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Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
11
251
ICTUS ACUTO: MONITORAGGIO E COMPLICANZE
NELLA FASE DI STATO
La fase acuta dell’ictus rappresenta una delle condizioni neurologiche, e più in generale mediche, che richiedono, e indubbiamente beneficiano, di una gestione assistenziale mirata al pronto riconoscimento e cura di possibili complicanze.
Tale esigenza nasce da un lato dalle peculiarità fisiopatologiche dell’ictus, in cui le disfunzioni del sistema cardiovascolare svolgono un ruolo preponderante, dall’altro dalla destabilizzazione neurologica e cardiovascolare che può intervenire imprevedibilmente in via secondaria
sia alle alterazioni morfologiche e funzionali del tessuto cerebrale in corso di infarto sia, in
alcuni casi, alla sede specifica coinvolta (es. insula).
Raccomandazione 11.1
Grado D
Nelle prime 48 ore dall’esordio di
un ictus è indicato il monitoraggio delle funzioni vitali e dello stato neurologico. Questo va proseguito in caso di instabilità clinica.
La maggioranza delle complicanze dell’ictus può essere affrontata con successo tramite interventi medici tempestivi e una assistenza continua.
Circa il 25% dei pazienti con ictus peggiora durante le prime 24-48 ore di ricovero,1,2 un rimanente 10% può ancora peggiorare dopo 96 ore,1 ed è stato descritto un peggioramento anche
dopo una settimana dall’esordio dei sintomi.2 Nella maggior parte dei casi è difficile prevedere la comparsa di deterioramento per cui tutti i pazienti dovrebbero essere considerati a
rischio di peggioramento neurologico, e tutto il periodo nel quale tale evoluzione è possibile
deve essere considerato fase acuta. È in questa fase che la gestione generale del paziente secondo protocolli standardizzati può modificare significativamente l’evoluzione clinica.
In uno studio pilota,3 il monitoraggio in fase acuta dell’ictus dei parametri fisiologici e il loro
mantenimento a livelli omeostatici, si è dimostrato in grado di ridurre il peggioramento neurologico precoce. Vi sono, inoltre, evidenze sperimentali che attribuiscono un ruolo di tipo
neuroprotettivo alla pronta correzione dell’alterazione dei parametri fisiologici.4 Tale tipo di
approccio all’ictus acuto viene raccomandato anche da Consensus Conference di esperti a livello internazionale.5 Pertanto, le funzioni vitali e lo stato neurologico dovrebbero essere valutati frequentemente durante le prime 24-48 ore dall’esordio di un ictus. Va segnalato per completezza di informazione che per ora non è dimostrata inequivocabilmente l’utilità del monitoraggio strumentale continuo agli effetti di un migliore esito, e l’argomento rimane controverso in attesa di più chiare dimostrazioni.6-8
Il monitoraggio neurologico e pressorio dovrebbe proseguire nei primi giorni di mobilizzazione, la quale è indicata il più precocemente possibile (§ 11.10).
11.1
MONITORAGGIO
CARDIOLOGICO
La stretta correlazione tra ictus ischemico e patologie cardiache è stata ampiamente evidenziata in passato.9 Nella gestione del paziente con ictus ischemico acuto risulta, quindi, essenziale considerare la possibile coesistenza o insorgenza di disturbi cardiologici tra cui l’infarto
miocardico acuto, l’insufficienza cardiaca congestizia, le aritmie e la morte improvvisa,10,11 la
cui prognosi è fortemente legata alla tempestività dell’intervento. Alterazioni del tracciato
ECG, come ad esempio l’inversione dell’onda T, si possono verificare nel 15%-70% dei
pazienti con ictus acuto, in particolare in caso di emorragia subaracnoidea o intracerebrale.12
Nell’ictus acuto, il rilascio di catecolamine può precipitare l’insorgenza di alterazioni del ritmo
e/o della funzionalità cardiaca (scompenso cardiaco, infarto miocardico acuto).13 Le aritmie
cardiache, in particolare la fibrillazione atriale, possono associarsi all’ictus.11,14 Esse raggiungono la massima incidenza nelle prime 24-48 ore dall’esordio dell’ictus ed in alcuni casi sono
ad elevata mortalità.15 Pertanto il monitoraggio ECG continuo è indicato durante tutto l’arco
delle prime 48 ore per rilevare aritmie potenzialmente pericolose, in particolare, in pazienti
con una delle seguenti condizioni: cardiopatie preesistenti, storia di aritmie, pressione arteriosa instabile, elementi dell’esame obiettivo suggestivi di insufficienza cardiaca, alterazioni
dell’ECG di base 11,12,16 e nei casi in cui siano coinvolti i territori profondi dell’arteria cerebrale
media e in particolare la corteccia insulare.17 In assenza di monitoraggio continuo è auspicabile effettuare controlli ECG ripetuti nelle prime 24 ore. Se le indagini cardiologiche di base
evidenziano la presenza di anomalie, può essere indicato l’uso di procedure diagnostiche più
sofisticate o il prolungamento del monitoraggio. In caso di insufficienza cardiaca clinicamente conclamata è indicata l’esecuzione dell’ecocardiogramma transtoracico.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 11.2
Grado D
Laddove sia disponibile, il monitoraggio ECG continuo è indicato
nelle prime 48 ore dall’esordio di
ictus nei pazienti con una delle
seguenti condizioni: cardiopatie
preesistenti, storia di aritmie,
pressione arteriosa instabile, elementi clinici suggestivi di insufficienza cardiaca, alterazioni
dell’ECG di base e nei casi in cui
siano coinvolti i territori profondi
dell’arteria cerebrale media e in
particolare la corteccia insulare.
In caso di instabilità clinica il
monitoraggio va proseguito oltre
le 48 ore.
Raccomandazione 11.3
Grado D
Qualora non sia disponibile la
strumentazione per il monitoraggio continuo sono indicati controlli ECG ripetuti nelle prime 24
ore. In caso di insufficienza cardiaca clinicamente conclamata è
indicata l’esecuzione precoce
dell’ecocardiogramma transtoracico.
252
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
11.2
Raccomandazione 11.4
Grado D
Il monitoraggio, continuo o
discontinuo, dello stato di ossigenazione ematica è indicato almeno nelle prime 24 ore dall’esordio
di un ictus medio-grave. In caso
di anomalie va proseguito fino
alla stabilizzazione del quadro
respiratorio.
OSSIGENAZIONE
EMATICA
Un altro punto critico nella gestione ottimale dell’ictus acuto è il mantenimento di una adeguata ossigenazione tessutale.18 L’ipossia, promuovendo il metabolismo anaerobico e la deplezione delle riserve energetiche, ostacola il potenziale recupero della zona di penombra ischemica aggravando l’estensione dell’area infartuata e peggiorando la prognosi. Le più comuni
cause di ipossia sono rappresentate dall’ostruzione parziale delle vie aeree, dalla polmonite ab
ingestis, dalle atelettasie e dall’ipoventilazione relativa, ad esempio, a scompenso cardiaco, ad
embolia polmonare, a estesi infarti cerebrali emisferici o vertebrobasilari, ad ampie raccolte
emorragiche o a sostenuta attività epilettica da ictus emisferici. La ventilazione può peggiorare durante il sonno. Pertanto il monitoraggio, continuo o discontinuo, dello stato di ossigenazione ematica tramite, rispettivamente, pulsiossimetria o emogasanalisi è indicato almeno nelle
prime 24 ore dall’esordio dell’ictus e va proseguito fino alla normalizzazione e/o stabilizzazione del quadro respiratorio.
La posizione sollevata del tronco può essere consigliabile per il suo effetto favorevole sulla
saturazione di ossigeno e sulla riduzione della pressione intracranica.19
Raccomandazione 11.5
Grado D
Nella fase di stato la somministrazione routinaria di ossigeno
non è indicata nei pazienti con
ictus acuto.
La somministrazione di ossigeno
è indicata nei pazienti in stato di
ipossiemia (SaO2 <92%).
In caso di ipossiemia moderata,
in assenza di alterazioni del
respiro, è indicata la somministrazione di ossigeno a 2-4
L/min, avviando la somministrazione con elevate concentrazioni
di ossigeno da ridurre successivamente in base ai dati di SaO2.
Non vi sono tuttora dati a favore dell’efficacia della somministrazione routinaria dell’ossigeno-terapia, che risulta addirittura sconsigliata negli ictus di gravità lieve o moderata,20 e che va
invece indirizzata a quei pazienti in stato di ipossia documentata dall’emogasanalisi o in stato
di desaturazione alla pulsiossimetria (saturazione O2 <92%). In questi pazienti, la somministrazione di ossigeno a 2-4 L/min per via inalatoria in genere migliora lo stato di ossigenazione ematica e risulta sufficiente per la correzione dell’ipossiemia moderata in assenza di alterazioni del respiro.16
È opportuno in questi casi avviare la somministrazione con elevate concentrazioni di ossigeno, riducendole successivamente in relazione ai dati della pulsiossimetria e della emogasanalisi. Se il paziente rimane ipossiemico in ventilazione spontanea ad alti flussi, è possibile applicare una pressione positiva continua alle vie aeree (CPAP: Continuous Positive Airway
Pressure) al fine di reclutare il maggior numero possibile di alveoli polmonari. Tale supporto
ventilatorio non invasivo (effettuato cioè senza intubazione tracheale, ma attraverso una
maschera facciale o nasale) richiede un certo grado di collaborazione da parte del paziente che
deve essere in grado di mantenere un adeguato volume corrente spontaneo e di tossire efficacemente; inoltre può provocare distensione gastrica.21
L’assistenza ventilatoria manuale è indicata se il paziente è in apnea, se il suo volume corrente
spontaneo è insufficiente, se è opportuno ridurre il lavoro respiratorio. La ventilazione manuale a maschera deve proseguire fino al ripristino di un’adeguata ventilazione spontanea o fino
al posizionamento di un tubo endotracheale.
La protezione delle vie aeree superiori e l’assistenza ventilatoria sono indicate in caso di
pazienti gravi con alterazione dello stato di coscienza. In questi casi (coma, disfunzione troncoencefalica, assenza dei riflessi troncoencefalici, episodi apneici, rapido deterioramento neurologico) l’opportunità di intubazione tracheale e ventilazione meccanica dovrebbe essere
valutata tempestivamente.22-24 Anche se i dati riportati in letteratura non sono molti, si può
affermare che la proporzione di pazienti con ictus che richiede intubazione tracheale e ventilazione meccanica è altamente variabile con il tipo di ictus e si pone intorno al 5%-11% nell’ictus ischemico,23-26 nell’ambito 26%-30% nell’emorragia intracranica,25,26 intorno al 50%
nell’emorragia subaracnoidea,25 anche se non mancano proporzioni più elevate (fino al 63%
dei ricoverati) in specifici centri,27 mentre negli studi epidemiologici su popolazione il tasso è
molto più basso e probabilmente inferiore all’1%.
L’intubazione tracheale è indicata in presenza di segni di insufficienza respiratoria o di fatica
respiratoria, in presenza di alterazioni dello stato di coscienza che non consentano la protezione delle vie aeree e in caso di rischio di aspirazione,28 come specificato nella Tabella 11:I.
È importante sottolineare che le manovre di laringoscopia e di intubazione tracheale possono
determinare in via riflessa importanti alterazioni emodinamiche in grado di influenzare il flusso cerebrale e la pressione endocranica. Tali manovre devono quindi essere effettuate dopo
aver proceduto alla somministrazione di opportune dosi di farmaci sedativi e miorilassanti.
Nel caso sia prevedibile la necessità di un supporto ventilatorio di lunga durata è opportuno
procedere alla tracheostomia che facilita le manovre di broncoaspirazione, riduce l’incidenza
di stenosi laringotracheali da intubazione prolungata e migliora il comfort del paziente. Il corstesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
Tabella 11:I – Indicazioni all’intubazione tracheale (Hacke W. et al 1995)28
pO2 <50-60 mm Hg
pCO2 >50-60 mm Hg
capacità vitale >500-800 mL
segni di fatica respiratoria:
• tachipnea (<30)
• dispnea
• auto PEEP
• coinvolgimento dei muscoli respiratori accessori
acidosi respiratoria
significativa alterazione dello stato di coscienza
rischio di inalazione
impossibilità di mantenere la pervietà delle vie aeree
retto timing di tale procedura è tuttora controverso, sebbene alcuni Autori consiglino la sua
esecuzione anche in terza giornata.29
La ventilazione meccanica può essere effettuata con diverse modalità; le più comunemente
impiegate sono le seguenti:30
• ventilazione meccanica controllata (CMV; Controlled Mechanical Ventilation);
• ventilazione assistita-controllata (ACV; Assist-Control Ventilation);
• ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata (SIMV; Synchronized Intermittent
Mandatory Ventilation);
• ventilazione con supporto pressorio (PSV; Pressure Support Ventilation).
Durante la ventilazione meccanica controllata (CMV) tutti gli atti respiratori sono a carico dell’apparecchio di ventilazione; questa modalità è applicabile solo in pazienti che non effettuano alcuno sforzo respiratorio (drive assente o pazienti sedati ed eventualmente curarizzati).
La modalità di ventilazione assistita-controllata (ACV) consente al paziente di incrementare la
frequenza respiratoria: ogniqualvolta il paziente compie uno sforzo respiratorio raggiungendo
un valore soglia prefissato, il ventilatore eroga un flusso inspiratorio pari ai valori preimpostati.
La ventilazione obbligatoria intermittente sincronizzata (SIMV) eroga un volume corrente
prestabilito ad una frequenza programmata; a ciò si possono aggiungere atti respiratori spontanei del paziente la cui frequenza e volume sono determinati dalle possibilità di ventilazione
spontanea del paziente stesso.
La ventilazione con supporto pressorio (PSV) garantisce un incremento meccanico della pressione inspiratoria, consentendo una notevole riduzione del lavoro respiratorio.
La scelta della modalità di ventilazione e l’impostazione dei parametri ventilatori dipendono
dalle condizioni cliniche del paziente. È opportuno iniziare con una concentrazione di ossigeno del 100% (FiO2=1) riducendola poi fino a valori che consentano di ottenere livelli adeguati
di PaO2 (saturazione periferica ≥95%). Può essere utile l’applicazione di una pressione positiva di fine espirazione (PEEP).
Il volume corrente iniziale deve essere di 8-10 mL/kg. La frequenza respiratoria deve essere
regolata sul pH piuttosto che sulla CO2. Se l’adattamento al ventilatore risulta difficoltoso è
necessario procedere alla sedazione del paziente o, più raramente, alla curarizzazione.
Il supporto ventilatorio può essere progressivamente sospeso (“weaning”) quando siano risolte le condizioni cliniche che ne avevano imposto l’adozione. Nella Tabella 11:II 31 sono precisati i criteri clinici che consentono di avviare le procedure di “svezzamento dal ventilatore”.
Tabella 11:II – Criteri per la sospensione del supporto ventilatorio (Wijdicks E.F.M. 1997)31
PaO2
Volume corrente
Capacità vitale
Pressione inspiratoria
> 60 mm Hg
> 5 mL/kg
> 15 mL/kg
> -30 mm Hg
stesura 15 marzo 2005
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254
Raccomandazione 11.6
Grado D
Per il trattamento d’emergenza
dell’ipertensione nei pazienti con
ictus acuto è indicato il seguente
algoritmo: (da Stroke Coding
Guide of the American Academy
of Neurology, http://www.strokesite.org/; febbraio 2003, modificata)
1. Lo sfigmomanometro automatico
dovrebbe essere verificato contro
uno di tipo manuale.
2. Se i valori di pressione diastolica,
in due misurazioni successive a
distanza di 5 minuti, superano i
140 mm Hg, iniziare l’infusione
continua e.v. di un agente antipertensivo come la nitroglicerina o il
nitroprussiato di sodio (0,5-1,0
mg/kg/min), di cui però va attentamente monitorizzato il rischio di
edema cerebrale, particolarmente
nei grandi infarti, data la loro
capacità di aumentare la pressione
intracranica. Pazienti con tali rilievi
non sono candidati al trattamento
trombolitico con t-PA.
3. Se i valori di pressione sistolica
sono >220 mm Hg, o la pressione
diastolica è tra 121-140 mm Hg, o
la pressione arteriosa media è
>130 mm Hg in due misurazioni
successive a distanza di 20 minuti,
somministrare un farmaco antipertensivo facilmente dosabile come il
labetalolo, 10 mg e.v. in 1-2 minuti. Tale dose può essere ripetuta o
raddoppiata ogni 10-20 minuti fino
ad un dosaggio cumulativo di 300
mg. Successivamente a tale
approccio iniziale, il labetalolo può
essere somministrato ogni 6-8 ore
se necessario. Il labetalolo è sconsigliato nei pazienti con asma,
scompenso cardiaco o gravi turbe
della conduzione. In questi casi
può essere usato l’urapidil (1050 mg in bolo, ovvero infusione
0,15-0,5 mg/min). I pazienti che
richiedono più di due dosi di labetalolo o altri farmaci antipertensivi
per ridurre la pressione arteriosa
sistolica <185 mm Hg o diastolica
<110 mm Hg, non sono generalmente candidati alla terapia trombolitica.
4. Se il valore di pressione sistolica è
di 185-220 mm Hg o diastolica di
105-120 mm Hg, la terapia d’emergenza dovrebbe essere rimandata, se non coesiste una insufficienza ventricolare sinistra, una
dissecazione aortica o un infarto
miocardico acuto. Pazienti candi-
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Ictus cerebrale: Linee guida italiane
La gestione del supporto ventilatorio impone il ricovero in unità di terapia intensiva e la consulenza di specialisti rianimatori.
L’opportunità di procedere alla ventilazione meccanica in pazienti colpiti da ictus è da tempo
dibattuta in considerazione della elevata mortalità riscontrata (si veda anche la discussione
sulla formulazione dell’ordine di non rianimare, § 8.7.2). La ventilazione meccanica è un intervento terapeutico indispensabile per la sopravvivenza ed al tempo stesso un indice della gravità dell’ictus cerebrale.27 La prognosi dei pazienti colpiti da ictus cerebrale sottoposti a ventilazione meccanica è peraltro migliore di quanto si ritenesse in passato.22 Berroushot e coll.
hanno recentemente effettuato uno studio prospettico in pazienti con ictus ischemico evidenziando una mortalità dell’81% nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica a fronte di una
mortalità globale del 24%.32 Nei pazienti in ventilazione meccanica la causa più frequente di
morte è stata il deterioramento neurologico con ernia cerebrale. Emerge da questo studio la
conclusione che ciò che conta non è stabilire la reale opportunità della ventilazione meccanica, quanto riuscire ad evidenziare precocemente i segni di deterioramento neurologico in
modo da porre in atto ogni possibile intervento terapeutico.
11.3
PRESSIONE
ARTERIOSA
Sebbene la presenza di ipertensione arteriosa sia frequente in pazienti con ictus acuto
(>80%),29,33 il suo trattamento non deve essere generalmente iniziato precocemente e la sua
gestione ottimale non è stata ancora definita in maniera conclusiva,34-37 soprattutto in considerazione della necessità di garantire, particolarmente in questa fase, un flusso di perfusione
cerebrale sufficiente alla sopravvivenza della penombra ischemica, non protetta dai meccanismi di autoregolazione.38,39 Una revisione Cochrane conclude che manca ancora sufficiente
evidenza per valutare l’effetto sull’esito conseguente ad una modifica della pressione arteriosa
nella fase acuta dell’ictus.40
Valori pressori elevati possono essere legati a molteplici cause, quali l’ictus stesso, il riempimento vescicale, il dolore, una ipertensione preesistente, la risposta fisiologica all’ipossia cerebrale o l’ipertensione intracranica, lo stress da ospedalizzazione.41 I valori pressori spesso si
normalizzano non appena il paziente viene lasciato riposare in ambiente tranquillo, o la vescica viene svuotata, o il dolore controllato, o l’ipertensione intracranica trattata: a distanza di 410 giorni dall’esordio dell’ictus circa il 60% dei pazienti presenta una risoluzione spontanea
dell’ipertensione.42
In caso di ipertensione marcata, la sua correzione deve avvenire gradualmente e con cautela
per evitare una risposta esagerata al trattamento antipertensivo e un possibile peggioramento
neurologico.18,35,43
Non sono disponibili ad oggi valori definitivi sui cut-off pressori per l’indicazione al trattamento urgente dell’ipertensione nell’ictus acuto.44 Tuttavia sulla base delle evidenze e
Consensus finora ottenuti è possibile identificare un algoritmo operativo che integri rilievi clinici e strumentali (Tabella 11:III).
