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QUI - 100 Anni Grande Guerra – Le Scuole per la Storia

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QUI - 100 Anni Grande Guerra – Le Scuole per la Storia
 I.T.C. L.B. ALBERTI-S.DONA’- Classe 4 B AFM
IL FRONTE INTERNO NELLA
GRANDE GUERRA
In collaborazione con la prof.ssa Antonietta
Casagrande
1 Battaglia sul Grappa
2 Il fronte interno nella Grande Guerra
1.1 Definizione di fronte interno
La distinzione tra fronte, dove si combatteva, e i territori interni rimase ben
salda al punto da creare una frattura psicologica tra i soldati e il resto della
popolazione. Quando tornavano in licenza, i soldati si stupivano che la vita
civile proseguisse in modo normale, ne rimanevano contrariati, perché al
fronte l’esperienza della guerra era terribile.
I civili, infatti, non erano in grado di farsi un idea adeguata dei campi di
battaglia, perché la guerra, per chi viveva nelle città, era remota lontana,
fuori dall’orizzonte percettivo, visivo e sonoro, della popolazione.
La censura vietava ai combattenti di dare informazioni sui luoghi dove si
trovavano, perciò le notizie ufficiali venivano filtrate secondo le
convenienze. Quanto ai luoghi delle battaglie invece, se ne conoscevano
solo le immagini fotografiche autorizzate.
<< Mi piacerebbe sapere qualche cosa di questa guerra – scrive un
ragazzo di Lecce al padre che si trovava al fronte – ma tu non puoi
scrivere e dai giornali non si capisce niente, un giorno dicono una cosa un
altro la smentiscono. Avevo comprato una carta geografica e delle
bandierine e giorno per giorno segnavo i posti conquistati, ma ho dovuto
rinunciarci. Un giorno per esempio il giornale dice Grado conquistata,
dopo quattro o cinque giorni, altro avvenimento: Grado conquistata.>>
L’espressione e il concetto di “fronte interno” furono un’invenzione della
prima guerra mondiale, tanto in Italia che nei paesi belligeranti.
Il conflitto era il primo moderno e di lunga durata, le cui sorti erano
affidate alla capacità di mobilitare tutta la popolazione e l’insieme delle
energie pratiche e morali dei singoli Paesi.
In Italia, questo concetto si caricò di valenze particolari e venne adottato
dalle forze interventiste romane, come titolo di un settimanale sorto
nell’autunno del 1915.
3 L’idea di “fronte interno” richiamava quella di “nemico interno” e
implicava un programma di lotta ad oltranza contro quanti non avevano
approvato l’intervento e si mantenevano tiepidi di fronte ai richiami
patriottici, considerati alla stregua di veri e propri traditori.
A parere dei nazionalisti la prova in corso non ammetteva defezioni, ne’
tentennamenti e la battaglia sul fronte interno andava combattuta con la
stessa ostilità di quella reale.
Il coinvolgimento economico e organizzativo della popolazione fu dunque
imponente.
Considerata l’enorme importanza della produzione industriale per
l’impegno bellico di tutti i Paesi, il fronte interno fu fronte industriale e
operaio: era necessario assicurare la crescita della produttività e della
produzione, garantire con ogni mezzo la disciplina e la cooperazione degli
operai divenne un problema di vitale importanza.
In Italia metà della popolazione era costituita da donne; il fronte interno fu
dunque un fronte femminile.
Donne operaie in una fabbrica
di munizioni
L’intero Paese fu soggetto ad una legislazione
penale e investito da un’azione repressiva,
uniformata al modello militare che considerava i
cittadini più o meno alla stregua di altrettanti
soldati. I civili condannati dai tribunali militari
furono oltre 60. 000, per rifiuto a collaborare,
disfattismo o dissenso.
La repressione non risparmiò neppure il clero. La
Chiesa cattolica aveva guardato inizialmente la
prospettiva della guerra con scarsa convinzione e
molta diffidenza, specialmente di una guerra contro
l’Austria, considerato baluardo del tradizionalismo
cattolico in Europa.
Alla fine del 1916 il procuratore generale di Ancona segnalava con
preoccupazione alcuni episodi giudicati come gravi sintomi antipatriottici:
Carloforti don Luigi, canonico penitenziere della Cattedrale di Assisi,
richiestogli di battezzare una bambina col nome di “Italia”, vi si rifiutò
imponendole di suo arbitrio quello di “Maria-Clara”. Nell’ occasione della
4 partenza da Assisi dei soldati del fronte alcune bambine richiesero al
Carloforti dei fiori per offrirli a quei soldati.
Il Carloforti dette i fiori ma, rivoltosi alle bambine, disse:<<ma che fiori,
tirate invece delle pietre ai soldati>>.
Ridolfi don Luigi, canonico in Sterpeto di Assisi, nell’ insegnare ai
bambini il segno della croce, vi aggiungeva e faceva da essi ripetere la
frase seguente:<< non t’intrigà, non t’impiccià, lascia il mondo come sta,
viva l’Austria che ci dà la pace e la libertà>>.
Buzzelli don Luigi, parroco di Rivotorto di Assisi, ad alcuni ragazzi disse
che gli austriaci erano arrivati a Belluno e a Vicenza e con altre persone
dichiarò che l’Italia facendo la guerra all’ Austria, alleandosi con i
Francesi, commetteva un delitto.
Una parte cospicua del territorio fu dichiarata “zona di guerra”. Dapprima
comprendeva solo le piazzeforti, marittime, le fortezze, alcune zone
costiere dell’Adriatico e alcune zone considerate di importanza strategica,
successivamente però la definizione fu allargata alla aree industriali.
Dopo la rotta di Caporetto, tutta l’Italia settentrionale fu dichiarata “zona
di guerra”, con la conseguenza di sottoporla ad una specie di dittatura
militare.
Intere categorie di persone furono sottoposte a regime disciplinare
dell’esercito, soggette al silenzio militare, anche se temporaneamente
impiegate in compiti produttivi. Si soppresse il diritto di sciopero e
l’attività sindacale.
Il complesso delle relazioni industriali fu sottratto alla contrattazione e
sottoposto ad una regolazione dall’alto.
Altri fenomeni contribuirono a sottolineare il coinvolgimento della
popolazione civile nella guerra, come la compressione dei consumi e il
peggioramento della situazione sanitaria, attestato dall’aumento della
tubercolosi e delle malattie polmonari, degli infortuni e delle malattie
professionali di fabbrica.
