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Nuove scoperte sull`origine del piacere potrebbero

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Nuove scoperte sull`origine del piacere potrebbero
Neuroscienze
Il cervello
e la
felicità
Nuove scoperte sull’origine del piacere potrebbero
migliorare il trattamento delle dipendenze
e della depressione. E persino stimolare la nascita
di una nuova scienza della felicità
di Morten L. Kringelbach e Kent C. Berridge
N
82 Le Scienze
Scientific American (fotoillustrazione); Getty Images (testa);
Thinkstock (immagini nella testa); NASA (Luna)
egli anni cinquanta Robert Heath, psichiatra della Tulane
University a New Orleans, varò un controverso programma che prevedeva l’impianto di elettrodi nel cervello di
pazienti affetti da epilessia, schizofrenia, depressione e
altre patologie neurologiche. Il suo obiettivo iniziale era
localizzare la sede biologica dei loro disturbi e forse, stimolando ad arte
quelle regioni, riuscire a curarli.
530 ottobre 2012
Secondo Heath, i risultati furono spettacolari: pazienti resi quasi catatonici dalla depressione ripresero a sorridere e a conversare, e in qualche caso abbozzarono una risata. Ma il sollievo era
temporaneo: cessato lo stimolo, i sintomi si ripresentavano. Per
estendere gli effetti della terapia, Heath diede ad alcuni pazienti
dei pulsanti che potevano premere da soli quando ne sentivano il
bisogno. E qualcuno lo sentiva molto di frequente. Un paziente in
particolare – un omosessuale di 24 anni che Heath cercava di curare dalla depressione (e dal desiderio di altri uomini) – stimolava
gli elettrodi anche 1500 volte in un’unica sessione di tre ore. Come riferisce il professore, questa autostimolazione ossessiva diede a B-19, il suo nome in codice, un senso quasi travolgente di euforia e di esaltazione, al punto che l’uomo accoglieva la fine della
sessione con vibranti proteste.
Quegli esperimenti permisero di definire un insieme di strutture in seguito definite «centro del piacere» cerebrale. E diedero origine a un movimento – nella scienza e nella cultura popolare –
per capire le basi biologiche del piacere. Nei trent’anni successivi i
neurobiologi hanno identificato le sostanze che le regioni cerebrali delineate da Heath e da altri inviano e ricevono per diffondere
le ondate di gioia. E nell’immaginario collettivo sono fioriti scenari da fantascienza in cui l’attivazione di quelle aree produce un’istantanea beatitudine.
Ma la scoperta dei presunti centri cerebrali del piacere non ha
portato progressi nella cura della malattia mentale. Anzi, forse ha
erroneamente spinto gli scienziati a pensare di avere svelato come
il cervello codifica e genera il piacere. Studi sui roditori e sull’uomo indicano ora che attivare quelle aree con gli elettrodi o con sostanze specifiche non genera piacere, ma accelera solamente la ricerca compulsiva, e quindi la spinta maniacale ad autostimolarsi.
Tuttavia, grazie alle moderne tecniche di biologia molecolare, a
cui associamo i più perfezionati metodi di stimolazione profonda
del cervello, vari laboratori, inclusi i nostri, stanno ridisegnando la
mappa dei circuiti cerebrali del piacere. Insieme stiamo scoprendo che i sistemi che lo generano sono molto più limitati, e assai
più complessi, di quanto credevamo. Individuando con precisione
i fondamenti neurologici del piacere ci auguriamo di spianare la
strada a terapie nuove e più mirate della depressione, della dipendenza e di altri disturbi ancora. E magari di fare nuova luce sulle
radici della felicità umana.
Elettrodi ingannevoli
Che lo si provi sotto forma di brividi di gioia o di un caldo appagamento, il piacere non è solo un effimero sovrappiù che si ricerca
solo dopo avere esaudito i fabbisogni essenziali. È una sensazione
centrale della vita. Il piacere alimenta l’interesse degli animali verso ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere: cibo, sesso e, in alcuni casi, comunicazione sociale generano infatti sensazioni positive
e sono ricompense naturali per ogni animale, inclusi noi.
