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la pietra serena dal macigno di fiesole

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la pietra serena dal macigno di fiesole
LA PIETRA SERENA DAL
MACIGNO DI FIESOLE
Università di Firenze, Dipartimento di Scienze della Terra
Prof. Geol. Massimo Coli, Dr. Ph.D. Geol. Elisa Livi & Dr. Ph.D. Geol. Chiara Tanini
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
COMUNE DI FIESOLE
Nell’ambito della sua politica di corretta gestione del territorio e
di recupero e valorizzazione delle sue emergenze naturali ed
antropiche, il Comune di Fiesole ha inteso con l’istituzione del
Parco di Monte Céceri, rendere alla pubblica fruizione il territorio
di Monte Céceri, profondamente segnato da secoli di attività
estrattiva del Macigno, la Pietra Serena, dei monumenti Etruschi
prima, Romani poi, ed infine rinascimentali e recenti che ha reso
tipico l’aspetto sia di Fiesole che di Firenze e che tanto ha
contribuito alla formazione tecnica di artisti universalmente
famosi, primo tra tutti Benedetto da Maiano ed il sommo
Michelangelo Buonarroti.
Fiesole e Monte Céceri nella loro nuda essenzialità al tempo
dell’assedio di Firenze nel 1530, dal celebre dipinto del Vasari
nel salone dei Cinquecento.
Fiesole e Monte Céceri come erano nella celebre veduta del
F.B. Werner, del 1735.
L’area di Monte Céceri ormai da anni abbandonata da ogni tipo di
attività estrattiva, e soggetta in tempi recenti a diffusi interventi di
rimboschimento che ne hanno cambiato l’immagine, in tempi non
lontani ancora brulla e nuda nella sua essenzialità di paesaggio
operativo, si è negli ultimi anni lentamente degradata, risultando
via via abbandonata quale luogo di ristoro e di memoria di secoli
di operosa attività umana, ma anche di balcone affacciato su
Firenze e sulle colline del Chianti e delle valli d’Elsa e d’Era e giù
nei giorni migliori fino all’Amiata, ai Monti Livornesi, al Monte
Serra ed alle Alpi Apuane.
Scopo di questo progetto è quindi quello di rendere nuovamente
agibile a tutti in senso fisico ed in senso sociale, l’area di Monte
Céceri, oltre che quello di recuperare alla memoria e di rendere
assimilabile ai visitatori, quella che è stata la storia dell’attività
estrattiva della Pietra Serena che rende così belle ed uniche le
piazze e le strade di Fiesole e Firenze.
Per questo fine è intenzione di recuperare e restaurare con
tecniche tradizionali gli antichi percorsi di cava, ripulire e rendere
visibili ed apprezzabili le tracce delle antiche coltivazioni con le
loro tecniche classiche di estrazione della pietra, attrezzare punti
di sosta adatti ad apprezzare gli ampi e notevoli panorami che si
aprono alla vista. E’ inoltre intenzione recuperare ed attrezzare
alcune cave per rendere partecipi i visitatori alle tecniche
classiche di estrazione e per preparare giovani e nuovi lavoratori
della Pietra Serena, sia a fini artistici, sia ai fini del restauro di
Beni Architettonici; a questo fine è anche intenzione di riattivare
una cava, onde poter disporre, nel caso di specifiche necessità di
restauro di Beni Architettonici di pregio, di Pietra Serena tipica ed
originale, il classico Macigno di Fiesole.
Le colline di Fiesole e Monte Céceri, brulli e con le ampie
discariche delle numerose cave di Pietra Serena come
apparivano nelle prime immagini fotografiche, 1880 c.
Fiesole e Monte Céceri così come oggi li conosciamo, volo 1996
Fiesole e Monte Céceri come erano nella memoria, volo 1935 e volo 1954
IL PAESAGGIO
Il "Paesaggio" non è un qualcosa di oggettivo, ma dipende
soggettivamente dalla cultura e dalla sensibilità dell'osservatore,
nonché dal suo stato d'animo e dal tempo-momento in cui viene
percepito. Il "Paesaggio" stesso è frutto dell'evoluzione della natura
e del lavoro dell'Uomo sull'ambiente, pertanto una sua corretta
lettura non può prescindere dal rapporto ternario Uomo-NaturaSocietà e dalla stratificazione di testimonianze che tale rapporto ha
lasciato nei secoli.
Nell'area di Fiesole questa stratificazione è molto forte e trova le sue
radici prima negli Etruschi, poi nei Romani e quindi, nella storia
stessa della città di Fiesole e dell'escavazione del Macigno, da
Monte Céceri e Maiano, quale Pietra Serena.
Ma l'abbandono delle attività estrattive negli ultimi 50 anni, ed i
successivi rimboschimenti unitipici, hanno messo in crisi questo
equilibrio ternario Uomo-Natura-Società spostando la bilancia verso
un paesaggio monotematico senza storia ed in lento progressivo
degrado stante anche la sua non significanza per chi lo percorre.
Nell'ottica della realizzazione di un recupero delle radici storiche dei
luoghi e di ecofruimento del paesaggio la realizzazione del Parco di
Monte Céceri deve recuperare questa ternalità paesaggistica
proponendola sia come percorso, sia come tipologie di interventi che
come proposta culturale, così da proporlo anche come richiamo
culturale e storico .
Pertanto nella redazione del presente studio si è cercato di
recuperare e riproporre tematiche fortemente stratificate nell'area,
sotto il punto di vista paesaggistico, del significato e delle
testimonianze dell’attività estrattiva e della tipologia degli interventi.
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA
FIESOLE NELLA CARTOGRAFIA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Esemplificazione sintetica dell’evoluzione della cartografia dell’area di Monte Céceri da metà del XIX secolo alla fine del XX
If you can measure what you are speaking about, and express it in numbers, you know something
about it.
Lord Kelvin, 1824-1907
La rappresentazione di un territorio a fini conoscitivi, militari, fiscali, tecnici è
sempre stata una esigenza fondamentale delle attività umane; dapprima come
semplice espressione di tratti indicativi direttamente sul terreno, poi su pietre,
tavolozze, pelli, pergamente, papiri, carta ed oggigiorno in formato digitale ed in
forme sempre più aderenti alla realtà dei luoghi l’uomo ha sempre teso a
rappresentare al meglio il territorio nel quale operava.
Le prime vere “carte topografiche” che rappresentano in modo più realistico il
territorio sono solo del XVIII secolo, e per l’area di Fiesole e Monte Céceri le
prime vere carte con precisi riferimenti territoriali disponibili, conservate presso la
biblioteca dell’I.G.M., sono della metà del XIX secolo.
Ma è solo con l’insieme dei rilievi legati alla levata della carta topografica
fondamentale del nuovo stato unitario che verso fine del XIX secolo vengono fatte
le prime vere carte topografiche dell’area, in scala 1:25.000 ed 1:10.000, rilevate
direttamente sul terreno, ed ancorate a precise basi geodetiche e principi di
trasposizione cartografica, in grado di esprimere attraverso un accurato disegno
artistico e figurativo lo stato di fatto del poggio di Monte Céceri e la situazione
della sua realtà estrattiva, in termini di cave e di percorsi.
Nell’ambito della normale attività di aggiornamento della cartografia italiana si
sono nel tempo succedute varie edizioni di queste cartografie di base, e negli ultimi
decenni anche gli enti locali territoriali hanno sviluppato proprie cartografie
tecniche in scala 1:10.000 ed 1:5.000, per arrivare poi all’attuale carta digitale
dell’area del Parco di Monte Céceri alla scala 1:1.000.
A partire dagli anni ‘30 del XX secolo gli aggiornamenti e le verifiche sono stai
fatti anche con l’ausilio della aereofotogrammetria, che ha consentito anche di
creare veri archivi fotografici dell’evoluzione temporale del territorio.
Cartografia topografica storica:
Stato Maggiore Austriaco scala 1:50.000
- 1851
Provincia di Firenze scala
1:10.000
- 1985
Regione Toscana scala 1:5.000
I.G.M. scala 1:25.000
- 1861
- 1873
- 1904
- 1921
- 1935
- 1955
- 1980
- 1996
I.G.M. scala 1:10.000
- 1995
- 1896
I.G.M. Foto aeree
- 1923
- 1935
- 1985
- 1936
- 1954
- 1986
- 1980
- 1963
- 1987
- 1996
- 1970
- 1989
- 1976
- 1991
- 1982
- 1997
Spezzone della carta topografica dello Stato
Maggiore Austriaco a scala 1:50.000 del 1851
Spezzone della carta topografica
I.G.M. a scala 1:25.000 del 1873
Spezzone della carta topografica
I.G.M. a scala 1:10.000 del 1896
Spezzone della carta topografica
I.G.M. a scala 1:25.000 del 1996
COMUNE DI FIESOLE
VIRTUALIZZAZIONE DI UN PAESAGGIO
IL PAESAGGIO REALE E VIRTUALE
Le variazioni oggettive che un paesaggio mostra sono frutto sia della sua normale dinamica geomeorfica, sia dell’azione che l’uomo ha nel frattempo esercitato su di esso, sia
direttamente con opere ed azioni varie, sia indirettamente con le conseguenze che le sue opere ed azioni hanno avuto sul normale divenire geomorfico dei luoghi. L’insieme di
queste azioni dirette od indirette va ora sotto il nome di Impatto Ambientale, ma il termine Impatto è di per sua stessa natura di connotazione negativa, invece non tutte le
conseguenze sul paesaggio indotte dall’azione umana sono di tipo “negativo”, ma negativo rispetto a cosa? Rispetto al comune senso estetico, etico, ambientale etc… dominante
al momento della valutazione.
Nel caso specifico di Monte Céceri e dell’attività estrattiva della Pietra Serena non c’è dubbio che per centinaia di anni essa sia stata e sia stata giudicata un’attività socioeconomica basilare sia per Fiesole che per Firenze e tutto il circondario; dava lavoro, dava materiali, dava indipendenza! A partire dalla metà del XX secolo varie motivazioni
(urbanistiche, sociali, economiche, tecniche, ambientali, …) hanno portato all’abbandono dell’attività estrattiva a Monte Céceri ed alla realizzazione di un “Recupero Ambientale”
con estesi rimboschimenti unitipici che hanno notevolmente contribuito a cancellare dal paesaggio e dalla memeoria le vestigia fisiche e culturali di oltre XX secoli di attività
estrattiva della Pietra Serena.
Oggigiorno, con le potenzialità tecniche fornite dall’elaborazione digitale delle immagini è possibile riprodurre in forma virtuale le forme del paesaggio che fu, o che sarà, e
proporre alla conoscenza ed alla valutazione situazioni passate o futuribili.
1a - Realizzazione di una base cartografica
digitale dell’area interessata
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
2a - La base cartografica digitale viene resa in 3D
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Immagine virtuale di Monte
Céceri resa all’anno 1935
3a - Dalla resa in 3D si crea una maglia (mesh)
che poi viene vestita (renderizzata)
Immagine virtuale di Monte
Céceri resa all’anno 1954
4 - L’immagine georefenziata viene spalmata
sul 3D topografico renderizzato
1a - Viene acquisita un’immagine aereofotografica
digitale dell’area interessata
2b - L’immagine viene georeferenziata
sulla base cartografica
3b -L’immagine georeferenziata viene ritagliata
sull’area interessata
Immagine virtuale di Monte
Céceri resa all’anno 2000
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
CONOSCENZE GEOLOGICHE GENERALI
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
SCHEMA TETTONICO
DELL’APPENNINO SETTENTRIONALE
L'Appennino Settentrionale è una catena orogenica
strutturalmente complessa, a falde e thrust, formatasi in relazione
a più fasi tettoniche legate, a partire dal Cretaceo superiore, alla
chiusura dell'oceano Ligure-Piemontese ed alla conseguente
collisione continentale tra le placche europea ed adriatica.
