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Tali considerazioni ovviamente non possono essere estese, se non
RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
Tali considerazioni ovviamente non possono essere estese, se non per
estrapolazione e quindi con tutte le dovute cautele, a campi di accelerazioni
più elevati (maggiori di 0.4 g) per i quali non sono disponibili dati
sperimentali.
3.3.4 Effetti bidimensionali (effetti di bordo e onde superficiali)
Sono oramai numerose le ricerche e le osservazioni sperimentali che,
condotte sugli strati più superficiali di valli alluvionali, hanno rilevato
fenomeni di amplificazione caratterizzati da considerevoli incrementi
nell’ampiezza e nella durata del moto sismico, spesso in aperto contrasto
con le previsioni ottenute dall’applicazione di modelli monodimensionali
(Chang et al., 1991; Aki, 1993; Bard, 1994).
La teoria di propagazione unidimensionale delle onde sismiche
applicata a tali modelli, introduce, infatti, una schematizzazione della
geometria dei depositi, spesso drasticamente semplificata, che riproduce una
situazione comunque ideale (deposito stratificato orizzontalmente con
substrato piano e orizzontale) e che non si realizza mai nei depositi reali,
che, anche nell’ipotesi di superficie libera orizzontale, possiedono sempre
una conformazione del tipo riportata in Figura 3.38, con una morfologia
sepolta irregolare e la superficie di separazione tra substrato e deposito non
orizzontale, soprattutto in corrispondenza dei bordi della valle.
Onda S
Onda S
Onda Superficiale
Figura 3.38 – Schema di un deposito reale e meccapoinismo di generazione delle onde superficiali
prodotte dagli effetti di bordo
99
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Condizioni di deposito reale
Per tale motivo, sebbene la schematizzazione monodimensioonale si
possa ritenere valida, con una certa approssimazione, in aree
sufficientemente lontane dai bordi e per spessori della valle largamente
superiori alle sue dimensioni areali (valli profonde), è anche vero che invece
esistono aree del deposito e forme geometriche particolarmente critiche per
le quali i modelli monodimensionali sottostimano ampiamente la risposta
sismica locale. Ciò è dovuto al fatto che oltre ai fenomeni che caratterizzano
la risposta sismica locale di un deposito, già considerati dalla teoria
monodimensionale e legati alle sue proprietà geotecniche (“intrappolamento”
delle onde sismiche nel deposito dovuto al contrasto di rigidezza tra
substrato e terreni costituenti il deposito del deposito ed “effetto filtro” legato
alla risonanza in corrispondenza delle frequenze caratteristiche dei terreni)
intervengono altri fenomeni fino ad ora non considerati e legati alla
morfologia sepolta del deposito e alla sua geometria bidimensionale, che
determinano generalmente un’amplificazione del moto sismico. Tali
fenomeni sono principalmente:
− la focalizzazione delle onde sismiche che si verifica in prossimità dei
bordi della valle, dove la geometria non più piana ed orizzontale del
substrato favorisce un’interferenza costruttiva tra le onde riflesse e
rifratte (e quindi un’amplificazione del moto), analoga a quella che si
verifica in corrispondenza di creste o promontori (effetti topografici
legati all’irregolarità della morfologia superficiale). Effetti di questo tipo
sono stati rilevati in occasione dei più recenti eventi sismici (terremoto
di Kobe) in aree di depositi ubicate lungo il margine della valle
alluvionale.
− la generazione di onde superficiali ad opera delle onde sismiche
incidenti la superficie di separazione tra substrato e deposito, laddove
tale superficie è inclinata, cioè in corrispondenza dei bordi. L’incidenza
non verticale di tali onde (che può anche verificarsi alla base del
deposito, essendo quella della direzione di propagazione verticale solo
un’ipotesi approssimativa del reale comportamento delle onde sismiche)
genera delle onde di superficie (onde di Love e di Rayleigh) che si
propagano orizzontalmente e che per effetto del contrasto d’impedenza
tra substrato e terreno rimangono confinate all’interno del deposito
subendo delle riflessioni multiple tra le sue pareti (Figura 3.38)
attenuandosi solo a causa dello smorzamento isteretico caratteristico dei
terreni costituenti il deposito. Tali onde sono caratterizzate da velocità
più basse delle onde S (inferiori comunque a 1000 m/s) e ampiezze e
periodi generalmente maggiori (compresi tra 0.5 e 5 s), e determinano
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Condizioni di deposito reale
perciò un aumento nella durata e nelle ampiezze del moto sismico,
particolarmente dannosa soprattutto per strutture con periodi
fondamentali elevati (maggiori di 0.5 s), come edifici con un numero
elevato di piani, ponti, dighe, ecc. È ampiamente documentato, sia da
osservazioni sperimentali che da riflessioni teoriche, che tali onde si
generano prevalentemente in corrispondenza di strutture di notevoli
dimensioni (bacino di Los Angeles, di Osaka, piana di Kanto, ecc.).