L’abbassamento del tenore di vita conseguente alla crisi agraria e alle
difficoltà alimentari, il crescere dei disagi e delle fatiche, ridussero la
resistenza organica della popolazione, rendendola più vulnerabile.
5 1.2 La mobilitazione di massa
Nel settore della produzione industriale si istituì la Mobilitazione
Industriale, organismo che doveva presiedere alla regolazione delle
attività di interesse bellico. Era una novità molto importante, perché
assegnava alla Stato il ruolo marginale di supremo regolatore
dell’economia e dei meccanismi del mercato.
Iniziò quindi un’epoca nuova, inaugurata dalla guerra, che avrebbe
raggiunto l’apice negli anni ‘30.
La M.I. (Mobilitazione Industriale) comprendeva un comitato centrale con
sede a Roma e sette comitati regionali, che più tardi diventarono undici.
Quello centrale, presieduto dal generale Alfredo Dallolio, contava circa
5700 dipendenti tra militari e civili che simboleggiavano importanza e la
vasta quantità di compiti. Coordinando gli stabilimenti ausiliari, la M.I.
usufruiva di vantaggi e di rifornimenti di materie prime.
Il compito di gran lunga prevalente cui la Mobilitazione si dedicò, fu la
regolazione del mercato del lavoro, assicurando sempre manodopera in
quantità e di qualità.
L’accelerazione della produzione messa in moto dall’intervento e la
richiesta di manodopera specializzata avevano avuto come conseguenza
una forte mobilità dei lavoratori da un settore all’altro, motivata dalla
ricerca di salari più alti e di lavori meno pesanti.Ma con la mobilitazione
generale si irrigidì il mercato del lavoro, vennero bloccati i salari e si vietò
il licenziamento, impedendo così all’operaio di lasciare il posto di lavoro
per cercarne uno migliore; anche il conflitto sociale fu sottratto alle
dinamiche spontanee fino ad arrivare all’abolizione del diritto di
scioperare.
L’intero sistema garantiva un controllo della manodopera per le imprese,
ma non tutelava gli operai e le loro condizioni di vita, anche se uno dei
compiti della M.I. era proprio quello di controllare le condizioni igienicosanitarie del lavoro.
L’aumento della produzione industriale provocò un’espansione
dell’occupazione operaia, anche se poco qualificata e composta soprattutto
da donne e ragazzi.
6 L’espansione dell’occupazione operaia fu così straordinaria da cambiare il
panorama sociale delle fabbriche. Un esempio tipico è il complesso della
FIAT che passò da 4000 a 40000 addetti e l’Alfa di Milano da 50 a 4000
operai.
Non tutti questi nuovi operai entravano in fabbrica per la prima volta,
erano lavoratori già occupati, passati alle aziende favorite dalla MI. I
processi di concentrazione furono una delle principali caratteristiche della
trasformazione del sistema economico indotto dalla guerra.
Tra i nuovi operai una
parte
proveniva
dal
piccolo
commercio,
dall’artigianato,
dai
mestieri
precari;
l‘ingresso in fabbrica
serviva
a
ottenere
l’esonero dal servizio
militare e riempiva i
vuoti lasciati dagli operai,
colpiti dai provvedimenti
repressivi.
Fabbrica di proiettili, durante la guerra
I nuovi assunti venivano
considerati “imboscati”,
dalla classe operaia tradizionale, e perciò guardati con diffidenza. In
questo atteggiamento si comprendeva anche un vago risentimento di classe
e l’identificazione con un mestiere appreso in lunghi anni di lavoro.
Un’altra parte importante furono gli assunti provenienti dal lavoro
agricolo.
Notevole fu l’impiego della manodopera femminile e dei ragazzi, che la
M.I. cercò di incentivare perché contava sulla maggiore docilità e sui
vantaggi derivanti dai salari più bassi.
Nel 1918 le donne costituivano il 25% della manodopera negli stabilimenti
ausiliari di Torino e il 31% in quelli di Milano.
L’ espansione dell’occupazione femminile nell’industria, benchè notevole,
fu inferiore a quella prevista dai programmi della MI.
Gli industriali preferivano la manodopera maschile militarizzata, convinti
che fosse più qualificata.
7 In verità l’ingresso delle donne
nelle fabbriche fu guardato con
diffidenza anche dalla classe
operaia tradizionale per il
timore della concorrenza e la
tendenza
a
custodire
gelosamente il proprio posto di
lavoro, per
la gelosia del
mestiere e per la mentalità
maschilista e familista, ossia la
convinzione che le donne
dovessero starsene a casa. Ma
questi timori si rivelarono
presto infondati.
Le
donne
furono
anzi
protagoniste e animatrici di
significativi episodi di lotta
Donna francese addetta a riparare un macchinario
condotta anche in nome e per
conto degli operai maschi.
Il lavoro minorile fu un fenomeno di notevole ampiezza: in un primo
tempo i giovani andarono ad occupare i posti lasciati liberi dagli adulti,
alla ricerca di lavori più remunerati nelle grandi aziende. Più tardi furono
reclutati anche nei maggiori stabilimenti ausiliari.
Nel 1918 le industrie ausiliarie occupavano circa 70000 ragazzi fino ai
sedici anni.
La durezza delle condizioni di lavoro e della disciplina (esposti alla
brutalità di superiori, ai maltrattamenti e ai soprusi) determinò ricambi
fortissimi della manodopera giovanile, con frequenti licenziamenti per
punizione e abbandoni volontari.
Spesso erano soggetti anche agli atteggiamenti autoritari e all’ insofferenza
dei compagni più anziani, i quali erano diffidenti nei loro confronti come
verso le donne. I ragazzi tra i 15 e i 18 anni veniva anche reclutati nelle
file del Genio militare per l’esecuzione di lavori nelle zone del fronte. Si
trattava di ragazzi per lo più meridionali, spinti dalla povertà e privi di
occasioni di lavoro, e di ragazzi veneti e friulani favoriti dalla vicinanza
con le retrovie.
8 1.3 Il ruolo delle donne nella guerra
La memoria dell’immagine maschile nella Grande Guerra viene
caratterizzata generalmente dal senso del lutto, della sofferenza e della
tragedia, quella femminile, invece, lascia intravedere un senso di
liberazione e di fiducia in sé stesso.
Invece di cullare bambini, cullavano proiettili
Nelle fotografie dell’ epoca le donne venivano ritratte nelle mansioni che
un tempo erano riservate agli uomini; appaiono generalmente fiere,
sorridenti e contente. Non tutte le donne vissero il tempo di guerra allo
stesso modo, ma almeno per alcune la memoria era come un tempo felice.
