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ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono... e mi riferisco

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ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono... e mi riferisco
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SETTEMBRE 2014 ANNO 11 N 8
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
RIFORME: IN MOLISE COME IN ITALIA
ci sono moltissime persone nella Chiesa
che soffrono... e mi riferisco, in particolare,
ai divorziati risposati. Card. Martini
lotta e contemplazione
venirsi incontro
Rosalba Manes
"Bisognava far festa!" (Lc 15,32).
C'era una volta un anziano sacerdote che, dopo anni di
insegnamento e di impegno per la formazione umana e spirituaspirituale di molti, viveva ritirato in un luogo dove vi era anche
una scuola. Ogni giorno nell'atrio si udivano i suoi passi lenti, il
rumore del bastone con cui si accompagnava per andare più
spedito e il suo grido evviva che pronunciava andando incontro
a chiunque entrasse. Un giorno uno studente vedendolo arrivare disse: "Hanno scambiato questo luogo per una casa di riposo!". L'insegnante che aveva appena varcato la soglia, udendo
queste parole, prese in disparte lo studente e lo interrogò:
"Dimmi, cos'è per te il riposo? ". E lui imbarazzato: "Non saprei...". E la prof.: "Vorrei che oggi tu imparassi una cosa: l'uomo che hai preso in giro, di questo luogo agitato dalle ansie di
giovani che a volte non sanno cosa vogliono, ne fa davvero un
luogo di riposo. Ogni
giorno va incontro a coloro che si credono forti
solo perché giovani e grida festoso: "evvi- va!".
Eccolo il riposo vero: lo si
scopre quando ci si ricorda che la vita è un venirsi
incontro e il venirsi incontro è una festa! Questo educa più di sterili
manuali,
avvicinandoci
alla vita e alla sua bellezza avvincente che sono
le relazioni".
[email protected]
Luigi Mastrangelo: 11 settembre
Il tuo sostegno ci consente di esistere
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ABBONAMENTI PER IL 2014
ITALIA SOSTENITORI AUTOLESIONISTI
€ 10,00
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
E-mail
[email protected]
Quaderno n. 109
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Chiuso in tipografia il
26/08/12
25/08/14
Stampato da
Grafiche Sales s.r.l.
via S. Marco zona cip.
71016 S. Severo (FG)
Autorizzazione Tribunale di
Larino n. 6/2004
Abbonamento
Ordinario
€ 10,00
Sostenitore
€ 20,00
Autolesionista € 30,00
Estero
€ 50,00
40,00
ccp n. 4487558
intestato a:
la fonte molise
via Fiorentini, 14
10
86040 Ripabottoni (CB)
amare oltre i limiti
lettera aperta ai divorziati risposati per un cammino di chiesa
Antonio Di Lalla
Si può vivere anche senza denaro
(e i governi che si succedono fanno di tutto
per farcelo sperimentare), ma non senza
amore. È l’amore che dà senso alla vita, che
consente una vera e piena realizzazione: “Se
qualcuno provasse a comprare l’amore con
le sue ricchezze - dice il Cantico dei cantici otterrebbe solo disprezzo”, ne sanno qualcosa Berlusconi e quelli come lui! Un amore è
per sempre, non può essere progettato a
tempo o con data di scadenza, come un
qualsiasi prodotto commestibile. Ne eri
certo ieri quando decidesti di impegnare la
tua esistenza in quello che credevi l’amore
della tua vita, ne sei altrettanto convinto
oggi che, dopo un periodo burrascoso e tutt’altro che indolore, stai
intessendo un progetto comune con
un’altra persona.
In questa gioiosa fatica a
rifarti una vita, è così che volgarmente si dice, trovi incomprensibile, come credente, e non posso darti
torto, l’esclusione per tutta la vita
dai sacramenti che la chiesa ha
decretato nei tuoi confronti. Per tutti
c’è possibilità di perdono, anche
per quelli che commettono i delitti
più efferati, fuorché per quanti
come te che hanno messo su una
nuova famiglia. La domanda vera,
come diceva con grande intuito il
card. Martini, non è se i divorziati risposati
possono fare la comunione, ma in che modo
la chiesa può arrivare in loro aiuto con la
forza dei sacramenti. La strada forse è ancora lunga, ma una nuova consapevolezza sta
nascendo e noi, come tutti i pionieri, senza
demordere e lasciare le cose come stanno,
dobbiamo dare il nostro apporto perché
diventi patrimonio collettivo ciò che oggi si
è ancora in pochi ad anelare: una comunione piena nella chiesa, seppure dopo un serio
cammino penitenziale a cui sottoporsi, come era prassi nelle comunità degli inizi della
cristianità (G. Cereti, Divorzio, nuove nozze
e penitenza nella chiesa primitiva, EDB).
Non hai voluto far ricorso al tribunale ecclesiastico per dimostrare
“l’inesistenza del vincolo”, cioè che il con-
tratto matrimoniale era viziato alla radice e
quindi inesistente, perché vuoi giustamente
che possa essere costatata “la morte del vincolo”, cioè che l’unione ha esaurito tutte le
potenziali e rimanere ancora insieme sarebbe
un inutile e dannoso accanimento terapeutico. Pur di salvaguardare l’indissolubilità del
matrimonio si estendono sempre di più i capi
di nullità, mostrando così unicamente la non
volontà di prendere in seria considerazione la
possibilità che una relazione possa concludersi definitivamente e irreparabilmente. Il teorema è: se la coppia esiste vuol dire che è sana,
se è malata significa che non è mai esistita.
Perché non prendere atto che una relazione
possa ammalarsi con il trascorrere degli anni
e anche morire? (A. Grillo, Indissolubile?
Contributo al dibattito sui divorziati risposati, Cittadella). Il giuridismo ha ingabbiato la
chiesa, tarpando le ali proprio a quella libertà
per la quale è nata e della quale doveva essere messaggera profetica nella storia. È finita
prigioniera del proprio operato, come
l’artigiano protagonista de La giara di Pirandello. Si ha timore di prendere in considerazione la possibilità che l’amore finisca perché, dopo aver contribuito a strutturare la
società sulla famiglia, si teme che tolto questo
pilastro venga giù tutto l’impianto. A parte il
fatto che è possibile ipotizzare società costruite su altri valori, ma dove sta scritto che
dobbiamo esserne noi gli strenui difensori per
giunta in compagnia di tutti quegli esponenti
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politici che da fedifraghi hanno innalzato la
famiglia a valore non negoziabile, solo per
gli altri naturalmente?
Cristo nel vangelo pone ideali di
vita o norme comportamentali? È interessato a colpevolizzare o a far volare alto?
Possibile che la chiesa censuri il suo fondatore che non è venuto per i sani (o più correttamente: che si spacciano per sani!), ma
per i malati, impedendo proprio a questi di
incontrarlo nei sacramenti per tutta la vita?
È vero che il vangelo riporta parole molto
ferme, ma perché qui ci si ferma in modo
intransigente alla lettera del testo e quando
parla con ancor maggiore rigore contro la
ricchezza quelle parole vengono
depotenziate con penosi arzigogoli? Non sarà che una chiesa celibataria e sessuofobica ha costruito
una morale su misura di una gerarchia più intenta a fare cassa che
vivere l’amore?
Spero vivamente e profondamente insieme con te che
l’imminente sinodo dei vescovi,
convocato per riflettere sulla famiglia, sappia farsi carico di dare
risposte adeguate alle crisi che
investono la vita familiare. Non è
mia intenzione abbassare
l’asticella della responsabilità e
della presa in carico, banalizzare il
matrimonio, pensare che si possa cambiare
partner come si cambia una maglietta. So
bene di lacerazioni, frustrazioni, sopraffazioni, affidamento ed educazione di figli,
ecc. ma non è tollerabile oltre che qualcuno
venga tenuto ai margini della comunità vita
natural durante. E proprio perché ritengo
che solo l’amore può dare senso pieno alla
vita e restituire serenità, desidero che venga
data una seconda opportunità, che ognuno
possa essere messo in condizione di vivere
in pienezza, senza sensi di colpa, additato
magari ancora come “un pubblico peccatore” (come accadeva in tempi non lontani!).
Siamo chiamati a rendere ragione della
speranza che è in noi e possiamo farlo solo
se scommettiamo sull’amore. A oltranza.☺
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spiritualità
unione non imposizione
Michele Tartaglia
“È lecito a un uomo ripudiare
la propria moglie?” (Mc 10,2). Con queste parole inizia una discussione tra un
gruppo di farisei e Gesù sulla questione
del divorzio, a cui Gesù dà una risposta
apparentemente senza appello: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra
commette adulterio contro di lei; se la
donna ripudia il marito e ne sposa un
altro commette adulterio” (10,11-12).
Queste parole trovano una conferma in
Paolo, che scrive alcuni anni prima della
stesura del vangelo di Marco e fa un esplicito riferimento al comandamento di
Gesù: “Agli sposati poi ordino, non io ma
il Signore: la moglie non si separi dal
marito e qualora si separi, rimanga senza
sposarsi o si riconcili con il marito; e il
marito non ripudi la moglie” (1 Cor 7,1011). È su questi due testi che si fonda
principalmente la negazione del divorzio
nella chiesa cattolica romana e la possibilità di passare a seconde nozze, cosa che
invece era permesso nel diritto matrimoniale biblico. Per la cronaca il divorzio e
le seconde nozze sono ammesse anche
nel mondo evangelico e nell’ortodossia
cristiana per cui solo la chiesa cattolica ne
fa una questione senza appello, anche se
poi, per la concezione che si ha del matrimonio, che comporta libertà, volontà di
indissolubilità e apertura alla vita, rende il
sacramento quasi impossibile da realizzare per la mentalità odierna e giustamente,
con un linguaggio sbrigativo, si parla
delle cause di nullità matrimoniali come
del divorzio cattolico, con l’aggravante
che la nullità riconosciuta a livello civile
elimina anche gli obblighi di mantenimento tra i coniugi, cosa che invece è
opportunamente prevista nel divorzio.
La domanda tuttavia è se queste
affermazioni, per nulla contestualizzate
esegeticamente, possano essere il legittimo fondamento della condizione attuale
del matrimonio cattolico. Per rispondere
bisogna allargare lo sguardo in un’altra
direzione: le affermazioni del vangelo di
Matteo che, probabilmente, riflettono più
da vicino l’insegnamento originale di
Gesù. Nel passo parallelo a Marco la
domanda posta a Gesù è leggermente
diversa: “È lecito a un uomo ripudiare la
moglie per qualsiasi motivo?” (Mt 19,3).
Gesù, come anche in Marco fa appello al
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racconto della creazione dove si dice che i
due saranno una carne sola e commenta:
“Quello che Dio ha congiunto l’uomo non
lo separi”, come a dire che nel momento in
cui uomo e donna si uniscono è come se
avvenisse un nuovo atto creativo di Dio che
costituisce un unico essere da due che erano
in precedenza. All’obiezione che Mosè ha
comandato di dare l’atto di ripudio, Gesù
afferma che lo ha fatto per la durezza del
cuore. Si badi bene, non di entrambi ma
solo dell’uomo, perché la donna non è parte
attiva nella decisione, come invece farebbero credere Marco e Paolo. Quando si parla
di indurimento del cuore si parla di un atteggiamento di chiusura al bisogno dell’
altra che viene abbandonata a se stessa senza poter minimamente controbattere perché
non è destinataria del comandamento, riservato solo all’ebreo maschio. Per Gesù
l’obbligo di mantenere il vincolo coniugale
da parte dell’uomo deriva dalla necessità di
prendersi cura del più debole, visto che
nella società giudaica i diritti della donna
sono derivati dal legame con qualche figura
maschile: il marito o il fratello o il padre e
tra i comandi biblici c’è sempre un richiamo
esplicito a prendersi cura della vedova (che
si suppone non abbia altri maschi di riferimento) e dell’orfano, cioè dei bambini, altra
categoria senza diritti.
La risposta di Gesù in Matteo è la
seguente: “Chiunque ripudia la propria
moglie, eccetto in caso di adulterio, e ne
sposa un’altra, commette adulterio” (19,9).
Gesù risponde a una domanda precisa, se
sia lecito ripudiare per qualsiasi motivo e
lui dice che non è lecito per ogni motivo ma
solo per uno ben preciso: scoprire un adulterio della moglie (come avviene nel caso di
Giuseppe proprio all’inizio del vangelo, in
1,19). Con la sua risposta fa capire che interpreta in modo restrittivo il comandamento di Dt 24,1, dove si accenna che il motivo
per il ripudio è “qualcosa di vergognoso”
interpretato diversamente dalle due scuole
principali del tempo: quella di Hillel che
ammette il ripudio per qualsiasi motivo,
anche per aver cucinato male e quella di
Shammai che ammette il ripudio solo in
caso di adulterio. In tempi successivi un
altro rabbi, Aqiba, vissuto agli inizi del II
secolo d.C., addirittura ammetteva il ripudio
anche quando il marito trovava una donna
più bella. Gesù segue la tradizione interpre-
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tativa restrittiva perché ha a cuore la condizione della donna e per rendere più vincolante questa scelta, richiama il racconto
delle origini che afferma l’appartenenza
reciproca tra l’uomo e la donna.
Diversa è la situazione di Marco
e Paolo che sono inseriti in contesto ellenistico dove la donna ha potere di divorziare
dal marito. Anzi, addirittura Paolo parla di
più delle donne perché probabilmente erano (come anche oggi) in numero maggiore
nelle comunità. Ma quali donne potevano
permettersi il lusso di separarsi se non
quelle che avevano comunque la possibilità di mantenersi da sole? Negli Atti (16,14)
si parla di Lidia, che era commerciante di
porpora e quindi imprenditrice, che non
aveva bisogno di dipendere da un uomo
per vivere e questo spiega perché Paolo
deve insistere di più con donne che avevano la libertà di farsi cristiane mentre spesso i mariti rimanevano pagani (ne parla
poco oltre lo stesso Paolo). È possibile che
la facilità con cui le donne cristiane potevano dividersi dai mariti avrebbe gettato
cattiva luce sul movimento cristiano che
sarebbe stato visto come una setta rovinafamiglie (come accade anche oggi nei
movimenti settari) ed è per questo che
Paolo raccomanda di non distruggere
l’istituto famigliare appellandosi al rigore
di Gesù ben conosciuto dalla tradizione
evangelica; rigore che, in ambito giudaico
è per la difesa del debole ma, trasferito in
ambito pagano, ha di mira l’accettazione
dei cristiani nella società, cercando di fugare l’accusa di settarismo. Marco riflette
questa situazione e adatta un insegnamento
di Gesù al nuovo contesto culturale.
Se la Scrittura è letta bene tenendo conto del contesto, ci dice che per i
discepoli di Gesù non ci sono istituti immutabili, ma solo la cura che il vangelo sia
portato in ogni situazione, anche adattando
gli insegnamenti ricevuti purché ognuno
possa accogliere l’annuncio liberante del
vangelo, non l’imposizione di un peso in
sostituzione di un altro. ☺
[email protected]
lutto in famiglia
redazione e lettori si uniscono al
dolore che ha colpito le nostre care
collaboratrici
* Rosanna Celano per la perdita
del padre;
* Christiane Barckhausen-Canale
per la perdita della mamma.
glossario
partecipi e responsabili
Dario Carlone
tali di essere con gli altri: il faccia a faccia
e l’appartenenza”. Il primo costituisce la
relazione tra individui, a partire
dall’incontro di due per giungere alla collaborazione di molti, e comprende senza
dubbio tutte le tonalità delle relazioni interpersonali, dall’amicizia all’odio. Il faccia a faccia - potremmo dire single a
single - implica che ognuno risponde in
prima persona di quello che fa, può e deve
sforzarsi di riconoscersi responsabile delle
proprie azioni, fa presente all’altro le personali valutazioni su un determinato oggetto o evento, individua cause, cerca
soluzioni. Per evitare soprusi o violenze
questo mondo degli incontri umani è regolato da un minimo condiviso di regole di
cui ognuno deve essere consapevole ed a
cui attenersi. Il faccia a faccia intende una
collettività di persone consapevoli, non un
insieme amorfo e pericolosamente condizionabile, oggetto di quella forma sbagliata di “politica”, il populismo: “il contrario
del faccia a faccia dei volti umani è l’onda
senza volto della massa”.
Il secondo concetto che richiama
Roberta De Monticelli, l’appartenenza “è
invece la socialità come partecipazione a
una qualche comunità (di vita o di famiglia, professionale, di interessi, ideologica
o semplicemente culturale-linguistica,
nazionale, ecc.). È caratterizzata non da
un faccia a faccia ma da un fianco a fianco e può sussistere anche indipendentemente dalla nostra volontà”. Anche se
potrebbe apparire di grande impatto emotivo, con riferimento alle radici, alla tradizione, alla memoria, l’appartenenza, il più
delle volte, non rappresenta una libera
scelta dell’individuo, né un ambito in cui
esercitare autonomia di giudizio:
“veniamo al mondo in una comunità di
vita senza che nessuno ce lo chieda”, ma è
nostro compito impossessarci di una dimensione “personale”, di diventare coscienti di chi siamo e quale sia il “ruolo”
che rivestiamo, perché siamo individui,
single appunto!
“Soltanto se saranno rese di
nuovo possibili la fiducia e la stima reciproca nel faccia a faccia - suggerisce ancora la filosofa - potremo forse riuscire a
salvare l’aspetto di valore dell’ appartenenza” e contribuire ad una collettività di
single realmente partecipi e responsabili,
“come i singoli fili d’erba di cui è fatto un
prato, che non risplende del suo verde
tutto nuovo a primavera, se non perché
ciascun filo d’erba è nuovo”. ☺
[email protected]
Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
Single [pronuncia: singol]. Negli
ultimi decenni il vocabolo si è diffuso
così rapidamente da sostituire meglio
oscurare i suoi vari corrispettivi, in disuso
e poco noti soprattutto alle giovani generazioni.