Negli ultimi quindici anni, nel campo della risposta sismica locale, il
problema dell’analisi e della giusta considerazione di tali effetti
“bidimensionali” con codici di calcolo appropriati è stato uno dei più
dibattuti, insieme a quello della non linearità del comportamento del
terreno, tanto per l’interesse scientifico che un problema del genere può
destare quanto per la necessità di salvaguardare con adeguati interventi di
microzonazione la gran parte dei centri urbani, i quali tradizionalmente,
soprattutto nel nostro Paese, sorgono proprio in corrispondenza di
configurazioni di questo tipo, cioè al centro e spesso ai bordi di valli
alluvionali.
Assai numerose sono state, fino ad oggi, le osservazioni sperimentali
effettuate in occasione dei più recenti e significativi terremoti e, in misura
inferiore, da reti di rilevamento installate su siti campione, finalizzate allo
studio della differente amplificazione del moto sismico che si verifica lungo
una sezione trasversale del deposito (Pitilakis et al., 1999, Gomes et al.,
1999; Jongmans et al., 1991) o alla misura delle onde sismiche superficiali
generate in corrispondenza dei bordi (Pei et al., 1995). Parallelamente, per
quantificare tali effetti, sono stati sviluppati e perfezionati codici di calcolo
bidimensionali, e più recentemente tridimensionali, di cui è stata prima
verificata l’affidabilità, dal confronto con le misure sperimentali e con gli
analoghi risultati ottenuti dai modelli monodimensionali, e poi sono stati
utilizzati per analisi parametriche per vedere, ad esempio, come la forma
della valle (più o meno profonda) può influire sull’amplificazione del moto
sismico (Bard et al., 1986) e per definire le principali differenze in termini di
risposta rispetto ai modelli monodimensionali, anche per un’analisi critica
delle più recenti normative che a tali modelli fanno riferimento (Pitilakis et
al., 1999). Infatti i modelli monodimensionali, proprio perché non
considerano gli effetti legati alla bidimensionalità del deposito (interferenza
costruttiva tra onde incidenti e onde riflesse, generazione di onde
superficiali) tendono generalmente a fornire una risposta inferiore (in
termini di durata e ampiezza) a quella stimabile con modelli bidimensionali,
d’altra parte è anche vero che ci sono siti in cui accade esattamente il
contrario, questa volta a causa dell’interferenza distruttiva tra i vari tipi di
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onde che non viene computata nei modelli bidimensionali. In generale la
principale differenza tra la modellazione 1-D e 2-D o 3-D è che mentre nel
caso bidimensionale la risposta sismica locale superficiale può variare
bruscamente su piccole distanze anche senza che vi corrispondano
variazioni nelle proprietà geotecniche dei terreni, nel caso
monodimensionale per avere le stesse variazioni areali devono variare
sensibilmente le caratteristiche del terreno. Ciò significa che per tenere
conto nelle normative, basate perlopiù su modelli monodimensionali, degli
effetti legati alla bidimensionalità del deposito è necessario, ad esempio,
introdurre dei fattori che siano funzione delle proprietà geotecniche del
terreno sottostante il sito in esame e della sua distanza ad esempio dai bordi
(Bielak et al., 2000).
A titolo di esempio si riportano i risultati di alcune simulazioni
numeriche (Bard et al., 1986) effettuate applicando un modello
monodimensionale e un modello bidimensionale a schemi geometrici
semplificati di valli alluvionali soggette a onde incidenti del tipo SH. La
forma geometrica adottata per le valli è quella trapezia (per valli superficiali)
e a catino (per valli profonde) e le sue caratteristiche geometriche sono
identificate dal fattore di forma H/L, dove H è lo spessore del deposito e
L la sua semilarghezza (Figura 3.39), considerando valli superficiali quelle
caratterizzate da un fattore di forma H/L inferiore a 0.25 e profonde quelle
con un fattore di forma maggiore.
