIL e indica che un saldo primario negativo (at > 0) aggrava il problema del
debito nel senso che fa crescere tale rapporto. Il secondo termine è dato dalla differenza
tra tasso di interesse nominale, i, e tasso di crescita del reddito nominale ( gt + π t ) e
indica che un maggior tasso di interesse aggrava il problema del debito pubblico,
mentre la crescita del prodotto nazionale lo allevia.
Dall’analisi del paragrafo precedente, abbiamo visto che – assumendo che il
saldo primario sia nullo (cioè Gt − Tt = 0 ) – il debito cresce ad un tasso uguale al tasso
di interesse.18 Poiché adesso abbiamo rapportato il debito al PIL nominale, dobbiamo
tener conto del tasso di crescita nominale del prodotto: a parità di ipotesi sulla nullità
del saldo primario, se si realizza una dinamica positiva del prodotto nominale, il
rapporto debito/PIL crescerà più lentamente. Tale rapporto crescerà ad un tasso pari al
tasso di interesse meno il tasso di crescita del prodotto nominale dato da (g t + π t ) .
Definendo con r il tasso di interesse reale, r = i − π t , e sostituendolo nella [4.5],
otteniamo
18
Come ampiamente analizzato nel paragrafo 3, si ha
Bt − Bt −1
=i.
Bt −1
15
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
[4.6]
Capitolo 8
b&t = at + (r − g t )bt
dalla quale emerge che, se il tasso di crescita reale dell’economia è maggiore del tasso
di interesse reale, (r < g ) , il rapporto debito/PIL si ridurrà nel tempo.
Ponendo pari a zero la variazione del rapporto tra debito e PIL (ponendo cioè
b& = 0 ), possiamo determinare esplicitamente le condizioni che devono essere soddisfatte
per la stabilizzazione nel tempo del rapporto debito/PIL:
[4.7]
0 = at + (r − gt )bt
⇒
− at = (r − gt )bt
La [4.7] ci dice che, se il tasso di interesse reale è maggiore del tasso di crescita
del reddito reale, occorre un avanzo primario per stabilizzare il rapporto debito/PIL
nominale; corrispondentemente, se il tasso di interesse reale è minore del tasso di
crescita del reddito reale, anche un disavanzo primario è compatibile con la
stabilizzazione di questo rapporto.
Esempio numerico
Si consideri un sistema economico caratterizzato dai seguenti valori: a = 0,02 ;
i = 0,04 ; π = 0,02 ; g = 0,02 ; b = 0,6 .
Il rapporto debito/PIL nominale crescerà nel tempo del 2% annuo:
b& = 0,02 + (0,04 − 0,02 − 0,02) ⋅ 0,6 = 0,02 , proprio a causa della presenza di un
disavanzo primario. Infatti, qualora vi fosse un pareggio primario, a = 0 , il
rapporto debito/PIL nominale sarebbe stabile nel tempo.
Ritorniamo al problema posto all’inizio di questo paragrafo: esiste un valore del
rapporto debito/PIL nominale oltre il quale il debito non è più sostenibile? Il problema
si pone in quanto tale rapporto non può crescere continuamente e indefinitamente:
infatti, la sua crescita conduce prima all’aumento dei tassi di interesse pagati agli
investitori per spingerli a detenere ulteriori quote di titoli pubblici nel proprio
portafoglio e, poi, all’impossibilità per lo Stato di trovare comunque acquirenti per i
propri titoli. Né la teoria, né l’esperienza empirica individuano una specifica “soglia di
sostenibilità”, oltre la quale il mercato rifiuta i titoli del debito pubblico; quello che è
certo è che il debito non può continuare ad aumentare senza limiti e, quindi, una
situazione in cui il rapporto debito /PIL è crescente determinerà, prima o poi, problemi
di sostenibilità.
Data l’importanza del livello del tasso di interesse per la stabilità del il rapporto
debito/PIL, illustriamo come può venire a determinarsi una crescita del tasso di
rendimento dei titoli pubblici in presenza di uno stock crescente di debito.
4.1 – Lo “spread” sui titoli del debito pubblico
Al crescere del rapporto debito pubblico/PIL la fiducia degli investitori nella
volontà o nella capacità dello Stato di attuare politiche atte a stabilizzare o ridurre tale
rapporto può ridursi e addirittura venire meno. La stessa capacità di far fronte agli oneri
degli interessi sul debito può essere messa in dubbio. Se gli investitori ritengono
16
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
possibile che lo Stato dichiari la propria incapacità di restituire il debito a scadenza
(dichiarazione di insolvenza o di default) e/o di pagare gli interessi sul debito
accumulato, saranno sempre più riluttanti ad acquistare titoli del debito pubblico. Tanto
più quanto maggiore è la probabilità del default.