Una cosa era la condizione delle donne di classi popolari, costrette a subire
ristrettezze economiche e alimentari e il peso di nuove responsabilità; un’
altra quella delle giovani operaie da poco entrate nel lavoro di fabbrica, ma
pronte ad approfittare di qualche spazio di libertà dalla tutela maschile; un’
altra ancora quella delle donne appartenenti alla classe media, che
trovarono il modo di sentirsi valorizzate in compiti socialmente utili e
pubblicamente riconosciuti.
Vi fu anche il caso estremo, sopra citato, di quelle donne che dovettero
subire le violenze sessuali degli eserciti occupanti.
9 Per capire il processo di liberazione che avvenne nel corso e per effetto
della guerra, serve ricostruire i cambiamenti della condizione e dei ruoli
femminili determinati dal conflitto.
Secondo alcuni l’ effetto iniziale della guerra fu quello di sopprimere il
movimento di emancipazione femminile fiorente in Europa, restituendo
autorità al ruolo maschile come figura combattente e sicura.
Durante la mobilitazione generale, la guerra rimise ordine e distinzione tra
uomini e donne, fortificando da un lato il ruolo maschile di difensore della
patria e della casa, dall’ altro la figura femminile di custode del focolare
domestico.
Tuttavia nel corso della guerra questi effetti furono ribaltati: gli uomini
vivevano la permanenza al fronte come una ghettizzazione dal proprio
mondo, e quindi una riduzione del proprio ruolo, mentre i compiti delle
donne a casa erano moltiplicati.
L’ enorme utilizzo di energie umane dalla guerra, la crescita del bisogno di
manodopera provocarono una crescita dei compiti assegnati alle donne
esterni all’ ambito della famiglia. Le donne divennero tranviere, ferroviere,
portalettere, impiegate e operaie. Questo portò a una fusione dei ruoli dei
generi e delle nuove libertà per le donne: esse potevano vivere e uscire da
sole e assumersi diverse responsabilità.
Ci furono diverse contrarietà per ristabilire i ruoli di un tempo, come nel
caso francese: le lavoratrici delle fabbriche di munizioni venivano
chiamate “muniotionette”, per ribadire che esse rimanevano donne,
sempre graziose e femminili. Infatti nell’iconografia del tempo di guerra,
le donne erano rappresentate col ruolo tradizionale di infermiera e di dama
di carità, simbolo di angelo consolatore, custode e assistente dell’uomo.
Nel dopoguerra ci fu un bisogno di pace e stabilità, e il rientro nei compiti
tradizionali contribuiva a questo senso di sicurezza, specialmente per gli
uomini che si sentivano soppiantati e minacciati.
Le donne venivano licenziate per lasciare il loro posto di lavoro ai reduci,
esse di conseguenza rientravano nei loro ruoli familiari, procreativi e
materni. Vari fattori quindi alimentarono dovunque politiche per il
10 sostegno della natalità e di incremento demografico, che in Italia furono
sviluppate dal Fascismo.
1.4 Il mondo alla rovescia
Come si è detto, nel corso della guerra le donne affiancarono e, in parte,
sostituirono gli uomini in moltissimi settori, alcuni dei quali non avevano
mai visto prima una presenza femminile e, confrontando i dati censuari del
1911 e del 1921, risulta che la presenza di manodopera aumentò in cifre
assolute, ma a causa della contemporanea crescita dell’ occupazione, solo
in alcuni settori si verificò un aumento anche in percentuale.
La manodopera femminile non era esclusa dal lavoro di fabbrica sia in
Italia che all'estero. Le donne infatti erano occupate prevalentemente nel
settore tessile e raramente in quello metallurgico e meccanico.
La scrittrice Paola Baronchelli, in diversi libri dedicati alla mobilitazione
delle donne per la guerra, spiegava come queste eseguivano gran parte
delle lavorazioni per la produzione del materiale bellico quali: la
lavorazione dei cannoni di piccolo medio calibro e la fabbricazione di
proiettili e bombe.
Inoltre le donne suggerivano la pubblicazione di fotografie sui giornali,
dove erano ritratte in occupazioni inconsuete in divise maschili per
mostrare una specie di "mondo alla rovescia".
Il massiccio ingresso delle donne nei
lavori maschili provocò differenze e
pregiudizi moralistici. Nelle fabbriche
metalmeccaniche la presenza femminile
era avvertita come una rivoluzione dell'
ordine naturale. Nelle lettere anonime
inviate dal personale ai dirigenti delle
Operaie in una fabbrica metalmeccanica.
fabbriche, si parlava delle donne come
delle sgualdrine che vivevano nel lusso e
oziose.
Indiscusso fu l' impiego delle donne nella lavorazione a domicilio per la
produzione di indumenti militari; passò inosservata la dilatazione dei
11 compiti e dei ruoli delle donne nelle campagne, quindi nell' azienda
agricola domestica.
L'occupazione
femminile
fu
quindi
inevitabile nei settori già riservati agli
uomini; le donne dovettero ricoprire
mansioni
dalle
quali
erano
state
tradizionalmente esentate e videro dilatarsi i
tempi e i cicli abituali del lavoro, dovettero
svolgere anche compiti pesanti come, ad
Donne che spingono un carrello
esempio, la manovra delle macchine agricole,
sporgere i covoni e scaricare il grano. Alcune
ricordano quei momenti come un divertimento.
In assenza degli uomini le donne si dovettero occupare inoltre delle
pratiche burocratiche, dei rapporti con gli uffici pubblici, le vendite e gli
acquisti dei prodotti e le controversie legali.
All'interno della famiglia i rapporti non si modificarono sostanzialmente:
perdurò il primato maschile, il primato degli anziani e la donna giovane
rimaneva sottomessa al marito.
Contadine al lavoro nei campi durante la Grande
Guerra
Gli epistolari delle donne contadine
sono pieni di lamentele per le troppe
responsabilità che gravavano su di
loro, specialmente per quanto riguarda
la vendita dei prodotti e la
contrattazione sui prezzi. In questi
scritti veniva manifestato il dolore
della lontananza e il desiderio del
ritorno del marito.
Ma cambiarono, nel senso di una maggiore libertà, anche i rapporti tra
spazio domestico e mondo esterno; si fecero più frequenti le occasioni di
contatto con l' ambiente esterno alla famiglia e alla comunità; si poneva
più attenzione a quanto poteva accadere lontano da casa, per esempio sui
fronti di guerra, cominciando dalla consultazione dei giornali.