La simulazione numerica è stata effettuata con riferimento a un caso
di valle superficiale, con fattore di forma H/L = 0.1 e a un caso di valle
profonda, con un fattore di forma H/L = 0.4; è stato utilizzato un modello
monodimensionale, ipotizzando una variazione lineare della velocità delle
onde S con la profondità, e poi un modello bidimensionale, distinguendo i
casi di velocità delle onde S costante e crescente linearmente con la
profondità. In ciascuno dei tre casi è stato ipotizzato un rapporto di
smorzamento del terreno pari a 2.5 %.
In Figura 3.39 sono riportati i risultati delle simulazioni, per ciascuno
dei tre casi considerati e relativamente ai due schemi geometrici adottati, in
termini di funzione di amplificazione determinata in corrispondenza di più
stazioni ubicate lungo la sezione trasversale della valle. Tali funzioni, per
rendere più direttamente confrontabili i risultati ottenuti coi due differenti
modelli, sono state rappresentate in termini di frequenza normalizzata
rispetto alla frequenza fondamentale del deposito calcolata col modello
monodimensionale al centro della valle (VS/4 H).
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Figura 3.39 – Confronto tra i risultati dell’applicazione di un modello 1-D e di un modello 2-D a una
valle superficiale di forma trapezia (a) e a una valle profonda con forma a catino (b) (Bard et al., 1986)
Nel caso di valle superficiale (Figura 3.39 a) il modello 1-D fornisce
dei risultati sostanzialmente in buon accordo con quelli ottenuti col modello
2-D al centro della valle (stazione 8), come era lecito attendersi, mentre le
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differenze diventano sempre più significative allontanandosi dal centro e
procedendo verso i bordi (stazioni 6 e 4), dove (stazione 2) si osservano le
maggiori differenze, con uno spettro a larga banda ottenuta dalla
simulazione 2-D e uno a banda stretta per il caso 1-D, dovute
principalmente agi effetti d’interferenza tra le onde verticali incidenti e
quelle rifratte e riflesse.
Nel casi di valle profonda (Figura 3.40 b) i due modelli forniscono
risultati sostanzialmente diversi, in termini di forma e di ampiezza della
funzione di amplificazione, sia al centro che ai bordi della valle; in
particolare le funzioni di amplificazione ottenute col modello 2-D hanno
forma vibratoria, caratterizzata da più massimi relativi, e sottostimano il
moto sismico rispetto al modello 1-D ai bordi della valle, mentre lo
sovrastimano al centro.
Quindi mentre per le valli superficiali i risultati ottenuti sono coerenti
con le previsioni teoriche, nelle valli profonde essi indicano la presenza di
fenomeni d’interazione tra onde di volume incidenti e onde superficiali
prodotte molto più complessi di quelli fino ad ora ipotizzati; per tale motivo
i modelli monodimensionali sono inadeguati nel caso di valli profonde e
comunque in entrambi i casi gli effetti bidimensionali producono lungo la
sezione trasversale del deposito accentuati movimenti differenziali che
devono essere considerati per la progettazione antisismica soprattutto per
strutture ad elevato sviluppo lineare (dighe, ecc.).
3.3.5 Effetti tridimensionali (effetti topografici)
Un deposito si dice che possiede una struttura bidimensionale quando per
descriverne la geometria, e conseguentemente gli effetti dell’amplificazione
del moto sismico, è sufficiente una sola sezione longitudinale (ortogonale
alla direzione di massima estensione) a cui applicare un modello di analisi
bidimensionale; nella realtà i depositi possiedono delle strutture più
complesse, che in alcuni casi, per valli estese prevalentemente secondo una
direzione preferenziale, possono essere ricondotte ad uno schema
bidimensionale, assumendo come rappresentativa del comportamento
dell’intero deposito (lontano dalle sue estremità), una qualsiasi sezione
ortogonale, mentre in altri casi è necessario ricorrere ad un’analisi
tridimensionale, dove i fenomeni coinvolti, da un punto di vista qualitativo,
sono quelli già descritti nel caso bidimensionale, mentre gli effetti connessi
sono quantitativamente più elevati (Zhang et al., 1995).
Se poi si considera, in particolari situazioni geomorfologiche, la
presenza di una superficie libera non piana e orizzontale e quindi un
orizzonte topografico accidentato e irregolare (creste, promontori, dorsali,
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ecc.) la situazione diviene ancora più complessa in quanto intervengono altri
effetti, legati sempre alla tridimensionalità del deposito e alla sua morfologia
superficiale, noti come effetti topografici.