Chi ricorda ed utilizza ancora
parole quali celibe, nubile, zitella, scapolo, come pure espressioni correlate del
tipo “libero, non sposato”? L’ onnicomprensivo anglofono ci solleva dalla necessità di indulgere sui particolari, di sforzarci di fornire spiegazioni relative ad uno
status che attiene alla vita strettamente
privata delle persone. Il termine - sostantivo o aggettivo - ci viene in soccorso per
offrire una definizione e ci libera
dall’imbarazzo della precisione!
Single. È condizione, stile di
vita, scelta, di tante persone, uomini e
donne. Progetto realizzato, epilogo di
relazioni sentimentali sbagliate, conseguenza di eventi imprevedibili e drammatici: si è o si diventa single facendosene
una ragione, ri/progettando il proprio
futuro, subendo a volte l’assenza di un/
una partner…
Ma single è ognuno di noi, individuo in un consesso sociale, persona con
le proprie caratteristiche, elemento di una
coppia consolidata - che sia sentimentale
o professionale, componente di un insieme umano più esteso!
Uscendo dall’ambito delle relazioni affettive vorrei estendere la riflessione, a partire dalle suggestioni che il vocabolo veicola. Per la filosofa Roberta De
Monticelli esistono “due modi fondamen-
Il ministro Franceschini sposa Bonefro.
Molti sperano in un santo in terra.
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clean economy
la carta del cambiamento
Giovanni Di Stasi
Il giorno 22 dello scorso mese di
luglio sono stati presentati a Palazzo Chigi
dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi
24 contratti di sviluppo. Sono state in tal
modo attivate le procedure per investimenti
pari a 1,44 miliardi di euro a sostegno di
progetti strategici da realizzare in Italia e
soprattutto nel Mezzogiorno. Vale la pena
precisare che sono stati messi a disposizione
700 milioni di euro di fondi pubblici e che
l’80% dei programmi riguardano, giustamente, la Campania, la Puglia, la Calabria e
la Sicilia. Nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza saranno così salvaguardati o creati
nella stragrande maggioranza i 25mila posti
di lavoro previsti, con una media di circa
1000 occupati per ogni contratto di sviluppo. Gli interventi
produttivi e la conseguente
ricaduta occupazionale riguarderanno il made in Italy e
l’innovazione nell’ambito industriale, commerciale e turistico.
Sarebbe stato bello il
varo di un 25° contratto di
Sviluppo denominato “Clean
Economy Molise”, ma non
bisogna rinunciare all’idea di
vararlo in futuro. Il Molise, che
negli ultimi anni ha conquistato
il record nazionale in fatto di
decrescita del PIL, ha un disperato bisogno di sviluppo e occupazione che scaturiscano da iniziative
imprenditoriali legate al territorio e sostenute
da interventi finanziari aggiuntivi rispetto a
quelli disponibili a livello regionale.
L’idea progettuale denominata
Clean Economy Molise serve alla nostra
regione, ma serve ancora di più all’Italia in
quanto contiene indicazioni che, se recepite
nei decreti attuativi relativi ai contratti di sviluppo, consentiranno al nostro Paese di investire con maggior profitto le sue risorse future. Nei contratti del 22 luglio, infatti, c’è
l’industria mentre manca l’agroalimentare,
quell’agroalimentare che è al centro di Clean
Economy Molise.
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Per comprendere la gravità di tale
assenza, possiamo chiamare in causa il brillante intervento di Fabrizio Barca, pubblicato
dal Sole 24 ore proprio in data 22 luglio 2014
con il titolo La nuova agricoltura dell’Italia.
Barca sottolinea “l’importanza di costruire
un’agricoltura innovativa, diversificata, contrattualmente forte, consapevole delle proprie connessioni con il paesaggio e con
l’ambiente, attenta al rapporto con il lavoro,
capace di attrarre giovani”. Per parte sua il
Ministro delle Politiche Agricole Maurizio
Martina ha scritto, nel Piano strategico per
l’innovazione e la ricerca nei settori di sua
competenza, che “é prioritario favorire
l’integrazione fra aziende (agricole e agroa-
Foto Silvio Mencarelli – Terra di Molise
limentari), sia a livello orizzontale che verticale nelle filiere (...) per ottimizzare
l’organizzazione dei processi, riequilibrare le
posizioni contrattuali dei produttori”.
Siamo totalmente d’accordo con
Barca e Martina e, per questo, invitiamo
entrambi a riflettere sul fatto che il contratto
di sviluppo è lo strumento più appropriato per
raggiungere gli obiettivi che essi si prefiggono. L’agricoltura è stata confinata per troppo
tempo in un ruolo subalterno all’interno delle
filiere agroalimentari oltre che nel dibattito
politico-economico. Negli ultimi decenni
sono cresciute le sue responsabilità rispetto
all’esigenza di mettere sul mercato prodotti di
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qualità, ma si sono ridotti i margini operativi
degli imprenditori agricoli. D’altro canto,
perfino la gestione dei fondi comunitari destinati all’agricoltura, al di là dei proclami e dei
bei titoli inseriti nei Piani di Sviluppo Rurale
predisposti e gestiti dalle regioni, punta alla
mera sopravvivenza del settore.
Possiamo anche aggiungere, senza
tema di smentita, che la stessa formazione e
attuazione di tali Piani avviene in un clima di
scarsa partecipazione, insufficiente trasparenza, diffuso disinteresse per il reale raggiungimento degli obiettivi fissati e inadeguata
verifica dei risultati raggiunti. Serve, dunque,
uno scatto di reni che consenta ai nostri imprenditori agricoli di stringere una robusta
alleanza con i cittadini per i quali producono
e di porsi come facilitatori di una corretta
fruizione dei beni agroalimentari, paesaggistici e culturali presenti sui territori di loro pertinenza. Con questa nuova forza contrattuale
gli imprenditori agricoli potranno negoziare
un rapporto corretto con gli altri interlocutori
delle deboli filiere agroalimentari
esistenti e strutturare insieme ad
essi attività economiche robuste e
durature.
Il progetto di Clean Economy
Molise è lo strumento adatto per
muoversi in questa direzione. I
tempi sono, dunque, maturi. Bisogna decidere, qui e ora, se attardarsi su un’anacronistica manutenzione ordinaria dell’esistente o osare
la carta del cambiamento. Il Molise, con la sua Clean Economy,
propone un radicale cambiamento
di rotta che punta ad una nuova
prospettiva strategica attraverso
strumenti operativi disponibili che
aspettano solo di essere affinati e attivati.
Con queste motivazioni abbiamo
deciso di incontrarci come associazioni, imprenditori, sindacati e amministratori pubblici
e siamo certi che il presidente della regione
Molise Frattura sarà con noi. Lo faremo a
Casacalenda il prossimo 27 settembre e proporremo al presidente Frattura di farsi portabandiera di una battaglia presso il governo
nazionale per il varo di un Contratto di Sviluppo Clean Economy Molise che possa
contribuire a risolvere i nostri problemi regionali, ma possa anche dare una indicazione
utile per la ripresa dell’intero paese. ☺
[email protected]
politica
Ogni giorno la sua sciocchezza! È
ammirevole la tenacia che grandi dirigenti,
capi di governo, imprenditori e commentatori
politici europei e in particolare italiani mettono nel ripetere da anni la stessa musica. A
giorni alterni da più autorevoli parti viene
annunciata la recessione. Dal Sud dell’Europa
ripetono che la responsabilità della crisi economica è della politica di austerità tedesca. I
più volenterosi affermano che con le riforme
l’Italia riprenderà il cammino dello sviluppo.
I più combattenti arrivano a dire che con
l’acquisto dei titoli di stato da parte della Banca centrale europea il problema delle gravi
difficoltà finanziarie, economiche e commerciali europee saranno risolte. Sino ad arrivare
ai buffoni di casa nostra che rilanciano la
bufala dell’articolo 18 come palla al piede
dell’economia italiana. Si dice di tutto e il
contrario di tutto pur di evitare l’unica cosa
sensata che andrebbe detta, quella verità semplice e che è essenziale se vogliamo iniziare
ad affrontare i serissimi problemi che abbiamo davanti come italiani, come europei e più
in generale come occidentali. Ancora una
volta abbiamo dovuto attendere le parole di
Papa Bergoglio, perché venisse squarciato
questo muro di omertà e complicità generale:
“nel mondo è in corso una terza guerra mondiale”, così dice il Vescovo di Roma.
Un grande passo avanti, ma non
basta. La realtà è che nel mondo è avvenuta e
per alcuni versi continua, una rivoluzione che
ha cambiato e sta cambiando tutto. Non è solo
crollato il muro di Berlino e il grande impero
sovietico, si sono capovolte gerarchie economiche fra le diverse nazioni, è mutata la distribuzione di ricchezze e di potere fra le diverse
aree del pianeta. Sono venuti meno i principi
che hanno ordinato il mondo nella seconda
metà degli anni ‘90. E il prezzo più caro lo
pagano, in primo luogo quelle aree del pianeta
dove da anni, come dice Papa Bergoglio, si
combatte una crudele terza guerra mondiale e
a seguire proprio da quelle metropoli capitalistiche che sino a ieri avevano ipotecato il
L'URGENZA DEL DISARMO
Le guerre provocano altre guerre.
Le stragi altre stragi.
Le armi uccidono gli esseri umani.
La cosa più urgente è salvare le vite.
Per salvare le vite occorre fermare le
guerre.
Le guerre le ferma il disarmo.
crisi di egemonia
Famiano Crucianelli
benessere e il futuro del mondo. La crisi
dell’Occidente non è solo crisi materiale, ma
è in primo luogo crisi di “egemonia”, è crisi
di quei valori, di quelle idee generali che
hanno governato il mondo negli ultimi decenni. Il capitalismo globale ha consumato il
valore della democrazia e della libertà, ha
compromesso diritti fondamentali nella società e nel mondo del
lavoro. Non solo l’ idolatria del mercato, il primato
del consumismo e la mercificazione di ogni attività
umana hanno trascinato
nella crisi quelle certezze,
quei principi che nella vita
sociale come nella sfera
individuale sono state a
fondamento del nostro
vivere comune.
Non è fuori
luogo parlare di tramonto
della nostra civiltà. Basterebbe fare un’istantanea del mondo per cogliere quanto radicali siano stati i mutamenti
e quanto sia stato sciocco, dopo il crollo
dell’Unione Sovietica, pensare che sarebbe
iniziata per l’Occidente una nuova età
dell’oro. In Giappone è al potere una nuova
classe dirigente che ha riscoperto il nazionalismo e il razzismo. In Cina, che è ormai la
prima potenza economica del mondo, un
potere politico assolutista ordina una sterminata società nella quale convivono forme di
sfruttamento del primo capitalismo con un
nuovo modernismo senza anima. In India
l’ambiguità della famiglia Ghandi e del Partito Democratico si è risolta con la vittoria alle
elezioni dei fanatici e fondamentalisti induisti. La guerra in Iraq e
le famose primavere
dei paesi arabi hanno
riaperto antiche e sanguinosissime ferite,
vere e proprie guerre
di religioni segnate da
crudeltà e violenze di
massa ben più feroci di
quelle che abbiamo
conosciuto con le
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dittature precedenti. Nella Russia siamo tornati al dispotismo della grande Russia antica
e lungo il confine che divide l’Europa occidentale dalla Russia attuale, nel cuore dello
stesso continente europeo, per l’arroganza e
l’ottusità degli Stati Uniti e per la subalternità
dei paesi europei è tornata una rischiosissima
guerra civile. In questi ultimi decenni di capitalismo globale abbiamo
avuto un trasferimento di
ricchezza, di lavoro e di
sviluppo da Ovest, dove la
crisi è iniziata a metà degli
anni ‘70, a Oriente. Si è
affermata sempre di più la
perdita di senso del valore
della democrazia e della
libertà nelle metropoli
capitalistiche. Infine abbiamo avuto il ritorno nei
nuovi paesi economicamente emergenti di sistemi
istituzionali sociali e culturali segnati in profondità da antiche vocazioni
autoritarie. L’autocrazia zarista in Russia,
Confucio in Cina, l’induismo radicale in
India, il nazionalismo estremista in Giappone
e da ultimo il fondamentalismo islamico.
Molto altro si potrebbe dire parlando
dell’America latina e della stessa Africa, ma
le considerazioni fatte ci dicono con chiarezza che oggi la discussione della cosiddetta
classe dirigente ricorda tanto le discussioni
sul sesso degli angeli, e le proposte che si
ascoltano, sono acqua fresca utili solo ad
alimentare illusioni e ad ingannare la pubblica opinione. ☺
[email protected]
7
libera molise
dopo le gran manze
Il 13 luglio scorso, Libera Molise ha
organizzato una giornata di formazione presso
l’azienda agricola Di Vaira di Petacciato (Cb) il
cui leitmotiv è stato Dopo le gran manze: per una
economia ed un ambiente eco-sostenibile. Le
relazioni sono state tenute dalla dott.ssa Paola
Santi, responsabile dell’azienda Di Vaira, “Agricoltura e allevamento biodinamico” e dal
dott. Antonio Cancellario, veterinario Asrem, “Zootecnia sostenibile”.
La motivazione dell’incontro di formazione è stata determinata dal progetto della Granarolo e dall’opposizione allo stesso da parte di
associazioni molisane, fra cui Libera, che hanno
dato una prova di condivisione degli obiettivi:
convincere i vari livelli delle amministrazioni pubbliche del danno che avrebbero
provocato al territorio molisano, se avessero dato il consenso al mega-progetto della
Granarolo. Il dissenso ha riguardato la
specifica natura del progetto della multinazionale emiliana, come, tra l’altro, la definizione “provocatoria” delle manze come
“macchine del nostro futuro”, dimenticando che gli animali sono esseri senzienti
a cui deve essere garantito un benessere
sia fisico che psichico. Non si può, inoltre,
dimenticare che i vantaggi economici
andrebbero unicamente agli allevatori del
nord; che garantire la salute a 12000 manze comporterebbe l’uso di sostanze per la
profilassi e la cura delle malattie i cui
metaboliti si riverserebbero nei terreni,
determinando un forte impatto ambientale
chiaramente esiziale; che le coltivazioni di monocolture per l’approvvigionamento alimentare delle
12000 manze sarebbero comunque a discapito
della biodiversità; che l’uso di acqua sarebbe di
enorme e smisurata quantità e che l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi provocherebbe
un grave inquinamento dell’aria, dell’acqua, del
suolo.
Ma è necessario dare delle indicazioni
alternative; quali potrebbero essere?
8
Se guardiamo alla storia della zootecnia e dell’agricoltura, possiamo verificare che
queste si sono integrate vicendevolmente, originando un sistema equilibrato di compatibilità
biologica ed energetica; ma fino a quando? È con
la civiltà industriale di fine XVIII secolo e inizio
del XIX che all’armonia dell’integrazione si è
sostituito l’obiettivo, il mito del profitto, che ha
messo in moto due grosse mostruosità,
l’agricoltura intensiva e l’allevamento industriale
che hanno comportato tutto quello che in sintesi
abbiamo descritto a proposito del ventilato insediamento delle “gran manze” in Molise.
Ora molti studiosi di agricoltura e di
zootecnia nonché economisti sostengono che
questo modello di crescita e di sviluppo in infinitum sia l’unico che possa risolvere il problema
dell’alimentazione dell’umanità e quello della
fame. Tale convincimento e tale progettualità
sono falsi e fuorvianti, in quanto hanno alla base
un unico obiettivo, quello di sfruttare furbescamente le risorse della terra, peraltro in via di esaurimento, allo scopo di raggiungere il massimo
profitto economico. Allora è necessario procedere
ad una seria e rigorosa programmazione che
preveda, tra l’altro, un
consistente
risparmio
energetico (a tutto vantaggio dell’ambiente e del
paesaggio); uno sviluppo
non selvaggio di energie
rinnovabili (solare, eolico), evitando speculazioni e disastri irreversibili a
danno del territorio; l’
elaborazione di un modello di alimentazione
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eticamente sostenibile nel rispetto degli interessi di
tutte le parti coinvolte (uomini, territorio, animali);
l’introduzione di una “filosofia” della biocultura
che comporti il passaggio da una prospettiva puramente economica ad una essenzialmente etica. Noi
dobbiamo passare dalla cultura dello sfruttamento
a quella dell’educazione della cura e della responsabilità nei confronti degli esseri su cui esercitiamo
il nostro potere.
Qual è la situazione nazionale? La
bilancia agroalimentare è cronicamente deficitaria:
importiamo più di quello che esportiamo e gran
parte del made in Italy alimentare viene realizzato
solo grazie all’uso di materie prime estere, fra cui
mais e soia OGM, presenti nel latte, nei formaggi,
nei salumi, nelle carni. Inoltre, la Coldiretti ha
preparato un dossier di criticità, partendo dagli
OGM, che non debbono far parte dei negoziati
UE ed USA sul Parteneriarato transatlantico per il
commercio e gli investimenti (T-tip). La battaglia
si preannuncia aspra, in considerazione
degli irrefrenabili interessi delle multinazionali, il cui scopo rimane sempre il
massimo profitto a danno della vita delle
popolazioni europee e nordamericane,
così come leggiamo su Le Monde diplomatique del mese di giugno scorso o come
abbiamo sentito dalle parole, chiare, di
Marco Bersani - Attac Italia - venuto per
un dibattito a Termoli il 26 giugno scorso.
Ma gli animali hanno realmente bisogno
per la loro alimentazione solo di mais e
soia? No di certo. Infatti, questi elementi
possono essere sostituiti dal sorgo (che
necessita di una sola irrigazione rispetto
alle otto del mais) e dalle leguminose tipo
favino che forniscono, tra l’altro, azoto al
terreno per il tramite della pratica agraria
detta sovescio, consistente nel sotterrare
nel terreno parti di piante allo stato fresco allo
scopo di arricchire i terreni di sostanze o renderli
più compatti.