La terapia antipertensiva precoce è indicata in caso di ipertensione associata a trasformazione
emorragica dell’infarto, a infarto miocardico acuto, scompenso cardiaco, insufficienza renale
secondaria allo stato ipertensivo, encefalopatia ipertensiva, dissezione dell’aorta toracica, o nei
pazienti che necessitino di trattamento trombolitico o con eparina per via endovenosa.37 Al di
fuori di queste condizioni il trattamento in fase acuta non è indicato fino a valori di pressione
media ≤130 mm Hg o di sistolica <220 mm Hg.18,37 In questi casi la migliore scelta terapeutica endovena è rivolta all’uso di farmaci facilmente dosabili, di breve durata d’azione, e con
minimo effetto vasodilatatorio cerebrale, per il pericolo di incremento della pressione intracranica, quali il labetalolo o l’enalapril (non disponibile in Italia in formulazione e.v.).45 La
maggior parte dei pazienti può essere trattata per via orale con captopril o nicardipina. Non è
indicato l’uso di calcioantagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d’azione di questo tipo di somministrazione.16,46
In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressori
siano: pressione sistolica >180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg.47
L’ipotensione arteriosa è infrequente nell’ictus acuto 48 e generalmente è legata ad una ipovolemia.49 Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell’ipotensione
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
Tabella 11:III – Algoritmo per il trattamento d’emergenza dell’ipertensione nei pazienti con ictus acuto
(Stroke Coding Guide of the American Academy of Neurology, http://www.stroke-site.org/; febbraio 2003, modificata)
1. Lo sfigmomanometro automatico dovrebbe essere verificato contro uno di tipo manuale.
2. Se i valori di pressione diastolica, in due misurazioni successive a distanza di 5 minuti, superano i 140 mm Hg, iniziare l’infusione continua e.v. di un agente antipertensivo come la nitroglicerina o il nitroprussiato di sodio (0,5-1,0
mg/kg/min), di cui però va attentamente monitorizzato il rischio di edema cerebrale, particolarmente nei grandi infarti, data la loro capacità di aumentare la pressione intracranica. Pazienti con tali rilievi non sono candidati al trattamento trombolitico con t-PA.
3. Se i valori di pressione sistolica sono >220 mm Hg, o la pressione diastolica è tra 121-140 mm Hg, o la pressione
arteriosa media è >130 mm Hg in due misurazioni successive a distanza di 20 minuti, somministrare un farmaco
antipertensivo facilmente dosabile come il labetalolo, 10 mg e.v. in 1-2 minuti. Tale dose può essere ripetuta o raddoppiata ogni 10-20 minuti fino ad un dosaggio cumulativo di 300 mg. Successivamente a tale approccio iniziale, il
labetalolo può essere somministrato ogni 6-8 ore se necessario. Il labetalolo è sconsigliato nei pazienti con asma,
scompenso cardiaco o gravi turbe della conduzione. In questi casi può essere usato l’urapidil (10-50 mg in bolo,
ovvero infusione 0,15-0,5 mg/min). I pazienti che richiedono più di due dosi di labetalolo o altri farmaci antipertensivi
per ridurre la pressione arteriosa sistolica <185 mm Hg o diastolica <110 mm Hg, non sono generalmente candidati
alla terapia trombolitica.
4. Se il valore di pressione sistolica è di 185-220 mm Hg o diastolica di 105-120 mm Hg, la terapia d’emergenza
dovrebbe essere rimandata, se non coesiste una insufficienza ventricolare sinistra, una dissecazione aortica o un
infarto miocardico acuto. Pazienti candidati alla terapia con t-PA, che presentano persistenti valori pressori elevati
sistolici >185 mm Hg o diastolici >110 mm Hg, possono essere trattati con piccole dosi di antipertensivo e.v. per
mantenere i valori di PA giusto al di sotto di tali limiti. Tuttavia la somministrazione di più di due dosi di antipertensivo
per mantenere sotto controllo la PA rappresenta una controindicazione relativa alla terapia trombolitica.
5. Non è indicato l’uso di calcio-antagonisti per via sublinguale per la rischiosa rapidità d’azione di questo tipo di somministrazione.
6. In caso di emorragia cerebrale è indicata la terapia antipertensiva qualora i valori pressori siano: pressione sistolica
> 180 mm Hg o pressione diastolica >105 mm Hg.
7. La correzione della pressione arteriosa tramite agenti antipertensivi nella fase acuta dell’ictus dovrebbe essere associata ad un attento monitoraggio dello stato neurologico per rilevare prontamente la comparsa di deterioramento.
8. Nei pazienti con ictus ischemico acuto e pressione sistolica <185 mm Hg o diastolica <105 mm Hg, la terapia antipertensiva non è usualmente indicata.
9. Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento dell’ipotensione arteriosa nei pazienti con ictus
acuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidratazione e/o di valori pressori significativamente inferiori
a quelli usuali per il dato paziente. Le opzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamento
dello scompenso cardiaco congestizio e la bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali la dopamina.
arteriosa nei pazienti con ictus acuto, questo viene raccomandato in caso di segni di disidratazione e/o di valori pressori significativamente inferiori a quelli usuali per il dato paziente. Le
opzioni terapeutiche prevedono la somministrazione di fluidi e.v., il trattamento dello scompenso cardiaco congestizio e della bradicardia, ed eventualmente agenti vasopressori quali la
dopamina.16,17 L’emodiluizione ipervolemica e l’incremento pressorio farmacologico sono stati
usati con successo in pazienti con ischemia secondaria a vasospasmo in corso di emorragia
subaracnoidea.37
La regolazione della fluidoterapia è di estrema importanza nel trattamento del paziente colpito da ictus, in considerazione dell’influenza sulla perfusione e sul metabolismo cerebrali esercitata dal tipo e dalla quantità dei liquidi somministrati.
In passato la restrizione dei fluidi era considerata essenziale per limitare l’insorgenza di edema
cerebrale. Tale approccio è stato oggi sottoposto a revisione essendo stati dimostrati gli effetti negativi dell’ipovolemia sull’evoluzione delle lesioni neurologiche.50
In presenza di lesioni intracraniche, infatti, in conseguenza dell’alterazione dei meccanismi di
autoregolazione del flusso cerebrale, i valori di pressione sistemica diventano il determinante
fondamentale del flusso cerebrale: il mantenimento di un’adeguata volemia è quindi il primo
obiettivo da raggiungere.
Peraltro, l’alterazione della barriera ematoencefalica provocata dalle lesioni intracraniche
determina l’accumulo di liquido extravascolare che non deve essere in alcun modo aggravato.
La quantità di fluidi da somministrare deve essere stabilita sulla base della valutazione di parametri clinici e di laboratorio: peso corporeo, diuresi, ematocrito, elettroliti sierici, urea, creatinina, osmolalità plasmatica, osmolalità urinaria, elettroliti urinari, parametri emogasanalitici.
stesura 15 marzo 2005
255
dati alla terapia con t-PA, che presentano persistenti valori pressori
elevati, sistolici >185 mm Hg o
diastolici >110 mm Hg, possono
essere trattati con piccole dosi di
antipertensivo e.v. per mantenere i
valori di PA giusto al di sotto di tali
limiti. Tuttavia la somministrazione
di più di due dosi di antipertensivo
per mantenere sotto controllo la PA
rappresenta una controindicazione
relativa alla terapia trombolitica.
5. Non è indicato l’uso di calcio-antagonisti per via sublinguale per la
rischiosa rapidità d’azione di questo tipo di somministrazione.
6. In caso di emorragia cerebrale è
indicata la terapia antipertensiva
qualora i valori pressori siano:
pressione sistolica >180 mm Hg o
pressione diastolica >105 mm Hg.
7. La correzione della pressione arteriosa tramite agenti antipertensivi
nella fase acuta dell’ictus dovrebbe essere associata ad un attento
monitoraggio dello stato neurologico per rilevare prontamente la
comparsa di deterioramento.
8. Nei pazienti con ictus ischemico
acuto e pressione sistolica <185
mm Hg o diastolica <105 mm Hg,
la terapia antipertensiva non è
usualmente indicata.
9. Sebbene non vi siano dati per definire una soglia per il trattamento
dell’ipotensione arteriosa nei
pazienti con ictus acuto, questo
viene raccomandato in caso di
segni di disidratazione e/o di valori
pressori significativamente inferiori
a quelli usuali per il dato paziente.
Le opzioni terapeutiche prevedono
la somministrazione di fluidi e.v., il
trattamento dello scompenso cardiaco congestizio e della bradicardia, ed eventualmente agenti
vasopressori quali la dopamina.
Raccomandazione 11.7
Grado D
Nei pazienti con ictus acuto è
indicato il mantenimento di una
adeguata volemia, calcolando la
quantità di fluidi da somministrare sulla base di un accurato
bilancio idrico.
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SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Devono essere inoltre calcolati e attentamente rimpiazzati i liquidi persi per via gastrointestinale, respiratoria e cutanea.
Raccomandazione 11.8
Grado D
Nei pazienti con ictus acuto la
somministrazione di soluzioni
ipotoniche (NaCl 0,45%, glucosio
5%) non è indicata per il rischio
di incremento dell’edema cerebrale.
Raccomandazione 11.9
Grado D
Le soluzioni contenenti glucosio
non sono indicate dati gli effetti
sfavorevoli dell’iperglicemia sull’esito neurologico.
Raccomandazione 11.10
Grado D
Nei pazienti con ictus acuto la
soluzione fisiologica è indicata
quale cristalloide di scelta per
fluidoterapia.
La scelta dei fluidi da somministrare deve tenere in considerazione i meccanismi che regolano
il movimento dei fluidi nel sistema nervoso centrale: la pressione osmotica, la pressione oncotica, la pressione idrostatica e la funzione della barriera ematoencefalica.51 È dimostrato che
gli effetti negativi dei fluidi sull’edema cerebrale sono indotti dalle variazioni della tonicità.52
Le soluzioni per fluidoterapia di impiego clinico si distinguono in cristalloidi e colloidi.
I cristalloidi contengono esclusivamente soluti di basso peso molecolare (<30·000 dalton) che
possono essere ionici (ad esempio Na o Cl), o non ionici (ad esempio glucosio). I cristalloidi
possono essere ipotonici, isotonici o ipertonici.
Le soluzioni ipotoniche (NaCl 0,45%, glucosio 5%) sono assolutamente controindicate, in
quanto possono incrementare l’edema cerebrale nelle regioni lese, ma anche in quelle perilesionali ed in quelle integre in conseguenza della riduzione dell’osmolalità plasmatica che inducono.
Le soluzioni contenenti glucosio devono essere evitate, essendo stata dimostrata un’associazione tra elevati livelli glicemici e peggioramento del danno neurologico in pazienti con ischemia cerebrale; ciò sembra determinato dall’accumulo di acido lattico e dalla conseguente riduzione del pH nel tessuto cerebrale indotti dall’iperglicemia.53
Le soluzioni isotoniche di più comune impiego sono la soluzione fisiologica e le soluzioni di
Ringer. Queste ultime sono in realtà lievemente ipotoniche rispetto al plasma, tanto da poter
indurre effetti negativi a livello cerebrale, specie se somministrate in notevole quantità. Il cristalloide di scelta nei pazienti con lesioni cerebrali è quindi la soluzione fisiologica.
L’infusione di piccoli volumi di soluzioni saline ipertoniche sembra indurre un rapido miglioramento della volemia con effetti positivi sulla pressione endocranica.54 È possibile la comparsa di effetti collaterali provocati dall’eccessivo rapido aumento della sodiemia; inoltre, è
stato segnalato che l’impiego delle soluzioni ipertoniche sembra più efficace in pazienti con
edema cerebrale postraumatico o postoperatorio, piuttosto che in pazienti con edema cerebrale conseguente ad ictus ischemico o emorragico.55 I dati al momento disponibili non sono
sufficienti per stabilire precise indicazioni nel paziente con danno neurologico.56
I colloidi contengono soluti ad elevato peso molecolare che inducono con meccanismo osmotico il richiamo di liquidi nello spazio intravascolare. La loro maggior efficacia rispetto ai cristalloidi nel rimpiazzo volemico è limitata dalla possibile insorgenza di effetti collaterali; inoltre il loro costo è notevolmente più elevato.
Le soluzioni di destrano 40 e 70 contengono polimeri del glucosio di peso molecolare medio
rispettivamente 40·000 e 70·000 dalton. Il destrano 70 ha una pressione osmotica ed una capacità di espansione volemica simili a quelle del plasma. Il destrano 40 è iperosmotico rispetto
al plasma ed ha quindi maggiore efficacia. La loro somministrazione può provocare reazioni
allergiche anche gravi, alterazioni dei processi coagulativi ed interferenza con la tipizzazione
del gruppo sanguigno. Anche le soluzioni colloidali contenenti amidi possono provocare effetti collaterali analoghi. Le gelatine inducono un’espansione volemica estremamente limitata.
Sebbene l’albumina possa teoricamente essere considerata un espansore plasmatico naturale,
il suo ruolo e la sua efficacia clinica rimangono controversi. Il plasma non deve essere impiegato come espansore plasmatico.
Sintesi 11-1
Dati sia sperimentali che clinici
indicano che l’ipertermia è dannosa a livello della lesione ischemica ed è associata sia ad un
peggioramento clinico che ad un
peggior esito funzionale.
L’ipotermia ha un effetto neuroprotettivo. Circa il 50% dei
pazienti con ictus cerebrale presenta ipertermia nell’arco delle 48
ore dall’insorgenza dell’evento.
11.4
TEMPERATURA
CORPOREA
Circa il 50% dei pazienti con ictus cerebrale sviluppa ipertermia nell’arco di due giorni dall’insorgenza dell’evento acuto.57 Le cause più comuni di febbre nei pazienti con ictus sono:
infezioni intercorrenti, disidratazione, alterazione dei meccanismi di regolazione cerebrale
della temperatura e reazione di fase acuta.
L’ipertermia in fase acuta risulta associata ad una prognosi peggiore dell’ictus in termini di
mortalità ed esiti, così come evidenziato da una recente metanalisi,58 persino per aumenti della
temperatura corporea dell’ordine di mezzo grado.
L’ipertermia svolge un ruolo importante nella reazione a cascata che modula il danno neuronale, durante l’insulto ischemico. In modelli sperimentali una temperatura di 39° C attiva ed
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
257
accelera nel cervello danneggiato meccanismi neuropatologici che inducono danno anche
nelle strutture indenni. Al contrario la riduzione della temperatura corporea ha effetto neuroprotettivo, mentre l’azione dei farmaci neuroprotettivi può essere contrastata dall’ipertermia.
L’ipertermia in particolare promuove:
1. la mobilizzazione del calcio intraneuronale;
2. l’attivazione dei recettori glutammatergici;
3. le disfunzioni della barriera emato-encefalica;
4. la proliferazione delle cellule microgliali;
5. la produzione di anioni superossido e di ossido nitrico;
6. il rilascio dei neurotrasmettitori;
7. il danno ischemico da depolarizzazione nell’area di penombra ischemica;
8. la riduzione del recupero energetico e l’inibizione del rilascio di protein-chinasi.
È stato inoltre dimostrato che valori di temperatura superiori alla norma inibiscono in maniera determinante il re-uptake del glutammato extracellulare, determinandone l’accumulo in tale
compartimento. Concentrazioni più elevate di glutammato e glicina sono state riscontrate in
pazienti cerebrolesi ischemici ipertermici rispetto ai normotermici.59-62
Studi sperimentali hanno dimostrato inoltre che la temperatura corporea è correlata significativamente con le dimensioni dell’area ischemica.63
L’esatto periodo entro cui la febbre può contribuire al danno cerebrale post-ischemico, non è
stato tuttora ben definito. Recenti studi hanno tuttavia evidenziato che più precoce è l’esordio
dell’ipertermia, maggiori sono le dimensioni dell’area ischemica. Nello studio di Castillo e
coll.62 durante le prime 72 ore il 60% dei pazienti presentava ipertermia. La mortalità a tre
anni era dell’1% nei pazienti normotermici e del 5%-8% in quelli con elevati valori di temperatura corporea.
Tuttavia, secondo alcune evidenze, solo l’esordio di ipertermia entro le prime 24 ore sembrerebbe significativamente associato ad un peggiore esito clinico ed a un aumento di dimensioni dell’area ischemica.64
Pertanto è indicato il trattamento antipiretico assiduo nella fase acuta dell’ictus e anche lievi
rialzi della temperatura dovrebbero essere corretti mantenendosi entro valori inferiori a 37° C,
almeno nei primi giorni.59 Nel trattamento della febbre, il farmaco comunemente usato è il
paracetamolo 65 e, se necessario, è possibile il ricorso a mezzi fisici di raffreddamento corporeo.59,66,67
Bisogna inoltre ricordare che numerosi studi clinici stanno valutando l’efficacia di una moderata ipotermia (32-33° C) nei pazienti con ischemia cerebrale. I risultati degli esperimenti su
cavie sono incoraggianti.68
Raccomandazione 11.11
Grado D
Nei pazienti con ictus acuto è
indicata la correzione farmacologica dell’ipertermia, preferibilmente con paracetamolo, mantenendo la temperatura al di sotto
di 37°C.
In pazienti con ictus la comparsa di febbre è attribuibile ad infezioni nel 60%-85% dei
casi;69,70 si tratta di infezioni urinarie nel 10%-30% dei casi, polmoniti nel 10%-20% ed altre
infezioni (batteriemie o sepsi, infezioni di ulcere da decubito) nel 5%-30% dei casi.71-73 Le
polmoniti sono una importante causa di morte dopo ictus,74,75 in particolare in pazienti che
sono immobilizzati o che non sono in grado di tossire efficacemente.75 La comparsa di febbre
dopo un ictus impone una immediata valutazione di una possibile complicanza infettiva ed un
adeguato trattamento antibiotico.76
Raccomandazione 11.12
Grado D
In presenza di febbre in pazienti
con ictus acuto è indicata l’immediata ricerca della sede e della
natura di una eventuale infezione
finalizzata ad un trattamento
antibiotico adeguato.
In pazienti immunocompetenti non è raccomandata l’attuazione di profilassi antibiotica, antimicotica o antivirale.77 I trattamenti antimicrobici andranno istituiti sulla base del sospetto clinico di infezione e di appropriate indagini microbiologiche. La scelta della terapia antimicrobica deve essere effettuata in relazione alla sede dell’infezione e alla presenza di fattori concomitanti (insufficienza renale, insufficienza epatica, allergie, etc.).
Raccomandazione 11.13
Grado D
In pazienti immunocompetenti
non è indicata l’attuazione di
profilassi antibiotica.
L’approccio empirico andrà effettuato tenendo presente l’eziologia presunta più frequente stabilita sulla base dei dati epidemiologici generali e locali di ogni singolo ospedale. La terapia
verrà poi corretta sulla base dei risultati delle indagini microbiologiche e colturali.
11.4.1
Trattamento delle complicanze infettive nel paziente con ictus
Tra le varie complicanze mediche dell’ictus acuto (neurologiche, psichiatriche, tromboemboliche, algiche, da immobilità), quelle infettive costituiscono una delle più frequenti cause di
morbosità dopo la depressione, le cadute a terra e la sintomatologia dolorosa della spalla.
stesura 15 marzo 2005
258
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Un punto importante è rappresentato dalla gestione dei pazienti con ictus acuto che manifestano febbre, che però può anche essere dovuta ad un meccanismo centrale legato al danno
cerebrale indotto dall’ischemia ed in questo caso la prognosi dell’ictus è ancora più sfavorevole.78 L’esclusione di un’infezione è un fattore di diagnostica differenziale molto importante
perché evita l’inutile somministrazione di antibiotici ad ampio spettro con evidenti risparmi
sui costi economici e sui rischi di insorgenza di effetti collaterali e di resistenze batteriche.