Nell'ambito di questa evoluzione tettonica si possono distinguere
una fase oceanica ed una intracontinentale; la prima inizia al
limite tra il Cretaceo inferiore ed il Cretaceo superiore (90 My) e
termina nell'Eocene (40 My) con la completa
chiusura
dell'oceano Ligure-Piemontese; durante questa fase si ha
l'impilamento tettonico, tipo prisma d'accrezione, delle Unità
Liguri. Nell'Eocene in seguito alla collisione continentale inizia
la fase intracontinentale sviluppatasi a spese del margine
continentale dell'Adria. In questa fase si ha lo sviluppo di una
tettonica a thrust e falde con coinvolgimento progressivo prima
delle Unità Toscane e successivamente di quelle UmbroMarchigiane, ed il successivo sovrascorrimento su di esse delle
Unità Liguri precedentemente impilate. Episodi di tettonica
gravitativa e retroscorrimenti, anche importanti, sono legati a
questa strutturazione crostale.
In questo quadro tettonico si pone l'evoluzione dell'area di Monte
Céceri, che vede durante il Miocene (20 My) il sovrascorrimento
della Falda Toscana sull'Unità Cevarola-Falterona; i rapporti tra i
bacini deposizionali di queste due unità sono stati ampiamente
discussi nella letteratura scientifica; l'interpretazione più
comunemente accettata da gran parte degli Autori colloca
l'Unità Cervarola-Falterona in un bacino esterno, orientale
rispetto a quello della Falda Toscana.
Durante il Miocene superiore (14 My) le Unità Liguri avanzano
ulteriormente verso l'esterno della catena, sovrascorrendo sia
sulla Falda Toscana che sull'Unità Cervarola-Falterona già
impilate. Durante queste fasi tettoniche la dorsale nord
appenninica si solleva ed assume l'aspetto fisiografico di ampia
catena montuosa.
A partire dal Miocene superiore il
fronte compressivo
dell’orogene appenninico, è seguito da un fronte distensivo,
legato all'apertura del Bacino Tirrenico; attualmente i due regimi
tettonici diversi coesistono in due fasce longitudinalmente
contigue della catena, sul versante tirrenico è attivo il regime
distensivo, su quello adriatico quello compressivo.
Il regime tettonico distensivo, attraverso una gradinata di faglie
normali immergenti verso il Tirreno, ha portato allo
smembramento della catena orogenica precedentemente
costituita, ed allo sviluppo di depressioni tettoniche via via più
giovani da ovest verso est, sviluppatisi a partire dal Tortoniano
terminale-Messiniano (12 My).
1 - Fronti dei thrust principali
2 - Fronti dei thrust secondari
3 - Principali faglie normali
4 - Bacini tettonici estensionali
5 - Aree magmatiche
Schema dell’evoluzione
tettogenetica dell’Appennino
settentrionale nell’ambito della
chiusura Cretaceo-Oligocenica
(65÷30 My) dell’oceano LigurePiemontese e della conseguente
collisione continentale tra Europa
ed Adria
Carta geologica dell’Appennino Settentrionale - scala 1:500.000
Cartoon del sovrascorrimento della Falda
Toscana sulla più esterna Unità del
Cervarola-Falterona avvenuta al Tortoniano
(14 My) e susseguente sovrascorrimento su
tutto delle Unità Liguri.
Falda Toscana: mg = Macigno. Unità Ligure di Monte Morello: al = Alberese; S
= Formazione di Sillano; P = Pietraforte. Unità di Canetolo: k = Arenarie di
Monte Senario, z = scisti varicolori. Blu = ofioliti. Grigio = Caotico. Depositi
recenti: P = ghiaie, sabbie e limi marini; V = ghiaie, sabbie e limi lacustri; a =
ghiaie, sabbie e limi fluviali.
Monte Céceri si pone sul fronte della Falda
Toscana.
Carta strutturale dell’Appennino Settentrionale
scala 1:500.000
7b = Falda Toscana: Macigno; 9 = Unità Ligure di Monte
Morello: x = Caotico; B = depositi lacustri; a = depositi
fluviali. Linee nere = faglie; linee nere barbettate = contatti
tettonici
COMUNE DI FIESOLE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Carta geologica d’Italia 1:100.000 F 106 Firenze
CONOSCENZE GEOLOGICHE REGIONALI
L’area di Monte Céceri fa parte dell’Appennino toscano che
comprende una fascia orientata circa NW-SE, a SW dello spartiacque
della catena appenninica; le unità tettoniche affioranti, che presentano
tra loro complessi rapporti tettonici di sovrascorrimento, sono
rappresentate dalla Successione Umbro-Romagnola, dall’Unità
Cervarola-Falterona, dall’Unità di Monte Morello, dall’Unità di
Canetolo, e dalla Falda Toscana. L’unità di Monte Morello di
provenienza ligure, è sovrapposta tettonicamente a tutte le altre unità
precedentemente deformate, costituendo una falda del tutto svincolata
dal suo substrato; essa si presenta con i maggiori affioramenti
nell’area di Firenze, in particolare lungo la Dorsale della Calvana.
La dorsale M.Rinaldi-Monte Céceri si colloca sul fronte
dell’allineamento
M.Orsaro-M.Cimone-Montalbano-M.ChiantiM.Cetona, che nell’interpretazione comune costituisce il fronte di
sovrascorrimento della Falda Toscana sull’Unità Cervarola-Falterona.
Le vergenze tettoniche presenti lungo questo complesso motivo
strutturale, indicano un movimento della Falda Toscana sull’Unità
Cervarola-Falterona da W-SW verso E-NE, così come generalmente
si riscontra per le unità tettoniche dell’Appennino Settentrionale.
Sul terreno l’allineamento M.Orsaro-M.Cetona corrisponde al fronte
del Macigno, che risulta spesso disarticolato dai terreni sottostanti e
avanscorso verso E-NE rispetto al fronte dei sottostanti termini
carbonatici mesozoici, situato invece in una posizione più interna;
lungo tutto l’allineamento è presente una tettonica complessa, con
presenza di frequenti sovrascorrimenti e laminazioni.
La presenza di estesi affioramenti di terreni delle Unità Liguri e
Subliguri, che si possono trovare sia in sovrapposizione tettonica sulla
Falda Toscana, che intercalati in essa come olistostromi, e la loro
natura essenzialmente argillitica, che li ha portati ad avere un assetto
prevalentemente caotico, rende difficoltosa una corretta
interpretazione tettonico-strutturale di questo allineamento tettonico.
In questo contesto tettonico, la dorsale di M.Rinaldi-Monte Céceri
rappresenta una delle zone più problematiche, in quanto i complessi
rapporti fra la Falda Toscana e le Unità Liguri e Subliguri sono
alterati dalla presenza di sistemi di faglie normali a prevalente
direzione NW-SE, sviluppatisi a partire dal Pliocene e legati alla
tettonica estensiva tirrenica che ha segmentato l’edificio a falde
preesistente, sovrapponendosi ai motivi plicativi precedenti e
determinando strutture a horst e graben allungate prevalentemente in
direzione appenninica. Questa attività tettonica disgiuntiva recente ha
portato alla formazione dei bacini intermontani appenninici, tra i
quali quello di Firenze-Prato-Pistoia.
In tali bacini intermontani si sono instaurati, talora mantenendosi
anche fino a tempi recenti, estesi ambienti deposizionali di pianura
costiera e alluvionale, lacustri e palustri, che hanno portato
all’accumulo di spesse coltri di sedimenti.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
CARTA GEOLOGICA
mg: Macigno; mPl: marne di San Polo; c: Caotico; fV:
formazione di Vallina; i: indifferenziato; al: Alberese; pf:
Pietraforte; aS: arenarie di Monte Senario; Vs:
Villafranchiano sabbioso; Vag: Villafranchiano argilloso;
q: alluvioni recenti
Schema geologico dell’area di Fiesole e
del bacino di Firenze-Pratp-Pistoia
1:25.000
Alluvioni recenti dell’Arno e dei suoi affluenti
Marne di San Polo
Conoidi torrentizie recenti
Caotico
Depositi fluvio-lacustri
Formazione di Sillano
Macigno
Formazione di Monte Morello
faglia
contatto stratigrafico
faglia presunta del substrato pre-lacustre
contatto tettonico
Carta strutturale
dell’Appennino
Settentrionale scala
1:500.000
7b = Falda Toscana:
Macigno; 9 = Unità Ligure
di Monte Morello: x =
Caotico; B = depositi
lacustri; a = depositi
fluviali. Linee nere =
faglie; linee nere
barbettate = contatti
tettonici
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
CONOSCENZE GEOLOGICHE LOCALI
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Carta geologica in scala 1:50.000 di Fiesole e Monte Céceri del De Stefani, 1897
Nelle linee generali le conoscenze geologiche
su Monte Céceri non sono variate molto
rispetto ai primi rilevamenti di fine XIX secolo,
quello che è sostanzialmente variato è
l’inquadramento della dorsale di Monte Rinaldi
- Monte Céceri nel contesto geologico delle
conoscenze dell’Appennino Settentrionale e
della sua evoluzione geotettonica.
La dorsale di Monte Céceri rappresenta nella strutturazione geologica dell’Appennino
Settentrionale il più esterno affioramento di unità torbiditiche della Falda Toscana, che è
presumibile che in profondità sovrascorra a livello regionale sulla più esterna Unità CervarolaFalterona.
La struttura del Macigno di Fiesole è rappresentata da un alto strutturale, bordato a Nord-Ovest
ed a Sud-Est da due faglie normali ribassanti antiappenniniche (orientate Nord-Est/Sud-Ovest)
le aree esterne di alcune centinaia di metri e sul lato Sud-Ovest, verso Firenze, dalla serie delle
faglie appenniniche di Fiesole (orientate Nord-Ovest/Sud-Est), che con un rigetto verticale di
circa 1 km ribassano l’area fiorentina dando luogo al bacino fluvio-lacustre di Firenze e quindi
all’attuale pianura alluvionale dell’Arno e dei suoi affluenti.
Con il progredire degli studi e delle
conoscenze geologiche generali sono anche
migliorate e sono state dettagliati anche gli
aspetti peculiari del Macigno di Fiesole in
termini di litostratigrafia, tettonica, geologia
strutturale e geomeccanica, molti dati originali
relativi a questi aspetti sono stati appunto
ottenuti con la presente ricerca.
Il blocco di Monte Rinaldi - Monte Céceri presenta un generale assetto a monoclinale
immergente verso Nord o Nord-Est di pochi gradi (<20°) con generale assetto a reggipoggio
rispetto al versante su Firenze, che rappresenta una parete di faglia degradata dall’erosione.
