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Il balsamo della misericordia

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Il balsamo della misericordia
Diocesi di Treviso – Anno pastorale 2015-2016
Anno del Giubileo della Misericordia
for Per la
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li a ne
dult
i
Il balsamo
della misericordia
Sussidio per la formazione degli adulti
nelle Parrocchie e nelle Collaborazioni
A cura dell’Ufficio per il coordinamento della pastorale e dell’Azione Cattolica diocesana
Obiettivo e struttura del sussidio
Per accompagnare, nell’anno pastorale 2015-2016, la celebrazione del Giubileo
della Misericordia è stato predisposto questo sussidio, che offre alle parrocchie e alle
collaborazioni pastorali un percorso strutturato di approfondimento del tema dell’Anno
Santo.
L’itinerario proposto per la formazione
degli adulti si snoda in cinque tappe – che
possono corrispondere a cinque o più incontri –, ognuna accompagnata dalle seguenti
schede:
1. Bisognosi di misericordia
2. La storia della misericordia di Dio
3. Il Vangelo della misericordia
4. «Lasciatevi riconciliare con Dio»
5. Essere profeti di misericordia
Com’è intuibile dai titoli delle schede, il
percorso sviluppa gradualmente a riconoscere la misericordia del Padre rivelata in
Cristo, ad accoglierla e a viverla. Di conseguenza, sebbene non vi sia un collegamento
diretto tra ciascuna tappa e un tempo liturgico, i cinque momenti di approfondimento
possono essere distribuiti nel corso dell’anno pastorale a cominciare dall’autunno. La
prima scheda, infatti, costituisce un’introduzione al tema del Giubileo e la seconda può
essere utilizzata in preparazione all’apertura
della Porta della Misericordia, che avrà luogo il 13 dicembre in cattedrale. Suggeriamo
di affrontare la terza scheda in gennaio o febbraio, la quarta – che fa riferimento al sacramento della Riconciliazione – in Quaresima
e la quinta nel Tempo pasquale.
Ogni scheda è comunque compiuta in sé
e può essere utilizzata anche singolarmente.
Ciascuna tappa è strutturata secondo il
percorso circolare “dalla vita alla Parola e
dalla Parola alla vita”, tipico delle proposte
formative dell’Azione cattolica. All’inizio di
ogni scheda è presente un riquadro che riporta uno o più passi dalla Bolla d’indizione
del Giubileo Misericordiae Vultus, riferiti al
tema dell’incontro. Seguono i momenti previsti per l’incontro:
1. La vita ci parla – un fatto o un’esperienza che aiuta ad entrare nel tema,
ma anche a riconoscere che la vita è
luogo teologico nel quale il Signore ci
parla;
2.un’Invocazione che prepara all’ascolto della Scrittura;
3. In ascolto – la proposta di un brano
biblico;
4. Per riflettere – lo sviluppo del tema
della scheda, a partire dal brano ascoltato;
5. Domande per noi – per la riflessione
personale e il confronto;
6. Fare memoria della misericordia –
un gesto rituale, spesso accompagnato
da una preghiera;
7. Va’ e fa’ anche tu lo stesso – una breve testimonianza agiografica
8.un’Antifona mariana per concludere
l’incontro.
La stessa struttura è stata utilizzata anche per predisporre un’apposita scheda per
i giovani, al fine di aiutarli ad entrare nel
tema dell’Anno giubilare e ad approfondirlo.
Le presenti schede sono disponibili nel sito
www.diocesitv.it
1 Bisognosi
di misericordia
e
in Ottobr e
br
o Novem
Misericordiae Vultus, 2-3
plare il mistero della miAbbiamo sempre bisogno di contem
e di pace. È condiziosericordia. È fonte di gioia, di serenità
ia: è la parola che rivela il
ne della nostra salvezza. Misericord
ia: è l’atto ultimo e supremistero della SS. Trinità. Misericord
. Misericordia: è la legge
mo con il quale Dio ci viene incontro
di ogni persona quando
fondamentale che abita nel cuore
incontra nel cammino
guarda con occhi sinceri il fratello che
unisce Dio e l’uomo, perdella vita. Misericordia: è la via che
re amati per sempre noché apre il cuore alla speranza di esse
.
nostante il limite del nostro peccato
ancora più forte siamo
do
mo
Ci sono momenti nei quali in
sulla misericordia per dichiamati a tenere fisso lo sguardo
dell’agire del Padre. È
ventare noi stessi segno efficace
bileo Straordinario della
per questo che ho indetto un Giu
le per la Chiesa, perché
Misericordia come tempo favorevo
onianza dei credenti.
renda più forte ed efficace la te­sti­m
Guida:Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti:Amen.
La vita ci parla
Suor Nevina era una donna forte. Ha dato
tanto soprattutto per le ragazze vittime della prostituzione e per anni fu direttore della
Caritas udinese. Raccontava spesso due incontri che l’avevano particolarmente segnata. Il primo con Fabrizio, un giovane malato
di AIDS che aveva voluto lasciare Napoli per
fuggire dalla città in cui si era ammalato. Fabrizio ha il viso sfigurato ed è cieco. È un
artista e parla con nostalgia delle sue creazioni. Faceva il puparo e lo scenografo. Ama
le poesie di Ungaretti. Suor Nevina sente che
deve comunicare con lui a livello di interessi
estetici. Un giorno suor Nevina deve assentarsi per un certo tempo e Fabrizio le chiede
un regalo: non sa bene il Padre Nostro e l’Ave Maria, ma vorrebbe pregare. Le chiede se
può registrarglieli. Quando la suora va a salutarlo per l’ultima volta gli consegna la registrazione, e lui la ringrazia molto. Le prende la mano e gliela bacia intensamente.
Di ritorno Fabrizio non c’è più. Ricoverato d’urgenza si è rapidissimamente aggravato ed è morto. Di lui rimaneva a suor Nevina
quel bacio e un grande rammarico: non era
riuscita a vincere la sua ritrosia a dargli un
bacio. Le rimaneva la pena d’essersi rifiutata.
Questo le torna alla mente quella mattina, quando dopo un certo tempo incontra
Livio, il barbone della Madonna delle Grazie
che vuole rivelarle che cos’è per lui la morte.
Quella mattina Livio era insolitamente pulito
e sbarbato, per cui suor Nevina si per­mette
di dirgli che era proprio bello. Nei suoi quarant’anni poteva ancora pensare di avere una
vita normale, con una compagna. Alla sua
risposta: “Non mi importa, io voglio solo la
morte!”, suor Nevina gli chiede: “Ma che cos’è
per te la morte?!”. Ci fu come una solennità
nella risposta che il barbone le dà, mimando-
la con le mani. “È una porta che si socchiude.
Lui mi verrà incontro e mi abbraccerà. Finalmente qualcuno mi abbraccerà”. Suor Nevina
raccontava di non averci pensato due volte e
di averlo abbracciato con tutto l’affetto. Le pesava ancora quel bacio non ricambiato di Fabrizio e confidava di aver chiesto, in quel momento, al Signore, la grazia di non accostare
più nessun ferito della vita senza dirgli con
tutto il cuore e con verità: “Ti voglio bene”.
Per condividere
La parola “misericordia”, contiene in sé
due termini: “miseria” e “cuore”. Ciascuno di
noi avverte il bisogno profondo che un “cuore” pieno di compassione sappia chinarsi sulla propria “miseria”, qualunque essa sia. Per
questo, scrive papa Francesco, «il mistero
della fede cristiana sembra trovare in questa
parola la sintesi... Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per
andare incontro ad ogni persona portando la
bontà e la tenerezza di Dio!» (MV 1,5).
•Nell’ambiente in cui vivo, quali sono le situazioni umane che maggiormente chiedono un’accoglienza misericordiosa?
Invocazione
Guida:Gesù, tu vieni a rivelare agli uomini
la gioia del perdono:
Tutti: Benediciamo il tuo santo nome.
Guida:Gesù, tu fai conoscere il tuo amore a
chi si credeva escluso:
Tutti: Benediciamo il tuo santo nome.
Guida:Gesù, tu vuoi che il vangelo della misericordia sia proclamato in ogni luogo:
Tutti: Benediciamo il tuo santo nome.
Guida:Gesù, tu fai fiorire i deserti e ci conduci verso terre di gioia:
Tutti: Benediciamo il tuo santo nome.
Guida:Gesù, tu sei la porta spalancata della
misericordia del Padre:
Tutti: Benediciamo il tuo santo nome.
In ascolto
Dal Vangelo secondo Luca (19,1-10)
Entrato in Gerico, [Gesù] attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere
quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura.
Allora corse avanti e, per poterlo vedere,
salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo
sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”.
In fretta scese e lo accolse pieno di gioia.
Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma
Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco,
Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco
quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi
la salvezza è entrata in questa casa, perché
anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò
che era perduto”.
Per riflettere
1. «Gesù entrò nella città di Gerico e la stava attraversando... quand’ecco un uo­mo,
di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e
ricco, cercava di vedere Gesù».
Nel vangelo di Luca è l’ultimo episodio
del viaggio di Gesù a Gerusalemme, verso la
sua passione e morte. Prima ancora di Zaccheo è Gesù stesso che si mette in cammino
verso di lui. È sempre il Signore che prende
l’iniziativa, è il suo amore che ci precede (cfr.
Gv 4,10). Non ci sono strade che il Signore
non possa percorrere e non ci sono luoghi in
cui non possa penetrare. Gerico, le cui mura
la rendevano città inespugnabile dell’Antico
Testamento, ora è visitata dall’amore misericordioso di Gesù e da esso viene espugnata.
L’Anno santo della Misericordia è un tempo di grazia per riscoprire Gesù che sempre
“entra ...attraversando” ogni miseria umana,
anche le più resistenti.
Gesù sa che incontrerà Zaccheo, “l’insalvabile per eccellenza”, perché collaborazionista con il nemico invasore, per il quale riscuote il “pubblicum”, la tassa imposta dai
romani; ladro, perché chiede più del dovuto e capo di tutti i “pubblicani”. Zaccheo è
irrecuperabile per la mentalità religiosa del
tempo. Ma Zaccheo, «l’insalvabile, ha l’unica
prerogativa richiesta per la salvezza: vede la
propria miseria e “cerca di vedere” la misericordia del Signore che passa» (S. Fausti).
2. «Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché Gesù
doveva passare di là».
Zaccheo non può salire sul terrazzo delle case vicine al passaggio di Gesù, perché
nessuno avrebbe accolto in casa sua un peccatore così riprovevole. A Zaccheo non resta
che sfidare il ridicolo, per una persona potente e ricca come lui, salendo su di un albero. È una decisione che rivela il profondo
e forse ancora oscuro bisogno che Zaccheo
ha di incontrare qualcuno diverso da tutti
gli altri, qualcuno che sappia vederlo con un
altro sguardo, uno sguardo di compassione
e di fiducia.
L’albero di Zaccheo possiamo ritrovarlo
in tutte quelle occasioni che intravediamo
promettenti qualcosa di nuovo e di buono
per la nostra vita, segnata da tante miserie.