Tutto ciò portò a un sensibile rimescolamento della vita sociale,
all'affermazione di nuovi costumi e in particolare alla diffusione di
12 comportamenti come bere alcolici, fumare e frequentare i locali di
divertimento notturno.
Questi ultimi erano considerati dalle classi medie atteggiamenti
indisciplinati e insolenti tenuti dai giovani, sintomo di una pericolosa
degenerazione. Le lamentele e gli allarmismi per l'ordine pubblico di cui la
stampa si faceva portatrice, sollecitavano le autorità di pubblica sicurezza
a una maggiore severità e vigilanza. Ma non si può negare che i modi di
vivere stessero davvero cambiando. Fu proprio la guerra a rompere i
modelli di comportamento, le relazioni tra generi e classi di età, nonchè fra
classi sociali, mettendo in discussione le gerarchie. Tutto ciò emergerà più
ampiamente nel dopoguerra alimentando le lotte sociali.
1.5 Le madri di tutti
Già nell’imminenza della guerra e soprattutto dopo dello scoppio del
conflitto, si costituirono in tutta Italia Comitati di Assistenza Civile,
all’interno dei quali le donne assunsero ruoli importanti di organizzazione
e di direzione di una attività massiccia e capillare, che rappresentò uno
degli aspetti significativi della mobilitazione delle donne nel cosiddetto “
fronte interno”. L’attività si spiegava in molte direzioni nelle quali le
competenze femminili tradizionali assumevano rilevanza pubblica:
dall’aiuto alle famiglie dei combattenti e dei caduti, all’attività di sostegno
dei militari al fronte, all’azione di contatto tra famiglie e soldati,
all’assistenza agli orfani.
Infaticabili, le donne
organizzavano balli, lotterie e
pesche di beneficenza, e
vendevano persino, a ben cento
13 lire, un “bacio patriottico”
Tra gli aspetti della mobilitazione femminile ebbe
notevole visibilità un volontariato praticato
maggiormente da donne di estrazione borghese ed
aristocratica, ovvero le “Dame visitatrici”.
Esse dovevano dare aiuto, sostegno e conforto alle
famiglie dei mobilitati e agli stessi soldati quando
erano in licenza, nelle retrovie o negli ospedali.
Inoltre c’erano signore e ragazze dei ceti medi o
della nobiltà che raccoglievano piccoli doni da
portare ai soldati per rallegrarli e consolarli.
In queste funzioni si esaltava il ruolo materno di
donna, esteso dal mondo privato a quello pubblico,
da ciò deriva il fatto che i soldati vengano visti
come bambinoni che si entusiasmano per l’arrivo di un piccolo dono.
Questa infantilizzazione corrispondeva a forme di regresso presenti nella
realtà, come conseguenza delle esperienze destabilizzanti e di spaesamento
subite dai militi.
Questo ruolo materno fioriva anche in altre forme, infatti le donne
prestarono impegno nella raccolta della lana e nel confezionamento di
indumenti per proteggere i soldati dal freddo alpino e poi nei servizi degli
Uffici Notizie i quali favorivano i contatti tra i richiamati e le famiglie e
trasmettevano informazioni utili.
Con queste attività di mobilitazione si vedeva il forte bisogno di
protagonismo e di partecipazione delle donne che fino a quel momento
non c’era stato.
Nell’attività di sostegno allo sforzo bellico nascevano l’inventiva e la
capacità di risparmio e riciclaggio, tipiche delle donne. Si usarono
frammenti di pellicce per farne cappotti, si promosse l’allevamento di
conigli, si inventarono forme di riuso della carta di giornale per riscaldare
il rancio nelle gavette (un recipiente metallico in cui i soldati
consumavano il loro pasto) e speciali indumenti antiparassitari con
miscele per tener lontani i pidocchi dai fanti in trincea, si raccolsero i
noccioli di vari frutti per usi farmacologici e di saponificazione. Perfino le
maschere antigas furono inventate dalle donne, prima di essere modificate
da esperti di chimica e di entrare fisse nel corredo del soldato.
In una regione come il Veneto, teatro di sconvolgimenti bellici, la presenza
femminile si rivela una preziosa risorsa nell’azione sociale svolta, non solo
dai Comitati dell’Unione delle donne cattoliche, ma anche da quelle pie
unioni, società operaie e gruppi pastorali che svolgeranno servizi di
assistenza con l’istituzione di asili, di ricreatori, di uffici di collocamento,
di case-famiglia, ma anche di corsi professionali e scuole di
riqualificazione della manodopera femminile. Così la donna in questo
nuovo ruolo di imprenditrice-lavoratrice, esercita una funzione
fondamentale per la vita economica del Paese.
14 1.6 Ernestina Bittanti Battisti
Ricordiamo infine anche l’apporto di donne laiche come Ernestina Bittanti
Battisti, vedova del martire Cesare Battisti, aperta sostenitrice di un
socialismo democratico e anticlericale, fin dagli anni giovanili.
Già a partire dai primi giorni
dell’agosto del 1914 Ernesta si vide
sbalzata dalla posizione di compagna
e collaboratrice del marito, ruolo
mantenuto anche dopo la nascita dei
tre figli, alla forzosa marginalità a cui
la costrinsero, prima il frenetico
attivismo di Cesare nei mesi della
Ernestina col marito Cesare e il figlio Luigi,
primogenito.
neutralità, poi la sua partecipazione
alla guerra sul fronte italiano
In quel momento l’amore tra i due coniugi viene messo alla prova,perchè
si trovano a vivere una lontananza, non solo fisica, ma anche ideologica.
Ernestina infatti sosteneva un interventismo democratico, quasi
rivoluzionario, volto a riscattare gli ideali sconfitti del Risorgimento.
Ricordiamo che il Battisti era nato a Trento, che in
quel periodo era sottomessa all’Austria, ma da
convinto irredentista si trasferì in Italia e nel ’15 si
arruolò volontario nell’esercito italiano, venne
catturato durante un’operazione militare e
incarcerato a Trento; infine dopo molte sevizie
condannato all’impiccagione per tradimento nel
1916.Ma dopo la morte di Cesare sarà Ernestina a
tenerne viva la memoria di martire, pubblicando i
suoi scritti e, contemporaneamente, finirà per
recuperare il ruolo politico pubblico che le era
stato sottratto.