In questa situazione, per continuare a collocare i propri titoli sul mercato, lo
Stato dovrà offrire rendimenti sempre più alti per attirare i risparmiatori, con
conseguente ulteriore aumento dell’onere del debito e, quindi, del debito stesso e del
suo rapporto col PIL. L’effetto negativo degli elevati tassi di interesse sulla stabilità del
debito pubblico si riflette nella struttura dei rendimenti offerti, che sono minori per i
titoli a breve, e crescenti con l’allungamento della scadenza del debito (perché con il
passare del tempo il debito pubblico continua ad aumentare).
Tralasciamo l’aspetto della struttura dei rendimenti, assumendo titoli pubblici
con la stessa scadenza; possiamo quindi calcolare il maggior rendimento che deve
essere offerto, in funzione crescente della probabilità di default stimata dagli investitori.
Assumiamo un investitore che debba decidere se acquistare o meno un titolo pubblico
dal valore nominale di un euro che scade tra un anno. L’investitore valuta la probabilità
che lo Stato non rimborsi il titolo alla scadenza, per un ammontare comprensivo
dell’interesse; tale probabilità e indicata con p, dove 0 < p < 1 . Più elevato è il valore di
p, maggiore è la probabilità della dichiarazione di default. Per l’investitore esiste sul
mercato l’alternativa di acquistare un titolo privo di rischio, la cui probabilità di default
è nulla: p = 0 . Egli sarà indifferente nella scelta tra i due titoli se vale la condizione di
uguaglianza tra le somme che può ottenere a scadenza
[4.8]
(1 − p )(1 + i ) = (1 + s )
dove la somma dovuta a scadenza, cioè (1 + i ) per il titolo pubblico rischioso e (1 + s )
per il titolo sicuro, devono essere ponderati per la probabilità di restituzione, data da
(1 − p ) per il titolo pubblico e da p = 1 per il titolo non rischioso.
Con semplici passaggi, dalla [4.8] otteniamo
1+ s
s+ p
[4.9]
i=
−1=
>s
1− p
1− p
che ci dice che il titolo rischioso deve offrire un rendimento maggiore del titolo sicuro,
la differenza essendo legata alla probabilità di default. Se tale probabilità è alta, il
numeratore della [4.9] è elevato, mentre il denominatore è piccolo: complessivamente il
valore della frazione è grande, ad indicare che il rendimento offerto dal titolo pubblico
deve essere elevato. La differenza (i − s ) rappresenta appunto lo spread nei rendimenti
dei due titoli. Esso è tanto maggiore quanto più elevata è la probabilità di default.19
5. Le politiche per la stabilizzazione e/o la riduzione del debito pubblico
Abbiamo appena visto che un debito pubblico sotto controllo accresce la fiducia
degli operatori nella stabilità del contesto economico e contribuisce a mantenere bassi i
19
La probabilità di default riflette l’aspettativa che gli investitori si formano circa il possibile evento
futuro di non restituzione del debito. Non è questa la sede per approfondire come il mercato giunge a
definire tale aspettativa.
17
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
tassi d’interesse; ciò ha effetti positivi sugli investimenti privati e quindi sulla crescita
economica. Bassi tassi d’interesse permettono, inoltre, di mantenere bassa la spesa per il
pagamento degli interessi sul debito pubblico, facilitando la ristrutturazione della spesa
pubblica con lo spostamento di risorse verso categorie di spesa più produttive e di
maggiore priorità, quali investimenti in infrastrutture, ricerca e capitale umano, o verso
servizi pubblici essenziali che favoriscono la crescita e il benessere sociale. A questi
vantaggi si aggiunge il fatto che la politica fiscale può svolgere un importante ruolo di
stabilizzazione dei cicli economici, sia attraverso l’attuazione di opportuni interventi
discrezionali, sia creando le condizioni necessarie perché possano funzionare gli
stabilizzatori automatici. Minori livelli del deficit e del debito assicurano un maggiore
margine di manovra per affrontare una congiuntura sfavorevole.20
Passiamo quindi a chiederci in termini generali a quali condizioni il rapporto
debito/PIL resterà stabile nel tempo. Ricordiamo che la stabilità del rapporto debito/PIL,
equivalente a b& = 0 , è espressa dall’equazione [4.7], che riportiamo:
[5.1]
− at = (r − gt )bt = (i − π t − gt )bt
dalla quale emergono diverse possibili politiche di stabilizzazione del debito pubblico.