I primi chiari indizi della base biologica di queste sensazioni risalgono a una sessantina di anni fa, alle prime scoperte dei cosid-
Morten L. Kringelbach è direttore dell’Hedonia
TrygFonden Research Group all’Università di Oxford e
all’Università di Aarhus, in Danimarca.
A n at o m ia d e l p ia c e r e
Le strade verso il piacere
Kent C. Berridge è James Olds Collegatye
Professor di psicologia e neuroscienze
all’Università del Michigan.
Il piacere è un’esperienza complessa, che spazia dall’anticipazione e
dal desiderio alla sensazione e alla soddisfazione. Non sorprende dunque che diverse regioni cerebrali lavorino in accordo per generare il calore di una sensazione piacevole.
detti elettrodi del piacere. All’epoca, James Olds e Peter Milner,
della McGill University, stavano cercando le regioni cerebrali che
influenzano il comportamento animale. Studi precedenti alla Yale
University – in cui gli elettrodi venivano inseriti nel cervello di topi
– avevano identificato un’area che, stimolata, induceva l’animale a
evitare qualsiasi azione coincidesse con la stimolazione. Olds e Milner si chiesero se era possibile scoprire regioni che i roditori avrebbero stimolato attivamente, proprio come ripetevano ogni esercizio
o comportamento che portava a una ricompensa.
Collocando gli elettrodi in differenti regioni i due ricercatori
scoprirono una parte del cervello che, se stimolata da una lieve
corrente elettrica, sembrava generare piacere negli animali. I topi tornavano nell’angolo della gabbia dove i ricercatori avevano
somministrato loro una leggera scossa elettrica. Olds e Milner scoprirono che in questo modo era possibile guidare i roditori praticamente ovunque. In qualche caso gli animali preferirono addirittura la stimolazione al cibo: se i ricercatori premevano il pulsante
quando i topi erano a metà strada di un labirinto alla fine del quale c’era una gustosa pietanza si fermavano di colpo, incuranti della
prelibatezza che le aspettava.
Ma la scoperta più sorprendente fu che, quando gli elettrodi
erano cablati in modo che i topi si stimolassero da soli premendo
una leva, i roditori eseguivano il comportamento quasi ossessivamente, oltre mille volte all’ora. Poi, quando la corrente veniva interrotta, gli animali premevano la barra ancora qualche volta, e infine si addormentavano.
Questi risultati indussero Olds e Milner a dichiarare: «Forse abbiamo localizzato un sistema nel cervello la cui funzione specifica
è produrre un effetto di ricompensa sul comportamento». Le regioni
che identificarono – fra cui il nucleo accumbens, situato alla base
del prosencefalo, e la corteccia del cingolo, che forma un anello intorno al fascio di fibre che collega gli emisferi destro e sinistro – sono la base operativa del circuito cerebrale della ricompensa.
Quasi subito altri scienziati riprodussero questi effetti nei primati superiori e nell’uomo, ottenendo risultati simili. Heath, in
particolare, spinse al limite l’interpretazione dei propri risultati. A
suo avviso quelle regioni non solo rinforzano un comportamento ma generano anche sensazioni di euforia. E oggi, nella mente di
molti scienziati come dei profani, queste strutture sono conosciute
come il principale «centro cerebrale del piacere».
Una decina d’anni fa abbiamo però cominciato a chiederci se
l’autostimolazione fosse davvero la misura migliore del piacere.
84 Le Scienze
circuiti del piacere e della
ricompensa per rappresentare in
modo cosciente la sensazione
rassicurante che associamo alla
gioia.
L’interruzione del collegamento
Un circuito neurale (in azzurro), che
ha origine vicino al tronco cerebrale e
si estende fino al prosencefalo, era
considerato l’unico mediatore del
piacere. Oggi invece è più
concentrato sul desiderio. In aggiunta
a questa via, diversi hotspot edonici
(in rosso) interagiscono per generare
la sensazione del piacere soggettivo.
Un mantello di regioni corticali (in
rosa) traduce successivamente le
informazioni ricevute dai circuiti
«voglio» e «mi piace» nel piacere
cosciente, e regola questa sensazione
sulla base dei segnali in arrivo da altre
regioni cerebrali.