Il fenomeno responsabile degli effetti topografici, noto come
focalizzazione, è legato al processo di interazione costruttiva tra le onde
incidenti e quelle riflesse attraverso la superficie libera del deposito (onde
diffratte) che, data la particolare conformazione topografica (Figura 3.40),
tendono a concentrare la loro energia in corrispondenza della cresta del
rilievo (Bard, 1982).
Figura 3.40 – Rappresentazione del fenomeno della focalizzazione delle onde sismiche
Gli effetti topografici si traducono in una maggiore amplificazione del
moto sismico in prossimità della sommità dei rilievi, come è stato più volte
rilevato durante l’osservazione della localizzazione dei danni verificatisi
durante i terremoti più significativi che hanno colpito l’Italia, come il
terremoto del Friuli del 1976 (Brambati et al., 1980), dell’Irpinia del 1980
(AA.VV., 1983) e dell’Umbria-Marche del 1997 o il resto del mondo, come
il terremoto di Città del Messico del 1985 (Celebi et al. 1987) e i più recenti
di Northridge e di Kobe del 1994.
Proprio sulla base delle osservazioni dei danni particolarmente ingenti
collegati a questo tipo di fenomeno e a partire dalla constatazione che
numerosi centri di notevole valore storico, umano ed economico, in paesi
come l’Italia, sorgono su configurazioni geomorfologiche di questo tipo,
l’analisi e la stima degli effetti topografici costituisce un altro argomento
particolarmente dibattuto nella comunità scientifica internazionale. Oltre
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alle osservazioni qualitative degli effetti topografici sono stati messi a punto
una serie di modelli analitici e numerici in grado di quantificare la loro
entità, perlomeno in corrispondenza di configurazioni geometriche
semplificate e di studiarne le variazioni al variare ad esempio del tipo e
dell’angolo d’incidenza dell’onda sismica, delle dimensioni e della forma
geometrica del deposito, delle condizioni al contorno considerate, ecc.
Ad esempio si è partiti dall’analisi di una situazione ideale
particolarmente semplice (Aki, 1988), come quella riportata in Figura 3.41 a,
in cui l’irregolarità topografica è schematizzata con un cuneo indefinito, di
angolo al vertice ϕ, costituito da un mezzo elastico, omogeneo ed isotropo
attraversato da un onda armonica SH con direzione di propagazione
verticale polarizzata parallelamente all’asse del cuneo.
a)
x
z
ϕ
SH
2
b)
ϕ 2 = v2 π
1
ϕ 1 = v1 π
c)
V/V0
8
6
4
2
0
π/3
π/2
2π/3 5π/6
π
7π/6
ϕ
Figura 3.41 – Modello del cuneo indefinito eccitato da onde SH verticali agenti lungo la direzione
dell’asse del cuneo (a), schematizzazione geometrica di un irregolarità topografica regolare di geometria
triangolare (b) e variazione del fattore di amplificazione con l’angolo al vertice ϕ.
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Condizioni di deposito reale
Di tale situazione è stato trovata una soluzione analitica in forma
chiusa (Sanchez et al., 1990) al variare dell’angolo ϕ = v π (con 0 < v < 2),
che è riportata in Figura 3.41 c, in termini di fattore di amplificazione A,
pari al rapporto tra l’ampiezza lo spostamento in direzione parallela all’asse
del cuneo misurato al vertice del cuneo, V, e quello misurato nello stesso
punto in condizione di superficie piana e orizzontale (v = 1), V0. Tale
rapporto risulta essere indipendente dalla frequenza dell’eccitazione e
dipendente solo dall’angolo ϕ in maniera inversamente proporzionale
secondo la relazione:
A=
2 2π
V
= =
ϕ
V0
v
(Eq. 3.32)
da cui si osserva che l’effetto topografico comporta comunque un
amplificazione del moto in corrispondenza della cresta, che può già essere
rilevante (con un valore del fattore di amplificazione pari a 3) già per profili
molto “dolci” (ϕ = 100°). All’aumentare del fattore di forma (cioè per
rilievi più pronunciati) tali fenomeni diventano sempre più marcati. Con
riferimento ad una situazione reale, che può essere schematizzata come in
Figura 3.41 b, una stima dell’amplificazione al punto 2 rispetto al punto 1, è
data da v1/v2.