Il corpo di Cesare Battisti dopo
l’esecuzione
15 Contraria al fascismo, quando seppe che i fascisti
di Trento intendevano recarsi alCastello del
Buonconsiglio, li precedette per coprire con un
velo nero il monumento del marito.
1.7 Infermiere e crocerossine
Uno dei settori più tipici e tradizionali dell’impegno femminile nella
guerra rimaneva quello delle infermiere.
In Italia il volontariato femminile in questo campo fu promosso dalla
Croce Rossa che nacque nel 1864 e successivamente fu incentivato da
donne del ceto medio-alto come Sita Camperio Meyer; essa diede vita a
Milano nel 1908 alla prima scuola per infermiere sorta in Italia.
Le infermiere volontarie furono coinvolte in gran numero nelle opere di
assistenza sanitaria nelle retrovie, nei treni-ospedale e negli ospedali
dell’interno, un gran numero tale da raggiungere quota 10 000 infermiere
della Croce Rossa nel 1917 e altrettante in altre associazioni di soccorso.
Crocerossina in visita al fronte
Ricordiamo tra le molte Elisa Majer Rizzioli (1880-1930) donna che
ricoprì incarichi importanti per quell’epoca. Iniziò nella mutualità
scolastica e proseguì nella CRI: tra il ’15 e ’18 fu sulla nave ospedale
Menfi e negli ospedali del fronte, concluso il conflitto si avvicinò alla
politica, seguendo le gesta di D’Annunzio a Fiume e di Mussolini.
16 Nel 1925 divenne Ispettrice generale, questo evidenzia il suo patriottismo
e la volontà di ottenere fama, ricompense e ruoli di primo piano nella sfera
pubblica, grazie all’esperienza di guerra.
Inoltre la figura dell’ infermiera cercava
di promuovere le qualità di grazia e di
dolcezza delle donne, così che negli
ospedali militari le donne, spesso nubili e
di ceto medio, erano ogni giorno in
contatto con gli uomini e con il loro
corpo bisognoso di cure; l’insistenza del
ruolo angelico e materno delle infermiere
serviva a occultare e rimuovere quello
sessuale, evitando rischi e tentazioni di convivenza, fissando così confini
netti.
Così alle infermiere era vietato occuparsi degli ufficiali, alle volontarie
erano affidati i soldati semplici (erano di estrazione popolare e non
potevano manifestare pulsioni erotiche nei loro confronti).
Ospedale da campo nelle retrovie.
Testimonianze sono le lettere dei soldati alle infermiere e alle “madrine”,
nelle quali compare la gratitudine che fiorisce in atteggiamenti di
affettuosa confidenza, ma comunque sono presenti alcuni riferimenti al
senso di benessere e di ebbrezza corporea provato grazie al confortevole
ambiente dell’ospedale e alla dolcezza delle cure ricevute dalle mani
femminili.
Si nota quindi che l’associazione tra femminilità ed erotismo era interdetta
e censurata nei fatti, ma veniva evocata nell’iconografia di largo consumo
dove si accostavano guerra e amore.
L’impegno nelle attività infermieristiche diede così un’occasione in più a
una parte delle donne di uscire dalla famiglia e assumere una nuova
rilevanza pubblica e utilità sociale. Ciò le faceva portare lontano da casa
per lunghi mesi, rompeva i ritmi della loro quotidianità e permetteva di
instaurare nuove relazioni personali in un contesto di elevato valore
morale.
L’avvento del volontariato infermieristico durante la guerra portò
interessanti riscontri nelle testimonianze private di alcune protagoniste.
Negli epistolari di queste infermiere si coglie infatti una coesistenza tra
sentimenti di pietà e dolore per lo strazio dei feriti e sentimenti di
17 esultanza, euforia e soddisfazione per l’occasione offerta di mostrare il
proprio valore.
Per molto tempo questa mobilitazione
per la guerra appare alle donne come una
bella avventura, che ha soprattutto
l’effetto di rinforzare il senso di sé, ma a
riempire
di
soddisfazione
sono
maggiormente le lodi di colleghe e
superiori.
Crocerossine al capezzale di feriti
In altri casi la donna cerca di esaltare i
vantaggi di un “cameratismo piacevolissimo” ed elenca dettagliatamente i
ricercati menù dei pranzi in comune, che sembravano sufficienti ad
allontanare le note di tristezza per le sofferenze e, in qualche caso, per le
morti cui deve assistere.
1.8 La protesta sociale
La rigidità del controllo sociale, la militarizzazione di parte della
popolazione e la durezza delle sanzioni penali e morali contro il
“disfattismo” (sfiducia), non riuscirono a produrre l’effetto sperato di una
completa ubbidienza delle masse operaie e contadine.
L’ampiezza della protesta sociale nelle campagne e nelle città fu
considerevole e dilagò a partire dal 1916 fino a sfociare, nel 1917, in
episodi di tipo insurrezionale. Non si trattava di veri e propri scioperi, ma
di improvvise fermate del lavoro o di agitazioni spontanee di portata
contenuta.
Tra il 01.12.1916 e il 15.04.1917 ci furono circa 500 manifestazioni di
questo genere con la partecipazione, complessivamente, di decine di
migliaia di persone che reclamavano il ritorno dei congiunti dal fronte,
l’aumento dei sussidi e altre forme di sostegno.
Spesso questi episodi erano visti come dimostrazioni contro la
prosecuzione della guerra.
Le campagne furono teatro di vivaci proteste che manifestavano
l’esasperazione per il peggioramento delle condizioni determinata dal
richiamo degli uomini, dalla scarsità di generi alimentari e dall’aumento
del costo della vita.
18 A suscitare dimostrazioni e rivolte erano l’insufficienza dei sussidi
governativi e i ritardi o le mancate concessioni delle licenze per i lavori
agricoli.
Le
protagoniste
principali delle proteste
furono
le
donne;
particolarmente
sulle
contadine si scaricavano
infatti
i
maggiori
aggravi di fatica e di
responsabilità
conseguenti allo stato di
guerra, le difficoltà
alimentari e i problemi
Protesta contro il caro vita a Bologna.
di bilancio delle aziende
agricole.
La presenza delle donne nelle agitazioni fu di particolare rilevanza: esse
furono in prima fila nelle dimostrazioni, specialmente dove le difficoltà
alimentari si fecero sentire più gravemente. Perciò, esasperate dalla fame e
dalle code ai negozi, le donne tedesche diedero vita a furti di massa e a
rivolte disordinate e incontrollabili: erano donne scalmanate, coraggiose e
disposte a tutto.