L’Anno santo della Misericordia potrebbe
essere questo “sicomoro” che la Chiesa offre a tutta l’umanità. È quanto il papa suggerisce quando ricorda che «nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e
nei movimenti, insomma, dovunque vi sono
dei cristiani, chiunque deve potervi trovare
un’oasi di misericordia» (MV 12). Noi per
primi siamo chiamati a salire su quest’albero del Giubileo, che non può non richiamare
quell’albero della misericordia che è la croce
di Gesù. Nello stesso tempo lo stile della nostra vita personale e comunitaria dovrebbe
trasformarsi in occasioni per far incontrare
il volto misericordioso di Gesù.
3. «Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo
sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”
Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia».
Il primo “dovere” non è quello nostro nei
confronti di Dio, ma quello di Dio nei nostri
confronti. È il Signore che “deve” fermarsi
a casa nostra. Questo stile di Gesù ci rivela che Dio non è mosso da secondi fini, ma
da una grande compassione per noi. I cosiddetti “doveri verso Dio” possono risultare
fuorvianti se ci inducono a pensare che tutto dipende da ciò che noi facciamo per Dio.
«Invece, centrale nel cristianesimo è avvertire e accogliere tutto quello che Dio fa per
noi. Invece di cercare di dare qualcosa a Dio,
è più importante disporsi a ricevere ciò che
Lui vuole darci» (Dom Jacques Dupont).
Siamo perciò chiamati a vivere il tempo
del Giubileo della misericordia come autentico tempo di “grazia”, in cui diventare attenti ai passaggi di Dio nella nostra vita, per
poter accogliere con gioia il suo invito a introdurlo nella “nostra” casa. Se ciò avverrà
non saremo più quelli di prima. Come Zaccheo diventeremo capaci di trasformare la
nostra vita in dono.
Domande per noi
• Se ripenso la mia storia personale, o anche
quella comunitaria, ricordo alcuni fatti in
cui ho sperimentato che l’iniziativa del Signore aveva preceduto il mio o il nostro
agire?
• In quest’anno della Misericordia, che cosa
potrebbe diventare “il sicomoro” di Zaccheo
per aiutare le persone a incontrare la misericordia di Dio?
Fare memoria
della misericordia
Dopo aver esposto la croce al centro del­
l’as­semblea (è l’albero di... ogni Zaccheo!), a
ogni partecipante viene consegnato un biglietto (forato ad un lato) sul quale scrivere
il nome di una persona, di una situazione, di
una realtà... bisognosa di misericordia.
Una volta raccolti, i biglietti vengono uniti da un cordone e appesi alla croce al canto del canone Misericordias Domini in æternum cantabo (o altro).
Va’ e anche tu
fa’ lo stesso
Madeleine Delbrêl (1904–1964), convertitasi in giovane età, scelse di andare a vivere il Vangelo nel quotidiano a Ivry, alla
periferia di Parigi. Qui in stretto contatto
con i militanti comunisti locali, Madeleine
vive l’amore di Dio nelle strade, nei caffè,
nei metrò e tra la folla parigina. Il cardinale
Martini l’ha definita “una delle più grandi
mistiche del XX secolo”. È in corso il suo
processo di bea­tificazione.
Madeleine avvertiva quanto fosse importante accettare d’essere noi stessi i primi bisognosi di misericordia, per poterla a nostra
volta ridonare. Ha sempre conservato il ricordo sconvolgente di un gesto di bontà di
cui aveva beneficiato.
Racconta che si trovava lontana da casa, senza denaro, in uno stato di indigenza.
Era stanca e vagava da diverse ore in attesa
del treno.
“Non mi vergogno di dire – confessa –
che mi veniva da piangere, ero straniera e
sconosciuta. Si mise a piovere. Avevo fame.
Le monete che mi restavano mi facevano
capire che cosa avrei potuto ordinare. Entrai in un minuscolo caffè che dava anche
da mangiare. La mia scelta cadde su ciò che
potevo pagare: un piatto di verdure crude.
Le ho mangiate lentamente per renderle più
nutritive e per dare alla pioggia il tempo di
finire. Di tanto in tanto, i miei occhi si riempivano di lacrime.
Ma, ad un tratto, le mie spalle sono state
strette da un abbraccio consolatorio e cordiale. E una voce mi ha detto: “Signora, lei
caffè: io pagare”.
Ho pensato spesso a questa persona e ho
pregato per lei, con una riconoscenza indistruttibile, e oggi quando vado cercando la
bontà in carne e ossa, è lei che si impone a
me. Infatti, ciò che conferisce a questa donna il valore di segno cristiano e di immagine
fedele alla bontà di Dio, è il fatto che è stata
buona perché era abitata dalla bontà e non
perché ero una dei suoi a livello sociale, politico, nazionale, religioso.
Ero la straniera, senza un indizio di identità. Avevo bisogno di bontà. Avevo bisogno
anche di quella bontà che diventa misericordia e che mi è stata data da questa donna.
Per me rimane ancora oggi l’esempio assoluto della bontà, perché io non ero non
importa chi e non importa che cosa: ciò che
ha fatto è stato dettato dalla bontà che era in
lei e che si è riversata su di me.
Nel suo atto c’era tutto ciò che la bontà deve essere per essere la bontà, uno dei
tratti più importanti della misericordia infinita di Dio”.
Antifona mariana
O Maria, Madre della Misericordia!
La dolcezza del tuo sguardo
ci accompagni in questo Anno Santo,
perché tutti possiamo riscoprire
la gioia della tenerezza di Dio.
Nessuno come te ha conosciuto
la profondità del mistero di Dio fatto uomo.
Tutto nella tua vita è stato plasmato
dalla presenza della misericordia fatta carne.
Nel Magnificat hai proclamato
che la misericordia di Dio
si estende di generazione in generazione.
Tu attesti che essa non conosce confini
e raggiunge tutti senza escludere nessuno.
Non stancarti di rivolgere a noi
i tuoi occhi misericordiosi
e rendici degni di contemplare
il volto della misericordia,
tuo Figlio Gesù.
2 La storia della
misericordia di Dio
in
tà
prossimi
apertura
nto
Anno Sa
Le “mani” di ’Adonaj
Misericordiae Vultus, 1
ia del Padre. Il mistero
Gesù Cristo è il volto della misericord
in questa parola la sua
della fede cristiana sembra trovare
e ha raggiunto il suo
sintesi. Essa è divenuta viva, visibile
«ricco di misericordia»
culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre,
e a Mosè come «Dio
(Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nom
ra e ricco di amore e di
misericordioso e pietoso, lento all’i
far conoscere in vari mofedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di
sua natura divina. Nella
di e in tanti momenti della storia la
ndo tutto era disposto
«pienezza del tempo» (Gal 4,4), qua
mandò suo Figlio nasecondo il suo piano di salvezza, Egli
a noi in modo definitivo
to dalla Vergine Maria per rivelare
re (cfr Gv 14,9). Gesù di
il suo amore. Chi vede Lui vede il Pad
i gesti e con tutta la sua
Nazareth con la sua parola, con i suo
.
persona rivela la misericordia di Dio
Guida:Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti:Amen.
La vita ci parla
«Sono stanco morto dopo una giornata di
preghiera e di ritiro con i giovani del villaggio. Qualcuno mi chiede se posso trasportare una giovane mamma che da tre giorni si
trova nel dispensario con emorragie gravi e
deve partorire... Il rischio è alto per la vita
della mamma e del bambino.
Dico subito sì, ho paura e nel buio della notte tentiamo di caricare la mamma in
macchina ma vedo che le due donne amiche
dell’ammalata non si sbrigano... “Fate presto!”, grido, “ci vorrà almeno un’ora di macchina prima di arrivare all’ospedale!”.
Nessuno mi ascolta, nessuno parla... lì
per terra, in mezzo alla sabbia, il bambino
ha deciso di nascere!... Non è possibile, come
facciamo in questi casi? Le donne mi chiedono se posso far loro un po’ di luce per riuscire a vedere e aiutare la mamma... prendo
la mia torcia e comincio a fare da impianto di illuminazione in quella sala operatoria
sotto le stelle... Tutto dura solo qualche minuto. Senza grida e nella calma più assoluta
è il pianto del bambino che rompe il silenzio e poi le risa di gioia di tutte le donne...
La mamma del bimbo, quella mamma di cui
non conosco il nome, si alza, mi chiede come
mi chiamo e dà al bambino il mio nome... mi
ringrazia e insieme alle sue amiche se ne torna a casa, col piccolo nato tra le braccia...»1.
Per condividere
Anche se non sono mai nominate esplicitamente, protagoniste silenziose di questa piccola grande storia di misericordia sono le mani...
1 Saverio Fassina, “La mamma senza nome”, in Piccole storie d’Africa, pp. 28-30, EMI 2007).
– Mani che tentano di caricare quell’anonima mamma sofferente sulla macchina,
– Mani che cercano di fare luce,
– Mani che aiutano a partorire,
– Mani materne che stringono il bambino appena nato...
Infatti, «per le esecuzioni di opere esteriori, la mano è l’organo più importante dell’uomo: può distruggere e uccidere, aprire e chiudere, ma anche sostenere,
guarire, benedire»2. È curioso che nelle lingue semitiche – nel cui contesto culturale
è stata redatta la Bibbia – il termine che indica la mano si riferisca sia alla “potenza”
che (come nell’ebraico contemporaneo) alla “vicinanza”... Così come il sacro nome di
Dio - JHWH - inizi con una lettera, la jod,
che simboleggia la mano di Dio... Mani,
dunque, come mezzi privilegiati per poter
esprimere la forza e l’intimità della misericordia...
•Che posto hanno avuto nella mia vita le
mani come portatrici di misericordia?
Invocazione
(di Nabil Mouannès3, prete libanese)
I Coro Fa’, o Signore, che noi stringiamo la
tua mano nera perché la terra porti
frutti di speranza.
II CoroFa’ che stringiamo la tua mano gialla perché ciascuno guadagni il suo
pane con dignità.
I Coro Fa’ che stringiamo la tua mano bianca perché fioriscano i boccioli di giustizia su tutti i rami.
2 Cfr. M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei
simboli biblici, EP 1989, p. 121.
3 In Gianfranco Ravasi, Le mani di Dio - Mattutino,
Avvenire, 25 gennaio 2011.
II CoroFa’ che noi stringiamo anche la tua
mano rossa perché tutti gli abitanti dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa
e dell’America coltivino sotto tutti i
cieli e in tutti i tempi campi di preghiera e giardini di pace.
I Coro Le mani di Dio non sono solo bianche, ma hanno tutti i colori della
pelle dell’umanità, per questo, se
vuoi stringerle, non devi esitare a
tenere nella tua la sua mano nera o
gialla o rossa.
II CoroÈ, infatti, con le mani dei giusti di
tutta la terra che Dio coltiva i campi
della preghiera, fa sbocciare la
giustizia, fa maturare i frutti della
speranza trasformando il mondo in
un giardino di pace.