Interpreta
e modula
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Nucleo
accumbens
Amigdala
Corteccia
orbitofrontale
Pallido ventrale
Terminale
di un neurone
Recettore
dell’anandamide
Area
tegmentale
ventrale
La chimica del «gradire»
All’interno di un hotspot edonico, due neurotrasmettitori
inebrianti cooperano per aumentare le sensazioni di
Neurone
piacere. Uno stimolo gradevole, come un cibo prelibato,
Encefalina
limitrofo
induce un neurone nell’area (in alto) a rilasciare encefalina,
un oppioide prodotto nel cervello. L’encefalina interagisce con
Anandamide
le proteine recettore su un neurone limitrofo (in basso),
innescando potenzialmente la produzione di anandamide, la versione
cerebrale della marijuana. Allontanandosi per diffusione dalla sede di sintesi, l’anandamide può interagire con
Recettore
i recettori situati sul primo neurone, intensificando la sensazione di piacere e forse anche stimolando la
dell’encefalina
produzione di ulteriore encefalina. Insieme, queste sostanze formano un circuito ad anello che esalta il piacere. È il
circuito del «gradimento».
Come facciamo a sapere se i soggetti stimolano queste regioni perché gradiscono la sensazione provata e non per qualche altra ragione? Individuare con più precisione i circuiti del piacere richiedeva, a nostro avviso, un modo differente per valutare di che cosa
goddessero realmente i soggetti, umani e non.
Una misura del piacere
tra i sistemi cerebrali che generano
le sensazioni di desiderio e piacere
potrebbe essere la causa del
comportamento dipendente, offrendo
una possibile chiave per trattamenti
di tipo nuovo.
Piacere cosciente
Volere e piacere
AXS Biomedical Animation Studio
che si pensava fossero alla base
delle sensazioni piacevoli e che oggi
si ritiene invece siano i mediatori del
desiderio, più che del godimento.
Regioni cerebrali superiori
ricevono informazioni da questi
«Mi piace»
Corteccia dell’insula
Corteccia
del cingolo
In breve
Nel cervello ci sono zone sensibili,
hotspot che, quando vengono
stimolati, aumentano la sensazione
del piacere.
Questi punti caldi edonici sono
diversi dai «circuiti della ricompensa»
«Lo voglio»
Negli esperimenti con gli esseri umani valutare il grado di piacere è facile: basta chiederlo. Ma forse le classificazioni derivate
dalle loro risposte non catturano con fedeltà e accuratezza le sensazioni corrispondenti. Per di più la tecnica dei questionari è impossibile da applicare alle cavie da laboratorio, i soggetti più studiati in biologia.
Un approccio alternativo prende ispirazione da Charles Darwin.
www.lescienze.it
Nel suo L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, pubblicato nel 1872, il grande naturalista inglese osservò che gli animali cambiano espressione in risposta agli stimoli ambientali. Oggi
sappiamo che i meccanismi neurali di queste espressioni funzionano in modo simile nel cervello di quasi tutti i mammiferi. Ciò spiega
perché alcune mimiche facciali si sono conservate in animali evolutivamente distanti come i roditori e la specie umana: persino la
nostra «faccia goduriosa» di fronte a una golosità.
Il cibo è una delle strade più universali verso il piacere, e
una necessità per la sopravvivenza. Ed è uno degli strumenti
sperimentali più accessibili per chi studia il comportamento animale. Con le nostre ricerche abbiamo scoperto che la risposta al cibo è una finestra attraverso la quale possiamo osservare piaceri
che non sono esprimibili a parole.
Le Scienze 85
Chiunque abbia vissuto con un neonato sa che anche gli esseri umani più giovani hanno un sistema per comunicare a chi si
prende cura di loro la gradevolezza di un cibo. Per esempio il gusto
dolce stimola a leccarsi soddisfatti le labbra, a differenza del gusto
amaro, accompagnato in genere dalla bocca spalancata, da scuotimenti del capo e da un energico strofinamento della bocca.
Le stesse risposte osservate nei neonati umani si osservano anche nei topi e nei primati non umani: più i soggetti gradiscono il
sapore, più si leccano le labbra. Registrando in video le loro risposte al cibo e contando poi il numero di volte che essi sporgono la
lingua – come a voler catturare ogni singola molecola del sapore – possiamo misurare il gradimento di uno stimolo gustativo. È
un’informazione che abbiamo usato per valutare la sede cerebrale del piacere.