Passando a situazioni geometriche un po’ più realistiche, come quella
riportata in Figura 3.42 a, dove L è la semilarghezza e H l’altezza del rilievo,
è stata determinata, mediante analisi numerica (Geli et al. 1988), in più punti
ubicati sulla cima, su fianchi e alla base del rilievo, la funzione di
amplificazione in termini di frequenza adimensionale n = 2L/λ, dove λ è la
lunghezza dell’onda incidente supposta del tipo SH e verticale. In figura
3.42 b sono riportate le funzioni di amplificazione per un valore del fattore
di forma H/L fissato (pari a 0.4), dalle quali si può notare come in
corrispondenza della cresta la funzione sia a banda larga e quindi risulta
chiaro l’effetto amplificativo, che raggiunge il massimo per n =2 (cioè
quando la lunghezza dell’onda incidente λ è pari alla semilarghezza L del
deposito), mentre ai fianchi e alla base la funzione presenta un andamento
più irregolare con successive amplificazioni e attenuazioni connesse alle
interazioni non sempre costruttive delle onde incidenti e diffratte.
Col tempo sono state messi a punto dei modelli numerici più
complessi in gradi di schematizzare morfologie più irregolari (metodi ad
elementi finiti, FEM, e metodi agli elementi al contorno, BEM) ed effettuate
simulazioni con riferimento a situazioni reali.
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RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
1
L
Condizioni di deposito reale
2
3
H
4
5
6
H/L = 0.4
Base
a)
2
1
Amplificazione, A
1
1
1
2
3
4
Frequenza adimensionale, n
3
b)
2
Amplificazione, A
2
6
2
3
4
1
2
3
4
2
Amplificazione, A
Amplificazione, A
2
1
Frequenza adimensionale, n
1
1
1
2
3
4
Frequenza adimensionale, n
Frequenza adimensionale, n
Figura 3.42 – Schema di un rilievo isolato (a) e funzioni di amplificazioni, in termini di frequenza
adimensionale (b), calcolate per via numerica in differenti stazioni ubicate sulla cresta, sui fianchi e alla
base del rilievo, per un fattore di forma H/L = 0.4, nell’ipotesi di onde incidenti SH verticali
Di pari passo, anche se in misura largamente inferiore, sono stati
portati avanti studi sperimentali basati sulle registrazioni effettuate lungo
determinati profili topografici irregolari durante esplosioni o aftershock di
eventi sismici di una certa rilevanza.
Ad esempio in Figura 3.43 a sono riportate le registrazioni (Lee et al.
1994), in termini di velocità, di un aftershock del terremoto di Northridge,
rilevate lungo un profilo trasversale di una piccola collina (alta 18 m ed
estesa 400 m in lunghezza e 200 m in larghezza), situata nella regione di
Tarzana e particolarmente colpita da tale evento. Dall’esame delle
registrazioni si può osservare come le maggiori amplificazioni si siano
verificate in corrispondenza della sommità del rilievo, rispetto alle stazioni
ubicate alla base.
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RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
Figura 3.43 – Tre componenti della velocità registrate durante un aftershock del terremoto di Northridge (1994) lungo
un profilo della collina di Tarzana, trasversale (N-S) rispetto alla direzione di massima estensione, e riportate (a) in
ordine dall’estremità N verso l’estremità S della sezione (la 3a, la 4a e la 5a sono quelle più vicine alla sommità del
rilievo) e risultati di una simulazione numerica (Bouchon, 1995) riportati (b) al variare della frequenza in termini di
picco d’accelerazione massimo normalizzato rispetto al picco d’accelerazione corrispondente ottenuto per profilo piano. Le
linee disegnate sono curve di livello corrispondenti ad intervalli di 5 piedi
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RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
Ciò viene confermato anche da una simulazione numerica effettuata
nell’ipotesi di onde sismiche SH incidenti verticalmente e polarizzate nella
direzione di minima estensione della collina. I risultati, al variare della
frequenza, sono riportati in Figura 3.43 b in termini di picco d’accelerazione
massima normalizzato rispetto al picco corrispondente ad un profilo piatto
(A); si può osservare come in un campo di frequenze compreso tra 2 e 15
Hz (di notevole importanza nella pratica ingegneristica) la topografia del
rilievo, sebbene non particolarmente pronunciata, influenzi pesantemente il
moto sismico determinando amplificazioni che vanno dal 30 al 100%.