L’intera struttura è poi interessata da una serie di faglie trasversali, ad andamento
antiappenninico (Nord-Est/Sud-Ovest) che sblocchettano la dorsale in strutture minori, ma con
medesimo assetto tettono-stratigrafico. Verso Nord-Est la struttura del Macigno di Fiesole
immerge, con contatto tettonico, sotto alle sovrastanti Unità Liguri.
Livelli coltivati
Principali cave
Fiesole
Mt. Ceceri
M
Depositi fluviofluvio-lacustri PlioPlio-Quaternari
Unità
Unità Liguri
Unità
Unità di Monte Morello, F.ne di Sillano
Falda Toscana
Marne di San Polo
Macigno
Contatto da definire
Faglie
Fronti di cava
Livelli guida
Contatti tettonici
Misure di strato
1 Km
0
1:10.000
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA
CORRENTI DI TORBIDITÀ
TORBIDITÀ (TORBIDE)
Sebbene già dalla fine del 1800 fossero state riconosciute le
correnti di densità (es. nel Lago di Ginevra), fu nella prima
metà del XX secolo che a questi flussi gravitativi fu data tutta
la loro importanza, e non solo nei settori geologici rivolti allo
studio dei vari processi sedimentari e dei depositi a cui questi
danno luogo, ma anche nell’interpretazione delle forme
morfologiche del fondo marino quali i canyons sottomarini
che solcano la scarpata continentale e le conoidi sottomarine
nelle antistanti piane bacinali.
Nel novembre del 1929 avvenne un fatto singolare:
nell’Oceano Atlantico settentrionale a largo di Terranova,
subito dopo una scossa di terremoto, i cavi telegrafici posti
sul fondo marino circa parallelamente alla costa nordamericana, si ruppero l’uno dopo l’altro interrompendo così
le comunicazioni intercontinentali; la velocità con la quale si
propagava il fenomeno fu stimata in oltre 25 km/h (le
correnti marine possono raggiungere al massimo i 9-10
km/h).
Questo evento fu in seguito legato agli effetti erosivi di una
frana sottomarina innescata dall’evento sismico sull’orlo
della piattaforma continentale americana. In particolare la
mobilizzazione dei depositi sabbiosi/fangosi aveva dato
origine ad una corrente densa e turbolenta (corrente di
torbidità o torbida, che, essendo soggetta alla forza di
gravità, era scesa in accelerazione (raggiungendo velocità
vicine ai 100km/h) lungo la ripida scarpata continentale per
raggiungere poi l’antistante piana oceanica ove erano stati
posati i cavi telegrafici, tranciandoli.
Infatti questi flussi gravitativi densi, veloci e turbolenti, che
possono muoversi anche su pendii con inclinazione molto
bassa (<1%), si mescolano poco con l’acqua marina
circostante e tendono a scorrere in prossimità del fondo
marino che normalmente è sede della tranquilla
sedimentazione dei fanghi pelagici, provocando importanti
fenomeni erosivi durante il loro percorso
Un analogo tipo di evento che produsse la rottura di cavi
telefonici sottomarini è accaduto anche in tempi più recenti
(16 Ottobre 1979) nel Mar Ligure-Balearico al largo delle
coste francesi.
Sono conosciuti anche esempi di torbide in ambienti
continentali lacustri, quali quelli dovuti alle acque del
Rodano fredde, ricche di sedimento e quindi dense, che si
immettono nel lago di Ginevra, o legate a fenomeni vulcanici
esplosivi, quali ad esempio le cosiddette nubi ardenti, ben
più dense dell’aria circostante, che discendono i fianchi dei
vulcani.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Queste catastrofiche correnti torbiditiche una volta arrivate alla base della scarpata continentale si espandono invadendo la
piana bacinale caratterizzata da una morfologia praticamente piatta e sub-orizzontale; è a questo punto che la torbida perde
progressivamente energia, decelera, ed inizia a deporre il suo carico di sedimenti partendo dalla rapidissima, se non
praticamente istantanea sedimentazione di quelli più grossolani (testa della torbida), mentre quelli più fini (coda della torbida)
potranno rimanere in sospensione per un tempo molto più lungo (mesi, anni). Si generano così i depositi stratificati da corrente
di torbidità detti torbiditi che sono caratterizzati al loro interno dalla tipica diminuzione di granulometria verso l’alto (gradazione
granulometrica).
L’accumulo nel tempo delle torbiditi genera sui fondi oceanici prossimi ai margini continentali, dei tipici apparati sedimentari a
forma di unghia (le conoidi sottomarine) con l’apice rivolto verso la terraferma.
Queste conoidi possano svilupparsi laddove vi sia un ingente apporto di sedimenti dall’area continentale retrostante; infatti le
maggiori conoidi sottomarine si formano nelle aree antistanti agli apparati deltizi di grandi fiumi (Gange, Indo, Nilo) che
sovraccaricano la piattaforma continentale di sedimenti che poi possono essere facilmente rimobilizzati dai fenomeni franosi sul
bordo della piattaforma stessa.
I volumi di sedimenti implicati in un processo torbiditico sono dell’ordine delle decine di km3 e possono interessare aree del
fondo oceanico estese anche oltre 100.000 km2.
Per mezzo delle correnti di torbidità ingenti volumi di sedimenti clastici terrigeni, anche grossolani, possono raggiungere zone dei
fondali oceanici anche molto distanti dai margini continentali.
Schema di sviluppo di una corrente di torbida
Corrente di torbida distruttiva
a largo di Terranova.
Corrente di torbida distruttiva
nel Mar Ligure-Balearico.
Schema geometrico di una corrente di torbida
COMUNE DI FIESOLE
CONOIDI SOTTOMARINE
Le numerose campagne di esplorazione
oceanografica hanno permesso di ottenere mappe
del fondo marino molto dettagliate utilizzando
varie metodologie (es. ecoscandagli). Le forme
morfologiche individuate sono state anche oggetto
di dragaggi e carotaggi meccanici e di indagini
geofisiche (es. sismica attiva) per ottenere
indicazioni sui materiali che le costituiscono e sulla
loro architettura; si ricordano a questo proposito i
progetti internazionali di esplorazione geologica
dei fondi oceanici come il famoso DSDP (Deep
Sea Drilling Project) ed il più recente ODP (Ocean
Drilling Project).
Queste ricerche hanno portato alla scoperta e alla
caratterizzazione delle conoidi sottomarine che
nel quadro delle forme morfologiche del fondo
oceanico sono sicuramente tra quelle più
interessanti.
Le conoidi sottomarine si sviluppano come enormi
ventagli di sedimento per estensioni anche di
decine di migliaia di km2 (la più grande è quella
del Gange-Bengala, lunga 2.600 km e larga 1.100
km, ma si ricordano anche quelle del Nilo, del
Congo e del Rodano) e con spessori fino a diverse
migliaia di metri (lo spessore della conoide del
Gange-Bengala è di 12 km). L’apice di queste
conoidi (che rappresenta la loro parte più acclive) è
posta alla base della scarpata continentale in
corrispondenza dei canyons sottomarini che
incidono profondamente la scarpata stessa.
L’alimentazione delle conoidi è assicurata da
ingenti apporti di sedimento legati alla presenza di
importanti sistemi fluviali nella retrostante area
costiera (es. il delta del Gange); tali sedimenti,
smistati ed accumulati sulla piattaforma
continentale o direttamente convogliati nei canyons
sottomarini (scavati in parte dai fiumi stessi
durante gli stadi di abbassamento globale del
livello del mare es. durante le glaciazioni
quaternarie) costituiscono il materiale di base per
le torbide.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
Conoidi sottomarine dell’Indo e del Gange
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
In una conoide sottomarina sono distinguibili tre parti:
→conoide interna: è la parte apicale della conoide allo
sbocco del canyon. E’ caratterizzata da un canale
alimentatore (in diretta prosecuzione del canyon), talora
provvisto di argini, che inizia a suddividersi in bracci
secondari.
→conoide intermedia: è caratterizzata dalla ramificazione
dei canali alimentatori. Nell’area di passaggio alla conoide
esterna, al termine dei canali, si sviluppano dei corpi
sedimentari a geometria piano-convessa (lobi o suprafan).
→conoide esterna: a parte la presenza dei lobi nella sua
parte più interna, questa parte della conoide presenta una
morfologia piuttosto piatta e a bassa inclinazione (frangia di
conoide) che si raccorda con la piana oceanica antistante.
Similmente a quanto avviene nei sistemi fluviali sul
continente, le torbide (comparabili alle piene fluviali)
fluiscono nei canali delle conoidi sottomarine, dai cui argini
possono localmente tracimare, e formano corpi sabbiosi di
lobo al termine dei canali; questi ultimi possono accrescersi
sempre più sottocorrente se nel tempo aumenta la
consistenza degli apporti sedimentari, impostando così un
lobo in progradazione costituito da sabbie anche piuttosto
grossolane, in un punto della conoide esterna, al di sopra
dei depositi fini. Una recessione del lobo sarà prodotta
invece dalla progressiva diminuzione degli apporti
sedimentari. Si potrà inoltre avere anche una improvvisa
interruzione dell’accrescimento del lobo a causa di
cambiamenti occorsi nel sistema alimentatore a monte (es.
lo spostamento dei flussi in canali limitrofi o di nuova
formazione per effetto di tracimazioni) e quindi questo corpo
sedimentario costituirà una forma fossile che sarà
progressivamente ricoperta dai depositi fini della frangia di
conoide.
Piattaforma
continentale
Organizzazione di una conoide sottomarina
Sistemi fluviali continentali e ambienti sedimentari marini
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA
STRATI E FACIES TORBIDITICI
Gli scienziati che per primi studiarono le correnti di torbidità sono stati l’olandese
Kuenen, gli americani Middleton e Hampton, e l’italiano Migliorini che negli anni
‘50 riconobbe nelle successioni sedimentarie dell’Appennino Settentrionale i
prodotti di antiche correnti di torbidità; Migliorini mosse le sue prime ricerche
proprio dagli affioramenti di Macigno delle Cave di Maiano attribuendoli ad una
successione di natura torbiditica. Bouma nei primi anni ‘60 sintetizzò l’insieme di
questi studi in un modello di strato torbiditico nel quale distinse più intervalli, la
cosiddetta sequenza Bouma, indicata come Ta-e.
Ma non tutti gli strati torbiditici sono caratterizzati dalla sequenza Bouma
completa, ma possono mancare o gli intervalli superiori (sequenze tronche tipo Ta
o Tab tipiche di strati spessi e/o grossolani) o quelli inferiori (sequenze incomplete
Tb-e, Tc-e o Tde di strati sottili e a grana fine); la ragione di questo è dovuta alla
distalità del deposito rispetto al punto di immissione delle torbide nella piana
bacinale. Infatti la torbida nel suo procedere sul fondo del bacino perde energia
cinetica anche perché si diluisce per il progressivo mescolamento con l’acqua
circostante; questo fa sì che la maggior parte dei materiali più grossolani venga
deposta nella parte interna-intermedia (prossimale) della conoide, originando
strati grossolani tipo Ta o Tab a base erosiva e di spessore anche considerevole. La
maggior parte del carico sedimentario residuo, costituito dai materiali fini, viene
invece abbandonato nella parte più esterna (distale) della conoide stessa, dando
luogo a strati sottili Tb-e, Tc-e e Tde.
