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analisi di alcune questioni interpretative scaturenti dalle disposizioni

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analisi di alcune questioni interpretative scaturenti dalle disposizioni
ANALISI DI ALCUNE QUESTIONI INTERPRETATIVE SCATURENTI DALLE
DISPOSIZIONI DEL CODICE DELLE ASSICURAZIONI (D.LGS 209/2005) E DEL
REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE (D.P.R. 254/2006).
********
SOMMARIO
1. Premessa: considerazioni generali sulle azioni tradizionalmente riconosciute al danneggiato. pag.1
2. La proponibilità dell’azione di risarcimento.
2.1. I referenti normativi.
2.2. I principi consolidati con riferimento all’art.22 della legge 990/1969.
2.3. La nuova disciplina della proponibilità contenuta nel Codice delle assicurazioni.
2.4. Le principali linee di modificazione del sistema.
2.5. Il primo orientamento della giurisprudenza: critica.
2.6. Le modalità di richiesta del risarcimento nella procedura di risarcimento diretto.
2.7. L’incompletezza della richiesta di risarcimento.
2.8. La disciplina intertemporale.
pag.2.
3. L’azione diretta del trasportato.
pag.16
3.1. Il referente normativo.
3.2. I primi commenti.
3.3. Il coordinamento fra gli artt.141 e 144 del Codice: ammissibilità o no dell’azione diretta verso
l’impresa assicurativa del responsabile.
3.4. La nozione speciale di caso fortuito considerata dall’art.141 del Codice.
3.5. Il litisconsorzio con il responsabile del danno.
3.6. L’azione civile in sede penale.
4. L’azione diretta ex art.149 del Codice delle assicurazioni.
pag.28
4.1. Il referente normativo.
4.2. La configurazione dogmatica.
4.3. L’ambito di applicazione.
4.3.1. Il tipo di sinistro.
4.3.2. Il luogo del sinistro.
4.3.3. Il tipo di veicoli coinvolti.
4.3.4. La categoria dei danneggiati.
4.3.5. La tipologia dei danni indennizzabili.
4.3.6. Le cause del danno sotto il profilo della responsabilità del sinistro.
4.4. Il pagamento.
4.5. La legittimazione passiva.
4.6. La comunicazione all’impresa del responsabile.
4.7. Il litisconsorzio nell’azione diretta in caso di applicabilità dell’art.149 del Codice.
4.8. L’azione civile in sede penale.
4.9.Le prime fasi della gestione della procedura di risarcimento diretto: prime indicazioni e possibili
sviluppi critici.
5. Il ristoro delle spese legali stragiudiziali.
5.1. La legge delega e il Codice delle assicurazioni.
5.2. La prima stesura del Regolamento di attuazione.
5.3. Le critiche dottrinali.
5.4. La questione della risarcibilità delle spese legali di assistenza stragiudiziale.
5.5. Il testo attuale del Regolamento.
********
1
pag.38
1. Premessa: considerazioni generali sulle azioni tradizionalmente riconosciute al danneggiato.
E’ importante formulare una breve considerazione di carattere preliminare per sottolineare, con
forza, un concetto fondamentale in ordine alle conseguenze sistematiche della nuova disciplina delle
azioni dirette nei confronti delle imprese assicuratrici r.c.a. contenuta nel Codice delle Assicurazioni
di cui al d.lgs 209 del 2005, al fine di prevenire e stigmatizzare un errore che affiora, magari solo in
modo indiretto e inconsapevole, in alcune opinioni dottrinali e in alcuni provvedimenti
giurisdizionali successivi all’entrata in vigore del Codice.
Nulla è cambiato - e soprattutto, come si dirà, nulla poteva cambiare - nella disciplina delle azioni
risarcitorie scaturenti dalla normativa del Codice civile, che pure si colleghino ad un sinistro stradale
in cui siano coinvolti veicoli soggetti all’assicurazione obbligatoria.
La disciplina del Codice delle assicurazioni non interferisce minimamente, cioè, con l’esperibilità
dell’ordinaria azione aquiliana ex art.2043 c.c., fondata sulla provocazione colposa o dolosa del
danno antigiuridico, ovvero delle azioni disciplinate dall’art.2054 c.c. nei confronti del conducente e
del proprietario (o usufruttuario o acquirente con patto di riservato dominio), caratterizzate da
presunzioni di colpa o da un regime di vera e propria responsabilità oggettiva, o infine delle azioni
fondate sulla sussistenza di un rapporto di carattere contrattuale intercorrente fra il danneggiato e un
altro soggetto, nel cui ambito assuma rilievo l’obbligazione di quest’ultimo di preservare
l’incolumità del primo nel corso della vicenda circolatoria (normalmente il contratto di trasporto).
Il Codice delle assicurazioni si occupa solo delle azioni dirette nei riguardi delle imprese assicurative
e non pregiudica in alcun modo la possibilità del danneggiato di instaurare una delle varie azioni
ricordate, in via autonoma e alternativa rispetto all’esperimento dell’azione diretta, ovvero
cumulativamente e congiuntamente ad essa, nel rispetto delle regole di rito.
E tale lineare conclusione scaturisce de plano sia dalla lettura delle disposizioni del Codice, sia dalla
ratio legis, sia e soprattutto dalla sedes materiae, visto che il Codice si occupa del contratto di
assicurazione e delle imprese assicurative e non già del regime ordinario della responsabilità civile.
Una diversa ricostruzione si esporrebbe, per duplice via, alla sanzione di illegittimità costituzionale,
sia con riferimento all’art.76 Cost.,dal momento che la delega legislativa si proponeva
semplicemente di provvedere alla “tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli,
sotto il profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonché dell’informativa preliminare,
contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei
messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di
tale servizio” (art.1, lettera b, della legge delega 229/2003) e non autorizzava alcuna revisione della
disciplina ordinaria della responsabilità civile, sia con riferimento all’art.24 Cost., dovendosi
altrimenti ravvisare una ingiustificata compressione del fondamentale diritto all’azione
giurisdizionale a tutela dei diritti riconosciuti dall’ordinamento.
2. La proponibilità dell’azione di risarcimento.
2.1. I referenti normativi.
L’art.22 della legge 24.12.1969 n.990 disponeva:
•
“L’azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma
della presente legge vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta
giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata
con avviso di ricevimento all’assicuratore o, nelle ipotesi previste dall’art. 19, comma primo, lettere a) e b),
all’impresa designata a norma dell’art. 20 o all’Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del
“Fondo di garanzia per le vittime della strada”. Il danneggiato che, nell’ipotesi prevista dall’art. 19, comma
primo, lettera a), abbia fatto la richiesta all’impresa designata o all’istituto predetto, non è tenuto a rinnovare
la richiesta stessa qualora successivamente venga identificato l’assicuratore del responsabile.”
Per effetto delle modifiche apportate, prima, dall’articolo 1, D.L. 23 dicembre 1976, n.857 e poi
dall’articolo 126 del D.L.g.s. 17 marzo 1995, n. 175, il testo della norma aveva finito con il suonare:
2
•
“L’azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma
della presente legge vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta
giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’assicuratore il risarcimento del danno, a mezzo lettera
raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza o, nelle ipotesi previste dall’art. 19,
comma primo, lettere a) e b), all’impresa designata a norma dell’art. 20 o alla Consap - Concessionaria servizi
assicurativi pubblici S.p.A., gestione autonoma del “Fondo di garanzia per le vittime della strada”. Il
danneggiato che, nell’ipotesi prevista dall’art. 19, comma primo, lettera a), abbia fatto la richiesta all’impresa
designata o all’istituto predetto, non è tenuto a rinnovare la richiesta stessa qualora successivamente venga
identificato l’assicuratore del responsabile.”
L’art.3 del Decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857 convertito in l. 26 febbraio 1977, n.39, recante la
“Modifica della disciplina dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore e dei natanti” (c.d. “Miniriforma) disponeva:
“Per i sinistri con soli danni a cose, l’assicuratore, entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta di risarcimento
presentata secondo le modalità indicate nell’art. 22 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, alla quale deve essere
allegata copia del modulo di denuncia di cui all’art. 5, debitamente compilato, e che deve recare l’indicazione del luogo
e dei giorni e ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per l’ispezione diretta ad accertare l’entità del danno,
comunica al danneggiato la misura della somma offerta per il risarcimento ovvero indica i motivi per i quali non ritiene
di fare offerta.
Il termine di cui al precedente comma è ridotto a trenta giorni quando il modulo di denuncia del sinistro sia stato
sottoscritto da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro stesso.
Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offertagli, l’impresa deve provvedere al pagamento entro quindici
giorni dalla ricezione della comunicazione.
Entro ugual termine l’impresa deve corrispondere la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non
accettare l’offerta. La somma in tal modo corrisposta è imputata nella liquidazione definitiva del danno.
Decorsi trenta giorni dalla comunicazione senza che l’interessato abbia fatto pervenire alcuna risposta, l’impresa deve
corrispondere al danneggiato la somma offerta con le stesse modalità ed effetti.
Agli effetti dell’applicazione delle disposizioni di cui ai precedenti commi l’assicuratore non può opporre al
danneggiato l’eventuale inadempimento da parte dell’assicurato dell’obbligo di avviso del sinistro di cui all’art. 1913
del codice civile.
L’inosservanza dei termini prescritti nel presente articolo importa, oltre al pagamento degli interessi ed al risarcimento
di eventuali danni, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria in misura pari alla somma offerta dall’impresa ed in ogni
caso in misura non inferiore a lire centomila.
Per l’applicazione della sanzione pecuniaria si osservano le disposizioni della legge 24 dicembre 1975, n. 706. La
competenza per l’irrogazione delle sanzioni è degli uffici provinciali per l’industria, il commercio e l’artigianato che ne
versano l’importo all’Istituto nazionale delle assicurazioni, gestione autonoma del “Fondo di garanzia per le vittime
della strada”.
L’autorizzazione ad esercitare l’assicurazione della responsabilità civile per i danni causati dalla circolazione dei
veicoli a motore e dei natanti può essere revocata, oltre che nei casi previsti dall’art. 16 della legge 24 dicembre 1969,
n. 990, anche nel caso di ripetuta violazione da parte dell’impresa delle disposizioni stabilite dal presente articolo.”
Sul punto era poi intervenuta anche la legge n.57 del 2001 il cui art.5 (nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla legge n.273 del 2002) aveva disposto:
“1. I commi primo, secondo e terzo dell’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39, sono sostituiti dai seguenti:
“Per i sinistri con soli danni a cose la richiesta di risarcimento, presentata secondo le modalità indicate nell’articolo 22
della legge 24 dicembre 1969, n. 990, e successive modificazioni, deve essere corredata dalla denuncia secondo il
modulo di cui all’articolo 5 del presente decreto-legge e recare l’indicazione del luogo, dei giorni e delle ore in cui le
cose danneggiate sono disponibili per l’ispezione diretta ad accertare l’entità del danno. Entro sessanta giorni dalla
ricezione di tale documentazione, l’assicuratore formula al danneggiato congrua offerta per il risarcimento ovvero
comunica i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. Il termine di sessanta giorni è ridotto a trenta quando il modulo
di denuncia sia stato sottoscritto dai conducenti coinvolti nel sinistro. .
L’obbligo di proporre al danneggiato congrua offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare i motivi per
cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso. La
richiesta di risarcimento deve essere presentata dal danneggiato o dagli aventi diritto con le modalità indicate al primo
comma. La richiesta deve contenere la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro ed essere
accompagnata, ai fini dell’accertamento e della valutazione del danno da parte dell’impresa, dai dati relativi all’età,
all’attività del danneggiato, al suo reddito, all’entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante l’avvenuta
guarigione con o senza postumi permanenti o, in caso di decesso, dal certificato di morte. L’assicuratore è tenuto a
provvedere all’adempimento del predetto obbligo entro novanta giorni dalla ricezione di tale documentazione.
Il danneggiato non può rifiutare gli accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alla persona da
parte dell’impresa.
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L’assicuratore è tenuto al rispetto dei diversi termini stabiliti dai commi primo e secondo anche in caso di sinistro che
abbia determinato sia danni a cose che lesioni personali o il decesso.
In caso di richiesta incompleta, l’assicuratore, ove non possa per tale incompletezza formulare congrua offerta di
risarcimento, richiede al danneggiato entro trenta giorni dalla ricezione della stessa le necessarie integrazioni; in tal
caso i termini di cui ai commi primo e secondo decorrono nuovamente dalla data di ricezione dei dati o dei documenti
integrativi”.
2. In attesa di una disciplina organica sul danno biologico il risarcimento dei danni alla persona di lieve entità,
derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti avvenuti successivamente alla data
di entrata in vigore della presente legge, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti:
a) a titolo di danno biologico permanente è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al 9 per cento un importo
crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato
in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente di cui all’allegato A annesso
alla presente legge. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello 0,5 per
cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari a
seicentosettantaquattro euro e settantotto centesimi;
b) a titolo di danno biologico temporaneo è liquidato un importo di trentanove euro e trentasette centesimi per ogni
giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in
misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
3. Agli effetti di cui al comma 2, per danno biologico si intende la lesione all’integrità psicofisica della persona,
suscettibile di accertamento medico-legale. Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla
capacità di produzione di reddito del danneggiato.
4. L’ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 2 può essere aumentato dal giudice in misura non
superiore ad un quinto con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
5. Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il
Ministro dell’industria, del commercio e dell’artigianato, si provvede alla predisposizione di una specifica tabella delle
menomazioni alla integrità psicofisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità.
6. Gli importi indicati nel comma 2 sono aggiornati annualmente con decreto del Ministro delle attività produttive, in
misura corrispondente alla variazione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati
accertata dall’ISTAT.
7. L’ottavo comma dell’articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 857, convertito, con modificazioni, dalla legge
26 febbraio 1977, n. 39, è sostituito dai seguenti:
“L’inosservanza da parte dell’impresa assicuratrice dei termini prescritti dal presente articolo comporta:
a) in ordine alla omessa richiesta di integrazione della richiesta di risarcimento incompleta la sanzione pecuniaria da
lire un milione a lire tre milioni;
b) in ordine alla omessa formulazione dell’offerta, all’omessa comunicazione dei motivi della mancata offerta o
all’omessa corresponsione della somma offerta, che si protragga per oltre centoventi giorni dal termine utile finale:
1) la sanzione da lire dieci milioni a lire sessanta milioni, in relazione a danni a cose e lesioni guaribili entro quaranta
giorni;
2) la sanzione da lire quindici milioni a lire duecentoquaranta milioni, in relazione a danni a persone guaribili oltre
quaranta giorni o per il caso di morte.
La comunicazione dei motivi della mancata offerta effettuata entro centoventi giorni dalla scadenza del termine utile
comporta la sanzione da lire tre milioni a lire nove milioni. La formulazione dell’offerta o la corresponsione della stessa
effettuate entro centoventi giorni dalla scadenza del termine utile, comporta oltre al pagamento degli interessi,
l’applicazione delle seguenti sanzioni:
a) dal 5 al 10 per cento della somma offerta o pagata con un ritardo non superiore ai quindici giorni, con un limite
minimo di lire ottocentomila;
b) dal 10 al 20 per cento della somma offerta o pagata in ritardo, decorso ogni ulteriore periodo di ritardo di quindici
giorni, con un limite minimo di lire due milioni e un limite massimo rispettivamente di lire cinquanta milioni per sinistri
con danni a cose e lesioni a persone guaribili entro quaranta giorni e di lire duecento milioni per sinistri che abbiano
causato il decesso ovvero lesioni permanenti o guarite oltre i quaranta giorni dal sinistro.
Qualora l’impresa formuli l’offerta in ritardo, ma provveda contestualmente al pagamento della stessa, si applicano le
sanzioni di cui ai commi precedenti diminuite del 40 per cento.
L’offerta e il pagamento formulati in via transattiva o stragiudiziale, ma in ritardo rispetto ai tempi di cui al presente
articolo, sono soggette comunque alle sanzioni di cui ai commi ottavo, nono e decimo.
L’impresa che corrisponda compensi professionali per l’eventuale assistenza prestata da professionisti è tenuta ad
acquisire la documentazione probatoria relativa alla prestazione stessa e ad indicarne il corrispettivo separatamente
rispetto alle voci di danno nella quietanza di liquidazione. Ove l’impresa abbia provveduto direttamente al pagamento
dei compensi dovuti al professionista, deve darne comunicazione al danneggiato, indicando l’importo corrisposto”.
Tutte le norme sopra citate sono state abrogate, con decorrenza 1.1.2006, dall’art.354 del Codice
delle assicurazioni, che ha dettato in materia apposita disciplina con l’art.145.
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2.2. I principi consolidati con riferimento all’art.22 della legge 990/1969.
Giova un sintetico riepilogo dei principi elaborati in progresso di tempo da giurisprudenza e dottrina
con riferimento al testo del previgente art.22.
Si riteneva che la richiesta in questione avesse la funzione di costituire in mora l’assicuratore, una
volta decorso il termine previsto dalla legge, e perseguisse altresì l’obiettivo di facilitare le
procedure di risarcimento, circoscrivere il contenzioso e diminuire il costo di gestione dei sinistri.
L’art.22 si limitava a prescrivere il requisito formale dell’invio della richiesta con lettera
raccomandata r.r., di cui peraltro non predeterminava il contenuto.
Pertanto la giurisprudenza soleva ritenere che il danneggiato non avesse il dovere di procedere ad
una indicazione analitica e dettagliata dei danni e della somma richiesta, potendosi invece limitare al
riferimento identificativo del sinistro e all’individuazione degli elementi utili a consentire
all’assicuratore il controllo della copertura da parte sua del rischio r.c.a. de quo.
Si riteneva che l’onere prescritto dalla norma codificasse una condizione di proponibilità della
domanda, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, non solo relativamente all’azione
diretta nei confronti dell’assicuratore r.c.a. ma anche rispetto alle normali azioni risarcitorie
ordinarie ex art.2043 o 2054 c.c. autonomamente proposte nei confronti del soggetto responsabile del
danno (conducente o proprietario).
In conseguenza, del tutto pacificamente, veniva ritenuta improponibile l’azione esercitata nei
confronti del proprietario o conducente del veicolo investitore quando non fosse stata preceduta
dall’invio della lettera raccomandata ex art.22 all’assicuratore del responsabile e dall’attesa dello
spatium deliberandi.
Vertendosi in materia di condizione dell’azione, la sua mancanza era soggetta a rilievo officioso,
salva solo la preclusione del giudicato (anche se la giurisprudenza più recente tendeva a ritenere
necessaria la preventiva provocazione del contraddittorio ai sensi dell’art.183 c.p.c.).
La dichiarazione di improponibilità della domanda giudiziale non escludeva, ovviamente, dal punto
di vista processuale, la riproposizione dell’azione in separato giudizio e comunque, dal punto di vista
sostanziale, l’effetto interruttivo del decorso prescrizionale.
L’onere della richiesta valeva anche per i trasportati, indipendentemente dal carattere contrattuale o
extracontrattuale dell’azione, anche con riferimento al trasporto su mezzi pubblici.
Al contrario, l’assicuratore che agiva in surroga ex art.1916 c.c. non aveva necessità di far precedere
la propria azione dall’invio della lettera, potendosi viceversa avvalere degli effetti dell’intimazione a
suo tempo rivolta dal soggetto nella cui posizione giuridica è subentrato.
Dopo un aspro dibattito in giurisprudenza era prevalsa l’opinione che l’invio della lettera
raccomandata fosse necessario anche per la proposizione della domanda riconvenzionale, nonché per
la proposizione di una estensione di domanda da parte dell’attore originario verso i terzi chiamati in
causa.
Si riteneva invece che dall’espletamento dell’onere fosse esentato:
• il danneggiato che versasse in situazione di impossibilità di acquisire il nominativo
dell’assicuratore (ipotesi ricorrente in cui il danneggiato non sia in condizione di rilevare
immediatamente i dati per l’identificazione dell’assicuratore r.c.a. e l’assicurato non risponda
alla richiesta in tal senso rivoltagli con lettera racc.ta.);
• il corresponsabile, condannato in solido, per agire in regresso;
• in caso di riassunzione di un procedimento interrotto;
• in caso di richiesta di provvedimenti cautelari o di istruzione preventiva;
• per la costituzione di parte civile nel processo penale.
L’invio della lettera veniva ritenuto un atto giuridico in senso stretto (non negoziale), pertanto
suscettibile di essere posto in essere anche da un legale sfornito di procura
La richiesta andava inoltrata alla sede legale della compagnia assicuratrice, ovvero anche all’agenzia
presso la quale risultava stipulato il contratto, pur se erano state adottate anche interpretazioni
decisamente più liberali che ammettevano la proposizione della richiesta al locale ispettorato sinistri
o ad un ufficio periferico dell’assicuratore.
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Nonostante che la legge prescrivesse la forma della lettera raccomandata r.r., si riteneva che la
mancanza dell’avviso di ricevimento non impedisse la produzione dell’effetto se l’assicuratore non
contestava l’avvenuto ricevimento.
Era stata ritenuta equipollente ogni comunicazione scritta, che constasse con data certa e da cui
risultasse la richiesta di indennizzo all’assicuratore; pertanto anche atti scritti di differente contenuto,
poi seguiti dallo svolgimento di trattative od offerte, erano stati ritenuti di effetto equipollente al
rituale rispetto del requisito legale.
Non così l’atto di citazione, anche se accompagnato da congrua dilazione attraverso l’uso del
termine a comparire, essendo così ormai vanificato lo scopo perseguito dal legislatore.
2.3. La nuova disciplina della proponibilità contenuta nel Codice delle assicurazioni.
L’art.145 del Codice delle assicurazioni in tema di “Proponibilità dell’azione di risarcimento”
invece prevede:
“1. Nel caso si applichi la procedura di cui all’articolo 148, l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla
circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano
decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia
chiesto all’impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento,
anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all’articolo 148.
2. Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all’articolo 149 l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla
circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano
decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia
chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di
ricevimento, inviata per conoscenza all’impresa di assicurazione dell’altro veicolo coinvolto, avendo osservato le
modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150.”
L’art.148, come emendato da ultimo dal 7° comma dell’art.1 del d.lgs.6.11.2007 n.198, così dispone:
“1. Per i sinistri con soli danni a cose, la richiesta di risarcimento, presentata secondo le modalità indicate nell’articolo
145, deve essere corredata dalla denuncia secondo il modulo di cui all’ articolo 143 e recare l’indicazione del codice
fiscale degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili
per l’ispezione diretta ad accertare l’entità del danno. Entro sessanta giorni dalla ricezione di tale documentazione,
l’impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento ovvero comunica
specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. Il termine di sessanta giorni è ridotto a trenta quando il
modulo di denuncia sia stato sottoscritto dai conducenti coinvolti nel sinistro.
2. L’obbligo di proporre al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare
i motivi per cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il
decesso. La richiesta di risarcimento deve essere presentata dal danneggiato o dagli aventi diritto con le modalità
indicate al comma 1. La richiesta deve contenere l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e la
descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro ed essere accompagnata, ai fini dell’accertamento e
della valutazione del danno da parte dell’impresa, dai dati relativi all’età, all’attività del danneggiato, al suo reddito,
all’entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi
permanenti, nonché dalla dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia
della vittima. L’impresa di assicurazione è tenuta a provvedere all’adempimento del predetto obbligo entro novanta
giorni dalla ricezione di tale documentazione.
3. Il danneggiato, pendenti i termini di cui al comma 2 e fatto salvo quanto stabilito al comma 5, non può rifiutare gli
accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alla persona da parte dell’impresa. Qualora ciò accada,
i termini di cui al comma 2 sono sospesi.
4. L’impresa di assicurazione può richiedere ai competenti organi di polizia le informazioni acquisite relativamente alle
modalità dell’incidente, alla residenza e al domicilio delle parti e alla targa di immatricolazione o altro analogo segno
distintivo, ma è tenuta al rispetto dei termini stabiliti dai commi 1 e 2 anche in caso di sinistro che abbia determinato sia
danni a cose che lesioni personali o il decesso.5. In caso di richiesta incompleta l’impresa di assicurazione richiede al
danneggiato entro trenta giorni dalla ricezione della stessa le necessarie integrazioni; in tal caso i termini di cui ai
commi 1 e 2 decorrono nuovamente dalla data di ricezione dei dati o dei documenti integrativi.
6. Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offertagli, l’impresa provvede al pagamento entro quindici giorni
dalla ricezione della comunicazione.
7. Entro ugual termine l’impresa corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non accettare
l’offerta. La somma in tal modo corrisposta è imputata nella liquidazione definitiva del danno.8. Decorsi trenta giorni
dalla comunicazione senza che l’interessato abbia fatto pervenire alcuna risposta, l’impresa corrisponde al danneggiato
la somma offerta con le stesse modalità, tempi ed effetti di cui al comma 7. 9. Agli effetti dell’applicazione delle
disposizioni di cui al presente articolo, l’impresa di assicurazione non può opporre al danneggiato l’eventuale
inadempimento da parte dell’assicurato dell’obbligo di avviso del sinistro di cui all’articolo 1913 del codice civile.
6
10. In caso di sentenza a favore del danneggiato, quando la somma offerta ai sensi dei commi 1 o 2 sia inferiore alla
metà di quella liquidata, al netto di eventuale rivalutazione ed interessi, il giudice trasmette, contestualmente al deposito
in cancelleria, copia della sentenza all’ISVAP per gli accertamenti relativi all’osservanza delle disposizioni del presente
capo.
11. L’impresa, quando corrisponde compensi professionali per l’eventuale assistenza prestata da professionisti, è tenuta
a richiedere la documentazione probatoria relativa alla prestazione stessa e ad indicarne il corrispettivo separatamente
rispetto alle voci di danno nella quietanza di liquidazione. L’impresa, che abbia provveduto direttamente al pagamento
dei compensi dovuti al professionista, ne dà comunicazione al danneggiato, indicando l’importo corrisposto.”
Ne consegue che in caso di procedura ordinaria la lettera raccomandata deve essere accompagnata
dalla denuncia redatta secondo il modulo di cui all’articolo 143 (approvato dall’ISVAP e fornito
dalla impresa di assicurazione ai propri assicurati) e recare:
• l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e
delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per l’ispezione diretta ad accertare
l’entità del danno (quanto ai danni a cose),
• l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e la descrizione delle
circostanze nelle quali si è verificato il sinistro, nonché, ai fini dell’accertamento e della
valutazione del danno da parte dell’impresa, l’indicazione dei dati relativi all’età, all’attività
del danneggiato, al suo reddito, all’entità delle lesioni subite, l’attestazione medica
comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti, nonché la
dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, o, in caso di decesso, lo stato di famiglia
della vittima (in caso di danni alle persone).
Invece, nel caso di applicabilità della procedura di risarcimento diretto, la richiesta di cui all’art.145
deve essere rivolta alla propria compagnia assicuratrice.
Le caratteristiche formali e contenutistiche di tale richiesta sono state elencate negli artt. 5 e 6 del
Regolamento 18.7.2006 n.254, emanato in attuazione della delega prevista dall’art.150 del Codice.
L’art.5, in tema di “Modalità della richiesta di risarcimento”, dispone:
“1. Il danneggiato che si ritiene non responsabile, in tutto o in parte, del sinistro rivolge la richiesta di risarcimento
all’impresa che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato.
2. La richiesta è presentata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o con consegna a mano o a mezzo
telegramma o telefax o in via telematica, salvo che nel contratto sia esplicitamente esclusa tale ultima forma di
presentazione della richiesta di risarcimento.
3. L’impresa che ha ricevuto la richiesta ne dà immediata comunicazione all’impresa dell’assicurato ritenuto in tutto o
in parte responsabile del sinistro, fornendo le sole informazioni necessarie per la verifica della copertura assicurativa e
per l’accertamento delle modalità di accadimento del sinistro.”
L’art.6, in tema di “Contenuto della richiesta”, dispone :
“1. Nell’ipotesi di danni al veicolo e alle cose, la richiesta di risarcimento contiene i seguenti elementi:
a) i nomi degli assicurati;
b) le targhe dei due veicoli coinvolti;
c) la denominazione delle rispettive imprese;
d) la descrizione delle circostanze e delle modalità del sinistro;
e) le generalità di eventuali testimoni;
f) l’indicazione dell’eventuale intervento degli Organi di polizia;
g) il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per la perizia diretta ad accertare l’entità del
danno.
2. Nell’ipotesi di lesioni subite dai conducenti, la richiesta indica, inoltre:
a) l’età, l’attività e il reddito del danneggiato;
b) l’entità delle lesioni subite;
c) la dichiarazione di cui all’articolo 142 del codice circa la spettanza o meno di prestazioni da parte di istituti che
gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie;
d) l’attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione, con o senza postumi permanenti;
e) l’eventuale consulenza medico-legale di parte, corredata dall’indicazione del compenso spettante al professionista.”
I tempi di spatium deliberandi derivanti dall’applicazione del Codice delle assicurazioni sono i
seguenti:
• per agire contro l’impresa assicuratrice in bonis 60 giorni per i soli danni a cose e 90 giorni
per i danni alla persona;
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•
•
per agire contro l’impresa designata (in caso di sinistro causato da veicolo sconosciuto, non
assicurato, o circolante prohibente domino) comunque 60 giorni, a causa del mancato
coordinamento dell’art.287 del Codice;
per agire contro l’impresa designata nel caso di sinistro causato da veicolo assicurato presso
impresa in l.c.a. comunque 6 mesi.
2.4. Le principali linee di modificazione del sistema.
In dottrina è stato messo in luce che le formalità richieste dal Codice delle assicurazioni per la
proponibilità dell’azione di risarcimento danni da incidente stradale agli artt. 145 e 148, che pure
riproducono, in linea di massima, quelle previste dal d.l. 857 del 1976 e dalla legge n. 57/2001,
relativa alla procedura rapida di risarcimento, hanno determinato un rilevante e complessivo
mutamento della situazione normativa.
Si sostiene infatti che mentre nel sistema previgente il danneggiato poteva, osservando le formalità
di legge previste per la richiesta di risarcimento, accedere alla procedura rapida di risarcimento ma
l’inosservanza dei requisiti richiesti dalla predetta legge per la formulazione della richiesta non
incideva sull’azionabilità della pretesa risarcitoria in sede giudiziale, che era vincolata unicamente al
decorso dello spatium deliberandi dall’invio della raccomandata prevista dall’art. 22 della legge n.
990/69, l’attuale normativa ha invece convertito in obbligo di legge per la proponibilità dell’azione
giudiziale di risarcimento ciò che prima era un semplice onere, che valeva solamente a rendere
operante la procedura rapida di risarcimento.
Pertanto, al fine di azionare la procedura di risarcimento del danno, l’attore deve ora inviare
all’assicuratore una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno con l’indicazione dei requisiti
richiesti dall’art. 148.
Prima invece per proporre l’azione giudiziale, era sufficiente l’invio della raccomandata e
l’osservanza dello spatium deliberandi in ossequio a quanto previsto dall’art. 22 della legge n.
990/69, che subordinava appunto l’esercizio dell’azione giudiziale solo a tali condizioni
(configuranti condizioni di proponibilità dell’azione giudiziale).
E’ stato pertanto ritenuto che nella situazione conseguente all’emanazione delle norme contenute nel
Codice delle assicurazioni le condizioni di proponibilità dell’azione giudiziale siano divenute più
penetranti ed onerose, perché, oltre alla lettera di richiesta e all’osservanza dello spatium
deliberandi, si richiedono ora anche la trasmissione per iscritto all’impresa assicuratrice di tutti gli
altri elementi indicati nell’art 148, in mancanza dei quali l’azione giudiziale diventa improponibile: e
ciò in dipendenza del disposto dell’art. 145, che subordina la proponibilità dell’azione di
risarcimento all’invio della lettera di richiesta ed al decorrere dello spatium deliberandi, “...avendo
osservate le modalità ed i contenuti previsti dall’art.148” i cui requisiti sarebbero così richiamati
per relationem.
2.5. Il primo orientamento della giurisprudenza: critica.
L’orientamento iniziale della giurisprudenza (per vero, al momento ancora assai esigua) sembra
improntato a un atteggiamento assai rigoroso e restrittivo, volto a sanzionare con la bolla di
improponibilità l’azione esercitata senza una preventiva richiesta stragiudiziale perfettamente
conforme ai requisiti prescritti dall’art.148 del Codice.
Lo sforzo motivazionale più accurato tra le primissime decisioni si rinviene in una pronuncia del
Tribunale di Torino (del 17.10.2007) in cui viene affermato che le omissioni riscontrate nella
richiesta stragiudiziale costituiscono carenze di un atto formale tipico, contemplato dall’ordinamento
quale condizione di proponibilità della domanda, ed in quanto tale sottratto alla disciplina di cui al 2°
e 3° comma dell’art.156 c.p.c. (relativa all’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo sia quale
parametro di commisurazione della validità, sia quale causa di sanatoria degli atti), riguardante i soli
atti processuali.
Tale interpretazione non sembra peraltro pienamente condivisibile.
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Da un lato, occorre pur sempre tener presente che la richiesta di risarcimento non è mai stata ritenuta
un atto negoziale, ma semmai un atto giuridico in senso stretto, soggetto alle regole dettate per i
contratti solo attraverso la “passerella” di cui all’art.1324 c.c. (Cass.15.5.1980 n.3206;
Cass.9.2.2000 n.1444).
In secondo luogo, il canone dell’interpretazione teleologica delle disposizioni normative costituisce
un principio generale dell’ordinamento valido anche nell’ambito del diritto civile (cfr ad esempio
art.1367, 1424, 1432 c.c.).
In terzo luogo, occorre tener ben presente che si verte proprio in tema di disposizioni dettate dal
Legislatore per regolare lo svolgimento di un vero e proprio procedimento pre-giurisdizionale,
volto a far conseguire in via stragiudiziale il risarcimento del danno coperto dalla legge
sull’assicurazione obbligatoria, sicché la presenza di un complesso sequenziale di atti preordinati ad
un risultato finale (la definizione stragiudiziale della potenziale controversia o quantomeno la
formulazione di una congrua offerta risarcitoria) suggerisce la plausibilità del ricorso alla regola
generale della ricerca della funzione sistematica dell’atto, che trova la sua più completa
trasposizione normativa nelle regole processuali dell’art.156 c.p.c.
Non potrebbe ritenersi per tal via nullo o inefficace un atto inserito in una sequenza procedimentale
che, pur essendo difforme dal modello normativo, risulti comunque idoneo al conseguimento del suo
scopo oppure nel caso in cui lo scopo perseguito dalla norma sia stato comunque conseguito.
La giurisprudenza di legittimità, per esempio, non ha mai dubitato che l’avviso di ricevimento, pur
prescritto anche dal vecchio art.22, fosse surrogabile dalla prova aliunde fornita o dal carattere
pacifico del ricevimento della lettera raccomandata.
Ad esempio:
•
•
•
•
“In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a
motore e dei natanti, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 22 della l. 24 dicembre 1969 n. 990, anche
quando l’azione sia proposta soltanto contro il responsabile civile, di richiedere il risarcimento
all’assicuratore almeno sessanta giorni prima di proporre la relativa azione giudiziaria può essere assolto
anche con mezzi diversi dalla raccomandata con avviso di ricevimento prevista dalla citata norma, purché sia
raggiunta la certezza che la richiesta sia pervenuta all’assicuratore nel termine suddetto e pertanto, qualora la
richiesta all’assicuratore sia stata rivolta con raccomandata semplice, spetta al danneggiato la prova, con ogni
mezzo e quindi anche con presunzioni rispondenti ai requisiti prescritti dagli art. 2727 e ss. c.c., che la
richiesta sia pervenuta all’assicuratore nel termine di sessanta giorni prima della domanda.”(Cassazione
civile, sez. I, 19 maggio 1983, n. 3455);
“In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli a
motore, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 22 l. 24 dicembre 1969 n. 990 della preventiva richiesta di
risarcimento all’assicuratore non è rigidamente vincolato circa la comunicazione di siffatta richiesta alla
forma normativamente prevista, essendo ammissibili atti equipollenti idonei al soddisfacimento dello scopo
perseguito dalla norma citata di evitare premature e dispendiose domande giudiziali, come quando sia
intercorsa corrispondenza fra le parti o siano state condotte trattative per la liquidazione del danno e risulti
rispettato il termine di sessanta giorni per la proposizione della domanda previsto dal citato
articolo.”(Cassazione civile, sez. III, 25 gennaio 1995, n. 844);
2In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a
motore e dei natanti, l’onere imposto al danneggiato dall’art. 22 della l. 24 dicembre 1969 n. 990 di richiedere
il risarcimento del danno all’assicuratore almeno sessanta giorni prima di proporre la relativa azione
giudiziaria non è rigidamente vincolato, circa la comunicazione di tale richiesta, alla forma normativamente
prevista (lettera raccomandata),essendo ammissibili atti equipollenti idonei al soddisfacimento dello scopo
perseguito dalla norma citata di evitare premature e dispendiose domande giudiziali, come quando sia
intercorsa corrispondenza fra le parti o siano state condotte trattative per la liquidazione del danno e risulti
rispettato il termine di sessanta giorni da detti eventi prima dell’inizio del giudizio risarcitorio.”(Cassazione
civile, sez. III, 4 febbraio 1987, n. 1060; conforme: Cassazione civile, sez. III, 16 ottobre 1986, n. 6068);
“Ai fini di cui all’art. 22 l. 24 dicembre 1969, n. 990, la richiesta di risarcimento dei danni può utilmente
risultare, per la proponibilità della domanda, anche da ogni altro atto, diverso dalla raccomandata r.r., che
“ex se” fornisca non soltanto identiche, ma superiori garanzie di certezza dell’intervenuta comunicazione. Va
pertanto considerato equipollente il ricorso per istruzione preventiva, notificato pure all’assicuratore, dal
quale risulti la volontà attuale del danneggiato di richiedere il risarcimento del danno.”(Cassazione civile, sez.
I, 8 agosto 1978, n. 3855).
Il criterio del conseguimento dello scopo è stato applicato dalla giurisprudenza con riferimento alla
surrogabilità di requisiti formali prescritti con riferimento a procedimenti di carattere stragiudiziale:
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a) in materia di procedimento disciplinare nei confronti di notai o avvocati:
•
•
•
•
“Nel procedimento disciplinare a carico del notaio, le modalità di comunicazione dell’avviso contenente
l’indicazione dell’addebito, a norma dell’art. 267, rd. 10 settembre 1914 n. 1326, non è imposta a pena di
nullità; l’irregolarità della predetta comunicazione è, in ogni caso sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c.,
richiamato dall’art. 157 l. 16 febbraio 1913 n. 89, dalla prova che l’atto ha raggiunto lo scopo.”(Cassazione
civile, sez. III, 22 maggio 2006, n. 11938
“In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, il termine di trenta giorni previsto dall’art.
56 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 per la notifica all’interessato della decisione del Consiglio nazionale
forense, ha natura ordinatoria e non perentoria, e ciò in mancanza di un’espressa qualificazione nel senso
della perentorietà da parte della legge, nè detta qualificazione essendo desumibile dallo scopo di tale
termine e dalla funzione cui esso assolve, atteso che il termine in questione ha la funzione di consentire
agli interessati ed al p.m. di proporre il ricorso per cassazione previsto dal comma 3 dello stesso art.
56, e quindi persegue uno scopo meramente sollecitatorio dello svolgimento del processo. È pertanto da
escludere che il superamento del detto termine determini la nullità della decisione notificata.”(Cassazione
civile, sez. un., 23 dicembre 2004, n. 23832);
“È manifestamente infondata la q.l.c. dell’art. 66 del r.d. n. 37 del 1934 - secondo cui il consiglio
dell’ordine cui sia stato notificato il ricorso per cassazione può far pervenire le sue deduzioni nei venti
giorni successivi nella cancelleria della Corte - in relazione agli art. 3 e 24 cost. e in riferimento all’art. 370
c.p.c.; si tratta infatti di una scelta discrezionale del legislatore giustificata dalle peculiarità del
procedimento disciplinare a carico di avvocati e procuratori e che non lede il diritto di difesa, potendo il
difensore del ricorrente venire a conoscenza delle deduzioni eventualmente depositate e replicare. In tema
di procedimento disciplinare a carico di avvocati, il consiglio dell’ordine non può ritenersi regolarmente
costituito non solo quando, come previsto dall’art. 43 r.d. n. 37 del 1934, non sia presente almeno la
metà del numero complessivo dei componenti, ma anche quando, pur essendo la deliberazione adottata
con la maggioranza prescritta dalla legge, il collegio si sia costituito senza che tutti i componenti siano
stati preavvertiti; poiché la
legge professionale non impone forme particolari di convocazione
riguardando l’art. 46 del r. d. n. 37 del 1934 soltanto la citazione di persone estranee al collegio, qual
l’incolpato e i testimoni - deve ritenersi regolare la convocazione eseguita con qualsiasi mezzo idoneo al
conseguimento dello scopo e quindi anche a mezzo fax o telefono.”(Cassazione civile, sez. un., 25 maggio
2001, n. 218);
“Nel procedimento disciplinare a carico del notaio, la modalità di comunicazione dell’avviso contenente
l’indicazione precisa dell’addebito non è imposta a pena di nullità e l’irregolarità della comunicazione
è sanata dalla prova che l’atto ha raggiunto lo scopo.”(Cassazione civile, sez. III, 4 novembre 1997, n.
10800);
b) in materia di procedimento disciplinare contro il lavoratore subordinato o il pubblico dipendente
•
•
•
•
“In tema di sanzioni disciplinari riferibili al rapporto di lavoro privato, premesso che la contestazione
dell’addebito ha lo scopo di fornire al lavoratore la possibilità di difendersi, la specificità della contestazione
sussiste quando sono fornite le indicazioni necessarie ad individuare nella sua materialità il fatto nel quale il
datore di lavoro abbia ravvisato la sussistenza di infrazioni disciplinari.”(Cassazione civile, sez. lav., 23
agosto 2006, n. 18377);
“La previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione di tutte le sanzioni disciplinari, ha lo scopo di
consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità,
che é integrato quando
sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua
materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque
comportamenti in violazione dei doveri di cui agli art. 2104 e 2105 c.c.. L’accertamento relativo al requisito
della specificità della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di
legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito. (Nella specie, la
S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva motivatamente riscontrato nella lettera di contestazione
una esposizione troppo generica di comportamenti qualificati negativamente, senza una concreta indicazione
degli stessi, che consentisse al lavoratore di difendersi adeguatamente).”(Cassazione civile, sez. lav., 30 marzo
2006, n. 7546);
“Il termine di venti giorni tra conoscenza del fatto e contestazione dell’addebito, previsto dall’art. 27,
comma 2, del contratto collettivo del comparto enti pubblici non economici del 6 luglio 1995, non è
perentorio, atteso che la natura dei termini contrattualmente previsti per lo svolgimento del
procedimento disciplinare deve essere definita con riguardo allo scopo che essi perseguono nella
prospettiva di un’inderogabile garanzia della necessaria legittimità di tutto il procedimento, con la
conseguenza che il carattere della perentorietà non é rinvenibile in tutti i termini che ne cadenzano
l’andamento, ma solo nel termine stabilito per la conclusione del procedimento.”(Cassazione civile, sez. lav.,
13 aprile 2005, n. 7601);
“Ai fini del rispetto del termine libero di cinque giorni, previsto dall’art. 7, comma 5, l. n. 300 del 1970 allo
scopo di consentire al lavoratore di far pervenire le sue giustificazioni a seguito della contestazione per
10
•
iscritto dell’addebito disciplinare, non rileva il momento in cui si sia formato nel datore di lavoro il
proposito di licenziare il dipendente, ma quello dell’esternazione del relativo atto. Ne consegue che nelle
imprese aventi natura societaria non determina l’invalidità del licenziamento la circostanza che la
deliberazione del consiglio di amministrazione sia intervenuta prima del decorso del termine, se l’organo
competente per l’adozione
dell’atto con rilevanza esterna abbia provveduto dopo il decorso del
medesimo.”(Cassazione civile, sez. lav., 18 giugno 2002, n. 8853);
“La contestazione degli addebiti, di cui al comma 2 art. 7 l. n. 300 del 1970, avendo nel contesto del
procedimento disciplinare regolato dal cit. art. 7 l. n. 300 del 1970, lo scopo di consentire al lavoratore
un’immediata ed efficace difesa, deve rivestire il carattere della specificità, ossia contenere la
esposizione chiara e puntuale dei dati e degli aspetti essenziali del fatto nella sua materialità. (Nella
specie la S.C. ha ritenuto non satisfattiva dei richiamati requisiti di specificità la contestazione al lavoratore
di aver tenuto, in una determinata circostanza, un atteggiamento irrispettoso nei confronti dei superiori
gerarchici, non costituendo l’aggettivo “irrispettoso” un fatto determinato, ma solo una qualificazione
di un fatto che presuppone la individuazione di questo e la sua valutazione, qualificazione destinata poi ad
essere soggetta all’eventuale controllo successivo del giudice per l’accertamento della sua conformità al
vero, al fine di derivarne le conseguenze di legge).”(Cassazione civile, sez. lav., 28 marzo 1996, n. 2791);
c) in materia di procedimento tributario,
•
“La natura sostanziale e non processuale (nè assimilabile a quella processuale) dell’avviso di accertamento
tributario - che costituisce un atto amministrativo autoritativo attraverso il quale l’amministrazione enuncia le
ragioni della pretesa tributaria - non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale,
soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria. Pertanto, l’applicazione,
per l’avviso di accertamento, in virtù dell’art. 60 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, delle norme sulle
notificazioni nel processo civile comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle
sanatorie per quel dettato, con la conseguenza che la proposizione del ricorso del contribuente produce
l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo
dell’atto, ex art. 156 c.p.c. Tuttavia, tale sanatoria può operare soltanto se il conseguimento dello scopo
avvenga prima della scadenza del termine di decadenza - previsto dalle singole leggi d’imposta - per l’esercizio
del potere di accertamento.”(Cassazione civile, sez. un., 5 ottobre 2004, n. 19854);
d) in materia di procedimento di convocazione dell’assemblea di condominio
•
•
“Poiché l’art. 1136 c.c. non prescrive particolari modalità di notifica ai condomini dell’avviso di
convocazione per la regolarità delle relative assemblee, la comunicazione può essere data con qualsiasi forma
idonea al raggiungimento dello scopo, e può essere provata da univoci elementi dai quali risulti, anche in via
presuntiva, che il condominio ha, in concreto, ricevuta la notizia della convocazione (Nella specie, il giudice
del merito - la cui decisione è stata confermata dalla S.C. in base all’enunciato principio - aveva considerato
raggiunta detta prova alla stregua della dimostrata spedizione della raccomandata contenente l’avviso di
convocazione attraverso il tempestivo inserimento del relativo avviso nella casella intestata al condomino
destinatario, integrata dalla presunzione che lo stesso destinatario controllasse assiduamente la presenza al
suo interno di corrispondenza a lui diretta)”(Cassazione civile, sez. II, 3 febbraio 1999, n. 875);
“La comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea dei condomini può essere data con qualsiasi
forma idonea al raggiungimento dello scopo e può essere provata anche da univoci elementi dai quali risulti
che il condominio ha, in concreto, ricevuta la notizia (nella specie, si è ritenuta sufficiente la prova desumibile
da un foglio nel quale risultava apposta la firma dei condomini per “ricevuta convocazione assemblea
condominiale del 25-26 febbraio 1988”).”(Cassazione civile, sez. II, 28 gennaio 1995, n. 1033)
Ed ancora :
“La sanatoria degli atti per raggiungimento dello scopo costituisce espressione di un principio di ordine generale
applicabile sia agli atti processuali, per i quali è stato codificato, sia, in mancanza di impedimenti di carattere
normativo o logico sistematico, a quegli atti di natura sostanziale che, come gli atti di imposizione fiscale, per avere
efficacia e consentire all’interessato l’impugnazione in sede giudiziaria, devono essere notificati. Quanto agli atti
impositivi, in particolare, il principio trova applicazione sia che la nullità attenga alla notificazione dell’atto, sia che
essa discenda dalla mancata o insufficiente indicazione del soggetto che lo ha emesso. Ne consegue che le nullità che
traggano origine dalla mancata o inesatta indicazione del soggetto che ha emanato l’atto impositivo, che siano tali da
indurre in errore circa la sua provenienza, sono sanate, per conseguimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dalla
proposizione del ricorso nei confronti del soggetto che lo ha formato, legittimato a contraddire. (Fattispecie relativa ad
avviso di accertamento della t.o.s.a.p.). L’applicazione del regime di sanatoria previsto dalla legge processuale civile
non può essere mera conseguenza della supposta natura pre - processuale o quasi - processuale dell’accertamento
tributario, così come è da escludere, per converso, che la natura sostanziale di quell’atto costituisca ostacolo
insormontabile all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso
richiamo di essi nella disciplina tributaria; e, piuttosto, nonostante l’avviso di accertamento sia atto amministrativo
autoritativo e strumento attraverso il quale - in ossequio ai principi di tipicità e nominatività - l’amministrazione
enuncia nei confronti del destinatario ciò che deve essere per lui di diritto nel caso concreto, il rinvio alle (e
l’applicazione delle) forme sulla notificazione processuale comporta, quale necessità logica, la soggezione al regime
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della nullità della notificazione nel processo ed a quello - che costituisce una sorta di limite alla dichiarazione di nullità
- delle relative sanatorie, non essendovi alcun principio o ragione sistematica per ritenere che, in materia di
notificazione di atti di accertamento (pur regolata dal codice di procedura civile) viga un regime diverso; con la
conseguenza che la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento tributario può essere sanata per
raggiungimento dello scopo e per effetto della proposizione della impugnativa - testimonianza, questa, del
conseguimento della finalità dell’atto di portare a conoscenza del destinatario i termini della pretesa tributaria e
consentirgli, cosi, un’adeguata difesa -, ma non mai nel senso di attribuire “ex tunc” validità ad un intempestivo atto di
esercizio del potere di accertamento, salvo che il conseguimento dello scopo avvenga entro il termine previsto dalle
singole leggi d’imposta per l’esercizio di tale potere; in caso contrario, infine, poiché la decadenza
dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento non produce l’inesistenza degli atti impositivi
successivamente emanati e non è rilevabile d’ufficio, il contribuente ha l’onere di dedurla come specifico motivo di
ricorso, e, quindi solo se quell’onere sia stato prudenzialmente assolto, l’impugnativa non svolgerà effetto sanante nei
confronti di detto peculiare vizio.”(Cassazione civile, sez. un., 5 ottobre 2004, n. 19854; conf.Cassazione civile, sez.
trib., 12 aprile 2005, n. 7498).