Un altro esperimento è stato condotto nella regione di Nizza (Bard et
al., 1995), su due siti (Castillon e Piène) scelti in modo da presentare
caratteristiche morfologiche differenti e una conformazione geologica
affine, così da attribuire le eventuali differenze nella risposta sismica locale
tra i due siti, unicamente a fattori topografici. Anche la natura dei terreni,
costituiti da vari tipi di calcari, consente di escludere eventuali fenomeni di
amplificazione o attenuazione dovuti a contrasti d’impedenza tra strati di
terreno con differenti caratteristiche meccaniche.
Lungo un profilo trasversale sono state ubicate per ciascun sito
stazioni accelerometriche in corrispondenza della sommità, dei fianchi e alla
base del rilievo (riportate in Figura 3.44 a per uno dei due siti), a distanze
sufficientemente piccole da potere prescindere, nelle elaborazioni delle
registrazioni, da eventuali effetti legati alla sorgente o al percorso delle onde
sismiche. Quindi sono state considerate le registrazioni dei sei eventi
ritenuti più significativi in termini di intensità e corrispondenti a varie
distanze epicentrali (in Figura 3.44 b sono riportate le componenti
orizzontali relative ad uno di tali eventi, da cui si può vedere che la massima
amplificazione si verifica sulla cresta in corrispondenza della stazione di
Sommet); poi, dall’esame dei rapporti spettrali delle registrazioni relative a
coppie di stazioni, mediati su tutte le registrazioni, è stato osservato che per
entrambi i siti le maggiori amplificazioni e attenuazioni sono state rilevate
sulla componente orizzontale, con la massima amplificazione (pari circa a
10) in corrispondenza della cresta (intorno a 8-9 Hz per il sito di Castillon e
4 Hz per quello di Piène). Mentre sul sito di Castillon i fenomeni
amplificativi si riducono progressivamente dalla cresta alla base del deposito,
dove le amplificazioni più significative si verificano in un campo di alte
frequenze (e quindi non di interesse ai fini ingegneristici) e quindi sono più
facilmente attribuibili ad effetti topografici, nel sito di Piène l’andamento
non è più cosi lineare e prevedibile, e sembra non seguire un modello di
comportamento ben preciso; ciò è dovuto in parte alla morfologia più
accidentata, ma anche all’impossibilità di ridurre degli effetti così complessi
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RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
come quelli topografici ad una schematizzazione semplice e di validità
generale e anche all’eventuale presenza di eterogeneità locali nella natura
geologica e nelle proprietà geotecniche del terreno e quindi nell’impossibilità
di scindere gli effetti topografici dagli effetti di sito.
Figura 3.44 – Sezione geologica del sito di Castillon, Nice (a) e componenti orizzontali E-W registrate
durante il terremoto di Riez il 17/02/1994 (b)
Quest’ultimo esperimento conferma quanto sia difficile
l’interpretazione dei risultati di registrazioni sperimentali e la loro
generalizzazione, soprattutto a causa di una comprensione ancora non
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RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
completa del fenomeno e dell’impossibilità di scindere gli effetti sulla
risposta sismica locale legati alle proprietà geotecniche del deposito da quelli
dovuti ai fenomeni di amplificazione topografica. Per cui sarebbe
opportuno un maggior numero di questi studi in riferimento anche a
differenti situazioni geomorfologiche e geotecniche.
In definitiva, sebbene si abbia una adeguata e corretta conoscenza
qualitativa degli effetti topografici connessi alla valutazione della risposta
sismica locale, anche confortata dalle osservazioni sperimentali, non
altrettanto si può dire circa gli aspetti quantitativi, che fino ad ora hanno
portato a risultati spesso contraddittori sia tra i vari modelli utilizzati e sia
rispetto ai risultati sperimentali (rispetto ai quali i risultati delle modellazioni
teoriche sono generalmente molto inferiori) Per quanto riguarda gli aspetti
qualitativi si può dire che (Bard, 1994) gli effetti topografici su un rilievo si
traducono in:
− un’amplificazione del moto sismico alla sommità del rilievo rispetto alla
base legata alle dimensioni del rilevo e alla caratteristiche dell’onda
incidente (l’amplificazione risulta tanto maggiore quanto più la
semilarghezza di base del rilievo si avvicina alla frequenza fondamentale
dell’onda incidente) e alla forma del rilievo (l’amplificazione aumenta
all’aumentare del fattore di forma del rilievo);
− un’alternanza di fenomeni di amplificazione e di attenuazione del moto
sismico lungo i fianchi del rilievo con rapide variazioni del moto, sia in
termini di frequenza che di ampiezza, dovute alla complessa interazione
tra onde incidenti e diffratte.