Ogni torbida, per la diversa quantità e tipologia di materiale trasportato, di fluidità
ed energia di trasporto, può percorrere un tratto più o meno lungo della piana
bacinale oppure distribuirsi in modo arealmente diverso sul fondo; pertanto in uno
stesso punto del bacino potranno alternarsi nel tempo torbide con caratteri
relativamente prossimali con altre più distali e sviluppare la tipica ritmicità
verticale che si può osservare frequentemente nelle successioni torbiditiche come
quella del Monte Céceri.
Alla base degli strati torbiditici sono spesso riconoscibili strutture erosive,
controimpronte da trascinamento di oggetti (groove casts), controimpronte da
vortici (flute casts), bioturbazioni.
Organizzazione di uno
strato gradato
Facies ed
associazioni di
facies nel
Macigno di
Monte Céceri
Sequenza Bouma con
la distinzione degli
intervalli Ta-e
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Il modello di conoide è stato sviluppato da Mutti & Ricci Lucchi nei primi
anni ‘70 del XX secolo, in base agli studi sulla Marnoso-Arenacea
Romagnolo-Umbro-Marchigiana. Tramite il rilevamento in affioramento
del tipo di stratificazione, granulometria, tipo di sequenza Bouma è
possibile attribuire in tutto o in parte i depositi totbiditici alle varie porzioni
di una conoide sottomarina fossile; in altre parole stabilire facies ed
associazioni di facies torbiditiche tipiche dei vari settori di una conoide.
Le facies torbiditiche individuate sono denominate A, B, C, D, E, più le
facies associate F e G.
Facies A (arenaceo-conglomeratica): strati da grossolani a molto
grossolani (fino a sabbie ciottolose e conglomerati), anche di spessore
decametrico, ad aspetto massiccio e lenticolare. Le strutture basali di
tipo erosivo sono frequenti; manca la tipica sequenza Bouma.
Facies B (arenacea): strati arenacei a grana per lo più
grossolana/medio-grossolana, spesso a base erosiva e con profilo
lenticolare. Lo spessore varia da pochi dm fino a qualche metro. Sono
comuni delle strutture laminate grossolane ad andamento da piano ad
ondulato che talvolta passano verso l’alto ad intervalli Bouma Ta e/o Tb.
Facies C (arenaceo-pelitica): si tratta dei classici strati torbiditici a
sequenza Bouma completa (Ta-e o Ta/c-e).
Facies D (pelitico-arenacea I): strati di piccolo spessore (generalmente
centimetrico/decimetrico), a grana da fine a finissima con sequenza
Bouma incompleta (Tb-e, Tc-e e Tde). L’intervallo Te può talora
prevalere sui sottostanti sabbioso-siltosi.
Facies E (pelitico-arenacea II): strati di piccolo spessore, ma a
granulometria grossolana, spesso lenticolari. Si presentano massicci o
con lamine grossolane. Solo nella parte alta possono essere presenti
sequenze Bouma tipo incompleto es. Tc-e).
Facies F (caotica): si tratta di corpi sedimentari anche litologicamente
molto eterogenei (peliti, pezzame di strati arenacei e/o calcarei), a
giacitura caotica prodotti dall’accumulo di frane sottomarine.
Facies G (emipelagica): è rappresentata da sedimenti fangosi in parte
legati alle code diluite delle torbide, ma anche alla deposizione normale
pelagica non torbiditica (es. fanghi calcareo-marnosi) spesso ricca in
spoglie di organismi planctonici.
In queste varie facies gli strati possono organizzarsi verticalmente
secondo dei cicli:
Cicli positivi con diminuzione verso l’alto dello spessore e della
granulometria media degli strati; sono in genere stati riferiti al
progressivo riempimento di canali.
Cicli negativi con aumento verso l’alto dello spessore e della
granulometria media degli strati; sono stati associati alla progradazione
dei corpi di lobo sui depositi fini di frangia di conoide o di interlobo.
Schema della distribuzione delle facies
e delle sequenze positive e negative
nell’ambito di una conoide
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Il MACIGNO di FIESOLE
Il Macigno rappresenta un corpo sedimentario torbiditico di notevole
spessore (oltre 3.000 m) che nella letteratura geologica è stato
denominato “Macigno dei Monti del Chianti”. Il Macigno, che
costituisce una delle unità geologiche più estesamente affioranti
nell’Appennino Settentrionale, è stato suddiviso verticalmente in due
porzioni che presentano caratteristiche sedimentarie ben differenziate:
- Macigno ss. (Oligocene medio-superiore; 35÷25 Ma): è formato per lo
più da torbiditi arenacee in strati grossolani, massicci e spesso
caratterizzati da basi erosive, amalgamazioni e geometrie lenticolari.
- Arenarie di M.Modino (Oligocene superiore - Miocene inferiore;
30÷20 Ma): sono rappresentate da torbiditi classiche (con sequenza
Bouma), in particolare si tratta di strati pelitico-arenacei alternati a strati
e pacchi di strati pelitico-arenacei; questi litotipi presentano in genere
basi non erosive e geometrie tabulari spesso su distanze chilometriche.
Nelle aree tipiche di affioramento (es. Abetone, Monti del Chianti),
nella parte inferiore delle Arenarie di M.Modino è presente un corpo
caotico, di spessore fino ad oltre 200 m e a composizione
prevalentemente argilloso-marnoso-calcarea, interpretato come il
prodotto di una frana sottomarina (Olistostroma) che si intercalò alla
sedimentazione torbiditica.
La successione Macigno ss. - Arenarie di M.Modino presenta alla
sommità sedimenti essenzialmente marnosi di età miocenica inferiore
(Marne di San Polo).
È stato stimato per questa successione torbiditica una velocità di
sedimentazione relativamente elevata (media 30 cm/ka, max 67 cm/ka;
frequenza delle torbide 1/275 anni) per un’avanfossa di sedimentazione
con dimensioni di circa 48.000 km2 (320x150 km) e con un volume di
sedimenti di 67.200 km3.
Nella successione torbiditica del Monte Céceri il succedersi in senso
verticale degli strati è spesso ritmato da ripetuti cicli di sviluppo
metrico/decametrico caratterizzati da un evidente aumento verso l’alto
sia della granulometria media degli strati che del loro spessore (cicli
negativi).
I caratteri sedimentologici del Macigno del Monte Céceri lo fanno
attribuire ad un paleo-ambiente di conoide sottomarina esterna dove si
poteva assistere al ripetuto avanzamento di corpi sabbiosi di lobo sui
sedimenti pelitico-arenacei della frangia di conoide o dell’area tra i lobi
stessi (interlobo).
Lo studio del contenuto fossilifero degli orizzonti marnosi, costituito da
microfossili planctonici (zooplancton = resti di animali unicellulari con
guscio calcareo; fitoplancton = spoglie di piccolissime alghe calcaree
conosciute come nannofossili), ha evidenziato la presenza di
Spenolithus delphix e Spenolithus capricornus che indicano una età
miocenica inferiore (Aquitaniano ∼20 Ma).
L’insieme dei dati litostratigrafici, sedimentologici, paleontologici e
petrografici fa assegnare il Macigno di Monte Céceri alle Arenarie di
Monte Modino che rappresentano la parte superiore della successione
torbiditica del Macigno dei Monti del Chianti.
Facies
arenacea
grossolana
intercala tra
facies di TBT
IL MACIGNO
COLONNE LITOSTRATIGRAFICHE
La successione torbiditica esposta al Monte Céceri è costituita da
una alternanza di facies arenaceo-pelitiche (Facies C) e peliticoarenacee (Facies D):
- Facies C (arenaceo-pelitica): è rappresentata da strati torbiditici
classici (Ta-e o Ta/c-e), di spessore variabile fino a quasi 10 m e
sempre caratterizzati da evidente gradazione granulometrica
verticale (la granulometria di base è generalmente mediogrossolana, ma talora anche microconglomeratica); nel caso degli
strati più potenti e grossolani, possono essere riconosciute ripetute
concentrazioni a nuvola di grani grossolani anche nella porzione
media-bassa dei banchi arenacei. Questi strati presentano
solitamente una base piatta e profili piano-paralleli (almeno alla
scala degli affioramenti), ma non mancano esempi di basi
manifestamente erosive e di geometrie lenticolari; in pochi casi i
fenomeni erosivi hanno prodotto la saldatura (amalgamazione) tra
le porzioni arenacee di due strati consecutivi (per asportazione
degli intervalli Bouma superiori allo strato sottostante). Le
intercalazioni pelitiche, argilloso-siltose di colore grigio/grigio scuro,
sono di spessore centimentrico; pertanto i singoli strati sono
caratterizzati da un rapporto A/P (arenaria/pelite) variabile da >1 a
>>1. Sono inoltre stati riconosciuti anche alcune intercalazioni
marnose (sedimento pelitico misto costituito da fango calcareo ed
argilla) di spessore fino a
pochi metri ben individuabili nella
successione per il loro colore biancastro di alterazione. Le strutture
da corrente rilevate sulla superficie di base degli strati sono
rappresentate da controimpronte da trascinamento di oggetti
(groove casts) e in minor misura, da quelle prodotte dai vortici della
torbida (flute casts) che indicano la provenienza dei flussi torbiditici
da NO (rispetto agli attuali riferimenti geografici).
-Facies D (pelitico-arenacea): è costituita da torbiditi in strati di
dimensione da centimetrica a decimetrica (per lo più sui 10-20 cm,
raramente >30 cm) caratterizzati da sequenza Bouma incompleta
(Tb-e, Tc-e e Tde). La geometria degli strati è rigorosamente
piano-parallela e le superfici di base sono piatte. Le controimpronte
basali non sono frequenti ed in genere sono rappresentate da piste
di organismi limivori (bioturbazioni) che talvolta si insinuano anche
nella pelite sommitale dello strato torbiditico sottostante; le rare
strutture da corrente che sono state rilevate indicano sensi di
scorrimento dei flussi analoghe a quelle rilevate nella precedente
facies. Questi strati si intercalano singolarmente a quelli della
facies arenaceo-pelitica, ma spesso possono anche costituire
pacchi di straterelli pelitico-arenacei (TBT = Thin Bedded
Turbidites).
DEI MONTI DEL CHIANTI
IL MACIGNO
DI FIESOLE
Regolare alternanza di facies
arenacea grossolana ed argilliti
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
CARATTERISTICHE MINERALOGICHE E FISICHE
DEI MATERIALI DELLE CAVE DI PIETRA SERENA
A cura del C.N.R: Centro di studio sulle cause del deperimento e sui metodi di conservazione delle opere d’arte, Firenze
60
60
50
L’attività estrattiva della Pietra Serena si è estesa, nel corso dei secoli, ad interessare i
diversi affioramenti che circondano la conca di Firenze e questo per far fronte alle
esigenze di espansione della città. Le cave più antiche erano localizzate intorno a Fiesole
e di esse si ha notizia a partire dal 1200 anche se esiste testimonianza di uno sfruttamento
di questo materiale già in epoca etrusca e romana. Dal XIII secolo la richiesta aumenta
notevolmente e le cave arrivano ad interessare la valle del Mugnone, Vincigliata e
Settignano. Con il Rinascimento, l’esigenza di disporre di blocchi di grosse dimensioni
per colonne, capitelli, fregi, determinò l’apertura di nuove cave, anche relativamente
distanti dalla città (cave della Gonfolina presso Signa). Nella seconda metà del XIX
secolo, in occasione di Firenze capitale del Regno d’Italia, l’attività estrattiva ebbe un
ulteriore impulso con nuove cave aperte nella zona del Monte Ceceri (Fiesole) e a sud di
Firenze (Tavarnuzze).Gli anni ‘60 del secolo scorso hanno visto la chiusura di tutte le
cave di Pietra Serena nei dintorni di Firenze. Resta in attività solo una cava nei pressi di
Greve.