D’altro canto apparirebbe invero paradossale che una normativa volta (ex art.4, lettera b) della legge
delega 229 del 2003) alla “tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli, sotto il
profilo della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonché dell’informativa preliminare,
contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla correttezza dei
messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di
tale servizio”, possa condurre, per effetto di un eccessivo rigore formalistico, alla sanzione di
improponibilità di azioni conseguenti a richieste risarcitorie non formulate nel rispetto dei requisiti
di contenuto astrattamente previsti e tuttavia perfettamente idonee a raggiungere il loro scopo, che è
pur sempre quello di consentire all’impresa interessata di valutare la richiesta e di pronunciarsi in
merito.
Una parte della dottrina, che sembra meritevole di consenso, ritiene che occorra semplicemente
verificare se il contenuto della lettera di richiesta contenga gli elementi indispensabili per consentire
all’assicuratore, mediante l’impiego della debita diligenza professionale, una adeguata valutazione
della pretesa risarcitoria con essa avanzata.
Per esempio:
• l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento non pare un requisito
indispensabile se nel contesto della richiesta siano stati forniti tutti i dati personali degli
interessati, da cui sia possibile desumere con la procedura automatica facilmente disponibile
l’elaborazione dei rispettivi codici;
• a maggior ragione – e tale assunto è stato poco persuasivamente negato in giurisprudenza –
la mancata indicazione del codice fiscale non rileva se l’impresa assicuratrice ritiene di non
voler formulare un’offerta risarcitoria, neppur minima, per non essere a suo giudizio
impegnata, neppure in parte, la responsabilità dell’assicurato;
• quanto all’indicazione del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono
disponibili per l’ispezione diretta ad accertare l’entità del danno, poiché al proposito è
ancora vigente l’art.9 del d.p.r. n.45 del 16.1.1981 che presuppone la persistente esistenza e
disponibilità delle cose medesime in capo al richiedente,il requisito è ben surrogabile
dall’indicazione delle ragioni che determinano l’impossibilità dell’esame;
• le indicazioni relative al reddito del danneggiato sono del tutto inutili se il danneggiato non
richiede il risarcimento di voci di danno patrimoniale (per inabilità temporanea o
permanente);
• l’attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione, con o senza postumi permanenti,
non sembra indispensabile nei casi in cui la stabilizzazione dei postumi non sia ancora
avvenuta (il che può verificarsi a distanza anche di anni), ovvero nell’ipotesi di un modesto
danno alla persona di carattere temporaneo in cui la guarigione risulti implicitamente dalla
durata della prognosi formulata senza ulteriori indicazioni;
• l’utilizzo per la denuncia di sinistro del modulo ministeriale non sembra una forma
insuscettibile di equipollenti nel caso in cui il richiedente fornisca tutti gli elementi necessari
12
per l’identificazione dei veicoli e dei soggetti coinvolti dei rispettivi rapporti assicurativi e
per la ricostruzione delle modalità dell’incidente.
Alla linea di pensiero così raccomandata in tema di necessità di applicazione del criterio
teleologico, sembra aderire una recentissima e pregevole pronuncia del Tribunale di Torino (4°
sezione civile, sentenza 9.4.2008, Giudice Unico Salvetti, Gramaglia/Cattolica e Anzi), secondo la
quale:
•
•
•
•
L’onere di invio della richiesta risarcitoria, a pena di improponibilità, secondo le modalità e con i
contenuti contemplati dall’art. 148 Cod.Ass., prima di instaurare il giudizio, a cui è assoggettato il
danneggiato che intenda agire ex art. 144 Cod.Ass nei confronti della compagnia assicuratrice è da
ritenersi costituzionalmente legittimo nella misura in cui non generi una vera e propria preclusione
assoluta alla tutela giurisdizionale ma miri a far espletare adempimenti preliminari, giustificati e
necessari in quanto finalizzati alla corretta sequenza degli atti del procedimento risarcitorio.
In presenza di una richiesta incompleta, dalla data della ricezione scatta per la compagnia
assicuratrice l’obbligo, ex art. 148, quinto comma, Cod.Ass. di richiedere al danneggiato le
necessarie integrazioni al fine di poter istruire la pratica liquidatoria e quindi formulare una
congrua e motivata offerta risarcitoria entro i termini di legge oppure di comunicare i motivi per cui
non ritiene di formulare offerta.
In base ai criteri interpretativi letterale e teleologico, la scansione delle varie fasi del procedimento
e i distinti obblighi gravanti sul danneggiato e sull’assicuratore non sono fine a sé stessi, ma
preordinati a consentire all’assicuratore di acquisire le informazioni tecniche utili e necessarie per
valutare se ed in che misura formulare un’offerta nonché a garantire il danneggiato contro
comportamenti dilatori da parte dell’assicuratore.
Pertanto allorché l’impresa assicuratrice comunichi al danneggiato di non poter formulare offerta
alcuna in quanto non ritiene il proprio assicurato responsabile dell’incidente, la mancata
comunicazione dei dati richiesti dall’art. 148 Cod.Ass. non riveste rilevanza e va ritenuto concluso
il procedimento stragiudiziale risarcitorio ed esaurito lo “spatium deliberandi” assegnato
all’assicuratore, con pieno ricupero da parte del danneggiato del suo diritto soggettivo ad adire
l’Autorità Giudiziaria per il risarcimento dei danni, tenuto anche conto dei principii costituzionali
della parità delle parti nel giusto processo, dell’inviolabilità del diritto di difesa sancito dall’art. 24
Cost. e del canone di buona fede.
2.6. Le modalità di richiesta del risarcimento nella procedura di risarcimento diretto.
Le modalità formali di richiesta nel caso di applicabilità della procedura di risarcimento diretto sono
comunque dettate a pena di improcedibilità dal combinato disposto degli artt.145, 2° comma e 149,
6° comma.
Nella fattispecie – secondo il Codice - la lettera deve essere inviata per conoscenza all’impresa
assicurativa dell’altro veicolo coinvolto.
L’art.5 del Regolamento nel suo secondo comma, in contrasto con la regola più severa fissata
dall’art.145, 2° comma, del Codice delle assicurazioni, ammette in alternativa alla richiesta con
lettera raccomandata con avviso di ricevimento, la consegna a mano o per telegramma o per telefax
o in via telematica (salvo che nel contratto sia esplicitamente esclusa tale ultima forma di
presentazione della richiesta di risarcimento).
Il terzo comma del Regolamento, anche in questo caso, in contrasto con l’art.145, onera l’impresa
destinataria della richiesta del compito di dar comunicazione immediata all’impresa dell’assicurato,
ritenuto in tutto o in parte responsabile del sinistro, fornendo le sole informazioni necessarie per la
verifica della copertura assicurativa e per l’accertamento delle modalità di accadimento del sinistro.
Poiché peraltro la norma regolamentare trova la sua legittimazione nell’art.150, sembrerebbe logico
ritenere che quanto alle formalità alternative il Regolamento abbia semplicemente dichiarato
l’equipollenza delle forme più rapide di comunicazione considerate nel secondo comma, nel contesto
del rapporto di collaborazione che dovrebbe informare i rapporti fra assicuratore e assicurato legati
da vincolo contrattuale, e abbia semplificato gli oneri per l’assicurato danneggiato, vincolando alla
cooperazione l’impresa assicurativa chiamata a notiziare l’altro assicuratore interessato, e ciò in
alternativa al danneggiato (poiché in difetto vi sarebbe una duplicazione di concorrenti
adempimenti).
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Analoghe considerazioni a quanto esposto sub art.148 valgono per l’art.6 del Regolamento, in
tema di contenuto della richiesta, che dispone :
“1. Nell’ipotesi di danni al veicolo e alle cose, la richiesta di risarcimento contiene i seguenti elementi:
a) i nomi degli assicurati;
b) le targhe dei due veicoli coinvolti;
c) la denominazione delle rispettive imprese;
d) la descrizione delle circostanze e delle modalità del sinistro;
e) le generalità di eventuali testimoni;
f) l’indicazione dell’eventuale intervento degli Organi di polizia;
g) il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate sono disponibili per la perizia diretta ad accertare l’entità del
danno.
2. Nell’ipotesi di lesioni subite dai conducenti, la richiesta indica, inoltre:
a) l’età, l’attività e il reddito del danneggiato;
b) l’entità delle lesioni subite;
c) la dichiarazione di cui all’articolo 142 del codice circa la spettanza o meno di prestazioni da parte di istituti che
gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie;
d) l’attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione, con o senza postumi permanenti;
e) l’eventuale consulenza medico-legale di parte, corredata dall’indicazione del compenso spettante al professionista.”
2.7. L’incompletezza della richiesta di risarcimento.
Il comma 5° dell’art.148 prevede che in caso di richiesta incompleta l’impresa di assicurazione
richieda al danneggiato, entro trenta giorni dalla ricezione della stessa, le necessarie integrazioni e
che in tal caso il decorso del termine per lo spatium deliberandi decorra nuovamente dalla data di
ricezione dei dati o dei documenti integrativi.
Non pare condivisibile la tesi, pur espressa in dottrina, secondo cui l’impresa che riceve una lettera
di richiesta non conforme a tutti i requisiti richiesti per la proponibilità dell’azione giudiziale
avrebbe l’alternativa:
a) di limitarsi a stare silente per poi eccepire l’improponibilità dell’azione al momento in cui la
stessa viene proposta;
b) di chiedere le integrazioni o gli elementi mancanti ottenendo di far slittare il termine per la
proponibilità dell’azione.
Non pare corretta questa conclusione, poiché i primi due commi dell’art.148 impongono
all’assicuratore che abbia ricevuto la richiesta di risarcimento di formulare la propria offerta nei
termini assegnati ovvero di indicare i motivi per i quali non intende formularla.
In siffatto contesto il 5° comma, con l’uso del presente indicativo (in funzione d’obbligo), impone
all’assicuratore che abbia ricevuto una richiesta non conforme o semplicemente ritenuta incompleta,
di richiedere le necessarie integrazioni.
Il presente ha significato d’obbligo, come nelle altre disposizioni dei commi dello stesso art.148 (si
guardi il primo comma con i suoi… comunica … e …. formula….); d’altra parte non avrebbe senso
prevedere un termine per la richiesta di integrazione come avviene nel 5° comma se si fosse in
presenza di una mera e discrezionale facoltà.
La criticata lettura non pare poi assolutamente coordinata con lo spirito complessivo che anima la
riforma, volta, come si è ricordato, ad una più incisiva protezione del danneggiato visto come parte
debole e consumatore bisognoso di tutela, sia pur conseguibile attraverso una più penetrante
imposizione all’impresa di assicurazione dell’obbligo di comportamento secondo correttezza, buona
fede e solidarietà protettiva nella gestione del rapporto.
Si vedano in proposito:
• il già citato art.1, lettera b, della legge delega 229/2003, (che pone mente qual criterio
direttivo alla “tutela dei consumatori e, in generale, dei contraenti più deboli, sotto il profilo
della trasparenza delle condizioni contrattuali, nonché dell’informativa preliminare,
contestuale e successiva alla conclusione del contratto, avendo riguardo anche alla
correttezza dei messaggi pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli
aspetti strutturali di tale servizio”);
14
•
l’art.3 del Codice, secondo cui “La vigilanza ha per scopo la sana e prudente gestione delle
imprese di assicurazione e di riassicurazione e la trasparenza e la correttezza dei
comportamenti delle imprese, degli intermediari e degli altri operatori del settore
assicurativo, avendo riguardo alla stabilità, all’efficienza, alla competitività ed al buon
funzionamento del sistema assicurativo, alla tutela degli assicurati e degli altri aventi diritto
a prestazioni assicurative, all’informazione ed alla protezione dei consumatori.”;
• l’art.166 del Codice, secondo cui “Il contratto e ogni altro documento consegnato
dall’impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente.
Le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazione delle garanzie ovvero oneri a
carico del contraente o dell’assicurato sono riportate mediante caratteri di particolare
evidenza.”
Lo stesso onere vale con ulteriore incisività per quanto riguarda la procedura di risarcimento diretto
di cui all’art.149, laddove il Regolamento 253/2006 prevede all’art.9 un obbligo specifico di
cooperazione e assistenza tecnica in forza del quale:
“L’impresa, nell’adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni
assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del
diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a quanto stabilito espressamente dal
contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei
danni alle cose e ai veicoli, il suo controllo e l’eventuale integrazione, l’illustrazione e la precisazione dei criteri di
responsabilità di cui all’allegato A”.
Non a caso l’art.7 del Regolamento, in tema di richiesta di integrazione e regolarizzazione di
richieste risarcitorie incomplete, prevede che l’impresa, entro trenta giorni dalla ricezione
dell’istanza ritenuta incompleta, offrendo l’assistenza tecnica e informativa prevista dall’art.9, inviti
il danneggiato a fornire le integrazioni e i chiarimenti necessari per la regolarizzazione.
In tale ipotesi, i termini per la formulazione dell’offerta o per la comunicazione della mancata
offerta sono sospesi fino alla data di ricezione delle integrazioni e dei chiarimenti richiesti.
Quindi nella procedura di risarcimento diretto la lettera del Regolamento chiarisce che i termini
sono sospesi, sicché il lasso temporale già decorso si somma a quello che riprende a decorrere: è
quindi inequivoco il determinarsi dell’effetto sospensivo a partire dalla richiesta di integrazione
dell’impresa e fino alla risposta dell’assicurato danneggiato.
Il dubbio permane invece per la procedura ordinaria di cui all’art.148 del Codice, laddove la
terminologia utilizzati dal Legislatore (“ i termini di cui ai commi 1 e 2 decorrono nuovamente….)
appare compatibile con entrambe le letture.
La similitudine con il caso regolato, seppur in sede regolamentare, e la prefissione di un termine per
l’esercizio della attività di richiesta di integrazione sembrerebbero però deporre a favore della tesi
dell’effetto meramente sospensivo della richiesta.
Il coordinamento fra i termini di improponibilità della domanda di cui all’art.145 e quelli a
disposizione dell’impresa interessata per formulare l’offerta risarcitoria (o per esternare i motivi che
la inducono a non farla) risulta peraltro incompleto.
I termini di 60 e 90 giorni considerati dall’art.145 del Codice presuppongono la richiesta
regolarmente formulata e pertanto non possono che decorrere dalla debita integrazione della
domanda incompleta.
Quelli a carico dell’impresa per formulare l’offerta sono solo parzialmente coordinati (ad esempio
perché l’art.145 non contempla la riduzione a 30 giorni in caso di modulo di denuncia sottoscritto da
entrambi i conducenti coinvolti).
In tal senso è chiarissimo anche l’art.8 del Regolamento:
“Con
apposita
comunicazione
inviata
al
danneggiato,
l’impresa
indica,
alternativamente:
a) una congrua offerta di risarcimento del danno, eventualmente in forma specifica, se previsto dal contratto;
b) gli specifici motivi che impediscono di formulare l’offerta di risarcimento del danno.
La comunicazione di cui al comma 1 è inviata entro i seguenti termini:
a) novanta giorni, nel caso di lesioni;
b) sessanta giorni, nel caso di danni riguardanti solo i veicoli o le cose;
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c) trenta giorni, nel caso di danni ai veicoli o alle cose, qualora il modulo di denuncia del sinistro sia sottoscritto da
entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro.”
Invece l’art.149, 2° comma, parrebbe continuare a sancire l’improponibilità della domanda.
Analoga situazione si verifica, almeno per il caso della richiesta di integrazione nella procedura
diretta in cui è espressamente previsto l’effetto sospensivo e del termine per l’offerta, sicché
paradossalmente l’impresa parrebbe tenuta a fare la sua offerta in un momento anteriore a quello in
cui termina l’effetto di improponibilità dell’azione.
2.8. La disciplina intertemporale.
L’applicabilità delle disposizioni di cui all’art.148 ai sinistri occorsi in data anteriore al 1° gennaio
2006 appare piuttosto controversa.
Una parte della giurisprudenza ha infatti osservato che la vecchia normativa di cui all’art.22 della
legge 990 del 1969 è stata abrogata e che quando il Legislatore ha inteso prevedere un diverso
ambito temporale di applicazione delle norme (come ad esempio nel Regolamento di attuazione del
sistema dell’indennizzo diretto, nel quale l’applicazione è stata limitata ai sinistri successivi al
febbraio 2007) lo ha fatto espressamente.
Anche se potrebbe pertanto risultare sostenibile la tesi secondo cui il sistema del Codice delle
assicurazioni, e con esso gli articoli 145 e 148, si applica anche ai sinistri occorsi in data anteriore
alla sua entrata in vigore, non pare assolutamente da condividersi l’opinione di quella giurisprudenza
che sostiene che le prescrizioni di maggior dettaglio imposte dalla nuova normativa si
applicherebbero anche alle richieste di risarcimento avanzate prima della data di entrata in vigore del
Codice, non seguite dalla instaurazione del giudizio prima del 1°.1.2006, sulla base del dubbio
principio che la condizione di proponibilità dovrebbe essere valutata in base alla legge processuale
vigente al momento dell’introduzione del giudizio.
Appare invece altamente raccomandabile l’opposta interpretazione che considera come ormai
verificata la condizione di proponibilità della domanda giudiziale per effetto della richiesta
ritualmente formulata nel rispetto della legge in vigore al momento della sua proposizione; decorsi i
sessanta giorni dalla proposizione di una valida richiesta ex art.22 della legge 990 del 1969, la
domanda giudiziale è divenuta per ciò solo proponibile e sul diritto ormai consolidato all’azione
giudiziale non può esercitare alcun ostacolo l’intervenuta riforma legislativa.
Ciò discende dalla piana applicazione dei principi in materia di successione delle leggi nel tempo,
anche a non voler considerare la doverosa cautela interpretativa che consiglia di non estendere le
disposizioni eccezionali che incidono negativamente sul diritto costituzionalmente tutelato all’azione
giurisdizionale a tutela dei diritti soggettivi.
3. L’azione diretta del trasportato.
3.1. Il referente normativo.
Una delle novità più importanti del nuovo Codice delle assicurazioni é indubbiamente rappresentata
dalla disciplina dell’azione diretta del trasportato, introdotta dall’art.141.
Tale norma, rubricata “Risarcimento del terzo trasportato” dispone:
“1. Salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall’impresa di
assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge, fermo
restando quanto previsto all’articolo 140, a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei
veicoli coinvolti nel sinistro, fermo il diritto al risarcimento dell’eventuale maggior danno nei confronti dell’impresa di
assicurazione del responsabile civile, se il veicolo di quest’ultimo è coperto per un massimale superiore a quello
minimo.
2. Per ottenere il risarcimento il terzo trasportato promuove nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo sul
quale era a bordo al momento del sinistro la procedura di risarcimento prevista dall’articolo 148.
3. L’azione diretta avente ad oggetto il risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo
sul quale il danneggiato era a bordo al momento del sinistro nei termini di cui all’articolo 145. L’impresa di
assicurazione del responsabile civile può intervenire nel giudizio e può estromettere l’impresa di assicurazione del
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veicolo, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del
capo IV.
4. L’impresa di assicurazione che ha effettuato il pagamento ha diritto di rivalsa nei confronti dell’impresa di
assicurazione del responsabile civile nei limiti ed alle condizioni previste dall’articolo 150.”
La disposizione in parola riconosce e regolamenta la responsabilità diretta verso il terzo trasportato
danneggiato dell’impresa assicuratrice del veicolo del vettore (che nella terminologia adottata dal
legislatore viene definito veicolo sul quale il terzo trasportato si trovava a bordo al momento del
sinistro).