E la situazione nel Molise? Nel Molise
gli allevamenti bovini sono 2703, di cui 1825
allevamenti da carne, 410 da latte, 468 misto per un
totale di 45.197 bovini. Secondo i dati INEA, nel
2012 l’agricoltura molisana ha prodotto foraggi per
un valore di circa 6 milioni di euro. Per far fronte
alle esigenze delle 12000 manze della Granarolo si
dovrebbe rinunciare all’alimentazione degli animali già presenti o si dovrebbe aumentare di moltissimo la produzione; ciò risulterebbe molto arduo, in
quanto la vocazione della coltura molisana è essenzialmente a frumento. C’è, poi, un altro problema,
molto serio, ed è quello della difesa del territorio da
possibili inquinamenti di origine zootecnica; nello
stesso momento, però, bisogna fare in modo da
preservare la fertilità del suolo agronomico del
Molise, adottando misure mitigative rispetto al
rischio di erosione (inaridimento e perdita di produzione).
libera molise
Uno sviluppo sostenibile è necessario
promuoverlo in considerazione del fatto che non
bisogna compromettere la capacità delle future
generazioni di soddisfare i propri bisogni. Pertanto, alla luce di questa considerazione bisognerebbe
evitare le omosuccessioni colturali, promuovendo
gli avvicendamenti con coltura miglioratrice del
tipo leguminose (trifoglio, favino, veccia). Essersi
contrapposti all’insediamento della Granarolo ha
voluto significare per noi essere favorevoli ad
allevamenti e produzioni zootecniche e coltivazioni sostenibili, diffuse sul territorio, che siano capaci
di generare prodotti di qualità certificata. La qualità deve essere intesa come l’insieme delle caratteristiche che contraddistinguono un prodotto alimentare, determinandone l’apprezzamento rispetto ad un obiettivo e a finalità che saranno stabilite
tramite processi di produzione “sostenibili”. Il
valore apprezzato dai consumatori oggi non è la
quantità dei prodotti ma come essi vengono generati. Noi pensiamo che sia possibile soddisfare il
“cliente” proponendo alimenti prodotti nel rispetto
del principio della sostenibilità a condizione che
gli allevatori siano accompagnati dagli enti e dalle
associazioni di categoria verso un cambiamento
culturale e siano soprattutto orientati alla manutenzione e al rinnovamento strutturale e tecnologico
delle proprie aziende.
Quali le proposte funzionali all’ ambiente, al territorio, al rapporto dinamico fra produzione agroalimentare e domanda di mercato?
- Inserimento nell’Ordinamento Costituzionale
della tutela dell’ambiente e del diritto di vivere in
un ambiente sano;
- Sviluppo e sostegno all’allevamento estensivo
con un giusto rapporto terra/animali ed alle produzioni biologiche;
- Certificazioni ambientali tramite il monitoraggio
costante di aria, acqua e suolo a livello regionale;
- Difesa e valorizzazione delle indicazioni geografiche e dei territori con certificazioni di produzioni
e con l’origine dell’alimento per il bestiame;
- Tutela delle produzioni agroalimentari italiane
dalla contraffazione alimentare e valorizzazione
dei prodotti a nicchia;
- Etichettatura obbligatoria anche per i prodotti di
origine animale come latte, carne, uova, formaggi…;
- Lotta agli OGM sostenendo da parte dello Stato
la ricerca pubblica ed i ricercatori indipendenti
allo scopo di fornire solide motivazioni scientifiche contro le coltivazioni OGM;
- Rendere operativi e coerenti i Piani di Sviluppo
Rurale in ragione della condizionalità che prevede
tra l’altro la tutela del territorio, la difesa della
biodiversità ed il benessere animale. ☺
A cura della segreteria regionale di
Libera Molise
[email protected]
la fattoria di vaira
Franco Novelli
Siamo stati nella Fattoria Di Vaira a
Petacciato in C.da Colle Calcioni il 13 luglio
scorso per una giornata di formazione sul tema
dell’agricoltura biologica e della zootecnia molisane. Temi davvero “consistenti” che hanno
spinto un piccolo, ma combattivo, segmento di
società civile molisana a dire “NO!” all’ insediamento, improduttivo per la nostra regione, della
Granarolo nel Molise.
Il Molise che vogliamo è quello che
sia valorizzato per le sue innate vocazioni: il turismo, l’agricoltura biologica, la zootecnia diffusa
per tutto il territorio, la valorizzazione delle tradizioni culturali alle quali è legata la storia della
nostra regione, con un sostegno veramente valido
e responsabile alle piccole e medie aziende da
parte delle amministrazioni pubbliche, il cui compito costituzionale non è quello di svendere il
patrimonio pubblico (con la motivazione ambigua e all’apparenza ingenua che non ci sono soldi
per la sua gestione!) ma quello di valorizzarlo con
sostegni economici costanti e duraturi. Mi vorrei
soffermare sull’insieme del lavoro che si svolge
nella Fattoria e nello stesso tempo esporre qualche
osservazione su quanto gravita attorno a questo
insediamento agricolo, dalle coltivazioni biologiche all’integrazione “ambiente e animali” che vi
crescono. Hanno suscitato molto interesse le
argomentazioni della dott.ssa Paola Santi, responsabile della Fattoria Di Vaira, agronoma veneta.
Dalle sue parole appaiono non solo professionalità e passione per la sua professione ma anche
tensione ideale per il Molise, vocato da sempre, a
suo dire, ad un’agricoltura biodinamica e ad una
zootecnia diffusa per tutto il territorio. Paola esordisce dicendo che la Fattoria Di Vaira è
un’azienda agricola caratterizzata da ambienti
naturali dove la produzione vegetale si integra con
quella animale; continua, poi, dicendo che la
Fattoria persegue gli insegnamenti di Rudolf
Steiner, secondo il quale l’azienda biodinamica è
una individualità agricola dove gli animali mangiano quello che essa produce, realizzando un
letame che conosce già il terreno al quale esso è
destinato. Questo letame è arricchito con preparati
biodinamici da cumulo. Allo scopo di incrementare le sostanze organiche del suolo e di favorire
l’umificazione, sono effettuate le rotazioni e la
pratica dei sovesci.
Nel giro che facciamo dopo il pranzo
Paola ci mostra il lato “estetico”, bello, quello non
commercializzato, se così possiamo dire,
dell’azienda in cui otto piccoli laghi sono circondati dalla flora e dalla fauna locali con siepi, alberi, macchia mediterranea, boschi di quercia, rove-
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rella, leccio, lentisco e robinia. I prodotti commercializzati - ortaggi, formaggi caprini e bovini,
olio, vino, miele, passate di pomodoro e di pomodorino, cereali come il grano tenero e il farro
- sono di ottima qualità e sono distribuiti con il
marchio di una nota azienda di distribuzione. Ci
ha colpito in particolare la cura destinata sia alle
stalle, tenute in ottima condizione - cosa che
avvantaggia gli animali che lì crescono, producendo un ottimo latte -, sia a quello che è alla
base di un’agricoltura biodinamica e biologica,
cioè la semente.
La maggior parte degli agricoltori
utilizza sementi ibride, in quanto spesso sono le
uniche disponibili sul mercato sementifero, che è
generalmente interessato solo a commercializzare semi che diano un frutto standardizzato, perfetto a vederlo. Ma non può essere così se vogliamo diffondere la cultura e la coltura della
biodiversità. Preservare la biodiversità e contrastare gli Ogm è compito non solo del mondo
dell’agricoltura ma anche di quello dei cittadini
partecipi alla res publica e, pertanto, responsabili
Non dimentichiamoci che è in atto
una guerra, solo apparentemente sotterranea ma
subdola e pericolosissima, del capitalismo finanziario e commerciale, definita con la siglia T-tip,
per la quale i cittadini europei e nordamericani
per primi saranno assoggettati alle regole commerciali delle multinazionali, i cui interessi e i
cui obiettivi sono considerati superiori e prioritari rispetto alla democrazia dei popoli e alla dignità dei cittadini del mondo occidentale. La battaglia contro gli Ogm (che vogliono azzerare
l’agricoltura biodiversa e biodinamica) è un
conflitto aspro e difficile da vincere, perché i
cittadini sono spesso distratti e inerti. Noi ci
proviamo sempre. In ultimo, rivolgiamo un
invito alla classe dirigente e a quella politica
attuale del Molise di andare a visitare questa
azienda e di fare un serio esame di coscienza per
come deve essere gestita l’agricoltura in Molise
e per come deve essere tutelato e valorizzato il
nostro territorio… ☺
[email protected]
Clean Economy Molise
Per il varo di un contratto di sviluppo ci si incontra a Casacalenda il 27
settembre nei locali del comune.
Certi che il presidente Frattura non
farà mancare la sua presenza.
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xx regione
cattivo pagatore
Giulia Di Paola
A leggere le reiterate richieste di
pagamento da parte non solo di aziende e
fornitori, ma anche di cittadini ai quali è
stato riconosciuto il diritto a bonus o altro
tipo di risorse si direbbe proprio che la
Regione Molise è un cattivo pagatore.
Esempi ce ne sarebbero tanti, ma
alcuni sono veramente illuminanti. Il Fondo nazionale per la non autosufficienza
del 2013 prevedeva il sostegno economico per le persone in condizioni di dipendenza vitale da assistenza continua e vigile e minori con grave disabilità da individuare secondo specifiche caratteristiche
riportate nel Programma Attuativo, in
base alle indicazioni del Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali che ha
anche erogato una somma pari a €
1.897.500. Completato tutto l’iter, non
senza difficoltà visto che la collaborazione
fra Enti diversi (Regione - Comuni) spesso comporta inciampi, sono state stilate le
graduatorie e individuate le persone che
ne avevano diritto. A maggio erano già
pronti i primi mandati provvisori, ma ai
primi di agosto i beneficiari ancora non
vedevano nemmeno l’ombra dei sussidi a
loro riconosciuti.
Ancora più allucinante è la vicenda dei bonus assunzionali. Era il 2011
quando vennero emessi i bandi regionali
per l’Azione di Sistema Welfare to Work
per le politiche di reimpiego, voluta e
finanziata dal Ministero del Lavoro, eppure ancora non è stata pubblicata alcuna
graduatoria per la concessione di bonus
assunzionali; non è stato emanato alcun
provvedimento di impegno di spesa; non
risulta effettuata un’istruttoria delle 157
domande ammesse a finanziamento; non
è avvenuta alcuna concessione e liquidazione del contributo spettante. Eppure ci
sono imprese che hanno assunto personale proprio in base a quel bando e che da
due anni pagano gli stipendi, ma senza
ricevere il bonus. C’è da chiedersi: che
strada abbiano preso i soldi erogati
dal Ministero? E se
lo sono chiesto
anche i consiglieri
di minoranza in
consiglio regionale,
in particolare Micone e Monaco che
hanno presentato
due distinte interrogazioni, ma le risposte tardano ad
arrivare.
Un segnale di vita,
però, sembra scorwww.su-mi.org: the wall
gersi anche nel
CAMPOBASSO
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microcosmo della Giunta Regionale del
Molise. Nella delibera 396 dell’11 agosto
scorso si legge chiaramente: “dopo una
articolata ricognizione, che di fatto ha
fatto emergere alcune criticità operative,
gestionali e di rendicontazione che potrebbero mettere a rischio la totale fruibilità
delle risorse programmate e ritardare le
condizioni per la rimodulazione delle risorse residuali, è sorta una esigenza condivisa di attivare una operatività straordinaria, che consenta di traghettare verso la
nuova programmazione gli interventi residuali che ci separano al 31/12/2015, anche in previsione del Comitato di sorveglianza POR FSE, ipotizzabile indicativamente alla fine di settembre 2014”. Così
viene istituita una task force che prevede il
coinvolgimento, ovviamente, dei dirigenti
dell’Area Prima, Terza e Seconda (in qualità di responsabile della programmazione), ma anche strutture quali: Italia Lavoro
e Molise lavoro; Sviluppo Italia Molise,
Finmolise, Università degli Studi del Molise. Questi ultimi dovrebbero essere particolarmente utili per azioni quali Garanzia
Giovani, Piano Integrato Giovani, Bando
giovani FSC2007-13 e le politiche del
Lavoro e dell’Occupazione.
È una risposta indiretta a quanto
ci si chiedeva prima: la Regione è in seria
difficoltà ad adempiere correttamente e in
tempi accettabili agli impegni assunti e
chiama tutti a raccolta. Cosa è cambiato,
però, nell’organizzazione della struttura
regionale da rendere così difficile ciò che
fino allo scorso anno si riusciva a fare
(bene o male non stiamo a sottilizzare)?
Veramente si è nell’incapacità di rispondere in maniera ordinaria all’attività ordinaria
o si tratta di una forma di commissariamento degli uffici preposti? Speriamo
almeno che non occorrano risorse aggiuntive.☺
[email protected]
convivialità delle differenze
In questa estate di paradossi non
solo climatici (guerre e mondiali di calcio,
Schettino che dà lezioni all’università mentre
dalla Concordia vengono ripescati i resti di
una delle vittime del naufragio) ho faticato
davvero a trovare il mio baricentro. Sarà che
per mia natura non riesco a ingurgitare cocktail dopo aver cenato davanti alle immagini
della striscia di Gaza e che ho avuto una sola
settimana priva (si fa per dire) di impegni, ma
mi sono sentita davvero poco in vacanza.
Di tutte le immagini tremende che
mi sono passate davanti agli occhi, una, terribile per la sua brutalità, ha catturato la mia
attenzione… è la foto di una sedia a rotelle
rovesciata e di un ragazzo di Gaza accanto al
corpo della sorella disabile che aveva tentato
di portare via invano dai bombardamenti. È
un’immagine che racchiude verità profonde,
comuni a tutti coloro che hanno
a che fare con le disabilità.
L’impotenza e la
frustrazione. Quando si ha una
persona amata con disabilità, le
si vorrebbe regalare lo stesso
mondo che ai normodotati è
concesso di fruire… fare una
passeggiata in montagna, osservare un tramonto, ascoltare una
canzone, sono attività che non
per tutti sono possibili, e ci si
deve necessariamente fermare
davanti al limite, alle barriere
che la natura e la società impongono. Di certo non è una constatazione
che si accetta di buon grado, e posso solo
intuire cosa avrà pensato il ragazzo di Gaza
che non è riuscito a scappare più un fretta per
portare in salvo la sorella.
Il senso di colpa. Poter fare qualcosa ed amare qualcuno che per condizione
personale non può fare la stessa cosa insieme
a noi genera la più complessa delle domande… perché io sì e lui/lei no? Da lì a colpevolizzarsi per la nostra “fortuna” il passo è bre-
restare umani
Tina De Michele
ve… si rischia di non apprezzare più nulla di
quello che si fa perché non la si può condividere con chi si ama. Come vivrà il ragazzo di
Gaza che sa di respirare ancora grazie alle
gambe che gli hanno concesso di scappare più
in fretta?
L’amore, un amore “diverso” da
tutti. Amare una persona con disabilità può
significare amare qualcuno che non sa abbracciarci, non sa baciarci, non sa regalare parole
d’affetto. Significa amare qualcuno che è in
qualche modo - ed a volte totalmente - dipendente da noi. È un amore sbilanciato, che tal-
volta vive di autocelebrazioni. Eppure è un
amore forte perché è totalmente disinteressato
e legato intrinsecamente a quello che si è, e
non a ciò che si fa o si dice.
La solitudine. È quello che forse più
spaventa di quella fotografia, il fatto che i due
ragazzi fossero soli. Soli in mezzo ad un cumulo di macerie. La solitudine degli affetti è
troppo spesso associata alla storie delle famiglie della persona con disabilità, vuoi per ignoranza, vuoi per paura, vuoi per dolore. La soli-
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tudine delle istituzioni è parimenti drammatica, perché lo stato dovrebbe rimuovere gli
ostacoli che consentono a tutti di vivere una
vita felice, e vergognosamente non lo fa.
Voglio ricordare Vittorio Arrigoni, che a Gaza è morto nel 2011, e la sua
lezione - che forse avrà appreso durante la
sua esperienza lavorativa per le persone con
disabilità - scandita in due semplici e icastiche parole: stay human, ossia “restiamo
umani”, e se ci si ragiona bene è davvero la
cosa più difficile di tutte.
In una società dove ci si sfida a
“postare” su facebook la foto della
vacanza più figa, dove occorre a tutti
i costi apparire felici e alla moda con
gli occhiali polarizzati, è davvero
difficile restare umani e guardare
cosa c’è dietro l’apparenza ed andare dritti all’essenza, e ad amare
l’uomo, chiunque esso sia e qualsiasi
condizione fisica o sociale abbia.
Anche se a ben vedere è l’unica cosa
a cui dovremmo restare aggrappati,
l’unica soluzione ai mali (anche
economici) del nostro tempo, l’unica
chiave per realizzare la vera uguaglianza sostanziale e la felicità di
tutti gli individui.
Una chiosa finale… sarà “rimasto
umano” il Sindaco di Termoli che per ben
due volte e senza alcuna giustificazione ha
rinviato l’incontro con i cittadini per discutere della formazione della consulta per le
disabilità? E soprattutto avrà riservato lo
stesso trattamento anche ai vari costruttori e
palazzinari? Chi lo sa… Seguiranno aggiornamenti.☺
[email protected]
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vincitori e vinti
voci di comunità
Frammenti di vita degli ospiti della comunità terapeutica
dei dimessi psichiatrici di Casacalenda
itaca, o del viaggio irrisolto
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell’irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l’anima non te li mette contro.
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti -finalmente e con che gioia toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che
puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.
Sempre devi avere in mente Itaca raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos’altro ti aspetti?
E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà
deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
C. Kavafis, Itaca
12
Il viaggio è una metafora spesso abusata,
perché aiuta, in poche semplici immagini, a definire il percorso, la meta, le difficoltà ed i desideri che alimentano un
percorso di vita.