%
30
20
20
10
10
0
K
I
CL
CLV
IS
K
60
I
CL
CLV
IS
60
50
50
Maiano
40
%
Bolognese
40
%
30
0
Gonfolina
40
%
30
30
20
20
10
10
0
0
K
I
CL
CLV
IS
K
60
I
CL
CLV
IS
60
50
50
Tavarnuzze
40
%
Localizzazione delle principali cave di Pietra Serena e Pietraforte a Firenze e dintorni
50
Faentina
40
I materiali delle singole cave sono stati anche caratterizzati per quanto
riguarda le caratteristiche petrofisiche, che però non hanno evidenziato
differenze significative (vedi Tabella). Il peso specifico è compreso fra
0,0266 e 0,0269 kN/m3 e questa variabilità trova giustificazione nella
eterogeneità composizionale del materiale arenaceo, mentre i differenti
valori di porosità osservati (dal 4% al 6%) sono legati soprattutto al diverso
grado di cementazione secondaria ad opera della calcite. Un altro
parametro determinato è l’indice di saturazione che rappresenta la
percentuale di pori che vengono riempiti dall’acqua. Si tratta di un
parametro importante ai fini dello studio dei fenomeni di alterazione di un
materiale lapideo in quanto è tanto maggiore, quanto più l’acqua viene
trattenuta all’interno della pietra. Ciò permette all’acqua di esplicare la sua
azione aggressiva di tipo chimico e fisico con maggiore efficacia; per la
Pietra Serena si hanno valori compresi fra 60% e 80% che risultano
correlati soprattutto alla quantità di filllosilicati ed in particolare alla
presenza di minerali argillosi a reticolo espandibile come la cloritevermiculite che si ritrova nelle cave di Greve e Tavarnuzze (IS=80%)
%
30
30
20
20
10
10
0
Greve
40
0
K
I
CL
CLV
IS
K
I
CL
CLV
IS
Uno studio mineralogico di dettaglio ha comunque permesso di
caratterizzare per zone, sulla base dell’associazione dei minerali argillosi,
le varie cave attive nel corso dei secoli. Si tratta di un dato di notevole
interesse soprattutto dal punto di vista storico architettonico in quanto
permette di riconoscere le cave utilizzate per la realizzazione dei singoli
manufatti e per gli interventi di trasformazione e restauro.
Associazioni dei minerali argillosi tipiche per ciascuna cava
Cave
γ
γs
P%
CIV%
IS%
Faentina
2,69
2,54
5,4
2,8
52,3
Bolognese
2,69
2,58
4,2
2,5
59,2
Maiano
2,67
2,52
5,4
4,3
76,1
Gonfolina
2,67
2,55
4,7
3,4
68,1
Tavarnuzze
2,68
2,55
5,2
3,0
58,1
Greve
Pietra Bigia
Pietra Serena
Il materiale presenta due varietà principali, l’una di colore grigio (la
Pietra Serena classica), l’altra (la Pietra Bigia) di colore giallastro
dovuto ad uno stato di maggiore ossidazione dell’arenaria. A
prescindere da queste due varietà che peraltro possono essere
contemporaneamente presenti nelle diverse cave, non risulta
possibile risalire con criteri macroscopici alla cava di provenienza.
2,66
2,52
5,5
4,5
82,0
Caratteristiche fisiche dei campioni provenienti dalle diverse cave di Pietra
Serena. (γ = peso specifico; γs = peso di volume; P% = porosità totale;
CIV% = coefficiente di imbibizione in peso; CIP% = coefficiente di
imbibizione in volume; IS% = indice di saturazione)
Bibliografia
A. Banchelli, F. Fratini, M. Germani, P. Malesani, C. Manganelli Del Fà: “The sandstones of florentine
historic buildings: individuation of the marker and determination of the supply quarries of the rocks used in
some florentine monuments.” Science and Technology for Cultural Heritage, 6(I) 1997: 13-22.
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
CARATTERIZZAZIONE GEOGEO-STRUTTURALE E GEOMECCANICA E VERIFICHE DI STABILITA’
STABILITA’
L’insieme dei rapporti tra le discontinuità presenti nelle associazioni di facies
individuate e la giacitura dei fronti di cava porta ad individuare situazioni di diversa
potenziale instabilità nelle varie cave dell’area di Monte Céceri.
Generalmente le rocce sono state sottoposte
ad uno o più eventi tettonici che ne hanno
determinato un cambiamento nello stato
meccanico, perlopiù di tipo fragile,
evidenziato da discontinuità strutturali.
Si evidenzia una situazione di generale instabilità delle porzioni superiori dei fronti
di cava, interessate principalmente dalle associazioni di facies meno competenti
tipo 1 e 4, con una certa predisposizione al rilascio tensionale di blocchi e cunei di
dimensioni perlopiù decimetriche principalmente per scivolamento.
Le fratture sono discontinuità strutturali
planari che si sviluppano come risultato di
una deformazione fragile, e sono
estremamente diffuse nei primi 10 km di
crosta, dove la temperatura e la pressione di
confinamento sono relativamente basse (T
<300°; P <4 kb); con il termine frattura si
comprendono strutture con un enorme
intervallo di dimensioni, in cui comunque si
verifichi una rottura della roccia, con
perdita di coesione ma non necessariamente
con spostamento lungo di essa.
Molti dei problemi di instabilità riscontrati sono legati al fatto che le cave sono
ormai abbandonate da decenni ed in questo lungo lasso di tempo gli agenti
naturali hanno disgregato le pareti ed i versanti, causando smottamenti, frane e
generale allentamento ed instabilità.
Varie e diverse
situazioni di
instabilità e di
assetto
geostrutturale e
geomeccanico
riscontrate
nelle cave di
Monte Céceri
I joint sono discontinuità che interrompono
la coesione della roccia e lungo le quali si
ha un movimento impercettibile; si
sviluppano sulle rocce sedimentarie
stratificate, estendendosi su ogni strato o
livello meccanico, limitati dalle superfici di
strato, e si presentano in set o famiglie.
- ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 1 (TBT): l’ammasso roccioso si
presenta intensamente fratturato, con discontinuità poco spaziate (∆ 5-10
cm), perlopiù planari, con superfici rugose e scolorite, da strette a aperte,
persistenza bassa;
- ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 2 (strati arenacei medi): l’ammasso
roccioso si presenta fratturato o sblocchettato, con discontinuità
mediamente spaziate (∆ 20-80 cm), planari o sinuose, con superfici
rugose o granulari, scolorite, da chiuse a strette, e persistenza bassa;
- ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 3 (banchi arenacei grossolani):
l’ammasso roccioso si presenta massivo poco fratturato, con discontinuità
molto spaziate (∆>1m, localmente 60-80 cm), perlopiù ondulate, con
superfici granulari e scolorite, generalmente strette e localmente aperte,
persistenza bassa;
- ASSOCIAZIONE DI FACIES TIPO 4 (marne): l’ammasso roccioso si
presenta intensamente fratturato, friabile con discontinuità poco spaziate
(∆ <5 cm).
Esempio di caratterizzazione
geomeccanica di una parete
rocciosa: le nubi rappresentano
l’addensamento % dei poli delle
discontinuità, le varie tracce
servono a definire le aree di
potenziale instabilità per caduta
blocchi o cunei in relazione a
diversi cinematismi in funzione
dell’orientazione del fronte di
cava in considerazione; a parte
sono
riportati i principali
parametri di caratterizzazione
geomeccanica
dell’ammaso
roccioso costituante il fronte di
cava.
La distribuzione e geometria delle superfici
di discontinuità condiziona la stabilità e
sicurezza di versanti e pareti, determinando
potenziali superfici di distacco e
scivolamento di cunei e blocchi di roccia.
Situazione geostrutturale:
So
K1
K2
K3
K4
K5
Slope
Nell’area di Monte Céceri affiorano quattro differenti tipi di associazioni di
facies del Macigno di Fiesole, caratterizzate da una generale intensa
fratturazione che condiziona la stabilità e sicurezza dei fronti di cava. In
genere sono presenti tre famiglie di discontinuità sub-verticali, immergenti
verso S, verso SW e verso SE-E, pur con locali variazioni dell’immersione
e dispersioni minori; i quattro principali tipi di associazioni di facies
individuati presentano una generale intensa fratturazione con
caratteristiche morfometriche distinte:
360/28
144/82
196/41
208/85
249/84
300/85
190/70
RMRB
59
RMRD
59
RMRM
54
SMRP
0
SMRT
T AL VERSANTE
Esempio di caratterizzazione geostrutturale di una parete rocciosa: stratificazione e fratture su un fronte di cava. Le nubi
rappresentano le % di addensamento dei poli delle fratturazioni, in questo caso joint, la traccia ciclografica l’assetto locale della
stratificazione; nel diagramma a rosetta è riportato l’assetto della fratturazione su un piano normale al fronte (tracciato) ed a parte
sono riportate le giaciture della stratificazione e dei set di joint.
RIBALTAMENTO
26
Giunto:
POLI
SCIVOLAMENTO
c’
294 kPa
φ’
34°
CUNEI
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
Le modalità di coltivazione della pietra Serena possono essere ricostruite attraverso le tracce fisiche lasciate sulla roccia durante i
secoli di escavazione e il recupero, attraverso testimonianze di scalpellini viventi e di rari scritti, di un patrimonio culturale
polivalente, linguistico e tecnico tramandato oralmente per secoli tramite l’esperienza di cava e in parte andato perduto.
Le conoscenze relative alla pietra e alle strutture del giacimento da coltivare passano infatti, come succede in tutte le realtà
estrattive storiche, attraverso uno strumentario linguistico che riflette il bisogno di conoscenze teoriche e tecniche che
accompagnano l’“arte pratica” del cavare e scolpire la pietra.
Le operazioni preliminari all’apertura della cava erano volte ad individuare i “filari” di pietra coltivabili, particolarmente spessi,
Tracce di
escavazione sul
retro di un blocco
di buona qualità e non troppo fratturati per ottenere indicazioni sulla possibilità di escavazione e sulle dimensioni dei blocchi
estraibili. La conoscenza dei “versi” della pietra rappresenta un elemento essenziale per cavatori e scalpellini nel momento
dell’escavazione e nella fase di lavorazione e le tecniche di coltivazione devono necessariamente tenere conto dell’assetto
geominerario dell’ammasso roccioso e dell’ubicazione e potenza dei livelli lapidei da coltivare.
Le tecniche di estrazione dei blocchi di Pietra Serena si basano sul massimo sfruttamento delle naturali discontinuità della
roccia (“versi”); i sistemi di discontinuità sfruttati come superfici di taglio del materiale sono rappresentati dalla stratificazione e
dai due principali sistemi di fratturazione, disposti perpendicolarmente fra loro e alla stratificazione stessa, indicati
Tracce di coltivazione
tradizionalmente con il nome di “recisa” e “mozzatura”. La stratificazione (“falda”), delimita il “filare” da coltivare e nella zona
di Fiesole è disposta a leggero reggipoggio rispetto al versante principale, immergendo circa verso N. Nella gran parte delle cave i
blocchi sono stati estratti facendo coincidere i due sistemi di discontinuità rispettivamente con il lato lungo del blocco e con il lato
corto del blocco. Seguendo questi tagli il blocco sembra meno soggetto a rompersi.