3.2. I primi commenti.
Nessun commentatore ha mostrato di dubitare della persistente possibilità per il danneggiato
trasportato di agire con le varie azioni riconosciutegli sinora dall’ordinamento nei confronti di altri
soggetti civilmente responsabili, a prescindere dagli aspetti assicurativi dei relativi rischi, e pertanto:
• con l’azione contrattuale ex artt.1218 e 1681 c.c. allorché egli si trovava a bordo del veicolo
coinvolto nel sinistro in forza di contratto di trasporto;
• con l’azione ordinaria aquiliana ex art.2043 c.c. e/o con la specifica azione extracontrattuale
fondata sulla responsabilità presuntiva ex art.2054, 1° e 2° comma, c.c. nei confronti del
conducente del veicolo su cui si trovava trasportato (per qualsiasi titolo, anche di cortesia);
• con la specifica azione extracontrattuale fondata sulla responsabilità presuntiva ex art.2054,
3° comma, c.c. nei confronti del proprietario (ovvero dell’usufruttuario o dell’acquirente con
patto di riservato dominio) del veicolo su cui si trovava se trasportato (per qualsiasi titolo,
anche di cortesia);
• con la specifica azione extracontrattuale fondata sulla responsabilità presuntiva ex art.2054,
4° comma, c.c. nei confronti del conducente e del proprietario (ovvero dell’usufruttuario o
dell’acquirente con patto di riservato dominio) del veicolo su cui si trovava se trasportato
(per qualsiasi titolo, anche di cortesia).
o
o
o
o
o
“In tema di responsabilità civile, il danneggiato a seguito di un incidente stradale in cui sia rimasto
coinvolto come trasportato a titolo di cortesia, può chiedere il risarcimento invocando la presunzione
di colpa stabilita dall’art. 2054 c.c., facendo valere la responsabilità extracontrattuale sia nei
confronti del conducente del veicolo a bordo del quale si trovava, che nei confronti del proprietario, se
diverso dal primo.”(Cassazione civile, sez. III, 20 febbraio 2007, n. 3937);
“In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in
ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti
che da tale circolazione comunque ricevano danni, e, quindi, anche ai trasportati, quale che sia il
titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito). Consegue che il trasportato,
indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata
per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella
solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno. Ove il
trasporto sia avvenuto in base a titolo contrattuale, con l’azione prevista dall’art. 1681 c.c. - che
stabilisce la responsabilità contrattuale del solo vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore
durante il viaggio - può infatti concorrere quella extracontrattuale di cui all’art. 2054
c.c.”(Cassazione civile, sez. III, 1 giugno 2006, n. 13130);
“In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime principi
di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che dalla circolazione dei veicoli comunque
ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero
contrattuale.”(Cassazione civile, sez. III, 30 gennaio 2006, n. 1873);
“La presunzione di colpa prevista dall’art. 2054 c.c. si applica anche in favore delle persone
trasportate che legittimamente possono proporre azione diretta di risarcimento contro la compagnia
assicuratrice del veicolo antagonista della vettura su cui erano trasportati. Nel caso in cui, come nella
fattispecie, il trasportato sia anche il proprietario dell’autovettura su cui viaggiava, a lui si applica la
presunzione di concorso di colpa previsto dall’art. 2054 comma 2 presunzione che può essere
superata solo fornendo la prova liberatoria consistente nella dimostrazione che il conducente del
mezzo su cui viaggiava il danneggiato-proprietario si era uniformato alle norme sulla circolazione
stradale e a quelle di comune prudenza.”(Cassazione civile, sez. III, 18 gennaio 2006, n. 834);
“In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in
ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti
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o
o
o
o
o
che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo
del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito); in particolare, per vincere la
presunzione di responsabilità posta a suo carico dall’art. 2054, comma 1, c.c., il conducente del
veicolo deve fornire la prova positiva di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno. (Nella specie,
la Corte Suprema ha cassato la sentenza di merito, rilevando che, da un lato, l’esistenza di una insidia
stradale, risultante da un’altra sentenza relativa agli stessi fatti, non costituiva accertamento idoneo
ad escludere la responsabilità del conducente, nè poteva dirsi raggiunta la prova liberatoria a suo
carico per il solo fatto che il soggetto rimasto ferito nel sinistro, trasportato a titolo di cortesia,
indossasse le cinture di sicurezza allacciate, corrispondendo ciò ad una elementare regola di prudenza
imposta per legge).”(Cassazione civile, sez. III, 31 ottobre 2005, n. 21115);
“La presunzione di responsabilità del conducente del veicolo, ex art. 2054 comma 1 c.c., si applica
anche nell’ipotesi in cui la vittima sia un passeggero dal medesimo trasportato a titolo di
cortesia.”(Cassazione civile, sez. III, 29 settembre 2005, n. 19144);
“In caso di scontro tra veicoli, la persona trasportata anche a titolo di cortesia può ottenere, a norma
dell’art. 2055 c.c., l’integrale risarcimento dei danni tanto dal conducente e dal proprietario del
veicolo dal quale era trasportata, quanto dal conducente e dal proprietario dell’altro veicolo,
avvalendosi nell’un caso come nell’altro della presunzione stabilita dall’art. 2054 c.c. e facendo
valere, perciò, la responsabilità extracontrattuale, senza che spieghi rilevanza, ai fini della
responsabilità solidale del proprietario ai sensi dell’art. 2054, comma 3, c.c., il fatto che la
responsabilità del conducente venga accertata in concreto, in quanto il proprietario è comunque
tenuto a risarcire il danno, a meno che non riesca a provare che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà ovvero che il conducente ha fatto tutto il possibile per evitare il
danno.”(Cassazione civile, sez. III, 3 marzo 2004, n. 4353);
“In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in
ciascuna delle disposizioni che compongono la norma, principi di carattere generale, applicabili a
tutti i soggetti che da tale circolazione abbiano a ricevere, comunque, un danno e perciò, anche ai
trasportati, quale che sia il titolo del trasporto.”(Cassazione civile, sez. III, 25 novembre 2002, n.
16574);
“In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in
ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale applicabili a tutti i soggetti che
da tale circolazione comunque ricevano danni e quindi anche ai trasportati quale che sia il titolo del
trasporto, di cortesia ovvero contrattuale, oneroso o gratuito. Consegue che il trasportato
indipendentemente dal titolo del trasporto può invocare i primi due commi della disposizione citata
per far valere la responsabilità extra contrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella
solidale del proprietario che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il
danno”(Cassazione civile, sez. III, 21 marzo 2001, n. 4022);
“In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l’art. 2054 c.c. esprime, in
ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti
che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo
di trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito). Pertanto il trasportato,
indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata
per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il comma 3 per far valere quella
solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il
danno.”(Cassazione civile, sez. III, 18 maggio 1999, n. 4801).
Ogni diversa interpretazione sarebbe evidentemente incompatibile con i principi costituzionali dal
momento che finirebbe con il disconoscere il diritto di azione e tutela giurisdizionale rispetto a
posizioni soggettive riconosciute dall’ordinamento, in flagrante violazione del 1° comma dell’art.24
della Costituzione.
Sarebbe poi invero paradossale che un intervento normativo settorialmente rivolto ad apprestare una
tutela più efficace dei danneggiati, individuando un garante istituzionale attraverso la copertura
assicurativa dei rischi della circolazione stradale, finisca con l’indebolire in modo significativo le
opzioni di tutela esistenti a disposizione del danneggiato per conseguire la piena restaurazione dei
diritti lesi.
3.3. Il coordinamento fra gli artt.141 e 144 del Codice: ammissibilità o no dell’azione diretta verso
l’impresa assicurativa del responsabile.
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Il dubbio interpretativo invece investe il rapporto che intercorre tra l’azione disciplinata dall’art.141
(azione diretta del trasportato nei confronti dell’impresa assicuratrice del vettore, nel litisconsorzio
necessario del proprietario del veicolo del vettore, ai sensi dell’art.144, 2° comma, richiamato in
quanto compatibile dall’art.141, 3° comma) e l’azione diretta del danneggiato nei confronti
dell’impresa assicuratrice del responsabile civile, nel litisconsorzio necessario del proprietario del
veicolo assicurato) disciplinata in linea generale dall’art.144.
Al riguardo sono circolate due interpretazioni:
• per la prima (più lineare e probabilmente preferibile) l’azione prevista dall’art.141 esclude
l’applicabilità, salve le eccezioni specificamente previste, dell’azione diretta contro l’impresa
assicuratrice di altri soggetti coinvolti nel sinistro diversi dal vettore;
• per la seconda l’azione ex art.141 concorre con l’esperibilità dell’azione diretta generale
verso l’impresa assicuratrice di ogni altro responsabile civile.
La lettura corretta dell’art.141 porta del tutto linearmente ad escludere l’ammissibilità dell’ordinaria
azione diretta del trasportato verso altre imprese assicurative diverse da quella del vettore perché:
• l’art.23 della legge 990/1969 é stato abrogato, sicché non può ricavarsi da tale disposizione
alcuna matrice generatrice di una azione diretta del trasportato;
• l’art.141 prevede una disciplina speciale, che deroga ovviamente a quella generale, regolando
il caso specifico del danneggiato trasportato su uno dei veicoli coinvolti rispetto alla
disciplina generale dettata per gli altri soggetti danneggiati;
• la previsione dell’art.141 non avrebbe molto senso, se concorresse con la disciplina
dell’art.144, poiché indubbiamente anche il vettore sarebbe pur sempre un responsabile civile
aggredibile al pari degli altri conducenti coinvolti;
• non avrebbe avuto parimenti senso salvaguardare espressamente la possibilità dell’azione
diretta nei confronti della impresa assicuratrice dell’(altro) responsabile civile nella ristretta
ipotesi in cui questa sia obbligata per un massimale superiore al minimo legale a differenza
della impresa assicuratrice del vettore, se tale possibilità pur sempre scaturisse all’esperibilità
dell’azione ex art.144;
• parimenti risulterebbe superflua la specifica disciplina dell’intervento dell’impresa del
responsabile e dell’estromissione dell’impresa del vettore.
Non pare che tale conclusione possa essere sovvertita per effetto di una interpretazione
costituzionalmente orientata, che è stata proposta con l’intento di preservare la disciplina del decreto
legislativo n.209 del 2005 dal vizio di illegittimità costituzionale ex art.76 della Costituzione.
A tale risultato certo non si perviene solamente considerando il tenore della lettera b) del primo
comma dell’art.1 della legge delega, dal momento che il Legislatore ha effettivamente perseguito lo
scopo di agevolare il conseguimento del risarcimento da parte del terzo trasportato danneggiato,
attribuendo a costui l’azione diretta nei confronti di una ben precisa impresa assicuratrice e solo
residualmente (ove la circostanza gli possa riuscir vantaggiosa per l’eccedenza di copertura di
massimale) verso altre imprese assicuratrici dei responsabili civili.
Il modesto svantaggio rappresentato dal disporre di un solo debitore per l’importo del massimale
minimo di legge (e comunque di un debitore solvibile e garantito dal Fondo di garanzia) é
ampiamente compensato dall’esonero, proficuamente
garantito al terzo trasportato, dal
coinvolgimento nelle discussioni circa la responsabilità della collisione, che gli evita così di essere
implicato in una complessa vicenda in cui i soggetti interessati al sinistro si palleggiano le
responsabilità, sia pure al fine di superare le presunzioni di legge che su di loro concorsualmente
gravano (con l’effetto accessorio, ma importantissimo, della consequenziale corresponsabilità
solidale ex artt.2055 e 1294 c.c.).
3.4. La nozione speciale di caso fortuito considerata dall’art.141 del Codice.
Tale lettura é ovviamente da collegare ad una importantissima precisazione interpretativa che mi
pare debba essere tratta, per vero in netto dissenso con le prime letture dottrinali e giurisprudenziali
della norma de qua.
19
A mio parere, la disposizione involge una diversa accezione della nozione di caso fortuito rispetto a
quella ordinariamente recepita e consolidata nella tradizione giuridica.
Molti hanno ricordato infatti che il concetto di caso fortuito per tradizione antichissima, comprende
oltre alla vis major cui resisti non potest, anche la colpa di un soggetto terzo e ne hanno tratto
argomento per ritenere che l’impresa del vettore potrebbe sempre cercare di sottrarsi alla
responsabilità ex art.141 dimostrando la colpa del terzo, ossia del conducente dell’altro veicolo
coinvolto, sicché anche per questa via emergerebbe la necessità di ammettere, in via per così dire
anticipata, il terzo trasportato all’azione diretta contro l’altro soggetto responsabile.
La tesi presenta il difetto di accedere ad una lettura ipostatizzata del concetto di caso fortuito, che
prescinde da quella concretamente accolta nello specifico referente normativo:
•
•
•
•
“In tema di danno cagionato da animali, ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità del proprietario
dell’animale, prevista dalla suddetta norma, è presunta, fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con
l’animale. Ne consegue che, per i danni cagionati dall’animale al terzo, il proprietario risponde in ogni caso e
in toto, a meno che non dia la prova del caso fortuito, ossia dell’intervento di un fattore esterno idoneo a
interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, comprensivo anche del
fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione
del danno. Pertanto, se la prova liberatoria richiesta dalla norma non viene fornita, non rimane al giudice che
condannare il proprietario dell’animale al risarcimento dei danni per l’intero. (Nella specie, era stato chiesto
il risarcimento ai proprietari di un cane a causa di un morso al volto inferto alla ricorrente mentre era in visita
alla loro abitazione, e la corte di merito aveva dato maggior rilievo alla imprudenza della danneggiata nella
produzione dell’evento; sulla base dell’enunciato principio la S.C. ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la
sentenza impugnata)”(Cassazione civile, sez. III, 19 marzo 2007, n. 6454);
“La responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo
e, ai fini della sua configurabilità, é sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento
dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (e, perciò, anche per le
cose inerti) e senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di
vigilanza. La responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è esclusa in tutti i casi in cui l’evento sia
imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell’evento e, perciò, quando si sia in presenza
di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l’evento, assumendo il
carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore
eziologico dell’evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale),
e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima.
(Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata rilevandone
l’adeguatezza della motivazione con riferimento all’esclusione della responsabilità da custodia di una società
gestrice di un impianto di sci per le lesioni occorse ad uno sciatore conseguenti alla collisione, durante la
discesa, con un casotto in muratura per il ricovero di un trasformatore dell’energia elettrica necessaria per il
sistema di risalita posto in prossimità della pista, sul presupposto dell’accertata assenza del nesso di causalità
tra la cosa e l’evento, invece determinato, così configurandosi un’ipotesi di caso fortuito, dalla condotta
colposa della medesima vittima che non aveva osservato una velocità adeguata al luogo e che si era, perciò,
imprudentemente portato fino al margine estremo del piazzale di arrivo, risultato comunque sufficientemente
ampio, senza riuscire ad adottare manovre di emergenza idonee ad evitare l’urto contro il predetto
ostacolo).”(Cassazione civile, sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2563);
“In tema di danno subito dal viaggiatore, l’art. 11 n. 4 delle condizioni e tariffe per i trasporti delle persone
sulle ferrovie, approvate con r.d.l. n. 1948 del 1934 (conv. nella legge n. 911 del 1935) pone una presunzione
di colpa che può essere superata dalla dimostrazione - da fornirsi da parte dell’amministrazione ferroviaria,
essendo sufficiente al viaggiatore provare l’evento produttivo del danno in conseguenza dell’anormalità del
servizio - che il danno stesso sia dipeso da caso fortuito o forza maggiore, ovvero dalla colpa esclusiva del
danneggiato o di un terzo. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio di cui in massima, ha confermato la
sentenza del giudice di merito che aveva affermato la imputabilità all’amministrazione ferroviaria dei danni
subiti da una viaggiatrice a seguito della apertura di scatto di una porta automatica tra due vagoni che,
azionata da una terza persona, le provocava una violenta spinta, tale da farla cadere attraverso la porta
accesso - uscita sul marciapiede della stazione)”(Cassazione civile, sez. III, 2 febbraio 2007, n. 2321);
“La disciplina di cui all’art. 2051 c.c. si applica anche in tema di danni sofferti dagli utenti per la cattiva ed
omessa manutenzione delle autostrade da parte dei concessionari, in ragione del particolare rapporto con la
cosa che ad essi deriva dai poteri effettivi di disponibilità e controllo sulle medesime, salvo che dalla
responsabilità presunta a loro carico i concessionari si liberino fornendo la prova del fortuito, consistente non
già nella dimostrazione dell’interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto
estraneo alla sfera di custodia (ivi compreso il fatto del danneggiato o del terzo),
bensì anche dalla
dimostrazione - in applicazione del principio di c.d. vicinanza alla prova - di aver espletato, con la diligenza
20
•
•
adeguata alla natura e alla funzione della cosa, in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le
attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di essi gravanti in base a specifiche disposizioni normative
e già del principio generale del “neminem laedere”, di modo che il sinistro appaia verificatosi per fatto non
ascrivibile a sua colpa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso
proposto e confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile la responsabilità da omessa
custodia a carico del concessionario gestore di autostrada con riferimento ad incidente verificatosi per la
presenza sulla sede autostradale di un cane che aveva tagliato la strada al veicolo del controricorrente
sopraggiungente, con conseguente sbandamento e ribaltamento dello stesso in virtù della collisione con i
cordoli laterali e la produzione di lesioni personali, senza che la ricorrente, sulla quale incombeva il relativo
onere, fosse riuscita a dimostrare che l’immissione dell’animale era riconducibile ad ipotesi di caso fortuito,
quale l’abbandono del cane in una piazzola dell’autostrada ovvero il taglio vandalico della rete di recinzione
od, ancora, il suo abbattimento in conseguenza di precedente incidente, per il quale non era stato possibile
intervenire tempestivamente adottando le necessarie cautele).”(Cassazione civile, sez. III, 2 febbraio 2007, n.
2308);
“In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del
custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo,
dovendo, a tal fine, ricorrere
la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario
dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che
l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da
sole idonee a determinare l’evento. Pertanto, anche nell’ipotesi in cui il custode non abbia attuato, sulla cosa
nella sua disponibilità, tutte le precauzioni astrattamente idonee ad evitarne la responsabilità, la causa
efficiente sopravvenuta che del caso fortuito presenti i requisiti propri dell’eccezionalità e dell’oggettiva
imprevedibilità e che da sola sia idonea a provocare l’evento, interrompe il nesso eziologico e produce gli
effetti liberatori, pur quando essa si concreti nel fatto del terzo o dello stesso danneggiato. (Nella specie, la
S.C. alla stregua del principio enunciato, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa
la responsabilità del segretario della sezione di un partito
politico, quale custode della relativa sede
comunale, essendo rimasto adeguatamente accertato che la causa della lesione procurata ad un minore era da
attribuirsi all’uso abnorme che della porta di un box avevano fatto lo stesso infortunato ed altri minori, che,
premendo con forza, dall’esterno e dall’interno, sulla predetta struttura, ne avevano cagionato, per effetto della
forza prevalente, la violenta apertura verso l’esterno ed il conseguente suo immediato ritorno all’indietro, a
causa del quale era rimasto colpito l’arto del minore, così risultando configurata l’ipotesi del fortuito nel
comportamento concorrente del medesimo infortunato e degli altri terzi)”(Cassazione civile, sez. III, 19
dicembre 2006, n. 27168);
“È configurabile una ipotesi di concorso causale nell’evento da parte del custode, per il titolo di cui all’art.
2051 c.c., e di altro soggetto, per il normale titolo di responsabilità generica ai sensi dell’art. 2043, atteso che
all’addebito concorsuale dei distinti titoli di responsabilità non osta il non avere dato il custode la prova
liberatoria della ricorrenza del caso fortuito, poiché tanto comporta soltanto che egli non possa sottrarsi alla
responsabilità per il titolo di sua pertinenza, ma non che l’evento dannoso non possa essere stato concausato
anche dal fatto di un terzo. L’incompatibilità fra l’affermazione di una responsabilità del custode per mancata
prova liberatoria e l’affermazione del concorso di una responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c. è, infatti,
concepibile solo allorquando il fatto del terzo responsabile ai sensi di questa norma assuma efficienza causale
esclusiva nella produzione dell’evento, sì da rendere irrilevante il contributo causale derivante dalla cosa
oggetto della custodia e da assumere, rispetto ad esso, le caratteristiche del fortuito.”(Cassazione civile, sez.
III, 14 novembre 2006, n. 24211).
Il Legislatore, proprio perché aveva ben presente che la nozione tradizionale del caso fortuito
ricomprendeva anche la colpa del terzo, si é dato carico di recepire nella norma dell’art.141 del
Codice una nozione modificata ad hoc nel momento in cui, dopo aver fatto salva “l’ipotesi di
sinistro cagionato da caso fortuito”, ha avuto cura di sottolineare che la responsabilità dell’impresa
del vettore prescinde “dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel
sinistro”, con una disposizione di ordine pubblico che vieta, per l’appunto, la spendita di risorse
processuali rivolta a tale sorta di accertamenti, con l’inevitabile rinvio delle questioni relative al
regresso al rapporto fra imprese assicuratrici (ai sensi dell’art.141, 4° comma, e dell’art.150 del
Codice.
Ne consegue che l’impresa del vettore si può sottrarre al vittorioso esperimento dell’azione diretta
solo dimostrando il ricorrere di una ipotesi di caso fortuito, eccezion fatta per quell’ipotesi che
rientra nella nozione tradizionale di caso fortuito che si collega al fatto colposo del terzo conducente
coinvolto nel sinistro coperto da assicurazione obbligatoria r.c.a.
21
Potrà quindi a tal fine provare o la vis major, ovvero la colpa del terzo non soggetto ad
assicurazione obbligatoria (proprietario o gestore del tratto stradale o autostradale, pedone, ciclista....
e soprattutto lo stesso danneggiato, che per avventura abbia concorso, magari non indossando le
cinture di sicurezza, a provocare il danno).
La seconda chiave di accesso ad una interpretazione costituzionalmente orientata é stata proposta
con riferimento all’art.4 quinquies della direttiva 2005/14/CE dell’11.5.2005, ai sensi della quale “gli
Stati membri provvedono affinché le persone lese a seguito di un sinistro, causato da un veicolo
assicurato, ai sensi dell’articolo 3 paragrafo 1, della Direttiva 72/166/CEE, possano avvalersi di un
diritto di azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro la responsabilità civile la
persona responsabile del sinistro.”
Anche se tale direttiva, in ossequio al principio della sua efficacia verticale e non orizzontale (ossia
nei rapporti interprivati), non é in grado di esercitare un influsso diretto nel nostro ordinamento, in
difetto di idonea trasposizione normativa, bisogna tuttavia tener presente che la legge delega n.229
del 2003 si prefiggeva fra i criteri direttivi (e primo fra tutti) quello di adeguare la normativa vigente
alle disposizioni comunitarie e agli accordi internazionali.
Si tratterebbe quindi di preservare in via interpretativa il testo del Codice dal vizio di
incostituzionalità per eccesso di delega di cui sarebbe macchiato nell’ipotesi in cui la disciplina
nazionale conseguente non fosse allineata alle norme comunitarie e in particolare alla richiamata
direttiva.
La tesi non convince poiché l’obiettivo delle norma comunitaria sopracitata é semplicemente quello
di assicurare una azione diretta contro una impresa assicurativa esercente la r.c.a. al terzo trasportato
e non necessariamente l’azione diretta contro l’impresa del soggetto che in ultima analisi deve
rispondere del danno.
La disciplina illustrata provvede al trasportato danneggiato un assicuratore efficiente e solvibile e
perciò solo anche una “impresa che assicura contro la responsabilità civile la persona responsabile
del sinistro” ed anzi gli semplifica enormemente il compito, sollevandolo dai conflitti inerenti
l’effettiva responsabilità della collisione.
Non vi é quindi alcun contrasto fra la disciplina comunitaria e quella disegnata dall’art.141, che
segna anzi un progresso di efficienza e tutela del terzo trasportato più incisivamente tutelato rispetto
ai comuni terzi (per esempio rispetto ad un pedone occasionalmente coinvolto in collisione fra
veicoli).
Le esposte considerazioni sembrano sufficienti a far comprender quale sia la risposta corretta al
dubbio di illegittimità costituzionale denunciato dal Giudice di Pace di Arezzo con ordinanza
5.1.2008 di rimessione alla Corte Costituzionale dell’art.141 del d.lgs 209 del 7.9.2005 per contrasto
con gli artt.3, 24 e 76 Cost., secondo la quale:
Prima del D. Lg.vo n. 209/2005 (c.d. “codice delle
assicurazioni private”) ed, in particolare, prima
dell’introduzione dell’art. 141 del predetto codice, al terzo
trasportato, vittima di sinistro stradale, competeva il
risarcimento del danno dallo stesso subito, secondo le regole
proprie della responsabilità civile contro terzi, valutando,
prioritariamente, la dinamica del sinistro stradale.
Il c.d. “codice delle assicurazioni private”, ha invece
introdotto, con l’art. 141, un nuovo principio, che ha
sovvertito i canoni tradizionali di ricerca delle
responsabilità per colpa (negligenza, imprudenza, imperizia
nella conduzione della vettura), per cui, a prescindere
dall’accertamento della(e) responsabilità, e fatto salvo
comunque il caso fortuito, ha stabilito che il terso
trasportato ha azione diretta nei soli confronti
dell’assicurazione del vettore. L’innovazione non è di poco
conto, dal momento che la tutela del terzo trasportato in un
nuovo sistema di no-fault (letteralmente “niente colpa”),
22
prescinde dall’accertamento dell’illecito colposo da parte dei
conducenti, nel caso di sinistro stradale che coinvolga più
vetture, e stabilisce invece una sorta di “responsabilità
oggettiva”, che vincola il trasportato, leso dal sinistro, a
ricercare il risarcimento in una unica direzione, escludendo
ogni accertamento su presunte, eventuali, ulteriori o diverse
responsabilità. A tale riguardo, premesso che il risarcimento
del danno include anche il c.d. danno morale, va subito
ricordato che la Corte Costituzionale (11.07.2003 n. 233 in
“Danno e responsabilità”, 2003, 939) è ferma nel principio per
cui la risarcibilità del danno morale è legata e limitata alla
colpa presunta, ma non certo ad una responsabilità oggettiva.
Ma vi è di più. Il D.Lg.vo 7.9.2005 n. 209 – codice delle
assicurazioni private – venne adottato a seguito della Legge
Delega n. 229 del 29.7.2003 che, all’art. 4, delegava il
Governo ad adottare, entro un anno dalla sua entrata in
vigore, uno o più DD. LLg.vi per il riassetto delle
disposizioni in materia assicurativa, “nel rispetto dei segg.
principi e criteri direttivi:
a) adeguamento della normativa alle disposizioni comunitarie
ed agli accordi internazionali;
b) tutela dei consumatori e, in genere, dei contraenti più
deboli, sotto il profilo della trasparenza delle condizioni
contrattuali, nonché dell’informativa, preliminare,
contestuale e successiva alla conclusione del contratto,
avendo riguardo anche alla correttezza dei messaggi
pubblicitari e del processo di liquidazione dei sinistri,
compresi gli aspetti strutturali di tale servizio;
c) omissis.