D’altro canto, la conferma della presenza di un’infezione e, soprattutto, l’identificazione dell’agente responsabile mediante apposite indagini microbiologiche è altrettanto fondamentale
perché permette, dopo un’iniziale terapia antibiotica empirica ad ampio spettro, di effettuare
un trattamento mirato con molecole a spettro più ristretto.
11.4.1.1
Sintesi 11-2
L’infezione delle vie urinarie è la
più comune complicanza infettiva
nel paziente con ictus acuto, ed il
rischio dipende sostanzialmente
dalla durata della cateterizzazione. La terapia iniziale è empirica
e basata sulla prescrizione di una
penicillina semisintetica protetta
o, in pazienti allergici, di un fluorochinolone (tenendo conto del
rischio convulsivo associato); nei
casi gravi si potrà associare un
aminoglicoside oppure somministrare un carbapenemico in
monoterapia. Il trattamento antibiotico potrà essere modificato
sulla base dei risultati dell’urinocoltura e relativo antibiogramma.
Infezioni urinarie
L’infezione delle vie urinarie (IVU) è la più comune complicanza infettiva nel paziente con
ictus acuto oltre a rappresentare, fino a pochi anni fa, la più frequente infezione nosocomiale.
Nel 1990, ad esempio, le IVU nosocomiali presentavano un’incidenza del 30%-40% ma negli
ultimi anni la loro prevalenza è diminuita, forse in relazione al miglioramento delle misure di
prevenzione e sorveglianza e alla migliore gestione dei cateteri urinari, che sono responsabili
di almeno l’80% delle IVU. Il rischio di IVU dipende infatti dalla durata della cateterizzazione: la percentuale di infezione è bassa nei primi 3-5 giorni ma dopo 10-14 giorni metà dei
pazienti presenta batteriuria e dopo 30 giorni la stragrande maggioranza. Tuttavia altri fattori
contribuiscono ad aumentare il rischio di IVU: ritenzione urinaria, ipertrofia prostatica, sesso
femminile, cateterizzazione peripartum, diabete mellito, età avanzata, condizioni generali scadenti. È stato osservato che in pazienti con IVU associata a catetere il tasso di mortalità è tre
volte più alto che nei pazienti non infetti, probabilmente per la possibile insorgenza di batteriemia e sepsi. Lo 0,5% dei pazienti cateterizzati sviluppa infatti una batteriemia ed il 15%
delle batteriemie nosocomiali è dovuto ad IVU associate a catetere, presentando un tasso di
letalità del 30%.79
La batteriuria che si produce durante la cateterizzazione a breve termine (durata <1 mese) è
di solito dovuta a un singolo microrganismo come Escherichia coli ma vengono isolati anche
Pseudomonas æruginosa, Klebsiella sp., Enterobacter sp., Staphylococcus epidermidis,
Staphylococcus aureus e Serratia sp. La cateterizzazione a lungo termine (>1 mese) è più spesso polimicrobica ed è causata prevalentemente da E. coli, P. æruginosa, Proteus mirabilis e,
meno comunemente, Providencia stuartii, Morganella morganii e Acinetobacter baumanni.79
Secondo i dati statunitensi del sistema NNIS (National Nosocomial Infections Surveillance), i
principali agenti eziologici di IVU in generale sono E. coli (24%), enterococchi (16%), P. æruginosa (11%), Candida sp. (11%), Klebsiella sp. (9%) ed Enterobacter sp. (5%).80 Tra questi
microrganismi, problemi di resistenza possono emergere con enterococchi (multiresistenza, ivi
compresa la resistenza ai glicopeptidi), P. æruginosa (multiresistenza), E. coli, K. pneumoniæ
ed Enterobacter sp. (resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione
di beta-lattamasi a spettro espanso per i primi due batteri, di beta-lattamasi cromosomiche per
il terzo genere).81-83
L’urinocoltura è un metodo semplice, relativamente rapido ed economico per la diagnosi di
IVU. Almeno 10 mL di urine dal mitto intermedio (o dalla porta urinaria nei pazienti cateterizzati) devono essere raccolti ed inviati in laboratorio entro un’ora per evitare la crescita batterica, altrimenti dovrebbero essere conservati in frigorifero. La batteriurie sono da considerarsi significative se la conta batterica supera le 100·000 ufc/mL di urina, ma anche conte comprese tra 10·000 e 100·000 ufc/mL in presenza di febbre e piuria (associare sempre l’analisi
delle urine all’urinocoltura, a maggior ragione in pazienti cateterizzati!) devono essere ugualmente giudicate significative.71
Inizialmente, la terapia antibiotica delle IVU è empirica e, secondo le considerazioni eziologiche sopra ricordate, basata sulla prescrizione di una penicillina semisintetica protetta (piperacillina/tazobactam 4,5 g × 3-4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 3-4) o, nei pazienti allergici alle
beta-lattamine, di un fluorochinolone (levofloxacina 500 mg/die, ciprofloxacina 200400 mg × 2; tenendo conto del rischio convulsivo associato); nei casi gravi si potrà associare
un aminoglucoside (amikacina 15 mg/kg/die, gentamicina o tobramicina 5,1 mg/kg/die)
oppure somministrare un carbapenemico in monoterapia (meropenem 1 g × 3, imipenem
500 mg × 4). Ovviamente il trattamento potrà essere modificato allorquando dal laboratorio
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
259
di microbiologia si rendano disponibili i dati dell’urinocoltura relativi all’identificazione del
microrganismo responsabile ed al suo profilo di sensibilità antimicrobica,79,84 in particolare se
dovessero essere presenti cocchi gram-positivi multiresistenti (enterococchi vancomicino-resistenti) o funghi del genere Candida (C. albicans o le più temibili specie non-albicans quali C.
krusei e C. glabrata, resistenti ai comuni triazolici fluconazolo ed itraconazolo). Nel primo caso
potranno essere impiegati nuovi antibiotici appartenenti alla classe delle streptogramine (quinupristin/dalfopristin) o degli oxazolidinoni (linezolid), nel secondo caso nuovi antifungini
della classe delle echinocandine (caspofungina) o dei triazolici di seconda generazione (voriconazolo).
11.4.1.2
Polmoniti
La polmonite è una delle principali cause d’infezione ospedaliera e la seconda più frequente
complicanza infettiva nel paziente con ictus acuto.71,73 La sua importanza epidemiologica è
testimoniata dagli elevati tassi di letalità (20%-50%) e dai notevoli costi economici (prolungamento del ricovero di 4-9 giorni con un costo aggiuntivo, negli Stati Uniti, di 1,2 miliardi di
dollari l’anno) che essa comporta. Tra i fattori di rischio di polmonite nosocomiale vanno
annoverati alcuni correlati al paziente (età anziana, condizioni generali scadenti, immunosoppressione, pneumopatia cronica, alterazione dello stato di coscienza) ed altri iatrogeni (somministrazione di antibiotici, inserimento di sondino nasogastrico, terapia con H2-antagonisti,
recente intervento chirurgico o broncoscopia).79
Per quanto riguarda l’eziologia delle polmoniti nosocomiali, è di fondamentale importanza
discriminare tra forme ad inizio precoce (entro cinque giorni dal ricovero) e tardivo. Le prime
sono per lo più causate da patogeni “classici” facenti parte della normale flora batterica orofaringea (Streptococcus pneumoniæ, Hæmophilus influenzæ, S. aureus generalmente meticillino-sensibile) mentre una particolare tipologia d’infezione delle basse vie aeree è rappresentata dalla polmonite da aspirazione, che si produce soprattutto in soggetti con alterazione dello
stato di coscienza – come quelli con ictus di entità medio-grave – in seguito al deficit dell’azione ciliare e della tosse ed in virtù dell’azione favorente esercitata dalla disfagia e dalla presenza di sondino nasogastrico.71 Viene infatti impedita l’espulsione all’esterno del materiale
salivare deglutito contenente una discreta quantità della flora batterica orale, costituita per lo
più da batteri anaerobi sia gram-positivi (peptostreptococchi, Streptococcus intermedius) che
gram-negativi (Bacteroides fragilis, Fusobacterium sp., Prevotella sp.). Sul piano clinico la polmonite da aspirazione si manifesta in modo del tutto simile alle comuni polmoniti alveolari se
si eccettua la produzione di un escreato dall’aspetto putrido e dall’odore fetido.85
Le polmoniti ad esordio tardivo (oltre cinque giorni dal ricovero) sono invece delle classiche
infezioni ospedaliere, determinate cioè da quei patogeni tipicamente riscontrabili in ambiente
nosocomiale ed invariabilmente caratterizzati dalla loro antibiotico-resistenza, spesso multipla: Enterobacteriaceæ con resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione di beta-lattamasi a spettro espanso (E. coli, K. pneumoniæ) o di beta-lattamasi cromosomiche (Enterobacter sp.), P. æruginosa ed Acinetobacter sp. multiresistenti, S. aureus meticillino-resistente.81-83
Purtroppo, anche in ambiente nosocomiale una diagnosi microbiologica di polmonite può
essere ottenuta in non più della metà dei casi. L’esame batterioscopico e colturale dell’escreato è da una parte gravato da un’elevata frequenza di falsi positivi dovuti alla contaminazione
con la flora residente delle alte vie aeree e dall’altra difficilmente ottenibile in pazienti con alterazioni dello stato di coscienza come in caso di ictus. D’altronde le altre metodiche – se si
eccettua l’emocoltura, da effettuare sempre e comunque – sono tutte invasive: broncoaspirato, fibrobroncoscopia, agoaspirato transtoracico, biopsia polmonare transbronchiale o a cielo
aperto. Tra le indagini invasive appena citate, la fibrobroncoscopia con cultura quantitativa da
BAL o brushing protetto rappresenta l’indagine complessivamente più idonea, purché effettuata prima di iniziare una terapia antibiotica (od almeno due giorni dopo la sua sospensione).
È della massima importanza inviare il più rapidamente possibile i campioni di materiale respiratorio al laboratorio (entro due ore) e chiedere l’effettuazione non solo dell’esame colturale
ma anche di quello batterioscopico, che con il minimo sforzo ed in tempi rapidissimi può fornire informazioni preziosissime. Devono inoltre essere prese tutte le precauzioni possibili
(rigorosa anaerobiosi) in occasione della raccolta, trasporto e lavorazione di campioni microbiologici delicati come quelli per l’eventuale identificazione di batteri anaerobi obbligati.86
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 11-3
La polmonite, che include la polmonite da aspirazione, è la
seconda più frequente complicanza infettiva nel paziente con
ictus acuto. La terapia sarà almeno inizialmente empirica utilizzando una monoterapia con un
carbapenemico o con una cefalosporina ad amplissimo spettro o
una penicillina semisintetica ad
ampio spettro in associazione al
metronidazolo. Considerato il
possibile ruolo eziologico di S.
aureus e la sua frequente meticillino-resistenza, può essere
opportuno aggiungere alla terapia
un glicopeptide. Il trattamento
dovrà essere protratto per 7-10
giorni nelle infezioni da S. aureus
meticillino-sensibile o da patogeni respiratori classici; per 10-14
giorni in quelli dovuti a S aureus
meticillino-resistente e bacilli
aerobi gram-negativi; per 14-21
giorni in caso di coinvolgimento
multilobare, cavitazioni, gravi
condizioni di fondo. Il trattamento
antibiotico potrà essere modificato sulla base dei risultati delle
colture e relativi antibiogrammi.
260
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
La terapia antibiotica sarà almeno inizialmente empirica e basata sulla conoscenza dei dati epidemiologici riguardanti la possibile eziologia ed il profilo di chemiosensibilità sia generale che
locale dei microrganismi più probabilmente in causa. Nelle forme precoci potrà essere impiegata una penicillina semisintetica protetta (amoxicillina/clavulanato 2,2 g × 3, ampicillina/sulbactam 1,5-3 g × 4), una cefalosporina di II (cefuroxime 1,5 g × 3) o III generazione (cefotaxime 2 g × 3, ceftriaxone 2 g/die) o, in pazienti allergici alle beta-lattamine, un fluorochinolone (levofloxacina 500 mg × 2, ciprofloxacina 200-400 mg × 2), tutte queste molecole in associazione ad un agente antianaerobio (clindamicina 900 mg × 3, metronidazolo 500 mg × 4) per
la possibilità di trovarsi di fronte ad una polmonite da aspirazione. Nelle forme ad esordio tardivo il medico avrà l'opportunità di scegliere tra una monoterapia con un carbapenemico
(meropenem 1 g × 3, imipenem 500 mg × 4) o con una cefalosporina ad amplissimo spettro
(cefepime 2 g × 2) ed un'associazione di un aminoglucoside (amikacina 15 mg/kg/die, tobramicina 5,1 mg/kg/die) e di una beta-lattamina ad ampio spettro comprendente gli anaerobi
(piperacillina/tazobactam 4,5 g × 4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 4). Considerato il possibile
ruolo eziologico di S. aureus e la sua frequente meticillino-resistenza, può essere opportuno
aggiungere all’anzidetta terapia un glicopeptide (teicoplanina 800 mg/die i primi due giorni
seguiti da 400 mg/die, vancomicina 500 mg × 4). Il trattamento dovrà essere protratto per 710 giorni nei casi ascrivibili a S. aureus meticillino-sensibile od a patogeni respiratori classici
(pneumococco, Hæmophilus influenzæ), per 10-14 giorni in quelli dovuti a MRSA (stafilococco aureo meticillino-resistente) e bacilli aerobi gram-negativi e per 14-21 giorni nei casi impegnativi (coinvolgimento multilobare, presenza di cavitazioni, pazienti con gravi condizioni di
fondo).79,84
11.4.1.3
Sintesi 11-4
Poiché il principale fattore di
rischio di batteriemia è rappresentato dalla presenza di cateteri
vascolari, è indicata un’adeguata
gestione di tali presidi medicochirurgici. La terapia iniziale è
empirica e basata sull’associazione di una beta-lattamina antiPseudomonas e di un aminoglicoside (oppure di una cefalosporina ad ampio spettro o un carbapenemico da soli), insieme con
un glicopeptide. Il trattamento
antibiotico potrà essere modificato sulla base dei risultati delle
emocolture e relativo antibiogramma.
Batteriemie
Statistiche statunitensi evidenziano un’incidenza annua di circa 14,5 batteriemie nosocomiali
ogni 1·000 ricoveri con 62·500 morti ed un aumento, tra il 1979 ed il 1987, da 7,4 a 17,6 casi
ogni 1·000 abitanti. In uno studio su 260·834 pazienti, tra il 1980 e il 1992 è stata registrata
una diminuzione della mortalità grezza dal 51% al 29% ma la mortalità attribuibile tra i
pazienti ospedalizzati è aumentata da 3,55 a 6,22 per 1·000 ricoveri.79
Il principale fattore di rischio associato all’insorgenza di una batteriemia nosocomiale è rappresentato dalla presenza di un catetere vascolare, con importanti diversificazioni a seconda
del tipo di catetere usato (il rischio maggiore si ha con i cateteri venosi centrali non tunnelizzati), della durata prolungata e della sede della cateterizzazione (il rischio maggiore si ha con
l’arteria o la vena femorale e, per quanto riguarda i cateteri venosi centrali, la vena giugulare)
e della tecnica di inserimento, che richiede la massima sterilità.86
In misura molto minore, anche l’inserimento di materiali protesici e l’effettuazione di altre
procedure invasive sono fattori predisponenti alla batteriemia primitiva mentre le batteriemie
secondarie conseguono generalmente ad un’infezione respiratoria inferiore (in particolare in
pazienti intubati), postchirurgica od urinaria (in genere associata a catetere vescicale o a procedura endoscopica). Altri generici fattori di rischio per batteriemia sono rappresentati dalla
neutropenia e dalle terapie citotossiche, cortisoniche e soprattutto antibiotiche.87
Nelle forme secondarie i bacilli aerobi gram-negativi sono preponderanti mentre le infezioni
primitive sono dovute in quasi il 60% dei casi ai principali cocchi gram-positivi nosocomiali
tra cui S. aureus, stafilococchi coagulasi-negativi (SCN) ed enterococchi.80 In uno studio condotto in 49 ospedali statunitensi durante un periodo di tre anni, sono stati rilevati 10·617 episodi di batteriemia nosocomiale, di cui il 31,9% dovuti a SCN, il 15,7% a S. aureus, l’11,3%
a bacilli del gruppo K-E-S, l’11,1% ad enterococchi, il 7,6% a Candida sp., il 5,7% ad E. coli
ed il 4,4% a Pseudomonadaceæ. In questo studio la letalità variava dal 21% per le batteriemie
da SCN al 40% per quelle da Candida sp.88 Tra tutti questi microrganismi, problemi di resistenza possono emergere con S. aureus e SCN a causa della loro frequentissima meticillinoresistenza negli ospedali italiani (con percentuali che vanno dal 40% ad oltre il 60%), P. æruginosa ed enterococchi (multiresistenza), E. coli, K. pneumoniæ ed Enterobacter sp. (resistenza alle cefalosporine di III generazione mediata dalla produzione di beta-lattamasi a spettro
espanso per i primi due batteri, di beta-lattamasi cromosomiche per il terzo genere).81-83
L’emocoltura è il test di riferimento per la diagnosi di batteriemia ed alcuni punti fondamentali devono essere tenuti ben presenti quali: a) il momento del prelievo – all’acme febbrile od
in presenza di brivido; b) il numero ed il volume dei campioni – almeno 3 a distanza di 10-20
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
261
minuti l’uno dall’altro e con almeno 5-10 mL di sangue; c) la tecnica di raccolta – sterilità assoluta; d) il sistema di lavorazione in laboratorio; e) la capacità del clinico di interpretare i risultati. Anche quest’ultimo aspetto ha la sua importanza: reperire in un’emocoltura la presenza
di pneumococco o di un bacillo aerobio gram-negativo è sempre indice di infezione certa mentre l’isolamento di uno stipite di Staphylococcus epidermidis da un solo campione è indice di
contaminazione nella quasi totalità dei casi.89
La terapia delle batteriemie è fondata sull’impiego di farmaci battericidi che assicurino elevate concentrazioni sieriche, somministrati per via endovenosa ad alte dosi, generalmente in
associazioni farmacologiche per allargare lo spettro d’azione o per sfruttare il sinergismo di
potenziamento. Inizialmente, in attesa dei risultati delle emocolture è preferibile l’associazione di una beta-lattamina anti-Pseudomonas quale ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 4, piperacillina/tazobactam 4,5 g × 4, ceftazidime 2 g × 3 (o di un fluorochinolone come la levofloxacina
500 mg × 2 o la ciprofloxacina 200-400 mg × 2 nei soggetti allergici alle beta-lattamine) con un
aminoglicoside (amikacina 15 mg/kg/die, tobramicina 5,1 mg/kg/die), oppure l'impiego in
monoterapia di un carbapenemico (meropenem 1 g × 3, imipenem 500 mg × 4) o di cefepime
2 g × 2. Considerata l’elevata frequenza con cui negli ospedali italiani vengono isolati stafilococchi meticillino-resistenti (dal 40% per quanto riguarda S. aureus ad oltre il 60% per quanto concerne gli SCN), è altamente consigliabile aggiungere al carbapenemico (od all’associazione beta-lattamina/aminoglicoside) un glicopeptide come teicoplanina (800 mg/die i primi
due giorni seguiti da 400 mg/die) o vancomicina (500 mg × 4).79,84
11.4.1.4
Infezioni delle ulcere da decubito
Le ulcere da decubito, prevalentemente localizzate nelle aree declivi sottoposte a pressione
quali le zone sacrali, calcaneali e coxofemorali, rappresentano una tipica complicanza medica
in pazienti cronicamente allettati come quelli con ictus. L’aumento del peso corporeo (obesità)
è un fattore di rischio per la comparsa di piaghe da decubito; anche l’iperglicemia e l’ipoproteinemia rappresentano un fattore precipitante, e devono essere tempestivamente corrette.
