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Ict, i messicani puntano all`Italia

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Ict, i messicani puntano all`Italia
PRIMO PIANO
Sabato 8 Dicembre 2012
9
Le mosse di Neoris, che fa capo al gruppo del cemento Cemex, per accedere agli appalti della Pa
Ict, i messicani puntano all’Italia
Accordo con Eustema, società informatica della Cisl
DI
STEFANO SANSONETTI
È
un filo che collega la
Cemex, colosso messicano che produce
cemento, alla Cisl guidata da Raffaele Bonanni.
Il contesto di riferimento è
quello dell’Ict, ovvero quel
settore dell’Information and
communications technology
in cui in Italia c’è ancora tanto da fare. Al punto che dal
Messico ci hanno fatto più di
un pensierino. Sì, perché si dà
il caso che nei giorni scorsi sia
stato perfezionato un importante accordo di partnership
che ha lo scopo di accrescere
la capacità di penetrare nel
mercato informatico e digitale italiano. Protagoniste
dell’intesa sono due società
Ict, Neoris ed Eustema. La
prima, in realtà, è un vero e
proprio gruppo con presenza
radicata soprattutto in Sud
America, ma un business che
si estende anche agli Stati
Uniti (il quartier generale è
a Miami) e all’Europa, in particolar modo in Spagna. Ma
Neoris, risalendo la catena
di controllo, può essere considerata messicana, perché
fa capo a Cemex, presieduto da Lorenzo Zambrano.
Si tratta di un gruppo che
Raffaele Bonanni
produce cemento e materiali
da costruzione ed è quotato
a New York. Ma soprattutto parliamo di una sorta di
marchio messicano nel mondo, con il suo volume d’affari
da 15 miliardi di dollari e 44
mila dipendenti sparsi un po’
in tutto il globo.
La seconda società è Eustema, italiana, una realtà
più piccola ma nettamente in
espansione nel campo Ict. Nel
2011 il suo valore della produzione, in un periodo funestato
dalla crisi, è arrivato a 40,8
milioni di euro (+3% rispetto
al 2010), mentre l’utile netto
ha raggiunto quota 1,2 milio-
Lorenzo Zambrano
ni, con un incremento del 10%
rispetto all’anno precedente.
Ma chi sono gli azionisti di
Eustema, guidata dall’amministratore delegato Enrico
Luciani? Il 70% circa del
capitale, attraverso i veicoli
Finlavoro spa e Innovazione
Lavoro srl, è riconducibile
proprio alla Cisl, il sindacato
di Bonanni. Il 28%, invece, fa
capo all’Unione Fiduciaria,
ovvero la fiduciaria del movimento italiano delle banche
popolari (le quote di maggioranza sono in mano a Banca
popolare dell’Emilia Romagna,
Banca popolare di Sondrio,
Banco Popolare, Banca popo-
lare di Milano e Ubi Banca).
Il residuo 2% della Eustema,
infine, è in mano a Postecom,
la società di innovazione tecnologica di quel gruppo Poste,
guidato da Massimo Sarmi,
che con la Cisl ha un legame
tradizionale.
L’accordo raggiunto tra Neoris ed Eustema ha naturalmente lo scopo di accrescere
le capacità operative delle
società sul mercato italiano.
Anche perché la due realtà
presentano caratteristiche
diverse che possono essere
ben amalgamate. Neoris,
tanto per dirne una, è molto
forte nell’Ict applicato ai set-
tori della finanza e dell’energia. In questi ambiti, per
esempio, le soluzioni offerte
dai messicani riguardano
la gestione finanziaria delle
posizioni creditorie e debitorie dell’azienda. Il tutto con
clienti come Bbva, Santander,
Banesto (con diverse altre
banche, soprattutto spagnole)
e gruppi energetici come gli
inglesi di British Petroleum e
i brasiliani di Petrobras.
Dal canto suo Eustema
è forte nell’automazione e
nell’informatizzazione dei
processi e vanta commesse
importanti con la pubblica
amministrazione italiana
come la gestione del portale
dell’Enel e del portale SuperAbile, il contact center
integrato dell’Inail per la disabilità. È chiaro, allora, che
nello sviluppo dell’accordo
è possibile immaginare che
proprio grazie a Eustema, già
inserita nei gangli dall’amministrazione, Neoris voglia
puntare ad aprirsi un varco
in un mercato nostrano in cui
per ora non ha mai messo piede. Allo stesso modo Eustema
(e l’azionista Cisl), per il tramite del gruppo messicano,
conta di cogliere opportunità
all’estero.
© Riproduzione riservata
IL DIVIDEND RECAP È UN’OPERAZIONE DI INGEGNERIA FINANZIARIA PER TRUFFARE E INQUINARE
Sono in crisi? Mi indebito e poi mi pago i dividendi
L
re meglio funzionante e più competitivo il suo sistema produttivo per
aumentare la sua fetta di mercato
e quindi anche i legittimi profitti.
In tal caso chi lavora nell’azienda
potrà godere anche di un premio di
produttività e gli azionisti potranno
ricevere un dividendo in proporzione ai profitti fatti.