Dal combinato disposto della Legge-delega n. 229/03 e della
Legge delegata n. 209/05 emergono alcune considerazioni.
Non essendo riuscito, il Governo, a rispettare il proprio
limite temporale in un anno, tanto che, con L. n. 186 del
27.7.2004 detto limite temporale è slittato a due anni,
rimangono palesi dubbi di incostituzionalità delle norme
adottate in data successiva all’anno di delega, per contrasto
con l’art. 76 Cost.
Il potere normativo delegato era stato limitato dal Parlamento
al Governo ad una funzione di mero riassetto delle vigenti
disposizioni in materia assicurativa, mentre ora l’art. 141 ha
determinato una innovazione sostanziale di ben più vasta
portata, abrogando di fatto norme preesistenti, e creando una
“responsabilità oggettiva”, operazione questa da ritenersi
sottoposta istituzionalmente alla decisione del Parlamento.
Va ancora osservato che la legge delega n. 229/03 non poteva
(e non doveva) entrare nel merito del risarcimento danni e
nella liquidazione del sinistro al terzo trasportato. In
verità, con l’art. 4 lett. b) della predetta legge-delega si
indirizzava il Governo a voler rispettare i principi ed i
criteri direttivi a tutela del consumatore e, in genere, dei
contraenti più deboli, limitatamente al profilo della
trasparenza delle condizioni contrattuali, nonché
dell’informativa preliminare, contestuale e successiva alla
conclusione di un contratto, avendo riguardo anche al processo
di liquidazione dei sinistri. A ben vedere l’art. 141 è andato
in ben altra direzione rispetto ai criteri imposti con
legge-delega: consumatore è la persona fisica che acquista o
utilizza beni o servizi per scopi non riferibili all’attività
imprenditoriale e/o professionale eventualmente svolta. Il
consumatore va protetto quando diviene contraente, essendo
notorio che è il contraente più debole: contraente potrà
essere, in campo assicurativo, chi ha contratto polizza e,
23
come tale, va protetta la sua posizione. Nel caso che ci
riguarda, il terzo trasportato non è contraente e, se deve
agire per vedersi risarcire danni subiti in un sinistro
stradale, lo fa in virtù di rapporti extracontrattuali. Egli è
infatti un danneggiato, e non è né contraente, né tanto meno
consumatore, bensì controparte rispetto ad altri soggetti,
vettore ed eventualmente terzo conducente di vettura, rispetto
ai quali il danneggiato deve ottenere un risarcimento che
esula da ogni accordo contrattuale, essendo conseguenza di
fatto illecito. L’art. 141 gli impone tuttavia un percorso
obbligato e la norma ha stravolto i vecchi criteri,
modificando proceduralmente e sostanzialmente i diritti dei
danneggiati, che ora non debbono cercare chi effettivamente ha
compromesso il fatto illecito, così determinando un danno
ingiusto, prima risarcibile ex artt. 2043 e 2054 c.c. Altro
corollario alla norma summenzionata porta alla amara
considerazione che il vero responsabile del sinistro stradale
non viene neppure chiamato in giudizio, né dovrà rispondere,
in solido, con la sua assicurazione, dal momento che l’art.
141, punto 3, prevede che il danneggiato deve proporre azione
diretta nei soli confronti dell’assicurazione del vettore, che
poi potrà rivalersi sull’assicurazione del civile
responsabile. Questi, a differenza di quanto avveniva in
passato, potrebbe pertanto rimanere sempre estromesso da ogni
controversia, anche sul piano processuale, pur essendo
l’artefice ed il responsabile di un sinistro stradale. Sembra
dunque, e non è una assurdità bensì una ovvia considerazione,
che la vigente normativa, volendo inizialmente tutelare la
figura del consumatore, abbia finito, in sede civilistica, per
tutelare i responsabili dei sinistri, modificando la
disciplina dei danneggiati-danneggianti e stravolgendo il
principio, ereditato dal Diritto Romano, del “neminem ledere”.
Tornando al citato art. 141 D. Lg.vo n. 209/05, si ribadisce
che il trasportato deve rivolgere la sua richiesta
risarcitoria, in caso di sinistro, al proprio vettore ed alla
relativa assicurazione, a prescindere da qualsiasi
responsabilità, al cui accertamento il trasportato non è più
tenuto. Ciò appare in contrasto con la Direttiva 2005/14/Ce
del Parlamento Europeo che all’art. 4 quinques, obbliga gli
Stati membri a provvedere affinché le persone lese da sinistro
stradale, causato da veicolo assicurato, possano avvalersi di
azione diretta nei confronti dell’impresa che assicura contro
la responsabilità civile la persona responsabile del sinistro.
Nel procedimento di cui è causa, questo giudicante, stante la
previsione di cui al citato art. 141 cod. assicurazioni, deve
prescindere da una ricerca della dinamica del sinistro e delle
singole responsabilità. Ove si ritenesse detta norma in
contrasto con la Costituzione, la domanda risarcitoria
potrebbe essere invece rivolta al responsabile del sinistro ed
alla sua assicurazione.
L’art. 141 codice assicurativo deve ritenersi in contrasto con
l’art. 3 Cost. e cioè con la norma che stabilisce
l’uguaglianza dei cittadini avanti alla legge. Infatti le
recenti innovazioni del sistema risarcitorio stabiliscono, in
pratica, che, dinanzi al medesimo fatto illecito, i cittadini
debbono sottostare a differenti norme giuridiche per il
risarcimento dei danni subiti. Si consideri infatti la
duplicità di posizioni del trasportante e trasportato, nel
caso che entrambi rimangano vittime di sinistro stradale sulla
stessa vettura con responsabilità di terzi. Ma differenti
forme di tutela si possono determinare, in applicazione
dell’art. 141 codice delle assicurazioni, nel caso di sinistro
24
ascrivibile alla esclusiva responsabilità di soggetto non
coperto da R.C.A., o nell’ipotesi di un concorso di
responsabilità dell’Ente gestore della strada.
Appare non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 141 anche in relazione
dell’art. 24 Cost. che garantisce a tutti i cittadini la
possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti ed interessi legittimi. L’art. 141, comma 1 D. Lg. n.
209/2005 stabilisce che l’assicurazione del vettore è tenuta
ad indennizzare il terzo trasportato “salva l’ipotesi di
sinistro cagionato da caso fortuito”. La Corte di Cassazione
ha stabilito che il caso fortuito comprende anche il fatto del
terzo (cfr. Corte Cass. n. 1655 del 27.1.2005 in “Il Foro
Italiano” Mass. 114): pertanto la responsabilità
dell’assicuratore del vettore è esclusa quando il sinistro è
dovuto sia a cause naturali, sia a colpa di altro conducente.
Affermare che l’assicuratore risponde, salvo il caso fortuito
e aggiungere che tale responsabilità prescinde
dall’accertamento della responsabilità di altri conducenti, è
una contraddizione in termini. Vi è inoltre una lesione del
diritto di difesa da parte dell’assicurazione del vettore che
non potrà, stante la norma suddetta, tutelarsi in maniera
efficace, non disponendo di elementi idonei a dimostrare
l’esclusiva responsabilità dell’altro conducente, che, stante
la previsione dell’art. 149, verrà risarcito dalla propria
assicurazione. In altre parole l’assicurazione del vettore
avrà notevoli difficoltà a dimostrare la colpa dell’altro conducente
e la conseguente in operatività dell’art.141.”
Al proposito viene spontaneo osservare:
1. che le argomentazioni imperniate sulla risarcibilità del danno morale nel solo caso di colpa
presunta secondo le regole proprie del diritto civile e non nelle ipotesi di responsabilità
oggettiva (su cui effettivamente la giurisprudenza è orientata negativamente: cfr
Cass.27.10.2004, n. 20814), oltre a non tener conto del principio della Drittwirkung (ossia
della risarcibilità del danno da lesione di valori costituzionalmente protetti quale tutela
minima erogabile in caso di violazione), non considerano il fatto, dirimente, che nella
fattispecie l’Impresa assicurativa del vettore interviene solo in sede di azione diretta, quale
sostituto ex lege della Compagnia del responsabile, per rifondere il danno subito dal
trasportato, impregiudicata la rivalsa ex art.141, 4° comma, del Codice nei confronti
dell’assicuratore del soggetto effettivamente tenuto al risarcimento (autore di un illecito
sicuramente produttivo di danno morale risarcibile);
2. la violazione dell’art.76 Cost. viene dedotta in modo assai generico, per il fatto
dell’abrogazione di norme preesistenti (fenomeno questo del tutto normale) e per aver
introdotto una sorta di responsabilità oggettiva (istituto questo che certamente non può
ritenersi oggetto di una sorta di prerogativa parlamentare);
3. la norma peraltro non istituisce una fattispecie di vera e propria responsabilità oggettiva, dal
momento che è prevista la rivalsa della Compagnia del vettore verso quella del responsabile,
e semplicemente agevola, nell’interesse dei danneggiati, l’esercizio dell’azione diretta, con la
sostituzione legale di una impresa ad un’altra e la limitazione (temporanea) della facoltà di
prova;
4. l’art.141 non determina affatto un percorso obbligato a danno del terzo trasportato, che può
esperire le azioni contrattuali ed extracontrattuali ordinarie verso i vari soggetti coinvolti
(conducenti e proprietari dei veicoli, imprese di trasporto….) e semplicemente viene favorito
con la selezione di una impresa assicurativa quale contraddittore necessario, in regime
probatorio peraltro agevolato, ma solo qualora decida di esercitare l’azione diretta;
25
5. del tutto erronee sono le considerazioni circa l’impossibilità di coinvolgere il responsabile
effettivo nel giudizio giacché il terzo trasportato ben può, se lo ritiene, agire con le azioni
contrattuali ed extracontrattuali contro di lui ovvero può cumulare ex artt.33 e 103 c.p.c.
senza alcun limite tali azioni con l’esperimento dell’azione diretta ex art.141 del Codice,
qualora abbia qualche valida ragione per procedere in tal senso;
6. è evidente che le agevolazioni probatorie sancite dall’art.141 giocano a favore del terzo
trasportato e ne semplificano i meccanismi di tutela, sicché ogni contrasto con la Direttiva
2005/14/CE scaturisce da una sua lettura decisamente riduttiva e incompleta;
7. la differenza di regime tra trasportante e trasportato non è affatto irrazionale dal momento
che nella normalità dei casi il trasportato non versa e non può versare in colpa in relazione
alla provocazione del sinistro, a differenza del suo vettore, sicché ben si comprende la ratio
delle agevolazioni probatorie che gli risparmiano il coinvolgimento nelle discussioni circa
l’effettivo riparto di responsabilità fra i conducenti coinvolti nello scontro;
8. le argomentazioni relative alla nozione tradizionale del caso fortuito non tengono conto dello
specifico contenuto della norma (come supra diffusamente argomentato);
9. l’impresa assicurativa del vettore non potrà dimostrare la colpa esclusiva dell’altro
conducente nel giudizio promosso dal trasportato, ma lo potrà fare, del tutto linearmente, nel
successivo giudizio di rivalsa contro l’altra Compagnia, sicché l’esercizio del diritto di
difesa è semplicemente rinviato, senza alcun concorrente pregiudizio, stante la solvibilità del
soggetto temporaneamente sovvenuto.
3.5. Il litisconsorzio con il responsabile del danno.
Testualmente il terzo comma dell’art.141 dispone che l’azione diretta avente ad oggetto il
risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di assicurazione del veicolo sul quale il
danneggiato era a bordo al momento del sinistro; vi è pertanto chi sostiene che in difetto di una
espressa previsione normativa non sia necessario alcun litisconsorzio necessario con il proprietario
o il conducente del veicolo su cui il danneggiato si trovava trasportato al momento dell’incidente.
Tuttavia occorre tener presente anche il richiamo, ove compatibili, alle disposizioni del capo IV del
Codice che consente di ritenere richiamato anche l’art.144, sicché, con riferimento all’azione diretta
esperita dal trasportato potrebbe ritenersi per tal via indiretta ribadita l’esigenza del litisconsorzio
necessario con il responsabile civile, previsto dal 3° comma di tale articolo.
Tale soggetto va identificato, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale risalente alla
sentenza delle Sezioni Unite 11.7.1984 n.4055, formatosi con riferimento al previgente litisconsorzio
(necessario improprio) previsto dall’art.23 della legge 990 del 1969 con la formula “responsabile del
danno”, nel solo proprietario del veicolo (e non già nel conducente o anche nel conducente), per la
tradizionale argomentazione che assegna all’istituto non già un fondamento di carattere probatorio,
ma lo legge piuttosto come strumento di tutela della posizione processuale dell’assicuratore con
l’estensione del contraddittorio al proprietario del veicolo il cui rischio era oggetto di copertura,
consentendogli di opporre l’accertamento della responsabilità al proprietario del veicolo – soggetto
del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale rapporto, specie nella
prospettiva dell’eventuale esperimento dell’azione di rivalsa.
In siffatta prospettiva risulterebbe necessaria l’estensione del contraddittorio nei riguardi del
proprietario del vicolo su cui la vittima si trovava trasportata.
L’argomento sopra ricordato del richiamo indiretto all’art.144, unitamente alla considerazione della
differente espressione usata dal 3° comma dell’art.141 (“l’azione diretta….é esercitata nei confronti
dell’impresa di assicurazione …”) rispetto al 6° comma dell’art.149 (“… può proporre l’azione
diretta … nei soli confronti della propria impresa di assicurazione.”), ipotesi questa in cui non si
pone neppure astrattamente l’esigenza del coinvolgimento dell’assicurato, induce, sia pur con
doverosa cautela, a propendere per la tesi del necessario coinvolgimento nel giudizio del
proprietario del veicolo.
26
La conclusione pare rafforzata da una riflessione sulla ratio dell’istituto del litisconsorzio
necessario ut supra individuata (collegata non già a finalità di carattere probatorio ma preordinata
all’accertamento delle questioni di responsabilità in contraddittorio fra assicurato ed assicuratore, ai
fini dell’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto assicurativo e dell’eventuale esperimento
dell’azione di rivalsa), che sembra consigliare anche in siffatta prospettiva il simultaneo
coinvolgimento dell’assicuratore e del proprietario-assicurato del veicolo vettore.
Non è chi non veda, peraltro, come una questione di tale importanza pratica avrebbe dovuto essere
risolta ben più univocamente dal Legislatore, stanti le conseguenze processuali della pretermissione
di un litisconsorte necessario.
Maggiori dubbi sorgono piuttosto per l’ipotesi dell’intervento dell’impresa assicurativa del
responsabile civile, il che fa sorgere l’interrogativo se in tal caso il contraddittorio dovrebbe essere o
meno esteso al proprietario dell’altro veicolo.
L’alternativa è fra il ritenere che la deroga sia giustificata dalla libera scelta attuata dall’impresa
assicurativa del responsabile, che interviene sua sponte, anziché attendere la richiesta di regresso,
oppure ricavare dal sistema e dal richiamo alle norme del capo IV, la necessità del coinvolgimento
anche del responsabile civile assicurato presso l’impresa interveniente.
3.6. L’azione civile in sede penale.
Una questione interessante attiene all’azione civile proposta in sede penale.
Ci si chiede se il trasportato danneggiato possa esercitare in sede penale l’azione diretta nei
confronti dell’impresa assicuratrice del vettore e se possa quindi evocarla in tale sede quale
responsabile civile ai sensi dell’art.83 c.p.p.
La risposta pare affermativa.
L’art.185, 2° comma, c.p. dispone che “Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o
non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che a norma delle leggi civili
debbono rispondere del fatto di lui.”
L’art.74 c.p.p. prevede che “ L'azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui
all'articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il
reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell'imputatoe del
responsabile civile.”
L’art.83 c.p.c. disciplina la “Citazione del responsabile civile” disponendo che il responsabile
civile per il fatto dell'imputato possa essere citato nel processo penale a richiesta della parte civile e,
nel caso previsto dall'articolo 77, comma 4, a richiesta del pubblico ministero.
E’ pacifico che l’azione esercitata in sede penale è pur sempre la stessa azione, per natura e
caratteristiche attinenti ai profili di legittimazione, attribuita al danneggiato dall’ordinamento
civile, tant’è che l’art.75 c.p.c. disciplina specificamente le ipotesi di trasmigrazione da una sede
all’altra.
La nozione di responsabile civile elaborata in sede giurisprudenziale ha quindi finito con il
comprendere l’assicuratore della responsabilità civile dell’imputato per il fatto ascrittogli come
reato, a co patto che l’ordinamento riconosca una specifica responsabilità ex lege di costui nei
diretti confronti del danneggiato, come avviene nel sistema dell’azione diretta disciplinata dagli
artt.18 e 23 della legge n.990 del 1969.
La questione è stata efficacemente sintetizzata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.112 del
1998, allorché ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art.183 c.p.p. nella parte cui non
permetteva anche all’imputato la chiamata nel giudizio penale del proprio assicuratore della
responsabilità civile obbligatoria da circolazione stradale:
•
“È costituzionalmente illegittimo l'art. 83 c.p.p., nella parte in cui non prevede che, nel caso di
responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria prevista dalla l. 24 dicembre 1969 n.
990, l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell'imputato (la Corte,
considerato che in sede civile è prevista la chiamata in garanzia dell’assicuratore da parte
dell’assicurato convenuto per il risarcimento del danno provocato dalla circolazione di autoveicoli
sottoposti alle norme della legge sulla assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, ha
27
ritenuto in contrasto con il principio di uguaglianza il sistema delineato dagli art. 83 s. c.p.p., per
effetto del quale l’assicuratore, responsabile civile ai sensi di legge, può entrare nel processo penale
solo in forza di citazione della parte civile o in forza del proprio intervento volontario).”(Corte
costituzionale, 16 aprile 1998, n. 112).
Così si espresse la Corte Costituzionale nel sintetizzare la situazione del diritto vivente:
“Nella legge n. 990 del 1969, istitutiva dell'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, interessano, ai fini del giudizio di comparazione devoluto alla Corte
attraverso l'ordinanza di rimessione, gli articoli 18 e 23. Il primo comma dell'art. 18 stabilisce che "il danneggiato per
sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali a norma della presente legge vi è l'obbligo di
assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore, entro i limiti delle somme
per le quali è stata stipulata l'assicurazione". L'art. 23 statuisce che "nel giudizio promosso contro l'assicuratore a
norma dell'art. 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del
danno". Queste due disposizioni, ovviamente da inquadrarsi nel complesso della legge a cui appartengono, bastano, ad
avviso di questa Corte, per collocare la particolare responsabilità civile in questione tra i casi di responsabilità civile ex
lege ai quali si riferisce il comma secondo dell'art. 185 del codice penale quando stabilisce il principio per cui "ogni
reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone
che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui": ovviamente nel processo civile ove l'azione di
responsabilità per danno sia esercitata, per qualsiasi motivo, indipendentemente o separatamente dall'azione penale e
nel processo penale ove vi sia (e finché vi sia) costituzione di parte civile del danneggiato. Un orientamento, questo,
implicitamente confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale, proprio con riferimento alla legge n. 990 del
1969, ha avuto occasione di osservare che la citazione della società assicuratrice si identifica nella creazione di una
"nuova figura di responsabile civile" (v. sentenza n. 24 del 1973, n. 7 del Considerato in diritto). Tale è del resto anche
il pensiero della dottrina e della giurisprudenza; e l'esperienza giudiziaria insegna che esistono casi nei quali la parte
civile cita nel processo penale per reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione di autoveicoli l'impresa
assicuratrice come responsabile civile. Né è qui superfluo rimarcare che sotto questo aspetto il processo penale si
allinea pienamente sul modello del processo civile, nel quale l'art. 18 della legge n. 990 del 1969 abilita il danneggiato
all'azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell'assicuratore.
Quando la Corte di cassazione esclude l'azione civile diretta del danneggiato contro l'assicuratore in sede civile (e
conseguentemente esclude la citazione dell'assicuratore medesimo come responsabile civile nel processo penale) ciò
avviene solo con riferimento a quelle assicurazioni che hanno la loro fonte esclusiva nel contratto, osservandosi che in
questi casi l'assicuratore è soltanto tenuto verso l'assicurato, ovviamente nei limiti del capitale assicurato. Ma la stessa
Corte di cassazione riconosce invece esplicitamente che l'assicurazione obbligatoria della responsabilità civile
derivante da circolazione di autoveicoli a motore e di natanti configura una responsabilità civile dell'assicuratore ex
lege, da inquadrarsi nell'ambito di applicazione dell'art. 185 del codice penale (cfr. ex plurimis Cass. pen., Sez. VI, 8
novembre 1977, n. 15974; Sez. IV, 14 maggio 1987, n. 10910; Sez. IV, 12 aprile 1988, n. 10354; Sez. IV, 10 aprile 1997,
n. 4940).”
A conferma dell’orientamento della Suprema Corte di Cassazione si può ricordare:
“L’assicuratore deve rispondere dei danni cagionati dall’assicurato nei limiti previsti dal contratto e con il vincolo
della solidarietà con il danneggiante. La legge del 24 dicembre 1969 n. 990, che consente la citazione diretta
dell’assicuratore, ha introdotto una nuova figura di responsabile civile che non è in contrasto con i principi generali di
cui all'art. 185 c.p. e risponde alla finalità di rafforzare la garanzia di risarcimento per il danneggiato.”(Cassazione
penale , sez. VI, 8 novembre 1978, Cardini; cfr anche Cassazione penale , sez. IV, 10 aprile 1997, n. 4940; Cassazione
penale, sez. IV, 24 gennaio 1990; Cassazione penale, sez. IV, 16 gennaio 1989; Cassazione penale, sez. IV, 14 maggio
1987).
Si può quindi ritenere che sussista la legittimazione di un soggetto a partecipare al processo penale
in qualità di responsabile civile solo se contemporaneamente sia presente un imputato del cui
operato debba rispondere “per legge”, non essendo viceversa sufficiente il fondamento della
responsabilità su di un diverso titolo, ad esempio di origine contrattuale (da ultimo Cass.pen,
sez.VI, 27.10.2005 n.39388).
Sulla base di tali premesse la risposta non è disagevole:
• se l’azione esercitata è pur sempre la stessa in sede civile e in sede penale;
• se la chiamata dell’assicuratore quale responsabile civile nel processo penale non è
consentita per il solo fatto della relazione contrattuale intercorsa con l’imputato ( in
forza della quale si sia impegnato a tenerlo indenne dalla responsabilità azionata
dalla parte civile), ma si collega all’esistenza di una responsabilità ex lege gravante
sull’assicuratore, che lo configura come responsabile ai sensi del 2° comma
dell’art.185 c.p.;
28
•
•
•
se quindi la legittimazione passiva ex art.83 c.p.c. dell’assicuratore dell’imputato in
tanto sussista in quanto sia prevista una azione diretta del danneggiato verso di esso,
come avviene in tema di assicurazione obbligatoria r.c.a.;
appare chiaro che in caso di lesioni del trasportato, chiunque sia l’imputato fra i
conducenti dei veicoli coinvolti, l’assicuratore r.c.a. del vettore, quale soggetto
chiamato a rispondere dell’azione diretta ex art.141 C.d.a. è legittimato quale
responsabile civile ex art.83 c.p.p., oltre all’assicuratore dell’effettivo responsabile
nella specifica ipotesi di esuberanza del massimale di cui all’ultima parte del 1°
comma, dell’art.141;
non si scorge motivo per cui non debba essere applicabile anche in sede penale la
disciplina dell’estromissione sostitutiva di cui al 3° comma dello stesso articolo.
4. L’azione diretta ex art.149 del Codice delle assicurazioni.
4.1. Il referente normativo.
L’art.149 del Codice delle assicurazioni, dedicato alla “Procedura di risarcimento diretto” recita con
disposizioni radicalmente innovative rispetto al sistema previgente:
“1. In caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal
quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di
risarcimento all’impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato.
2. La procedura di risarcimento diretto riguarda i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà
dell’assicurato o del conducente. Essa si applica anche al danno alla persona subito dal conducente non responsabile se
risulta contenuto nel limite previsto dall’articolo 139.