a)
Politiche di contenimento del deficit primario
Come già osservato, se il tasso di interesse reale è minore del tasso di crescita del
reddito reale (r < g ) , la stabilizzazione del rapporto debito/PIL è compatibile con un
deficit primario, purché di dimensioni comunque contenute. Nel caso opposto di bassa
crescita e di elevati tassi di interesse, (r > g ) , la stabilizzazione richiede un avanzo
primario che deve essere tanto maggiore quanto più elevato è lo stock di debito
accumulato: il prolungarsi nel tempo di una situazione di accumulazione del debito
comporta, per la stabilizzazione, che vengano realizzati avanzi primari sempre più
elevati. Ciò richiede riduzioni sempre più consistenti della spesa pubblica e dei
trasferimenti e/o aumenti sempre maggiori delle entrate fiscali. Si tratta comunque di
politiche molto costose, sia in termini di contrazione nell’offerta di servizi pubblici e di
riduzione nelle politiche redistributive a favore delle categorie più svantaggiate, sia in
termini di prelievi fiscali che gravano su famiglie e imprese. Inoltre, tali politiche non
sono neutrali rispetto al reddito, in quanto (come abbiamo già analizzato) deprimono la
domanda aggregata e quindi la produzione e rischiano, almeno nel breve periodo, di
ottenere l’effetto opposto a quello desiderato e cioè un aumento del rapporto debito/PIL,
se il PIL si riduce più di quanto non si riduca il debito.
b)
Politiche di crescita del reddito
Una possibile alternativa è l’aumento del tasso di crescita del reddito, ma è difficile
considerare il tasso di crescita del reddito uno strumento di politica economica: i
responsabili di politica economica possono influenzare g in misura limitata e non nel
breve periodo. La capacità della politica economica di influenzare il tasso di crescita del
sistema economico spesso passa comunque attraverso un aumento della spesa pubblica,
attraverso investimenti pubblici nelle infrastrutture di base ed in quelle di alta
tecnologia, investimenti in formazione del capitale umano, sostegni agli investimenti
20
Ciò assume particolare importanza in un’unione monetaria in cui la responsabilità di affrontare gli shock
asimmetrici è nelle mani dei responsabili della politica fiscale.
18
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
privati, sostegni alle attività di ricerca e sviluppo delle imprese, ecc. I possibili effetti
positivi di medio-lungo periodo sul tasso di crescita del prodotto si ottengono a costo di
un peggioramento di breve periodo del saldo di bilancio pubblico e quindi del problema
del debito pubblico.
c)
Politiche di controllo del tasso di interesse
L’onere del debito pubblico viene fortemente alleviato da un basso tasso di interesse
reale. Le autorità di politica economica, quelle di politica monetaria in particolare, sono
in grado di influenzare il tasso di interesse nominale, mentre il tasso di interesse reale
dipende dall’interazione tra tasso di interesse nominale e tasso di inflazione. Una
riduzione del tasso di interesse reale può quindi essere ottenuto sia attraverso una
riduzione del tasso di interesse nominale, sia attraverso un aumento del tasso di
inflazione. In termini dell’equazione [4.6], un elevato tasso di inflazione concorre a
ridurre il tasso di interesse reale, fino a renderlo – in talune situazioni – negativo: anche
in caso di bassa crescita del reddito, la condizione (r < g ) può essere soddisfatta.
d)
Politiche inflazionistiche
L’inflazione concorre a ridurre il tasso di interesse reale. Essa inoltre costituisce
un’entrata implicita per lo Stato attraverso la riduzione del valore reale dei saldi
monetari in mano al pubblico (la cosiddetta “tassa da inflazione”). Infine, essa
determina una riduzione del valore reale del debito pubblico.21 D’altra parte, è noto che
l’inflazione, in particolare quella inattesa, avvantaggia i debitori a danno dei creditori, e
lo Stato è da annoverare tra i primi. La riduzione del valore reale dell’elevato debito
pubblico accumulato nel corso delle due guerre mondiali del secolo scorso è avvenuta
proprio grazie all’elevata inflazione verificatasi nei primi anni dei due dopoguerra, che
ha decurtato sensibilmente il valore reale dei titoli detenuti dai sottoscrittori. Tuttavia,
per gli effetti negativi che l’inflazione può avere sul sistema economico, l’inflazione
elevata non è mai stata vista come uno strumento di policy per stabilizzare il debito
pubblico; la riduzione del valore del debito è considerata piuttosto una conseguenza, sia
pure positiva per lo Stato, dell’inflazione che si determina per motivi non legati al
contenimento del debito pubblico.
Nel caso in cui non si sia in grado di stabilizzare il debito pubblico, ed il suo
rapporto rispetto al PIL continui a crescere nel tempo, l’unica alternativa radicale è
quella del ripudio del debito (dichiarazione di default). Con il ripudio, il governo non
riconosce più l’obbligo a rimborsare alla scadenza i titoli emessi in passato e/o l’obbligo
di pagare gli interessi maturati sul debito. Il ripudio può essere completo, quando viene
annunciato che non saranno più restituite le somme prese in prestito, oppure parziale,
quando si rimborsa solo una quota dei titoli in scadenza oppure quando i titoli vengono
rimborsati non con moneta, ma con nuovi titoli, spesso con scadenza più lunga (si dice
in tal caso che il debito pubblico viene “consolidato”) e/o con rendimento più basso. I
nuovi titoli sono commerciabili sul mercato dei titoli, ma il loro prezzo su questo
mercato è sicuramente inferiore al loro valore nominale e quindi vi è comunque una
perdita per gli investitori. Naturalmente, un paese che dichiari default incorre in costi
elevati, primo tra tutti l’impossibilità di collocare sul mercato nuove emissioni di titoli:
21
La tassa da inflazione sui titoli rappresenta una fonte di finanziamento del disavanzo reale.