Tutti: Ogni etnia, ogni popolo, ogni fede
è necessaria per creare un mondo
diverso da quello in cui le mani si
staccano o, peggio, si armano l’una
contro l’altra.
In ascolto
Dal libro dell’Esodo (2,23-25; 14,23-27.30-31)
Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù,
alzarono grida di lamento e il loro grido dalla
schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento, Dio si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero.
[Allora] il Signore disse a Mosè: “Stendi la
mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri”. Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli
Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il
Signore li travolse così in mezzo al mare.
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla
mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide
la mano potente con la quale il Signore
aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè
suo servo.
Per riflettere
Se ad un ebreo, che ha maturato la sua
fede attraverso i testi di quello che noi cristiani chiamiamo Antico Testamento, ponessimo la più classica delle domande in campo
religioso: «Chi è Dio?», egli certamente risponderebbe con le parole del “piccolo credo
storico”4, sintesi liturgica di ciò che la Bibbia
racconta in modo molto più esteso presentandolo come il “cuore pulsante” della manifestazione del cheséd, vale a dire della misericordia e della fedeltà di Dio verso Israele,
cioè la liberazione dall’Egitto.
Il testo che meditiamo, tratto dal libro
dell’Esodo, costituisce un breve sommario
di questo evento fondante la fede di Israele.
Esaminiamo tre scene.
1. Prima scena: I quattro movimenti della
misericordia di ’Adonaj (Es 2,23-25)
La prima è incentrata su tre versetti che
risultano essere emblematici del linguaggio
utilizzato dall’autore ispirato per esprimere
la relazionalità di JHWH:
– Innanzitutto c’è Israele che grida al
Signore. Come? Non fa grandi preghiere, ma
la sua sofferenza è un grido che non lascia
indifferente Dio;
– Significativo come la risposta di ’Adonaj avvenga attraverso una sequenza di
quattro verbi che potrebbero essere definiti
“i quattro movimenti della misericordia di
’Adonaj” di fronte ai quali il lettore è chiamato a misurarsi:
- ascoltò, inteso come ascolto profondo e
decentrato;
- si ricordò, nel senso di “prendere coscienza di un fatto”,
4 «Gli egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra
voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la
nostra oppressione; il Signore ci fede uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso» (Dt 26,5-9).
- guardò, nel nostro caso: “esaminare”,
“riconoscere”;
- se ne prese pensiero, letteralmente “conobbe” nel senso di “prendersi cura”.
Ciò sta a significare non tanto il fatto che
’Adonaj abbia fattezze umane5, quanto che
sia un Dio personale e che crea rapporti di
comunione.
– Da questo momento in poi l’iniziativa
passa radicalmente nelle Sue mani: il fatto
che in soli tre versetti il Suo nome ricorra
ben cinque volte ne è indizio significativo
che culminerà nel famoso passaggio del Mar
Rosso (Es 14).
2. Seconda scena: Mani aperte, mani chiuse... (Es 14,26.30a)
La seconda scena ci trasporta in un grandioso “quadro” che sembra occupato da due
protagoniste principali:
– Da una parte, la mano di Mosè: nominata due volte, non si muove in modo autosufficiente, ma è costantemente guidata dalla Parola di ’Adonaj (vv. 26-27) e, in entrambi
i casi, è presentata come “stesa sul mare”.
Per cogliere la pregnanza di questo passaggio vanno chiariti due particolari: a) il verbo
utilizzato letteralmente significa “dispiegare
qualcosa di piegato, distendere qualcosa di
contratto”, b) per la cultura ebraica la grande massa informe del mare con la sua superficie ingannevole è simbolo di male, minaccia e caos. Per cui:
-dall’“intrecciarsi” della Parola di ’Adonaj con la mano di Mosè («Il Signore
disse a Mosè: “Stendi la mano sul mare”») deduciamo come la misericordia
di Dio operi nella storia dell’uomo non
sostituendosi ad esso ma cercando costantemente la sua collaborazione;
- da quel mare squarciato intuiamo che il
male può essere vinto solo se ci lasciamo guidare da quella Parola che “drizza e distende” le mani, cioè le opere
dell’uomo, ispirando loro movimenti di
5 Per la tradizione ebraica Dio, infatti, rimane l’Irrappresentabile e l’Innominabile (Es 20,4-7).
“apertura” e “accoglienza”. Mani aperte, dunque, mani che sanno accogliere i
segni della misericordia di Dio, proprio
come lo sono state quelle dei protagonisti del nostro racconto iniziale o come le nostre quando abbiamo ricevuto
e dato misericordia.
– Per contro, la mano degli egiziani
appare chiusa, rigida, contratta, tutta presa
com’è dalla brama del possesso, cioè di trattenere in Egitto “mano d’opera” gratuita (v.
30). Una mano talmente serrata che non può
lasciare alcun spazio d’azione alla misericordia divina e, come tale, è destinata a soccombere tra i flutti del mare/male.
3. Terza scena: Un cammino di fede
(Es 14,30b-31)
È significativo che - così come è stato
Israele (cioè l’umanità) ad aprire il nostro
testo («Gli Israeliti gemettero per la loro
schiavitù») - sia di nuovo Israele a chiuderlo. Ciò implica almeno due conseguenze:
– Il fatto che l’uomo abbia la prima e
l’ultima parola ci fa scoprire un altro aspetto
della misericordia di ’Adonaj: la delicatezza.
Dio non si impone, non ama i primi piani;
nel dolore si fa trovare e nel silenzio opera,
mettendosi “nelle mani” di Mosè, cioè dell’umanità intera.
– È nella reazione di Israele di fronte alla liberazione operata da ’Adonaj (30b-31)
che possiamo intravedere il primo passo del
cammino di fede a cui ogni uomo che si riconosce amato da Dio è chiamato:
- infatti, presso il mar Rosso, il popolo fa
una cosa fondamentale: vede6. Che cosa? Gli egiziani morti, e questo non è
difficile da vedere, ma anche la mano
potente7 che JHWH ha usato contro l’Egitto, e questo comincia ad essere più
difficile da vedere. Insomma, si tratta di
vedere non solo con gli occhi di carne
ma anche con l’intelligenza della fede;
6 Da notare come il verbo utilizzato dall’agiografo
sia lo stesso attribuito a Dio in Es 2,25.
7 Il termine ebraico utilizzato si riferisce anche alla
magnificenza.
significa che in Israele è maturata una
disponibilità che lo rende capace di riconoscere negli avvenimenti della sua
storia la mano misericordiosa di ’Adonaj. Allora, nel momento in cui Israele vede, deve rispondere, e la risposta è
espressa con due verbi tipici della Bibbia:
- “temere” che non significa “avere paura8” ma piuttosto riconoscere/rispettare. Si teme Dio quando si riconosce con
le parole e con i fatti che egli solo è Dio
e quando, mettendo nella sua mano potente l’intera propria esistenza, gli si dà
l’onore e la gloria che gli spettano.
- “credere”: anche qui dobbiamo notare
come tale verbo sia la forma causativa di una radice che significa “solidità,
fermezza”9 e il suo significato sia “fare di qualcuno/qualcosa la propria solidità”; è come appoggiarsi su qualcun
altro che sia solido, quindi credibile.
Se Israele crede nel Signore questo
vuol dire che ne ha riconosciuto la
forza e la fedeltà e che lo accetta come
fondamento della sua esistenza10. Ciò
significa ammettere – diversamente da
come rappresentato dalla mano chiusa
degli egiziani – che l’uomo non è autosufficiente, in grado di dominare sé
stesso e il mondo e la vita; di rimanere
fermo, solido di fronte alle cose ed agli
avvenimenti. Allora, la possibilità che
gli rimane è di credere, cioè di aprirsi,
appoggiarsi sulla stabilità della misericordia di Dio. Solo in questo modo diventerà capace di misurarsi con le cose
e gli avvenimenti senza paure e condizionamenti.
8 Perché mai Israele dovrebbe aver paura di un Dio
che lo ha liberato?
9 È la stessa radice da cui deriva la parola “amen”.
10 È lo stesso significato di un’altra affermazione di Isaia: «Se non crederete non avrete stabilità» (Is 7,9b).
Domande per noi
Sostiamo in silenzio, lasciandoci nutrire da
quanto Dio ha voluto dirci attraverso questo testo.
• La misericordia di Dio è in cerca di collabo-
ratori. Quali conseguenze, quali pensieri suscita in me questa frase?
• Quale/i degli atteggiamenti di misericordia
compiuti da Dio verso Israele mi sembra essere
quello/i di cui oggi c’è particolarmente bisogno?
• In quali momenti della mia vita ho potuto
vedere i segni della misericordia di Dio così
come è successo ad Israele sul Mar Rosso?
Fare memoria
della misericordia
I partecipanti all’incontro, in clima di silenzio, sono invitati:
-dapprima ad osservare le proprie mani;
- poi a stringere le mani al vicino.
Chi guida l’incontro può accompagnare
la riflessione silenziosa evocando a voce alta
alcuni passaggi:
-La mano potente di Dio...
-Le mani aperte di Mosè...
-Le mani chiuse degli egiziani...
-Le mani nella nostra vita come strumento di misericordia...
-La misericordia che abbiamo dato
-... e quella che abbiamo ricevuto.
Breve momento di contemplazione...
Va’ e anche tu
fa’ lo stesso
Un maestro viaggiava nel deserto con un
discepolo incaricato di occuparsi del cammello. Una sera, arrivati a una locanda, il discepolo era talmente stanco che non legò il cam-
mello. “Mio Dio”, pregò coricandosi, “prenditi
cura del cammello, te lo affido”. Il mattino
dopo il cammello era sparito. “Dov’è il cammello?”, chiese il maestro. “Non lo so”, rispose il discepolo, “devi chiederlo a Dio! Ieri sera
gli ho affidato il nostro cammello, non è certo
colpa mia se è scappato o è stato rubato, ho
esplicitamente domandato a Dio di sorvegliarlo; è Lui il responsabile! Tu mi esorti sempre
ad avere la massima fiducia in Dio, no?”. “Abbi
sempre la più grande fiducia in Dio, ma prima
lega il tuo cammello”, rispose il mae­stro, “perché Dio non ha altre mani che le tue”.11
Antifona mariana
«Le mani di Maria sono state mani di
bimba, di sposa, di donna felice, di madre affranta, mani che hanno sperimentato la terra e il cielo, sono diventate soprattutto mani
di madre per tutti gli uomini, mani di grazia
per “gli esuli figli di Eva”».12
Santa Maria, Madre tenera e forte,
nostra compagna di viaggio
sulle strade della vita,
ogni volta che contempliamo le cose grandi
che l’Onnipotente ha fatto in te,
proviamo una così viva malinconia
per le nostre lentezze,
che sentiamo il bisogno di allungare il passo
per camminarti vicino.
Asseconda, pertanto,
il nostro desiderio di prenderti per mano,
e accelera le nostre cadenze
di camminatori un po’ stanchi.