Ed è il doppio registro del viaggio come
metafora e in senso concreto a dar vita
all'idea della rubrica che state leggendo:
un viaggio in auto, di certo, e un viaggio
ideale. È in questa declinazione che assume significato l'apertura della rubrica
con la poesia di Kavafis: da una parte, in
un primo piano di analisi dell'opera
dell'autore greco rintracciamo il senso di
un percorso da non affrontare con fretta,
da non cassare superficialmente, considerando la centralità che riveste il Percorso sopra ogni Meta in ogni retorica
del Viaggio e nei meandri esistenziali di
individui e popoli; dall'altra, ad un livello più profondo, la citazione offre l'opportunità di confrontare le nostre esperienze comunitarie con la finalità obbligata e necessaria, con quel Ritorno che
fa altrettanto parte del patrimonio simbolico della tradizione del Viaggio. Ritorno, dunque, come arricchimento, superamento e sintesi dialettica, rielaborazione,
oscillazione tra regressione e scarto,
colpo di reni finale, resa dei conti con la
circolarità della terapia di comunità:
Casa-Comunità-Casa. Tutti luoghi tradizionali della cultura occidentale - quelli
del Viaggio, della Casa e della Comunità
- con i quali quotidianamente ci confrontiamo e che, speriamo, possano affacciarsi, con delicatezza, tra queste righe.
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barbara e hyeronimus
La prima immagine del desiderio è quella
legata alla sessualità: il desiderio sessuale si
ferma ad ogni gradino; negli uomini forse è
più forte, nelle donne più debole. Ma io dico
che è lo stesso. Forse troppo caffè lo ferma.
Il desiderio del cibo si confonde con il bisogno, un bisogno primario: qui la necessità
oscura il piacere?
Il desiderio è un circolo (vizioso?), non si
estingue né si soddisfa, è sempre rilanciato.
Forse la sua fine coincide con l'estinzione.
***
Il Clown Stregone, di Sergio Petrillo
(titolo stabilito dall'assemblea di comunità)
***
La sera aveva chiuso i cancelli del giorno
e le città abbassate le sue palpebre di luce
infilavamo collane di parole per il debutto
dell'anima
occhiate furtive agli specchi dell'io
fu quando le riponemmo nello scrigno del
silenzio
che vidi il nudo corpo vitreo
e fu un balzo nel vuoto del nulla.
Maria Rosaria La Carpia
vincitori e vinti
Il testo presentato fa parte del materiale utilizzato per il cortometraggio “Domani sono
Fuori”, prodotto dalla Cooperativa Nardacchione e presentato nell'ambito della manifestazione cinematografica MoliseCinema;
tutti gli ospiti delle strutture hanno preso
parte al lavoro di costruzione del copione ed
alle riprese.
A Casacalenda si è svolto una rassegna cinematografica intitolata MoliseCinema. A questa manifestazione hanno partecipato gli ospiti della comunità il Casone con un cortometraggio intitolato
DOMANI SONO FUORI. Questo corto ha riscosso molto successo durante la presentazione tenutasi il 6 agosto al teatro comunale, che mi ha dato
l’opportunità di vestire i panni dell’attore. In
questo evento mi sono divertito e ho visto molta
partecipazione da parte della collettività di Casacalenda e interesse anche da parte di persone non
del luogo (Nicola).
Se hai costruito castelli in aria,
non demolirli:
piuttosto comincia
a costruire le loro fondamenta.
compagni di viaggio
Cristina Muccilli
Anatomia di una rivoluzione di G.
De Marzo ed. Castelvecchi è una lettura che
consiglio.
“… Distribuzione materiale e
riconoscimento sono le nozioni chiave della
giustizia nella realtà, mentre il processo
della giustizia, e cioè la partecipazione autentica a tutte le procedure con cui si prendono decisioni, rappresenta lo strumento per
raggiungerli”. Voglio iniziare da questo
assunto perché ha attinenza con il
periodo che stiamo vivendo ed è
centrale per la comprensione di
tutte le storture che il liberismo ha
provocato, e continua a perpetrare
nel mondo e ovviamente anche
nella nostra terra.
Assistiamo oggi al
disfacimento di quelle minime
ma essenziali regole che impedivano una netta separazione tra chi
ha in mano i sistemi di produzione della ricchezza e chi questi
sistemi li fa funzionare; regole che presiedevano alla, se pur parzialissima, redistribuzione della ricchezza stessa. E non sto parlando
della totale deregulation in materia di lavoro
e dei “totem da abbattere” (art 18) di paternità renziana ma propriamente di lavoro. I
campi di attività e di conseguenza le possibilità d’impiego vanno sempre più restringendosi poiché il capitale ha smesso di produrre
beni di consumo, in quanto eccedenti, e per
produrre profitti si è orientato nella finanza.
Così si è giunti alla devastante e apocalittica
situazione in cui versiamo, tutti a casa con
buona pace della politica la quale ha dismesso i panni della mediazione e della organizzazione sociale e ha vestito integralmente
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quelli di mero esecutore del potere economico. Che non ci siano fraintendimenti in Europa, con la sola eccezione di Tsipras, la politica istituzionale è questa.
Ma torniamo alla tesi iniziale, la
redistribuzione, dunque in quale maniera
attuarla e cosa redistribuire? Nella fase odierna la risposta non è facile ma sicuramente
semplice. Si redistribuisce attraverso la partecipazione e la consapevolezza. Partecipazione vuol dire incidere sulle scelte
politiche del proprio paese, della
comunità a cui si appartiene,
dell’entità sovranazionale di cui
si fa parte. E significa essere
presenti attivi nelle scelte da fare,
nelle attività da intraprendere sul
proprio territorio, rendendosi
soggetto attivo e preparato al
conflitto sociale.
Consapevolezza vuol dire essere
disponibile a dare risposte alternative a quelle offerte dalla governance, la quale ci vorrebbe immoti ad
attendere il momento adatto per: tornare a
lavorare, tornare a sentirci cittadini con diritti
e prospettive, tornare a vivere. Consapevolezza significa non solo avere una propria visione della crisi che ci sta annientando ma soprattutto condividere le analisi e le prassi per
l’attuazione di nuovi modelli per il superamento della stessa. Consapevolezza è riconoscersi compagni di viaggio e partire senza
tentennamenti.
Questo non è che un piccolo spunto tra i mille che offre questo splendido libro,
la promessa è che in futuro continuerò a parlarne. ☺
[email protected]
13
guerra e pace
“bellico” non è “bello”
Il termine latino bellum, “guerra”, secondo una singolare ipotesi di
Festo, un grammatico romano del II secolo d.C., deriverebbe da belua, “bestia
feroce”, quasi a ricordare la ferocia inaudita con cui gli uomini si combattono.
Ma la vera etimologia deve essere ricercata in un’altra voce latina, duellum,
“duello”, indicante la discordia fra due popoli: duellum → bellum
(analogamente, per alterazione, da duis è derivato bis). Poiché però bellum creava confusione con l’aggettivo bellus, “bello, grazioso”, di significato completamente diverso, in quanto diminutivo di bonus, “buono” (bonus → benulus →
bellus), l’italiano, come le altre lingue romanze, preferì sostituirlo con la parola
medievale germanica werra, che indicava la zuffa, la mischia, in contrapposizione alla guerra ordinata (bellum) di schiere contro schiere, secondo
l’ordinamento tipico dei Romani. Da bellum sono poi derivate le voci dotte
“bellico”, “bellicoso”, “belligeranza” e “belligerante”.
Proprio sull’accostamento di bellum e bello, così simili nel suono ma
opposti nel significato, gioca una frase, divenuta celebre, di Isidoro di Siviglia,
dottore della Chiesa e santo, morto nel 636 d.C.: bellum quod res bella non sit,
“[la guerra si chiama] bellum perché non è una cosa bella”. La citazione è tratta
dal suo capolavoro le Etimologie (18, 1, 9), che racchiude in venti libri tutto lo
scibile del tempo, prendendo come spunto le etimologie dei vari termini. E
poiché la si può considerare come una sorta di prima enciclopedia, nel 2002,
Giovanni Paolo II ha preso l’iniziativa di insignire Isidoro del titolo di patrono di
Internet e di chi ci lavora.
Quanto sia ancora valida, nella semplicità della sua formulazione,
questa fantasiosa paraetimologia di Isidoro di Siviglia, involontariamente trasformatasi in un frammento di saggezza, lo dimostrano non solo i numerosi
conflitti in corso in questi giorni in più punti dello scacchiere mondiale, ma
anche un classico della letteratura sulla Grande guerra, da leggere (o rileggere)
nel ricorrere dei cento anni dal suo inizio: Niente di nuovo sul fronte occidentale
di Erich Maria Remarque. È la storia, autobiografica, di un soldato tedesco durante la Prima guerra mondiale, che per certi versi sembra ricordare l’equivoco
accostamento bellum-bello: arruolatosi volontario insieme ad alcuni suoi compagni di classe, nella convinzione di vivere una “bella” avventura, il protagonista scopre invece nell’orrore delle trincee che la guerra “non è una cosa bella”,
come gli avevano insegnato a scuola facendo leva sulla retorica della patria e
dell’onore: “Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo,
l’esistenza: ci hanno costretti a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al
cuore; esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a
nulla”.
Filomena Giannotti
[email protected]
le armi uccidono
È una sciagurata decisione contro la legge e contro la ragione quella presa
dal governo e dal parlamento italiano di inviare altre armi in un'area del
mondo dove di armi ce ne sono troppe e dove le guerre e le stragi non
finiranno mai finché si continuerà ad alimentarle così. In Medioriente,
come ovunque, occorrerebbe invece mandare delle forze di polizia internazionale dell'Onu che passassero di casa in casa (e di caserma in caserma) e che sequestrassero e distruggessero tutte le armi che trovassero,
tutte. Questo occorre fare: il disarmo è la prima e più urgente necessità
14
diario di un inviato speciale in siria
Ho visto la violenza dei giorni rubare serenità
a uomini e donne: goccia dopo goccia, fino all’arsura,
ed ho sentito raffiche nell’aria, fin dal mattino
e poi ancora nella luce commossa dell’imbrunire.
Liberi come vagabondi, i soldati dalle mille avventure,
impavidi percorrevano strade sterrate,
lastricate di fame e solitudini,
con scarponi allacciati da malinconie indurite.
Lampi di luce piovevano dal cielo e infiammavano prati,
lasciando ferite tra polvere acre.
Avanzavano gli uomini, rudi e sconsolati,
legati dallo stesso destino sui sentieri battuti dal vento
e su terriccio annaffiato da lacrime spaurite.
Li ho visti piegati, i cristiani, senza rimorsi e senza peccati
ad annodare fiori coraggiosi, sbocciati all’alba, quando
nastri di nebbia abbracciavano tronchi ornati di perdono.
Tante le battaglie con sconfitte arroganti,
e in quelle notti non c’era la luna e neanche fiammelle di stelle
a guidarli nelle lunghe trame di tele menzognere.
Ho visto bambini dai passi stanchi e dallo sguardo stupito
sognare, sogni corti, nati dalle notti di carestie e sconforto;
sognavano pezzi di pane croccante, dal profumo invitante.
I bambini, prigionieri in mani ignote, nelle ore di paura
sognavano di giocare.
Stesi come ostaggi in un vecchio casolare, dal tetto marcito,
audace l’amicizia recitativa tra loro
e disegnavano orgogliosi su fogli sgualciti,
mentre fuori l’odio tutto cancellava.
Era come canto carezzevole, come un allegro salmodiare,
come un pizzico di luce per arrivare alla pace.
Carmelina Giancola
1a classificata sez A 7a edizione 2014 del concorso di
poesie “I segreti dell’Animo” organizzato dall’ Associazione Culturale Nuova Arcobaleno di San Martino
in Pensilis
omaggio a
Simone Camilli,
video reporter
ucciso a Gaza
frammenti di saggezza
dell'umanità intera. Le
armi uccidono gli
esseri umani, e l'uccisione degli esseri umani è il più disumano
dei crimini; ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignità, alla solidarietà.
Solo il disarmo ferma le guerre. Solo il disarmo salva le vite.
Peppe Sini,
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[email protected],
"Centro di ricerca per la pace e i diritti umani"
il calabrone
Devo scrivere l’articolo, devo scrivere
l’articolo!
Mi si affastellano nel cervello argomenti,
eventi, situazioni brucianti, di guerra, di violenza, di totale inumanità, cerco di dare un
valore ad uno di essi per trovare le parole
adatte: 1600 parole non più di cinquemila
battute.
O Capitano! Mio Capitano! Il nostro viaggio
tremendo è terminato
È terminato, per te sorriso infantile alla perdita…
oh goooood morning vietnammmmmmmm!
Dicono che dovessi sostenere i colpi della
vita.
Forse hai visto anche tu bambini massacrati,
corpi trucidati lì nella Palestina e il senso
d’immane impotenza: non si può solo fare
ridere.
Ci penserò domani! (Rossella) ho voglia di
rotolare giù giù, ma non ho scale di velluto
rosso né vestaglie di broccato!
Apro la tv.
Un’annunciatrice in posizione egizioromana
chiede se lo spinone è una pianta grassa o un
cane, pagando cinque euro la settimana potrei
vincere diecimila euro…
Cambio canale.
Un padre ha ucciso il figlio di diciotto mesi
per raptus di follia, rileva in tono grave il
giornalista di Cairo editore.
Ieri un uomo ha trucidato la moglie, un altro
la fidanzata: raptus di follia, rileva sempre il
giornalista.
Ma da dove viene questo improvviso annebbiamento della nostra consapevolezza a non
uccidere, ferire chi si ama, chi non si ama?
La tv ora mi fa vedere un uomo che immagina la moglie in reggiseno rosso e mutandine
di pizzo e sogna di fare notte con hotline,
servizi impeccabili anche in anonimato. In
schegge
Loredana Alberti
conclusione ti puoi fare le tue porno seghe in
eroticovirtuali nottate senza nemmeno andare per strada.
E il governo dei saggi e dei potenti del nostro
paese in un servizio di rete sette s’indigna che
prenderemo forse le tasse dalle prostitute,
prendiamo dalla feccia il nostro benessere?
La feccia?
Intanto spiego a una ragazza cui faccio lezione d’italiano la donna angelicata per Dante
che lo porta alla salvezza eterna e lei mi dice:
per Petrarca non è così perché Laura invecchia, lui la vede che invecchia…
Impossibile staccarsi dal giro di giostra!
Compare la signorina del gioco, m’invita a
scegliere se le cime di Lavaredo sono una
verdura o una montagna.
Forse arriva sì, ora il raptus di follia…
Mi aiuta in internet uno psichiatra di Ancona.
Che scrive, lasciate stare i folli e i raptus!
Esistono i malvagi, il cattivo.
Evviva Lucifero schiantato nel profondo
dell’Inferno, figura terribile ed emblematica
che sto spiegando alla mia fanciulla, parca di
immaginazione e stile, ha allora una sua fulgida comparsa!
Se siamo liberi di essere buoni, siamo liberi
anche di essere malvagi. E non è detto che i
malvagi siano folli; un po’ spicciola la spiegazione ma accattivante e tutti i depressi, e i
sofferenti psichiatrici si sentono per un attimo
assolti dal Male. E così sia.
È certamente malvagio chi stupra, soprattutto
quando lo stupro è di gruppo su donne dei
vinti, il vae victis perenne che ora si sta consumando nel mondo musulmano a consacrare la propria vittoria.
Una signora in tv sussurra all’amica di poter
finalmente entrare in ascensore senza problemi perché non emana odori spiacevoli, e
solca la soglia trepidante e felice con la sua
amica insieme a due agghindatissimi (e ovviamente
profumatissimisenzaproblemi)
uomini!
Mi chiedo quanto maleodoranti fossimo in
altri tempi senza T. e come i profumatissimi e
non problematici uomini ci sopportassero.
Oppure proprio per questo non ci inserissero
nei loro consessi. Solo per questione di odore.
Forse mi sbaglio.
Leggo che un califfo ha detto che è giusto
picchiare le donne perché sono inferiori e noi,
nei nostri salotti buoni meno buoni tinelli
luoghi di casa e di lavoro, inorridiamo arricciamo il naso dicendo che scandalo sono
degli incivili, ma quando arriveranno al nostro grado di civiltà?
Esco, da un cartellone pubblicitario, seminuda occhieggia una semidea e c’è scritto
"fidati, te la do gratis (la montatura!)”.
Ritorno a casa, leggo pagine da un bel libro di
Roberto Roversi: parole di guerra e di dignità
umana.
Vado a letto voglio vedere un telegiornale,
ma prima mi aggredisce una erotica aggressiva fanciulla che mi annuncia “Io sono Eva,
Eva Q!” disegno di un culo da cui entra una
supposta (appunto evaq) per fare e v a c u a
re! (intelligente gioco di parole!).
Che dire? Fra raptus di follia e malvagità c’è
lo zoccolo duro del potere! Dormirò e non vi
dico il nome delle pillole!☺
[email protected]
Bonefro, Villaggio dei terremotati - 6 luglio 2014: incontro annuale dei preziosi
collaboratori (presenti purtroppo solo in parte) della nostra rivista .
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arte
giambattista pizzetta
Gaetano Jacobucci
Figlio di Giacomo, scultore e intagliatore in legno, Giovan Battista Piazzetta
nasce a Venezia il 13 febbraio 1683. Dopo
una prima educazione artistica nella bottega
del padre, passa verso il
1697 in quella del pittore
Antonio Molinari. Tuttavia va detto che l’artista,
in una lettera del 10 agosto 1744 ad Angelo Nicolosi, indica come suo
primo maestro il friulano
Silvestro Manaigo. All’
età di vent’anni si reca a
Bologna dove conosce
l’opera di Giuseppe Maria
Crespi, che sicuramente
esercita su di lui una profonda impressione. L'influenza che sul Crespi ha
esercitato Carlo Cignani
può poi spiegare le analogie tra alcune opere del
Piazzetta, come la Gloria
di San Domenico, ed il
capolavoro dello stesso
Cignani, l'affresco della cupola della cappella
della Madonna del Fuoco nel Duomo di
Forlì.
Pittura sensuale
Tornato a Venezia, nel 1711 Piazzetta figura iscritto alla “Fraglia dei Pittori”.