In Italia le proteste si attivarono nelle tradizionali forme di socialità e nelle
pratiche di devozione proprie della società contadina, questi ne sono alcuni
esempi:
• Il 15 giugno 1916 la popolazione di S. Gregorio Magno (Caserta)
chiese al parroco di organizzare una processione in onore di San
Vito e, dopo aver ottenuto il rifiuto, diede vita a una violenta
reazione.
• Nel maggio 1917 a Zero Branco un migliaio di donne, ragazze e
ragazzi in uscita da una chiesa cercarono di penetrare in un locale
per dire la loro, essendo stato impedito l’accesso, scatenarono una
manifestazione contro la guerra protrattasi fino a sera.
Il carattere maggiormente rurale e spontaneo di questi movimenti ha fatto
pensare a proteste di impronta principalmente premoderna.
19 La moderna classe operaia fu scarsamente coinvolta nelle lotte sociali,
perché era privilegiata rispetto ai lavoratori rurali per via degli alti salari,
della maggiore facilità di ottenere esoneri e quindi del minor contributo di
sacrifici e di sangue.
La contrapposizione tra “fanti contadini” e “operai imboscati” si manifestò
già durante il conflitto, ma si basava maggiormente su pregiudizi.
I salari nominali aumentarono nel periodo della guerra, ma in misura
nettamente inferiore al costo della vita. L’aumento dei ritmi e degli orari
lavorativi e l’introduzione di nuove lavorazioni provocarono inoltre un
aumento del degrado fisico, degli incidenti sul lavoro e delle malattie
professionali.
Le conseguenze della guerra furono perciò peggiori per gli operai, rispetto
che per i lavoratori agricoli. Inoltre la separazione tra città e campagna si
era attenuata, le periferie urbane erano spesso segnate dalla presenza di
piccole industrie e popolate da contadini che lavoravano anche in fabbrica.
Le agitazioni avevano dunque un carattere misto: partivano dalle
campagne per iniziativa delle donne, ma poi dilagavano verso le città
coinvolgendo gli operai delle grandi fabbriche.
Le operaie avevano salari più bassi di quelli maschili, sopportavano il
carico di un doppio lavoro (domestico e di fabbrica) e avevano
un’aspettativa di presenza in fabbrica solo provvisoria. Il loro trattamento
era molto più uniforme di quello degli operai maschi, in quanto
appartenevano per lo più a una fascia omogenea, senza distinzioni tra
specializzate e non, il che favoriva la loro coesione.
La turbolenza femminile destò preoccupazioni non solo nei responsabili
della Pubblica Sicurezza, ma persino nei rappresentanti del movimento
operaio organizzato e in particolare nei dirigenti socialisti.
Il maggiore esponente del socialismo italiano fu Filippo Turati, nella sua
corrispondenza con la sua compagna Anna Kuliscioff, diede giudizi molto
critici su queste proteste femminili, interpretandole come una rivolta della
campagna contro la città che finiva per colpire senza distinzione le
autorità, i ricchi borghesi e gli stessi socialisti. Turati sospettò persino che i
socialisti ne fossero il bersaglio principale e che in tutto questo ci fosse
stato l’intervento dei preti.
20 Le donne ebbero una
presenza cospicua nella
protesta popolare contro la
guerra, quando vennero a
mancare molte occasioni
di lavoro: in seguito al
declino delle industrie
tessili
e
dell’
abbigliamento, mentre il
peggioramento
delle
condizioni economiche del
Assalto ad un forno durante una protesta contro la carenza di
ceto medio ridussero le
viveri a Gualdo Tadino
opportunità di lavoro
domestico. Di conseguenza la prostituzione clandestina aumentò.
Un significativo episodio di ribellione si verificò a Torino nell’agosto
1917. A scatenarlo fu l’esasperazione per la mancanza di farina e di pane,
a causa della chiusura di numerose panetterie. La protesta contro la
mancanza di pane, generalmente, riproduceva una certa rivolta delle plebi
urbane con manifestazioni diventate celebri e proverbiali nella rivoluzione
francese.
La rivolta, che scoppiò il 22 agosto, coinvolse gli operai e la popolazione
dei quartieri proletari in scioperi, saccheggi, barricate. Ci furono poi
scontri a fuoco con le forze dell’ordine e con l’esercito intervenuto a
frenare il moto e ad impedire che dai quartieri operai arrivasse fino al
centro della città. Contro i manifestanti furono applicate autoblindo e
mitragliatrici.
Tutto ciò che gli operai cercarono di fare, affinché i soldati si unissero alla
protesta e cedessero le armi, non ebbe alcun risultato tranne in qualche
raro episodio. La repressione invece fu durissima: guardando i calcoli, le
vittime tra i dimostranti furono circa 50, i feriti oltre 200, gli arrestati quasi
900 e molti operai furono inviati al fronte.
I rappresentanti della parte socialista che avrebbe fatto nascere il Partito
comunista riconobbero in questo episodio, a posteriori, un esempio di
21 combattività proletaria che lasciò scorgere la possibilità di un risultato
rivoluzionario.
La classe dominante provò orrore per la probabile insofferenza e
insubordinazione che era presente tra le masse. Gli interventisti vollero
però che il governo adottasse una condotta più energica e un’azione
repressiva più dura contro i nemici interni. Specialmente i volontari della
parte interventista più accesa videro crescere il loro odio contro gli
avversari della guerra.
Come il successivo episodio di Caporetto, quello di Torino era destinato a
scavare un solco profondo, difficile di rimarginare, tra quelli che
credevano che la guerra fosse una grande occasione e un’indubbia
necessità per fare l’Italia più grande e per quelli che per motivi diversi non
la pensavano così.
1.9 La guerra dei bambini
Anche bambini e bambine furono coinvolti nella guerra in diversi modi.
I bambini al di sotto dei 14 anni erano circa 12 milioni, circa 1/3 della
popolazione, tuttavia fino al tardo 800 i bambini erano stati poco
considerati.
Solo a cavallo dei due secoli si era sviluppata una nuova attenzione nei
loro confronti, come potenziali lettori di giornaletti o acquirenti di
giocattoli prodotti in serie.
La condizione dei bambini cambiava a seconda della posizione sociale.
La lunga durata della guerra e gli intensi sforzi richiesti alla produzione
imposero una restrizione dei consumi che toccò famiglie contadine e
borghesi.