«Voglio» non è uguale a «mi piace»
Una delle prime cose che abbiamo scoperto è che il piacere non aveva origine esattamente dove – o come – si era sempre pensato. Le regioni identificate da Olds e Milner e da altri ricercatori, localizzate nella parte frontale del cervello, sono attivate
dal neurotrasmettitore dopamina, rilasciato da neuroni che hanno un’origine prossima al tronco cerebrale. Abbiamo quindi pensato che, se queste regioni frontali erano i veri regolatori del piacere, inondarle di dopamina
– oppure rimuovere completamente la sostanza
– avrebbe modificato la risposta dell’animale a
uno stimolo piacevole. Ma non è ciò che abbiamo riscontrato.
Per fare questi esperimenti, il nostro collega Xiaoxi Zhuang, dell’Università di Chicago,
ha prodotto con l’ingegneria genetica un ceppo di topi privi di una proteina che recupera la
dopamina dopo che è stata rilasciata da un neurone eccitato, e la riporta dentro la cellula. Questi topi knockout conservano concentrazioni insolitamente elevate di dopamina nel cervello.
Eppure abbiamo osservato che non sembrano ricavare dai dolci un piacere maggiore rispetto ai
loro compagni di gabbia non modificati geneticamente. A differenza dei roditori normali, i topi dopati-con-dopamina si dirigono, è vero, più
rapidamente verso una ricompensa dolce, ma
non si leccano le labbra con maggiore frequenza. Anzi, lo fanno più raramente rispetto ai topi
che hanno una quantità media di dopamina.
Lo stesso fenomeno lo osserviamo anche nei roditori in cui la
concentrazione di dopamina è stata elevata artificialmente con altre modalità. Per esempio un’iniezione di amfetamina nel nucleo
accumbens determina un aumento di dopamina in questa regione.
Eppure, di nuovo, dopo che era stato aumentato artificialmente il
neurotrasmettitore i topi non sembravano trarre più godimento dai
dolciumi, benché apparissero più motivati a ottenerli.
Viceversa, i topi totalmente privi di dopamina non mostrano alcun desiderio per i dolci, e sono destinati a morire d’inedia se non
sono nutriti attivamente. Eppure i topi senza dopamina che non
provano interesse verso il cibo trovano comunque buono da leccarsi i baffi qualsiasi dolce venga a contatto della loro bocca.
Sembra quindi che gli effetti della dopamina siano più sottili di
quanto credessimo. Questa sostanza contribuirebbe più alla motivazione che alla sensazione del piacere in sé. E anche nell’uomo i
suoi livelli sembrano stare corrispondere più al grado in cui le persone sostengono di «volere» una ghiottoneria che non alle loro affermazioni di «gradirla».
Lo stesso discorso potrebbe valere per la dipendenza. Le sostanze da abuso inondano il cervello di dopamina, in particolare le regioni associate alla «mancanza». Questa raffica di dopamina, oltre
a scatenare un intenso craving, aumenta la sensibilità delle cellule di quelle regioni a una futura esposizione alla sostanza. Gli
studi del nostro collega Terry Robinson, dell’Università del Michigan, indicano inoltre che questa sensibilizzazione persiste anche
per mesi o anni. A suo avviso anche dopo la fine dell’effetto edonico della droga la persona dipendente può provare ancora una
forte spinta a usarla, una sfortunata conseguenza delle azioni della dopamina.
Alla luce di queste nuove conoscenze crediamo che gli elettrodi
del «piacere», che stimolano l’accumulo di questa sostanza nel cervello dei topi e dell’uomo forse non erano stati così godibili come
si riteneva in origine. A sostegno della teoria, abbiamo scoperto
che l’attivazione degli elettrodi che aumentano la concentrazione
di dopamina nel nucleo accumbens inducono il topo a mangiare
e a bere, eppure lo stesso stimolo non rende il cibo più piacevole.
Anzi. I topi indotti a mangiare i dolci con la stimolazione elettrica si puliscono la bocca e scuotono la testa,
evidenti segni di avversione: come se la corrente avesse reso amaro oppure disgustoso il
dolce. Che gli elettrodi inducano i topi a consumare grandi quantità di un cibo che non
provoca piacere è la riprova che il volere e il
piacere sono controllati da differenti meccanismi cerebrali.