Divenuti anche noi pellegrini nella fede,
non solo cercheremo il volto del Signore,
ma, contemplandoti
quale icona della sollecitudine umana
verso coloro che si trovano nel bisogno,
raggiungeremo in fretta la “città”,
recandole gli stessi frutti di gioia.
(Don Tonino Bello)
11 Bruno Ferrero, Cerchi nell’acqua, LDC 1994.
12 Zaira Zuffetti, Le mani di Maria, Ancora 2008.
3 Il Vangelo
della misericordia
io
in Genna o
i
o Febbra
Misericordiae Vultus, 6.8
ia e specialmente in questo si
«È proprio di Dio usare misericord
le di san Tommaso d’Aquino
manifesta la sua onnipotenza». Le paro
na non sia affatto un segno di
mostrano quanto la misericordia divi
’onnipotenza di Dio. È per quedebolezza, ma piuttosto la qualità dell
più antiche, fa pregare dicensto che la liturgia, in una delle collette
a soprattutto con la misericordo: «O Dio che riveli la tua onnipotenz
nella storia dell’umanità come
dia e il perdono». Dio sarà per sempre
ente, santo e misericordioso.
Colui che è presente, vicino, provvid
mio che ricorre spesso nell’An“Paziente e misericordioso” è il bino
ra di Dio. Il suo essere misetico Testamento per descrivere la natu
in tante azioni della storia della
ricordioso trova riscontro concreto
sulla punizione e la distruzione.
salvezza dove la sua bontà prevale
dea astratta, ma una realtà con[... ] La misericordia di Dio non è un’i
come quello di un padre e di
creta con cui Egli rivela il suo amore
dal profondo delle viscere per
una madre che si commuovono fino
dire che è un amore “viscerale”.
il proprio figlio. È veramente il caso di
ento profondo, naturale, fatto
Proviene dall’intimo come un sentim
lgenza e di perdono.
di tenerezza e di compassione, di indu
Padre è stata quella di rivelaLa missione che Gesù ha ricevuto dal
sua pienezza. « Dio è amore »
re il mistero dell’amore divino nella
e unica volta in tutta la Sacra
(1Gv 4,8.16), afferma per la prima
sto amore è ormai reso visibiScrittura l’evangelista Giovanni. Que
La sua persona non è altro che
le e tangibile in tutta la vita di Gesù.
mente. Le sue relazioni con
amore, un amore che si dona gratuita
tano qualcosa di unico e di irle persone che lo accostano manifes
utto nei confronti dei peccaripetibile. I segni che compie, sopratt
malate e sofferenti, sono all’intori, delle persone povere, escluse,
parla di misericordia. Nulla in
segna della misericordia. Tutto in Lui
Lui è privo di compassione.
Guida:Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti:Amen.
Per condividere
•Quali reazioni suscitano in me queste
considerazioni?
La vita ci parla
Nella vita delle nostre comunità capita
spesso di incontrare buoni cristiani che non
riescono a perdonare qualche persona (a
volte anche molto cara, spesso un familiare
stretto) dalla quale hanno subito – o ritengono di aver subito – un torto, o un’offesa,
particolarmente grave. Altre volte si trovano gruppi all’interno della stessa parrocchia
che sono in perenne lotta tra loro, ovviamente ciascuno con la convinzione di essere in dovere di correggere l’altro, o quanto meno di dover proporre la propria linea
perché migliore, o quanto meno non errata
come quella degli altri. Tutto questo mentre Papa Francesco invita ogni cristiano ad
essere annunciatore del vangelo della misericordia: «La misericordia sarà sempre più
grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona»
(Misericordiæ Vultus, 3). Ma a chi, e in che
modo possiamo annunciare questo vangelo, se non lo sappiamo vivere prima di tutto
nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità? Non mancano, anche tra i buoni cristiani, coloro che ritengono l’insistenza del Papa sulla misericordia un po’ eccessiva, quasi
una sorta di cedimento allo stile pagano del
mondo di oggi, in cui si rischia di perdere
di vista i valori umani ed evangelici fondamentali. Eppure, se «Gesù Cristo è il volto
della misericordia del Padre» e se «Misericordia è la parola che rivela il mistero della
SS. Trinità: è l’atto ultimo supremo con il
quale Dio di viene incontro» (Misericordiæ
Vultus, 1-2), di fronte alla nostra incapacità
di “usare misericordia”, ci dobbiamo chiedere non solo se mai saremo capaci di annunciare il vero volto di Dio manifestato in
Gesù, ma anche se, più in profondità, davvero lo abbiamo conosciuto.
Invocazione - Dal Sal 102(103)
I Coro
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me
benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
II CoroEgli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia,
sazia di beni la tua vecchiaia,
si rinnova come aquila
la tua giovinezza.
I Coro
Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.
II CoroMisericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
I Coro
Perché quanto il cielo
è alto sulla terra,
così la sua misericordia
è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi
le nostre colpe.
II CoroCome è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero
verso quelli che lo temono,
perché egli sa bene
di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
In ascolto
Dal Vangelo secondo Matteo (18,14-17.21-35)
In quel tempo Gesù disse: «Così è volontà
del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda. Se il tuo
fratello commetterà una colpa contro di
te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti
ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;
se non ascolterà, prendi ancora con te una
o due persone, perché ogni cosa sia risolta
sulla parola di due o tre testimoni. Se poi
non ascolterà costoro, dillo alla comunità;
e se non ascolterà neanche la comunità, sia
per te come il pagano e il pubblicano».
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe
[contro di me], quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a
settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un
re che volle regolare i conti con i suoi servi.
Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva
diecimila talenti. Poiché costui non era in
grado di restituire, il padrone ordinò che
fosse venduto lui con la moglie, i figli e
quanto possedeva, e così saldasse il debito.
Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti
restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli
condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei
suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava,
dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il
suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti
restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece
gettare in prigione, fino a che non avesse
pagato il debito. Visto quello che accadeva,
i suoi compagni furono molto dispiaciuti
e andarono a riferire al loro padrone tutto
l’accaduto.
Allora il padrone fece chiamare quell’uomo
e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho con-
donato tutto quel debito perché tu mi hai
pregato. Non dovevi anche tu aver pietà
del tuo compagno, così come io ho avuto
pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede
in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi
se non perdonerete di cuore, ciascuno al
proprio fratello».
Per riflettere
1. «Così è volontà del Padre vostro, che è
nei cieli»
Il capitolo 18 del Vangelo di Matteo è
detto anche “discorso ecclesiale”, o “comunitario”, perché raccoglie una serie di indicazioni di Gesù per la vita della Chiesa.
L’occasione è offerta da una domanda dei
discepoli riguardo a chi di loro possa essere
considerato il più grande nel regno dei cieli (cf. Mt 18,1). Gesù, piuttosto che irritarsi
e lasciarsi prendere dallo sconforto di fronte
ad un interrogativo che evidenzia la distanza
dei suoi discepoli dallo stile che fino ad ora
egli ha vissuto e annunciato, invita un bambino a mettersi in mezzo a loro perché lo
possano prendere come punto di riferimento per le proprie valutazioni. Tutta la prima
parte del capitolo, a partire dal riferimento
a quel bambino, si concentra su coloro che
Gesù chiama i “piccoli”: non si tratta solo dei
fanciulli, ma anche di tutti coloro che nella
comunità, per qualsiasi motivo, sono più deboli e più esposti agli scandali.
In questo contesto Matteo inserisce la
parabola della pecora smarrita, che si trova
anche nel capitolo 15 del Vangelo di Luca,
quello delle tre grandi parabole della misericordia (la pecora perduta, la moneta perduta
e il Padre misericordioso).
In Matteo il pastore che lascia le novantanove pecore sui monti per andare a cercare quell’unica che si era smarrita esprime
chiaramente l’atteggiamento del Padre, che
qui Gesù definisce “Padre vostro”: nessuno dei piccoli della comunità deve perdersi.
Dunque, se in molti altri casi potrà essere
difficile comprendere quale sia la volontà di
Dio, di fronte alla prospettiva di un “piccolo” che rischia di perdersi, non c’è da avere
alcun dubbio: il Padre invita il Figlio e ciascuno dei fratelli a fare di tutto per poterlo
recuperare.
2. «Se il tuo fratello commette una colpa
contro di te»
Si capisce bene, dunque, perché i versetti successivi siano dedicati ad offrire una
specie di “regola” per vivere bene la correzione fraterna.
Alcuni antichi manoscritti testimoniano
che il testo può essere letto sia come indicazione per le relazioni interpersonali (se
il tuo fratello commette una colpa «contro
di te»), sia come una vera e propria “regola
comunitaria” (se il tuo fratello «commette
una colpa»).
Merita in ogni caso attenzione l’invito a
una sorta di progressività, sia per quanto riguarda le relazioni con chi possa averci fatto un torto personale, sia per la correzione
di quei fratelli che abbiano commesso qualche colpa: prima il richiamo personale, poi
quello davanti a uno o due testimoni, fino
al richiamo davanti alla comunità. Si noti poi che, anche qualora si renda necessario considerare chi non ascolta nessuno di
questi richiami progressivi come «il pagano
e il pubblicano», l’obiettivo rimane quello
dichiarato: «è volontà del Padre vostro che
neanche uno di questi piccoli si perda».
3. «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo
compagno, come io ho avuto pietà di te?»
In questo stesso contesto, che illustra la
volontà del Padre e vuole orientare le scelte
concrete della comunità, si colloca la parabola ben nota che abbiamo ascoltato.
Anche in questo caso Pietro, ancora lontano dalla piena sintonia con Gesù, chiede
che si ponga un limite alla disponibilità a
perdonare il proprio fratello. La risposta, invece, invita a superare i limiti umanamente
più plausibili. Il debito condonato dal re al
primo servitore della parabola, infatti, consiste in diecimila talenti (secondo un calcolo approssimativo, un talento corrisponde a
circa 6000 giornate lavorative: e si tratta di
10.000 talenti!): dunque un debito impossibile da ripagare senza un condono totale!
È questo quello che il «Padre vostro» fa
costantemente con ciascuno.
A confronto, il debito di cento talenti del
primo servitore con il secondo (un talento
corrisponde alla paga di una giornata lavorativa), risulta irrisorio, facilmente rimborsabile. Eppure, il servo a cui è stato condonato tutto l’enorme suo debito non è capace di
condonare al suo compagno.
Per Gesù la motivazione è chiara: non sa
perdonare chi non ha accolto pienamente il
perdono del Signore.
Anche se risulta scomodo in tutti quei
casi nei quali facciamo fatica a perdonare il
nostro fratello, specialmente quando siamo
convinti di avere una certa dose di ragione,
il Signore ci pone duramente davanti alla realtà: se fai fatica a perdonare il tuo fratello,
significa che non hai accolto pienamente il
perdono infinitamente più grande del Padre
nei tuoi confronti.
