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23 maggio_PROCESSO DEL LAVORO E NUOVO RITO

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23 maggio_PROCESSO DEL LAVORO E NUOVO RITO
PROCESSO DEL LAVORO E NUOVO RITO FORNERO
Applicabile il Rito Fornero anche in caso
di riqualificazione del rapporto con un
soggetto terzo committente o società
utilizzatrice
di Elisabetta Cassaneti
24.6.2013
Corte di Appello di Milano 23 maggio 2013
La Corte di Appello di Milano statuisce circa l’applicabilità del Rito Fornero, anche in caso di
riqualificazione del rapporto con un soggetto terzo (appalto e/o somministrazione) (Corte di Appello di
Milano, 23 maggio 2013 Est. Dott.ssa Cincotti).
La sentenza, uno dei primi precedenti di una Corte di Appello sul procedimento Fornero, si pronuncia
rispetto alla possibilità di azionare un procedimento con Rito Fornero anche qualora si tratti di
accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con un soggetto terzo (nel caso di
specie un committente ma un domani anche una società utilizzatrice).
Come è noto, l’art. 1, comma 47 della L.92/2012 stabilisce che “le disposizioni dei commi da 48 a 68 si
applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate
dall’articolo 18 della legge 20 maggio 1970 n.300, e successive modificazioni , anche quando devono
essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”.
Sulla base di tale disposizione normativa, nel caso di specie era stato proposto ricorso ex art. 1,
commi 48 e ss., L. n. 92/2012, per sentir accertare in via preliminare e principale la nullità del
contrato di appalto intercorso tra le parti e la costituzione, ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003, di un
rapporto di lavoro alle dipendenze della committente e, sulla base di accertamento, l’inefficacia del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla ricorrente dal datore di lavoro formale,
l’appaltatore, e la conseguente reintegrazione ex art. 18 Stat. lav. della ricorrente da parte del reale
datore di lavoro, la committente.
Il Giudice di primo grado aveva escluso la possibilità di assoggettare al rito Fornero tale
procedimento, dichiarando l’inammissibilità del ricorso.
In particolare, secondo il Giudice di primo grado la domanda preliminare, relativa all’imputazione
della collaborazione lavorativa dedotta in giudizio in capo a soggetto diverso da quello che risulta
essere il formale datore di lavoro, è frutto di una azione di tipo costitutivo, ed in quanto tale è
“esorbitante da mere problematiche relative alla qualificazione dei rapporto”.
Neppure sarebbe possibile ritenere che l'azione costitutiva in commento possa essere proposta con
ricorso ex art. 1, commi 48 e ss. L. 92/2012 muovendo da quanto previsto dal primo e dal terzo
periodo di tale comma. Ciò in quanto la domanda avente ad oggetto l'illegittimità del licenziamento e
quella relativa all'imputazione del rapporto risultano del tutto eterogenei tra di loro e sono non
fondate su identici fatti costitutivi, potendo ritenersi, al più, che la titolarità effettiva della
collaborazione lavorativa in capo ad un soggetto diverso dal datore di lavoro sia un possibile profilo
di illegittimità (meglio, di inefficacia) dell'atto di recesso impugnato con il ricorso (così nell'ordinanza
opposta in primo grado riportata nella parte, motiva della reclamata sentenza).
La Corte invece così statuisce “Quanto alla preliminare questione della ritenuta non sussumibilità
dell'accertamento dell'imputazione de rapporto di lavoro in capo alla Fondazione nelle "questioni
relative alla qualificazione del rapporto" ai sensi del comma 47 art 1 L 92/2012, questo collegio non
ritiene che la locuzione legale vada intesa come limitata ai soli casi in cui si tratta di qualificare come
subordinato un rapporto avente veste formale diversa, rilevandosi che la domanda del lavoratore è
sostanzialmente diretta a fare accertare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con il
committente, sicché il fatto che si tratti di pronuncia costitutiva o che la qualificazione del rapporto
investa principalmente l'aspetto soggettivo (cioè l'imputazione del rapporto) non appare ostativa
all'applicazione del rito accelerato dettato dalla legge n. 92/2012.
Il comma 3bis dell'art. 29 del D. Lgs. 276/2003, introdotto dal D. Lgs. N. 251/2004 pone infatti sul
medesimo piano processuale il lavoratore impiegato in un appalto non genuino e quello impiegato
nell'ambito di una somministrazione irregolare, poiché nel caso in cui il concreto atteggiarsi del
rapporto tra appaltante e appaltatore non rientri nello schema lavoristico del contratto di appalto
come delineato dal comma 1 dell'art. 29 ci si trova in presenza di un rapporto che simula tale istituto
per celare una somministrazione di lavoro non autorizzata, ossia di una situazione nella quale la
scissione tra utilizzatore e titolare del rapporto di lavoro che caratterizza le fattispecie tipizzate di
deroga al rapporto di lavoro c.d. tradizionale, si configura come interposizione illecita.
… Si tratterebbe pertanto (in astratto, per ciò che si dirà) di accertare, secondo la descrizione
dell'appalto di cui al citato art. 29 se esista il potere direttivo e l'assunzione del rischio di impresa da
parte dell’appaltatore, identificati dalla norma come indici di un appalto genuino, ossia di svolgere
una indagine non così dissimile (se non addirittura più snella) da quella richiesta per la qualificazione
del rapporto in termini di subordinazione, così da doversi concludere per l’applicabilità del rito….”
In buona sostanza, la Corte assume che tutte le volte in cui venga impugnato un licenziamento e
venga altresì contestato la qualificazione del rapporto (rectius la corretta imputazione del rapporto)
si potrà ricorrere al Rito Fornero.E’ inutile dire che se tale orientamento fosse confermato potrebbe
costituire un serio svantaggio a danno degli utilizzatori ed all'utilizzo della somministrazione.
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