FALDA
SE
FALDA
Sviluppo di un taglio per
delimitare un blocco
RECISA
RECISA
CAVE VERSANTE
ORIENTALE
M.CECERI
MOZZATURA
MOZZATURA
SW
CAVE VERSANTE
OCCIDENTALE M.CECERI
Inizio di un taglio al
tetto di un blocco
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA
CARATTERIZZAZIONE GEOSTRUTTURALE E GEOMECCANICA E VERIFICHE DI STABILITA
STABILITA’’
La caratterizzazione geostrutturale e geomeccanica degli
ammassi rocciosi ha consentito la determinazione degli indici
RMR/GSI
Ammasso
roccioso/facies
RMR
GSI
Facies1
Facies2
Facies3
Facies4
5050-60
6060-70
7070-80
4040-50
4545-55
5555-65
6565-75
3535-45
Tramite il criterio di Hoek & Brown, modificato per i flysch
(Marinos & Hoek, 2001) per ammassi eterogenei o ad
alternanza di litologie a diversa competenza e’ stata eseguita la
determinazione delle proprietà geomeccaniche degli ammassi
APPLICAZIONE DI MODELLI NUMERICI
Analisi della stabilità di una Latomia di Fiesole
ANDAMENTO DEL FATTORE DI SICUREZZA
FRANA DI SUBISSAMENTO
Sviluppo di diffusi
fenomeni di
plasticizzazione
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA DEL MACIGNO
Sequenza stratigrafica del Macigno di Monte Céceri
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
TIPOLOGIE DI “PIETRA SERENA”
Le cave di Macigno, sia a Fiesole che a Carmignano, venivano specificatamente coltivate per la Pietra
Serena, nelle sue varie tipologie adatte a seconda delle loro specifiche caratteristiche ad usi diversificati;
parimenti venivano cavati come prodotti di qualità minore altre pietre intercalate alla più nobile Pietra
Serena.
Il termine Pietra Serena è generico e sta a significare in modo
semplicistico la pietra ornamentale cavata dal Macigno di Fiesole e
di Carmignano.
Pietra durissima: con grani clastici di varie misure, talvolta superiori al millimetro e con cemento
costituito da calcite limpida; questo tipo presenta notevole durezza alla lavorazione; ha basso coefficiente
di porosità, e sotto gli agenti atmosferici esterni, pur prendendo una patina scura, mantiene invariata la
saldezza primitiva, come dimostrano da secoli le mura dell’antica Fiesole etrusca.
In realtà il Macigno è costituito da una fitta alternanza (submetrica,
metrica e plurimetrica) di torbiditi arenacee e siltose, con livelli
marnosi che nell’intero Appennino Settentrionale si sviluppa
nell’arco di 5 Ma per uno spessore di oltre 3 km!
Sereno ordinario: la parte clastica è più minuta, ma sempre poco uniforme di misura; il cemento più
abbondante in quantità, per essere in prevalenza di natura argillosa con scarso calcare, rende questa
pietra geliva e poco durevole all’esterno.
Nella zona di Fiesole la sezione rilevata, che ha la sua base a Maiano
ed il suo tetto a Monte Rinaldi copre all’incirca i 500 m sommitali
della sequenza sedimentaria del Macigno.
Sereno gentile: ha elementi clastici di misura minore e più uniforme, ed un cemento argilloso
debolmente calcareo, si presta per sculture ornamentali, prende buon pulimento e resiste assai specie al
coperto.
Nell’area specifica di Monte Céceri la sezione rilevata si sviluppa
per 270 m, con uno spessore medio degli strati di ordine metrico, ma
in realtà con alternanza irregolare di quattro tipi di associazioni di
litofacies:
Pietra del Fossato o delle Colonne: è una varietà particolare del “Sereno gentile” con un cemento
calcareo-argilloso, al Monte Céceri ne sono presenti pochi livelli; era particolarmente ricercata per la sua
saldezza unita a grana fine ed uniforme, presenta un’alta lucidabilità e superiori caratteristiche
meccaniche che la rendevano ottima per colonne portanti (vedasi l’uso fattone dal Brunelleschi nelle
chiese di Santo Spirito e di San Lorenzo e da Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana).
Associazione di facies tipo 1: prevalenza di torbiditi arenacee fini a
stratificazione sottile (TBT) in cui si intercalano strati arenacei medi
(Ta-e, Tb-e) di spessore generalmente inferiore ad 1 m e localmente
superiore a 2 m;
Pietra Bigia: porzioni di arenaria Macigno superficiali, vicine al versante, sulle quali gli agenti esogeni
(piogge, acque percolanti, variazioni termiche) hanno prodotto una qualche alterazione che ha reso la
pietra di un caldo colore bigio; è compatta e resistente agli agenti esterni, ha buona attitudine alla
lavorazione; più l’attività estrattiva andava in profondità e si aprivano nuove cave che mangiavano questa
“fascia di alterazione” più la Pietra Bigia è diventata rara e ricercata. Uno degli ultimi usi in grande della
Pietra Bigia è stato l’arco dei Lorena in Piazza della Libertà.
Associazione di facies tipo 2: prevalenza di arenarie da grossolane a
fini (Ta-e) in strati di spessore perlopiù compreso tra 1 e 3 m,
localmente intercalate da spessori ridotti di torbiditi arenacee a
stratificazione sottile (TBT) e di marne;
Filone Bandito: pietra arenarie di grana molto fine ed uniforme, colore plumbeo-ceruleo, consente
lavorazioni fini e tiene molto bene la lucidatura.
Pietra morta: arenaria farinosa giallastra, molto alterata e decoesa con completa eliminazione della
frazione carbonatica, si sbiciola facilmente; veniva usata come pietra da fuoco nei camini, focolari, forni e
fonderie.
Associazione di facies tipo 3: arenarie da grossolane a medio-fini
(Ta-e) in banchi potenti anche alcuni metri e spesso amalgamati in
livelli plurimetrici;
Granitello: livello arenaceo costituito da materiale grossolano, di dimensioni della ghiaia, di colore scuro
tendente al verde cupo, estremamente duro e di grande saldezza, ben lucidabile.
Associazione di facies tipo 4: prevalenza di marne in cui sono
intercalati un livello metrico di torbiditi arenacee a stratificazione
sottile (TBT) ed uno strato arenaceo medio-fine (Ta-d) spesso fino a
3 m.
Cicerchina: livelli arenacei grossolani, con clasti anche ghiaiosi, dura, mal levigabile, molto porosa,
ottima come abrasivo o come aggregato per calcestruzzi.
Tramezzuolo: sorta di ardesia ma arida e non resistente come quella ligure; si tratta di livelli compatti di
siltiti argillose.
Nell’articolazione di queste quattro associazioni di facies i principali
livelli cavati per la Pietra Serena sono riferibili al tipo 3, altre cave
sono aperte nell’AF tipo 2. Pertanto appare evidente che tra un
livello cavato ed un altro, pur in una generica similitudine tipologica
e composizionale dell’intero Macigno, possano esistere dal punto di
vista dell’uso ornamentale differenze anche sostanziali in quanto a
granulometria, composizione e caratteristiche fisico-meccaniche e
della lavorabilità.
Sassocorno: filoni duri, ma con volute e rigonfiamenti della struttura (strati a sequenza sedimentarie
convolute Tc).
Mortaione: pietra grigia a gran più fine della Pietra Serena, ma poco dura e che si sfalda facilmente
esposta all’aria (livelli di marne più o meno siltose od argillose).
Verga: livello di marna finemente arenacea in genere presente sopra i livelli di Pietra Serena.
Pietra Cerro: era così chiamata dagli scalpellini la crosta di alterazione superficiale della Pietra Bigia, più
dura, squamosa ed abbondante di materia ferrigna.
Pertanto nello specifico la Pietra Serena presenta una grande
variabilità di caratteri da cava a cava e da banco a banco nella stessa
cava, per cui senza una scelta accurata si corre il rischio di mettere
in opera materiale sprovvisto dei requisiti adatti.
Nell’insieme la Pietra Serena è una arenaria quarzoso-feldspatica
con elementi litici di rocce metamorfiche e granitiche, con
componenete minore fillosilicatica, a cemento argillitico, solo in
alcuni livelli bedolmente carbonatico.
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
Oltre alle tipologie nobili di Pietra Serena ed alle altre meno ricercate, nella quotidiana attività di cava si tendeva a recuperare
quanto possibile per ammortizzare l’onere economico, temporale e fisico delle ampie scoperchiature necessarie a seguire i filari di
Pietra Serena nel monte; questa attività secondaria, che comunque no riusciva a ridurre più di tanto lo sterile da mettere a
discarica nei dintorni della cava dava comunque luogo ad un commercio secondario di vari materiali.
Pietrame e sassi: il materiale di dimensioni medie e di buona consistenza veniva usato per lavori edilizi, in pezzame od anche
riquadrato in bozze, o per murature a secco.
a
b
Lazze: livelli arenacei poco spessi (decimetrici) , a tetto dei filari di coltivazione, spesso usati per fare lastre di rivestimento o
lastricati non carrabili.
Liscioni: livelli arenacei di spessore medio (pluridecimentrico) sfumanti verso l’alto in siltiti fini argillitiche, recuperati per lastricati.
COMUNE DI FIESOLE
LA PIETRA SERENA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
LA COLTIVAZIONE DELLA PIETRA SERENA
La coltivazione della Pietra Serena è cominciata industrialmente a Fiesole con
l’insediamento degli Etruschi, che iniziarono per primi a cavare in modo sistematico e
razionale il Macigno, per estrarne i blocchi di Pietra Serena, per i loro scopi edilizi,
militari e civili.
E’ credibile che all’epoca l’attività estrattiva, data la supponibile abbondanza di
affioramenti e la generale giacitura a reggipoggio con blanda inclinazione verso N-NE
del Macigno, fosse concentrata nei pressi dei siti d’uso, questo anche per oggettive
difficoltà nel trasportare in salita blocchi di diverse tonnellate; è quindi presumibile che le
coltivazioni fossero allora principalmente concentrate nella zona più elevata del poggio di
San Francesco, con accumulo e messa in opera dei blocchi estratti verso le sottostanti
mura ed area urbana.
Questa ipotesi appare anche in accordo con quanto riportato dal Targioni Tozzetti (1.768
d.C.) che indica nelle cave poste sotto la “Rocca di Fiesole” i siti più classici di
estrazione.