Domande per noi
• Mi è mai capitato di riuscire a perdonare, ac-
cogliere, o almeno scusare qualche fratello
che aveva fatto un torto a me o a persone
a me care, pensando al fatto che Gesù per
primo ha fatto (e continua a fare) questo nei
miei confronti?
• Quale ambito della vita della mia comunità/gruppo/associazione di appartenenza
mi sembra più bisognoso di una rinnovata
esperienza della misericordia, in modo da
diventare annunciatori credibili del vangelo
della misericordia?
Fare memoria
della misericordia
Un gesto molto semplice, che spesso si
vede compiere nelle nostre chiese, è quello di accendere un lumino all’altare della
Madonna o di qualche santo per chiedere
una grazia in favore di persone care, o per
esprimere il ringraziamento per dei doni ricevuti.
Si può invitare ciascuno a offrire un piccolo cero, segno della preghiera personale
che continua anche una volta usciti di chiesa, per la persona che si fatica di più a perdonare.
Va’ e anche tu
fa’ lo stesso
Pier Giorgio Frassati era uno dei soci più
attivi al circolo universitario Cesare Balbo:
così lo descrive colui che è stato presidente dello stesso circolo negli anni 1919-1920.
«Non mancava mai alle adunanze e, benché
in quell’anno i soci fossero divisi in due di-
verse tendenze che spesso urtavano vivacemente ed egli avesse una sua idea ben ferma
e netta, era in buoni rapporti con tutti; era
il compagno da tutti amato, sopra ogni divisione e sopra ogni tendenza. Perché, anche
quando sosteneva idee completamente opposte, pur usando un tono deciso e caloroso,
lasciava non solo comprendere, ma esplicitamente affermava che in lui la discordanza
delle idee non discendeva mai a diventare rivalità di persona.
Ricordo che un socio, assai scalmanato nel sostenere le proprie idee, ragionando
un giorno con me sugli episodi della vita di
circolo, faceva colpa a Pier Giorgio - che apparteneva alla sua stessa tendenza - di non
essere in urto con nessuno, e d’essere anzi
in ottimi rapporti con gli oppositori. Né lui
né io capivamo allora che qui appunto stava
uno dei segreti della sua virtù».
Due altri amici confermano: «Posso assicurare che non l’ho mai udito dir male
di nessuno. Scusava, finché poteva. Quando c’era l’evidenza, non passava all’accusa;
taceva, forse pregava. Attraversavo con lui
una piazza, quando fu chiamato per nome:
ci volgemmo e, in fretta ma molto cordialmente, salutò un giovane professionista che
io pure conoscevo. Era stato dei nostri, ma
in quel tempo era molto lontano dalle nostre file. Io lo consideravo un disertore. Pier
Giorgio, più semplicemente e più cristianamente, pur sapendo tutto, lo trattava ancora
come un amico e così gli facilitava il ritorno
all’ovile, che io gli precludevo con la mia severa rigidità. Non potei però trattenermi dal
ricordargli chi fosse. Mi rispose: “Poveretto,
fa come può” e cambiò discorso». [...]
Nelle discussioni non fu mai udito ricorrere a disquisizioni sottili o ragionamenti
complicati per difendere se stesso o imporre
una sua opinione.
Quando si accorgeva di non aver colto nel
segno, l’ammetteva, non con umiltà esagerata, ma fortemente, serenamente. Davanti a
più strade, sceglieva, come per istinto, quella buona, indipendentemente dal sacrificio
che gli costava. [...]
In occasione della Pasqua, aveva cooperato ad affiggere, nel cortile interno dell’U-
niversità, in via Po, un invito sacro agli
studenti. Alcuni lo strapparono. L’avviso
venne rimesso altre volte con progressione
geometrica, fino a raggiungere il numero
di 64...13
Antifona mariana
Salve, Regina, madre di misericordia,
vita, dolcezza e speranza nostra, salve.
A Te ricorriamo, noi esuli figli di Eva;
a Te sospiriamo gementi e piangenti
in questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra,
rivolgi a noi
quegli occhi Tuoi misericordiosi.
E mostraci dopo questo esilio, Gesù,
il frutto benedetto del Tuo seno.
O clemente,
o pia,
o dolce Vergine Maria.
13A. Cojazzi, Pier Giorgio Frassati. Il libro che lo ha fatto
conoscere e amare, SEI, Torino 1990, pp. 79-81.
4 “Lasciatevi riconciliare
con Dio”
sima
in Quare
Misericordiae Vultus, 17
re sia vissuta più intenLa Quaresima di questo Anno Giubila
celebrare e sperimentare
samente come momento forte per
“24 ore per il Signore”, da
la misericordia di Dio. [...] L’iniziativa
cedono la IV domenica
celebrarsi nel venerdì e sabato che pre
e Diocesi. Tante persone
di Quaresima, è da incrementare nell
della Riconciliazione e
si stanno riavvicinando al sacramento
erienza ritrovano spestra questi molti giovani, che in tale esp
per vivere un momenso il cammino per ritornare al Signore,
il senso della propria vita.
to di intensa preghiera e riscoprire
vinzione il sacramento
Poniamo di nuovo al centro con con
te di toccare con mano
della Riconciliazione, perché permet
per ogni penitente fonte
la grandezza della misericordia. Sarà
di vera pace interiore.
Guida:Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti:Amen.
La vita ci parla
La signora Gemma Capra è la moglie del
commissario Calabresi, ucciso dai terroristi nel 1972. La “vedova Calabresi” conosce
bene il dolore e l’ingiustizia avendole sperimentate ben presto: a venticinque anni è
madre di due bambini, con un altro bimbo in
arrivo, e un marito ucciso per strada.
È stato chiesto alla signora Gemma, che
ha vissuto questa terribile esperienza, che
idea ci si può fare del perdono.
«Del perdono ho sentito parlare molto,
e quasi sempre male. Perché spesso si pensa di poter ragionare e parlare di perdono
senza però averlo nel cuore. Il perdono è un
cammino lungo, ed è assurdo – come spesso fanno certi giornalisti – chiedere, a breve distanza da una tragedia, se uno ha perdonato. In quel momento si può rispondere qualunque cosa, in positivo o in negativo, ma non si può possedere il significato di
quell’affermazione. Allora proviamo ad andare al fondo di questa idea di perdono, soprattutto adesso, con la Pasqua alle porte...
Le ricordo un fatto significativo, che può
servire. Quando fu ucciso mio marito, mia
madre pensò di mettere come necrologio
la frase che Gesù disse poco prima di morire: «Padre, perdona loro perché non sanno
quello che fanno». Io, devo dire la verità, allora non sarei stata capace di dire una frase
di questo genere, però l’ho accettata.
Dopo anni ci ho ripensato e mi sono detta: com’è possibile che Gesù, che è Figlio di
Dio e che è portatore di tutto il messaggio
di pace che conosciamo, non abbia perdonato direttamente Lui le persone che lo stavano uccidendo? Poteva: perché non l’ha
fatto? Mi sono data questa risposta: Lui è
Dio, ma è anche uomo, e come uomo sen-
tiva quanto sarebbe stato difficile per noi,
uomini come Lui, di fronte a tanto dolore,
poter perdonare.
Però ci ha indicato la strada: chiedere a
Dio di farlo in vece nostra, lasciando a noi
il tempo del cammino. Allora io in questo
cammino mi sono addentrata.
Ecco la spiegazione che io mi do, ed è una
cosa che rasserena, e che col tempo aiuta».
Per condividere
•Cosa vuol dire per noi perdonare? Riconosciamo che il perdono di Dio è più grande
della nostra capacità di perdonare gli altri,
e anche di perdonare noi stessi?
Invocazione - Dal Salmo 31
I Coro
Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui Dio
non ìmputa il delitto e nel cui spirito non è inganno.
II CoroTacevo e si logoravano le mie ossa,
mentre ruggivo tutto il giorno.
Giorno e notte
pesava su di me la tua mano, come nell’arsura estiva
si inaridiva il mio vigore.
I Coro
Ti ho fatto conoscere il mio peccato,
non ho coperto la mia colpa.
Ho detto: “Confesserò al Signore
le mie iniquità” e tu hai tolto
la mia colpa e il mio peccato.
II CoroPer questo ti prega ogni fedele nel tempo dell’angoscia;
quando irromperanno grandi acque non potranno raggiungerlo.
I Coro Tu sei il mio rifugio,
mi liberi dall’angoscia,
mi circondi
di canti di liberazione:
“Ti istruirò
e ti insegnerò la via da seguire; con gli occhi su di te,
ti darò consiglio.
II CoroNon siate privi d’intelligenza
come il cavallo e come il mulo: la loro foga si piega
con il morso e le briglie,
se no, a te non si avvicinano”.
I Coro
Molti saranno i dolori del malvagio,
ma l’amore circonda
chi confida nel Signore.
Rallegratevi nel Signore
ed esultate, o giusti! Voi tutti, retti di cuore,
gridate di gioia!
In ascolto
Dal Vangelo secondo Luca (7,36-50)
Un fariseo invitò Gesù a mangiare con lui.
Egli entrò in casa sua e si mise a tavola.
Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del
fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; fermatasi dietro a lui, si rannicchiò ai
suoi piedi e cominciò a bagnarli di lacrime;
poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava
e li cospargeva di olio profumato.
Vedendo questo, il fariseo che lo aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta saprebbe chi è questa donna che lo
tocca: è una peccatrice».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa
da dirti». Egli rispose: «Maestro, di’ pure».
«Un creditore aveva due debitori: uno gli
doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi la possibilità di restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi
di loro gli sarà più riconoscente?».
Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha
condonato di più».
E Gesù gli disse: «Hai giudicato bene».
Poi, volgendosi verso la donna, disse a Simone: Vedi questa donna? Sono venuto in
casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per lavare i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi
con le lacrime e con i capelli li ha asciugati.
Tu non mi hai dato il bacio; lei invece da
quando sono qui non ha ancora smesso di
baciarmi i piedi.
Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, lei invece mi ha cosparso di profumo i piedi.
Perciò ti dico: i suoi molti peccati le sono
perdonati, perché ha molto amato. Colui invece al quale si perdona poco, ama
poco».
Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi
peccati».
Allora quelli che stavano a tavola con lui cominciarono a bisbigliare: «Chi è quest’uomo che osa anche rimettere i peccati?».
E Gesù disse alla donna: «La tua fede ti ha
salvata; va’ in pace!».
Per riflettere
1. Il brano del Vangelo di Luca che abbiamo
ascoltato getta una grande luce sulla misericordia del Padre.
Gesù perdona la peccatrice “immotivatamente”: questa donna, ancorché baci Gesù
e lo veneri in modo dolcissimo, non sembra
dare immediatamente segni concreti di una
sua decisione di “cambiare vita”. E tuttavia
Gesù la perdona. Così come il ricco padrone
della piccola parabola che Gesù utilizza per
spiegare il suo gesto: quel padrone condona i
due debiti senza una ragione esplicita.