19
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
gli operatori non saranno disposti ad acquistare titoli del debito pubblico emessi da uno
Stato che nel recente passato non sia stato in grado di onorare i propri impegni.
Ingegneria gestionale (2012-13) 3. Politiche di bilancio e debito pubblico Giorgio
6. Rapporti tra politica monetaria e politica fiscale
L’analisi condotta finora ha escluso la possibilità del finanziamento monetario
dei disavanzi pubblici, come del resto previsto dal Trattato di Maastricht per l’Unione
monetaria europea. Tuttavia, se il finanziamento con titoli diventa impraticabile per
l’insostenibilità del debito pubblico, e posto che non si voglia – o non si possa –
incrementare le imposte o ridurre la spesa, la possibilità alternativa consiste nello
stampare moneta. Se tuttavia lo strumento della quantità di moneta è utilizzato per
raggiungere qualche altro obiettivo (ad esempio, un obiettivo in termini di tasso di
inflazione), è ovvio che si pongono dei problemi per la politica monetaria e per il
raggiungimento degli obiettivi che questa persegue. In particolare secondo la scuola di
pensiero monetarista e quella della Nuova macroeconomia classica, che si rifanno alla
teoria quantitativa della moneta, il finanziamento monetario del disavanzo è considerata
una politica con sicure conseguenze inflazionistiche, se la creazione di base monetaria
risponde alle esigenze del governo e non invece alla necessità di fornire liquidità al
sistema economico in base alla crescita del livello di attività economica.
Queste tematiche hanno assunto rilievo pratico a partire dagli shocks petroliferi
degli anni ’70, a seguito dei quali in quasi tutti i paesi vi è stato un aumento consistente
del tasso di inflazione e le autorità di politica monetaria si sono poste l’obiettivo
prioritario della sua riduzione.22 Il famoso “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro del
1981, che ha posto termine alla prassi da parte della prima di acquistare sul mercato
primario i titoli pubblici invenduti alle aste, ha contribuito a superare le limitazioni al
perseguimento degli obiettivi anti-inflazionistici della Banca d’Italia, limitazioni legate
alle necessità di finanziamento del deficit del bilancio pubblico.
Una Banca centrale che voglia perseguire il proprio obiettivo in termini di tasso
di inflazione deve essere libera di decidere in modo autonomo se, ed in quale misura,
emettere base monetaria, indipendentemente dalle esigenze del finanziamento del
disavanzo di bilancio pubblico. Questa posizione è stata rafforzata con la costituzione
dell’Unione Monetaria Europea, laddove nello Statuto della Banca Centrale Europea è
esplicitamente fatto divieto alla stessa di acquistare titoli del debito pubblico sul
mercato primario (cioè al momento della loro emissione), giacché tale acquisto potrebbe
far variare la base monetaria in quantità tali da entrare in conflitto con l’obiettivo della
stabilità dei prezzi.
Per analizzare la natura del problema, riprendiamo l’equazione del vincolo del
bilancio dello Stato, considerando ora però entrambi i modi di finanziamento del deficit
pubblico, il finanziamento con titoli ed il finanziamento con moneta (aumento della
base monetaria). Il vincolo di bilancio pubblico nel tempo continuo è:
[6.1]
22
B&t + M& t = Gt − Tt + iBt
Si veda il successivo Capitolo 11.