3.3.6 Codici di calcolo per l’applicazione di modelli bidimensionali e
tridimensionali
I codici di calcolo sviluppati per le analisi bidimensionali si basano
essenzialmente su due metodi fondamentali:
− il metodo ad elementi finiti (FEM), il più noto e diffuso, per le sue
molteplici applicazioni in svariati campi dell’ingegneria, in grado di
considerare, nell’analisi della risposta sismica locale molti di quegli effetti
legati alla bidimensionalità del deposito citati nel Paragrafo 2.3.4 e allo
stesso tempo il più compatibile con leggi costitutive non lineari per il
comportamento del terreno. Il maggior difetto di questi metodi è
dovuto al fatto che sono fortemente condizionati dalle condizioni al
contorno e che in corrispondenza della frontiera tra deposito e
substrato, supposto infinitamente rigido, si verificano riflessioni che
possono condurre a risultati poco realistici.
112
RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
− il metodo degli elementi al contorno (BEM), meno noto ma
sicuramente più adeguato nel rappresentare gli effetti topografici
caratteristici di quelle morfologie superficiali particolarmente irregolari
descritte nel Paragrafo precedente.
L’applicazione di tali metodi introduce un livello di complessità
superiore rispetto ai tradizionali modelli monodimensionali, legato
all’utilizzo di codici di calcolo più sofisticati che richiedono, oltre ad un
maggiore sforzo computazionale in termini di tempo di calcolo, un
maggiore numero di dati e quindi una maggiore affinatezza e precisione
nella conoscenza del deposito in questione. Particolarmente delicata è la fase
di schematizzazione del deposito, o meglio della sezione di analisi prescelta,
della quale dovrà essere nota con sufficientemente precisione la geometria
sepolta e superficiale e la composizione stratigrafica (ricavata da sondaggi o
prove geofisiche superficiali), nonché le caratteristiche fisico-meccaniche e
geotecniche dei singoli strati, non solo con la profondità ma anche in
direzione areale. Quando le informazioni relative alla geometria del deposito
non siano note o comunque non si ritengano affidabili e soprattutto quando
la morfologia sepolta risulta fortemente irregolare e non siano presenti
particolari simmetrie che consentano di ridurre l’analisi della risposta sismica
locale a poche sezioni, lo sforzo richiesto (in termini di indagini e di calcoli)
non giustifica la qualità e l’affidabilità dei risultati ottenuti (che comunque
non sono in grado di descrivere completamente il problema
dell’amplificazione del moto sismico in una situazione così complessa),
mentre appare più idoneo il ricorso a modelli più semplificati, quali quelli
monodimensionali.
I metodi tridimensionali non sono che un’estensione dei modelli
utilizzati nei codici di calcolo tridimensionali e data la dimensione ancora
sperimentale e di ricerca di molti di essi, nonché le numerose complicazioni
introdotte, non verranno esaminati in questa sede, ricordando che
comunque un’analisi tridimensionale di un deposito può essere comunque
sempre effettuata ricorrendo ad analisi bidimensionali effettuate su più
sezioni (generalmente perpendicolari alla direzione di massima estensione
del deposito).
3.3.6.1 QUAD 4
Tra i codici di calcolo che realizzano metodi ad elementi finiti, il più noto è
il QUAD4, elaborato da Idriss et al. nel 1968 presso l’Università di Berkeley,
in cui la sezione di indagine viene discretizzata in un numero finito di
elementi (mesh) secondo uno schema a masse concentrate collegate tra loro
113
RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
da molle e smorzatori viscosi. Il calcolo della risposta sismica locale è
ricondotto, al solito, alla risoluzione delle equazioni del moto definite, per
ciascuno dei punti nodali, nel seguente modo:
(Eq. 3.33)
[ M] ⋅ {u&& } + [C] ⋅ {u&&& } + [ K ] ⋅ {u} = {R(t )}
dove [M] è la matrice delle masse concentrate, [C] la matrice dei coefficienti
di smorzamento degli smorzatori viscosi e [K] la matrice delle costanti di
rigidezza delle molle, {u} il vettore degli spostamenti e {R(t)} il vettore
rappresentativo dell’eccitazione sismica.