Qui ottenne le prime importanti commissioni
come la pala con la Madonna e l'Angelo
Custode, eseguita tra il 1717 e il 1718 per la
Scuola omonima, della quale sopravvivono
un frammento conservato al Detroit Institute
of Art e il fine bozzetto del Los Angeles
County Museum of Art. Degli stessi anni è
probabilmente il ritratto della pittrice Giulia
16
Lama che, secondo la tradizione romantica
per il suo timbro sensuale ed appassionato,
evidenzierebbe l’esistenza di un legame tra i
due artisti più intimo di quanto non emerga
dai documenti. L’Arresto
di San Giacomo segna
l’inizio di un momento
della carriera del Piazzetta
ricco di importanti commissioni religiose. La tela
è considerata, al pari del
Martirio di S. Bartolomeo
dipinto negli stessi anni da
Giambattista
Tiepolo
(1696 - 1770) e anch’esso
destinato alla chiesa di
San Stae, uno dei capolavori chiave della pittura
della prima metà del XVII
secolo e testimonia quanto l’artista prediligesse il
contenuto drammatico e il
chiaroscuro violento. Il 22
novembre 1724, Giovan
Battista sposa Rosa Muzioli nella chiesa dei Padri
Cappuccini alla Giudecca, e nello stesso anno
comincia la collaborazione con l’editore
veneziano Giambattista Albrizzi, che culminerà tra il 1736 ed il 1757 (dopo la morte
dell’artista) con la pubblicazione in dieci
volumi delle Oeuvres di Jacques-Bénigne
Bousset, corredate da incisioni disegnate dal
Piazzetta stesso.
Gli sfinimenti dell’estasi
In questo periodo realizzò la sua
prima opera monumentale, la Gloria di San
Domenico per la Chiesa dei Santi Giovanni e
Paolo. Cosciente dei pericoli insiti in quel suo
deciso chiaroscuro, esegue una composizione
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con un cielo aperto senza barocchismi architettonici, smorzando i bruni con i toni freddi
giungendo così a una luminosità più pacata.
La sua notorietà, che aveva ormai varcato i
confini veneziani, raggiunse l’apice nel 1727
quando
venne
eletto
membro
dell’Accademia Clementina di Bologna.
Con l’Estasi di San Francesco,
dipinta per la chiesa francescana dell’ Aracoeli di Vicenza, Piazzetta introduce alcuni
elementi inusuali soprattutto sul piano iconografico. All’interno di un consolidato schema
compositivo - ripreso dalla pala con la Visione di San Filippo Neri di Santa Maria della
Fava - l’artista decide di rappresentare non il
momento dell’estasi vera e propria, bensì
quello immediatamente successivo nel quale
il santo riposa sfinito, col volto tirato tra le
braccia di un angelo.
Nel 1738 porta a termine la pala
con i Santi Vincenzo Ferreri, Giacinto e Lodovico Bertrando iniziata tre anni prima per
la chiesa dei Gesuiti, mentre l’anno successivo viene menzionato nell’elenco degli Accademici d’onore dell’Accademia Clementina
di Bologna, quale “egregio, ed aggiustato
pittor viniziano”. Nell’ultimo periodo della
sua produzione Piazzetta alterna a convenzionali composizioni “storiche” come La Morte
di Dario, soggetti religiosi di minor importanza e soprattutto scene pastorali come
l’Indovina delle Gallerie dell’Accademia, o
l’Idillio sulla spiaggia del Wallraf-Richartz
Museum di Colonia.
In riconoscimento dei suoi meriti e
delle sue note qualità didattiche, venne nominato nel 1750 direttore della Scuola di nudo
dell’Accademia veneziana, istituita dal Senato in quello stesso anno. Nonostante tali gratificazioni il Piazzetta trascorse gli ultimi anni
della sua vita in uno stato di indigenza, fino
alla morte sopraggiunta il 29 aprile 1754
nella sua casa al ponte dei Saloni a San Gregorio.☺
[email protected]
mondoscuola
"Sulla scuola stiamo lavorando, e
seriamente, con il ministro Giannini e con la
sua squadra. E il 29 agosto presenteremo
una riforma complessiva che, a differenza di
altre occasioni, intende andare in direzione
dei ragazzi, delle famiglie e del personale
docente che è la negletta spina dorsale del
nostro sistema educativo". Così si è espresso
il presidente del consiglio, Matteo Renzi, in
una recente intervista al settimanale Tempi,
annunciando le prossime linee guida sull’
istruzione.
Secondo Renzi, la scuola "non è
affatto vero sia un problema, ma un asset
strategico del nostro Paese, che va valorizzato e messo in sicurezza. In ogni caso la sfida
educativa è la mia priorità. Tra dieci anni
l`Italia non sarà come l`avranno fatta i funzionari degli uffici studi delle banche o i politici di Montecitorio; l`Italia sarà come
l`avranno fatta le maestre, i maestri, gli insegnanti". Belle parole. Ma l’anno scolastico è
alle porte, con le sue sfide. Cosa ci aspetterà,
in soldoni?
Diciamo pure che Renzi continua a
mandare messaggi “forti” sulla scuola. In
parte assai preoccupanti e discutibili.
L’apertura pomeridiana resta per esempio
un’incognita di tutto rispetto. Ora, però, è
arrivato il momento di capire cosa vuol fare
in concreto il governo. Sui contenuti delle
linee guida si è scritto tanto. Nelle ultime ore,
le indiscrezioni indicano tre grandi capitoli su
cui il provvedimento dovrebbe articolarsi: i
programmi e le competenze, l'autonomia
scolastica e i docenti. È su questi punti che
negli ultimi giorni si sono focalizzati i contatti
tra il premier Renzi e il ministro Giannini.
L'obiettivo sarebbe quello di perfezionare una serie di piste di riflessione sulle
quali poi aprire il dibattito, seguendo un metodo già adottato (almeno sulla carta) per le
altre riforme. Probabile quindi l'apertura di
una consultazione tra insegnanti e cittadini.
La richiesta della consultazione “popolare”
continua ad essere, in effetti, un ‘pallino’ dei
rappresentanti del Pd. Come Umberto D'Ottavio, della commissione Cultura della Camera, secondo cui "le riforme vanno costruite
dal basso - ha detto - e con la partecipazione
dei cittadini interessati, a cominciare da
insegnanti e studenti". Parole sante, che attendiamo vedere in atto, stufi delle riforme calate
dall’alto senza criterio e senza rispetto del
lavoro quotidiano di chi in classe consuma
energie e spende competenze faticosamente
basta slogan
Gabriella de Lisio
conquistate.
Premesso che resta da capire cosa
accadrà qualora alcuni punti vitali della riforma (per esempio l’orario dei docenti) fossero
rigettati dai diretti interessati, l'altra grossa
novità è che questo "pacchetto scuola" non
dovrebbe essere una misura a costo zero o
addirittura realizzato in chiave di risparmio,
ma potrà poggiare su un intervento coperto
da un cospicuo stanziamento di risorse nella
Legge di Stabilità: nei giorni scorsi Renzi ha
parlato di "1 miliardo di euro". Una cifra
tanto considerevole da sembrare quasi uno
scherzo: abbiate pazienza, noi insegnanti non
ci siamo abituati, perché invertirebbe di netto
il leitmotiv di decenni di tagli e ristrettezze sul
fronte scolastico.
Intanto a settembre entrerà in vigore il nuovo sistema di valutazione nazionale,
approvato nel 2013 e volto a completare il
ruolo attualmente svolto dall'Invalsi. Il nuovo
strumento, costruito su tre gambe: Invalsi,
Indire e Ispettori, servirà a ogni scuola per
segnalare le debolezze e i punti di forza riscontrati all'interno dell'istituto. L’augurio è
che i risultati, qualunque essi siano, servano
poi a migliorare quello che non va. Continuare ad alterare gli esiti dei quesiti per far bella
figura (e questo lo facciamo noi insegnanti,
ce lo dicono le statistiche ogni anno), oppure,
nel migliore dei casi, spedirli sani sani al
sistema nazionale senza poi alcuna ricaduta
in termini di un potenziamento della didattica
o un intervento concreto sulle criticità emerse, a cosa serve?
Si dovrebbe poi procedere, per
evitare il continuo ricorso ai supplenti, a creare un unico organico che sia disponibile per
tutte le scuole aderenti alla stessa rete.
Mentre il
governo abbandonerebbe l'uso di strumenti multimediali come
tablet e lavagne (questi
ultimi si sono rivelati,
infatti, troppo costosi e
di vita breve, data la
rapidità con cui escono
nuovi e più funzionali
modelli), introdurreb-
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be anche il primo approccio all'informatica
nelle scuole primarie.
Interessante invece appare l'esigenza di stabilizzare oltre 26 mila docenti di
sostegno nel triennio 2013-2015. In vista,
pure un ritocco agli esami di stato le cui novità più salienti riguardano l'insegnamento di
una materia in lingua straniera nel corso di
tutto l'ultimo anno della scuola superiore
secondaria, materia che sarà oggetto poi di
discussione in inglese alla maturità.
Si vorrebbe pure recuperare gli
insegnamenti di geografia, musica e storia
dell'arte, materie messe in ombra dal riordino
della Gelmini. Per quanto riguarda invece
l’edilizia scolastica, secondo le stime calcolate dal Corriere della Sera, il provvedimento
da oltre un miliardo di euro annunciato da
Renzi dovrebbe coinvolgere oltre 21 mila
edifici.
Tuttavia, i problemi principali
restano la mancanza di fondi e i 160mila
precari della scuola, di cui si parlerà in un
forum organizzato proprio dal Miur per il
mese di ottobre, a Firenze. E per ora, ci fermiamo qui. Per sommi capi, lo scenario è
questo. A parole.
Di cose in pentola ne bollono parecchie. Ma restiamo a vedere. Con estrema
prudenza. Qui non c’è in gioco qualche aspetto della scuola da ritoccare. Qui, in Italia,
c’è il prestigio sociale e la dignità di un’intera
categoria di professionisti da ricostruire. Insieme con l’efficienza di un sistema
d’istruzione zoppicante, inadeguato. E non è
operazione che può essere realizzata a colpi
di slogan. Ci vogliono i fatti.
Buon anno scolastico. A chi non molla mai☺
[email protected]
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letti e riletti
novecento
Mara MAncini
"Succedeva sempre che a un certo
punto uno alzava la testa... e la vedeva":
l'America. Il Virginian era un piroscafo, e
negli anni tra le due guerre faceva da spola tra
Europa e America. "Quello che per primo
vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. E
non bisogna pensare che siano cose che
succedono per caso, no. (...) Quella è gente
che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita", negli occhi. "Negli occhi
della gente si vede quello che vedranno, non
quello che hanno visto": l'aveva detto Danny
Boodmann T.D. Lemon Novecento a Tim
Tooney. Si erano conosciuti sul Virginian in
una notte di burrasca e divennero presto grandi amici; suonavano insieme, tutte le sere, per
i passeggeri della nave. Novecento era stato
trovato da un marinaio in una scatola di cartone appoggiata sul pianoforte della sala da
ballo della prima classe. Era nato a bordo,
nell'oceano. Ad otto anni, restando orfano per
la seconda volta ed avvicinatisi alla terra, il
capitano della nave chiamò le autorità portuali per farlo finalmente scendere. Non lo trovarono mai. Ripartiti dopo 22 giorni, la se-
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conda notte di viaggio, tutti i passeggeri uscirono dalle cabine per ascoltare una musica
mai sentita prima, proveniente dalla sala da
ballo della prima classe. Dove aveva imparato a suonare? E poi in quel modo... "Non
esisteva quella roba, prima che la suonasse
lui, okay? non c'era da nessuna parte. E
quando lui si alzava dal piano, non c'era
più... e non c'era più per sempre". Non era
mai sceso da quella nave ma viaggiava quando suonava; raccontava di sensazioni, situazioni e rumori, paesaggi come se le avesse
provate, vissute, come se li avesse sentiti,
visti. E lo aveva fatto: "negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno". "Il mondo,
magari, non l'aveva visto mai. Ma erano
ventisette anni che il mondo passava su quella nave". Novecento "sapeva ascoltare. E
sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni
tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la
gente si porta addosso". E quando suonava,
faceva scivolare le dita sulle loro storie, sui
loro racconti o su quello che in loro aveva
letto, spiato, rubato.
Danny Boodmann T.D. Lemon
Novecento, il più grande pianista che abbia
mai suonato sull'oceano. E lo sarebbe stato
anche della terra, se solo fosse sceso. "A me
m'ha sempre colpito questa faccenda dei
quadri. Stanno su per anni, poi senza che
accada nulla, ma dico nulla, fran, giù, cadono". Un giorno, all'amico Tim Tooney, Novecento confidò che a distanza di tre giorni
sarebbe sceso dal Virginian. Fran. E sarebbe
sceso... per vedere il mare. Lynn Baster, un
contadino che aveva incontrato sulla nave, gli
raccontò che quando per sbaglio aveva visto
il mare per la prima volta, questo gli urlò di
quanto immensa è la vita. "Posso rimanere
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anche anni, qua sopra, ma il mare non mi
dirà nulla". Dopo tre giorni, fuori da quella
nave... primo gradino, secondo gradino, terzo
gradino... Terzo gradino. Al terzo si fermò, e
poi tornò indietro. Cosa lo trattenne, all'amico
lo disse dopo anni, ritrovatisi prima di dirsi
definitivamente addio. Durante la guerra il
Virginian era stato usato come ospedale viaggiante ed ora, mal ridotto, avevano deciso di
buttarlo a fondo. Sospettando la sua presenza
a bordo, l'amico era andato a cercare Nocento
su quella nave, il suo mondo, la sua casa. E lo
trovò, fedele all'oceano. Sarebbe sceso stavolta, per la prima volta?
"Ora tu pensa: un pianoforte. I
tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che
sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non
sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro
quei tasti infinita è la musica che puoi fare".
Su quel terzo gradino, Novecento ebbe l'impressione di avere davanti una tastiera infinita, raccontò all'amico di milioni e miliardi di
tasti; una tastiera infinita su cui non si può
suonare nessuna musica; un seggiolino sbagliato, il pianoforte di Dio. "Tutto quel mondo
addosso che nemmeno sai dove finisce. E
quanto ce n'è". Su quel terzo gradino a fermarlo non fu ciò che vide, ma quello che non
vide. "Tutta quella città... non se ne vedeva la
fine": "quel che non vidi è dove finiva tutto.
La fine del mondo". Novecento era nato su
quella nave, "il mondo qui passava, ma a
duemila persone per volta"; e si era abituato a
suonare su una tastiera che non era infinita.
Ora, non essendo stato capace di vivere i suoi
desideri, li ha "incantati", così da dirgli addio.
"Non siamo pazzi quando troviamo il sistema
per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c'entra la pazzia. É genio, quello.
É geometria. Perfezione".
Danny Boodmann T.D. Lemon Nocecento.
Adesso si allontana scomparendo nel buio,
sei quintali e mezzo di dinamite (Novecento
di Alessandro Baricco, Feltrinelli). ☺
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spazio giovani
terzo settore
i giovani e la crisi
Giovanni Mucciaccio
Uscendo la sera a passeggiare con gli amici, troviamo in ogni luogo qualcuno che parla della
crisi. E così ci accorgiamo che è entrata a far parte
delle nostre vite quando in una conversazione non
possiamo fare a meno di parlarne.
Sembra però che non moriamo tutti di fame
in Italia, o almeno nei nostri piccoli paesi; che tutti
abbiamo dei “bei vestiti” o un “cellulare buono”. Allora dov’è la crisi, se non ci sono tutte queste limitazioni di cui si parla? Con i risparmi andiamo tutti in
vacanza e forse l’aria estiva ci fa dimenticare il resto
del mondo e la crisi!
Si dice che quelli che pagano di più gli effetti della crisi siamo noi giovani. Nel nostro paese c’è
sempre meno lavoro; questo è vero, infatti quanti sono
quei giovani che hanno voglia di lavorare e non trovano lavoro? Le grandi città della nazione e le piccole
cittadine della regione attraggono sempre di più i
giovani dei nostri paesi, perché forse lì è più facile
trovare delle opportunità di lavoro. Finiremo tutti per
fare “il cameriere col sogno di diventare calciatore”,
cioè che ci accontenteremo di un lavoro più a portata
di mano piuttosto che continuare ad inseguire le nostre aspirazioni (in cui magari siamo anche più abili).
Ma ciò non deve accadere!
E poi viaggiare all’estero non è forse il sogno di tutti? Se qualcuno però va all’estero per cercare
lavoro è tutto un altro discorso. Per esempio i ragazzi
americani, come spesso vediamo anche nei film o
leggiamo nei libri, fanno dei piccoli lavori. E ciò è
totalmente legale, infatti la legge permette che un
minorenne possa lavorare per un massimo di cinque
ore al giorno. Cosa succederebbe in Italia se ci fosse
una legge così? I ragazzi andrebbero a lavorare perché
ne hanno voglia, o perché verrebbero spinti dai loro
genitori ad aiutare la famiglia? Se nel nostro paese,
invece, si dice che non c’è lavoro, ciò significa che
non c’è per tutti: né per i più piccoli, né per i più grandi.
Quando però vediamo che nei nostri piccoli
paesi apre qualche nuovo negozio e che i bei vestiti e i
risparmi per andare in vacanza ce li abbiamo più o
meno tutti, allora ci accorgiamo che forse, per trovare
lavoro e costruirsi un futuro, non serve andare lontano; perché se c’è la crisi in Italia c’è nelle grandi città
come nei piccoli paesi.
Sicuramente la speranza in un futuro migliore alberga nel cuore dei giovani e sarà proprio
questa speranza a rappresentare la forza per una ripresa vera e duratura, anche se al momento latente.
[email protected]
il domani che verrebbe
Leo Leone
Di recente la politica sembra aver dato ascolto alle istanze del Terzo Settore volte a introdurre segnali concreti di innovazione nell’ambito delle politiche sociali. A fine mese, siamo in agosto, sono previsti incontri tra governo e rappresentanti di
cittadinanza attiva impegnata per tradurre in leggi proposte già discusse da tempo. I
dati che sollecitano tale traguardo sono ormai alla portata di tutti. Solo per accenno:
la disoccupazione giovanile in Italia è al 43% e al suo interno il 24% sono ragazzi
con età compresa tra i 15 e 29 anni, indice decisamente superiore alla media europea
che segna il 15,9%.