Molto spesso ci domandiamo il perché del
perdono: perché dovrei perdonare? Perché il
Signore dovrebbe perdonarmi per quanto ho
commesso?
Il brano del Vangelo non spiega il perché: ma costruisce un ponte tra il perdono
ricevuto e la forza che quel perdono genera nell’uomo: colui che è perdonato entra in
una nuova dimensione di vita e di amore, ed
è proprio grazie al perdono che si può cambiare vita! Chi ha fatto esperienza dell’amore
perdonante diventa a sua volta un amante, e
può avere la forza di ricominciare.
La peccatrice era una donna reietta, abbandonata, ma ancora capace di gesti d’amore: per
il gesto incredibile ed immotivato di Gesù che
la perdona, questa donna può tornare alla vita.
Ma questo ritorno alla vita è collocato in una
realtà intrisa di perdono e di amore: perdono
dato, ricevuto, scambiato; amore che genera
altro amore e costruisce novità di vita.
Il fariseo che ospita Gesù non comprende
questa logica ed interpreta il perdono esclusivamente come l’esito di un cammino personale che lo abbia “meritato”. Non riesce a
concepire come si possa perdonare una donna “ancora” peccatrice.
Gesù, collegando il perdono all’amore,
lo richiama invece ad una grande verità: il
perdono è legge di vita. Questo mondo è un
mondo di vita perché è un mondo di perdono, dove i viventi sono quelli che si scambiano il perdono.
La peccatrice può ritornare alla vera vita perché intuisce l’impulso materno di Dio
che la colloca in un mondo di cui bisogna
rispettare la “nuova” legge: si vive scambiandosi il perdono. Dio ricrea il mondo con un
gesto di perdono e fa valere una legge nuova,
dove la vita dei perdonati è una vita che si
vive nello scambio del perdono reciproco: e
questo perdono è l’impulso in grado di cambiare la vita delle persone.
2. Ricordando le riflessioni iniziali proposte
dalla signora Calabresi, risulta dunque chiara la qualità particolare della misericordia di
Dio. Essa non è solo il frutto del suo amore infinito e della sua bontà immensa: ma è
espressione di un disegno di vita. Attraverso
la sua misericordia e il suo perdono, Dio apre
ad una nuova vita. Ecco perché è interessante
l’accenno della signora Calabresi al fatto che
noi, se non ne siamo capaci, dobbiamo lasciare che Dio perdoni al nostro posto: perché il
perdono di Dio non è solo un’azione che cancella il peccato o il delitto per i meriti o le
penitenze che compiamo, ma è in grado di
trasformare l’esistenza dell’uomo peccatore.
E forse dovremo lasciare che Dio perdoni al nostro posto non solo gli altri, ma anche noi stessi. Forse non siamo in grado di
perdonare i nostri stessi errori, perché non
siamo disposti ad aprirci ad una vita nuova.
Lasciare che Dio ci perdoni al nostro posto,
è il modo migliore per far sì che il perdono
e la misericordia non siano un’autoassoluzione senza responsabilità, ma una occasione straordinaria di conversione e di apertura
alla novità della vita.
3. La Chiesa ha sempre invitato i fedeli ad
accostarsi al sacramento della Confessione
per ottenere il perdono dei peccati: di fronte
ad una logica del mondo che è auto-assolutoria, nella confessione noi chiediamo che sia il
Signore a perdonarci; che sia lui ad immettere nella nostra vita, fatta di errori e infedeltà,
nuova linfa vitale che può trarre origine solo dalla sua misericordia. Tralasciando il sacramento della confessione, noi rinunciamo
ad un’occasione straordinaria che ci è data
dal Signore di accogliere il suo perdono, e di
aprirci alla vita nuova. È solo il perdono che
viene da Dio (non quello che noi stessi ci auto-riconosciamo!) che rende possibile ritrovare la novità della nostra esistenza.
Domande per noi
• Ho mai avuto un’esperienza concreta in cui
sono stato perdonato, ho sperimentato la
gratuità del perdono altrui e ho avvertito la
capacità di questo perdono di aprire nuove
strade nella mia esistenza?
• Qual è il mio rapporto con il sacramento
della Confessione? In che modo potremmo
aiutarci nella comunità cristiana a riconoscere che anche attraverso questo sacramento si concretizza il rinnovamento della
Chiesa, che riceve e dà il perdono per aprirsi
a percorsi di vita nuova?
Fare memoria
della misericordia
A questo punto, può essere distribuito ad
ognuno dei presenti un piccolo nastro con
un nodo. Il nodo rappresenta i nostri peccati, le nostre infedeltà, ma anche le situazioni della nostra vita che richiedono di essere
“sciolte”, di essere portate davanti al Signore
perché lui le trasformi in vita nuova.
Si può accompagnare la distribuzione del nastro con l’antifona di Taizè “Niente ti turbi”,
oppure “Parce Domine”:
Niente ti turbi, niente ti spaventi:
chi ha Dio, niente gli manca.
Niente ti turbi, niente ti spaventi:
solo Dio basta...
Parce, Domine, parce populo tuo:
ne in æternum irascaris nobis...
(Perdona, Signore, perdona il tuo popolo:
non essere adirato in eterno con noi).
Ciascuno potrà conservare il nastro come
ricordo della serata condivisa sul tema del
perdono e della misericordia, impegnandosi
a consegnarlo al sacerdote durante la prossima confessione.
Va’ e anche tu
fa’ lo stesso
San Luigi Orione (1872-1940) rappresen­
ta una meravigliosa e geniale espressione
della carità cristiana, una delle personalità
più eminenti del secolo scorso per la sua fede cristiana apertamente vissuta. Umile figlio di un selciatore proclamava che “solo la
carità salverà il mondo” e ripeteva a tutti che
“la perfetta letizia non può essere che nella
perfetta dedizione di sé a Dio e agli uomini, a
tutti gli uomini”.
Nel 1886 entrò nell’oratorio di Torino diretto da san Giovanni Bosco; nel 1889 nel
seminario di Tortona. Proseguì gli studi teologici alloggiando in una stanzetta sopra
il duomo. Qui ebbe l’opportunità di avvicinare i ragazzi a cui impartiva lezioni di catechismo, ma la sua angusta stanzetta non
bastava, per cui il vescovo gli concesse l’uso
del giardino del vescovado. Il 3 luglio 1892,
il giovane chierico Luigi Orione, inaugurò
il primo oratorio intitolato a san Luigi. Nel
1893 aprì il collegio di san Bernardino. Nel
1895 venne ordinato sacerdote.
Molteplici furono le attività cui si dedicò.
Fondò la Congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della
Carità, gli Eremiti della Divina Provvidenza
e le Suore Sacramentine. Mandò i suoi sacerdoti e suore nell’America Latina e in Palestina sin dal 1914. Morì a Sanremo nel 1940
Da bambino ebbe l’opportunità di essere
confessato da San Giovanni Bosco.
Per essere sicuro di fare una buona confessione, aveva consultato alcuni formulari di esame di coscienza che erano in uso a
quel tempo, e li aveva trascritti quasi integralmente. Solo alla domanda: “Hai ammazzato?”, aveva risposto negativamente. Gli al-
tri peccati li aveva copiati tutti, riempiendo
alcuni quadernetti.
Ecco il suo racconto della confessione
avuta con don Giovanni Bosco:
«Con una mano nella tasca dei quaderni
e l’altra al petto, aspettavo in ginocchio,
tremando, il mio turno. “Che cosa dirà don
Bosco, pensavo tra me, quando gli leggerò
tutta questa roba?”.
Venne il mio turno. Don Bosco mi guardò
un istante e senza che io aprissi bocca, tendendo la mano disse: “Dammi dunque questi tuoi peccati”. Gli allungai il quaderno, tirato su accartocciato dal fondo della tasca.
Lo prese e senza neppure aprirlo lo lacerò.
“Dammi gli altri”. Subirono la stessa sorte.
“E ora - concluse - la tua confessione è fatta, non pensare mai più a quanto hai scritto
e non voltarti più indietro a contemplare il
passato”.
E mi sorrise, come solo lui sapeva sorridere».
Antifona mariana
Si può concludere con la “Preghiera a
Maria che scioglie i nodi”, tanto cara a papa
Francesco:
Tutti i nodi del cuore,
tutti i nodi della coscienza
possono essere sciolti.
Maria, aiutami ad avere fiducia
nella misericordia di Dio, per scioglierli,
per cambiare.
Tu donna fedele, di certo mi dirai:
“Vai avanti, vai dal Signore,
Lui ti capisce”.
Maria, tu ci porti per mano, madre,
all’abbraccio del Padre,
del Padre della Misericordia.
5 Essere profeti
di misericordia
o
nel Temp
pasquale
Per diventare misericordiosi sulla via della prossimità
Misericordiae Vultus, 15
cristiano rifletta durante il
È mio vivo desiderio che il popolo
corporale e spirituale. Sarà un
Giubileo sulle opere di misericordia
za spesso assopita davanti
modo per risvegliare la nostra coscien
rare sempre di più nel cuore
al dramma della povertà e per ent
ilegiati della misericordia
del Vangelo, dove i poveri sono i priv
senta queste opere di midivina. La predicazione di Gesù ci pre
viviamo o no come suoi disericordia perché possiamo capire se
alle parole del Signore: è in
scepoli. [... ] Non possiamo sfuggire
mo dato da mangiare a chi
base ad esse saremo giudicati: se avre
avremo accolto il forestiero
ha fame e da bere a chi ha sete. Se
to tempo per stare con chi è
e vestito chi è nudo. Se avremo avu
). Ugualmente, ci sarà chiemalato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45
dubbio che fa cadere nella
sto se avremo aiutato ad uscire dal
ine; se saremo stati capaci
paura e che spesso è fonte di solitud
milioni di persone, sopratdi vincere l’ignoranza in cui vivono
essario per essere riscattati
tutto i bambini privati dell’aiuto nec
a chi è solo e afflitto; se avredalla povertà; se saremo stati vicini
into ogni forma di rancore e
mo perdonato chi ci offende e resp
mo avuto pazienza sull’edi odio che porta alla violenza; se avre
con noi; se, infine, avremo afsempio di Dio che è tanto paziente
tri fratelli e sorelle. In ognufidato al Signore nella preghiera i nos
Cristo stesso. La sua carne
no di questi “più piccoli” è presente
o martoriato, piagato, flageldiventa di nuovo visibile come corp
da noi riconosciuto, toccato
lato, denutrito, in fuga... per essere
amo le parole di san Giovane assistito con cura. Non dimentichi
mo giudicati sull’amore».
ni della Croce: «Alla sera della vita, sare
Guida:Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Tutti:Amen.
La vita ci parla
«Mi chiamo Yelly, ho 27 anni, vengo dalla Liberia. Lì vivevo con mamma, papà, zio
e zia. Poi mio padre è morto e, a causa della
guerra, ci siamo trasferiti in Gambia, dove la
mamma si è risposata e dove ho abitato con
la mia nuova famiglia. Anche se non avevo lo
stesso padre andavo d’accordo. Quando sono arrivato in Gambia avevo nove anni. Ho
frequentato la scuola elementare e tre anni
quella secondaria, poi non ho continuato,
anche se mi piaceva, perché non avevo i soldi. Avevo la famiglia di mia mamma in Gambia e quella di papà in Liberia. I miei parenti
sono morti, tranne gli zii. Mi mancano, non
li sento da quando sono partito per la Libia.