L’ ideologia della parsimonia e dei sacrifici divenne quindi un obbligo per
la sopravvivenza.
Nella stampa dell’ epoca e nelle cartoline illustrate il tema del risparmio
ricorre di continuo, infatti anche i bambini ricevevano degli ammonimenti
che limitavano le loro necessità e li educavano all’austerità, persino alla
colazione senza zucchero.
22 I giornali dedicati ai più piccoli erano simili a quelli destinati ai contadini
poco alfabetizzati, cioè con molte
vignette.
Vignetta patriotica del Corriere dei Piccoli
Per i bambini furono creati anche
alcuni giornali come il Corriere dei
Piccoli e il Giornalino della domenica
che
avevano
posizione
di
nazionalismo e raggiunsero subito
migliaia di copie vendute.
Questi giornali durante la guerra
avevano il compito di aumentare lo
spirito patriottico e l’ odio austriaco
nei bambini.
Con la guerra si richiamava nei più piccoli l’ obbedienza che poi era
richiesta dai soldati.
Successivamente si capì che, per aumentare i consensi, era meglio
utilizzare modi semplici e comprensibili, ciò significa che la guerra veniva
banalizzata agli occhi sia dei bambini che degli adulti.
Questa guerra non era come le altre, prevedeva le energie materiali,
intellettuali e organizzative di tutta la popolazione.
George Mosse interpreta la banalizzazione della
guerra come un modo per contrastare l’ ampiezza
dell’ evento e le conseguenze di esso.
La propaganda abbandonò i toni aggressivi
sostituendo all’ eroismo quello della sopportazione, e
favorì l’ assuefazione.
Vignetta patriotica del
Corriere della Sera
I programmi scolastici vengono modificati in via
provvisoria per parlare della guerra, per la lingua
italiana erano previste letture periodiche di giornali
narranti la guerra.
Per la geografia si proponeva l’ aspetto fisico e le difficoltà logistiche del
Carso, poi comparivano più attuali come la mobilitazione e le successive
23 leve militari. Non mancavano comunque riferimenti a riflessioni sui caduti
in guerra e sui feriti.
Infine per l’ educazione fisica si suggeriva di portare gli allievi, ove fosse
possibile, a visitare ospedali militari, stabilimenti di prigionia, laboratori di
mutilati, fabbriche di munizioni, ecc, allo scopo di impressionare
maggiormente con la reale visione dei fatti.
La familiarizzazione con la guerra comportava la familiarizzazione con la
violenza e con la morte.
Un immaginario truculento cominciò ad assediare le menti infantili,
nobilitato e reso edificante dalla causa patriottica.
I maschi si eccitavano all’ idea di ammazzare e gettare bombe, e le
bambine non erano da meno.
Persino alcune figure classiche della letteratura per l’ infanzia, come
Pinocchio, furono rivisitate in una chiave che attingeva allo scenario della
guerra. Era anche questo un modo per depotenziare il volto sanguinario
della guerra, riducendolo ad una fantasia infantile.
Uno dei primi principali strumenti di banalizzazione della guerra erano i
giochi e i giocattoli.
I bambini avevano sempre giocato alla guerra, ispirandosi di volta in volta
a situazioni, personaggi, contese del presente o del passato.
Nell’ 800 ad animare lo scenario erano statele guerre risorgimentali: quella
contro il brigantaggio, gli scontri tra “papalini”, borbonici, piemontesi.
Gli echi della guerra in corso sui fronti di mezza Europa, dopo il 1914 non
tardarono a modificare caratteri e protagonisti del gioco.
L’ immagine del bambino che dorme accanto ai suoi soldatini, sognando
autentici combattenti in atto di scontrarsi sui campi di battaglia è una delle
più comuni nell’ iconografia del tempo.
Il passaggio dalle guerre mimetiche a quelle reali, falciò intere generazioni
e rese perciò inevitabile il richiamo di classi di età sempre più giovani.
In molta letteratura del periodo tra le due guerre, è fortemente presente il
tema di una generazione che non aveva imparato a fare altro che la guerra ,
ossia a uccidere o morire.
24 Nella stampa dell’ epoca troviamo spesso suggerito lo stesso concetto
anche in forma sdrammatizzante e scherzosa.
La Grande Madre italiana nutriva i suoi figli per farli diventare soldati e
mandarli a combattere.
I giornali alludevano all’ ingresso dei bambini sulla scena della guerra con
numerose
vignette
che
rappresentano
efficacemente
questo
accompagnamento del bambino dalla culla alla trincea.
Raggiungere l’ età adulta significava diventare combattenti.
Non a caso l’ iniziazione della guerra era talvolta associata all’ iniziazione
sessuale degli adolescenti, così da conferire un significato sottilmente
attraente e non drammatico.
Al di là delle allusioni simboliche , si avviarono forme di vero e proprio
tirocinio dei minori alle pratiche della guerra.
In effetti a partire dal 1916 si stabilì che gli appartenenti al corpo militare
potevano essere impiegati in piccoli compiti di supporto, servizi di
staffetta , collegamento e vigilanza nell’ interno del paese.
I bambini erano un mercato potenziale non solo di letture e giocattoli, ma
anche di altri prodotti legati alla crescita e all’ abbigliamento.
Le trasformazioni sociali crearono un’ attenzione immediata per le
questioni commesse all’ igiene dello sviluppo e dell’ alimentazione.
Le industrie tentavano di affermare nuovi consumi, come l’ Eubrofina, un
nuovo ricostituente, venne pubblicizzato allora sui giornali con immagini e
slogan che come al solito utilizzavano associazioni di idee legate alla
guerra in corso, per far crescere i bambini che domani avrebbero dovuto
combattere.
L’ immagine dei bambini finì insomma per circolare con crescente
frequenza nella comunicazione sociale, nei giornali e nei manifesti murali.
Si parla di arruolamento del bambino, le cui conseguenze si sarebbero
rivelate con ampiezza solo nei decenni a venire.
25 1.10 Il mistero del soldato Peter Pan.
I turisti che ogni giorno salgono sulla cima del Monte Grappa, dove il
ricordo della guerra è rimasto intatto, possono visitare l’Ossario italiano e
quello austrungarico. Entrambi sono a forma di colombario e contengono,
nei loculi, i resti di più di 22.000 caduti, di cui
solo poche centinaia sono stati identificati.