La svolta storica dovrebbe consistere nella rivalutazione del sociale in
termini di impresa e di economia che vada oltre i ristretti spazi della solidarietà e del
sostegno ai più deboli. È questa l’opinione di esperti in materia che non concordano
da tempo nella stessa sigla che parla di terzo settore, una etichetta che rende
l’umanesimo solidale circoscritto in angoli ristretti e senza ricadute significative
nella politica di più ampio respiro.
Come sta avvenendo in molti paesi, tra questi Francia, Germania e Spagna
anche, il cosiddetto Terzo Settore va collocato in uno spazio che non sia tra i primi in
termini di prestigio o potere ma che salga ad un livello di promozione e di valori
anche sul piano dell’economia e della crescita e che in tale prospettiva restituisca
dignità e sostegno ai più deboli. Si tratta allora di andare oltre i recinti che nel nostro
paese hanno ulteriormente recluso i cittadini in spazi ristretti di separazione dal bene
comune che invece ha ceduto spazi ad imprese orientate all’interesse di pochi.
La ripresa del sociale andrebbe rilanciata da una strategia che persegua
con forza e strumenti concreti di sostegno l’intreccio tra investimento pubblico e
privato, anche per ridare valore ad una Costituzione che ha subìto l’emarginazione
di articoli che i nostri padri avevano attentamente formulati nella direzione del bene
comune.
L’articolo 42, ormai ignorato, così si pronuncia: “La proprietà è pubblica
o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati: La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla
accessibile a tutti...”. Norme e principi etici ormai stranieri in una società centrata
sull’interesse di pochi, ignoti a molti di noi e non alla portata delle nuove generazioni che finiscono col pagarne le conseguenze nel futuro prossimo.
Ed eccoci allora stimolati per addivenire ad un futuro che rilanci valori
civili e princìpi di democrazia autentica tradotta in prassi operative. È in uno di questi giorni che don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”, associazione e movimento
contro le mafie, in un convegno tenutosi a Castelguidone in una parrocchia della
diocesi di Trivento, ha lanciato il messaggio: “Basta formulare programmi……è
giunto il tempo di agire”.
Abbiamo da qualche tempo rilanciato la sollecitazione a ricostruire in
Molise il Forum del Terzo Settore e con quanti hanno già risposto all’appello riattiveremo le iniziative, già in corso in diversi gruppi, per giungere a fare rete per perseguire obiettivi con operosità, ridestando l’attenzione della cittadinanza ma anche
non rinunciando a coinvolgere il mondo politico locale, regionale e nazionale. In tale
direzione si mobilitano esperti in materia che ampliano la rete stimolando il coinvolgimento e l’intervento delle imprese private e delle banche che in Italia presentano
una concentrazione e una diffusione locale ai livelli più alti nell’intero mondo.
L’economia sociale allora acquisterebbe spazio e rilevanza maggiore sul
piano dell’azione non solo in campo solidaristico ma nel contesto di una economia
oggi in crisi. ☺
[email protected]
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popoli
intrusi indesiderati?
Lettera aperta a una signora incontrata per caso nella sala d’attesa di un medico di base.
Cara signora, le sue argomentazioni sull’immigrazione di massa, che
continua a coinvolgere il nostro Paese e
a stravolgerne gli equilibri, hanno incontrato subito l’approvazione degli
astanti, che vedevano, come lei, la nostra sicurezza economica, e non solo
economica, minacciata. È molto facile
ottenere consensi, parlando alla pancia
e non al cuore e al cervello delle persone, ed è anche vero che molti immigrati
danno seri problemi, soprattutto in fatto
di sicurezza. Per queste ragioni le parole di dissenso alle sue verità, che ho
cercato di piazzare in quel contesto,
sono risultate di scarso appeal. Non ho
insistito, perché non mi piace discutere
in un luogo pubblico. Mi permetto di
sottoporle ora qualche considerazione,
che mi sento di fare, chiedendo ospitalità a questo giornale, e senza peraltro
avere l’aria di insegnare niente a nessuno. È questione di sensibilità e di umanità, senza scomodare il senso religioso
che ciascuno dovrebbe avere nel profondo del cuore, e la sensibilità non può
essere insegnata, semmai stimolata,
sempre se c’è.
Dunque, cara signora, solo poche
cose: queste persone scappano dalle atrocità
più efferate: stupri, guerra, fame, crocifissioni e altro, e la loro situazione è molto diversa
da quella dei nostri emigranti, che lei ripetutamente citava. Essi sanno che su quelle
imbarcazioni fatiscenti difficilmente approderanno all’altra riva, ma affrontano ugualmente il viaggio, perché forse la morte in
mare è più rapida e meno dolorosa; e poi
forse perché in fondo c’è sempre una piccola speranza che ce la possano fare. Io non so,
signora se, guardando il telegiornale, magari
all’ora di cena, fra un boccone e l’altro, lei
abbia visto quegli sbarchi. Non so se ha
notato gli sguardi in quei volti, quando qualche telecamera li inquadrava. Non ha letto la
disperazione, lo smarrimento e anche la
gioia di avercela fatta? Fra i tanti morti
annegati, un caso mi ha tenuta sveglia per
parecchie notti ed è stato quello di quella
mamma che aveva partorito il suo bimbo e
20
dopo appena sei ore sono annegati entrambi,
legati ancora dal cordone ombelicale. Io non
so, signora se lei ha avuto dei figli. Io sì e
ricordo con immutata angoscia, tramutata poi
in gioia, quei momenti del parto, assistita da
infermiere, ostetriche e dal bravissimo e indimenticabile professor De Palma in una confor-
circolazione che gridava “I am American!”.
Ottimo!
Una volta, intervenendo in un convegno, dissi che se ci professiamo veramente
cristiani, ciascuno di noi dovrebbe far posto
nella sua casa a questi nostri fratelli disperati.
Fui presa per pazza e forse anche lei signora,
dopo aver letto questa lettera, penserà che io
lo sia davvero. Pazienza. Mi piace.
Si è appena conclusa la tanto attesa
visita di papa Francesco in Molise. Bella
organizzazione, ottima accoglienza, grande
festa, profonda commozione, ma mi chiedo
quanto abbiano veramente inciso le sue parole di fuoco nelle nostre coscienze. Quanto
effettivamente esse cambieranno il nostro
modo comodo e sicuro di essere cristiani.
Mi scusi, cara signora se l’ho tediata. Voglia gradire i miei rispettosi saluti ☺
Anna Maria Telleri
[email protected]
mare nostrum
tevole struttura ospedaliera, con i familiari
fuori ad attendere felici e trepidanti il lieto
evento. Quella mamma ha partorito da sola su
una barca, magari davanti a persone estranee,
mortificando il suo pudore fra gli spasmi del
parto che ogni madre conosce benissimo. E
poi è annegata insieme al suo bambino! Restare insensibili di fronte a fatti simili e preoccuparci invece della nostra sicurezza economica,
minacciata da questi intrusi indesiderati, significa aver perso ogni traccia di umanità.
Vorrei ricordarle infine, cara signora, che anche noi siamo responsabili
dell’instabilità politica di questi paesi africani,
dove ora non c’è più pace. Così come siamo
responsabili dell’immane tragedia che si sta
consumando in Iraq e in Afghanistan. Sicuramente si ricorderà delle torri gemelle e della
folle guerra che Bush ha voluto scatenare,
incurante delle relazioni degli ispettori
dell’ONU, i quali avevano accertato che in
Iraq non c’erano armi di distruzione di massa.
Ma lui doveva per forza trovare una causa per
giustificare la guerra. (Conosce la favola del
Lupo e dell’Agnello al ruscello? Beh, siamo lì,
ma in scala naturalmente di gran lunga superiore). Rivendico con fierezza ed orgoglio la
mia partecipazione a Roma ai cortei pacifisti,
dove gridavamo che quella guerra non era nel
nostro nome. Ricordo anche un contro-corteo,
che invece inneggiava alla guerra e risento la
voce chioccia di un parlamentare ancora in
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Il vento del deserto
spinge alle tue sponde
le angosce dell’Africa
o Mare Nostrum.
Col vigore delle tue acque
tu traghetti le attese
di gente disperata,
incalzata da guerre, fame, malattie.
Al prezzo di grandi fatiche
i fuggitivi comprano la speranza
da biechi profittatori
e corrono verso il mare.
S’imbarcano a migliaia
pigiati in fasulle imbarcazioni
e, come i miraggi del deserto,
vedono a nord la nuova terra,
la salvezza, il riscatto.
Dramma della traversata!
Barconi sul punto di affondare.
Salvataggio convulso
sulle navi-vedetta.
Gli scampati ammucchiati
in campi di rifugio.
Migreranno poi verso incerti destini.
Molti soccombono inghiottiti
dalle tue acque amare.
Perplesso guarda l’Occidente
inefficace e lento
a trovare soluzioni.
Riecheggiano sulle tue sponde
o Mare Nostrum
le voci d’una umanità dileggiata.
Si leva nel cuore della foresta
l’urlo della belva ferita.
Lina D’Incecco
popoli
Addentrandosi nel concetto di modernità liquida Zigmunt Bauman, il sociologo
polacco autore del libro Amore Liquido, dà
vita in esso ad una disquisizione sull’amore
nel mondo liquido post moderno arrivando ad
una critica dello stato moderno capace di
mettere in crisi anche la più salda delle teorie
realiste delle relazioni internazionali, indispensabile per comprendere non solo il sistema
globale ma anche la società che ci circonda.
L’analisi dell’attuale sistema globale arriva ad esplorare la produzione di vite di
scarto e di rifiuti umani privati di qualsiasi
dignità che non possono non far pensare alla
realtà molisana nella quale si è pensato di
inserire un centro di accoglienza per immigrati, simbolo del fallimento del sistema di relazioni tra gli stati.
Vorrei regalarvi una sorpresa, una
piacevolissima speculazione che arricchita di
osservazioni personali.
L’amore non si può imparare con
l’esperienza. Esso è un fenomeno sempre
nuovo che richiede impegno affinché il legame di affinità che viene a crearsi tra due persone (contrapposto a quello di consanguineità) possa generare i suoi frutti. Occorre creatività affinché il legame amoroso (che deve
essere proiettato verso il futuro e basarsi su
una consapevolezza di dualità) sia duraturo:
“In altre parole, non è nella brama di cose
pronte per l’uso, belle e finite, che l’amore
trova il proprio significato, ma nello stimolo
al partecipare al divenire tali cose. L’amore è
simile alla trascendenza; non è che un altro
nome per definire l’impulso creativo e in
quanto tale è carico di rischi, dal momento
che nessuno può mai sapere dove andrà a
finire tutta la creazione”.
Tuttavia oggi tutto ciò avviene
sempre meno e “la relazione tra due persone
segue il modello dello shopping, e non chiede
altro che le capacità di un consumatore medio, moderatamente esperto. Al pari di altri
prodotti di consumo, è fatta per essere consumata sul posto… ed essere usata una volta
sola con ogni riserva. Innanzitutto e perlopiù,
la sua essenza è quella di potersene disfare
immigrati e relazioni
Maria Antonietta Crapsi
senza problemi”.
Cambiare le persone come si cambiano le merci quindi, buttarle come si fa con
prodotti ancora utilizzabili ma che non ci
piacciono più. Sono queste le relazioni alla
base del nuovo sistema globale, basate sulla
mercificazione, sul consumismo, sulla chiusura e sulla paura dell’altro. Così le nostre
città si chiudono e si creano nuovi ghetti, si
producono rifiuti umani che vengono emarginati in quanto non riescono a far parte dello
spietato sistema consumista.
Il sistema globale ha iniziato a
produrre rifiuti umani con la creazione dello
stato moderno basato sui concetti statonazione-territorio e ha cercato di tenerli alla
larga attraverso il fenomeno della colonizzazione. Oggi il fallimento dello stato è evidente: persone di paesi lontani bussano alle porte
dell’occidente che, incapace di inglobarle nel
sistema, le stipa in non luoghi in cui si perde
dignità e identità. “Il proliferare di campi
profughi è un prodotto/manifestazione della
globalizzazione, tanto integrale quanto il
denso arcipelago di non-luoghi di passaggio
in cui si muove la nuova élite di giramondo”.
Vittime del sistema: persone spinte
all’esterno e persone bloccate alle frontiere.
Tutto ciò è facilmente osservabile nella realtà
maltese. Ben celata dietro i sovraffollati locali di Paceville dai quali donne e transessuali
seminudi invitano gli “assetati” passanti ad
entrare si nasconde una scarsa attenzione per
l’ambiente circostante.
Case decrepite sull’orlo del crollo
e strade piene di immondizia, acque inquinate dai continui viaggi in barca verso le isole
minori e dai rifiuti abbandonati da turisti
selvaggi, elevatissimo tasso di obesità che tra
i bambini è pari al 34% e migliaia di fast
food, sovraffollamento e accozzamento di
abitazioni e assenza di aree verdi in cui i
bambini possano giocare, piena dipendenza
dalla tecnologia e scarsa volontà di approfondire la propria cultura (tanto che il governo
maltese deve fornire incentivi affinché i giovani intraprendano la carriera universitaria),
necessità di lavoro manuale e senso di repulsione nei confronti degli stranieri, creazione
di ghetti (detention) nel pieno cuore del Mediterraneo: tutti questi sono i segnali del fallimento dello stato moderno imposto con la
colonizzazione. L’indirect rule della colonizzazione inglese dell’isola di Malta è visibile:
all’Inghilterra serviva la posizione strategica
dell’isola e per questo non ha promosso la
nascita di una cultura critica bensì il consumismo sfrenato con tutte le conseguenze del
caso.
Pensiamo poi ai paesi molisani:
giovani che non hanno nemmeno più la capacità di immaginare un futuro spinti alla ricerca del lavoro all’esterno, famiglie distrutte e
escluse non solo dal mondo consumista ma
anche da quello della sopravvivenza; immigrati in arrivo che vivranno la più atroce delle
sofferenze attraverso la negazione del sé e
che verranno rinchiusi nella gabbia dello
stereotipo di colpevole fino a prova contraria… quanto risuonano vere le parole di Bauman?
L’umanità comune immaginata da
Kant è urgente e se è vero che è difficile rispondere adeguatamente a questo bisogno,
possiamo partire dal dialogo a livello locale,
lasciando spazio al nostro interlocutore e
disponendoci a giungere a una soluzione
inaspettata. Per concludere con Bauman: “In
una barzelletta irlandese un passante a cui
un automobilista chiede: Da qui come si
arriva a Dublino? risponde: Se volessi andare a Dublino non partirei da qui”. Cambiare
punto di partenza potrebbe essere un ottimo
inizio! ☺
[email protected]
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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società
liberi di crescere
Adriana De Bartolo
"So che tutti mi amano perché lo
dimostrano in ogni cosa, ovunque e in ogni
rapporto che ci unisce, ma per l´amore che
nutrite per me e che io nutro per voi, vorrei
che mi deste la possibilità di essere libero di
crescere nel modo più naturale possibile,
libero di giocare per l´amore del gioco, libero da tutti gli obblighi del vostro mondo.
Lasciatemi essere un bambino. Non desiderate che io raggiunga mete che forse saranno importanti per il futuro: cercare di
raggiungerle adesso potrebbe farmene
mancare altre che oggi considero più importanti. Lasciatemi vivere l´età che ho,
perché sarò bambino una volta sola. Non
cercate di programmare troppo la mia vita
o la mia personalità, non disperatevi per le
mie sconfitte, o, peggio ancora, non sentitevene colpevoli. La tristezza che provo
dopo la sconfitta scompare automaticamente non appena mi si asciugano le lacrime e la dimentico del tutto appena ritorno
in campo, felice di giocare di nuovo e di
essere un bambino. Non cercate di trionfare
tramite me, non cercate di modellarmi a
vostra immagine e di farmi fare quello che
non siete riusciti a fare, non sprecate tempo
prezioso, sono un bambino, felice di esserlo e
di restarlo.
Cari genitori se desidero praticare
uno sport, scegliete una società sportiva che
mi piaccia, dove un allenatore mi insegnerà
ad essere un buon giocatore, ma non oggi,
perché adesso voglio fare quello che mi piace e quello che so fare. Non cercate di fare di
me un grande ragazzo, fate di me un buon
bambino, un bambino felice. So che soffrite
quando gioco, ma non è necessario, perché
io in quel momento sono felice proprio per-
22
ché gioco. Ogni tanto mi sembra che siano
gli altri, fuori dal campo, a battersi per noi,
come se i genitori, dirigenti e allenatori, fossero gelosi gli uni degli altri, come se soffrissero per una vittoria che non è stata ottenuta
o per un gioco che sembrerebbe perfetto, ma
che io non posso dare loro. Datemi tempo e
cercate di capire che adesso le cose debbono
andare così e che nello sport, come in ogni
altra cosa della vita, tutto giunge a tempo
debito. Per favore, lasciatemi giocare da
solo, lasciate che mi diverta a modo mio.
Sono un bambino, non dimenticatelo, soltanto un bambino... e sarò un bambino soltanto
una volta nella mia vita" (G. Basso, M.G.
Pugliese, Ed. La meridiana, Bari 2004).
“In principio era la competizione”.
Ogni momento della nostra vita obbedisce a
questa semplice legge di cui lo sport è solo
una possibile declinazione. Atleti, Allenatori,
Genitori, Psicologi, Organizzatori, Squadre,
in modi diversi, affrontano tutti le medesime
sfide e ricorrono quindi ad un’unica risorsa:
l’Intelligenza Agonistica, ossia l’insieme
delle competenze insite nella naturale tendenza dell’essere umano a progettare, affrontare,
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superare e prevedere le sfide con se stesso,
con gli altri e con l’ambiente.