Quando ero piccolo giocavo a calcio, nuotavo con i miei amici nel fiume.
Ho lasciato il Gambia per andare in Libia.
Sono partito solo io per cercare un lavoro e
prendere soldi per aiutare la mia famiglia. In
Libia pulivo le piscine per una compagnia
inglese. Non ero felice, perché il lavoro era
duro. Mandavo tutti i soldi a casa. Quando
finivo il lavoro, tornavo nella mia abitazione, mangiavo, guardavo la televisione poi il
giorno dopo continuavo a lavorare. Alla sera non uscivo, perché se le persone arabe mi
vedevano era un problema. I libici, infatti,
prendono soldi, telefono e picchiano gli stranieri. In Libia c’è molto razzismo, in tutta
l’Africa è così. Gli stranieri non sono trattati
bene, perché non sono nati in Libia e io ho
la pelle nera.
Ero molto preoccupato e triste perché
avevo paura della guerra etnica liberiana,
mio padre era morto per questo motivo.
In Libia abitavo in un appartamento della compagnia inglese. Quando è scoppiata la
rivolta, gli inglesi sono scappati dalla Libia,
mi hanno lasciato le chiavi per guardare la
macchina e la casa. Io pensavo: perché tutti vanno via e io resto? Ogni giorno i soldati
entravano nelle case della compagnia inglese e rubavano tutto: macchine, computer, cibo. A me chiedevano perché restavo in Libia,
quando tutti i neri andavano via. Dopo tre
giorni i militari mi hanno detto che sarei dovuto andare via dalla Libia, ma non ero felice, perché non avrei più lavorato e aiutato la
mia famiglia. Per ventidue giorni sono stato
con quattro uomini in una piccola stanza a
Tripoli. C’era un grande giardino e mangiavo
solo pane e acqua.
Per due giorni sono stato nella barca, eravamo 320 persone. Nella barca eravamo tutti
stretti e piegati. Io ero sottocoperta. La barca
era piccola e barcollava, era un rischio, mi
chiedevo se sarei arrivato o sarei morto. Ho
pregato molto. Se provavo ad andare sopra la
barca, l’arabo mi picchiava, ma sotto facevo
fatica a respirare. Nella barca c’erano quattro bimbi piccoli e alcune donne, loro stavano sopra la barca, loro sono stati trattati
bene. Ricordo i bambini piangere. In Africa
c’è molto rispetto per le donne. Non avevo
amici con me.
Le batterie della barca sono finite e mancavano 40 chilometri per arrivare sulla costa. Bambini, uomini e donne piangevano,
io pregavo per salvarmi. Gridavo “aiuto, aiuto” e poi una barca italiana ci ha salvato. Arrivato a Lampedusa, mi hanno chiesto nome, cognome, certificato di nascita e luogo.
La questura mi ha preso le impronte digitali, dato il numero 46 e fatto la foto. Ho
mangiato, mi hanno portato in una stanza
dove ho dormito. Eravamo in venti. Ho fatto
la doccia e poi mi sono seduto e conversato
con gli altri.
I volontari mi hanno accolto bene e ho
chiamato casa. Sono rimasto a Lampedusa
tre giorni, poi sono stato trasferito in Sicilia e da qui fino a Verona in pullman con un
giorno e mezzo di viaggio davvero stancante. A Verona mi hanno destinato a Treviso.
Sono arrivato in Caritas alle due di notte. In Caritas mi trovo molto bene, vado a
scuola, dormo e mangio bene. Ora non sono
più preoccupato come quando ero in Libia.
Ora sono felice. I miei sogni sono cambia-
ti. Prego Dio per avere buoni documenti,
avere un lavoro e abitare in Italia, perché
l’Italia mi ha aiutato. Spero di sposarmi e
creare una famiglia».
Per condividere
•Che cosa significa ospitare l’altro nella propria vita? Del “fratello”, che conoscenza abbiamo?
Invocazione
Padre Santo,
manda il tuo Spirito su di noi.
Trasforma i nostri cuori
e aprili alle necessità dei fratelli.
Fa’ che siamo ogni giorno strumenti
del tuo amore verso ogni uomo.
Dacci il coraggio
di prendere posizione
contro le ingiustizie
e di operare concretamente
per la giustizia nella carità.
In ascolto
Dalla lettera di san Giacomo apostolo (2,14-18)
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere
la fede, ma non ha le opere? Forse che
quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti
e sprovvisti del cibo quotidiano e
uno di voi dice loro: “Andatevene
in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma
non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se
non ha le opere, è morta in se stessa.
Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai
la fede ed io ho le opere; mostrami la
tua fede senza le opere, ed io con le
mie opere ti mostrerò la mia fede. Per riflettere
Le “opere di misericordia” non si limitano ad indicarci dei gesti da compiere: ci propongono un percorso. Lo si può condensare
in queste tappe fortemente dipendenti le une
dalle altre:
Accogliere l’esperienza della misericordia – lasciare che ci trasformi il cuore, la
vita – che diventi concreta in gesti, scelte,
mentalità, cammino dall’indifferenza alla
prossimità – fino ad originare prospettiva
“politica” che si sostanzia di azioni collettive – disposti a lasciarci ricondurre continuamente ad invocarla e ad accoglierla di
nuovo – anche attraverso quei gesti e quegli incontri che ci rivelano un cuore ancora
qua e là indurito, nuovamente bisognoso di
misericordia.
1. Accogliere la misericordia del Padre fino
a lasciarsi trasformare la vita...
Accogliere la misericordia del Padre diventa scelta che penetra nel profondo del
cuore, della mente, delle viscere. Comporta lasciare che il vivere pian piano si modifichi, di gesto in gesto, di scelta in scelta, costruendo uno stile di vita, per la crescita del
Regno di Dio. A partire dal cuore di noi stessi. E il nostro riferimento al cuore come sede
delle emozioni e degli affetti va arricchito secondo la concezione biblica, che lo intende
come centro dell’intelligenza, delle relazioni, della consapevolezza, della vita interiore
e intima della persona; un cuore che si lascia
convertire a rapporti nuovi con Dio, con gli
altri, con se stessi, con il mondo. Maturando
in questo modo relazioni di prossimità, non
più di lontananza. Così facendo si trasforma
tutta la persona: gli occhi non si lasciano più
accecare dall’indifferenza; gli orecchi sanno
ascoltare, nella babele di chi grida più forte,
i dolori e le angosce altrui; le mani si allenano a condividere tempo, risorse di tenerezza, di competenza, di bene e di beni; i piedi
ritrovano il gusto di andare a visitare persone e situazioni ferite e fragili. Nella progressiva consapevolezza che questi incontri non
rimangono a senso unico, ma creano e trasformano relazioni di distanza in relazioni di
prossimità, si scopre la dignità di chi è povero e sofferente e si riconosce ciò che da costoro a nostra volta riceviamo.
2. ... da gesti quotidiani che generano prossimità
Le opere di misericordia, allora, sia corporali sia spirituali, come ricorda la Bolla per il Giubileo Misericordiae vultus al
n. 15, diventano una componente necessaria
dell’esperienza e del cammino di questo Anno santo.
Ricordiamole nel loro classico elenco:
– sia le “corporali”: dar da mangiare
agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire chi è nudo, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti;
– sia le “spirituali”: consigliare chi è nel
dubbio, insegnare a chi è ignorante, ammonire chi pecca, consolare chi è afflitto, perdonare chi ti offende, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i
vivi e per i morti.
A partire dalla concretezza che le contraddistingue, le une e le altre indicano un
percorso lungo nel quale l’esperienza della misericordia ricevuta dal Padre si fa gesto di misericordia, si traduce in scelte che
fanno sorgere in noi un atteggiamento di
prossimità.
Non basta, infatti, metterle in atto “tecnicamente”, senza che il cuore sia compartecipe del disagio altrui. Chiedono di lasciare
entrare la com-passione, il patire-con, che
è quanto fa la differenza nell’atteggiamento del samaritano della parabola e lo spinge ad intervenire per il bene di chi giaceva
mezzo morto in mezzo alla strada. Infatti, la
misericordia (letteralmente: “un cuore che
patisce-con”) coinvolge di per sé il cuore della persona, trasformandolo in un “cuore di
prossimo”. Se non giunge a quella profondità, se l’abbiamo bloccata in superficie, vuol
dire che ancora non l’abbiamo sperimentata, perché questa esperienza chiede per sua
stessa natura di cambiare il nostro modo di
pensare, di agire, di giudicare. La parabola
del servitore spietato (Mt 18,23-35) è inesorabile su questa dinamica: se ti è stata donata misericordia, non puoi limitarla secondo
i tuoi criteri, ti è chiesto di lasciarla agire
al punto da trasformare il modo di metterti
in relazione con l’altro e di comportarti con
lui: non più estraneo, ma prossimo.
3. La concretezza di gesti verificabili che ci
rivelano a noi stessi...
Da un lato le “opere di misericordia” sono gesti concreti, verificabili nel nostro agire quotidiano, e per questo vanno considerate come utili pietre di paragone per la nostra
vita, come ricorda san Giacomo (2,14-18).
Dire a qualcuno che ha freddo: «Va’ in pace e riscaldati», denuncia subito l’incoerenza del nostro comportamento. Nella misura
in cui, incontrando chi è nel bisogno, volgo
altrove lo sguardo o neppure lo vedo, o lo
respingo con aggressività, qui il mio cammino di discepolo, di uno che ha ricevuto
la gratuita misericordia del Padre, mostra
un inciampo, letteralmente uno scandalo.
Non ho permesso alla misericordia di Dio di
compiere in profondità il suo lavoro in me.
E questo può capitare, nella fragilità del mio
amare, e mi richiama a conversione, a tornare a chieder perdono, a Lui e ai miei fratelli e sorelle. Ma se io non ascolto questo
appello che nuovamente mi viene rivolto
dalla vita, allora mi indurisco e mi chiudo
nella mia indifferenza, nel mio egoismo, mi
lascio legare dalle paure, dal male presente
attorno a me e in me.
Le opere di misericordia sono dunque
pietra di paragone esigente e quotidiana per
la nostra vita.
4. ... e che fanno crescere uno stile di vita
per costruire il Regno, fino alla dimensione “politica” della carità.
Da un altro punto di vista, poi, esse vogliono far nascere e strutturare uno stile di
vita; non si possono esaurire in un elenco di
buone azioni da fare per conquistarsi il Paradiso. Il nostro comportamento viene giudicato sì dall’averle o no compiute, ma già ora e
già qui: già ora e già qui la vita nostra diventa
vita benedetta e capace di benedizione, o vita
che si chiude nella propria maledizione.