La prevenzione si basa su un capillare e scrupoloso trattamento infermieristico che comprende l’uso di un lettino antidecubito ad aria o ad acqua, di una minuziosa igiene e la mobilizzazione del paziente con intervallo variabile da 1 a 4 ore a seconda dei fattori di rischio per lesioni da decubito. La formazione di ampie piaghe da decubito con tessuto necrotico si avvale di
un adeguato trattamento chirurgico.
Per le condizioni predisponenti di fondo e l’incontinenza urinaria e fecale che spesso contraddistingue tali pazienti, con facilità le ulcere da decubito si infettano prospettando così
un’infezione che è tipicamente polimicrobica.71 Possono essere infatti in causa microrganismi
sia aerobi gram-positivi (enterococchi, stafilococchi, Streptococcus pyogenes) e gram-negativi
(Enterobacteriaceæ, Pseudomonadaceæ), sia anaerobi gram-positivi (peptostreptococchi) e
gram-negativi (Bacteroides sp.).
Una terapia antibiotica delle ulcere da decubito infette dovrebbe essere intrapresa solo allorquando la patologia sia particolarmente grave da produrre un’estesa cellulite oppure un processo settico testimoniato dalla presenza di segni e sintomi generali e dalla positività delle emocolture, che devono essere sempre prelevate in pazienti febbrili. Su queste basi, considerando
la molteplice eziologia di tali infezioni, un adeguato trattamento antibiotico è rappresentato da
una penicillina semisintetica protetta (piperacillina/tazobactam 4,5 g × 4, ticarcillina/clavulanato 3,2 g × 4) oppure da un carbapenemico (meropenem 1 g × 3, imipenem 500 mg × 4) o, in
pazienti allergici alle beta-lattamine, dall'associazione tra un fluorochinolone (levofloxacina
500 mg/die) ed una molecola antianaerobia (clindamicina 900 mg × 3, metronidazolo
500 mg × 4).84
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 11-5
Le piaghe da decubito rappresentano una grave complicanza dell’ictus acuto associata ad una
aumentata mortalità e ad un peggiore andamento clinico e funzionale. Il rischio di piaghe da decubito è più alto nei pazienti obesi,
nei diabetici e nei pazienti iponutriti. La terapia antibiotica è indicata solo in presenza di un’estesa cellulite, di segni e sintomi di
sepsi o di positività delle emocolture.
Raccomandazione 11.14
Grado D
Nei pazienti con ictus acuto è
indicata la prevenzione delle piaghe da decubito basata sul cambiamento di posizione del paziente, con intervallo variabile da 1 a
4 ore a seconda dei fattori di
rischio per lesioni da decubito, su
una minuziosa igiene e sull’uso di
un materasso ad aria o ad acqua.
262
Sintesi 11-6
La malnutrizione proteico-energetica nel paziente affetto da ictus
acuto è un evento frequente. La
valutazione dello stato nutrizionale è fondamentale per evidenziare
precocemente situazioni di malnutrizione per eccesso o per
difetto e per mantenere o ripristinare uno stato nutrizionale adeguato. Una nutrizione adeguata è
importante per evitare la comparsa di complicanze, per ridurre i
tempi di ospedalizzazione, per
migliorare la qualità della vita e
rendere più semplice ed efficace
il percorso terapeutico.
Raccomandazione 11.15 a
Grado D
La valutazione dello stato di
nutrizione e l’intervento nutrizionale sono indicati come componente essenziale dei protocolli
diagnostici-terapeutici dell’ictus,
sia in fase acuta che durante il
periodo di riabilitazione.
Raccomandazione 11.15 b
Grado D
È indicato che figure professionali esperte (medico nutrizionista,
dietista) facciano parte del gruppo multidisciplinare che gestisce
il lavoro della stroke unit.
Raccomandazione 11.15 c
Grado D
È indicato includere le procedure
di valutazione del rischio nutrizionale fra gli standard per l’accreditamento delle strutture sanitarie.
Sintesi 11-7
I protocolli diagnostici essenziali
per la valutazione dello stato
nutrizionale e del rischio nutrizionale nel paziente affetto da ictus
includono: a) gli indici nutrizionali
integrati, che vanno effettuati
all’ingresso nell’ospedale o nella
struttura riabilitativa; b) le misure
antropometriche, gli indici biochimici, la rilevazione dell’assunzione dietetica e delle condizioni
mediche associate, da ripetere
nel corso del ricovero con periodicità differente, in relazione al
rischio nutrizionale individuale.
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
11.5
NUTRIZIONE
11.5.1
Valutazione del rischio nutrizionale
Il malato colpito da ictus può presentare una condizione preesistente di malnutrizione per
eccesso o per difetto ed è a rischio di malnutrizione proteico-energetica.90-94 Uno stato di malnutrizione proteico-energetica è presente nell’8%-16% dei pazienti con ictus acuto, nel 26%
dopo 7 giorni, nel 35% dopo 2 settimane e nel 40% all’inizio della fase riabilitativa.95-101
Fattori sia strettamente clinici (disturbi della masticazione, disfagia, disturbi della vigilanza e
visuo-spaziali) che assistenziali (difficoltà di alimentazione autonoma per concomitanti disturbi di forza e/o di coordinazione all’arto superiore) contribuiscono al deterioramento dello
stato nutritivo. Inoltre età senile, alterazioni metaboliche, nonché fattori psicologici quali
depressione e isolamento, possono causare un ridotto interesse nell’alimentazione.95,96,101-107
La presenza di malnutrizione proteico-energetica è correlata ad una maggiore incidenza di
infezioni, piaghe da decubito, ridotta capacità di resistere ad insulti di tipo ossidativo ed alla
perdita di massa muscolare, che determina o aggrava l’inabilità motoria.95,97,107-109
È necessario quindi includere nei protocolli diagnostici la valutazione dello stato nutrizionale
e nei protocolli terapeutici gli interventi nutrizionali correttivi, sia in fase acuta che durante il
periodo di riabilitazione.110,111 La valutazione del rischio nutrizionale è una procedura assistenziale che dovrebbe essere inserita negli standard di accreditamento degli ospedali.112,113 Le
stroke unit dovrebbero dotarsi di efficaci protocolli nutrizionali e del personale più adatto alla
loro gestione. Il team dovrebbe coinvolgere in modo coerente e continuativo un medico nutrizionista e un dietista che, in collaborazione, possano garantire la massima qualità dell’intervento dietetico-nutrizionale, dalle scelte terapeutiche iniziali alla gestione nel tempo.110 Il
medico nutrizionista, in particolare, valuta tipologie e costi/benefici dei protocolli terapeutici
alla luce delle condizioni cliniche del malato, assicurandone il sistematico follow up metabolico. Al contempo, il dietista esegue la valutazione dietetica del paziente, collabora al monitoraggio dello stato di nutrizione, alla valutazione dinamica della assunzione dietetica, alla
gestione della nutrizione enterale, e coopera nella soluzione delle problematiche legate alla
disfagia.114
Le metodiche a cui fare riferimento per la valutazione dello stato nutrizionale sono molteplici, alcune di esse complesse ed attuabili solo in centri specialistici di nutrizione clinica, tuttavia è possibile ricorrere a protocolli semplificati applicabili in tutti gli ospedali e gli istituti riabilitativi.
La valutazione dello stato di nutrizione deve almeno comprendere:110
a) una prima valutazione o screening del rischio nutrizionale, da effettuarsi utilizzando gli
indici nutrizionali integrati entro 24-48 ore dall’ammissione a tutti i pazienti.110,111 I risultati dello screening nutrizionale devono guidare ad una richiesta appropriata d’intervento
del dietista per la valutazione ed il trattamento.111
Il Nutritional Risk Screening (NRS)112 ed il Malnutrition Universal Screening Tools
(MUST)115,116 possono essere utilizzati anche nel caso dell’ictus. Entrambi gli indici, considerando il BMI, il decremento ponderale non intenzionale, la valutazione dell’assunzione
dietetica, la condizione clinica e/o il trattamento, classificano il paziente a rischio lieve
(NRS ≤2; MUST ≤1) o moderato/elevato (NRS ≥3; MUST ≥2; Tabella 11:IV e Figura 11–1).
b) successive e più complete valutazioni dello stato di nutrizione utilizzando misure ed indici
antropometrici, indici biochimici, la valutazione dell’assunzione dietetica e delle patologie
associate. Tali valutazioni devono essere ripetute con periodicità settimanale nei pazienti
normonutriti; la Tabella11:V elenca gli indicatori ed i valori soglia da considerare.Il sospetto di malnutrizione proteico-energetico necessita di un monitoraggio bisettimanale, viceversa la presenza di una condizione di malnutrizione in atto (identificata dalla presenza di
almeno due indicatori, di cui uno biochimico), necessita di un immediato supporto nutrizionale.
Gli indici essenziali da includere nel protocollo di valutazione dello stato nutrizionale e del
rischio nutrizionale possono essere elencati come segue.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
263
Tabella 11:IV – Nutritional Risk Screening (Public Health Commitee, 2003)112
punti stato nutrizionale
1
perdita peso >5% negli ultimi 3 mesi
oppure:
assunzione dietetica <50-75% rispetto ai
fabbisogni nella settimana precedente
2
3
punti condizione medica e trattamento
1
frattura dell’anca;
presenza di patologie croniche anche
in fase di riacutizzazione:
epatopatie croniche cirrogene,
malattie polmonari ostruttive croniche,
tumori solidi;
radioterapia
(ipercatabolismo lieve)
perdita peso >5% negli ultimi 2 mesi
2
post-intervento di chirurgia (addominale) maggiore;
oppure:
pazienti geriatrici istituzionalizzati;
IMC 18,5-20,5 associato a condizioni generali scadute
ictus;
oppure:
insufficienza renale nel postoperatorio;
assunzione dietetica <25-50% rispetto ai
pazienti ematologici;
fabbisogni nella settimana precedente
chemioterapia
(ipercatabolismo moderato)
perdita peso >5% nell’ultimo mese
3
traumi cranici
oppure:
trapianto di midollo osseo
IMC <18,5 associato a condizioni generali scadute
pazienti in terapia intensiva
oppure:
(ipercatabolismo grave)
assunzione dietetica 0-25% rispetto ai
fabbisogni nella settimana precedente
totale A
totale B
TOTALE A+B:
basso rischio di malnutrizione (punteggio ≤2);
rischio moderato/elevato di malnutrizione (punteggio ≥3)
STEP 1
IMC
IMC (kg/m2)
punteggio
>20 (>30 obeso)
0
18,5–20,0
1
<18,5
2
STEP 2
perdita di peso
+
+
decremento ponderale non
intenzionale negli ultimi 3-6 mesi
decremento % punteggio
<5
0
5-10
1
>10
2
STEP 3
effetti di malattia acuta
Raccomandazione 11.15 d
Grado D
È indicato che, all’ingresso nell’ospedale e nella struttura riabilitativa, si proceda alla valutazione
del rischio nutrizionale utilizzando
il Nutritional Risk Screening (NRS)
o il Malnutrition Universal
Screening Tool (MUST).
Raccomandazione 11.15 e
Grado D
È indicato procedere alla valutazione del rischio nutrizionale
entro 24-48 h dal ricovero.
Figura 11–1. Malnutrition
Universal Screening Tool.116
se il paziente è affetto da una
malattia acuta e si è verificato
o si prevede per almeno 5 giorni
un introito nutrizionale insufficiente
punteggio = 2
STEP 4
valutazione globale del rischio di malnutrizione
sommare STEP 1 + STEP 2 + STEP 3
punteggio 0
basso rischio di malnutrizione
11.5.1.1
punteggio 1
medio rischio di malnutrizione
punteggio ≥2
alto rischio di malnutrizione
Misure ed indici antropometrici
Per il paziente in grado di mantenere la stazione eretta:
peso, altezza, circonferenza vita. Il peso e l’altezza consentono il calcolo dell’indice di massa
corporea (IMC o BMI = peso/altezza2 in kg/m2), con il quale evidenziare la presenza di malnutrizione per eccesso (BMI ≥30) o per difetto (BMI<20).117 La misura ripetuta del peso consente di evidenziare la presenza di decremento ponderale non intenzionale. Un decremento
ponderale non intenzionale >5% negli ultimi due mesi può essere riferito ad una situazione di
malnutrizione proteico-energetica in atto. La misura ripetuta del peso corporeo va effettuata
con periodicità almeno settimanale per tutta la durata del ricovero: un decremento ponderale
non intenzionale del 2% rispetto alla precedente settimana è chiaramente indicativo di apporti energetici inadeguati.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 11.15 f
Grado D
Nel paziente in grado di mantenere la postura eretta sono indicati misure e indici antropometrici essenziali quali circonferenza
della vita, calcolo dell’Indice di
Massa Corporea (IMC) e stima del
decremento ponderale non intenzionale.
Nel paziente non deambulante
sono indicate le misurazioni
antropometriche di: peso corporeo, se disponibili attrezzature
speciali, e semiampiezza delle
braccia, in luogo dell’altezza, per
il calcolo dell’IMC o, in alternativa, la circonferenza del braccio.
264
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Tabella 11:V – Criteri per la valutazione della malnutrizione proteico-energetica (PEM)
BMI (kg/m2) o, in alternativa,
circonferenza braccio (cm)
decremento ponderale non intenzionale (%)
albuminemia (g/dL)
conta linfocitaria (no./mm3)
assunzione dietetica (copertura % del fabbisogno)
gravità della patologia o presenza di patologie associate
sospetto di PEM/PEM lieve
≥20
≥23,5
>5% in 3-6 mesi
3,0-3,5
1·200-1·500
100%-75%
no
PEM
<20
<23,5
>5% in 2 mesi
<3,0
<1·200
<75%
sì
supporto
nutrizionale
monitoraggio
bisettimanale
La circonferenza vita è la misura antropometrica più pratica per la valutazione della quantità
di grasso viscerale direttamente correlato, anche nei soggetti normopeso, ad un aumentato
rischio di malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2. I valori di attenzione sono:118,119
• rischio moderato: >94 cm nell’uomo; >80 cm nella donna
• rischio elevato: >102 cm nell’uomo; >88 cm nella donna
Per i pazienti non deambulanti, confinati nel letto o incapaci di mantenere la stazione eretta:
peso, semiampiezza delle braccia, circonferenza del braccio. Per i pazienti non deambulanti la
misurazione del peso richiede la disponibilità di attrezzature specifiche (sedie e letti a bilancia); la misurazione della semiampiezza della braccia permette una stima dell’altezza (secondo
apposite tabelle di corrispondenza fra i due dati) mentre la circonferenza del braccio può essere utilizzata, in alternativa al BMI, per evidenziare una situazione di malnutrizione per difetto
(<23,5 cm) o per eccesso (>32 cm).
11.5.1.2
Raccomandazione 11.15 g
Grado D
Nel protocollo di valutazione dello
stato di nutrizione sono indicate
la valutazione dell’assunzione
dietetica e la valutazione clinica;
il dosaggio dell’albumina e la
conta dei linfociti sono indicati
quali valutazioni biochimiche
essenziali.
Indici biochimici
Gli indici biochimici di più semplice determinazione ed interpretazione sono l’albuminemia e
la conta linfocitaria. L’ipoalbuminemia è un fattore predittivo di una peggiore prognosi nei
pazienti affetti da ictus.93,120,121 I riferimenti diagnostici per albuminemia e conta linfocitaria
sono riportati in Tabella 11:V.
11.5.1.3
Valutazione dell’assunzione dietetica
La valutazione dell’assunzione dietetica è indicata per la valutazione ed il monitoraggio dello
stato nutrizionale, nonché per l’impostazione di un adeguato supporto nutrizionale.
La prima valutazione dell’assunzione dietetica va effettuata all’ingresso in ospedale o nella
struttura riabilitativa ottenendo informazioni dai familiari o, qualora possibile, direttamente
dal malato sui consumi dei 5-7 giorni precedenti; a tale scopo si utilizza l’inchiesta alimentare
per ricordo (Recall) o questionari semplificati che mirano a valutare i consumi alimentari e le
loro variazioni nel periodo che precede l’osservazione.
Le successive valutazioni si effettuano mediante la determinazione diretta di quanto consumato dal malato (p. es. con la valutazione degli scarti); le valutazioni dell’assunzione dietetica
vanno eseguite per almeno un giorno a settimana e ripetute nei due giorni consecutivi se l’assunzione dietetica è <75% dei fabbisogni stimati. Misurazioni ripetute <75% impongono
variazioni della strategia nutrizionale adottata.
Valutazione clinica
La valutazione clinica deve essere effettuata per evidenziare la presenza di ulteriori patologie
e/o trattamenti terapeutici che possano determinare un incremento dei fabbisogni in energia
e nutrienti o richiedere modifiche della composizione nutrizionale della terapia dietetica.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
11.5.2
Il trattamento nutrizionale nella fase acuta
Il supporto nutrizionale è parte integrante del trattamento dell’ictus cerebrale. La mancanza
di un adeguato supporto nutrizionale determina il rapido instaurarsi di un deficit calorico-proteico che ha conseguenze drammatiche sull’evoluzione del quadro clinico.122
Obiettivi del supporto nutrizionale sono la prevenzione o il trattamento della malnutrizione
proteico-energetica, di squilibri idro-elettrolitici o di micronutrienti.
L’istituzione del supporto nutrizionale si articola nelle seguenti fasi:
a. valutazione dello stato di nutrizione (vedi § 11.5.1);
b. valutazione dei fabbisogni di energia e nutrienti;
c. timing e scelta delle modalità di somministrazione della nutrizione;
d. prevenzione e gestione delle complicanze della nutrizione enterale.
11.5.2.1
265
Sintesi 11-8
Obiettivi del supporto nutrizionale
in fase acuta sono la prevenzione
o il trattamento della malnutrizione proteico-energetica, di squilibri idro-elettrolitici o di carenze
selettive (minerali, vitamine,
antiossidanti, ecc.).
Valutazione dei fabbisogni di energia e nutrienti
Il calcolo del fabbisogno energetico dovrebbe teoricamente essere effettuato mediante la calorimetria indiretta che valuta la spesa energetica sulla base del consumo d’ossigeno e della produzione di anidride carbonica. Più semplicemente il fabbisogno energetico si calcola con il
metodo fattoriale: il metabolismo di base (MB), predetto con le equazioni riportate in Tabella
11:VI, va moltiplicato per un fattore che considera o il livello di attività fisica o particolari condizione cliniche.123
Tabella 11:VI – Equazioni di predizione del metabolismo di base (MB; kcal/die) a partire dal peso corporeo (Pc)➀
FAO/WHO/UNU 1985;124 Schofield et al 1985 123
età (anni)
30-59
60-74
≥75
uomini
11,6 × Pc + 879
11,9 × Pc + 700
8,4 × Pc + 819
donne
8,7 × Pc + 829
9,2 × Pc + 688
9,8 × Pc + 624
Sintesi 11-9
Il fabbisogno di energia si calcola
applicando il metodo fattoriale, e
cioè misurando o stimando il
metabolismo basale e correggendo tale valore per il livello di attività fisica (LAF) o per i fattori di
malattia, espressi in multipli del
metabolismo basale: sono in
genere indicati valori compresi
tra 1,2 e 1,5 volte il metabolismo
basale.
➀ peso corporeo in kg misurato (se normopeso) o desiderabile
(in caso di obesità o magrezza)
Allo stato attuale non è stato identificato alcun fattore di correzione specifico per le patologie
neurologiche:122
• paziente allettato
=
1,2
• paziente non allettato
=
1,3
• trauma chirurgico minore =
1,2
• trauma scheletrico
=
1,35
• sepsi grave
=
1,6
• ustione estesa
=
2,1.