La procedura non si applica ai sinistri che coinvolgono veicoli immatricolati all’estero ed al risarcimento del danno
subito dal terzo trasportato come disciplinato dall’articolo 141.
3. L’impresa, a seguito della presentazione della richiesta di risarcimento diretto, è obbligata a provvedere alla
liquidazione dei danni per conto dell’impresa di assicurazione del veicolo responsabile, ferma la successiva regolazione
dei rapporti fra le imprese medesime.
4. Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta, l’impresa di assicurazione provvede al pagamento entro
quindici giorni dalla ricezione della comunicazione e il danneggiato è tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida
anche nei confronti del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione.
5. L’impresa di assicurazione, entro quindici giorni, corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato
di non accettare l’offerta o che non abbia fatto pervenire alcuna risposta. La somma in tale modo corrisposta è imputata
all’eventuale liquidazione definitiva del danno.
6. In caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto ovvero nel caso di mancata
comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall’articolo 148 o di mancato accordo, il
danneggiato può proporre l’azione diretta di cui all’articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di
assicurazione. L’impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può
estromettere l’altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ferma restando, in ogni caso, la
successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell’ambito del sistema di
risarcimento diretto.”
4.2. La configurazione dogmatica.
La caratteristica del nuovo sistema, di settoriale applicazione, sta nel fatto che la vittima deve
rivolgersi per conseguire il risarcimento all’impresa assicurativa che copre la sua responsabilità
civile, che deve procedere all’indennizzo, salvo rivalsa successiva verso l’impresa assicurativa del
responsabile.
La dottrina tende a configurare nel rapporto giuridico così delineato la figura del mandato ex lege
(con sostituzione legale), attribuendo alla impresa assicurativa del danneggiato il ruolo di mandatario
dell’impresa assicurativa del responsabile, caricandola di tutti gli obblighi su questa gravanti.
E’ stata ipotizzata la configurazione in termini di successione nel lato passivo del rapporto
obbligatorio, con la prospettazione alternativa delle figure della delegazione, dell’espromissione o
dell’accollo, tutte in realtà da rifiutarsi all’esito di attenta analisi:
29
•
•
•
la prima (delegazione) perché il pagamento al danneggiato da parte del suo assicuratore non
va ad estinguere alcun rapporto di credito fra le due imprese assicurative (e anzi lo fa
sorgere);
la seconda (espromissione) perché l’impresa solvens paga per conto altrui ed estingue quindi
un debito che non è proprio;
idem per la terza (accollo).
4.3. L’ambito di applicazione.
Si tratta di individuare il ristretto ambito di applicazione della nuova disciplina sulla scorta
dell’art.149 e del Regolamento 253/2006.
I confini del campo di applicazione attengono:
a) al tipo di sinistro;
b) al luogo del sinistro;
c) al tipo di veicoli coinvolti;
d) alla categoria dei danneggiati;
e) alla tipologia dei danni indennizzabili;
f) alle cause del danno sotto il profilo della responsabilità del sinistro.
4.3.1. Il tipo di sinistro.
Il confine relativo al tipo, esige che il sinistro, riguardi soltanto due veicoli (e non tre o più).
Il dubbio è per l’ipotesi in cui oltre a due veicoli siano coinvolti altri soggetti (un pedone o un
soggetto proprietario di un bene immobile); in dottrina si tende ad escludere, plausibilmente,
dall’ambito di applicabilità siffatta ipotesi, sia perché il sistema dell’indennizzo diretto presuppone il
coinvolgimento di assicuratori potenzialmente attinti dalla responsabilità ingenerata dalla copertura,
sia perché sussisterebbero gravi problemi di coordinamento con l’istituto (assai discusso) del
litisconsorzio necessario di cui all’art.140, 4° comma.
4.3.2. Il luogo del sinistro.
Il confine relativo al luogo, esige che il sinistro sia avvenuto in Italia, non necessariamente fra
italiani, ma con il coinvolgimento di veicoli immatricolati in Italia (art.149, 2° comma); per vero,
l’art.4 del Regolamento ammette (con effetto estensivo rispetto alla legge primaria) l’applicabilità
della disciplina anche ai sinistri che coinvolgano veicoli immatricolati nella repubblica di San
Marino e nello Stato della Città del Vaticano, purché assicurati con imprese che esercitino
l’assicurazione obbligatoria r.c.a. ex artt.23 e 24 del Codice e che abbiano aderito al sistema di
indennizzo diretto.
E’ ovvio che l’applicabilità della disciplina presuppone l’applicabilità della legge italiana secondo le
regole di diritto internazionale privato (potendo essere esclusa l’applicabilità della legge italiana per
un sinistro pur verificatosi in Italia ex art.62, 2° comma, della legge 218 del 1995: coinvolgimento
solo di cittadini di un medesimo Stato in esso residenti).
Il nuovo Regolamento CE 864/07 dell’11.7.2007 (in vigore dall’11.1.2009) sulla legge applicabile
alle obbligazioni contrattuali (c.d. “Roma II”) non contiene disposizioni specifiche relative alla
responsabilità extracontrattuale da sinistro stradale.
La norma generale ivi dettata quanto alle obbligazioni extracontrattuali da fatto illecito (art.4, 1°
comma) sancisce l’applicabilità della legge in cui il danno si verifica, indipendentemente dal paese
in cui è avvenuto il fatto che ha dato origine al danno e a prescindere dal paese o dai paesi in cui si
verificano le conseguenze indirette di tale fatto; in materia di sinistri stradali, in cui normalmente il
luogo di realizzazione della condotta coincide con quello dell’evento lesivo, la regola non comporta
sostanziali modificazioni rispetto all’art.62 , 1° comma della legge 218 del 1995, che ovviamente ha
portata più vasta (non ristretta al mero ambito comunitario) ed assegna rilievo alla legge dello Stato
in cui si è verificato l’evento).
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Il 2° comma dello stesso art.4 prevede poi l’applicabilità della legge dello Stato in cui sia il
presunto responsabile sia la parte lesa risiedano abitualmente nel momento in cui il danno si
verifica: ed anche questa ipotesi non differisce sostanzialmente dall’art.62, 2° comma , della legge
218 del 1995 quanto alla materia dei sinistri stradali.
Detto ciò quanto alla legge nazionale applicabile, vale la pena di segnalare, quanto alla competenza
territoriale, che una recente sentenza della Corte di Giustizia del 13.12.2007, resa nel procedimento
C-463/06, resa su questione pregiudiziale interpretativa ai sensi dell’art. 234 CE, ha stabilito che il
rinvio effettuato nell’art. 11, n. 2, del Regolamento (CE) 22.12.2000, n. 44/2001 (concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e
commerciale) al precedente art. 9, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento deve essere interpretato nel
senso che la persona lesa possa proporre un’azione diretta contro l’assicuratore (purché domiciliato
nel territorio di uno Stato membro) dinanzi al giudice del luogo dello Stato membro in cui è sito il
domicilio della parte lesa stessa, sempre che una siffatta azione diretta sia consentita.
4.3.3. Il tipo di veicoli coinvolti.
Il limite relativo al tipo di veicoli coinvolti presuppone il coinvolgimento di veicoli a motore,
identificati e assicurati per la r.c. obbligatoria.
Sono pertanto esclusi i sinistri in cui sia coinvolto un veicolo non identificato ovvero un velocipede.
Risultano compresi invece i veicoli identificati soltanto a posteriori.
Il requisito dell’assicurazione presuppone una polizza r.c.a. da chiunque stipulata che copra la
responsabilità civile connessa alla circolazione di quel mezzo, anche scaduta, purché nel termine di
15 giorni previsto dall’art.1901 c.c.
4.3.4. La categoria dei danneggiati.
Il limite relativo alla categoria dei danneggiati rende la procedura applicabile:
• ai danni al veicolo, sopportati normalmente dal proprietario ovvero da altro soggetto che
possa vantare un diritto al risarcimento (usufruttuario, utilizzatore in leasing); qualche dubbio
potrebbe scaturire dalla formulazione del 2° comma, ma al risultato interpretativo si può
pervenire ritenendo altrimenti ingiustificata l’esclusione di alcune categorie di assicurati dal
risarcimento del danno al veicolo (ad esempio lo stesso utilizzatore in leasing gravato
contrattualmente dalla responsabilità nei confronti del concedente) sulla base di una
interpretazione costituzionalmente orientata;
• ai danni alle cose trasportate sul veicolo di proprietà dell’assicurato o del conducente; il
Regolamento parrebbe restringere l’ambito ai danni patiti alle cose trasportate solo se
appartenenti a conducente o proprietario (art.1, lettera e) ma al proposito è evidente
l’illegittimità della disposizione regolamentare che si pone contra legem, escludendo il diritto
al risarcimento con procedura diretta per i danni alle cose trasportate di proprietà di
assicurati non proprietari;
• ai danni alla persona subiti dal conducente non responsabile, purché contenuto nei limiti di
cui all’art.139 (lesioni di lieve entità fino al 9% di danno biologico permanente).
Sono invece esclusi i danni ai terzi trasportati, soggetti alla disciplina dell’art.141.
4.3.5. La tipologia dei danni indennizzabili.
Il limite relativo alla tipologia dei danni indennizzabili così circoscrive il campo dell’applicabilità
del procedimento diretto:
a) per i danni a cose:
• il danno al veicolo sempre indennizzabile;
• il danno alle cose trasportate è indennizzabile se di proprietà dell’assicurato, conducente,
proprietario, utilizzatore in leasing….);
• il danno a cose esterne al veicolo: mai.
b) per i danni alla persona:
31
•
il danno è indennizzabile solo se patito dal conducente, proprietario o titolare di altro diritto
sul veicolo o meno che sia);
• nel concetto di danno alla persona è ricompreso sia il danno biologico, sia il danno morale,
sia il danno patrimoniale (l’interpretazione è necessitata dall’esigenza logica di non
sdoppiare le procedure e dalla necessità di dare un senso alla previsione di cui all’art. 6
comma 2 del Regolamento);
• il danno biologico non deve essere superiore al 9%; anche se la legge è affetta da una certa
improprietà, la logica e il buon senso (che si collegano alla tradizionale configurazione delle
lesioni di lieve entità come la categoria minima di danno alla persona) impongono di ritenere,
diversamente da quanto da alcuni pur autorevolmente opinato, che il danno biologico
meramente temporaneo debba essere risarcito attraverso la procedura di indennizzo diretto.
Del resto, l’art.149, 2° comma, esige solo che il danno alla persona sia contenuto entro il limite di
cui all’art.139, che considera anche l’ipotesi del danno biologico temporaneo.
Qualche dubbio sussiste per l’ipotesi del danno alla persona con invalidità biologica temporanea,
senza postumi invalidanti produttivi di danno biologico permanente, che abbia provocato un danno
patrimoniale di rilevante entità (si pensi al lucro cessante di un grande professionista).
L’art.3 del Regolamento sembra in linea con questa interpretazione visto che si riferisce
semplicemente alle lesioni di lieve entità.
Credo sia applicabile la procedura di indennizzo diretto, se non altro per coerenza sistematica,
tenuto conto che, per esempio, neppure per i danni materiali vi è limite di valore (si pensi al danno
alla Ferrari d’epoca o al danno al quadro di grande valore trasportato sulla vettura).
4.3.6. Le cause del danno sotto il profilo della responsabilità del sinistro.
Secondo una prima lettura della disposizione del Codice la procedura sarebbe applicabile senza
limiti connessi al grado di responsabilità per quel che concerne il danno al veicolo o alle cose
trasportate (nel senso cioè che tale danno dovrebbe essere richiesto attraverso il sistema diretto
anche in caso di concorso di colpa del danneggiato), mentre così non sarebbe per l’ipotesi del danno
alla persona subito dal “conducente non responsabile” (con la conseguenza che il conducente anche
in caso di lieve concorso dovrebbe sempre rivolgersi alla Compagnia della controparte).
La stessa interpretazione ravviserebbe poi una discrasia con il tenore del Regolamento, che all’art.5
sembrerebbe far riferimento ad un mero elemento soggettivo, ossia alla convinzione del danneggiato
di non essere responsabile (per vero riferita ad ogni richiesta di attivazione della procedura di
risarcimento diretto), dal momento che il primo comma dell’art.5 si riferisce al “danneggiato che
ritiene non responsabile, in tutto o in parte, del sinistro” e il terzo comma considera poi la
comunicazione rivolta dall’impresa assicurativa del danneggiato all’impresa “dell’assicurato
ritenuto in tutto o in parte responsabile del sinistro”.
Tale interpretazione dovrebbe peraltro condurre ed in effetti conduce i suoi autori a ritenere
l’invalidità in parte qua del Regolamento per contrarietà alla legge e comunque attribuisce un
incongruo rilievo alla convinzione soggettiva del danneggiato, normalmente del tutto ininfluente ai
fini risarcitori.
La soluzione più ragionevole a nostro parere è:
• escludere che la legge con il riferimento alla qualità di “non responsabile” abbia
semplicemente voluto riferirsi alla qualità che legittima alla percezione del risarcimento, così
legittimando alla richiesta anche il corresponsabile del sinistro per la quota di danno a lui non
addebitabile;
• ciò avrebbe inoltre il pregio di rendere omogenea la strada da percorrere, sia per il danno a
cose, sia per il lieve alla persona del conducente corresponsabile;
• tra l’altro, la discriminazione di trattamento risulterebbe priva di alcun senso ed alcuna
ragionevole giustificazione;
• non si registrerebbe alcuna illegittimità del Regolamento, che si limiterebbe ad attuare la
norma primaria così interpretata;
32
•
•
•
il riferimento alla convinzione soggettiva contenuta nell’art.5 verrebbe logicamente
depotenziato e letto semplicemente come rivolto a chiarire il dato ovvio che la richiesta
risarcitoria presuppone, in tutto o in parte, la non responsabilità del danneggiato richiedente e
che sia pertanto ammissibile richiedere il risarcimento in via diretta per la quota di esenzione
dalla responsabilità;
in buona sintesi, anche il conducente corresponsabile potrebbe e dovrebbe chiedere
l’indennizzo alla compagnia che assicura per la r.c.a. il veicolo da lui condotto nel caso di
incidente provocato da corresponsabilità concorsuale;
infine risulterebbe piuttosto incongruo il richiamo alle regole di graduazione delle
corresponsabilità di cui all’art.12 del Regolamento e al relativo Allegato 1, previste in
applicazione della delega di cui all’art.150 del Codice, se queste dovessero servire solo ai
fini della responsabilità per danni a cose.
4.4. Il pagamento.
Il comma 4° dell’art.149 dispone che “Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta,
l’impresa di assicurazione provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della
comunicazione e il danneggiato è tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida anche nei
confronti del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione”.
E’ stata messa in luce l’improprietà terminologica del ricorso al concetto di validità della quietanza
(in una ipotesi in cui sarebbe parso più congruo il ricorso alla nozione di opponibilità o di effetto
liberatorio del pagamento) e comunque l’inutilità di una disposizione, volti meramente a reiterare il
principio generale di cui all’art.1199 c.c.
4.5. La legittimazione passiva.
Una delle questioni più importanti da risolvere attiene al rapporto che intercorre fra la responsabilità
del mandatario ex lege e quella degli altri soggetti coinvolti nel rapporto.
Nessuno dubita che l’esperibilità dell’azione diretta verso il proprio assicuratore della r.c.a.
connessa alla circolazione del veicolo, codificata dal Codice e disciplinata dal Regolamento, non
incida in alcun modo sull’azionabilità giurisdizionale dei diritti al risarcimento nei confronti del
conducente e del proprietario del veicolo antagonista alla stregua degli artt.2043 e 2054 c.c., poiché
tali norme non sono state minimamente toccate dalla riforma, che comunque non avrebbe potuto
farlo in totale difetto di delega.
Ovviamente il conducente e il proprietario del veicolo antagonista eventualmente citati in giudizio,
potranno chiamare in causa ex art.1917 c.c. la propria impresa assicurativa: ciò tuttavia non può
essere ritenuto una elusione del sistema dell’indennizzo diretto ma solo una lineare conseguenza
scaturente dai principi generali dell’ordinamento, costituzionalmente inevitabile.
Rimane peraltro ben fermo il principio che anche per tale tipo di azione la proponibilità resta
condizionata alla preventiva richiesta di indennizzo rivolta alla propria impresa ai sensi dell’art.149
del Codice.
E’ il caso al proposito di segnalare un ingegnoso tentativo di risolvere a proprio favore la disputa sul
terreno del diritto processuale, effettuato dagli oppositori della teoria, assolutamente preferibile (cfr
supra, § 1), della persistenza delle azioni ordinarie ex artt.2043 e 2054 c.c. verso il conducente e il
proprietario del veicolo antagonista, che trae origine dal loro convincimento (per vero tutt’altro che
campato in aria) che la persistenza di tali azioni ordinarie potrebbe vanificare ed eludere il nuovo
sistema dell’azione diretta, consentendo l’introduzione di azioni rivolte contro il privato antagonista,
in cui poi sarebbe inevitabilmente coinvolta, nella normalità dei casi ex art.1917, 4° comma, c.c.,
l’impresa assicuratrice del responsabile.
Essi sostengono che la disposizione di cui al 6° comma dell’art.149 C.d.ass., secondo cui il
danneggiato può proporre l’azione diretta nei soli confronti della propria impresa di
assicurazioni, se non estirpa dall’ordinamento le azioni ordinarie ai sensi dell’art.2043 e 2054 c.c.
(operazione questa preclusa dagli sbarramenti costituzionali segnalati nel § 1) perlomeno impedisce
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la loro proposizione congiunta all’azione diretta introdotta dalla citata disposizione, introducendo un
limite al cumulo processuale delle azioni.
E tuttavia non si scorte come regole fondamentali del processo civile in tema di cumulo soggettivo e
litisconsorzio facoltativo ex artt.33 e 103 c.p.c. possano essere state surrettiziamente modificate da
una disciplina dichiaratamente volta ad ampliare il fronte della tutela del soggetto danneggiato e in
forza della sinteticissima delega più volte richiamata di cui alla legge 229 del 2003, sicuramente
inidonea a conferire al Governo il potere di rivoluzionare l’assetto delle linee portanti del sistema
processuale civile (il che, quantomeno, gioca un ruolo dirimente nella scelta dell’interpretazione
costituzionalmente orientata fuor dalla rotta di collisione con l’art.76 Cost.).
Tornando al punto, va detto che la riforma ha semplicemente eliminato l’art.18 della legge 990 del
1969, sostituendolo con il nuovo sistema, che conserva un perfetto parallelismo fra il rapporto
stragiudiziale della procedura di risarcimento e la legittimazione passiva ad causam poiché, nel caso
di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto ovvero nel caso di mancata
comunicazione di offerta o di diniego di offerta, l’azione diretta può essere esperita solo contro la
propria impresa di assicurazioni.
All’esito la domanda giudiziale pertanto dovrà essere proposta contro la propria impresa e non
contro l’impresa della r.c.a. dell’altro veicolo coinvolto, che ha facoltà di intervento ma non può
essere convenuta in giudizio, a ciò ostando il divieto legale opposto dal “soltanto” e la mancanza di
una idonea azione diretta generale.
Credo che a tale regola possa ragionevolmente essere apportata una eccezione, e ciò nel caso in cui
l’impresa assicurativa spieghi al proprio assicurato le ragioni che non permettono di ritenere
esperibile la procedura diretta e il richiedente le ritenga fondate e condivisibili.
In tal caso non v’è ragione alcuna per cui il danneggiato debba citare in giudizio la propria
Compagnia e non quella del responsabile effettivo.
Tuttavia, dal combinato disposto dell’art.145, 1° comma, e 148 del Codice, nonché dalla logica
complessiva del sistema, si desume che la proponibilità della domanda verso l’assicuratore del
responsabile implica, pur sempre, che a costui sia stata indirizzata la richiesta di risarcimento,
perlomeno per conoscenza (cfr art.145, 2° comma), e che sia decorso lo spatium deliberandi.
Alquanto incongrua è pure la terminologia utilizzata dal Legislatore delegato per descrivere l’attività
processuale realizzabile dall’impresa del responsabile, che può chiedere di intervenire (ed al
proposito era sufficiente l’intervenire e basta) e potrebbe addirittura “estromettere” l’impresa del
danneggiato (laddove invece dovrebbe richiederlo al Giudice, che a sua volta dovrebbe pur sempre
controllare la sussistenza dei presupposti della fattispecie: ossia, ad esempio, che si tratti proprio
dell’impresa assicurativa del responsabile).
L’intervento con estromissione parrebbe possibile solo da parte dell’impresa che contestualmente
riconosca la responsabilità del proprio assicurato; è evidente che la ritenuta ammissibilità della
procedura diretta in caso di responsabilità concorsuale permette di riconoscere gli effetti sopra
richiamati anche all’intervento dell’impresa che riconosca la responsabilità del proprio assicurato nei
limiti del concorso dedotto dall’attore.
Non v’è ragione logica però per non ammettere un riconoscimento parziale (per esempio nel caso in
cui l’impresa del responsabile riconosca una responsabilità prevalente o concorsuale del proprio
assicurato e non la responsabilità piena dedotta dall’attore), giacché anche in tal caso sussiste un
ovvio interesse dell’impresa de qua a discutere dei profili del quantum che non intenda delegare
all’altra impresa del danneggiato.
In giurisprudenza è stata sostenuta una difforme opinione volta ad accreditare la contemporanea
proponibilità dell’azione ex art.149 nei confronti della propria impresa assicurativa e dell’ordinaria
azione diretta ex art.144 nei confronti dell’impresa del responsabile civile, fondata essenzialmente
sul carattere generale dell’enunciato di tale ultima norma e sulla facoltatività dell’esercizio
dell’azione diretta di cui all’art.149 ricavata in via testuale dal verbo “può” contenuto nel 6° comma.
La tesi non persuade per molte ragioni:
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•
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•
•
•
•
la discrasia che si creerebbe fra il destinatario della richiesta stragiudiziale e il
possibile destinatario della domanda;
la lettera del 6° comma dell’art.149, che prevede l’esperimento dell’azione diretta nei
soli confronti della propria impresa assicurativa;
la carenza di un apprezzabile funzione al riconoscimento del possibile intervento
dell’impresa assicurativa del responsabile;
l’eccessivo rilievo conferito all’uso della forma verbale “può” utilizzata dal
Legislatore nel 6° comma, che ben può essere spiegata con il carattere potestativo e
discrezionale dell’esercizio del diritto di azione giudiziale;
l’assoluta carenza di una apprezzabile ratio in una disciplina che consenta la
proposizione dell’azione verso l’una o l’altra delle imprese assicuratrici dei veicoli
coinvolti nel sinistro, ad arbitraria discrezione del danneggiato, oltretutto circoscritta
solo ad alcune tipologie, minori, di incidenti;
il contrasto evidente della ricostruzione criticata con la ratio pacificamente attribuita
all’intervento normativo, volto a prevenire i costi del contenzioso nel comune
interesse delle imprese e dei consumatori con la definizione delle procedure di
liquidazione per i danni di minor entità nel contesto del rapporto contrattuale e del
clima fiduciario che lega l’assicurato e il proprio assicuratore.
4.6. La comunicazione all’impresa del responsabile.
Vi è un altro profilo di incongruenza che esige un attento esame.
L’art.145, 2° comma, onera il danneggiato dell’invio non solo della lettera raccomandata a.r. al
proprio assicuratore ma anche dell’invio per conoscenza all’impresa di assicurazioni dell’altro
veicolo coinvolto, parrebbe quale ulteriore elemento di fattispecie condizionante la proponibilità
della domanda.
L’art.5, 2° comma, del Regolamento ammette equipollenti alla lettera raccomandata a.r.
(raccomandata a mano, telegramma, telefax e anche a condizione di non espressa esclusione anche
mediante posta telematica).
Il primo dubbio è se siffatti strumenti equipollenti soddisfano la condizione di procedibilità prevista
dall’art.145, 2° comma.
In secondo luogo, viene da chiedersi che significato abbia il 3° comma dello stesso articolo che
prevede che l’onere di informazione all’impresa del responsabile sia soddisfatto a cura dell’impresa
assicurativa del danneggiato e dei rapporti fra tale adempimento e il 2° comma dell’art.145.