20
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
dB
dM t
dove B&t = t e M& t =
. Come in precedenza dividiamo entrambi i lati per il
dt
dt
reddito nominale PtYt :
B&t M& t Gt − Tt
B
+
=
+i t
PtYt PtYt
PtYt
PtYt
[6.2]
e poniamo
[6.3]
[6.4]
(Gt − Tt ) = a
Pt Yt
t
e
Bt
= bt . L’equazione [6.2] può quindi essere espressa come
PtYt
B&t
M&
+ t = at + ibt
PtYt PtYt
Dall’equazione [4.4] sappiamo che
B&t
= b&t + bt (π t + g t )
PtYt
Corrispondentemente, il rapporto tra la variazione della quantità di moneta e il PIL
nominale è espressa come (si veda l’Appendice 8.1)
M& t
= m& t + mt (π t + g t )
[6.5]
Pt Yt
dove
Mt
= mt . Sostituendo le equazioni [6.4] e [6.5] nella [6.3], con alcuni semplici
PtYt
passaggi si ricava
b&t + m& t = at + (i − π t − gt )bt − (π t + gt )mt
[6.6]
cioè
[6.7]
b&t = at + (i − π t − gt )bt − (π t + gt )mt − m& t
La [6.7] mette in evidenza tutte le componenti che concorrono a determinare la
dinamica del debito pubblico nel tempo.23 Rispetto a quanto analizzato nel paragrafo 4,
nel quale avevamo escluso il finanziamento monetario del deficit pubblico, dalla [6.7]
emerge che – come è ovvio – il finanziamento monetario del deficit riduce la dinamica
del debito. A contenere la dinamica del debito concorre anche la tassa da inflazione
sullo stock di base monetaria, oltre che la tassa da inflazione sullo stock del debito
stesso. Riguardo a quest’ultima, va tuttavia rilevato che la tassa da inflazione opera solo
nella misura in cui l’inflazione non è correttamente anticipata dagli investitori, il che
comporta che il tasso di interesse reale effettivo (i− π t ) è diverso da quello atteso dagli
investitori al momento dell’acquisto dei titoli. In particolare, la tassa di inflazione riduce
la crescita del debito se il tasso di inflazione atteso è inferiore a quello effettivo, se cioè
(
)
il tasso di interesse reale è inferiore rispetto a quello atteso: (i − π t ) < i − π te .
Nel corso degli anni ’70 del secolo scorso la tassa da inflazione ha rappresentato
una rilevante fonte di finanziamento del disavanzo pubblico. Gli alti tassi di inflazione e
le “sorprese inflazionistiche” (tassi di inflazione non previsti dagli operatori) hanno
contenuto la dinamica del debito pubblico e determinato consistenti riduzioni del valore
23
Si noti che, in caso di assenza di finanziamento monetario del deficit pubblico, l’equazione [6.7] si
trasforma in b&t = at + (i − π t − g t )bt che è proprio la precedente equazione [4.5].
21
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
reale del debito. Per l’Italia, è stata stimata24 un’imposta da inflazione sul totale delle
passività nette del settore pubblico pari al 5,4% del PIL nel 1974 e al 4,4% nel 1976.
Ovviamente, lo Stato non può utilizzare permanentemente elevati tassi di inflazione non
previsti per limitare la dinamica del debito pubblico, in quanto i soggetti economici
arrivano prima o poi ad anticipare correttamente il tasso di inflazione ed a tenerne
debito conto nelle proprie scelte, richiedendo tassi di interesse nominali più elevati per
acquistare i titoli pubblici e riducendo l’ammontare di scorte monetarie liquide
detenute.25
Ritorniamo al problema del quale ci stiamo occupando, delle interazioni tra
politica fiscale e politica monetaria in relazione alle forme di finanziamento del
disavanzo pubblico ed alla dinamica del debito pubblico. Due economisti della scuola
della Nuova Macroeconomia Classica26 hanno pubblicato nel 1981 un lavoro di critica
della politica economica dell’amministrazione Reagan negli USA, politica consistente
in una combinazione di politica fiscale espansiva27 e di politica monetaria restrittiva a
fini anti-inflazionistici. La loro analisi perviene alla conclusione che, invece, tale
politica, che vedeva il finanziamento del deficit pubblico tramite l’emissione di titoli del
debito pubblico, può portare nel lungo periodo ad avere tassi di inflazione più elevati
rispetto ad una politica di finanziamento monetario del disavanzo. Anzi, se gli agenti
formano le proprie aspettative in modo razionale, gli effetti inflazionistici del
finanziamento con debito potrebbero manifestarsi immediatamente dopo l’annuncio
delle scelte di politica economica, giacché i soggetti economici anticipano perfettamente
la maggiore inflazione futura.28
L’ipotesi di base del modello è quello della cosiddetta “dominanza fiscale” che
implica che gli obiettivi della politica fiscale sono definiti autonomamente ed
indipendentemente dagli obiettivi della politica monetaria. In termini del modello che
stiamo esaminando, ciò significa che il governo fissa autonomamente l’obiettivo del
saldo primario rispetto al PIL, at , ad un valore fisso: a > 0 , prima che la Banca centrale
scelga il tasso di crescita dello stock di base monetaria. Il modello assume anche che
valga la teoria quantitativa della moneta, che implica che il rapporto tra base monetaria
Mt
e reddito nominale sia costante, cioè
= m = cos t . Ciò implica m& t = 0 in quanto
PtYt
mt −1 = mt = mt +1 = ... = m . Gli autori assumono inoltre che il tasso di crescita
dell’economia sia piccolo ed inferiore al tasso di interesse reale; per maggior semplicità,
assumiamo che sia g t = 0 . Riesprimiamo l’equazione [6.6] sulla base di queste ipotesi,
ricordando la definizione di tasso di interesse reale:
b& = a + r b − π m
[6.8]
t
24
t
t
Cotula, Masera, Morcaldo (1979).