Solo in epoca successiva, forse già romana, ma indubbiamente medioevale, le coltivazioni
si sono spostate anche fuori delle mura, sia nella forra del Mugnone verso Fonte Lucente,
sia verso Monte Céceri e quindi Maiano. Citazioni delle coltivazioni ormai attive da
tempo in tali zone sono reperibili sempre nel Targioni Tozzetti, ma anche in passi del
Vasari (1.500 d.C) e del Landino, del Baldinucci e del Cisalpino e di Agostino del Riccio,
per non dire di Boccaccio e di Dante:
Ma quello ingrato Popolo, e maligno
Che discese da Fiesole ab antico
E tiene ancor del Monte e del Macigno
(Dante, Inferno, XV, 61-63)
Tutto questo dimostra quindi che l’attività estrattiva del Macigno a Fiesole è sempre stata
attiva, intensa, ben conosciuta e di pregio, al tal punto che Brunelleschi volle la Pietra
Serena per San Lorenzo e Santo Spirito, Michelangelo ne volle della qualità migliore per
la Libreria e la Sagrestia di San Lorenzo, Donatello per la Colonna del Mercato Vecchio
ed il Vasari per gli Uffizi, non solo ma dalle cave più di pregio si poteva cavare solo con
permesso di chi governava e solo per edifici pubblici.
Comunque già da tempo le cave di Pietra Serena dovevano aver profondamente inciso i
versanti della montagna se il Targioni Tozzetti a metà del XVII secolo parla con
ammirazione anche di ampie coltivazioni in sotterraneo, con ardite camere e pilastri di
sostegno, a seguire il filone migliore nel cuore della montagna.
Con il tempo l’attività estrattiva della Pietra Serena si è sempre più spostata verso Monte
Céceri e Maiano, le ultime cave attive, ormai coltivate con metodologie più moderne, ma
sempre abbastanza tradizionali erano situate sul retro di Monte Céceri, nei pressi della
strada di raccordo e collegamento con e tra Borgunto e Maiano, in posizione defilata e
facilmente raggiungibile dai mezzi meccanici.
Le ultime estrazioni sporadiche di Pietra Serena sono riferibili a Fiesole agli anni sessanta
del XX secolo; dopo di allora in commercio è solo possibile trovare la Pietra Serena di
Firenzuola, che pur avendo ottime qualità ed apparendo molto simile alla Pietra Serena
cavata dal Macigno di Fiesole è dal punto di vista geologico, e delle proprietà tecniche e
fisico-meccaniche del tutto diversa.
La presenza di tracce di cave o di memorie dell’esistenza di cave è molto
diffusa nell’area dei poggi di Fiesole, sia a livello di fonti bibliografiche, sia a
livello di memoria storica, sia a livello di emergenze fisiche sul terreno.
Tracce evidenti sono ad esempio nel giardino pubblico sotto la rocca di San
Francesco, dietro e sotto la cavea del teatro romano, nella zona del campo
sportivo, lungo le viuzze della zona di Fonte Lucente dove erano ubicate le
cosìdette “Cave Bandite” (bandite in quanto per bando riservato solo ad
estrazione di materiali per uso pubblico previa autorizzazione governativa)
ed ancora nella zona di Villa Medici e della Fondazione Michelucci, per non
dire poi della forra del Mugnone.
Verso Monte Céceri le tracce sono molto più cospicue e recenti, ed oggetto
infatti del presente progetto di recupero storico-ambientale, ma tracce di
cave sono anche presenti lungo la valle del Mensola e del Bucine e nella
zona del Castello di Vincigliata.
Tracce e memorie di cave di Pietra
Serena nei poggi di Fiesole
A Monte Céceri le tracce dell’attività
estrattiva della Pietra Serena sono
molto evidenti e cospicue, e
costituiscono un reperto di memoria
sociale, tecnica e paesaggistica degno
di doveroso recupero e resa alla
memoria storica di un territorio e di
una popolazione.
Le grandi cave di Monte Céceri si
sono nel tempo sviluppate a seguire i
filoni migliori di Pietra Serena che
coronano il poggio, andando nel
tempo a costituire dei gradoni
pressoché continui lungo i due fianchi
della montagna, gradoni aperti tra
ampie
coltri
del
detrito
di
scoperchiatura.
L’attività di cava si è andata
sviluppando
a
Monte
Céceri
essenzialmente da dopo il Mille, a
seguire e fornire materiale per il
grande sviluppo urbanistico ed
architettonico di Firenze.
In particolare le grandi cave fitte
(Latomie sotterranee) sono state
aperte tra il XV ed il XVIII secolo, e
seguire corsi di Pietra Serena
particolarmente saldi e validi dal punto
di vista ornamentale.
A seguire e funzionali a questo
sviluppo dell’attività estrattiva sono
state aperte nel tempo varie strade e
sentieri, le cui tracce si integrano ed
arricchiscono il patrimonio storicoculturale dell’area di Monte Céceri.
COMUNE DI FIESOLE
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
LE LATOMIE o Cave Fitte
391.07
409.52
370.51
37
0
375.18
375.03
374.70
414.78
380.55
La peculiare giacitura a reggipoggio dei filari di
Macigno coltivati per estrarre la Pietra Serena,
costringeva i cavatori ad eseguire ingenti
scoperchiature a carico dei livelli sterili di
galestro; questa situazione oltre a richiedere una
immane fatica, da un lato comportava il
ricoprimento di ampie porzioni dei versanti con
ingenti quantità di detrito, dall’altro tendeva ad
affossare le cave con necessità di eseguire
scoperchiature sempre più ampie che andavano ad
interferire con l’attività di cava e di discarica
delle cave sovrastanti.
Quale soluzione a questo problema i vecchi
cavatori decisero, ove la potenza del filare di
Macigno coltivato lo consentiva, di intraprendere
ardimentose coltivazioni in galleria, a seguire tipo
miniera il filare di Macigno dentro le viscere della
montagna, evitando in tal modo di perdere tempo,
fatica e denaro nell’esecuzione di ingenti lavoro
di scoperchiatura.
Nella zona di Monte Céceri questa soluzione è
stata particolarmente possibile lungo un potente
livello di Macigno, dove sono state aperte varie
cave in galleria: “le Latomie”, o nel gergo dei
cavatori e scalpellini locali “cave fitte”.
1
37
5
411.31
38
0
366.63
415.35
38
5
367.16
406.26
393.34
39
5
391.73
376.62
386.61
391.55
386.19
412.63
415.65
367.76 36
5 36
0 35
5 35
0
12
12
375.23
39
0
40
0
40
5
412.29
41
0
384.29
371.94
416.09
413.55
359.99
381.32
375.74
381.86
408.92
399.66
338.61
7
411.21
387.54
359.54
396.71
1
392.90
337.27
12
392.91
355
396.44
396.81
395.55
5
360
397.50
2
397.12
4
386.29
382.05
355.53
332.10
364.74
349.83
331.65
370
12
373.63
314.58
LATOMIA O CAVA FITTA = COLTIVAZIONE IN SOTTERRANEO
= Fronte continuo di cava 12
3
3
6
(cave in sotterraneo)
1 - Interno Latomia n°1
2 - Interno Latomia n°2
3 - Interno Latomia n°3
4 - Imbocco Latomia n°4
5 - Interno Latomia n°5
5
12
326.93
324.29
368.84
3
4
6
360.28
379.34
340.43
6 - Interno Latomia n°6
7 - Interno latomia n°7
348.24
345
365
380.26
12
340.93
351.80
393.72
398.16
34
5 34
0
349.95
35
0
379.39
407.81
395.11
364.67
12
348.52
411.06
LATOMIE o Cave Fitte
2
381.13
403.13
= Latomia (cava in galleria)
7
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
TECNICHE DI COLTIVAZIONE I
Leva o “palanchino“
per lo spostamento
a mano dei blocchi
Nella coltivazione della Pietra Serena sono state sempre in
uso le classiche tecniche manuali di estrazione dei blocchi
dal monte.
L’apertura di una cava iniziava con l’effettuazione della
scoperchiatura, cioè con l’asportazione a pala, piccone e
marra dei livelli rocciosi di galestro (TBT) e di marna al fine
di portare a pulito i livelli coltivabili di Pietra Serena. Lo
sterile così prodotto, le cui dimensioni o consistenza non
erano tali da consentirne l’uso per lavori edilizi minuti vari,
veniva accumulato in ampie terrazze di detrito in fronte ed a
valle del piazzale di cava a costituire ampi ripiani di
lavorazione e manovra.
Con il progredire delle lavorazioni e l’infossamento delle
cave lo sterile accumulato cresceva a mucchio in fronte al
piazzale di cava il cui accesso spesso si riduceva ad un
passaggio tra monti di detrito, appena sufficiente al transito
dei carri per il trasporto delle pietre (i “barrocci”).
Principio ed esempio di terreno a coltivazione per
scoperchiatura con accumulo al piede dello sterile
Ricostruzione del capanno
della forgia a servizio di una
cava
A tetto dei livelli migliori di Pietra Serena erano spesso
presenti livelli di arenaria scadente e di poco spessore
(“lazze”) che venivano recuperate per fare lastre da
rivestimento o pavimentazioni di cortile e giardini.
Seguivano dei livelli detti “liscioni” di scarso pregio, e
quindi gli strati o “filari” di Pietra Serena.
Monte Céceri in una foto aerea del 1935, epoca nella quale appaiono
ancora evidenti le numerose cave presenti, le ampie coltri di detrito a
fronte delle varie cave e le carrarecce per il trasporto a valle dei blocchi
I cavatori di Pietra Serena di Fiesole e Settignano erano
detti “scalpellini”, il loro orario di lavoro era dall’alba al
tramonto con pausa per pranzo e riposo nelle ore
centrali della giornata, casomai nel capanno al caldo di
un fuoco od al fresco di un frondoso leccio.
All’interno della cava era funzionante una vera e propria
struttura logistica funzionale alle lavorazioni: piazzale di
cava, piano di carico (o “poggio”), zona della sbozzatura dei
blocchi, cumuli di detrito, magazzino per gli attrezzi,
capanno per il ristoro dei cavatori, pozzino per la raccolta
d’acqua, la forgia per la manutenzione essenziale degli
attrezzi di scavo, la tagliata.
L’organizzazione del lavoro era tale da limitare al massimo il
sollevamento fisico dei blocchi, ma tendeva a sfruttarne il
peso in movimenti gravitativi agevolati da leve o palanchini,
martinetti a mano e binde.
Blocchi già sezionati e
sbozzati sul piazzale di
cava in attesa di essere
portati a semifinitura
Poggio per il
carico dei
blocchi sui
barrocci
I ragazzi, sempre numerosi in cava per le varie
incombenze collaterali e per “fare scuola” cominciavano
a frequentare le cave sin dall’età di 6 anni per imparare
“l’arte pratica” del cavare, lavorare, scolpire.
Le donne verso metà mattinata portavano ai loro uomini
in cava il fagotto con il “desinare”, per strada si
ritrovavano ai “pelaghi”, sorgive naturali dove erano stati
costituiti dei lavatoi pubblici, per procedere assieme.
Il tutto si esauriva nell’ambito familiare, in cui tutti i
componenti della famiglia davano il loro contributo
all’impresa.
Binda per il sollevamento o
la forzatura dei blocchi
Per bere, lavarsi e per temperare i ferri da lavoro veniva
scavato un pozzino che raccoglieva le acque di naturale
filtrazione nel Macigno, acque fini che venivano anche
raccolte in fiasche per le esigenze casalinghe.
Modellino del carro o
barroccio per il trasporto a
valle dei blocchi
Martinetti a mano per lo
spostamento o la forzatura
dei blocchi
La maggior parte delle famiglie con cave a Monte Céceri
era di Borgunto, nucleo abitativo medioevale posto ai
limiti di Monte Céceri fuori delle mura Etrusche,
Romane e medioevali di Fiesole.