L’apporto proteico consigliato nei casi non complicati è di circa 1 g/kg di peso corporeo misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o magrezza) e fino 1,2-1,5 g/kg al giorno in presenza di condizioni ipercataboliche o piaghe da decubito.112,124,125 Se il soggetto è gravemente malnutrito le stime del fabbisogno energetico e proteico vanno personalizzate.
Una volta coperti i fabbisogni di proteine, la proporzione dei carboidrati e dei lipidi può variare, rispettivamente, tra il 50% e il 65% dell’energia totale per i primi e tra il 20% e il 30%
dell’energia totale per i secondi.112
I fabbisogni di minerali e vitamine del soggetto in fase post ictus normonutrito sono simili a
quelli della popolazione generale di età, sesso e peso corporeo similare, mentre nel caso di soggetto affetto da malnutrizione i fabbisogni vanno stimati in modo individuale.125 Nella fase
immediatamente post-evento il percorso nutrizionale da intraprendere va attivato in modo differente a seconda della capacità di deglutizione e del sensorio.
Per quanto riguarda l’apporto idrico, va eseguito un monitoraggio quotidiano per valutare le
esigenze del singolo soggetto mediante bilancio delle perdite sensibili (urine e feci) e insensibili (cute e respiro).
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 11-10
Il fabbisogno minimo di proteine
è di circa 1 g/kg di peso corporeo
misurato (se normopeso) o desiderabile (in caso di obesità o
magrezza) e fino 1,2~1,5 g/kg al
giorno in presenza di condizioni
ipercataboliche o piaghe da
decubito. Il timing e la scelta
della modalità di somministrazione della nutrizione sono condizionati innanzitutto dalle condizioni
cliniche del paziente.
266
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
11.5.2.2
Raccomandazione 11.16 a
Grado B
Nei pazienti in cui è possibile l’alimentazione per os, non è indicata l’utilizzazione routinaria di
integratori dietetici, in quanto non
associata ad un miglioramento
della prognosi. L’utilizzazione di
integratori dietetici deve essere
guidata dai risultati della valutazione dello stato nutrizionale.
Raccomandazione 11.16 b
Grado D
Il programma nutrizionale del
soggetto affetto da ictus in fase
acuta prevede le seguenti opzioni:
• soggetti non disfagici normonutriti: alimentazione per os
seguendo il profilo nutrizionale delle Linee Guida per una
Sana Alimentazione;
• soggetti non disfagici con
malnutrizione proteico-energetica: alimentazione per os
con l’aggiunta di integratori
dietetici per os;
• soggetti con disfagia: adattamento progressivo della dieta
alla funzionalità deglutitoria e
alla capacità di preparazione
del bolo o nutrizione enterale,
eventualmente integrate.
Raccomandazione 11.17 a
Grado B
Nel soggetto affetto da ictus in
fase acuta la terapia nutrizionale
artificiale di scelta è rappresentata dalla nutrizione enterale. È
indicato iniziare il trattamento di
nutrizione enterale precocemente
e comunque non oltre 5-7 giorni
nei pazienti normonutriti e non
oltre le 24-72 ore nei pazienti
malnutriti.
Raccomandazione 11.17 b
Grado D
La nutrizione parenterale è indicata esclusivamente laddove la
via enterale non sia realizzabile o
sia controindicata o quale supplementazione alla nutrizione
enterale qualora quest’ultima non
consenta di ottenere un’adeguata
somministrazione di nutrienti.
Timing e scelta delle modalità di somministrazione della nutrizione
Il timing e la scelta della modalità di somministrazione della nutrizione sono condizionati
innanzitutto dalle condizioni cliniche del paziente. Come discusso in dettaglio nel § 11.5.3,
molti pazienti con patologie cerebrovascolari, ed in particolare quelli che necessitano di trattamento intensivo, non sono in grado di alimentarsi per via orale, anche in considerazione dell’elevato rischio di aspirazione polmonare, particolarmente frequente nei pazienti con disturbi della deglutizione.
Soggetto non disfagico
Nei soggetti con stato nutrizionale normale è indicata l’alimentazione per os con eventuale
assistenza, se presenti altre alterazioni funzionali (paresi, ecc.). I risultati del FOOD Trial
hanno evidenziato che la somministrazione routinaria di integratori dietetici non si associa, nel
paziente affetto da ictus, ad un miglioramento della prognosi e ad un decremento della mortalità a sei mesi,126 tuttavia i dati a disposizione non consentono di effettuare un’analisi separata nei soggetti classificati come malnutriti e non sono confermati in altri studi.93,127 Pertanto,
allo stato attuale, in presenza di malnutrizione proteico-energetica è indicata l’aggiunta di integratori dietetici per os. Tali integratori dietetici vanno prescritti e somministrati con modalità
chiare e precise alla stregua di altre terapie, per evitare che non vengano in realtà assunti.110
Soggetto disfagico
L’impostazione del trattamento nutrizionale del paziente disfagico richiede uno studio preliminare della deglutizione, come indicato nel § 11.5.3,128,129 e va pianificata in relazione al
rischio di broncopolmonite ab ingestis, al grado di autonomia e allo stato nutrizionale del
paziente.
Il programma nutrizionale prevede la dieta progressiva per disfagia o la nutrizione artificiale.111,130,131 Se il tipo ed il grado di disfagia presentato dal soggetto lo consentono, si può programmare una dieta con alimenti e bevande a densità modificata; per ulteriori approfondimenti sulle caratteristiche della terapia dietetica in corso di disfagia, si rimanda al § 14.9.2. In
caso di disfagia completa è indicata la nutrizione artificiale.110,124,125 Nel paziente neurologico
la terapia nutrizionale artificiale di scelta è rappresentata dalla nutrizione enterale, poiché l’apparato gastroenterico è abitualmente integro; l’orientamento verso la nutrizione enterale si
basa su quanto le linee guida per la nutrizione artificiale delle principali società scientifiche
internazionali e nazionali sostengono da tempo.125,132
Una metanalisi condotta dalla Cochrane Collaboration sull’efficacia degli interventi di nutrizione artificiale in corso di disfagia conclude che non sono presenti studi sufficienti per porre
raccomandazioni conclusive né sul periodo ottimale in cui iniziare il trattamento, né sulle
modalità di somministrazione.133,134 Più di recente i risultati del FOOD Trial evidenziano un
decremento non significativo della mortalità (riduzione assoluta del rischio pari a 5,8%; IC95
–0,8% a 12,5%; P=0,09) e dell’endpoint combinato morte/esito sfavorevole pari a 1,2% (IC95
–4,2% a 6,6%; P=0,7) nei pazienti sottoposti a nutrizione enterale precoce;135 sulla base di tale
evidenza, ragionevolmente si può indicare di iniziare precocemente la nutrizione enterale
quando necessario e comunque di non superare, nel soggetto normonutrito, i 5-7 giorni di
attesa 135 e, nel soggetto con malnutrizione proteico-energetica, i 2-3 giorni.110,125
Nutrizione enterale del paziente in fase acuta post-ictus
È ormai dimostrato che la via enterale è da preferirsi rispetto a quella parenterale: essa favorisce il trofismo della mucosa intestinale, consente il mantenimento della sua funzione immunitaria e di barriera riducendo la traslocazione batterica, ha una incidenza minore di complicanze infettive e metaboliche ed è meno costosa.125
Se il soggetto non presenta altre patologie concomitanti (diabete, insufficienza renale, epatica)
sono utilizzabili le miscele polimeriche presenti in commercio dotate di tutti i macro e micronutrienti necessari prive di lattosio e glutine, a basso o normale residuo, a concentrazione calorica differente da 0,5 kcal per mL a 2 kcal per mL. L’impiego di tali miscele sterili e liquide,
oltre a garantire in modo noto i fabbisogni nutrizionali, riduce in modo rilevante le complicanze gastrointestinali legate a contaminazioni batteriche e quelle meccaniche a livello delle
sonde nasogastriche, frequenti con l’uso di miscele allestite in modo artigianale.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
11.5.2.3
267
Prevenzione e gestione delle complicanze della nutrizione enterale
Nei soggetti con patologie cerebrovascolari e nei soggetti con postumi di ictus il rischio di
aspirazione è consistente. Peraltro, il rischio di aspirazione sussiste anche in caso di svuotamento gastrico ritardato, particolarmente nei cerebrolesi più gravi.136,137
È necessario valutare la presenza di reflusso gastroesofageo e la somministrazione della nutrizione enterale va effettuata con la posizione del tronco inclinata di 30°, valutando periodicamente la presenza e l’entità del ristagno gastrico che non deve superare 150-200 mL.125
Raccomandazione 11.17 c
Grado B
Nei pazienti che non deglutiscono, è indicato attendere uno o
due giorni prima di posizionare il
sondino, idratando il paziente per
via parenterale.
La somministrazione della nutrizione enterale tramite sondino naso-gastrico e mediante l’uso
di enteropompe è una buona scelta finalizzata ad un supporto nutrizionale a breve termine in
pazienti con grave disfagia da ictus. Infatti, in almeno il 50% dei casi la disfagia migliora entro
una settimana.138 L’utilizzo di enteropompe e di programmi di induzione graduali riducono in
modo consistente la probabilità di comparsa di complicanze gastroenteriche. Negli anziani vi
è spesso ridotta tolleranza del sondino naso-gastrico con conseguente auto-estubazione; il
riposizionamento del sondino è stressante e necessita del supporto radiografico per valutarne
il corretto posizionamento. La rimozione involontaria comporta il rischio di aspirazione polmonare.139,140 Nel paziente disfagico post-ictus il raggiungimento della quota calorica entro 34 giorni è un obiettivo clinicamente ipotizzabile.
Sintesi 11-11
In caso di reflusso gastroesofageo accertato, è indicato considerare dall’inizio la somministrazione distalmente al legamento di Treitz o mediante posizionamento in digiuno della sonda
nasoenterica con manovra endoscopica o tramite digiunostomia.
Sintesi 11-12
Le principali complicanze meccaniche (occlusione, dislocazione, decubiti sonde nutrizionali)
e gastroenteriche (nausea, vomito, diarrea) della nutrizione enterale sono prevenibili mediante l’uso delle seguenti procedure:125,141
• complicanze meccaniche:
• lavaggio regolare della sonda;
• utilizzo della enteropompa;
• utilizzo di sonde di materiale e calibro adeguato;
• complicanze gastroenteriche:
• protocolli di induzione adeguata;
• soluzioni nutrizionali idonee;
• manipolazioni con tecniche di asepsi di soluzioni nutrizionali e deflussori:
• uso di enteropompe.
La PEG (percutaneous endoscopic gastrostomy), è un’alternativa in pazienti che necessitano di
nutrizione enterale prolungata. Nel 95% dei casi vi è successo di inserzione, eccellente tolleranza da parte del paziente, bassa morbosità (6-16%) e mortalità (0-1%).142,143
sondino,133,144,145
È un metodo più invasivo rispetto alla alimentazione con
e possibili complicanze sono: perforazione gastrica, emorragia gastrica, fistola gastro-colica, infezione sulla zona
dello stoma ed aspirazione polmonare. I risultati di uno studio randomizzato controllato, che
conclude affermando che nel medio-lungo periodo la PEG si è dimostrata essere più sicura ed
efficace del trattamento con nutrizione enterale post ictus,145 non sono confermati dal più
recente FOOD Trial, che evidenzia un possibile eccesso di mortalità (aumento assoluto di
rischio pari a 1,0%; IC95 –10,0% a +11,9%; P=0,9) e un aumento del rischio combinato di
morte ed esito sfavorevole pari al 7,8% (IC95 0,0% a 15,5%; P=0,05) nei pazienti con inserzione precoce di PEG.135
Pertanto, allo stato attuale, la messa in posizione di PEG va presa in considerazione nei soggetti con disfagia persistente post ictus entro 30 giorni, e se è ipotizzabile una durata superiore a due mesi.
11.5.3
Disfagia
La disfagia è una possibile conseguenza dell’ictus con ricadute negative sia sulla gestione della
fase acuta, sia sui tempi di degenza che sull’esito (morbosità e mortalità).146
La disfagia è presente nei pazienti con ictus in misura variabile fra il 13% (lesione unilaterale)
e il 71% (lesioni bilaterali o del tronco).138,147-152
La deglutizione sembra essere mediata da una serie neurale che interessa entrambi gli emisferi cerebrali con input discendenti verso il midollo.151
stesura 15 marzo 2005
La nutrizione enterale tramite
sondino naso-gastrico e con l’ausilio di pompe peristaltiche è ritenuta più appropriata rispetto alla
nutrizione parenterale per il supporto nutrizionale a breve termine
in pazienti con grave disfagia da
ictus; l’uso del sondino nasogastrico può essere problematico, specie nei pazienti anziani.
Il posizionamento del sondino in
sede gastrica può non abolire il
rischio di inalazione in caso di
svuotamento gastrico ritardato,
particolarmente nei pazienti con
lesioni cerebrali più gravi. In questi casi il rischio di inalazione si
riduce se il bolo viene immesso
lontano dal piloro, oltre l’angolo
di Treitz.
Raccomandazione 11.18
Grado B
Nei soggetti con disfagia persistente post ictus e se è ipotizzabile una durata superiore a due
mesi, entro 30 giorni è indicato
considerare il ricorso alla PEG
(gastrostomia percutanea endoscopica), da praticarsi non prima
di 4 settimane dall’evento.
Sintesi 11-13
La disfagia è una conseguenza
frequente dell’ictus con ricadute
negative sull’esito clinico e funzionale, sulla mortalità e sui
tempi di degenza. Oltre alla malnutrizione, possibili complicanze
determinate dalla disfagia sono:
l’aspirazione di materiale estraneo con conseguente broncopneumopatia ab ingestis; la disidratazione e l’emoconcentrazione
con effetti secondari negativi
sulla perfusione cerebrale e sulla
funzione renale.
268
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
La disfagia è la conseguenza del danno a carico delle vie cortico-bulbari che connettono il centro di controllo della deglutizione (localizzato nella regione corticale frontale inferiore bilateralmente) con i nuclei bulbari che mediano la via finale del meccanismo della deglutizione.
Daniels et al.153 hanno proposto l’importanza del ruolo dell’insula anteriore nel meccanismo
della deglutizione, poichè questa era la sede di lesione più comune nei pazienti con ictus e
disfagia esaminati. L’insula anteriore ha collegamenti con la corteccia motoria primaria e supplementare, il nucleo mediale ventroposteriore del talamo ed il nucleo del tratto solitario,
strutture rilevanti nella mediazione dei meccanismi di deglutizione orofaringea. Di conseguenza, le lesioni dell’insula anteriore possono produrre disfagia, interrompendo questi collegamenti.
La compromissione della motilità del faringe determina disfagia per la concomitante ipomobilità della base linguale, per la ritardata e/o incompleta chiusura dello sfintere laringeo e per
la disfunzione dello sfintere esofageo superiore con conseguente significativo aumento del
rischio di aspirazione.138,154-156
Per quanto i meccanismi ed i substrati neuronali che regolano la coordinazione linguale
durante la deglutizione non siano esattamente definiti, l’incoordinazione della lingua durante
la deglutizione nei disfagici non sembra essere associata ad aprassia bucco-linguale, a disturbi
del linguaggio od aprassia degli arti. La gravità della compromissione della funzione deglutitoria dipende naturalmente dalla sede dell’ictus. I risultati di uno studio recente indicano tuttavia che la gravità della disfagia dopo un ictus ischemico emisferico unilaterale è in relazione
alle dimensioni dell’area di rappresentazione faringea a livello dell’area corticale motoria dell’emisfero non interessato dal danno ischemico e pertanto vicariante.157
Tutti i tipi di ictus possono causare disfagia. In oltre il 20% dei casi, l’infarto lacunare si associa a disfagia. L’ictus a carico del tronco encefalico è generalmente associato a disfagia più
grave e più frequente rispetto alle lesioni emisferiche.158,159
Le lesioni sottocorticali possono causare disconnessione fra le regioni corticali implicate nel
controllo orale e nella coordinazione della deglutizione, producendo cosi un disturbo della
deglutizione.160
Nell’infarto nel territorio della ACM di destra è stata evidenziata una maggiore durata di stazionamento faringeo degli alimenti, una più alta incidenza di deviazione laringea con conseguente ingresso di materiale nel vestibolo laringeo ed una più frequente aspirazione di liquidi
sotto le corde vocali vere. Anche per quanto riguarda l’ictus emisferico la gravità e le caratteristiche della disfagia variano in base alla sede della lesione, secondo lo schema di Tabella
11:VII.
Recentemente è stato dimostrato che la muscolatura per la deglutizione è somatotopicamente
rappresentata nella corteccia motoria e pre-motoria di entrambi gli emisferi, ma è stata dimostrata anche una asimmetria emisferica individuale, indipendente dalla dominanza emisferica.152
La topografia dei muscoli miloidei è più laterale, mentre quella per il faringe e l’esofago appare più rostromediale. I pazienti con più pronunciata disfagia sembrano essere quelli con danno
dell’emisfero in cui è localizzato il centro dominante motore per la deglutizione.
La prognosi a breve termine della disfagia è generalmente considerata favorevole. Di norma il
tempo medio di recupero è una settimana, (il 50% di tali pazienti presenta una regressione del
Tabella 11:VII – Alterazioni della deglutizione per tipo di ictus
tipo di ictus
ictus emisferico
tipo di lesione
monolaterale sinistro
gravità
++-
ictus emisferico
monolaterale destro
++-
ictus emisferico
lesioni corticali bilaterali
+++
stesura 15 marzo 2005
tipo di alterazione
FASE ORALE DELLA DEGLUTIZIONE
Incoordinazione labio-glosso-mandibolare,
disprassia orale,
aumento tempo di transito orale del bolo.
FASE FARINGEA DELLA DEGLUTIZIONE
Ridotta escursione verso l’alto della laringe,
ristagno del bolo verso l’alto,
rischio di inalazione (soprattutto per i liquidi)
TUTTE
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
269
sintomo dopo 7 giorni), anche se il recupero è in funzione delle condizioni generali e dell’età
del paziente.146,161
Anche la prognosi a distanza (6 mesi) è generalmente buona. In una coorte di 128 pazienti
nell’87% dei casi i pazienti tornavano alla dieta pre-ictus seppur durante il periodo di osservazione di 6 mesi circa il 20% aveva sofferto di infezioni polmonari. Un controllo tardivo con
videofluoroscopia in pazienti con significativi problemi di disfagia all’esordio evidenzia una
disfunzione delle false corde vocali nel 50% dei casi ed aspirazione nel 20%-25%. Il riflesso di
deglutizione assente o ritardato è indicativo di rischio maggiore di infezioni polmonari nei 6
mesi successivi all’evento cerebrale, cosi come di difficoltà al ritorno ad una dieta normale per
il transito orale ritardato. L’evidenza di transito orale ritardato e/o la presenza di liquido di contrasto nel vestibolo laringeo, l’età superiore a 70 anni ed il sesso maschile, predicono una più
difficoltosa ripresa deglutitoria ed il maggior rischio di polmoniti da aspirazione a 6 mesi.146
La malnutrizione dopo la prima settimana di ospedalizzazione predice un esito clinico negativo ed è correlata a una maggiore frequenza di infezioni urinarie e polmonari. La disfagia
aumenta di 2,6 volte il rischio di esito negativo.162
A trenta giorni dal ricovero per ictus, la malnutrizione ingravescente è fortemente correlata
alla disfagia.96,163
La disfagia determina, in corso di ictus, disabilità funzionale ed aumento della mortalità.147,164,165
La valutazione della deglutizione, attraverso le varie fasi: orale, velofaringea e faringea,
dovrebbe essere attuata in ogni paziente con ictus.
Sebbene la valutazione con videofluoroscopia possa essere necessaria in una percentuale intorno al 20% dei pazienti, l’approccio con il test dell’acqua è molto utile come metodo di screening ed è attualmente il più usato.