Tale sistema di equazioni viene risolto adottando la tecnica
d’integrazione passo-passo di Wilson e Clough, che determina, mediante
integrazione diretta nel dominio del tempo delle (Eq. 3.33), la risposta al
generico istante t in funzione della risposta all’istante precedente t - ∆t, dove
la scelta del passo ∆t è molto importante per la stabilità della risposta.
La non linearità del comportamento del terreno viene considerata
accoppiando al sistema di equazioni del moto un modello lineare
equivalente uguale a quello adottato nel codice SHAKE.
La fase più delicata nell’applicazione di QUAD4, ma anche di un
qualsiasi codice basato sul metodo degli elementi finiti, consiste nella
schematizzazione bidimensionale del deposito e nell’attribuzione, a ciascuno
degli elementi, delle corrispondenti proprietà geotecniche.
Per costruire una mesh in maniera corretta e funzionale è sempre
necessario raggiungere un compromesso tra la schematizzazione che meglio
si adatta alle caratteristiche geometriche, geotecniche e stratigrafiche del
deposito e quella che consente una più rapida e stabile convergenza del
programma alla soluzione desiderata. Quindi la scelta del numero, della
forma e delle dimensioni degli elementi, in rapporto anche alle
caratteristiche dell’eccitazione sismica e alla variabilità delle proprietà
geotecniche deve avvenire con criterio e seguendo alcune regole di base. Ad
esempio l’altezza ∆h degli elementi viene scelta in relazione alla lunghezza
d’onda λ dell’eccitazione, o alla sua frequenza f, essendo:
λ=
VS
f
(Eq. 3.34)
con VS velocità delle onde S dello strato, adottando la seguente formula
empirica:
∆h ==
λ
k
=
VS
kf
(Eq. 3.35)
dove k è un coefficiente di riduzione, che dipende dal tipo di
discretizzazione più o meno fine che s’intende eseguire e generalmente varia
114
RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
Par. 3.3
Condizioni di deposito reale
tra 4 e 12 (maggiore è k e minore sarà ∆h e quindi più fitta la mesh con un
aggravio nella preparazione della sezione ma maggiori garanzie di stabilità
nella convergenza alla soluzione), mentre come valore di VS viene assunti
quello minimo riscontrato nello strato in esame e come valore di f , la
frequenza massima del segnale che dovrà propagarsi attraverso lo strato.
La larghezza viene generalmente assunta pari a 10 volte l’altezza ∆h e
la forma quadrangolare e, triangolare solo quando la geometria del deposito
lo renda necessario (in prossimità dei bordi o di discontinuità stratigrafiche).
Quindi a ciascun elemento vengono assegnate le proprietà fisiche, in termini
di densità ρ, e meccaniche in termini di modulo di taglio massimo G0,
rapporto di smorzamento minimo D0 e coefficiente di Poisson ν e la legge
di variazione del modulo di taglio G e del rapporto di smorzamento D con
la deformazione di taglio γ per l’applicazione del modello, lineare
equivalente. L’accelerogramma di input viene applicato alla base del
deposito in corrispondenza della frontiera tra terreno e substrato, supposto
infinitamente rigido. Per tale motivo per evitare che le riflessioni del segnale
sismico alla base del deposito possano produrre valori della risposta sismica
poco realistici, uno dei possibili accorgimenti adottati consiste nel
considerare una frontiera nella schematizzazione spostata verso il substrato
rispetto a quella reale.
Riassumendo i dati di ingresso per il codice QUAD4 sono:
− l’accelerogramma digitalizzato e la direzione dell’onda incidente;
− numero, forma e dimensioni degli elementi e coordinate di ciascuno dei
nodi;
− densità ρ, modulo di taglio massimo G0, rapporto di smorzamento
minimo D0 e coefficiente di Poisson ν per ciascun elemento;
− legge G(γ)/G0 e D(γ)/D0 per ciascun elemento;
Invece i dati di output sono generalmente:
− storia temporale delle accelerazioni per ciascun nodo;
− storia temporale degli sforzi di taglio e normali per ciascun nodo;
Nelle versioni più aggiornate sono state introdotte delle modifiche
soprattutto per quanto riguarda il tipo di output (oltre ad esempio alla
conversione del unità di misura al SI o alla possibilità di introdurre
dall’esterno le leggi di decadimento per i materiali), prevedendo la possibilità
di ottenere, oltre ai più svariati parametri sismici, anche spettri di Fourier o
di risposta (in termini di spostamento, velocità, accelerazione, ecc.) e le
intensità spettrali
115
RISPOSTA SISMICA LOCALE: I MODELLI
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