Pensiamo che il controllo differenziale avvenga anche nell’uomo. L’applicazione della corrente attraverso i classici elettrodi del
piacere ha prodotto in almeno un paziente un forte desiderio di bere. In altre persone, incluso il paziente B-19, la stimolazione
elettrica ha innescato una pulsione verso il
sesso. All’epoca questi craving sessuali erano considerati prove del piacere. Eppure nelle nostre ampie rassegne della letteratura
non ci siamo mai imbattuti nella prova che
un paziente con gli elettrodi impiantati li trovasse espressamente godibili. Mai una volta
B-19 ha esclamato «Oh, che sensazione gradevole!». Piuttosto, la stimolazione degli elettrodi del piacere ha
semplicemente indotto lui, e altri pazienti, a volere dosi ulteriori
di stimolazione. E forse non perché provassero piacere, ma perché
erano spinti a desiderarle.
Volere e
gradire sono
controllati
da differenti
meccanismi
cerebrali
ma entrambi
sono coinvolti
nel rendere
gratificante
un’esperienza
86 Le Scienze
Punti caldi del piacere
Volere e gradire sono entrambi coinvolti nel rendere gratificante un’esperienza. È quindi ragionevole che i veri centri cerebrali del piacere – quelli responsabili della generazione di sensazioni gradevoli – risultino inclusi in alcune strutture già identificate
come parte del circuito della ricompensa. Uno di questi hotspot,
o zone calde, appartiene a una sottoregione del nucleo accumbens, il guscio mediano. Un secondo centro si trova poi all’interno del pallido ventrale, una struttura profonda, prossima alla base del prosencefalo, che riceve buona parte dei segnali dal nucleo
accumbens.
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Per localizzare gli hotspot siamo andati alla ricerca delle regioni cerebrali che, una volta stimolate, amplificano la sensazione del
piacere, per esempio facendo sembrare ancora più godibili le sostanze dolci. Stimolare chimicamente gli hotspot con l’encefalina
– una sostanza prodotta dal cervello, simile alla morfina – aumenta il gradimento del topo per i dolci. Dal canto suo l’anandamide,
una versione cerebrale dell’ingrediente attivo della marijuana, genera lo stesso effetto. Infine, un altro ormone, l’orexina, rilasciato
dal cervello durante la fame, può a sua volta stimolare gli hotspot
edonici, contribuendo ad accrescere il gusto del cibo.
Ciascuna di queste zone è una minuscola frazione delle dimensioni della struttura più ampia entro la quale risiedono, ed equivale
a non più di un millimetro cubo nel caso del topo, e probabilmente a non più di un centimetro cubo in quello umano. Eppure, come
isole di un arcipelago, sono collegate fra loro – e ad altre regioni
cerebrali che elaborano i segnali del piacere – a formare un potente circuito integrato del piacere.
È un circuito piuttosto flessibile, perché, a quanto dicono i nostri esperimenti, disattivare singole sue componenti non riduce
la tipica risposta a un comune dolce. Con una sola eccezione: un
danno al pallido ventrale elimina la capacità dell’animale di godere del cibo, trasformando in sgradevole un sapore piacevole.
Invece è più difficile procurarsi un’intensa euforia rispetto ai
piaceri quotidiani. Forse perché un forte aumento del piacere – come quello indotto chimicamente negli animali di laboratorio – richiede l’attivazione simultanea della intera rete: l’eliminazione di
qualsiasi singola componente smorza l’euforia.
Resta da chiarire se il circuito del piacere, e in particolare il pallido ventrale, funzioni così anche nell’uomo. Sono infatti pochissime le persone che si recano in ospedale con un danno specifico a
queste strutture, senza cioè presentare lesioni anche nelle aree circostanti. Risulta perciò complicato valutare se il pallido ventrale e
altre componenti del circuito sono essenziali per la sensazione di
piacere. Siamo a conoscenza di un paziente il cui pallido ventrale fu danneggiato da una massiccia overdose di droga. In seguito
l’uomo avrebbe riferito di essere dominato da sensazioni di depressione, di disperazione e di senso di colpa, nonché dall’incapacità di
provare piacere. È un possibile sostegno a favore del ruolo centrale
di questa struttura, finora sottovalutata.