Si è ormai concordi sulla necessità
di favorire non solo una maturazione fisica
dei piccoli atleti ma anche psicologica, o
meglio, una maturazione psico-fisica sia dal
punto di vista sportivo che da quello evolutivo, attraverso un percorso formativo atto a
coinvolgere le figure adulte di riferimento,
che hanno un’influenza consistente sulla
crescita educativa del bambino.
Risulta, pertanto, di fondamentale
importanza offrire alle famiglie informazioni
utili sul profondo significato educativo dello
sport e su come favorire nei figli lo sviluppo
dell’autostima e la gestione dell’ansia da
prestazione con modalità sperimentali che
non hanno più al centro l’esperto ma i genitori con le loro esperienze e i loro vissuti.
Questi ultimi, infatti, nonostante
siano orientati a desiderare il meglio per i
loro figli e a non commettere errori, sono
essere umani e perciò fallibili, nonostante le
intenzioni. Sarebbe auspicabile, a tal fine,
supportare i genitori nella comprensione
dell’importanza dell’attività sportiva a scopo evolutivo, poiché lo sport non è solo
movimento, ma anche educazione, rispetto,
cultura, valori, benessere, stare insieme,
condividere, accettazione dei propri limiti,
valorizzazione delle proprie risorse, collaborare, mettersi alla prova, autocritica, obiettivi
da raggiungere e da condividere. È amicizia,
fratellanza, sana competizione. Insegna a
gioire della vittoria e ad accettare l’amarezza
della sconfitta, a cadere per poi rialzarsi, a
vivere le emozioni.
Tutto questo è cultura sportiva e la
psicologia può essere il veicolo per valorizzare la vera essenza dello sport, al fine di supportare i piccoli atleti attivamente in un processo di creazione non di campioni nel gioco
ma di campioni nella vita.☺
[email protected]
società
sostenibilità
Tony Vaccaro - effetti catastrofici della guerra
(per gentile concessione di Reinhard Schultz)
Michelantonio Celestino Onofrio Vaccaro
(che in seguito assumerà il nome di Tony) nasce il 20
dicembre 1922 a Greensburg, in Pennsylvania, da padre e madre molisani emigrati agli
inizi del XX secolo. All'età di tre anni torna con la sua famiglia in Molise. Nel 1925
muore la madre e, successivamente, nel 1928 il padre. A causa della morte prematura
dei genitori, Tony vive la sua infanzia e la sua adolescenza con le sue sorelle, Gloria e
Assunta, a Bonefro. Nel 1939 con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Tony
torna in America dove, fino al 1943 frequenta la High School. Qui il suo insegnante di
scienze lo introduce alla fotografia ed inizia così le sue sperimentazioni fotografiche con
la sua prima macchina fotografica, una Argus C3. Nel 1943 viene arruolato nell’esercito
degli Stati Uniti e, nell’aprile del 1944, è inviato in Inghilterra con l’83a Divisione di
Fanteria, ricevendo l'autorizzazione dal comandante di battaglione di scattare fotografie
a condizione di svolgere sempre il suo dovere di soldato. Tony prende parte allo sbarco
in Normandia e alla progressiva liberazione dell’Europa occidentale. Nel 1945 viene
congedato e decide di rimanere in Europa accettando un impiego come fotografo per il
Ministero degli Esteri Americano. Alla fine del conflitto il suo primo grande desiderio è
quello di tornare in Molise, nel suo paese d’infanzia: Bonefro. Oltre a fotografare i segni
della distruzione che la guerra aveva lasciato all’Italia, Tony dà spazio alla bellezza del
paesaggio naturale, all’ambiente, alle tradizioni e ai personaggi comuni della sua terra,
temi con i quali mette a punto la sua tecnica e la sua arte fotografica.
Ritorna in America solo nel 1949 dove si specializza in Giornalismo e Scienze alla Long Island University. A partire dal 1950 inizia la sua carriera professionale di
fotoreporter, lavorando per le migliori riviste dell’epoca come Flair, Look e Life, incontrando molti personaggi di rilievo come Chaplin, Brando, Callas, Dietrich, Clark Gable,
Fellini, Sophia Loren, Kennedy, Le Corbusier, Marcel Marceau, Peggy Guggenheim,
Ernst Pollock, Grace Kelly, Anna Magnani, Picasso, l’architetto Wright, De Chirico, De
Sica, Burri ed altri del mondo politico ed artistico.
Le sue foto oltre ad essere un contributo storico, artistico e culturale, comunicano l’esperienza umana vissuta dallo stesso Tony nel corso della sua vita. Ancora oggi
all’età di 92 anni ogni volta prima di uscire porta con sé la sua macchina fotografica,
l’immancabile Leica. Egli afferma: “È proprio il destino di noi fotografi ad avere bisogno di osservare il mondo attraverso il mirino di una macchina fotografica”.☺
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Alcune persone cambiano mezzo di trasporto dopo
aver letto un rapporto scientifico sul riscaldamento
globale. Altre modificano la propria dieta dopo aver
visto un servizio sulla deforestazione in Amazzonia e
sul ruolo giocato in questo processo dall’agroindustria.
Altre ancora, forse, iniziano a guardare la provenienza
del pesce che comprano al supermercato dopo aver
appreso i devastanti effetti della pesca industriale. Vi
sono anche quelle che decidono di non acquistare
indumenti di determinate marche dopo aver scoperto
le condizioni di lavoro degli operai che li confezionano. C’è chi, addirittura, va nella sua banca a chiedere
dove si stanno investendo i suoi risparmi dopo aver
letto un articolo sul commercio delle armi. Ma
l’immensa maggioranza delle persone, ammettiamolo,
non lo fa. Come afferma Peter Singer con un misto di
ironia, rassegnazione e realismo, riflettendo sul comportamento umano, “i fatti, per se stessi, non ci offrono
le ragioni per l’azione”. Chi le offre allora? Chi è capace di motivare, incoraggiare e sostenere l’impegno
etico nel corso del tempo?
Jaime Tatay
caro direttore, di seguito, il sogno di cui ti ho
parlato, alla vigilia della visita del Papa in Molise!
Papa Francesco, avendo letto la lettera aperta che gli
hai scritto su la fonte di giugno, dove parli di quella
specie di set cinematografico dentro il quale vorranno
costringerlo a recitare il copione che gli organizzatori
hanno preparato per lui, ha deciso di fare un salto
“dietro”; le quintedomani verrà a parlare con te per
farsi partecipe delle preoccupazioni e dell’immenso
bisogno di speranza della comunità parrocchiale che
"animi, ricambiato da grande affetto".
P.S. Come ho avuto modo di dirti, ho sperato con tutto
il cuore che il sogno si realizzasse! Non è accaduto,
ma rimane la gratitudine infinita per la tua coraggiosa
testimonianza e la fiducia che potremo trovare ancora
l'unità e la forza per affrontare i tanti problemi del
nostro territorio.
"Hasta la victoria siempre"!
Nadia Iarocci
[email protected]
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società
veniva da caracas
Carolina Mastrangelo
Ho deciso di mettere ordine in
soffitta e di eliminare i tanti, inutili libri scolastici che la invadono, ma non mi priverò del
mio vecchio Inferno di Dante anche se ho
edizioni più moderne dei miei figli. Apro,
quasi accarezzando, le sue pagine ingiallite
che sanno di polvere e muffa: al margine di
una di esse, tra le sbiadite annotazioni a matita, carpite alle spiegazioni erudite e narcisistiche della mia insegnante, ce n’è una in biro
rossa che certo ho scritto mentre la mente
evadeva dalle sudate carte per rincorrere
momenti felici vissuti in altri luoghi e in altro
tempo: “Un ricordo è ancora tra le mie mani
e solo una parola mi fa tremare…” era il
recitato di Monia, una musica in voga in
un’estate di fine anni ‘60. Sul giradischi andava il 45 giri in vinile al cui ritmo lento e dolcissimo modulavamo respiri e passi, anzi non
i passi, ma il dondolio dei nostri giovani corpi
abbracciati.
Jorge veniva da Caracas, occhi
scuri, barba morbida e profumata, jeans bianchi, maglietta a righe e non aveva faticato ad
inserirsi nella mia comitiva. Si andava a ballare tutti i pomeriggi in una villa fuori dal
paese, immersa nel verde. Jorge era rapito da
quella musica: “Esta mùsica me encanta” mi
sussurrava all’orecchio… Spesso lasciavamo
gli altri ragazzi e andavamo a sederci ai bordi
della vasca rotonda con lo zampillo e i pesci.
Jorge adorava Dante e voleva sentirlo leggere
nella lingua originale. Più di una volta, nella
borsa, portavo il mio libro di scuola, l’Inferno
commentato da Sapegno; lui seguiva attento
la mia voce tremante d’emozione che leggeva al meglio l’imprescindibile V Canto, quello di Paolo e Francesca.
Allora anche per me “galeotto fu il
24
libro e chi lo scrisse!”
Jorge s’intendeva di pittura; la
mattina, solo, tornava alla villa col suo piccolo cavalletto portatile per dipingere en plein
air; amava molto gli impressionisti: Monet,
Renoir, Degas, Cezanne…; la tecnica con cui
riproducevano sulla tela, sensazioni e percezioni visive che le condizioni di luce, l’acqua,
il cielo, la natura comunicavano loro nella
mutevolezza delle ore del giorno e delle stagioni. Come loro usava pennellate rapide;
forme dai contorni sfumati, quasi dissolte,
vaporizzate nella luminosità dell’atmosfera;
tinte chiare, insolite, dove non esistevano il
marrone, il nero e dove anche le ombre erano colorate.
Avevo preso l’abitudine di seguirlo; mi mettevo alle sue spalle taciturna ed
estasiata e lo guardavo dipingere. La tela era
una distesa di papaveri appena accennati,
traboccante di vividi rossi addolciti da tocchi
di arancio, da sprazzi di giallo, da teneri verdi…
Per parecchi giorni mi fu impossibile raggiungere Jorge, non potevo uscire
impunemente a qualsiasi ora. Quando tornai
alla villa con il cuore che mi batteva forte, lui
non c’era più; al suo posto il piccolo cavalletto
rovesciato e, in mezzo all’erba, la tela; tra il
rosso screziato dei papaveri si stagliava la
sagoma di una figuretta azzurra, indistinta,
dalla lunga gonna al vento…; dietro la tela
una scritta a pennarello: “Con mucho cariño”.
Non ho rivisto più Jorge, né ci
siamo mai scritti; non so se esiste ancora in
un angolo di mondo, ma in un angolo di
cuore - il mio - sì!“Un ricordo è ancora tra le
mie mani…”
[email protected]
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fermati
Fermati dove corri dove vai
alla fine della strada non c’è altro.
Allora prenditi tempo.
Aspetta guarda
aspetta senti ascolta
sei solo un ospite
siediti lì
su quello scalino al sole.
Fatti accarezzare è il sole
dai suoi raggi di seta
lasciati avvolgere dal calore buono
fatti illuminare il viso stanco
di chi corre corre corre
ma dove va?
Fermati il giorno è giovane.
Dopo tutto sei solo un ospite.
Ospiti e non padroni
leggeri senza terra né mattoni
né mobili coperti di polvere né fondamenta
sporcate di fango né vestiti che rinchiudono
e ci limitano nella loro arrogante cerimoniosa
immagine.
Ospiti liberi di fermarci qui
in questo angolo di vita.
Seduti sentiamo il silenzio.
Ci fermiamo a riconoscerci.
Francesca Benedetti
[email protected]
1914 venti settembre 2014
i primi cento anni
della chiesa evangelica battista
di Ripabottoni
*13 sett. ore 17,00 inaugurazione mostra storico/fotografica;
*20 sett. ore 17,00 conferenza:
la presenza dei battisti in Italia;
*21 sett. ore 11,00 culto in chiesa.
le nostre erbe
Così Eugenio Montale, in una
poesia degli Ossi di seppia, definisce questo
fiore dei campi tanto amato e raffigurato in
alcune celebri tele dal grande pittore olandese
Van Gogh. È il simbolo della bella stagione e
dell’estate: sarà per i suoi colori accesi ed
estivi, sarà per la sua misteriosa vocazione a
seguire sempre il sole, volgendo quasi magicamente l’infiorescenza verso il punto di
maggiore illuminazione. In realtà, osservando
un campo di girasoli, si può notare che tutti i
fiori sono sempre rivolti in un’unica direzione: verso sud-est.
Originario delle Americhe e coltivato dagli Incas per ricavarne semi alimentari
e oleosi, fu introdotto in Europa nel 1500. Ma
la parola “girasole” esisteva già molto prima
che venisse conosciuto dagli europei. Nella
mitologia greca si racconta infatti della giovane ninfa Clizia che, innamorata di Apollo, dio
del sole, ne seguiva tutto il giorno il carro
durante il suo giro nel cielo, fino ad essere
trasformata nel fiore che
si orienta sempre verso il
sole, ruotando nel corso
della giornata per catturarne i raggi. Ovidio, che
riporta questo mito nel
poema Le metamorfosi,
non precisa però di che
specie di fiore si tratti,
limitandosi ad accennare ad una pianta viola,
identificata con l’eliotropio. Sono stati poi i
pittori barocchi a raffigurare il fiore di cui
parla Ovidio con il girasole, che ha assunto
da allora il significato di profonda devozione.
Anche il nome scientifico Helianthus annuus, che deriva da due parole greche,
helios (sole) e anthos (fiore), fa riferimento
alla tendenza di questa pianta a girare sempre
il capolino verso il sole, comportamento noto
come “eliotropismo”.
Il girasole appartiene alla famiglia
delle Composite, insieme ad altre cento specie circa, fra le quali il topinambur (vedi la
fonte n. 9 del mese di novembre 2006). È una
pianta annuale molto vigorosa e dall’ abbondante fioritura, conosciuta tanto per i suoi
semi oleosi quanto per il valore ornamentale
dei grandi fiori gialli o aranciati.
Viene giustamente apprezzato a
scopo ornamentale per la bellezza dei fiori e
per la facilità di coltivazione. Questi fiori
crescono ovunque e si possono anche coltivare in vaso; in questo caso è opportuno scegliere le varietà nane e posizionarle al riparo
impazzito di luce
Gildo Giannotti
dal vento e in pieno sole. La fioritura avviene
da giugno a settembre a seconda del clima,
della varietà e del momento della semina.
Per lungo tempo è stato considerato solo come pianta ornamentale e si è affermato come pianta da olio agli inizi del XIX
secolo, quando fu messo a punto il primo
metodo per l’estrazione dell’olio. Negli ultimi
anni è la coltura che ha registrato la più grande espansione, soprattutto nelle regioni centrali italiane, compreso il Molise. Il girasole è
una coltura a ciclo primaverile-estivo che
rientra fra le cosiddette piante da rinnovo,
quelle cioè che traggono il massimo profitto
dalle lavorazioni profonde e dalle eventuali
concimazioni organiche. Il girasole, perciò,
trova il suo posto migliore in apertura della
rotazione, succedendo e
precedendo colture di cereali. Costituisce un buon
precedente per le colture
cerealicole e in modo particolare per il frumento, per
diversi motivi:
- libera il terreno piuttosto
presto (agosto-settembre) e
così consente di prepararlo tempestivamente
per la coltura che seguirà;
- lascia discrete quantità di residui organici
rappresentati da radici, fusti e pule che si
decompongono con relativa facilità e buona
resa in humus;
- lascia il terreno libero dalle erbe infestanti.
Caratteristica è la sua infiorescenza, un capolino molto sviluppato detto botanicamente “calatide”, che può raggiungere un
diametro di 15-25 cm fino ad un massimo di
40 cm. I fiori del girasole attirano molto le api
che ne favoriscono l’impollinazione e sono in
grado di produrre, in una apicoltura ben organizzata, decine di kg di miele per ettaro.
Gli acheni, impropriamente chiamati semi, rappresentano la parte interna del
fiore e sono disposti a spirali iperboliche
concentriche secondo la teoria del matematico Leonardo Pisano detto il Fibonacci. La
sequenza di numeri da lui individuata è nota,
appunto, come "successione di Fibonacci" (1,
1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 ... - per cui ogni
termine, a parte i primi due, è la somma dei
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due che lo precedono, ed è presente, oltre che
in diverse forme naturali (per esempio, le
spirali delle conchiglie) e in altre infiorescenze come la calendula, la margherita o il broccolo romanesco, anche nel girasole: infatti gli
acheni sono disposti lungo due insiemi di
spirali (ben visibili nella foto), che girano
rispettivamente in senso orario e antiorario.
Ovoidali, appiattiti, allungati e un po’ più
larghi alla base, sono di colore bianco, nero,
bruno, o più spesso chiari con delle striature
longitudinali più scure. I semi di alcune varietà si utilizzano per il consumo alimentare
diretto, come frutta secca o in diversi prodotti
da forno e di pasticceria, e sono costituiti da
un tessuto ricchissimo di olio (55-65%). Questa resa di olio è aumentata sempre più negli
ultimi anni, soprattutto grazie ai grandi progressi del miglioramento genetico.
L’olio estratto dai semi di girasole
è ricco di acidi grassi insaturi, in particolare
oleico (monoinsaturo) e linoleico (polinsaturo
e precursore degli omega-6). Negli ultimi
decenni sono state selezionate piante con un
maggiore contenuto di acido oleico, che significa una migliore resistenza alla degradazione termica ed ossidativa; di qui l’impiego
in friggitoria al posto del più costoso olio di
oliva. Un maggiore equilibrio tra acido oleico
e linoleico garantisce al consumatore un miglior controllo del colesterolo a bassa densità
(LDL), con una riduzione del rischio cardiovascolare. Sorprendente anche il contenuto in
vitamina E: 60 mg in 100 grammi, pari al
300% circa della dose giornaliera raccomandata.