In effetti, la domanda di moneta dipende negativamente dal tasso di inflazione: all’aumentare di
quest’ultimo, si riduce la quantità di moneta detenuta dal pubblico. Quindi per la tassa da inflazione vale
la stessa relazione a campana descritta dalla curva di Laffer a proposito della relazione tra gettito fiscale
ed aliquote di imposta (cfr. Capitolo 7).
26
Sargent, Wallace (1981).
27
Nel paragrafo 2.3 del Capitolo 7 abbiamo visto come quella amministrazione avesse adottato una
consistente riduzione delle aliquote fiscali.
28
Questo punto verrà illustrato più ampiamente nel successivo Capitolo 12.
22
25
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
Ponendo ora b&t = 0 , possiamo ricavare le combinazioni di stock del debito
pubblico e di tassa da inflazione che garantiscono la stazionarietà del debito pubblico:
a 1
bt = − + π t m
[6.9]
r r
Esse sono rappresentate nella figura 3 dalla retta crescente etichettata b& = 0 .
t
Ogni punto al di sopra di tale retta implica che b&t > 0 , mentre i punti che si trovano al di
sotto della retta corrispondono a b&t < 0 . Sempre nella figura 3, la retta orizzontale b
rappresenta lo stock massimo di debito (in rapporto al PIL nominale) che il governo può
collocare sul mercato: oltre tale soglia massima, il settore privato non assorbe più
l’offerta di titoli ed il deficit deve necessariamente essere monetizzato.
Assumiamo che al tempo t = 0 il governo abbia fissato valore del saldo
primario/PIL, a , che il tasso di inflazione sia pari a π 0 e lo stock del debito sia pari a
b0 : il sistema economico si trova quindi inizialmente nel punto A. Nella situazione
iniziale, il disavanzo dello Stato (al lordo degli interessi sul debito) è totalmente
finanziato dall’imposta da inflazione. In termini formali, sulla base dell’equazione [6.9]
abbiamo:
a + r b0 − π o m = 0
[6.10]
da cui
[6.11]
a + r b0 = π 0 m
b&t = 0
C
π1m
−
E
D
b
a
r
A
π0m
πt m
πt m
1 r
Figura 3 – Interazione tra politica fiscale e politica monetaria
Ipotizziamo ora che l’autorità monetaria ritenga eccessivamente elevato il tasso
di inflazione e voglia ridurlo al livello π1 < π 0 ; di conseguenza essa attua una politica
monetaria restrittiva, fissando a questo stesso livello il tasso di espansione dell’offerta di
moneta (base monetaria) – si ricordi che il modello assume la validità della teoria
23
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
quantitativa della moneta. Ne segue che al tempo t = 1 il sistema economico si viene a
collocare nel punto C. L’inflazione effettivamente si è ridotta, ma si tratta di un risultato
di breve periodo: a parità di saldo primario, il minor finanziamento monetario a seguito
della politica monetaria restrittiva richiede un maggiore ricorso al finanziamento con
titoli, con conseguente aumento dello stock di debito. In effetti, C si trova al di sopra
della retta b& = 0 , e quindi il debito è crescente, b& > 0 . L’equazione [6.10] non vale più
t
t
con il segno di uguaglianza, ma la somma algebrica dei termini a sinistra è positiva.
Tuttavia, la crescita dello stock di debito finisce quando, al tempo t = t , lo stock del
debito (rispetto al PIL nominale) raggiunge il tetto bt = b oltre il quale non può
ulteriormente aumentare. Il finanziamento con titoli non è più praticabile ed il tasso di
inflazione, per garantire il rispetto del vincolo di bilancio del settore pubblico, deve
balzare a πt . L’equilibrio si sposta nel punto E della figura 3. In termini analitici,
possiamo illustrare questo risultato riprendendo l’equazione [6.10] e ponendo b&t = 0 e
bt = b . Si ottiene:
[6.12]
a + r b − πt m = 0
dalla quale emerge che l’unica incognita è il tasso di inflazione: esiste pertanto un solo
valore del tasso di inflazione in grado di soddisfarla. Tale valore, πt , è incompatibile
con l’obiettivo di inflazione perseguito dall’autorità monetaria in quanto π t > π 1 . In altri
termini, un disavanzo pubblico pari a a + rb è incompatibile con un tasso di inflazione
pari a π1 , in quanto il tetto alla crescita del debito impone il finanziamento monetario
degli ulteriori disavanzi di bilancio. Da notare che tali disavanzi saranno al tempo t = t
tanto più elevati quanto più basso è inizialmente l’obiettivo di tasso di inflazione, anche
se il governo mantiene costante il valore del saldo primario/PIL al livello a , poiché il
finanziamento del disavanzo con titoli richiede il pagamento di interessi sullo stock di
debito e richiede un’ulteriore emissione di titoli per farvi fronte, in un processo
cumulativo che incontra un limite nella sostenibilità del debito pubblico.29
La conclusione è che la politica monetaria restrittiva, adottata per ottenere una
riduzione del tasso di inflazione, può causare in futuro un tasso di inflazione persino più
elevato di quello iniziale (e che si vuole ridurre), se la politica fiscale non viene tenuta
adeguatamente sotto controllo e se il debito pubblico tende a divenire insostenibile.