La videofluoroscopia e il videocounter timer sono stati usati per registrare le caratteristiche di
motilità orofaringea durante la deglutizione.149,150,166
Numerosi studi associano significativamente l’evidenza videofluoroscopica di aspirazione di
bario al rischio di sviluppare complicanze polmonari.167-169
L’aspirazione silente rappresenta un grave rischio per i pazienti con ictus acuto. In uno studio
su 114 pazienti con ictus, l’aspirazione silente, evidenziata alla videofluoroscopia, aumentava
di 5,5 volte il rischio relativo di pneumopatie.170
Il tempo di transito faringeo correla con il rischio di infezioni broncopolmonari: il tempo di
transito di meno di 2 sec si traduce in rischio lieve o assente; da 2 a 5 sec in rischio moderato
(40%); maggiore di 5 sec. in rischio elevato (90%).168
Il test al bario modificato per l’identificazione della disfagia (TBM) rivela l’aspirazione dei
liquidi e dei semisolidi. Nei pazienti clinicamente disfagici dopo un ictus, il TBM può distinguere i potenziali soggetti con rischio di aspirazione. Tramite il TBM può essere inoltre definito chiaramente il rischio di aspirazione di alimenti di varia consistenza, guidando così la
definizione della dieta più appropriata.171
La prova con 99mTc è particolarmente utile nella gestione della disfagia asintomatica in pazienti anziani con ictus. Alcuni Autori hanno sperimentato questa tecnica di valutazione della
disfagia in pazienti affetti da ictus per ridurre il rischio di polmonite da aspirazione;172 è stato
somministrato 1 mL di tecnezio (99mTc) al paziente durante il sonno attraverso un catetere
nasale disposto nella bocca e verificando l’eventuale aspirazione a distanza di 9 ore.
Tuttavia, tutti questi test sono difficilmente eseguibili al di fuori di centri altamente specializzati. Peraltro, il rischio di disfagia è definibile in maniera sufficientemente accurata con una
valutazione clinica semplice come il Bedside Swallowing Assessment (BSA) che tiene in considerazione parametri come il livello di coscienza e segni clinici di potenziale disfagia come la
presenza di disfonia, disartria, difficoltà nell’espettorare o nell’eliminare le secrezioni e/o il
cibo, ridotto gag reflex.149,155,170,173 Quindi, la capacità di deglutizione si può valutare con un
semplice test. La prima fase prevede che il paziente tenti di deglutire 10 mL di acqua in tre
tempi diversi. Se il paziente riesce a deglutire i 10 mL, dare 50 mL di acqua in un bicchiere.
La difficoltà nel bere da 10 a 50 mL di acqua o la comparsa di colpi di tosse (più di una volta)
in due circostanze diverse permettono di valutare l’eventuale disfagia. Va notato che sebbene
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 11.19
Grado D
Un monitoraggio standardizzato
della funzione deglutitoria è indicato al fine di prevenire le complicanze secondarie alla disfagia.
Raccomandazione 11.20
Grado D
Una valutazione clinica standardizzata del rischio di disfagia
(usando il BSA: Bedside
Swallowing Assessment) e un
test semplice, quale il test della
deglutizione di acqua, sono indicati in tutti i pazienti con ictus
acuto. In centri specializzati possono essere utilizzati approcci più
sofisticati quali un esame condotto dal logopedista o dal foniatra o
la videofluoroscopia.
270
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
il 20% dei pazienti con aspirazione alla videofluoroscopia non abbia una disfagia evidenziabile con il test della deglutizione di acqua, tuttavia questo ha una soddisfacente predittività
nella prognosi dei pazienti con ictus ischemico.174,175 Infatti, l’insorgenza di complicanze infettive, la mortalità, la disabilità residua e la durata della degenza sono risultate significativamente
correlate alla presenza di disfagia, ma non al riscontro di aspirazione evidenziata con la videofluoroscopia.163 L’utilità della videofluoroscopia durante la fase acuta dell’ictus è pertanto
limitata e non è quindi giustificato il suo uso routinario.176 Se c’è dunque qualche segno di
disfagia al test della deglutizione dell’acqua non iniziare l’alimentazione per os.
Un programma di trattamento riabilitativo precoce della deglutizione nei pazienti con ictus e
disfagia è sicuramente indicato.177
Tali valutazioni dovrebbero essere ripetute nell’arco della prima settimana mediante lo schema di Tabella 11:VIII.
Tabella 11:VIII – Bedside Swallowing Assessment (BSA)
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
FATTORI
livello di coscienza
secrezioni bronchiali
disfonia
grave disartria
gag reflex diminuito o abolito
movimenti palato
tosse volontaria
funzioni deglutitorie
sbavamento di acqua
movimenti laringei
tosse all’atto di deglutire
voce gorgogliante
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
basso rischio
vigile
no
no
no
no
simmetrici
normale
normale o lieve disfagia
no/minimo
sì
no/qualche volta
no
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
alto rischio
sonnolenza, stupor o coma
sì
sì
sì
sì
asimmetria, paralisi
assente per una settimana
disfagia franca
franco
no
2 o più
sì
I pazienti in grado di bere non più di 5-10 mL di acqua con un sorso senza manifestare disfagia, possono iniziare con una dieta semisolida usando tecniche compensatorie di deglutizione.
È importante un supporto medico, infermieristico, dietologico e di logopedisti. Pazienti capaci di deglutire con un sorso 10 mL di acqua, tollerano una alimentazione orale se si controlla
la struttura della dieta (semisolida), la dimensione del bolo e la postura durante l’alimentazione. La manipolazione della fluidità degli alimenti usando le misure obiettive di un viscosimetro può migliorare la gestione dietetica del paziente disfagico.178
Utili accorgimenti per il compenso di lievi deficit deglutitori sono i seguenti:173,179-181
1. assunzione di una posizione eretta del tronco durante l’alimentazione;
2. assunzione di una posizione di capo e collo appoggiata;
3. utilizzo di alimenti semisolidi;
4. utilizzo di dimensione del bolo inferiore ad un cucchiaino da tè;
5. restrizione di cibi liquidi;
6. usare una tazza o un cucchiaino, e non una cannuccia per i liquidi;
7. tossire delicatamente dopo ogni deglutizione;
8. deglutire più volte, anche per piccoli boli, per svuotare completamente il faringe.
Le indicazioni per la nutrizione artificiale e la terapia dietetica del paziente disfagico sono
discusse nei paragrafi 11.5.2.2 e 14.8.2.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
11.6
271
GLICEMIA
All’esordio dell’ictus circa il 10%-20% dei pazienti con livelli normali di emoglobina glicosilata presenta valori iperglicemici,182,183 quale risposta ormonale precoce all’ischemia cerebrale.184,185 Inoltre dall’8% al 20% dei pazienti con ictus ha una storia di diabete mellito,186,187 ed
un ulteriore 5%-28% presenta un diabete non precedentemente diagnosticato o una ridotta
tolleranza al glucosio.188,189 Globalmente l’iperglicemia all’esordio dell’ictus è presente in una
percentuale, variabile a seconda delle definizioni, tra il 20% ed il 50% dei casi.186,187,190
Non è stata ancora definita una correlazione univoca tra iperglicemia in fase acuta e peggioramento dell’esito dell’ictus. In passato la maggioranza degli studi, sebbene non tutti,187,191 ha
riportato una tale relazione in termini sia di mortalità sia di recupero neurologico,192-197 verosimilmente legata all’incremento e accumulo di lattato nell’area ischemica.198 In particolare
nello studio TOAST i valori glicemici sono risultati fattori predittivi di peggiore esito clinico
nei pazienti colpiti da ictus ischemico non lacunare, mentre non sembravano avere rilevanza
negli ictus minori, nè essere associati a maggior rischio di trasformazione emorragica dell’infarto cerebrale.193
Sintesi 11-14
L’iperglicemia è associata ad una
maggiore gravità della lesione
ischemica cerebrale e ad una
aumentata morbosità e mortalità
sia in condizioni sperimentali che
nell’uomo. Nel paziente diabetico
lo scompenso del metabolismo
glucidico rappresenta una grave
complicanza. L’ipoglicemia può
essere un fattore aggravante del
danno ischemico cerebrale.
In caso di ischemia cerebrale focale, la presenza di un diabete preesistente è risultata associata
ad un maggior rischio di esito sfavorevole, in termini di morbosità e mortalità, verosimilmente
legato al danno arteriolare e capillare indotto dall’iperglicemia cronica (microangiopatia).199
Tuttavia non vi sono ancora dati conclusivi circa l’efficacia del trattamento dell’iperglicemia
nell’ictus acuto sul miglioramento dell’esito, né sul valore soglia oltre cui intervenire.
L’iperglicemia dovrebbe essere corretta con terapia insulinica,200 il valore soglia di glicemia
consigliato ed adottato in alcuni centri ed indicato dalle linee guida europee è >200 mg/dL o
10 mmol/L, causando una certa ambiguità, dato che 10 mmol/L corrispondono a 180
mg/dL,16,201 mentre le linee guida americane indicano la correzione dell’iperglicemia con
obiettivo di mantenere valori <300 mg/dL.202 Tuttavia, valori soglia più bassi (150 mg/dL)
sono stati proposti recentemente sulla base dei dati di studi sia clinici che sperimentali sulla
relazione tra i valori di glicemia in fase acuta e la dimensione dell’infarto cerebrale o l’esito clinico.203 La somministrazione per via endovenosa periferica di una soluzione di destrosio al
10% con 16 U di insulina rapida e 20 mmol di KCl per ogni 500 mL di soluzione, alla velocità di 100 mL/h, per 24 ore, che rappresenta il protocollo usato nello studio randomizzato e
controllato Glucose Insulin in Stroke Trial (GIST),194,204 è risultata efficace e sicura riducendo,
in pazienti con ictus acuto, l’iperglicemia entro valori normali senza rischio significativo di ipoglicemia, eventi avversi cardiovascolari o aumento della mortalità a 4 settimane. Da ricordare
tuttavia che la somministrazione di insulina in infusione richiede un attento monitoraggio della
glicemia (almeno ogni 2 ore) per un pronto aggiustamento della terapia. Una possibile alternativa consiste nella somministrazione di piccole dosi di insulina endovena.16
In caso di ipoglicemia è sempre indicata la pronta correzione con l’infusione di destrosio in
bolo (soluzioni al 10% per via venosa periferica, o al 20% e 33% per via venosa centrale).16
In presenza di malnutrizione o di abuso di alcool è consigliabile associare tiamina 100 mg.
11.7
DISFUNZIONI
Raccomandazione 11.21
Grado D
In pazienti con ictus acuto e iperglicemia >200 mg/dL è indicata
la correzione con terapia insulinica.
Raccomandazione 11.22
Grado D
In pazienti con ictus acuto e ipoglicemia è indicata la pronta correzione tramite infusione di
destrosio in bolo e.v., associando
tiamina 100 mg in caso di malnutrizione o di abuso di alcool.
VESCICALI NELL’ICTUS ACUTO
L’ictus cerebrale si accompagna frequentemente a disfunzioni vescicali, l’entità e la natura
delle quali sono conseguenza della sede e dell’entità del danno cerebrale. I disturbi più frequentemente riscontrati sono: incontinenza urinaria, ritenzione urinaria, urgenza minzionale.
Con opportuni accorgimenti tali disfunzioni possono essere controllate.205
L’incontinenza urinaria, nella fase acuta dell’ictus, è stata ripetutamente riportata come indicatore indipendente di rischio di morte, di disabilità grave, e della destinazione (istituzionalizzazione o meno) del paziente dopo la dimissione.206
Tre sono i meccanismi principali responsabili di incontinenza urinaria dopo un ictus:
1. danno a livello dei centri e delle vie nervose responsabili del meccanismo della minzione;
tale danno esita in incontinenza e/o urgenza minzionale;
2. deficit cognitivo e/o di linguaggio, con funzione vescicale integra ma incontinenza da mancato controllo superiore;
3. concomitante neuropatia (p.es. diabetica ) o effetto di farmaci che provocano iporeflessia
vescicale con conseguente incontinenza.
stesura 15 marzo 2005
Sintesi 11-15
L’ictus cerebrale si accompagna
frequentemente a disfunzioni
vescicali la cui entità e natura
sono correlate alla sede ed entità
del danno cerebrale. La presenza
di un’incontinenza urinaria nella
fase acuta dell’ictus è un fattore
prognostico indipendente di morte
e disabilità residua grave. La
ritenzione e il residuo post-minzionale si associano frequentemente a infezioni del tratto urinario, a loro volta causa di ulteriori
complicazioni del quadro clinico.
272
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
Indagini urodinamiche possono indirizzare alla diagnosi, necessaria per un corretto approccio
terapeutico.207
Raccomandazione 11.23
Grado D
Il posizionamento a dimora di un
catetere vescicale è indicato solo
nei pazienti con grave disfunzione vescicale.
Raccomandazione 11.24
Grado D
Nei pazienti senza apparenti
disfunzioni vescicali è indicato
controllare periodicamente l’esistenza di residuo post-minzionale
e qualora se ne verifichi la presenza praticare la cateterizzazione sterile intermittente.
Raccomandazione 11.25
Grado D
È indicato evitare il cateterismo
vescicale quando non è necessario.
I disturbi del sistema nervoso autonomo in pazienti con patologie cerebrovascolari sono
comuni. Sono attribuibili a danno a livello delle vie autonomiche cerebrali, delle aree corticali fronto-parietali e del tronco encefalico, o alla disconnessione delle vie discendenti dall’ipotalamo al mesencefalo, ponte e midollo spinale. Più frequentemente sono interessati la regolazione della funzionalità cardiaca, della pressione arteriosa, della temperatura corporea, i riflessi vasomotori e la sudorazione. Le disfunzioni intestinali e vescicali e l’impotenza sono allo
stato attuale sottovalutate rispetto alla loro prevalenza e al loro significato clinico.208
La ritenzione urinaria e la presenza di residuo minzionale, talvolta misconosciuti, sono altre
frequenti complicanze dell’ictus. Nel sospetto, bisogna procedere all’ecografia vescicale.209
Le disfunzioni vescicali, in particolare il residuo minzionale, si associano frequentemente a
infezioni del tratto urinario, con ulteriore complicazione del quadro clinico. Inoltre, la presenza di disfunzioni vescicali ha un impatto molto negativo sulla qualità di vita dei pazienti con
esiti di un pregresso ictus.
Tecniche da preferire sono: la cateterizzazione sterile intermittente, che deve essere eseguita
correttamente e secondo programmi di svuotamento prestabiliti, manovre riabilitatorie a livello del pavimento pelvico, particolarmente utili se inserite in un programma di gestione del
paziente.
Nei pazienti senza apparenti disfunzioni vescicali è indicato controllare periodicamente la presenza di eventuale residuo vescicale post-minzionale e praticare, se necessario, la cateterizzazione sterile intermittente.
La presenza di un catetere a dimora è necessario per pazienti con gravi problemi vescicali.
Non si deve dimenticare tuttavia che nonostante le disfunzioni vescicali siano comuni nella
fase acuta dell’ictus, esse migliorano spontaneamente dopo i primi giorni.205,210,211
11.8
Sintesi 11-16
La valutazione della probabilità
clinica di trombosi venosa
profonda (TVP) secondo criteri
standardizzati (vedi testo) può
essere utile nella valutazione dei
pazienti con ictus in cui si
sospetti una TVP al fine di programmare il successivo iter diagnostico.
TROMBOSI
VENOSA PROFONDA
(TVP) 212
La TVP localizzata agli arti inferiori è la forma più comune di trombosi venosa. Essa viene
definita distale quando interessa le vene del polpaccio e/o la parte di vena poplitea posta al di
sotto della rima articolare del ginocchio, prossimale nelle forme che si estendono al di sopra
di tale rima. La distinzione tra TVP prossimale e distale ha grande importanza clinica in quanto è noto che le complicanze emboliche sono sostenute nella grande maggioranza dei casi da
TVP prossimali e solo raramente da quelle distali. Queste ultime possono diventare fonte di
emboli quando risalgono fino ad interessare la poplitea.
La TVP costituisce una malattia seria e potenzialmente fatale. In assenza di un tempestivo trattamento anticoagulante e adeguato per intensità e durata, la embolia polmonare (EP) può verificarsi anche nel 50% dei casi nell’arco di 3 mesi. Si ha un’elevata tendenza alla recidiva di
TVP, con ulteriore rischio di EP e accentuazione dei disturbi a distanza. Inoltre, superata la
fase acuta compare con estrema frequenza la cosiddetta “sindrome post-trombotica”, affezione talvolta altamente invalidante, caratterizzata da dolore, edema cronico, distrofia e discromia cutanea e dalla frequente insorgenza di ulcere trofiche croniche.
11.8.1
La probabilità clinica di TVP
Sono numerosi i soggetti che sviluppano segni e sintomi ascrivibili alla presenza di una TVP:
l’incidenza annuale nella popolazione generale è stimata intorno a 3-4 per 1·000 abitanti. I
segni/sintomi clinici della TVP degli arti inferiori sono molteplici (dolore spontaneo o provocato dallo stiramento dei muscoli, rossore, cianosi, aumento della temperatura cutanea, crampi, aumento delle dimensioni dell’arto, edema franco, sviluppo di circoli collaterali, phlegmasia alba dolens). Bisogna però sottolineare che la grande maggioranza di coloro che presentano tali sintomi e segni non ha una TVP ma è affetta da alterazioni muscolo-scheletriche o cutanee i cui sintomi sono simili a quelli della TVP.
La sintomatologia della TVP è, tuttavia, incostante e, quando presente, è quanto mai aspecifica e variabile. Da quanto detto sopra si evince chiaramente che per una conferma della presenza di TVP, o per una sua esclusione, non ci si può basare solo su una diagnosi clinica, ma
occorre ottenere il riscontro obiettivo di un esame strumentale. Solo una procedura diagnostesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
273
stica standardizzata, che utilizzi metodi obiettivi e sensibili, consente di confermare o escludere la presenza di TVP.
È stato recentemente dimostrato che la valutazione standardizzata di una serie di caratteristiche cliniche del paziente con sospetta TVP (Tabella 11:IX) consente di classificare i pazienti
in tre categorie con diversa probabilità di avere effettivamente una TVP: 75%, 17% e 3% di
TVP rispettivamente nelle categorie a rischio alto, intermedio e basso.213 L’attribuzione ad una
di queste categorie consente di adottare iter diagnostici diversi a seconda del grado di probabilità clinica.
Tabella 11:IX – Valutazione della probabilità clinica per la diagnosi di TVP
caratteristiche cliniche (se entrambi gli arti sono sintomatici valutare quello più accentuato) punteggio
cancro in atto (terapia in corso, o nei precedenti 6 mesi, o palliativa)
1
paralisi, paresi o recente immobilizzazione di un arto inferiore
1
recente allettamento >3 giorni o chirurgia maggiore (entro 4 settimane)
1
dolorabilità localizzata lungo il decorso del sistema venoso profondo
1
edema di tutto l’arto
1
gonfiore del polpaccio, 3 cm > controlaterale (10 cm sotto la tuberosità tibiale)
1
edema improntabile (più accentuato nell’arto sintomatico)
1
circolo collaterale superficiale (non vene varicose)
1
diagnosi alternativa (verosimile almeno quanto quella di TVP)
-2
Punteggio totale
valutazione conclusiva:
11.8.2
punteggio ≥3
punteggio =1 o 2
punteggio ≤0
alta probabilità
media probabilità
bassa probabilità
Diagnosi strumentale di TVP (arti inferiori)
I dati clinici, anche se indicativi di TVP altamente probabile, non possono essere sufficienti
per la diagnosi che, in ogni caso, deve essere accertata preferenzialmente mediante ecografia.
Solo in casi particolare è necessario ricorrere a flebografia (che resta il gold standard) o a RM.
11.8.2.1
Ecotomografia (ultrasonografia per compressione – CUS)
L’ultrasonografia (ecografia B-mode, duplex scanning, eco-color Doppler) è la metodica non
invasiva di prima scelta per la diagnosi di TVP prossimale degli arti inferiori (per definizione,
trombosi estesa dalla vena poplitea ai segmenti iliaco-femorali). Infatti essa gode di una elevata accuratezza diagnostica, praticità e semplicità d’uso, economicità, innocuità, e può essere
ripetuta senza restrizioni.