Si tratta di uno stile di vita che manifesta l’intelligenza della misericordia e della
carità, altrimenti si rimane a livello di assistenzialismo buonista, spesso inutile se non
dannoso, e che conduce pure ad avere per
prospettiva un mondo in cui le stesse opere di misericordia non siano più necessarie.
È operare, infatti, per un mondo nel quale
la giustizia dell’amore possa riuscire a sanare tutte le ferite, nel quale la misericordia del Padre operi davvero “tutto in tutti”
(1Cor 12,6). Questa realtà, per noi cristiani,
ha un nome: il Regno di Dio. Un Regno che
è dono del Padre, ma la cui costruzione è responsabilità di ciascuno e di tutti. Per farlo
crescere, allora, sarà necessario agire nella
prospettiva di un’intelligenza più ampia delle singole opere e delle opere del singolo. Una
prospettiva “politica”, in cui il termine assume il suo significato più alto di cura responsabile del bene comune, condivisa con tutti
gli uomini e le donne di buona volontà. Una
prospettiva che allarga lo sguardo e l’impegno all’umanità intera, pur compiendo quel
poco che è possibile nel proprio ambito locale di vita. Una prospettiva che, per “agire
localmente” sa “pensare globalmente”, perché il Regno è speranza per tutta l’umanità.
Una prospettiva che può diventare anche impegno concretamente politico, con uno stile
tale da confermare l’ideale: “la politica è la
forma più alta della carità” (Paolo VI).
Per certi versi, è una dimensione riconoscibile anche nella prospettiva aperta da Gesù sulla scorta di Isaia, il messaggio programmatico della sua missione (cfr.
Lc 4,14‑30): l’annuncio del Vangelo di salvezza si fa concretezza di giustizia a partire dagli ultimi. Misericordiæ vultus lo ricorda, ponendo questa precisazione al numero
16, successivo a quello dedicato proprio alle opere di misericordia. Una prospettiva
che colloca tali scelte puntuali di vita in un
contesto di annuncio concreto e “affidabile”
della misericordia del Padre, di cui abbiamo
fatto esperienza sia personalmente che come
comunità – come popolo di Dio.
Questo si fa concreto anche nel contribuire alla formazione di una mentalità – di
un’opinione pubblica capace di misericordia,
in una società che negli ultimi tempi sembra
diventare sempre più incattivita, intollerante, aggressiva. E insieme chiede formazione
paziente dell’intelligenza, della volontà, del
cuore appunto. Uno stile di vita realmente
misericordioso non s’improvvisa, si coltiva
giorno per giorno.
5. Disponibili, ogni volta che emergano in
noi durezza e chiusura, a tornare a invocare l’esperienza della misericordia del
Padre.
Compiere le opere della misericordia, allora, diventa davvero segno riconoscibile del
Regno seminato nel mondo, del lievito che
fermenta la pasta trasformandola in pane
che nutre la fame di vita piena per tutti.
Il percorso da compiere ha però per passo costante l’acconsentire che la misericordia
del Padre ci trasformi sempre più in uomini
e donne misericordiosi, capaci a nostra volta non solo di donare misericordia, ma anche
di farla nascere attorno a noi, in relazioni di
prossimità. Sempre consapevoli che ogniqualvolta sperimentiamo invece durezza e
chiusura di cuore e di vita siamo nuovamente chiamati ad accogliere quella misericordia
che gratuitamente e continuamente ci viene
donata, spesso proprio grazie a coloro ai quali
abbiamo “usato misericordia”. Sempre fiduciosi che la misericordia del Padre rimane dono di grazia per chiunque la voglia ospitare.
Domande per noi
• Dove, quando, come, a quali condizioni ho
sperimentato la misericordia del Padre in gesti ricevuti?
• Quanto mi lascio provocare dalle situazioni
concrete che incontro direttamente o attraverso i media? Quali gesti di misericordia posso compiere? Quale stile di prossimità sono
chiamato a far crescere in me?
• Quali resistenze nascono in me dalla provo-
cazione di pensare gesti e stile di vita in una
prospettiva “politica”? In che modo la comunità cristiana può promuovere e vivere questa
prospettiva?
• Quali durezze, nuovamente bisognose di mi-
sericordia, rivela in me l’incontro con persone
in situazioni di concreto disagio esistenziale,
con l’altro che è nel bisogno?
Fare memoria
della misericordia
Guida:Donaci, Padre di misericordia, di lasciare che la tua misericordia trasformi la nostra vita,
Tutti: cambiandoci il modo di pensare, di
amare, di incontrare l’altro, dalla
lontananza alla prossimità.
Guida:Donaci di incamminarci per una via
di misericordia
Tutti: lungo la quale l’incontro con i più
disgraziati diventi occasione di bene,
per loro e per noi.
Guida:Donaci di intessere con gesti di misericordia uno stile di vita
Tutti: capace di contribuire a far crescere
il tuo Regno, fino alla sua dimensione più impegnativa, quella politica,
in cui ci assumiamo con gli altri la
responsabilità del bene comune.
Guida:Donaci di lasciarci di nuovo umilmente chiamare dalla tua misericordia
Tutti: ogni volta che in noi emergono durezze antiche e nuove, chiusure, intolleranze, rifiuti, indifferenze.
Guida:Donaci di gioire insieme della tua
misericordia
Tutti: che diventa intorno a noi e anche
grazie a noi relazioni di prossimità,
di pace, di serenità, di speranza per
tutti.
Segue la recita del ‘Confesso a Dio’:
Confesso a Dio onnipotente
e a voi, fratelli,
che ho molto peccato
in pensieri, parole, opere e omissioni,
per mia colpa, mia colpa,
mia grandissima colpa.
E supplico la beata
sempre vergine Maria,
gli angeli, i santi e voi, fratelli,
di pregare per me il Signore Dio nostro.
e quindi un abbraccio di pace guardandosi reciprocamente negli occhi, inteso come gesto di prossimità, un gesto per dare-ricevere misericordia e tenerezza, utilizzando l’invocazione liturgica:
Signore Gesù Cristo,
che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace
secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni
nei secoli dei secoli.
Amen.
Immagini
•Durante questo momento di preghiera
può essere esposta o proiettata un’immagine della Madonna della Misericordia. Ne
riportiamo due qui a lato, la prima di Piero della Francesca, la seconda di Simone
Martini (cfr. www.diocesitv.it).
Va’ e anche tu
fa’ lo stesso
San Giovanni XXIII viene dichiarato da
papa Francesco, assieme a san Giovanni Pao­
lo II, “testimone della misericordia di Dio”
nella concretezza del “farsi prossimo”. Durante l’omelia, nella messa per la canonizzazione, Francesco ha voluto ribadire che
«San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II
hanno avuto il coraggio di guardare le ferite
di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il
suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di lui, della sua croce; non hanno
avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni
della parresìa dello Spirito Santo, e hanno
dato testimonianza alla Chiesa e al mondo
della bontà di Dio, della sua misericordia».
Hanno conosciuto le tragedie del XX secolo
«ma non ne sono stati sopraffatti», perché
in loro era più forte Dio e «la fede in Gesù
Cristo». Ma soprattutto perché «più forte in
loro era la misericordia di Dio».
E di papa Giovanni vanno ricordate almeno tre citazioni.
•Pacem in terris, 83:
«Non si dovrà [...] mai confondere l’errore con l’errante, anche quando si tratta di
errore o di conoscenza inadeguata della
verità in campo morale religioso. L’errante è sempre ed anzitutto un essere umano
e conserva, in ogni caso, la sua dignità di
persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità. Inoltre in ogni essere umano non si spegne
mai l’esigenza, congenita alla sua natura, di spezzare gli schemi dell’errore per
aprirsi alla conoscenza della verità. E l’azione di Dio in lui non viene mai meno».
•Dal Discorso di apertura del Concilio Vaticano II, 11.10.1962, n. 7.2:
«Quanto al tempo presente, la Sposa di
Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare
le armi del rigore; pensa che si debba
andare incontro alle necessità odierne,
esponendo più chiaramente il valore del
suo insegnamento piuttosto che condannando».
•Da Il “Giornale dell’anima” e altri scritti
di pietà, ed. di Storia e Letteratura, 1964,
p. 268 e p. 281 (pagina del “diario spirituale” scritta il 26 novembre 1940, riflettendo
sulla guerra che stava imperversando, alla
luce del salmo 50, il Miserere):
«Non basta una misericordia qualunque.
Il peso delle iniquità sociali e personali è
così grave, che non basta un gesto di carità ordinaria a perdonarle. Si invoca però
la grande misericordia. Questa è proporzionata alla grandezza stessa di Dio. “Secundum magnitudinem ipsius, sic et misericordia illius” (Sir 2,23 - Quale è la sua
grandezza, tale è anche la sua misericordia). È detto meglio ancora, che il nome e
l’appellativo più bello di Dio sia questo: misericordia. Ciò deve ispirare tra le lacrime
una grande fiducia. “Superexaltat misericordia judicium” (Gc 2,13 - La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio). Questo pare troppo. Ma non deve essere troppo
se sopra di questo è tutto imperniato il mistero della Redenzione; se per fornire un
segno di predestinazione e di salute, questo viene indicato nell’esercizio della misericordia. [...]
La misericordia [del Signore] non è semplicemente un sentimento del cuore, ma è
una profusione di beneficii. [...]
Non debbo essere maestro di politica, di
strategia, di scienza umana: ce n’è davanzo
di maestri in queste cose. Sono maestro di
misericordia e verità».
Antifona mariana
Vogliamo ringraziarti, Signore,
perché, facendoci contemplare
la povertà del raccolto,
ci aiuti a capire che senza di te,
non possiamo far nulla.
Ci agitiamo soltanto.
Ti ringraziamo, Signore,
perché ci conservi nel tuo amore.
Perché continui ad avere fiducia in noi.
Spogliaci, Signore,
di ogni ombra di arroganza.
Rivestici dei panni della misericordia
e della dolcezza.
Donaci un futuro gravido di grazia e di luce
e di incontenibile amore per la vita.
Aiutaci a spendere per te
tutto quello che abbiamo e che siamo.
E la Vergine tua Madre
ci intenerisca il cuore.
Fino alle lacrime. Amen.
(Don Tonino Bello)
Canto: Donna dell’attesa
Ave Maria, Ave. Ave Maria, Ave.
Donna dell’attesa e madre di speranza
Ora pro nobis.
Donna del sorriso e madre del silenzio
Ora pro nobis.
Donna di frontiera e madre dell’ardore
Ora pro nobis.
Donna del riposo e madre del sentiero
Ora pro nobis.
Ave Maria, Ave. Ave Maria, Ave.
Donna del deserto e madre del respiro
Ora pro nobis.
Donna della sera e madre del ricordo
Ora pro nobis.
Donna del presente e madre del ritorno
Ora pro nobis.
Donna della terra e madre dell’amore
Ora pro nobis.
Ave Maria, Ave. Ave Maria, Ave.
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