Se le imprese non producono
profitti, perché non fare dei debiti
e poi utilizzare i soldi incassati per
pagare lauti dividendi ai fondi equity- azionisti? Tra queste, una delle
alchimie più velenose è il «dividend
recap», cioè la ricapitalizzazione
dell’impresa con emissioni di bond,
gran parte delle quali destinata a
pagare i dividendi.
Un’impresa normale e virtuosa,
di solito raccoglie nuovi capitali sul
mercato attraverso il credito bancario, l’emissione di obbligazioni, ecc,
per modernizzare i suoi impianti,
per investire in ricerca o per far crescere la sua produzione e le vendite.
Lo scopo evidente è quello di rende-
Il «dividend recap» è invece
un modo per «truffare e inquinare» il sistema economico e distribuire profitti mai fatti. Negli Usa,
nel solo periodo gennaio-ottobre,
sarebbero state fatte circa 70 operazioni di «junk bond» che hanno
dato artificialmente origine a oltre
30 miliardi di dollari di dividendi
«allegri». Certi analisti definiscono
il 2012 come «l’anno dei dividendi»!
La novità è che le imprese che vi
hanno partecipato non provengono tutte dai settori speculativi dell’economia. Per esempio, è
stata coinvolta la più importante
catena ospedaliera privata americana, la Hca Inc., con quasi 300
tra ospedali e centri di chirurgia
distribuiti in una ventina di stati.
Vi sono poi la Domino’s Pizza,
che nei mesi passati ha acceso un
nuovo debito per 1,675 miliardi
di dollari «garantito» da derivati
«asset-backed security», la Booz
Allen, una grande società di consulenza tecnologica, la Homeward
Residential, che gestisce ipoteche
immobiliari ed altre società.
DI MARIO LETTIERI*
E PAOLO RAIMONDI**
a persistente recessione ha
ridotto i mercati incidendo
anche sui bilanci delle imprese e delle famiglie. Il costo del denaro vicino allo zero negli
Usa e in Europa, tiene bassi i tassi
di interesse delle obbligazioni e degli altri titoli. A seguito di ciò, da
mesi molti fondi equity (quelli che
investono principalmente in azioni),
per poter remunerare i «capitali di
ventura» che gestiscono, hanno sviluppato un forte appetito al rischio.
Stanno rilanciando in grande alcune delle più spericolate operazioni
di ingegneria finanziaria.
Non è noto a tutti che queste imprese in passato, prima del
2007, furono oggetto di «leverage buyout», furono cioè acquisite
attraverso operazioni di finanza
strutturata da alcuni fondi equity
aggressivi. Essi, con un capitale di
base limitato, usarono una elevata
leva finanziaria di creazione di debito per portare a termine le acquisizioni. In altre parole, certi fondi
hanno acquistato società senza avere tutte le risorse proprie necessarie
ricorrendo ad indebitamente attraverso la sottoscrizione di prodotti
finanziari speculativi in derivati. La
«scommessa» su cui hanno puntato
è stata la convinzione che l’acquisizione stessa avrebbe generato
grandi profitti per ripagare anche
gli impegni finanziari assunti e i
debiti accesi.
Ciò spiega, almeno in parte, il
meccanismo di creazione dei junk
bond emessi per pagare i dividendi. Non a caso sono chiamati titoli
spazzatura, in quanto tutti conoscono il loro bassissimo rating.
Il quesito che si pone è: perché simili titoli trovano compratori? La risposta è molto semplice: spesso chi compra fa parte
della rete di quei fondi equity che
riceveranno i dividendi. Di solito per questi bond, dato il loro
alto rischio, la società emittente
è tenuta ogni anno a mettere a
bilancio interessi alti da pagare,
non meno dell’8-10%. Quindi per
gli speculatori i benefici a breve
sono tanti. Si scommette sul rischio di default o sul suo salvataggio grazie agli interventi pubblici. Naturalmente vi sono anche
i classici «polli da spennare», cioè
i normali risparmiatori ai quali
viene offerto un titolo strutturato
ad un tasso di interesse più attraente, nella cui pancia vi sono
titoli solidi ma anche una parte
di questi junk bond.
Ancora una volta quindi
siamo di fronte agli stessi comportamenti irresponsabili e non
sanzionati che hanno scatenato la
grande crisi del 2008. Operazioni di
«dividend recap» stanno cercando
di prendere piede anche in Europa,
anche se, per fortuna, dei maggiori
controlli le rendono più difficili. In
giro sembra esserci una gran voglia
di «sbornia bond» nella speranza
che «l’oste» non chieda mai il conto finale ai suoi clienti ubriaconi.
Come si vede, certi fondi speculativi
di private equity si pongono ormai
ai margini del sistema finanziario.
Sfruttano tutti i mezzi disponibili,
le aree grigie e la mancanza di regole stringenti, tanto da diventare
macchine di «distruzione economica di massa».
*Sottosegretario all’Economia del governo Prodi
** Economista
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