In terzo luogo, sorge il dubbio dell’illegittimità del Regolamento nel punto in cui prevede la
comunicazione all’impresa del responsabile delle sole informazioni necessarie per la verifica della
copertura assicurativa e per l’accertamento delle modalità del sinistro: il che esclude sicuramente le
informazioni di cui al punto g) del 1° comma dell’art. 6 del Regolamento, attinente la possibilità di
esame delle cose danneggiate e di cui ai punti da a) ad e) del 2° comma, ossia le informazioni tutte
relative alla persona del danneggiato e alla consistenza del relativo danno.
La considerazione delle disposizioni regolamentari sotto il profilo della equipollenza degli
adempimenti previsti nel Regolamento rispetto a quelli previsti nel Codice può forse indurre a
ritenere superabili i problemi sub 1 e 2 precedentemente individuati, nel senso che le modalità più
snelle previste dal Regolamento e il coinvolgimento cooperativo dell’impresa del danneggiato nella
comunicazione all’impresa del responsabile possono forse ritenersi strumenti idonei a soddisfare
sostanzialmente gli obiettivi prefissi dalla legge, tenuto conto dell’ampiezza della delega contenuta
nell’art.150 alla lettera b) del 1° comma, con riferimento al contenuto e alle modalità di
presentazione della denuncia e alla lettera e), relativamente ai principi di cooperazione fra le
imprese in una prospettiva di beneficio per gli assicurati.
Non si scorge tuttavia come sia superabile il terzo problema, laddove la soluzione prevista dal
Regolamento va a ledere chiaramente il diritto di informazione dell’impresa del responsabile (che
nulla viene a conoscere preventivamente in ordine al quantum dei danni), con significativa ed
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esiziale ripercussione sulla possibilità di esercizio consapevole e mirato del diritto previsto dal 6°
comma dell’art.149 di intervento in causa in prima persona del soggetto concretamente chiamato a
erogare in ultima analisi il risarcimento e a sopportarne il costo.
La soluzione inevitabile appare quindi che il Regolamento in tale parte debba essere ritenuto
illegittimo o quantomeno debba ritenersi che la proponibilità della domanda possa essere assicurata
solo dall’invio a cura del danneggiato o in via di cooperazione dalla sua impresa all’impresa del
responsabile di una richiesta che contenga tutti gli elementi di cui all’art.6.
4.7. Il litisconsorzio nell’azione diretta in caso di applicabilità dell’art.149 del Codice.
A rigore l’art.149, 6° comma, prevede l’esperimento dell’azione diretta “nei soli confronti” della
propria impresa di assicurazioni.
Ciò esclude – come si è visto - la proposizione della domanda diretta verso l’assicuratore del
responsabile civile, che può tuttavia decidere di intervenire nel giudizio promosso con azione diretta
verso il suo mandatario ex lege (ossia l’assicuratore r.c.a. del danneggiato) e consentirne così
l’estromissione.
Non si pone pertanto, in linea di massima, la necessità del coinvolgimento nel giudizio
dell’assicurato-proprietario del veicolo, il cui rischio da circolazione è coperto dall’impresa
assicurativa convenuta, per la semplice ragione che esso in linea di massima coincide con la figura
dello stesso attore.
In linea di massima soltanto, peraltro: si è detto infatti che il risarcimento diretto è applicabile anche
nel caso di danni alle cose trasportate e alla persona del conducente del veicolo coinvolto nello
scontro.
In tal caso (come nel caso, parzialmente analogo, dell’azione esperita dal proprietario del veicolo
assicurato che non sia però il contraente della polizza che copre la circolazione del veicolo
assicurato) viene da chiedersi se il contraddittorio debba essere esteso anche al proprietarioassicurato (prima ipotesi) o al contraente di polizza (seconda ipotesi), sulla base della ratio
storicamente attribuita all’istituto del litisconsorzio necessario improprio di cui all’art.23 della legge
n.990 del 1969, in qualche misura trasponibile al litisconsorzio di cui al 3° comma dell’art.144 del
Codice.
Dopo lungo dibattito e pur nel dissenso di una parte della dottrina, la giurisprudenza di legittimità si
era stabilmente attestata sull’orientamento espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite 11.7.1984
n.4055, che aveva affermato che il litisconsorzio (necessario improprio) previsto dall’art.23 della
legge 990 del 1969 con la formula “responsabile del danno” riguardava il solo proprietario del
veicolo (e non già il conducente o anche il conducente), non ritenendo che il fondamento dell’istituto
fosse di carattere probatorio, ma mirasse piuttosto a tutelare la posizione processuale
dell’assicuratore con l’estensione del contraddittorio al proprietario del veicolo il cui rischio era
oggetto di copertura, consentendogli di opporre l’accertamento della responsabilità al proprietario
del veicolo – soggetto del rapporto assicurativo, ai fini dell’esercizio dei diritti nascenti da tale
rapporto, specie nella prospettiva dell’eventuale esperimento dell’azione di rivalsa.
Parrebbe proprio di no alla luce della chiara lettera dell’art.149, 6° comma, e del rinvio ivi
contenuto all’art.145, 2° comma, senza alcuna menzione dell’art.144 del Codice, in linea generale, e
del litisconsorzio ivi previsto al 3° comma, in linea particolare.
Analogamente nel caso in cui la compagnia assicurativa del responsabile intervenga in causa,
riconoscendo la responsabilità e così consentendo l’estromissione della compagnia del danneggiato,
ovvero, se si accede all’opinione sopra espressa, intervenga in causa, riconoscendo la concorrente
responsabilità del proprio assicurato, con la conseguente compresenza di entrambe le imprese
assicurative dei veicoli coinvolti, nulla è previsto in ordine alla partecipazione al giudizio del
responsabile civile della circolazione dell’altro veicolo coinvolto.
Nulla dice in proposito l’art.149, che richiama il secondo comma dell’art.145, e non l’art.144, 3°
comma; nulla parimenti prevede il 6° comma dell’art.149, che non contempla neppure in quel caso
la necessità del coinvolgimento del proprietario dell’altro veicolo.
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La regolamentazione è sensibilmente diversa da quella apprestata per l’azione del trasportato di cui
all’art.141 del Codice, laddove la norma, nell’ammettere l’azione nei riguardi dell’impresa
assicuratrice del veicolo in cui la vittima si trovava trasportata non circoscrive l’individuazione del
destinatario dell’azione con l’avverbio “solo”e richiama non già il solo art.145 ma anche, ove
compatibili, tutte le disposizioni del capo IV.
Le soluzioni sono sostanzialmente tre:
• ritenere che nei casi di applicabilità del risarcimento diretto, la minor importanza della posta
in gioco giustifichi una diversa regolamentazione del coinvolgimento del soggetto civilmente
responsabile e pertanto non preveda, in alcun modo, il litisconsorzio del responsabile del
danno;
• ritenere, almeno per l’ipotesi di intervento della impresa assicurativa del responsabile ex
art.149, 6° comma, che la perfetta analogia di situazione che si viene a creare rispetto alla
normale azione diretta ex art.148 del Codice, imponga, in via di interpretazione sistematica,
l’applicabilità del 3° comma dell’art.144, e così l’integrazione del contraddittorio con il
responsabile del danno (tesi che sembra radicalmente insostenibile per l’azione diretta verso
la propria impresa assicurativa esperita dal danneggiato, vista l’inequivoca formula
legislativa “nei soli confronti”);
• ravvisare una discriminazione di trattamento del tutto ingiustificata fra due fattispecie
consimili, in difetto di una adeguata ratio giustificatrice, se è vero che la ratio dell’istituto
del litisconsorzio necessario improprio ex art.144 permane quella di agevolare la posizione
processuale dell’assicuratore nei confronti del proprio assicurato con l’opposizione del
giudicato sull’an e sul quantum della responsabilità; vi è però da obiettare che nel caso di
cui all’art.149, 6° comma, la rinuncia alla garanzia processuale apprestata dal litisconsorzio
con l’assicurato scaturisce pur sempre da una libera e discrezionale scelta difensiva della
impresa assicurativa del responsabile.
4.8. L’azione civile in sede penale.
Quanto alla proposizione dell’azione civile in sede penale, pur sempre possibile anche nell’ipotesi in
cui il danno alla persona sia di modesta entità, la debita trasposizione al caso di specie delle
osservazioni svolte nel corso del precedente § 3.6., mutatis mutandis, sembra ragionevolmente
condurre a ritenere che in siffatta ipotesi il responsabile civile debba essere individuato nell’impresa
assicurativa della stessa parte lesa, unico assicuratore nei cui confronti il danneggiato disponga in
forza di legge dell’azione diretta.
4.9. Le prime fasi della gestione della procedura di risarcimento diretto: prime indicazioni e
possibili sviluppi critici.
La prima fase della gestione della procedura di indennizzo diretto viene descritta dai responsabili
delle imprese assicurative come un autentico successo, quantomeno in termini di deflazione del
contenzioso (che viene riferita in termini di ingente consistenza).
Le Imprese hanno fronteggiato la nuova disciplina istituendo una procedura di cui il primo cardine
è la tempestiva segnalazione da parte dell’Impresa del responsabile, contattata dall’Impresa adita
dal proprio assicurato per ottenere in via diretta il risarcimento del danno, delle informazioni utili a
verificare l’applicabilità della procedura (prima fra tutte, quelle inerenti la sussistenza della
copertura) e a valutare la distribuzione delle responsabilità della collisione.
Al riguardo mi è stato riferito che le Compagnie hanno adottato, almeno in linea di massima, un
sistema molto grossolano e semplificato di distribuzione delle responsabilità, che evita
l’attribuzione di percentuali di concorso troppo sensibili: parrebbe che la valutazione si riduca a sole
tre ipotesi: torto, ragione e concorso al 50%.
La convenzione stipulata fra le Imprese prevede, di regola, la liquidazione della rivalsa in via
automatica e sulla base di un forfait; in tal modo l’impresa adita dal proprio assicurato si trova
nell’alternativa di pagare più generosamente del forfait, per improntare la propria condotta
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commerciale ad un buon rapporto con la clientela, e incassare attraverso il sistema della stanza di
compensazione solo l’importo del forfait, oppure adottare un atteggiamento più severo con i propri
assicurati e tenersi bassa rispetto al forfait, correndone i rischi sul piano commerciale ma lucrando
qualcosa sul piano finanziario.
Pare che solo eccezionalmente si ricorra alla procedura arbitrale, pure astrattamente contemplata,
per regolare il rapporto interno, normalmente gestito attraverso la compensazione forfettaria delle
reciproche partite.
In effetti la nuova disciplina del risarcimento diretto, applicabile alla gran parte dei sinistri, di entità
meno grave, sposta la frontiera del rapporto sul versante della relazione contrattuale fra assicuratore
ed assicurato e accentua la rilevanza della politiche commerciali di gestione della clientela.
Sembra logico quindi pronosticare che buon assicuratore verrà ritenuto e come tale premiato dal
mercato non solo chi esigerà premi meno esosi ma anche chi risarcirà in modo congruo, veloce ed
efficiente il proprio assicurato dai danni subiti per effetto della circolazione.
Il corollario di tale ricostruzione è che il punto sensibile del sistema non potrà che spostarsi
sull’agenzia assicurativa, laddove le strutture periferiche delle Compagnie (che un tempo precanalizzavano verso studi legali in qualche modo collegati gli assicurati danneggiati che
prospettavano la loro esigenza di risarcimento) si troveranno a dover fronteggiare, in una ambigua
situazione di antagonismo e di cooperazione, le richieste risarcitorie del proprio assicurato.
In questa situazione lo scenario evolutivo meritevole di una riflessione sembra essere quello di un
possibile contenzioso contrattuale, per così dire di secondo grado, tra assicurato-danneggiato e
impresa assicuratrice, relativo alla violazione degli obblighi di assistenza, informazione e
cooperazione tecnica da parte dell’assicuratore nella fase della liquidazione del sinistro.
L’art.9 del Regolamento n.254 del 2006 in effetti prevede :
“L'impresa, nell'adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni
assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del
diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a quanto stabilito espressamente dal
contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei
danni alle cose e ai veicoli, il suo controllo e l'eventuale integrazione, l'illustrazione e la precisazione dei criteri di
responsabilità di cui all'allegato A.”
Il conflitto rimane per vero latente, dal momento che l’impresa assicuratrice del danneggiato opera
pur sempre quale mandataria ex lege dell’impresa del responsabile ed è tenuta quindi anche a
preservarne in modo diligente gli interessi.
Indubbiamente il sistema introdotto dalle Compagnie della liquidazione forfettaria attraverso stanza
di compensazione tende in modo piuttosto efficace a eliminare gli attriti ed a smussare le potenzialità
di contrasto di interessi.
Piuttosto delicata – sempre sotto il profilo del possibile contrasto di interessi - appare l’ipotesi in
cui la procedura di risarcimento diretto sia applicabile ma sia prevista la rivalsa dell’assicuratore del
responsabile verso costui in dipendenza della pattuizioni contrattuali: in tal caso l’assicuratore del
danneggiato paga per conto dell’Impresa del responsabile, che rimane esposto alla rivalsa della
propria Compagnia.
Un certo interesse ai fini dell’emersione degli interessi sottostanti dell’agente assicurativo presenta
il recentissimo Regolamento ISVAP del 9.5.2008 che a partire dall’ottobre del 2008 ha imposto
l’obbligo per gli intermediari assicurativi di mettere a disposizione del pubblico un’informativa con
l'indicazione delle imprese di cui offrono i prodotti e dei livelli provvigionali percepiti.
5. Il ristoro delle spese legali stragiudiziali.
Appare opportuno dedicare alcune riflessioni alla vexata quaestio della rifusione delle spese legali
nella fase stragiudiziale che ha determinato una dura presa di posizione delle associazioni forensi.
5.1. La legge delega e il Codice delle assicurazioni.
Per vero, nella legge di delega non vi era alcun cenno all’argomento de quo; nel testo del decreto
legislativo delegato, all’art.150, comma 1°, lettera d), figura invece solo un ermetico riferimento alla
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fissazione con apposito Regolamento, fra l’altro, dei “limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni
accessori”.
La normativa in questione non incide quindi sui normali criteri in tema di risarcimento del danno,
discendenti dagli artt.2056, 1223, 1226 e 1227 c.c. e non riguarda quindi l’ipotesi, regolata
dall’art.148, di richiesta del risarcimento all’impresa assicuratrice del danneggiante, secondo il
meccanismo tradizionale (applicabile ai sinistri comportanti danno alla persona di non lieve entità,
ovvero coinvolgenti veicoli immatricolati all’estero, ovvero alla richiesta risarcitoria del terzo
trasportato ai sensi dell’art.141).
Nulla è quindi innovato al proposito rispetto al contesto normativo vigente e anzi l’ultimo comma
(l’undicesimo) dell’art.148 presuppone la corresponsione di “eventuali” compensi ai professionisti
che assistano il danneggiato, imponendo alla Compagnia la richiesta della documentazione
probatoria relativa alla prestazione e prescrivendole la separata contabilizzazione delle rispettive
voci nella quietanza di liquidazione.
La stessa norma considera altresì l’eventualità di corresponsione diretta del compenso al
professionista, gravando la Compagnia dell’onere di darne comunicazione al danneggiato con
l’indicazione dell’importo corrisposto (all’evidente fine di evitare duplicazioni di pagamenti).
E’ quindi evidente che la legge considera esplicitamente, in modo positivo, l’eventualità
dell’assistenza professionale e ammette la rifusione della relativa spesa (anche attraverso il
pagamento diretto del compenso da parte dell’assicuratore).
Il problema quindi riguarda solamente i sinistri con danni a cose o con lesioni di lieve entità,
soggetti (con le ricordate eccezioni) alla procedura di indennizzo diretto regolata dall’art.149.
Per vero, sulle norme relative all’indennizzo diretto era mancato il preventivo parere del Consiglio
di Stato, che poi, quando è stato chiamato a fornire il suo (primo) parere sul Regolamento di
attuazione, ha rilevato che “le disposizioni recanti la procedura di risarcimento diretto (art. 149) e
la relativa disciplina (art. 150), risultano inserite nel Codice delle Assicurazioni sulla base degli
elementi e delle indicazioni contenuti nel parere reso dalle competenti Commissioni parlamentari:
non erano presenti nello schema di decreto legislativo sul quale questa Sezione ha previamente
espresso il suo parere (Adunanza del 14 febbraio 2005)”; al riguardo é stato obiettato che costituiva
una forzatura ritenere che una presunta indicazione della X Commissione del Senato, potesse
sopperire integralmente al mancato preventivo parere del Consiglio di Stato, e che comunque non si
poteva dimenticare che il preventivo (e non postumo) parere era richiesto proprio dalla Legge
Delega 29 luglio 2003 n.229.
E’ bene ricordare che:
• per tali sinistri l’interessato deve rivolgere la propria richiesta di risarcimento alla
propria impresa di assicurazione (o meglio all’impresa assicuratrice che ha stipulato il
contratto relativo al veicolo utilizzato) e per conoscenza all’impresa assicurativa
dell’altro veicolo coinvolto con lettera raccomandata con avviso di ricevimento; la
formulazione della norma fa sì che la stessa regola valga anche per il conducente non
proprietario del mezzo coinvolto ovvero per il proprietario del veicolo che non abbia
stipulato l’assicurazione ma ne sia solo il beneficiario;
• senza l’invio della raccomandata non scatta la condizione di proponibilità di cui
all’art.145 (strutturata analogamente al vecchio art.22 della legge 990 del 1969), che
richiede il decorso di sessanta giorni (90 per i casi di danno alla persona) prima
dell’esperimento dell’azione risarcitoria in via giurisdizionale;
• tale richiesta radica l’obbligo della Compagnia adita di provvedere alla liquidazione
del danno per conto dell’impresa del responsabile (rinviando la successiva
regolazione del rapporto fra le imprese ad una fase successiva);
• se l’offerta viene accettata, l’impresa deve pagare entro 15 giorni e lo stesso deve
fare anche in caso di rifiuto o di silenzio dell’assicurato;
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•
•
l’azione giurisdizionale può essere esercitata solo nei confronti della propria impresa
assicuratrice, salvo il possibile intervento dell’assicuratore del responsabile e la
possibile estromissione della Compagnia del danneggiato (art. 149, 6° comma);
solo a tale procedura si applica la disposizione limitativa della rifusione delle spese
legali contenuta nel Regolamento n. 254 del 2006.
5.2. La prima stesura del Regolamento di attuazione.
Il 3° comma dell’art.9 del Regolamento nella sua prima stesura disponeva che ai fini dell’offerta
risarcitoria non fossero considerati “danni accessori” le spese sostenute dal danneggiato per
consulenza e assistenza professionale diversa da quella medico-legale (il che implica non tanto che
le stesse non costituissero danni ma che tali non fossero considerabili in quella sede).
La logica che ispirava la norma era quella del contenimento dei costi del risarcimento rendendo
superflua l’assistenza legale nella fase stragiudiziale, con un meccanismo sostitutivo basato sulla
cooperazione informativa e tecnica della propria impresa assicuratrice finalizzata alla piena
realizzazione del diritto al risarcimento del danno.
Il Regolamento ragionava in questa direzione:
• la richiesta risarcitoria viene rivolta alla Compagnia di fiducia del danneggiato e la materia
del contendere non è di grande rilievo economico;
• il danneggiato può quindi ricevere dalla propria Compagnia, che ha scelto e con cui
intrattiene un rapporto contrattuale fiduciario, tutta la necessaria assistenza anche sotto il
profilo tecnico-giuridico e non abbisogna quindi di un supporto di consulenza giuridica in
questa fase;
• del resto la Compagnia adita non è il soggetto che deve in ultima analisi sopportare il costo
del risarcimento, visto che agisce in qualità di mandataria ex lege della Compagnia del
responsabile e presumibilmente si comporterà in modo professionale e neutrale nella gestione
della richiesta.
In siffatta prospettiva interpretativa la neutralizzazione dei costi di assistenza legale valeva solo per
l’ambito dei danni soggetti alla procedura di risarcimento diretto e solo per la fase anteriore alla
formulazione dell’offerta da parte della Compagnia del danneggiato.
La finalità dichiarata era il contenimento dei costi nell’interesse ultimo degli assicurati e il
meccanismo, almeno apparentemente, rivendica una sua intrinseca coerenza nella parte in cui mira
ad assicurare al danneggiato il supporto consultivo della sua stessa Compagnia che lo deve
indennizzare.
La Sezione atti consultivi del Consiglio di Stato nel parere reso il 19.12.2005 aveva valutato
favorevolmente la normativa sottopostale.
Il Consiglio di Stato al proposito aveva osservato che la non rifondibilità delle spese legali
costituiva una restrizione consapevolmente e liberamente accettata dal danneggiato che intendeva
utilizzare questo meccanismo risarcitorio, perchè il danneggiato restava comunque libero di non
accettare l’offerta dell’impresa e di procedere in sede giudiziale, sfruttando la titolarità dell’azione
diretta di risarcimento ex art.145, comma 2°, sempre nei confronti della propria impresa di
assicurazione, laddove il criterio della risarcibilità del danno si riespandeva secondo i principi
generali.
Il tutto veniva a collocarsi nell’area dell’autonomia negoziale delle parti stipulanti il contratto
assicurativo in un’ottica di tutela del contraente debole correlata alla certezza dei tempi della
liquidazione e ai complessivi benefici ritraibili dagli assicurati.
Il Consiglio di Stato aveva contestualmente auspicato l’introduzione di una normativa diretta a
conferire carattere più specifico e determinato al vantaggio ricavato dagli assicurati, riferendosi
peraltro all’adesione al sistema di risarcimento in forma specifica del danno al veicolo.
5.3. Le critiche dottrinali.
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Lo schema di Regolamento ed il parere del Consiglio di Stato erano stati sottoposti a durissime e
impietose critiche
Innanzitutto erano stati sollevati seri dubbi circa la configurabilità di un eccesso di delega anche nei
riguardi delle norme degli artt.149 e 150 del decreto.
Al proposito non si era mancato di sottolineare che il Governo era ben consapevole della carenza di
una idonea delega per la regolamentazione del c.d. indennizzo diretto, tant’è che aveva
preannunciato l’avvio dell’iter di una nuova legge delega, poi in concreto abbandonato.
A parte la questione del mancato parere del Consiglio di Stato (necessario poiché il primo comma
dell’art. 4 della legge 229/2003 rimandava ai “principi e criteri direttivi di cui all’articolo 20 della
legge 15 marzo 1997, n. 59, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, e nel rispetto dei
seguenti principi e criteri direttivi”, fra cui v’era l’obbligatorietà della preventiva richiesta di parere
al Consiglio di Stato), va detto che il Consiglio di Stato in data 14.2.2005, aveva emesso il parere n.
11603 a fronte di un codice parzialmente diverso da quello poi emanato e assolutamente privo delle
norme relative all’indennizzo diretto.
Era stato notato poi che la legge delega non considerava specificamente il profilo del risarcimento
dei danni e della tecnica di liquidazione dei sinistri, se non con la generalissima raccomandazione di
cui alla lettera b), laddove imponeva al Governo di rispettare i principi e criteri direttivi a tutela del
consumatore e, in generale, dei contraenti più deboli, limitatamente al profilo della trasparenza delle
condizioni contrattuali, nonché dell’informativa preliminare, contestuale e successiva alla
conclusione del contratto, avendo riguardo anche al processo di liquidazione dei sinistri, compresi
gli aspetti strutturali di tale servizio.
Veniva pertanto osservato che il Legislatore aveva a cuore la tutela di due soggetti ben precisi, ossia
il consumatore ed il contraente più debole, e non si proponeva alcuna rivoluzione dei principi
generali di risarcimento dei danni.
Il consumatore, ai sensi dell’art.2 della legge 281 del 1998 (ed ora dell’art.3, lettera a) del d.lgs
6.9.2005 n.206, recante il c.d. Codice del consumo) è definito come la persona fisica che acquista o
utilizza beni o servizi per scopi non riferibili all’attività imprenditoriale e professionale
eventualmente svolta. Il contraente, a sua volta va identificato in colui che ha stipulato una polizza
di assicurazioni. Pertanto era ragionevole aspettarsi che la tutela venisse erogata a tutti i rapporti
contrattuali (e non extra-contrattuali), ovvero alle cosiddette garanzie dirette, a favore degli
assicurati-consumatori - contraenti.
Era stato criticamente osservato anche che l’art. 149 del Codice delle Assicurazioni non prendeva in
considerazione i soggetti sopra descritti (consumatori contraenti), ma bensì i danneggiati, ossia le
vittime di un sinistro stradale.