Anzi, come verrà più ampiamente illustrato nel Capitolo 12, se gli agenti formassero le
aspettative in modo razionale, gli effetti sul tasso di inflazione si potrebbero manifestare
subito dopo l’annuncio della politica monetaria restrittiva, che non avrebbe alcuna
credibilità. In termini della figura 3, il sistema economico “salterebbe” direttamente dal
punto A al punto E.
La rilevanza del problema può essere chiarita con riferimento al caso italiano.
Nel 1980 il tasso di inflazione è stato intorno al 20%, mentre nel 1988 è sceso al 5%.
Durante questo periodo si è verificata una consistente riduzione della quota del
disavanzo pubblico finanziata con base monetaria;30 al contempo, il tasso di interesse
29
30
Lo studente ricordi l’analisi del fenomeno di autoalimentazione del debito (paragrafo 3).
Si è ripetutamente fatto riferimento al “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro del 1981.
24
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
reale sui titoli pubblici ha superato ampiamente il tasso di crescita del PIL reale. Questi
due fattori, congiuntamente, hanno impresso una forte dinamica alla crescita del debito
pubblico, il cui rapporto rispetto al PIL è passato dal 45% del 1980 all’83% del 1988.
Il modello di Sargent e Wallace evidenzia quindi un dilemma di politica
economica, tra la stabilità dei prezzi nel breve periodo, minacciata dal finanziamento
monetario del disavanzo pubblico, e la sostenibilità di lungo periodo, connessa al
finanziamento con titoli.
Appendice 8.1
La sostenibilità del debito pubblico
a) Derivazione dell’equazione [4.4]
Partiamo dall’equazione del vincolo di bilancio pubblico in rapporto al PIL nel tempo
continuo (equazione [4.2]):
B&t
= at + ibt
[A.1]
Pt Yt
B&t
: esso non esprime la variazione nel tempo
PtYt
del rapporto tra debito e PIL nominale. Quest’ultima variazione, b& , può essere ottenuta
Consideriamo ora il termine a sinistra,
t
applicando a
Bt
la regola della derivata del rapporto di più funzioni della stessa
PtYt
variabile. Poiché lo stock del debito pubblico, il PIL reale ed il livello dei prezzi sono
tutte funzioni del tempo, la variazione del loro rapporto rispetto al tempo è data da:
d  B  B& PY − Bt P&tYt − Bt PtY&t
[A.2]
b&t =  t  = t t t
dt  PtYt 
Pt 2Yt 2
dalla quale si ottiene:
d  B  B&
B P&
B Y&
B&
[A.3]
b&t =  t  = t − t t − t t = t − btπ t − bt g t
dt  PtYt  PtYt PtYt Pt PtYt Yt PtYt
P&
Y&
dove π t = t è il tasso di inflazione e gt = t è il tasso di crescita del reddito reale.
Pt
Yt
Riarrangiando i termini della [A.3] si ricava
[A.4]
B&t
come
PtYt
B&t
= b&t + btπ t + bt g t = b&t + bt (π t + gt )
PtYt
che corrisponde all’equazione [4.4] del testo.
b) Derivazione dell’equazione [6.5]
25
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
L’equazione del vincolo di bilancio pubblico in rapporto al PIL è ora (equazione [6.2]):
B&t
M&
+ t = at + ibt
[A.5]
PtYt Pt Yt
Analogamente a quanto fatto per la variazione del rapporto tra debito pubblico e PIL, la
& t , è ottenuta come
variazione del rapporto tra quantità di moneta e PIL, m
[A.6]
m& t =
d  Mt

dt  PtYt
 M& t PtYt − M t P&tYt − M t PtY&t
 =
Pt 2Yt 2

dalla quale si ottiene:
 M& t M t P&t M t Y&t M& t
 =
−
−
=
− mtπ t − mt g t
 PtYt PtYt Pt PtYt Yt PtYt
Riarrangiando i termini, ricaviamo l’equazione [6.5] del testo:
M& t
[A.8]
= m& t + mtπ t + mt g t = m& t + mt (π t + g t )
PtYt
[A.7]
m& t =
d  Mt

dt  PtYt
Appendice 8.2
I parametri fiscali del Trattato di Maastricht
Alla luce del fatto che la teoria non definisce un rapporto specifico oltre il quale
il debito pubblico non è più sostenibile, ci possiamo chiedere la ragione della fissazione
della soglia del 60% per il rapporto debito/PIL dei paesi candidati ad aderire all’Unione
Monetaria Europea. In effetti, sia al momento dell’adesione all’UME, sia
successivamente, diversi paesi hanno presentato e presentano valori di b sensibilmente
superiori al 60%, senza che ciò abbia necessariamente evidenziato problemi di
sostenibilità del debito (ad eccezione recentemente della Grecia).