Nel Sacrario italiano è collocata anche la salma
del generale Giardino, comandante supremo
dell’Armata del Grappa; sulla sommità si può
visitare la cappella della Madonna del Grappa,
la cui statua, prima situata vicino alla caserma
Milano, venne danneggiata da una granata
durante un attacco nemico, poi restaurata e fatta
trasportare in treno attraverso la penisola tra i
saluti della folla festante, infine collocata
nell’attuale sacello sopra il Sacrario.
Tomba del Generale Giardino nel
l’Ossario italiano
Ossario italiano a Cima Grappa.
26 Statua della Madonna del Grappa
Partendo dal Sacrario italiano e percorrendo i 300 metri della via Eroica, ai
lati della quale sono situati i cippi che riportano i nomi delle vette su cui si
sono combattute le battaglie decisive della Grande Guerra, si raggiunge
prima l’Osservatorio italiano, poi l’adiacente Sacrario austrungarico; lì tra
i loculi dei caduti nemici, si trova quello contenente i resti del soldato
ungherese Peter Pan, al cui nome è legata una leggenda.
Ormai nella seconda metà del 1918 le forze austro-tedesche andavano
incontro ad un crescente processo di logoramento: i tedeschi tentarono
senza successo l’ultimo sforzo offensivo sul fronte occidentale, così gli
austrungarici, privati dell’appoggio dei tedeschi sul fronte italiano, videro
fallire gli ultimi sforzi offensivi, cominciarono a sentire la stanchezza,
l’esaurirsi delle forze ed una progressiva disgregazione interna costrinse i
27 .
generali, nell’ultima fase, ad arruolare giovani e giovanissimi, anche
soldati già provati da ferimenti, povera gente mandata allo sbaraglio.
Ma i propositi di mantenere
intatto un Impero vacillante tra
una miriade di nazionalità
diverse
si
frantumarono,
portando alla rinascita dei popoli
d’Europa.
Come tanti giovani della sua età
il soldato ungherese Peter Pan fu
arruolato
nell’
esercito
austrungarico, tra le fila del 30°
Reggimento Fanteria Honved, 7 °
Compagnia ed inviato al fronte,
tra le valli di Vicenza e Asiago, a
combattere per una causa non sua
e con tanta nostalgia per il suo
Via Eroica, ai lati della quali i cippi riportano i nomi delle
vette dove si svolsero le principali battaglie
paese lontano.
Peter era figlio di una
ragazza madre che lo ebbe
ad appena 18 anni, Maria
Pan, il 21 agosto del 1887.
Prese
il
nome
dalla
madre,perchè il padre non
potè riconoscerlo per motivi
di
carriera militare; proveniva
da un lontano paesino
Ossario austrungarico
dell’Ungheria
RuszkabànyaKrassò-Szorèny, che ora è sparito dalla carta geografica, ma è
stato individuato con l’attuale Rusca Montana, oggi non più in territorio
ungherese, ma in Romania, in una regione situata nella parte sudoccidentale del Paese, lungo il confine con lo Stato magiaro.
28 Lo scoppio di una granata a Col Caprile pose fine alla sua giovane vita il
19 settembre del 1918; un fiore, un sassolino, una conchiglia furono le tre
sole cose che i barellieri della
Croce Rossa trovarono nelle sue
tasche, quando andarono a
raccogliere il suo corpo, insieme
a quello di altri cinque compagni.
Il nome fiabesco Peter Pan, ci
rievoca quel bambino che non
voleva crescere, ma che volava
per
combattere
"Capitan
Uncino";
ci riporta con la
fantasia nel mondo dell’"Isola
che non c'è", al personaggio della
fiaba dello scozzese James
Matthew Barrie, che non ha solo il nome in comune col giovane fante, ma
tra i due
esistono altre strane e affascinanti analogie.
Infatti il personaggio di Peter Pan di Barrie venne creato nel 1887, lo
stesso anno di nascita del soldato ungherese; nella fiaba Peter Pan vive
nell'”isola che non c'è” e del Peter Pan soldato si scopre che il suo paese
non esiste più nelle carte geografiche più dettagliate; la capra, amica
inseparabile del Peter Pan fantastico, ci riporta alla realtà del Massiccio del
Grappa, al Col Caprile a quota 1331, una cima che guarda alla Valsugana e
la Valle delle Capre, dove Peter morì; infine quel Capitan Uncino contro il
quale i ragazzo volante combatte potrebbe rappresentare un generale
nemico o un connazionale che impone impietosi ordini.
Da molti anni sul loculo 107 del cimitero austrungarico ogni giorno
qualcuno depone fiori, sassolini e conchiglie, che ogni mattina i custodi
tolgono, per rispettare l’uguaglianza di tutti i caduti, ma l’indomani li
ritrovano puntualmente; neppure Ferdinando Celi che scrisse un libro, in
cui narra la storia del giovane fante, fa luce sul mistero di quelle mani
pietose.
“Sì”, spiega Celi, “è un mistero anche per i soldati preposti a controllare e
a ripulire giornalmente l'Ossario. Perché se è vero che turisti e gente
comune spesso si fermano davanti all'iscrizione di bronzo, nessuno sa dire
di chi sia la mano sconosciuta che, nei giorni d'inverno, quando non si
29 vede anima viva aggirarsi per l'Ossario, depone fiori di campo, sassolini e
conchiglie sulla tomba del soldato Peter Pan”.
Loculo del soldato ungherese Peter Pan
30 Il fronte interno nella Grande Guerra
1.1 Definizione di fronte interno………………………..pag.3
1.2 La mobilitazione di massa…………………………..pag.6
1.3 Il ruolo delle donne nella guerra…………………...pag.9
1.4 Il mondo alla rovescia………………………………..pag.11
1.5 Le madri di tutti………………………………………..pag.13
1.6 Ernestina Bittanti Battisti……………………………pag.15
1.7 Infermiere e crocerossine…………………………...pag.16
1.8 La protesta sociale……………………………………pag.18
1.9 La guerra dei bambini………………………………..pag.22
1.10 Il mistero del soldato Peter Pan……………………pag.26
31 BIBLIOGRAFIA
Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli italiani.
Biblioteca la Grande Guerra, 2009.
David Stevenson, La Grande Guerra, una Storia globale,
Biblioteca la Grande Guerra, 2009.
Ferdinando Celi, Soldato Peter Pan, La Serenissima, 2005.
A.A.V.V., L’invasione del Grappa, Gino Rossato Editore,
1993.
A.A.V.V., La guerra in casa, Veneto-1915-18.
E. Schiavon, L’interventismo femminile nella Grande
Guerra, “ Italia contemporanea”, n. 234, 2004.
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