Il criterio più accurato per la diagnosi di TVP è basato sulla non compressibilità (totale o parziale) del lume venoso per effetto di una moderata pressione della sonda.214
La sensibilità del test di compressione per la diagnosi delle trombosi prossimali è del 97%
(IC95: 96%-98%) e la sua specificità è del 98% (IC95: 97%-99%).215 La sensibilità cala notevolmente ed è comunque notevolmente dipendente dall’operatore nelle forme distali. In queste una sensibilità più elevata (60%) sembra poter essere raggiunta, secondo alcuni autori, con
l’impiego dell’eco-Doppler e dell’eco-color Doppler, sebbene questa opinione non sia supportata da adeguati studi clinici.
Recentemente è stata proposta una modalità semplificata di esecuzione della CUS, che prevede il solo esame della vena femorale comune all’inguine, e della vena poplitea alla fossa poplitea fino alla sua triforcazione, con ripetizione dell’esame dopo una settimana, in caso di normalità iniziale. L’indagine così concepita sembra sicura ed efficace, ma implica la ripetizione
dell’esame nel 70% dei casi. Tuttavia va sottolineato come questi risultati siano riferibili esclusivamente a pazienti ambulatoriali sintomatici.
Il trombo venoso tende a permanere a lungo, una volta formatosi (l’esame ultrasonografico
risulta ancora anormale in circa metà dei pazienti a distanza di un anno). Di conseguenza, la
diagnosi di recidiva risulta problematica.
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 11.26
Grado D
Nel sospetto di TVP agli arti inferiori in un paziente con ictus è
indicata l’ecografia venosa.
274
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
11.8.3
Raccomandazione 11.27
Grado D
La determinazione del D-dimero
non è indicata nella diagnostica
della TVP in pazienti con ictus
cerebrale ospedalizzati, in quanto
poco specifica.
Raccomandazione 11.28
Grado D
In pazienti con ictus acuto è indicato controllare attentamente i
fattori in grado di aumentare la
pressione intracranica, quali l’ipossia, l’ipercapnia, l’ipertermia e
la posizione del capo, che
andrebbe mantenuta elevata di
30° rispetto al piano del letto.
Raccomandazione 11.29
Grado D
In pazienti con ictus acuto il trattamento dell’edema cerebrale è
indicato in caso di rapido deterioramento dello stato di coscienza, segni clinici di erniazione
cerebrale o evidenze neuroradiologiche di edema con dislocazione delle strutture della linea
mediana od obliterazione delle
cisterne perimesencefaliche.
I D-dimeri nella diagnostica della TVP
I D-dimeri sono prodotti di degradazione della fibrina stabilizzata e possono trovarsi in circolo per molte cause, un trombo venoso essendo solo una delle loro possibili fonti. Applicati
alla diagnostica delle tromboembolie venose i metodi per il dosaggio plasmatico dei D-dimeri hanno un’elevata sensibilità, ma bassa specificità e vengono utilizzati per il loro alto valore
predittivo negativo; cioè servono solo per escludere (in caso di risultato normale), ma non per
confermare una diagnosi di TVP (in caso di risultato alterato). Il dosaggio dei D-dimeri eseguito in associazione alla CUS ha lo scopo di selezionare quei casi con CUS negativa ma Ddimeri alterati, nei quali non è possibile escludere una TVP distale e che pertanto devono essere ricontrollati con CUS dopo qualche giorno (5-7 giorni) in modo da diagnosticare tempestivamente la estensione prossimale di una TVP distale. Questa procedura diagnostica è stata
dimostrata valida da numerosi studi clinici di gestione di pazienti con sospetta TVP
Recentemente si sono rese disponibili metodiche di laboratorio rapide, semplici, adatte per il
dosaggio di campioni singoli e ad elevata accuratezza diagnostica (con un valore predittivo
negativo pari o superiore al 97%).
Non è attualmente consigliabile utilizzare questo test nei pazienti asintomatici ad alto rischio
non essendo disponibili soglie di discriminazione validate per queste specifiche situazioni.
È discusso se utilizzare il test in pazienti con ictus cerebrale. In pazienti ospedalizzati infatti è
noto che il D-dimero è assai spesso elevato. Così, poiché il test serve solo per escludere la TVP
(se negativo), l’efficacia diagnostica del suo impiego risulterebbe molto bassa.
11.9
COMPLICANZE
11.9.1
Edema cerebrale
NEUROLOGICHE
L’edema cerebrale solitamente insorge nelle prime 24-48 ore seguenti l’insulto ischemico e la
morte durante la prima settimana dall’ictus è frequentemente dovuta alla sua comparsa con
aumento della pressione intracranica e conseguente erniazione cerebrale, che rappresentano
per lo più complicanze in corso di occlusione delle grandi arterie intracraniche e della formazione di ampi infarti multilobari.216,217
L’aumento della pressione intracranica può essere anche secondario alla comparsa di idrocefalo acuto ostruttivo.
Il trattamento dell’edema cerebrale in corso di ictus acuto è raccomandato in caso di rapido
deterioramento dello stato di coscienza e/o segni clinici di erniazione cerebrale e/o evidenze
neuroradiologiche di edema con dislocazione delle strutture della linea mediana od obliterazione delle cisterne perimesencefaliche. Gli obiettivi del trattamento sono:
1. ridurre la pressione intracranica;
2. mantenere una adeguata perfusione cerebrale per evitare l’aggravamento del danno ischemico;
3. prevenire l’erniazione cerebrale.
L’approccio iniziale in passato prevedeva una moderata restrizione dei liquidi somministrati,218 tuttavia va considerato in merito quanto già detto in precedenza (§ 11.3) circa gli effetti
sfavorevoli dell’ipovolemia sull’esito neurologico nel caso di ictus. Devono essere controllati
attentamente i fattori in grado di aumentare la pressione intracranica, quali ipossia, ipercapnia
e ipertermia, e la posizione del capo andrebbe mantenuta elevata di 20°-30° rispetto al piano
del letto. L’incremento della pressione arteriosa può essere una risposta compensatoria al mantenimento della perfusione cerebrale in pazienti con ipertensione endocranica marcata, pertanto in questi casi non è consigliato l’uso di antipertensivi, in particolare di quelli ad effetto
vasodilatatorio cerebrale.218-220
I pazienti con deterioramento clinico possono essere trattati tramite iperventilazione, diuretici osmotici, drenaggio di liquor o chirurgia, sebbene non vi siano ad oggi studi in favore di tali
approcci nell’ictus acuto, così come per l’indicazione al monitoraggio della pressione intracranica che tuttavia risulta indicativa nella scelta terapeutica e nella definizione prognostica.218
L’iperventilazione è una misura d’emergenza che agisce pressoché immediatamente: la riduzione di 5-10 mm Hg di pCO2 nel sangue arterioso induce una riduzione del 25%-30% della
pressione intracranica,221,222 va però tenuta presente la necessità di mantenere una adeguata
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
perfusione cerebrale per ovviare alla possibile vacostrizione indotta dall’iperventilazione, e
conseguente aumento dell’area ischemica. L’iperventilazione infine dovrebbe essere seguita da
altri interventi correttivi dell’edema.
L’inefficacia dell’uso dei corticosteroidi nell’ictus cerebrale negli studi effettuati,223-226 e, al
contrario, l’osservazione di una maggiore incidenza di complicanze infettive nei pazienti con
ictus trattati con terapia steroidea hanno portato a concludere che, malgrado la loro potenziale
efficacia nel contrastare la componente vasogenica dell’edema cerebrale, attualmente non sussistono indicazioni al loro uso nella terapia antiedemigena.227,228
275
Raccomandazione 11.30
Grado A
Malgrado la potenziale efficacia
dei corticosteroidi nel contrastare
la componente vasogenica dell’edema cerebrale, attualmente il
loro uso nell’ictus acuto non è
indicato.
Nonostante l’uso frequente di furosemide o di mannitolo dopo ictus, gli studi effettuati con
questi farmaci non risultano conclusivi circa la loro efficacia nel trattamento dell’edema cerebrale ischemico.18,229,230
La somministrazione parenterale di furosemide (40 mg i.v.) viene adottata nei pazienti in rapido deterioramento clinico, ma non è usata nel trattamento a lungo termine.
Il mannitolo viene comunemente utilizzato per il trattamento dell’edema cerebrale,227 alla
dose raccomandata di 0,25~0,5 g/kg i.v. in boli somministrati rapidamente nell’arco di 20
minuti, ogni 6 ore, fino ad una dose massima giornaliera di 2 g/kg,231 anche se mancano ancora solide evidenze esterne per tale uso.232
Il glicerolo viene generalmente somministrato per via parenterale (250 mL di glicerolo al 10%
in 30-60 minuti, ogni 6 ore), in alternativa è possibile la somministrazione orale (50 mL al 10%
ogni 6 ore).16,227 Anche in questo caso l’uso non è ancora sostenuto da solide evidenze esterne.233 Da ricordare la necessità di controllo dell’emocromo durante la terapia con glicerolo in
quanto il farmaco può indurre emolisi.
I barbiturici a breve durata d’azione, come ad esempio il tiopentale, somministrati in bolo,
riducono rapidamente la pressione endocranica. Tuttavia il loro effetto è transitorio e richiede il monitoraggio della pressione endocranica e dell’EEG, e inoltre dei parametri emodinamici per il rischio di crisi ipotensive. Il loro uso continuativo è comunque sconsigliato per la
mancanza di efficacia a fronte di effetti negativi a lungo termine.28
Nei casi di infarto esteso con grave effetto massa e mancata efficacia dei trattamenti antiedema, può essere considerata la chirurgia decompressiva, specialmente in pazienti giovani senza
patologie associate e con lesione situata nell’emisfero non dominante.
11.9.2
Gestione dell’epilessia vascolare in fase acuta
Le crisi epilettiche rappresentano un evento non raro nell’ictus sia nella fase acuta che nella
fase tardiva.234
Tenuto conto che l’incidenza dell’ictus nella popolazione italiana è di oltre 340 casi per
100·000 abitanti (§ 4.1.3), si può ben ritenere come esso rappresenti una delle cause più comuni di epilessia nella popolazione adulta, anche se lo sviluppo di crisi dopo l’insulto vascolare è
un evento relativamente poco frequente (6%-9%).235 Infatti, sulla base di una recente revisione della letteratura, l’incidenza delle crisi varia dal 2,5% al 42,8% e quella dell’epilessia dal
6% al 9%.236,237 Nei soggetti affetti da ictus l’incidenza delle crisi precoci è intorno al 5,8%,
quella delle crisi tardive è del 3,1%.238 Nel complesso, il rischio d’insorgenza o di ricorrenza
di crisi nei primi 5 anni dopo l’ictus è pari all’11,5% ed il rischio relativo rispetto alla popolazione generale è pari a 35,2.239
A seconda del sottotipo patogenetico, poi, è interessante notare che negli ictus ischemici
embolici l’incidenza delle crisi varia dal 16,6% al 42,8%, nei trombotici dal 4,4% al 12,4% e
negli ictus lacunari varia dall’1% al 3,7%;235,240-243 anche se in alcuni studi è riportata un’incidenza del 10%-17%. Nei TIA l’incidenza è del 2%-10%.241,243,244
Nelle emorragie intracerebrali, invece, le crisi compaiono nel 2,8%-6,5% con rischio maggiore nelle localizzazioni lobari.240,245-247 Infine, nell’ESA l’incidenza delle crisi varia dal 2,7% al
16,6%, mentre nelle malformazioni artero-venose può salire sino al 40%, rappresentando in
quest’ultima situazione il sintomo d’esordio nel 19% dei casi.236,248,249 La maggiore estensione
dell’infarto ischemico, l’interessamento corticale, la natura emorragica della lesione e la sua
localizzazione lobare, il deficit motorio persistente risultano associati alla maggiore probabilità di comparsa di crisi epilettiche.240,250,251
stesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 11.31 a
Grado D
La somministrazione parenterale
di furosemide (40 mg e.v.):
• è indicata in emergenza in
caso di rapido deterioramento
clinico,
• ma non è indicata nel trattamento a lungo termine.
Raccomandazione 11.31 b
Grado D
Nel trattamento farmacologico
prolungato dell’edema cerebrale
sono indicati i diuretici osmotici
quali il mannitolo o il glicerolo.
Raccomandazione 11.31 c
Grado D
L’uso continuativo dei barbiturici
a breve durata d’azione non è
indicato per la mancanza di efficacia a fronte di effetti negativi a
lungo termine.
Sintesi 11-17
Nei casi di infarto esteso con
grave effetto massa e mancata
efficacia dei trattamenti antiedema, può essere considerata la
chirurgia decompressiva, specialmente in pazienti giovani senza
patologie associate e con lesione
situata nell’emisfero non dominante.
276
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
A parte le cosiddette crisi precursive (“heralding seizures”) che possono comparire da alcuni
giorni ad alcuni anni prima di un ictus,252-255 la distribuzione temporale delle crisi in rapporto
all’ictus segue il modello bimodale dell’epilessia post-traumatica, con un primo picco nelle
prime 2-4 settimane (early seizures) ed un secondo picco dopo 6-12 mesi (late seizures).236,255,256
Le crisi precoci avrebbero un minor rischio di recidive, poiché verosimilmente legate a modificazioni metaboliche dinamiche 257,258 tipiche della fase acuta dell’ictus (alterazione della sintesi proteica, depolarizzazione anossica della membrana, rilascio di glutammato nell’ictus
ischemico; deposito nella lesione di Fe francamente epilettogeno nelle emorragie cerebrali) e
potenzialmente reversibili. Invece, per le crisi tardive la formazione di tessuto gliotico con conseguente riorganizzazione delle connessioni assonali (diminuzione delle proiezioni inibitorie
gabaergiche, modificazione delle caratteristiche di membrana ed aumento dei recettori per il
glutammato) rappresenterebbe il “primum movens” fisiopatogenico delle crisi con rischio di
recidive dal 50% al 100% a seconda delle varie casistiche.
Nell’infarto cerebrale solo il 30% delle crisi sono precoci, mentre il 68%-73% sono tardive.
Nell’emorragia cerebrale il 30%-70% delle crisi compare entro le prime 48 ore.
Nel 42%-89% dei casi le crisi sono parziali semplici per lo più motorie, con pronta generalizzazione nel 15%-21% dei casi,240 mentre crisi parziali complesse si hanno solo nel 3%-14%
dei casi. Infine, lo stato di male epilettico 240,242 può comparire nel 4%-10% dei casi,243,259 rappresentando la causa prima di stato di male nell’anziano.
Ai fini diagnostici è fondamentale l’esclusione di altri tipi di lesione cerebrale (tumorale, degenerativa, demielinizzante)260 con neuroimmagini,261 così come è importante escludere cause
dismetaboliche (ipoglicemie, iponatriemia, calcemia) e/o intossicazioni farmacologiche che
possono determinare deficit neurologici e convulsioni.260,262
Spesso anche la diagnosi differenziale tra evento critico epilettico da un lato e il TIA, l’ipotensione posturale, embolia polmonare, progressione dell’ictus e l’aritmia cardiaca dell’altro,
si presenta difficoltosa, giovandosi di una buona anamnesi clinica e di studio EEG-grafico.263
Sintesi 11-18
L’esame EEG ha poco valore diagnostico, e per la prognosi gli
studi sono insufficienti. È invece
utile per la diagnosi differenziale
tra eventi focali non vascolari ed
eventi critici.
Raccomandazione 11.32
Grado D
La terapia antiepilettica a scopo
profilattico non è indicata nei
pazienti con ictus in assenza di
crisi epilettiche.
Raccomandazione 11.33
Grado D
La terapia antiepilettica:
• non è indicata in caso di crisi
epilettiche isolate,
• è indicata in caso di crisi
ripetute,
evitando il fenobarbital per un
possibile effetto negativo sul
recupero.
L’EEG intercritico ha poco significato negli accertamenti routinari delle crisi dopo ictus, mentre può essere un valido aiuto specie con registrazione in fase critica, prolungata e/o Holter
nei casi di stato di male epilettico parziale complesso, negli episodi di perdite di contatto o per
escludere crisi parziali complesse atipiche o crisi psicomotorie.264,265
Riguardo al trattamento delle crisi associate ad insulto cerebro-vascolare, in letteratura vi è
molto poco di specifico e non vi sono studi controllati.
Tuttavia bisogna considerare come prima cosa quando un trattamento farmacologico per l’epilessia post-ictus è indicato e necessario.
Infatti una o due crisi nei primi quindici giorni da un accidente cerebro-vascolare hanno un
rischio di recidiva molto basso e con molta probabilità non necessitano di trattamento con farmaci anticomiziali a lungo termine; mentre la presenza di molteplici crisi, di crisi prolungate
o di crisi che possono interferire con il trattamento riabilitativo anche se compaiono in fase
precoce, suggerisce il trattamento farmacologico, con una eventuale sospensione delle terapie
dopo 3-6 mesi.
Le crisi che si presentano dopo 2 settimane dall’evento ictale, e le crisi ricorrenti, necessitano
di un trattamento con farmaco anticonvulsivo a lungo termine.246,266-269
Il trattamento con i più comuni e conosciuti farmaci anticonvulsivi comporta un controllo
delle crisi, mentre una farmacoresistenza anche alla politerapia si riporta solo nel 10%-30%
dei casi. La scelta del farmaco, non essendoci studi clinici controllati, ricade nella maggior
parte dei casi sui comuni e collaudati farmaci anticonvulsivi come fenitoina, carbamazepina,
fenobarbital e acido valproico.268,269
La scelta del singolo farmaco è legata al caso clinico, tenendo conto dei singoli effetti collaterali dei sopracitati farmaci, dalle loro eventuali interazioni farmacologiche con altri farmaci
usati nel paziente con ictus, dalle dosi di somministrazione. Dovrà anche essere tenuto in
conto anche il loro eventuale impatto sul sistema neurocognitivo, dato che questi farmaci possono produrre effetti collaterali a carico dei sistemi neurologici, ostacolando di conseguenza il
recupero riabilitativo.265,270
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
277
In verità non esiste un farmaco anticonvulsivo ideale nel trattamento dell’epilessia post-ictus
che contempla un minor numero di effetti collaterali, una ridotta interazione farmacologica
con altri farmaci, e la somministrazione in unica dose.
Interessanti e confortanti dati clinici, che dovrebbero tuttavia essere controllati in studi randomizzati e controllati, ci pervengono dall’utilizzo dei nuovi farmaci anticonvulsivi come la
lamotrigina, il topiramato ed il gabapentin.
Lo stato di male epilettico di tipo parziale semplice o complesso associato ad accidente cerebrovascolare in fase acuta 271 o subacuta, è associato ad alta mortalità – fino al 36% – nell’emorragia cerebrale 247 e ad una prognosi sfavorevole.
In atto non vi sono studi clinici controllati nello stato di male epilettico nelle fasi acute dell’ictus.272 Tuttavia appare valido e ben collaudato lo schema terapeutico di Tabella 11:X.
Tabella 11:X – Schema terapeutico nello stato di male epilettico
1. Assicurare le pervietà delle vie respiratorie. Somministrare 10 mg di diazepam per via endovenosa rapida.
Se le crisi continuano, somministrare altri 10 mg di diazepam per via endovenosa nell’arco di 30 sec.
2. Somministrare ossigeno. Inserire una cannula endovenosa e ottenere un campione di sangue per la determinazione di farmaci antiepilettici, azotemia, glicemia, elettroliti (compresi Ca++ e Mg++). Ottenere un campione di sangue arterioso per determinazione di pH, PO2, HCO3. Monitorare respiro, pressione arteriosa,
ECG e, se possibile, EEG.
3. Iniziare una infusione endovenosa di soluzione fisiologica. Somministrare un bolo di 50 mL di glucosio al
50%.