Marra per i lavori di
scoperchiatura o per
la forzatura a mano
dei blocchi
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI FIRENZE
LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
TECNICHE DI COLTIVAZIONE II
Nel caso delle cave in galleria, le Latomie o Cave Fitte, il
problema principale era quello di entrare nel monte, in
altre parole quello di aprire il primo canale in alto, per poi
coltivare il filare in sbassi successivi lavorandolo dall’alto.
Sulle pareti e nelle volte delle numerose e splendide
Latomie di Monte Céceri è facilmente leggibile la storia e
le modalità di coltivazione, eseguite per fitte e
progressive che aprivano la volta della cava e quindi
procedevano a sbassi successivi secondo la falda.
La tecnica classica di coltivazione della Pietra Serena si
basava sul massimo sfruttamento delle naturali discontinuità o
piani di latenza della roccia; nel caso della Pietra Serena
venivano sfruttate le discontinuità naturali della
stratificazione, che delimitavano il “filare” da coltivare, e
quelle date dai principali sistemi di fratturazione, che
delimitavano la “recisa” (lato lungo del blocco) e la
“mozzatura” (lato corto del blocco), nello spessore dello
strato venivano sfruttali i livelli sedimentari per suddividerlo
secondo la “falda”.
Stacco a retro blocco regolarizzato prima
di una nuova fitta
Per estrarre un blocco veniva praticata nel monte un “fitta”
cioè una intaglio largo e profondo scavato per mezzo di
subbia e mazzuolo, usando subbie via via più lunghe ed
alternando l’azione di scalpellinatura da destra a sinistra per
non indebolire troppo lo stesso verso della pietra si entrava
nel vivo del masso. La stessa azione veniva poi ripetuta per i
tagli laterali a scendere, e quindi per quello inferiore. A
questo punto il blocco, zeppato alla base veniva staccato al
retro per mezzo dell’azione combinata di cunei di legno
forzati e bagnati che schiantavano il retro del blocco
consentendone l’estrazione. Una volta sul piazzale di cava il
blocco già cavato circa delle dimensioni finali veniva
sbozzata ed ulteriormente pre-finito prima di essere
trasportato con i carri a destinazione, dove o subito prima
della messa in opera o a volte anche dopo veniva rifinito.
Formelle per lo sbancamento di
blocchi con il metodo del tronco o
cunei di legno bagnati. Si noti che la
falda è intaccata dalla formella per
una certa profondità, la parte
inferiore veniva schiantata con l’uso
dei tronchi o cunei di legno poi
bagnati.
Altra tecnica era quella dell’uso delle “formelle”, praticabile
quando il dorso dello strato da coltivare era libero ed
accessibile. In questo caso veniva eseguita una formella più o
meno fonda e quindi in questa venivano inseriti cunei o
tronchi di legno che una volta forzati e bagnati finivano di
schiantare lo strato per il resto del suo spessore e lo
spostavano lungo il verso della falda.
PUNCIOTTI
Infine una menzione merita anche la più moderna tecnica dei
“punciotti”, anche in questo caso era necessario avere la
superficie dello strato libera. Per la punciottatura veniva
eseguita nella roccia una serie di fori verticali, in questi fori
venivano inseriti due semicunei semicircolari e quindi un
terzo cunei in mezzo a questi; a questo punto battendo
ritmicamente ed alternativamente i vari cunei centrali si
forzava la roccia alla schiantatura lungo il piano punciottato
ed allo scivolamento lungo il piano della falda.
CUNEI
La volta era ottenuta stabile e resistente avendo cura di
non cavare la parte sommitale del filare buono di Pietra
Serena, veniva sempre lasciato uno strato di circa 60 cm
a costituire un tetto di tenuta alla base dei livelli di
galestro (TBT) e di marna della scopechiatura. In alcune
Cave Fitte, nei tempi, questa soletta di sostegno ha
ceduto causando o parziali crolli della volta o il collasso
globale dell’intera cava sotterranea, dando così luogo a
frane di subissamento.
Fitta di tetto per l’inizio dello scavo di un
nuovo blocco
SUBBIA
SCALPELLO
Nicchia di distacco di un blocco a tetto di
una Cava Fitta
MAGLIO
GRADINA
SGORBIA
Sequenza schematica
esplicativa delle modalità di
scavo di una fitta e
dell’estrazione di un blocco
MARTELLO A TAGLIO
MARTELLO A TESTA CONCAVA
BOCCIARDA
MAZZUOLO
In presenza delle fratture principali, dette “fine” veniva
lasciato un diaframma di sostegno della volta, sia da una
parte che dall’altra della frattura; a lavoro ultimato questi
diaframmi venivano a costituire i pilastri di sostegno della
volta.
ZAPPA
PICCONE
MARTELLO A DUE PUNTEI
MARTELLINA
Inizio di scavo di una fitta a tetto di un
nuovo blocco da estrarre
PICCOZZA
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LA PIETRA SERENA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
PROBLEMI DI CONSERVAZIONE DELLA PIETRA SERENA
A cura del C.N.R: Centro di studio sulle cause del deperimento e sui metodi di conservazione delle opere d’arte, Firenze
La Pietra Serena e la Pietraforte sono i due materiali edilizi che caratterizzano il tessuto
urbano della città di Firenze e di alcuni dei paesi circostanti. La prima è stata utilizzata
soprattutto con finalità ornamentali ed ha avuto il periodo di massima fortuna durante il
Rinascimento quando venivano richiesti grandi blocchi per scolpire colonne e capitelli. La
Pietraforte invece ha costituito il principale materiale da costruzione. Questo diverso
utilizzo e il nome stesso dato alle pietre fa già intuire che la Pietra Serena è un materiale
sicuramente più lavorabile rispetto alla Pietraforte e ciò dipende sia dalla sua maggiore
omogeneità tessiturale sia dal fatto che la frazione sabbiosa è in genere tenuta insieme da
un legante poco tenace, e di natura argillosa. Nella Pietraforte invece il legante ha una
natura prevalentemente carbonatica che conferisce una maggiore compattezza. A questa
maggiore lavorabilità si lega però una minore durabilità della pietra nel tempo. Questa
minore durabilità si esplica con processi naturali di trasformazione che sono indicati come
alterazione e degrado. I fattori principali di degrado sono l’acqua e le sostanze in essa
disciolte, le escursioni termiche e tutte le altre azioni fisiche, chimiche e/o antropiche che
determinano un continuo e naturale processo di trasformazione che può essere più o meno
rapido in funzione sia delle stesse condizioni ambientali che, come accennato, delle
caratteristiche composizionali e strutturali della roccia.
Microfotografie in sezione sottile petrografica, luce polarizzata 25x.
Matrice argillosa
Cemento calcitico secondario
Il primo impatto con il degrado per una roccia è quello relativo alla sua estrazione.
Tecniche sia antiche (cunei, tagliate ecc.) che del recente passato (polvere nera)
inducono nel materiale sollecitazioni che ne influenzano la resistenza
all’alterazione. La successiva lavorazione con l’impiego di vari utensili (scalpelli di
vario tipo, subbia, bocciarda, e oggi martelletti pneumatici), così come dicono gli
artigiani del settore, “rintrona” la pietra creando microfratture che possono
interessare spessori di diversi millimetri con un aumento notevole della superficie
specifica del materiale.
a
Pietra Serena: croste e materiale
decoeso sottostante
b
a) Piazza della SS.Annunziata: particolare del
colonnato
Quanto finora esposto è riconducibile sostanzialmente
a fenomeni naturali ma è opportuno ricordare che
processi di degrado in parte analoghi possono essere
indotti da interventi di restauro realizzati con tecniche e
materiali non adatti o non sufficientemente
sperimentati. Due esempi possono essere quelli
relativi alla facciata di Palazzo Bartolini Salinbeni in
Piazza S.Trinita e di Palazzo Rucellai in via della
Vigna Nuova i cui conci di arenaria furono sottoposti,
negli anni sessanta, ad interventi di consolidamento
con fluosilicati. Il risultato del trattamento fu la
completa alterazione cromatica della superficie e la
formazione di croste sovrapposte molto coerenti con
fenomeni di rigonfiamento che sembrano causate da
vere e proprie “esplosioni” interne. Una possibile
spiegazione del fenomeno è che non si era tenuto
conto che i fluosilicati, oltre a produrre acido fluoridrico
che reagisce con la calcite formando fluorite, danno,
come prodotto della loro decomposizione, silice
amorfa. Questa sostanza, che sembra in principio
esplicare
un’azione
consolidante
riducendo
drasticamente la porosità della parte alterata, risulta al
contrario estremamente pericolosa in quanto, a causa
della sua igroscopicità, favorisce la ritenzione dei fluidi
acquosi aumentando di volume e generando tensioni
entro il materiale.
b) Chiostro della Badia Fiorentina
Dopo queste due prime fasi sul materiale posto in opera iniziano a svilupparsi i
processi alterativi. Nel caso della Pietra Serena, il fattore principale di degrado
risulta essere l’acqua di imbibizione che grazie al tipo di struttura porosa presente,
satura quasi completamente gli spazi vuoti presente e viene a lungo trattenuta. Si
agevola così lo sviluppo di fenomeni sia di tipo chimico che fisico i quali
determinano un facile degrado della roccia. Questo si manifesta soprattutto con la
formazione di croste coerenti e la loro successiva caduta in un ciclo continuo. Il
meccanismo di formazione della crosta è il seguente:
Palazzo Bartolini Salimbeni: alterazione
cromatica della pietra successiva ad un
trattamento consolidante con fluosilicati
- limitatamente ad uno spessore di 1,5 cm, dilavamento della matrice argillosa e
dissoluzione dello scarso cemento calcitico;
- formazione di una crosta di superficie di pochi mm di spessore per fenomeni di
riprecipitazione calcitica entro i pori durante le fasi di evaporazione dell’acqua di
imbibizione; tale crosta presenta una ridotta porosità rispetto al substrato che al
contrario è decoeso per perdita di matrice e cemento;
Monte Céceri: fronti di cava antichi con tracce degli utensili
utilizzati per l’estrazione dei blocchi di arenaria
- distacco della “crosta” che risulta scollata rispetto al substrato; tale distacco
avviene sia per la diversa risposta alle sollecitazioni termiche, sia per fenomeni di
tensione che si generano nella zona di discontinuità ad opera dell’umidità la cui
fuoriuscita risulta rallentata dalla relativa impermeabilità della crosta;
- formazione di una nuova crosta sulla superficie esposta; il processo è agevolato
dalla elevata porosità di tale superficie che facilita l’ingresso dell’acqua e degli
inquinanti.
Nel complesso si può comunque affermare che i fenomeni di degrado osservati nei monumenti in Pietra Serena, a meno di casi particolari come
quelli esposti, risultano in linea con il naturale evolversi dei processi alterativi che sono più o meno rapidi in funzione delle condizioni di
esposizione e delle caratteristiche della roccia.
Fino a non molti decenni fa si era consapevoli di questo e per molti monumenti fiorentini la Pietra Serena in particolare era soggetta a periodiche
sostituzioni (circa ogni 50-60 anni); attualmente questa filosofia di intervento non è più seguita ed è forse anche per questo che i fenomeni di
degrado appaiono più eclatanti.
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