Una spiegazione che è stata avanzata è che la decisione di dar vita all’Unione
Monetaria è stata presa per l’iniziativa dei due paesi leader, Francia e Germania. La loro
idea era quella di un accordo limitato a appunto a Francia, Germania e Benelux (più
eventualmente qualche paese nordico) con l’esclusione dei paesi dell’area mediterranea
(la cosiddetta “Europa a due velocità”). I paesi del Nord Europa (con la notevole
eccezione del Belgio) presentavano all’epoca un rapporto debito/PIL inferiore al 60%,
mentre i paesi mediterranei superavano questo valore in misura sensibile (ad esempio,
B
l’Italia aveva un valore di b =
doppio rispetto a quello indicato dal Trattato).
PY
Una seconda spiegazione (più di tipo economico) deriva dal legame tra
disavanzo e debito, e quindi dal collegamento con l’altro criterio relativo al rapporto
deficit/PIL, che secondo il Trattato di Maastricht non deve superare il 3%. Riprendiamo
l’equazione [4.5] e, per evidenziare il rapporto disavanzo/PIL, aggiungiamo al saldo
primario la spesa per interessi, ottenendo:
[A.9]
b& = (a + ib ) − (π + g )b
t
t
t
t
t
t
26
La politica fiscale nel lungo periodo ed il debito pubblico
Capitolo 8
(
)
Poniamo ora pari a zero la variazione del rapporto tra debito e PIL, b&t = 0 , ed
utilizziamo i valori del Trattato di Maastricht per il rapporto debito/PIL nominale,
b = 0 ,6 , e per il rapporto deficit/PIL nominale, d ≡ (a + ib ) = 0,03 . Si ricava che la
stabilità del rapporto tra debito e PIL implica
0 = 0,03 − ( g + π )0,6
dalla quale si ottiene
(g + π ) = 0,03 = 0,05 = 5%
0,6
Un rapporto debito/PIL pari al 60% ed un rapporto deficit/PIL pari al 3%
assicurano la stabilità dello stock di debito rispetto al prodotto quando il tasso di crescita
del reddito nominale è pari al 5%. Come è stato ricavato quest’ultimo valore? L’analisi
dei dati di bilancio dei paesi dell’UE nel periodo della stesura del Trattato di Maastricht
mostra come il valore medio del rapporto debito/PIL negli Stati membri fosse pari al
60% e, quindi, la scelta potrebbe essere stata quella di fissare degli obiettivi numerici
che mantenessero il debito a tale livello, sulla base di un rapporto deficit/PIL del 3%,
corrispondente alla quota della spesa pubblica per investimenti,31 di un tasso di
inflazione del 2% e di un tasso di crescita del PIL reale del 3% (che insieme danno
appunto un tasso di crescita del PIL nominale del 5%), proprio i valori registrati in
quegli anni in Germania.
La stabilità del rapporto debito/PIL può essere raggiunta con livelli superiori o
inferiori al 60%, qualora il tasso di crescita reale o il tasso di inflazione siano diversi da
quelli indicati sopra. Ad esempio, ad un tasso di crescita del PIL nominale del 4%, cioè
con ( g + π ) = 0,04 , dato il disavanzo al 3% del PIL, corrisponde un rapporto debito/PIL
che rimane stabile al livello del 75%. Allo stesso modo, sempre quando ( g + π ) = 0,04 ,
il rapporto deficit/PIL compatibile con la stabilità del rapporto debito/PIL al 60%,
risulta essere pari al 2,4% . Come è evidente, la stabilità del rapporto debito/PIL si può
ottenere con pressoché infinite combinazioni dei valori delle tre variabili (rapporto
debito/PIL, rapporto deficit/PIL, tasso di crescita del reddito nominale).
31
Per gli economisti che ritengono nulli o molto limitati gli effetti espansivi della politica fiscale, la spesa
pubblica corrente non dovrebbe dare luogo a deficit e ad accumulazione del debito pubblico. Invece, la
spesa pubblica in conto capitale (spese per investimento) possono essere sostenute in deficit senza gravi
conseguenze per il sistema economico, in quanto sono spese produttive che concorrono a far aumentare il
reddito nazionale nei periodi successivi. In media sono pari al 3% del PIL: da qui il valore del parametro
indicato del Trattato di Maastricht.
27
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