Si aggiungeva inoltre:
• che il danneggiato in conseguenza di un sinistro non era consumatore e tanto meno contraente,
ma solo controparte di un altro soggetto col quale non vi era nessun rapporto contrattuale, che,
commettendo un fatto illecito aveva causato dei danni ingiusti che debbono essere risarciti ai
sensi degli artt. 2043 e 2054 c.c.;
• che, in virtù dell’art. 149 i danneggiati, che rientrassero in uno dei casi ivi previsti, erano
obbligati a chiedere il risarcimento del danno non a chi era responsabile dello stesso, ai termini
del codice civile, ma bensì ad un altro soggetto, e cioè alla propria compagnia assicuratrice;
• che pertanto il decreto legislativo aveva modificato, sia sostanzialmente, sia proceduralmente, i
diritti dei danneggiati, facoltà questa non concessa dalla legge delega.
Il rilievo appariva solo parzialmente esatto, se ci si soffermava a considerare che il soggetto tenuto
all’esperimento della procedura di indennizzo diretto è (o può anche essere) consumatore-contraente,
visto che il presupposto è la stipulazione di un rapporto assicurativo in regime contrattuale seppur
obbligatorio.
Quindi, normalmente, il conducente danneggiato é anche un contraente, o almeno é il soggetto
beneficiario del contratto assicurativo stipulato dal proprietario del veicolo.
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Per quel che riguarda i danni materiali, la normale coincidenza fra proprietario e assicurato porta
altresì a coinvolgere nella procedura di indennizzo diretto un vero e proprio contraente.
Per quanto concerne la qualità di consumatore del danneggiato, questa è in effetti del tutto eventuale
e dipende in ultima analisi dal motivo per cui veniva utilizzato il veicolo coinvolto nel sinistro e
assicurato.
Appariva invece difficilmente censurabile l’osservazione che il Parlamento, conferendo la delega al
Governo, voleva tutelare i consumatori-contraenti come sopra meglio definiti e non agevolare (o
favorire) i responsabili dei sinistri o modificare i diritti dei danneggiati e comunque, non aveva
conferito delega alcuna circa l’eventuale modifica dei diritti e doveri dei danneggiati e dei
danneggianti mediante lo stravolgimento del principio generale del principio del neminem laedere e
del codice civile (nonché processuale).
Era stato inoltre rilevato che gli artt. 149 e 150 del Codice e il successivo Regolamento attuativo
esaminato dal Consiglio di Stato dovevano necessariamente adeguarsi ai principi e criteri direttivi
della legge delega, la quale, espressamente li indicava nella tutela del consumatore e del contraente
più debole.
A prescindere dalla maggior onerosità degli appesantimenti burocratici relativi alla richiesta
risarcitoria, veniva altresì notato che l’esclusione fra i danni accessori delle spese di consulenza
legale difficilmente poteva essere configurata come una forma di tutela del consumatore e del
contraente più debole, visto che, al contrario, sembrava volgere a tutto vantaggio delle compagnie
assicuratrici che non avrebbero avuto nella fase stragiudiziale alcun contraddittore (tanto più che era
stato lo stesso parere del Consiglio di Stato nell’avallare lo schema di Regolamento a definirlo
“restrittivo” dei diritti del consumatore e del contraente più debole).
Era, d’altro canto, piuttosto difficile ricondurre presunti benefici in temi di “ottimizzazione della
gestione”, “controllo dei costi” e “innovazione dei contratti” (come previsto dall’art. 14 dello
schema di Regolamento) alla tutela dei contraenti deboli.
Il Consiglio di Stato, giustificando lo schema di Regolamento nel punto in cui escludeva fra i danni
accessori le spese legali, ha definito tale limitazione dei diritti una “restrizione consapevole e
liberamente accettata dal danneggiato che intende utilizzare questo meccanismo risarcitorio”, quasi
presupponendo, in palese contrasto con la vincolatività della procedura indicata dal Codice, che il
danneggiato potesse autonomamente e liberamente scegliere se attivare la procedura di risarcimento
diretto oppure chiedere il risarcimento secondo i meccanismi ordinari, ovvero quelli previsti
dall’art.144, all’Impresa del responsabile civile.
Secondo il Consiglio di Stato la libertà del danneggiato sarebbe consistita solo nell’accettare o meno
l’offerta dalla propria Compagnia e, in caso di non accettazione, nel poterla citare in giudizio e tale
meccanismo semplificato sarebbe rientrato nell’area dell’autonomia negoziale delle parti che
stipulano il contratto d’assicurazione.
Riesce peraltro molto difficile individuare un reale momento di autonomia negoziale da parte del
danneggiato (che è tenuto alla stipulazione del contratto assicurativo, che non ha scelto di avere il
sinistro e che non può scegliere alcuna modalità differente da quella ex art.149 per chiedere il
risarcimento del danno).
Una vera autonomia negoziale sarebbe stata ravvisabile solo se il meccanismo del risarcimento
diretto fosse stato facoltativo ovvero se il danneggiato, consapevolmente, al momento del sinistro e
ad ogni sinistro, potesse scegliere se attivare o meno la procedura ex art. 149 oppure la procedura
(stragiudiziale) ex art. 148.
Comunque il Consiglio di Stato ha imputato allo schema di Regolamento la mancata specifica
previsione dei benefici per gli assicurati che giustificassero tali restrizioni dei loro diritti. Per vero,
tuttavia, non si comprende se la censura fosse limitata al caso di risarcimento in forma specifica o si
riferisse complessivamente al meccanismo del risarcimento diretto.
Tali benefici, che dovevano essere espressamente indicati, come previsto dall’art. 150, lettera e) del
Codice delle Assicurazioni, non risultavano precisati nello schema di Regolamento se non in modo
alquanto generico; sembra logico ritenere che il Consiglio di Stato si riferisse al meccanismo del
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risarcimento diretto nella sua globalità, visto che i benefici (id est: riduzione dei premi) per gli
assicurati dovrebbero sussistere non solamente nel caso di risarcimento del danno in forma specifica
previsto contrattualmente.
5.4. La questione della risarcibilità delle spese legali di assistenza stragiudiziale.
La questione della risarcibilità delle spese legali di assistenza stragiudiziale non era però così
scontata come ora viene prospettata da parte di chi critica, seppur con molte buone ragioni, il citato
art.9 del Regolamento.
A metà degli anni ‘80 erano frequentissime controversie in tema di responsabilità civile da sinistro
stradale in cui la materia del contendere atteneva alla risarcibilità delle spese di assistenza legale
nella fase stragiudiziale, spesso in situazioni in cui la (principale) materia del contendere era cessata
(talora prima o talora in seguito alla notificazione dell’atto di citazione a giudizio) per effetto del
pagamento del capitale, mentre il danneggiato pretendeva anche la rifusione delle spese di assistenza
tecnica nella fase stragiudiziale (talora anche solo la spesa di invio della lettera raccomandata ex
art.22 legge 990 del 1969 contenente la richiesta risarcitoria).
La modestia del residuo petitum non esimeva validissime difese dal disquisire a livelli raffinati
visto che spesso la posta in gioco era quella ben più consistente delle spese legali della causa: da un
lato si argomentava in ordine al nesso di causalità e si invocavano le regole di cui agli artt.2056
e1223 c.c. secondo la teoria della conditio sine qua non, qualificando il ricorso all’assistenza del
legale come conseguenza immediata e diretta del fatto illecito subito dalla vittima danneggiata.
Dall’altra parte si prospettava l’aggravamento colposo del danno ex art.1227, 2° comma, c.c. da
parte del danneggiato, o addirittura si sosteneva che il nesso causale era stato interrotto dalla
concomitanza di fattori eccezionali ex art.41 c.p. (ossia dal disegno speculativo del professionista
innestatosi sulla serie causale).
La scelta era sostanzialmente fra:
• il ritenere superfluo e gravatorio e quindi non risarcibile il contegno del danneggiato che si
rivolgeva ad un professionista legale per essere assistito nella richiesta del risarcimento,
• ovvero il reputare intrinsecamente non sindacabile siffatta scelta, resa del tutto ragionevole dalla
opportunità di una assistenza tecnico-giuridica e concedere il ristoro anche di tale modesta
spesa, con tutte le conseguenze che ciò comportava sull’assetto globale della soccombenza nella
lite.
All’epoca (in cui non esisteva ancora la possibilità del ricorso alla mole di documenti giudiziari
attingibili attraverso le banche dati) uno dei pochi precedenti noti era quello di Tribunale di Massa
28.11.1979 n.366 (pubblicato in Arch. giur. circol. e sinistri 1980,493) che si era espresso in senso
favorevole alla risarcibilità delle spese sostenute dalla parte danneggiata anche nella fase
immediatamente conseguente alla richiesta ex art.22 della allora vigente legge 990 del 1969.
In senso contrario si citava invece Pretura Foligno, 28 settembre 1982, Cozzi c. Società Norditalia
assicurazioni e altro, Arch. giur. circol. e sinistri 1983, 783, secondo cui “La parte vittoriosa in
giudizio non ha diritto al rimborso delle spese legali sostenute nella fase precedente il processo
promosso per ottenere il risarcimento dei danni (relativi, nella specie, a sinistro stradale), non
essendo in quella fase necessaria l’assistenza di un legale.”.
Il ragionamento normalmente si sviluppava in questi termini:
• la spesa di assistenza legale per la redazione della lettera raccomandata ex art.22 della legge
990/1969 era risarcibile, non potendosi censurare come fattore di aggravamento del
pregiudizio la condotta della parte che ravvisa la necessità di disporre di una valida
consulenza nella confezione di un tale atto, che poneva indubbiamente problemi di carattere
giuridico;
• sussisteva invece il dubbio, da risolvere caso per caso in riferimento alle particolarità della
fattispecie, se una ulteriore attività di consulenza legale stragiudiziale nella fase successiva
alla spedizione della lettera e prima del decorso dello spatium deliberandi, disponibile per la
Compagnia al fine della formulazione della sua offerta o del rifiuto di farla, comportasse o
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meno un aggravamento del danno, non conforme alla comune diligenza, che non potesse
essere scaricato sul responsabile, a tal fine dovendosi anche tener conto della rilevanza
pubblicistica dell’obbligo ascritto a carico della Compagnia.
Di fatto l’accennato contenzioso risultò sostanzialmente superato e le Compagnie assicurative, per
varie ragioni, addivennero alla prassi di corrispondere normalmente anche il rimborso delle spese
legali del professionista legale, spesso liquidandole direttamente al legale interessato, a parte
rispetto al compendio risarcitorio erogato a favore del danneggiato.
La giurisprudenza sembra orientata in senso favorevole alla rifondibilità in linea di principio
delle spese legali sostenute dal danneggiato.
Da ultimo si è registrata l’importante pronuncia di Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2005,
n. 11606, da più parti letta come una autorevole presa di posizione della Suprema Corte contro
il disegno perseguito nello schema di Regolamento, secondo cui:
• “Nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con la
legge 990/69 e sue successive modificazioni, il danneggiato ha diritto, in ragione del suo diritto di
difesa costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di
composizione bonaria della vertenza, a ottenere il rimborso delle relative spese legali.”.
Tale sentenza è stata invocata dall’organismo Unitario dell’Avvocatura nell’esortazione rivolta il
10.1.2006 al Presidente del Consiglio a contrastare l’approvazione del Regolamento il cui schema
era stato sottoposto al Consiglio di Stato
Così argomenta il Supremo Collegio:
“Tuttavia, nel prevedere le eccezioni alla regola generale, il legislatore deve rispettare il fondamentale principio di
eguaglianza delle parti e il correlativo diritto di difesa, garantito dall’art.24, 2° comma, della Costituzione, rispetto al
quale il contraddittorio fra le parti si pone quale suo indispensabile presupposto.
E’ ciò che accade nel procedimento per il risarcimento del danno dovuto alla circolazione stradale.
Esso inizia con la spedizione della lettera raccomandata inviata dal danneggiato all’assicuratore dell’auto del presunto
danneggiante, al fine di consentire fra le parti una prima verifica delle rispettive pretese e, quindi, di conseguire
l’eventuale composizione bonaria della vertenza.
Non è dubbio che l’attuale sistema legislativo in materia di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile da
circolazione stradale, composto da vari interventi legislativi susseguitisi nel tempo, non è di agevole conoscenza da
parte degli utenti e che non tutti hanno il tempo disponibile per l’adempimento delle relative formalità. Tale rilievo….
vale però a far riconoscere le spese stragiudiziali come conseguenza del fatto lesivo, ma non sposta il tema della
decisione, che è quello di stabilire se il danneggiato ha diritto di farsi assistere da un legale anche nella fase
pregiudiziale e di ottenere, quindi, il rimborso del relativo compenso, ovvero, nel caso contrario, se la negazione di tale
diritto venga a costituire una violazione del diritto di difesa del danneggiato.
Vale allora considerare che l’intervento di un professionista, sia esso un legale o un perito di fiducia, così come previsto
dall’art.5 ult.co. legge 5 marzo 2001 n.57 e come affermato nel regime precedente dalla Corte di Cassazione
(Cass.12.ott.1999 n.11090 in Giust.civ.10999, I,422) è necessario non solo per dirimere eventuali divergenze su punti
della controversia, quanto per garantire già in questa prima fase la regolarità del contraddittorio, ove si osservi che
l’istituto assicuratore non solo è economicamente più forte, ma è anche tecnicamente organizzato professionalmente
attrezzato per affrontare tutte le problematiche in materia di risarcimento del danno da circolazione stradale, attesa la
complessità e molteplicità dei principi regolatori della materia.”
Interessante appare anche la pronuncia della Cassazione civile, sez. III, 27 gennaio 2003, n. 1191,
secondo cui:
•
“ Le spese di assistenza legale sostenute dalla parte ben possono essere prese in considerazione come
elemento del danno subito in conseguenza di un fatto illecito, e valutate come voce autonoma di danno; in
particolare, non essendo prevista la possibilità di condannare l’amministrazione al pagamento delle spese
legali in caso di soccombenza in tema di contenzioso tributario, l’unica possibilità di ottenere la
liquidazione delle spese sostenute per l’assistenza legale per il soggetto illegittimamente gravato
dell’imposta è in sede di azione di risarcimento danni (fattispecie antecedente all’entrata in vigore del d.lg. n.
546 del 1992).”(Conforme Cassazione civile, sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1116).
In tale sentenza la Suprema Corte ha considerato la possibilità di qualificare una spesa di assistenza
legale quale pregiudizio risarcibile di un fatto illecito, allorché una specifica disposizione non ne
consenta la rifusione nell’ambito della normale liquidazione delle spese giudiziali a carico della
parte soccombente.
“Con il secondo mezzo il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056 e 1227 c.c., nonché
degli artt. 90 e segg. del codice di rito, dei principi in tema di spese del giudizio tributario, oltre che di omessa ed
insufficiente pronunzia su punti decisivi della controversia, ex art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 c. p. c.). Deduce, in
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primo luogo, che la corte di appello milanese aveva erroneamente qualificato come danni le spese legali asseritamente
sostenute dalla controparte per le varie azioni che sarebbe stata costretta ad intraprendere, in sede giurisdizionale ed
amministrativa, per resistere alle ingiuste pretese della Amministrazione. L’inquadramento delle spese legali tra i danni
risarcibili non appariva corretto, atteso che la legge processuale contiene una disciplina autonoma della ripartizione
delle spese di lite, inquadrandole nella disciplina del processo, piuttosto che in quella delle obbligazioni da fatto illecito.
Inoltre, con riferimento alle spese di giudizio sostenute davanti la commissione tributaria, la corte di appello aveva
proceduto alla liquidazione della somma complessiva di lire 50.000.000, senza valutare se si trattasse di spese
necessarie o se esse erano state sostenute davanti a Giudice competente. In quest’ultima ipotesi, era del tutto illogica la
determinazione di farne gravare i costi sull’Amministrazione, tanto più che alla stregua del previgente rito tributario,
non era prevista la condanna dell’amministrazione per il caso di soccombenza.
La censura non merita accoglimento.
In ordine alla prima parte del motivo, va rilevato che, quando le spese di assistenza legale vengono in considerazione
come elemento del danno subito in conseguenza di un fatto illecito, esse ben possono essere prese in considerazione e
valutate come voce autonoma di danno, mentre la relativa valutazione rientra nell’insindacabile funzione del Giudice di
merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se, come nella specie, risulti congruamente motivata.
Per quanto concerne, poi, la pretesa incompetenza del Giudice tributario in ordine al ricorso contro l’iscrizione a ruolo,
è sufficiente rilevare che le S.U. di questa Corte, con la sentenza n. 126 del 12 aprile 2000 hanno statuito che: “In tema
di contenzioso tributario, e nel vigore dell’art. 11 D.L. n. 151 del 1991 convertito in legge n. 202 del 1991, l’opposizione
avverso il ruolo emesso per il pagamento di imposte di fabbricazione deve essere proposta dinanzi alla commissione
tributaria e non dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, atteso che il citato art. 11 D.L. n. 151 cit. demanda alle
commissioni tributarie il ricorso contro il ruolo formato ai sensi dell’art. 67 d. P. R. n. 43 del 1988, senza peraltro
distinguere tra i diversi tributi indicati nel suddetto art. 67, dovendosi perciò ritenere che il legislatore abbia voluto
estendere la giurisdizione delle commissioni tributarie anche a quelle imposte per le quali è prevista la formazione del
ruolo, e perciò l’impugnativa di questo alla predetta commissione, anche quando dette imposte non risultino
contemplate nell’art. 1 d. P. R. n. 636 del 1972”.
Relativamente, infine, alla mancata previsione di condanna dell’amministrazione alle spese giudiziali per il caso di
soccombenza in tema di contenzioso tributario, tale circostanza avvalora la legittimità della liquidazione in questa sede
delle spese di assistenza legale per tale titolo.”
Ed ancora:
•
•
•
“Le spese legali corrisposte dal cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da
attività giudiziale e non considerate nella nota di cui all’art. 75 disp. att. c.p.c., possono formare oggetto di
domanda di risarcimento nei confronti dell’altra parte a titolo di danno emergente purché siano necessarie e
giustificate, condizioni, queste, che si desumono dal potere del Giudice, ex art. 92, comma 1, c.p.c., di
escludere dalla ripetizione le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ove ritenute eccessive o superflue, ed
applicabili anche agli effetti della liquidazione del danno di cui si tratta.”(Cassazione civile, sez. III, 6
settembre 1999, n. 9400);
“Va rigettata la domanda proposta contro la società assicuratrice della responsabilità civile per il rimborso
di spese stragiudiziali pretesamente sostenute in relazione alla pratica per il risarcimento dei danni derivati
da incidente stradale, ove tali spese non siano precisate e provate ai sensi dei criteri ex art. 2043 e 1223 c.c.,
e non rientrino nella previsione dell’art. 91 c.p.c.”(Giudice di pace Torino, 17 giugno 1999, Denaro c. Soc.
Cattolica assicur. e altro, Giur. merito 2000, 576);
“Il versamento di somma per rimborso di spese legali null’ altro rappresenta se non il risarcimento di una
voce di danno effettuata dal responsabile civile in favore del danneggiato, per cui certamente non
sussistono gli estremi per l’applicabilità della ritenuta d’acconto a norma dell’art. 25 d.P.R. n. 600/1973 nè
sotto il profilo (obiettivo) del titolo del versamento nè sotto il profilo (subiettivo) del soggetto nei cui
confronti esso è effettuato.”(Tribunale Milano, 15 marzo 1979, L’Assicuratrice italiana c. SATAP
Assicurazioni 1980, II,156, Foro padano 1979, I,139).
5.5. Il testo attuale del Regolamento.
L’art.9 del Regolamento di cui al d.p.r. 18 luglio 2006, n.254 (rubricato “Assistenza tecnica e
informativa ai danneggiati”) recita:
“1. L’impresa, nell’adempimento degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al danneggiato ogni
assistenza informativa e tecnica utile per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del
diritto al risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a quanto stabilito espressamente dal
contratto, il supporto tecnico nella compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della quantificazione dei
danni alle cose e ai veicoli, il suo controllo e l’eventuale integrazione, l’illustrazione e la precisazione dei criteri di
responsabilità di cui all’allegato A.
2. Nel caso in cui la somma offerta dall’impresa di assicurazione sia accettata dal danneggiato, sugli importi corrisposti
non sono dovuti compensi per la consulenza o assistenza professionale di cui si sia avvalso il danneggiato diversa da
quella medico-legale per i danni alla persona.”
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L’approccio della norma regolamentare è piuttosto diverso da quello che caratterizzava la prima
stesura.
E’ stata infatti realizzata una più pregnante connessione fra i compiti e i doveri dell’impresa
assicurativa del danneggiato in termini di assistenza, supporto e consulenza, e la previsione del
mancato riconoscimento dei compensi per l’assistenza e consulenza di professionisti di
fiducia, così implicitamente presupponendo che l’intervento dell’impresa assicurativa di fiducia
possa sostanzialmente surrogarne la necessità. Del pari l’art.14 contiene una più dettagliata,
ancorché sempre generica, previsione dei benefici per gli assicurati garantiti dal sistema.
La disposizione del 2° comma è stata redatta in maniera molto meno ambiziosa, senza alcuna
interferenza con i principi in tema di liquidazione del danno, e considera semplicemente il
mancato riconoscimento di rimborsi per spese di assistenza e consulenza professionale (diversi da
quelli medico-legali) nel caso in cui l’offerta sia accettata dal danneggiato.
Permangono comunque rilevanti dubbi sulla legittimità della disciplina, sia in relazione alla
mancanza di una idonea delega atta ad interferire con i principi generali in materia di liquidazione
del danno, sia alla luce degli orientamenti espressi dalla Suprema Corte sulla funzione del diritto
del danneggiato di farsi assistere da professionisti di fiducia nella prospettiva della garanzia di
contraddittorio.
Notevoli perplessità ispira anche la discriminazione di trattamento fra i professionisti medicolegali e tutte le altre categorie, fra cui spiccano i legali, ma figurano anche i commercialisti, i
consulenti del lavoro, i consulenti previdenziali; in effetti non si vede per quali ragioni il
danneggiato possa dubitare del parere del medico-legale della sua impresa assicurativa e farsi
assistere da un medico legale di fiducia e non possa far altrettanto in altri settori professionali.
Il Regolamento tuttavia non nega semplicemente il diritto al risarcimento di tali prestazioni
(terreno minato in cui il rischio di una rotta di collisione con gli orientamenti della Cassazione è
assai elevato) ma considera semplicemente la mancata corresponsione di tali oneri se l’assicurato
“accetta l’offerta”.
Del resto, tale norma non vieta affatto di corrispondere tali oneri, ma semplicemente non ne
prevede la corresponsione nella fase stragiudiziale.
Una possibile linea interpretativa, improntata a ragionevolezza e che tenga conto degli insegnamenti
della Corte di Cassazione e dei limiti ascrivibili alla fonte sub-primaria della regolamentazione,
porta a pensare che il riconoscimento delle spese di assistenza e consulenza professionale
(normalmente legale, ma non solo) nella fase stragiudiziale regolata dal sistema del risarcimento
diretto possa avvenire in quei casi in cui la complessità della vicenda o l’entità della posta in gioco
(ad esempio: per il valore del veicolo o delle cose trasportate o del danno patrimoniale da lucro
cessante connesso alla invalidità temporanea) giustifichino tale comportamento dell’assicurato
danneggiato secondo i parametri della comune diligenza, ossia nella prospettiva disegnata
dall’art.1227, 2° comma, c.c.
Si tratterebbe cioè di valutare se il ricorso al professionista di fiducia sia o meno giustificato alla luce
di tutte le particolarità del caso e magari anche del comportamento concretamente tenuto da parte
della Compagnia dell’assicurato: è evidente che tale scrutinio deve venir condotto in sede giudiziale
in caso di esperimento dell’azione ex art.149 del Codice ed il Giudice, all’esito della valutazione,
potrà anche riconoscere tali spese, come del resto non esclude affatto il nuovo testo dell’art.9 del
Regolamento.
Il parametro potrebbe così essere in ultima analisi quello della ragionevolezza della scelta adottata
dall’assicurato, rapportata al comportamento concretamente tenuto dalla sua Compagnia e all’entità
della posta in gioco.
Torino, 27 maggio 2008
Umberto Scotti
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