4. Eseguire una ulteriore somministrazione di diazepam ad una velocità non superiore a 2 mg/min sino all’arresto delle crisi o sino al raggiungimento di una dose massima di 20 mg. Iniziare contemporaneamente una
infusione di fenitoina ad una velocità non superiore a 50 mg/min sino al raggiungimento di una dose cumulativa di 15-18 mg/kg (ridurre la velocità di infusione in caso di ipotensione).
5. Se le crisi persistono, inserire una cannula endotracheale e fare riferimento a testi specializzati. I trattamenti disponibili comprendono diazepam, fenobarbitale, lidocaina, clormetiazolo, paraldeide. Utilizzare le
terapie meglio conosciute e, se necessario, ricorrere all’anestesia generale con tiopentale e bloccanti neuromuscolari. Monitorare l’EEG per rilevare eventuale attività elettrica abnorme.
11.10
PREVENZIONE
Raccomandazione 11.34
Grado D
Nello stato di male epilettico
associato ad ictus cerebrale
acuto non vi sono evidenze a
favore di un trattamento specifico
per cui è indicato il trattamento
standard, monitorandone attentamente gli effetti collaterali più
probabili nello specifico contesto
clinico.
PRECOCE DELLE DISABILITÀ CONSEGUENTI ALL’ICTUS
È ormai opinione diffusa che l’assistenza finalizzata alla prevenzione della disabilità (riabilitazione precoce) dovrebbe integrarsi con le attività mirate alla diagnosi ed al trattamento di
emergenza nella fase acuta della cura dei pazienti con ictus.273
Gli obiettivi della prevenzione delle disabilità nella fase acuta dell’ictus comprendono elementi in grado di influenzare direttamente l’esito clinico, in termini di autonomia residua,
senza incidere sulla lesione cerebrale o sulle condizioni generali (intese come comorbosità e
complicanze). Essi sono attribuiti, nella pratica clinica, all’attività riabilitativa, anche se hanno,
in senso stretto, poco a che vedere con la riabilitazione propriamente detta. Infatti, la prevenzione della disabilità residua mostra alcune differenze rispetto alle procedure che caratterizzano la riabilitazione intensiva:274
a. i programmi assistenziali realizzati al fine di prevenire la disabilità residua hanno lo scopo
di prevenire ulteriori problemi, piuttosto che essere direttamente correlate al recupero delle
abilità compromesse dalla malattia;
b. le pratiche di prevenzione della disabilità sono attivate sui soggetti in condizioni cliniche
non stabilizzate, che hanno subíto un ictus pochi giorni prima e non sono riservate, così
come accade per la attività riabilitativa, a soggetti senza problemi clinici attivi;
c. le attività assistenziali ai fini preventivi sono in genere uguali per tutti i soggetti accomunati sulla base delle condizioni del paziente e non “tagliate su misura”, sulle base delle caratteristiche individuali della persona malata;
d. le procedure di prevenzione possono in gran parte essere realizzate da figure professionali
non appartenenti al mondo della riabilitazione.
Gli interventi mirati alla prevenzione della disabilità conseguente all’ictus influenzano sensibilmente la qualità dell’assistenza prestata a soggetti colpiti da questa malattia, così da risultare determinanti nel produrre vantaggi delle strutture dedicate alle malattie cerebrovascolari
acute.275 Un compito della stroke unit è di combinare l’assistenza nella fase acuta, che comstesura 15 marzo 2005
Raccomandazione 11.35
Grado A
Nei pazienti con ictus è indicato
integrare fin dalla fase acuta l’attività di prevenzione della disabilità (mobilizzazione ed interventi
riabilitativi precoci) con il programma diagnostico ed il trattamento di emergenza.
278
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
prende la riabilitazione precoce, all’attività di contenimento della disabilità residua espressa
come riabilitazione a lungo termine. Sulla base di tali presupposti, appare necessario realizzare correntemente l’attività di prevenzione della disabilità residua all’ictus fin dai primi giorni
dopo l’evento, utilizzando le risorse di personale disponibili, indipendentemente dal numero
di fisioterapisti impegnati nell’assistenza agli acuti.276 D’altro canto, le attività che saranno di
seguito esposte possono in gran parte essere realizzate da personale prioritariamente impegnato nel nursing, a testimonianza del fatto che la coerenza del programma assistenziale può
assumere maggiore rilievo dello specifico trattamento praticato.277,278
Gli obiettivi della prevenzione della disabilità post-ictale, da realizzare precocemente, possono essere sintetizzati come segue:17
a. contenimento della rigidità articolare indotta dall’immobilità;
b. conservazione dell’integrità cutanea;
c. potenziamento della profilassi delle infezioni respiratorie e delle trombosi venose profonde;
d. esaltazione della partecipazione all’attività fisica e ai programmi assistenziali;
e. facilitazione della verticalizzazione e prevenzione delle cadute (dal letto e nei trasferimenti);
f. formulazione di una prognosi ai fini della identificazione delle esigenze assistenziali destinate al recupero da attivare a breve-medio termine.
Raccomandazione 11.36
Grado D
È indicata la mobilizzazione degli
arti del paziente con ictus per
almeno 3-4 volte al giorno.
Raccomandazione 11.37
Grado D
È indicato stimolare ed incoraggiare i pazienti con ictus alla partecipazione alle attività quotidiane.
Raccomandazione 11.38
Grado D
Nei pazienti con ictus è indicato
selezionare i farmaci utilizzati per
evitare interferenze negative con
il recupero.
Raccomandazione 11.39
Grado D
Nei pazienti con ictus è indicato
promuovere la verticalizzazione
precoce attraverso l’acquisizione
della posizione seduta entro il
terzo giorno, se non sussistono
controindicazioni al programma.
Raccomandazione 11.40
Grado D
Nei pazienti con ictus è indicato
favorire la comunicazione con il
paziente ed i familiari anche al
fine di indicare e far apprendere
le modalità di partecipazione al
processo assistenziale.
Le attività abitualmente realizzate per raggiungere gli obiettivi sopra indicati possono essere
indicate nei seguenti approcci:
a. mobilizzazione passiva degli arti paretici o plegici secondo tutto il range di movimento delle
articolazioni per almeno 3-4 volte al giorno. Uno studio osservazionale ha documentato che
la precocità della mobilizzazione e dell’addestramento del paziente rappresenta il fattore
maggiormente correlato con il ritorno a casa entro sei settimane dall’ictus;279
b. utilizzo di presidi antidecubito, mantenimento dell’igiene e cambiamento della posizione
con intervallo variabile da 1 a 4 ore a seconda dei fattori di rischio per lesioni da decubito.
La prevenzione delle lesioni da decubito è realizzata attraverso il raggiungimento di due
distinti obiettivi da perseguire congiuntamente:
• la protezione della cute
• la riduzione della pressione delle sedi di appoggio
L’intensità di tali interventi è condizionata dalla presenza di fattori di rischio per la comparsa
di lesioni definiti sulla base della Scala di Norton o di altre scale analoghe (basate su parametri quali lo stato generale, la mobilità/continenza e compromissione della coscienza).280
La protezione della cute è basata sull’igiene, sulla idratazione della superficie cutanea e sul
mantenimento del trofismo. In tal senso la pulizia attenta, soprattutto in sede perineale e
sacrale, l’uso di creme in grado di proteggere la cute, analoghe a quelle utilizzate per i neonati, ed il frizionamento dolce delle zone sottoposte a pressione, sono considerati attività
efficaci.
La riduzione della pressione sulle sedi di appoggio è realizzata con sistemi attivi che distribuiscono il peso corporeo su di un’area più vasta (indumenti in lana di pecora, basi di
appoggio in lana di pecora o poliestere, imbottiture in gel e sistemi “attivi” che modificano
il punto di appoggio, alternando l’immissione e la emissione dell’aria od utilizzando sistemi
di rotazione del letto o letti ad acqua). Anche se i sistemi attivi sono ritenuti più efficaci, e
più costosi, dei sistemi passivi, la strategia di intervento non può essere basata sull’applicazione indiscriminata di un presidio ma sulla identificazione della migliore condotta, caso
per caso, in relazione al rischio di decubiti. È opinione comune che la disponibilità di uno
staff infermieristico, numericamente adeguato e sufficientemente preparato, possa garantire la più valida prevenzione dei decubiti, qualunque sia il presidio tecnico impiegato;
c. circa un terzo dei soggetti colpiti da ictus sono colpiti da complicanze infettive broncopolmonari,281 verosimilmente in relazione alla disfunzione ventilatoria. Infatti ripetute osservazioni hanno documentato la compromissione dei parametri funzionali polmonari frequentemente in maniera proporzionale alla gravità del deficit motorio.281-283 Accanto all’accurata valutazione clinica, alla terapia antibiotica, associata eventualmente al trattamento
con liquidi ed ossigeno, è necessario provvedere ad una attivazione dei muscoli respiratori
ed all’igiene tracheo-bronchiale. L’incentivazione della ventilazione autonoma, con posizionamento adeguato a favorire l’espansione di tutti i settori polmonari, appare in grado di
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
ostacolare la iperventilazione basale. La valutazione del riflesso della tosse e del meccanismo di deglutizione può contribuire a quantificare il rischio di polmonite.284 Nei soggetti
con coscienza compromessa, l’acquisizione di posizioni che favoriscano il drenaggio bronchiale e l’eventuale attuazione di manovre che favoriscano l’espulsione delle secrezioni
bronchiali possono evitare condizioni predisponenti l’infezione polmonare o l’ipossia. Per
la prevenzione delle trombosi venose profonde, accanto al trattamento farmacologico, è
opportuno mobilizzare attivamente l’arto inferiore sano e mobilizzare passivamente l’arto
paretico. A ciò si aggiunge l’utilizzo di calze elastiche o pneumatiche e l’acquisizione di
posizioni che favoriscano il deflusso venoso dall’arto inferiore plegico. Prescindendo dall’intervento farmacologico, gli interventi preventivi della trombosi venosa profonda sono
basati spesso su pratiche non documentate da adeguate prove di efficacia. La mobilizzazione precoce del paziente e quella selettiva degli arti colpiti appaiono utili per diversi scopi
oltre a quello di evitare la stasi ematica a livello dell’arto inferiore colpito e non sono disponibili indagini selettive sull’efficacia della sola mobilizzazione precoce nella prevenzione
della trombosi venosa profonda. L’uso di calze a tutta lunghezza a compressione graduata
ha mostrato indubbi vantaggi nella sindrome da immobilizzazione secondaria ad intervento chirurgico e quindi può essere ragionevolmente trasferito ai soggetti immobili in seguito
ad ictus.285 Occorre comunque sottolineare che i gambaletti potrebbero non essere analogamente efficaci, e che, in caso di arteriopatia periferica e neuropatia diabetica, la compressione esterna può provocare lesioni ischemiche. Su questi argomenti ci si attendono
risposte più chiarre dallo studio CLOTS; § 10.1.3.1). Sull’impiego di strumenti di compressione pneumatica esterna e sull’uso della stimolazione elettrica dei muscoli paretici, al
fine di utilizzare la contrazione muscolare per spingere il sangue che refluisce dagli arti inferiori, non si hanno ancora dimostrazioni sicure di efficacia.286 L’incoraggiamento del
paziente a partecipare attivamente al programma di posizionamento e di mobilizzazione è
basato sul coinvolgimento nella assunzione di posizioni utili alla prevenzione della stasi polmonare e della stasi venosa dell’arto inferiore plegico;
d. l’impegno degli arti paretici in qualche attività bimanuale è utile al fine di evitare il fenomeno del “non uso appreso”. L’impegno motorio è verosimilmente potenziato da un uso
selettivo dei farmaci. Alcune segnalazioni condotte su piccole serie di pazienti o derivate da
studi sperimentali indicano che farmaci ad azione noradrenergica, quali amfetamine e
dopaminoagonisti in combinazione con trattamenti riabilitativi, possono favorire il recupero di prestazioni motorie, percettive o linguistiche probabilmente riducendo la diaschisi.287,288 In senso opposto, antagonisti dopaminergici quali le fenotiazine, agonisti gabaergici quali le benzodiazepine ed alcuni anticonvulsivi quali il fenobarbital e la dintoina possono inibire il recupero incrementando la diaschisi e sopprimendo il fenomeno del potenziamento a lungo termine.289,290 Un’esperienza condotta su un piccolo gruppo di soggetti ha
documentato un’efficacia del metilfenidrato nel miglioramento dell’esito clinico.291 La facilitazione dell’esplorazione dello spazio, percepito in caso di emianopsia o di disturbo dell’orientamento spaziale dell’attenzione, si ottiene evitando posizioni del letto che lascino
poco spazio all’esplorazione visiva. L’impegno nella memorizzazione del programma di attività giornaliere è utile per favorire l’orientamento temporale ed il mantenimento del ritmo
sonno-veglia. La promozione dei contatti interpersonali è cruciale per prevenire l’isolamento del paziente e le conseguenze emotive e comportamentali che ne conseguono.
L’informazione e l’educazione dei familiari riguardo il loro possibile contributo al miglioramento dell’assistenza al soggetto malato appare cruciale per ottenere una adeguata collaborazione e potenziare l’attività fornita dagli operatori professionali. L’informazione offerta tramite opuscoli predisposti a pazienti e caregiver ha fornito, in uno studio clinico randomizzato, vantaggi in termini di qualità percepita, riguardanti lo stato mentale dei caregiver che ricevevano le informazioni, senza ricadute significative sull’esito clinico dell’ictus o
sulla qualità di vita dei pazienti;292,293
e. la facilitazione della acquisizione della posizione seduta nei soggetti senza compromissione
dello stato di coscienza è consigliata da molti (anche senza prove formali di efficacia), a partire dal secondo-terzo giorno, a meno di condizioni cardiocircolatorie che rappresentino
una controindicazione assoluta all’avvio del programma di recupero della postura. La prevenzione delle cadute può essere realizzata attraverso azioni molteplici:
1. verifica del sistema di chiamata degli infermieri;
2. controllo ad interventi regolari dei servizi igienici;
stesura 15 marzo 2005
279
280
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
3. verifica frequente delle condizioni del paziente, controllando ed eliminando le sorgenti
di dolore o le cause di agitazione;
4. supervisione dei trasferimenti dal letto alla sedia o dal letto al bagno;
5. istruzione del paziente e della famiglia. I soli sistemi di contenimento (sbarre nel letto,
fasce trasversali, ecc.) possono non essere efficaci ed incrementare l’agitazione nei soggetti confusi:
f. previsione del recupero funzionale. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, in relazione
alle limitazioni esistenti nell’impiego di risorse destinate all’assistenza dopo l’ictus, raccomanda di selezionare i pazienti per i quali il futuro trattamento di riabilitazione intensiva
può essere importante, discriminando tre gruppi principali:294
1. pazienti con evoluzione favorevole indipendentemente dalla pratica riabilitativa;
2. pazienti che possono presentare miglioramenti solo grazie all’impiego di idonea assistenza riabilitativa;
3. pazienti con ridotta possibilità di miglioramento a prescindere dal tipo di riabilitazione.
Le informazioni disponibili consentono di avere una discreta quantità di indicatori sui fattori predittivi negativi del recupero (numero delle attività compromesse, gravità della compromissione funzionale, comorbosità, incontinenza sfinterica, invalidità persistente all’ictus, deterioramento cognitivo, depressione, ecc.), ma non offrono modi sicuri per discriminare la predizione di recupero spontaneo da quello legato alla riabilitazione intensiva. Due
ricerche di autori italiani hanno contribuito a definire alcuni indicatori predittivi favorevoli nei riguardi del recupero dell’autonomia: menomazione non grave, impegno occupazionale persistente dopo l’evento vascolare, età inferiore ai 65 anni, buone capacità di attenzione e di comunicazione verbale, tono dell’umore non compromesso. È comunque opportuno sottolineare che nessuno degli indicatori predittivi costituisce una condizione del tutto
vincolante, poiché anche soggetti di età avanzata e particolarmente compromessi possono
mostrare una evoluzione favorevole in termini di autonomia soprattutto in relazione al possibile miglioramento inatteso di alcuni fattori potenzialmente limitanti.295,296 La formulazione di una prognosi riguardante la sopravvivenza, l’autonomia nella deambulazione e la
ripresa motoria degli arti basata sulla perdita di coscienza all’esordio dell’ictus, sulla rapidità di aggravamento del deficit e sul recupero dell’attività motoria può essere realizzata già
al termine della prima settimana.297 Ad essa consegue la realizzazione di una proposta sul
setting riabilitativo più idoneo al soggetto curato e sulle modifiche potenzialmente necessarie per adattare la residenza abituale alla vita del paziente sopravvissuto all’ictus.
Molte altre situazioni sono comunemente affrontate nella fase acuta dell’ictus con ricadute sull’autonomia residua. Fra queste possono essere sottolineate le problematiche relative all’alimentazione, al controllo sfinterico urinario e fecale, ai traumi della spalla e agli altri traumatismi indotti dalle cadute dal letto, alla sonnolenza diurna eventualmente associata alla agitazione notturna. Tali condizioni sono affrontate in dettaglio nel Capitolo 14.
11.11
ELEMENTI
CARATTERIZZANTI LA DIMISSIONE
DALLE STRUTTURE DEDICATE ALLA FASE ACUTA
La pianificazione della dimissione dovrebbe essere avviata precocemente dopo l’accettazione
del paziente e dovrebbe prendere in considerazione i bisogni dei pazienti e dei loro familiari.294
È opportuno indicare le attività correlate alla prevenzione secondaria ed all’attività destinata
al recupero delle abilità compromesse, indicando anche eventuali referenti dell’unità ictus che
può fornire un aiuto nel coordinamento dell’assistenza.
Il piano di dimissione dopo la fase ospedaliera dovrebbe coinvolgere tutte le collaborazioni
con gli operatori territoriali, evitando il realizzarsi di attività non coordinate.
La dimissione del soggetto che ha subíto un ictus dalla struttura dedicata all’assistenza alla fase
subacuta, realizza un passaggio che dovrebbe essere predefinito nell’ambito del progetto assistenziale redatto al momento dell’ammissione del paziente. In altri termini, ogni struttura
dovrebbe identificare i propri criteri per la dimissione e realizzare un collegamento con altre
strutture assistenziali ospedaliere e territoriali, che garantisca la continuità dell’assistenza.17
La relazione effettuata alla dimissione del paziente dovrebbe comporsi di due distinte sezioni:
la prima che ripercorre le fasi assistenziali già espletate e la seconda che individua gli obiettivi da raggiungere e le modalità ritenute più opportune. In assenza di un progetto assistenziastesura 15 marzo 2005
Capitolo 11 — Ictus acuto: monitoraggio e complicanze nella fase di stato
le già formulato dal team competente per l’assistenza alle malattie cerebrovascolari, il paziente è trattato “come un pacco” che cambia destinazione a seconda delle prestazioni disponibili nell’area geografica di residenza e non come un soggetto a cui viene offerta una risposta adeguata ai bisogni di salute indotti dalla malattia cerebrovascolare.
Sulla base di tali premesse, la dimissione dovrebbe essere accompagnata dal resoconto dei problemi affrontati dall’esordio della malattia con indicazione dei motivi che hanno condotto a
certe scelte assistenziali. La relazione dovrebbe inoltre sintetizzare le condizioni al momento
dell’ingresso e descrivere l’evoluzione fino all’uscita, oltre a testimoniare gli incontri che il
team ha realizzato per affrontare il caso.279
Nella parte prospettica dovrebbero essere rappresentati i suggerimenti terapeutici a breve e
medio termine, i criteri di scelta del setting assistenziale preposto (altro ospedale, struttura di
lungodegenza, struttura di riabilitazione intensiva, domicilio con assistenza, ecc.) e gli obiettivi degli interventi sanitari realizzabili in tempi diversi. A tale scopo è infine importante sottolineare le motivazioni degli eventuali controlli presso la struttura della fase acuta chiarendo le
competenze necessarie per la realizzazione di un’adeguata assistenza continua.275
stesura 15 marzo 2005
281
282
SPREAD – Stroke Prevention and Educational Awareness Diffusion
Ictus cerebrale: Linee guida italiane
11.12
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