Ma i semi di girasole costituiscono
un alimento ideale anche per il contenuto di
tocoferolo, una vitamina dotata di notevole
effetto antiossidante capace di rallentare
l’invecchiamento e proteggere l’organismo
da alcune malattie degenerative. L’elevato
potere energetico li rende ideali a colazione o
tra uno spuntino e l’altro, mescolati ad altri
alimenti o presi singolarmente in dosi di 1020 grammi al giorno. Se torrefatti, possono
servire come surrogato del caffè e inoltre
sono molto adatti per l’alimentazione dei
pappagalli allevati, che ne sono ghiotti.☺
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etica
La vita prima
del debito
Perché mai dovremmo pagare?
a cura di Antonio De Lellis
prefazione di Mons. Mario Toso
Il presente volume esprime lo
sforzo che uomini e donne di buona volontà compiono nel difficile cammino del
superamento della perversa esposizione
debitoria di molti Stati ed ora anche di
parte dell’Europa e dell’Italia. Nel volume
emerge con chiarezza che la proposta del
Giubileo del Debito, come passaggio da
un’economia della proprietà ad
un’economia della custodia, si colloca
naturalmente dentro ciò che si può definire l’utopia democratica di Papa Francesco.
Secondo il pontefice argentino
l’utopia democratica inizia a prendere
forma ogni volta che dalla stessa crisi
della democrazia emergono direzioni di
una sua possibile soluzione. Più precisamente, l’utopia politica di Bergoglio consiste in un progetto politico di democrazia
ad alta intensità, ossia una democrazia
sostanziale, partecipativa e sociale.
Il libro vuole tentare di mettere
assieme chi si occupa di crisi economica,
sia in Italia che all'estero, a livello di movimenti sociali e di movimenti ecclesiali,
nella certezza che la cultura economica è
tale solo se è effetto di una contaminazione che produce connessioni ed interconnessioni. Per questo motivo si sono scelti
autori che hanno accettato la sfida della
contaminazione e che sono anche disposti
ad investire il loro sapere per risolvere uno
dei problemi più gravi del nostro tempo. È
anche il tentativo di mettere insieme due
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mondi che però hanno iniziato a dialogare
insieme anche e soprattutto in occasione
della campagna referendaria per l'acqua
bene comune e che ancor oggi, grazie
all'amicizia personale, che è il vero spazio
di trasformazione sociale, restano insieme.
Ma forse quello che sta più a cuore è rimettere in moto una riflessione in ambito
cristiano su tematiche sociali con obiettivi
a lungo termine superando un presente
schiacciato da pesi enormi, perché il rancore e la nostalgia per un mondo che non
tornerà più non si trasformi in prostrazione, ma in speranza, la quale ha il volto di
chi fa più fatica.
Da troppo tempo l’irrilevanza
dei cristiani, e in alcuni casi il silenzio, ha
permesso, concesso o non ostacolato
l’avanzata di “un sistema economico che
uccide”. Nulla ha più lo stesso valore, lo
stesso senso. In nome dell’azzardo finanziario che ha amplificato la crisi economica del consumismo, coloro che l’hanno
provocata hanno ridotto i diritti fondamentali, attaccato le costituzioni degli
Stati, ridotto in schiavitù intere popolazioni attraverso privatizzazioni, attacco ai
territori, sistemi di indebitamento con
logiche da usura internazionale.
Come tacere? Come essere insensibili al grido di dolore degli impoveriti, al tintinnio di catene che proviene da
diverse parti del pianeta? Per questo motivo, oggi, nell’epoca di Francesco, che
nello stile vuole tornare ad una Chiesa dei
poveri e non solo per i poveri, ci viene
incontro un’interpellanza interiore. Quale
società senza esclusione siamo chiamati a
costruire? Quale economia della vita che
contrasti un’economia che uccide? “Chi
farà questa rivoluzione di Francesco?” - si
chiede Raniero La Valle in un suo scritto
recente.
La costruzione del bene comune
di tutti e di ciascuno è l’alto atto di carità
politica a cui si è
chiamati. Con chi?
Con tutti quelli che
vogliono procedere
per la stessa strada di
costruzione di una
società solidale in cui
nulla è nostro, ma
tutto ci è stato affidato.☺
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“Hanno creato dei re che io non ho designati; hanno scelto capi a mia insaputa.
Con il loro argento e il loro oro si sono fatti
idoli ma per loro rovina.
Ripudio il tuo vitello, o Samaria! Esso è opera di un artigiano,
esso non è un dio: sarà ridotto in frantumi il
vitello di Samaria.
E poiché hanno seminato vento raccoglieranno tempesta” (Osea, (8, 4-5.7).
Mi son chiesto come mai i governi
dell’Italia e dell’Europa si agitano, dispongono e non risolvono oggi i problemi dei loro
cittadini? Guidato da una riflessione di Giorgio Agamben vi invito a un miniviaggio, un
po’ faticoso, dentro la mente ordinatrice e nel
cuore della mega-macchina sociale denominata finanzcapitalismo. È una grande organizzazione gerarchica che usa masse di esseri
umani come componenti o servo-unità, sviluppata allo scopo di massimizzare e accumulare, sotto forma di capitale e insieme di
potere, il valore estraibile sia dal maggior
numero di esseri umani, sia dagli ecosistemi.
Si riproduce, come vero cancro sociale, grazie ad una cultura che nei media ne scandisce
e ne promuove gli aspetti concettuali performativi. L’integralismo del mercato è, infatti,
una teoria del tutto, qualcosa che si avvicina
ad una visione religiosa compiuta. Si tratta di
un vero e proprio credo, di una forma di fede,
di un sapere fideistico che affonda le sue
radici nella teologia economica.
Nel primo cristianesimo trasmigrato da Gerusalemme a Roma, passando per
Atene, l’espressione economia della salvezza
altro non fu che l’espressione linguistica per
la prima articolazione concettuale della Trinità cristiana. Se, dal punto di vista della essenza o natura (physis in greco, o substantia in
latino) Dio è uno, quanto, invece, al modo in
cui vive nelle relazioni intra-trinitarie (in casa
= oikos) e opera con ordine (governo =
nomos) per la salvezza dell’uomo e del
mondo (economia della salvezza), Dio si
manifesta in “tre persone” distinte nel suo
agire provvidenziale. Il temine oikonomia si
andò specializzando per significare in particolare l’incarnazione del Figlio e l’economia
della redenzione o della salvezza. I teologi si
abituarono a poco a poco a distinguere fra
una teo-logia “discorso (logos) su l’unico
Dio” e un “discorso (logos) su l’economia
della salvezza/redenzione”. L’oikonomia
divenne il dispositivo attraverso cui il dogma
trinitario e l’idea di un governo divino prov-
etica
diritti e dispositivi
Silvio Malic
videnziale del mondo furono introdotti nella
fede cristiana. Questo paradigma dopo un
lungo periodo di quiescenza, riappare, in
forme secolarizzate, in età moderna: nel Seicento con il dibattito leibniziano sulla teodicea e nel Settecento con la nascita della
“economia politica” o “politica economica”
da allora ai nostri giorni.
Luciano Gallino, con molti altri,
afferma con chiarezza che il “carattere costitutivo del neoliberalismo è infatti quello di
essere, nel fondo, una forma di fede”.
L’economista Riccardo Petrella, nel libro
Una nuova narrazione del mondo, ricompone la struttura teologica nascosta del “finanzcapitalismo”, in analogia alla Trinità, e svela
la dinamica religioso-fideistica del mercato
guidato dalla “TUC (Teologia Universale
Capitalistica):
Il fondamento: Il Padre = Il Capitale; il Figlio = L’Impresa; lo Spirito Santo = Il Mercato.
La nuova arca di Noé: = Il Mercato Globale.
I Sei Comandamenti della “Nuova Alleanza”: 1.Tu non fermerai la globalizzazione
perché è inevitabile. 2.Tu liberalizzerai tutti i
mercati. La storia va verso l’ineludibile creazione di un mercato mondiale integrato. 3.Tu
non lascerai più il potere di regolazione
“politico” allo Stato. Bisogna promuovere la
“governance mondiale”. 4.Tu privatizzerai
tutto. 5.Tu devi innovare in continuazione sul
piano tecnologico. La scienza e la tecnologia
sono il principio di tutto. 6.Tu sarai il migliore, il vincente, il più competitivo. La tua sopravvivenza passa attraverso la tua competitività.
Le operazioni trinitarie («economia della
salvezza»): Liberalizzazione; Deregolamentazione; Privatizzazione.
La Pentecoste: La tecno-logia, il logos universale.
La Grazia: la redditività.
La Salvezza: essere competitivo.
Il Peccato: non sottomettersi alle “regole” del
mercato oligopolistico mondiale; ancor più la
contestazione e la ribellione è “crimine”.
I Grandi Teologi: A. Smith, D. Riccardo.
I nuovi Evangelisti: i guru delle principali
università degli USA, dell’Europa e del Giap-
pone. I consulenti “ufficiali” delle grandi
imprese multinazionali e i governi dell’ONU.
I luoghi di formazione dei “preti” della
TUC: le scuole di Management e Business
Administration.
La
proclamazione
“quotidiana” del Nuovo Catechismo:
“Financial Times”, “The Wall Street
Journal”, “El Mundo”, “The Economist”, “Il
Sole-24 Ore”, “Le Figaro”, “Frankfurte Allgemaine Zeitung” ….
Una riflessione del filosofo francese M. Foucault del 1977 analizzava, nel contesto in cui era e noi ancora siamo, il concetto
di “dispositivo”. Diceva Foucault: “col termine dispositivo, intendo una specie, per così
dire, di formazione che in un certo momento
storico ha avuto come funzione essenziale di
rispondere a un’urgenza. Il dispositivo ha
dunque una funzione, eminentemente strategica, di un intervento razionale e concertato
nei rapporti di forza, sia per orientarli in una certa direzione, sia per bloccarli o per
fissarli e utilizzarli. Il dispositivo è appunto
questo: un insieme di strategie di rapporti di
forza che condizionano certi tipi di sapere e
ne sono condizionati”.
Sostiene G. Agamben che ne ha
ripescato il pensiero: in una società disciplinare, i dispositivi mirano attraverso una serie di
pratiche e di discorsi, di saperi e di esercizi
alla creazione di corpi docili, ma liberi, che
assumono la loro identità e la loro “libertà” di
soggetti nel processo stesso del loro assoggettamento. Non sarebbe probabilmente errato
definire la fase estrema dello sviluppo capitalistico che stiamo vivendo come una gigantesca accumulazione e proliferazione di dispositivi.
Si
intravedono
chiari, con questa chiave di
lettura, i fondamenti teorici del
cosiddetto ordine giuridico del
mercato europeo, ove “il
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legislatore - dichiarava Wilhelm Röpke uno
dei sostenitori convinti - deve fornire solo
norme per un quadro di riferimento efficace
entro cui possono formarsi ordini autogenerantisi. L’ordinamento giuridico non ha
qui alcun motivo di intralciare la competizione, di circoscriverne l’ambito, di negargli ciò
che è lotta. Al contrario, ogni simile misura
pregiudicherebbe la funzione selettiva ed
ordinante della competizione stessa, ne falserebbe il risultato, la trasformerebbe in qualcosa di indeciso. Il compito dell’ordinamento
giuridico è allora di proteggere la lotta, non
la pace. Esso deve assicurare ubbidienza
alla regola della competizione e deve impedire che il gioco regolato delle forze degeneri
in lotta per il potere indifferente ai principi”.
Mentre le costituzioni del dopoguerra si stracciano (parlavano di “cooperazione”), i diritti riconosciuti e proclamati si
accantonano (lacciuoli che frenano la macchina), si deprivano dei beni (cfr. acqua e
altri) e dei mezzi le strutture di sostegno alle
persone (scuola, salute, pensioni, ecc.) e alle
comunità (vedi Cassa Depositi e Prestiti per i
Comuni, Province e Regioni) si moltiplicano
soggetti capaci di produrre “dispositivi” che
condizionano la vita delle persone, delle istituzioni e dei governi che, maldestramente, ne
hanno assunto acriticamente i principi e devono solo rigare dritto nell’applicarli.
L’Europa non è riuscita a produrre
diritto costituzionale per i suoi cittadini, ma li
inonda di “direttive” e, nel frattempo, lascia
mano libera a tutti i “dispositivi” della BCE,
del FMI, del WTO, del Mercato finanziario
(banche e criminali associati), ecc. che dispongono in modo deciso e senza possibilità
di salvaguardia del diritto, se non per quello
residuale e marginale che ancora non sono
riusciti a stralciare.☺
27
sisma
foto di gruppo dirigente
Domenico D’Adamo
L’assenza della politica e la latitanza delle istituzioni hanno fatto sì che il Molise
avesse la migliore delle estati immaginabili,
sia in termini di produzioni culturali ed artistiche che di attività ricreative, nonostante l’
inclemenza del tempo. Nelle città più importanti, Campobasso e Termoli, il rinnovo dei
consigli comunali ha impedito, fortunatamente, ai nuovi eletti di occuparsi del cartellone
estivo delle manifestazioni e questo è stato
un vero colpo di fortuna per amministratori e
amministrati. Le Pro loco si sono occupate
come sempre delle sagre e le associazioni dei
momenti più impegnativi. Non ha fatto mancare la presenza, ma solo quella, il delegato
alla cultura della Regione Molise. Invitato,
come da cerimoniale, ha ringraziato tutti, si è
complimentato per i risultati raggiunti e ha
assunto l’impegno di sostenere, economicamente, “come d’altronde ha fatto anche
quest’anno”, le eccellenti attività estive: chi si
occupa di promuovere arte e cultura è avvertito.
Questa volta ci siamo impegnati a
trattare prima le cose buone che la regione
non fa e poi quelle decisamente meno buone
che continua a fare e tra esse, prima per vetustà, la gestione post-terremoto. Con l’imperio
Iorio, dopo 10 anni di malgoverno, delle
5078 unità abitative colpite dal sisma, ricomprese in 1266 sottoprogetti, solo 435 sono
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state finanziate e i progetti realizzati. Per gli
altri 831, circa 2/3 dei progetti ricompresi
nella classe “A”, da circa due anni, si gioca a
chi la dice più grossa. La delegazione parlamentare, tutta di maggioranza, quasi giornalmente si attribuisce il merito di qualche nuovo finanziamento - ma i lavori di ricostruzione sono fermi e i terremotati continuano a
vivere e sempre più spesso anche a morire
nelle baracche costruite dalla protezione civile, nonostante le dichiarazioni rassicuranti di
un altro consigliere Delegato che non ama
essere contraddetto quando dà i numeri: una
specie di ministro senza portafoglio messo lì
solo per prendersi fischi e pernacchie. Di
consiglieri Delegati alle brutte figure, in Regione ve ne sono addirittura tre e il terzo dovrebbe interessarsi, almeno nominalmente, di
programmazione, anche se della materia,
pare se ne occupino direttamente a San Martino in Pensilis, dove il Piano di Sviluppo
Rurale, finanziato con fondi comunitari, una
paccata di soldi, è stato elaborato da amici e
compagni dell’ex sindaco. Le cose non vanno meglio invece all’assessore regionale ai
trasporti che tanto si è prodigato in
quest’anno e mezzo di legislatura per la realizzazione dell’autostrada che dovrebbe collegare Lazio e Molise. Nei prossimi giorni il
Consiglio dei ministri varerà il decreto Sblocca Italia ma nel detto provvedimento, di autostrada Termoli/San Vittore, non vi è traccia. Le
male lingue insinuano
che i nostri Parlamentari
non sono riusciti a spiegare al Presidente Renzi
che il Molise si trova in
Italia e che la strada tanto
cara a Iorio e Di Pietro,
padre e figlio, non collegherebbe Tirana ad Ururi ma Termoli a Roma
che pure sono in Italia.
Pare che solo dopo una
vibrata protesta del presidente Frattura, il capo del
Governo, sentita la delegazione parlamentare
molisana, abbia deciso,
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per risolvere il problema alla radice, di abolire
il Molise partendo dalla Corte d’Appello di
Campobasso.
L’unico a volare veramente alto, in
questo luogo di fanti, è l’Assessore Regionale
al Lavoro e ai servizi sociali. Il vice presidente della giunta, dimissionario, ma anche no,
dopo aver aperto l’ennesimo tavolo di concertazione, al cospetto dei suoi vecchi amici,
preso atto di non avere nessuna proposta da
concertare, ha alzato il ramoscello d’olivo ed
ha chiesto alle controparti di dargli una mano:
e pensare che quelli si erano rivolti a lui per
chiedergli aiuto. Non va certamente meglio
all’Assessore precario, responsabile dello
sviluppo che, da quando è stato eletto, non è
riuscito a sviluppare neanche le fotografie.
Non c’è una sola ipotesi di politica industriale
tanto che le imprese, piccole e grandi, pubbliche e private, aspettano impotenti solo
l’arrivo dell’ufficiale giudiziario. I più informati sostengono che il politico venafrano si
ispiri, nella sua azione amministrativa,
all’esempio e allo stile del senatore Ruta che,
in questi ultimi vent’anni, ha forgiato le coscienze di tanti giovani molisani.
Dulcis in fundo, il presidente Frattura, che oltre ad occuparsi di sanità, fiore
all’occhiello della nostra Regione, in questi
diciotto mesi ha lavorato alla costruzione di
un formidabile sistema di potere che dovrebbe consentirgli, il condizionale è d’obbligo in
una regione che è sull’orlo del collasso, di
governare almeno per una decina di anni. Da
Iorio, suo maestro, ha imparato tutto, compresi gli errori che replica in modo pedissequo. Il
Molise non è più nelle condizioni di farcela
da solo e per chiedere aiuto a Roma, così
come pensa di fare l’assessore Petraroia, sarà
necessario presentarsi agli interlocutori con la
schiena dritta, non con il cappello in mano.
Per fare tutto ciò sarà indispensabile elaborare
una proposta realistica, fatta di impegni, e di
qualcuno che abbia credibilità per garantirne
il rispetto. Il presidente Frattura, invece di
capeggiare battaglie di retroguardia, provi a
costruirsi una reputazione da spendere per la
difesa della sua terra e dei suoi conterranei,
non si limiti a querelare giornalisti, evidentemente faziosi, ma confuti, senza indugio, le
accuse che gli sono state rivolte proprio da
chi, nei dieci anni del malgoverno Iorio, non
ha mosso una sola critica all’allora governatore. ☺
[email protected]
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