Il troppo stroppia
Il circuito non agisce da solo nella regolazione delle sensazioni di piacere. Per aggiungere quella calda patina di piacere a una
sensazione o a un’esperienza entrano in campo ulteriori regioni
cerebrali. Queste strutture superiori contribuiscono a determinare
il grado di piacevolezza di una situazione, sulla base delle condizioni del momento: se siamo affamati oppure sazi, o se magari ne
abbiamo abbastanza di un piacere in particolare. Sbafata una teglia di torta al cioccolato, persino un impenitente chocoholic, uno
schiavo del cioccolato, troverà assai meno attraente una confezione di caramelle.
Nel caso del cibo, una delle ragioni dell’evoluzione di questa sazietà selettiva dipenderebbe dal fatto che spinge gli animali a ottenere un’ampia varietà di sostanze nutritive, piuttosto che a fissarsi
su un cibo preferito. E sembra codificata in una parte del cervello,
la corteccia orbitofrontale.
Quest’area, localizzata nel «ventre» della corteccia prefrontale,
che nell’uomo risiede appena sopra agli occhi, riceve informazioni
dal nucleo accumbens e dal pallido ventrale. Essa modulerebbe il
grado di rappresentazione cosciente del piacere, diffondendo una
www.lescienze.it
sensazione accompagnata dal delizioso brivido che associamo alla gratificazione, e all’attenuazione delle sensazioni quando ne abbiamo abbastanza.
Potenti tecniche di neuroimaging ci hanno permesso di scoprire che l’attività di una piccola regione interna alla regione orbitofrontale, l’area medioanteriore, ha una stretta correlazione con
la piacevolezza di una sensazione gradevole, per esempio il gusto del latte al cioccolato. Al primo sorso, la regione si attiva. Ma
non appena i soggetti ne hanno consumato a sufficienza la regione medioanteriore si disattiva, e a questo punto l’esperienza smette di essere piacevole.
Prove ulteriori che la regione medioanteriore sia importante
nella nostra sensazione del piacere derivano da studi sulla stimolazione terapeutica del cervello profondo. Questa procedura è usata
per trattare alcuni disturbi, e anche per alleviare la sofferenza nei
soggetti affetti da dolore cronico, altrimenti intrattabile.
In un nostro paziente che aveva subito un’amputazione e che
provava dolore all’arto mancante, la stimolazione di un’area interna al tronco cerebrale induceva profonde sensazioni di piacere, oltre ad alleviare il dolore. Le neuroimmagini, ricavate simultanea­
mente, rivelavano un’ondata di attività anche nella regione
me­­dio­anteriore. È ancora oggetto di indagine se possiamo impiegare la stimolazione di specifici hotspot nel sistema del piacere per
trattare la depressione o altre forme di anedonia, ovvero l’incapacità di provare il piacere.
Analogamente, ulteriori ricerche potrebbero rivelare come sono collegati i circuiti che presiedono al piacere e alla ricompensa. In circostanze normali, gli hotspot edonici sono accoppiati ai
sistemi di ricompensa regolati dalla dopamina per farci desiderare le cose che ci fanno stare bene e per evitare, o essere indifferenti, a quelle non altrettanto gratificanti. Nel caso della dipendenza,
questi sistemi si scollegano – ancora non sappiamo come – causando la continua e smodata ricerca di cose che hanno smesso di
provocare piacere. È una dissociazione che forse contribuisce ad
altre forme di comportamento compulsivo, come rimpinzarsi indiscriminatamente di cibo o giocare d’azzardo. Comprendere come e perché si verifica questo disaccoppiamento potrebbe indicare strategie migliori per invertire i cambiamenti cerebrali a monte
della dipendenza e per ristabilire l’allineamento naturale tra il volere e il gradire.
Aristotele sosteneva che la felicità consiste di due elementi essenziali: l’edonia, o piacere, a cui va aggiunta la eudaimonia, che a
quel piacere dà un significato. Benché gli scienziati abbiano fatto
progressi nello svelare le basi biologiche dell’edonia, sappiamo poco su come il cervello produce il senso più ampio di una vita vissuta bene. Ci auguriamo tuttavia di poter risolvere prima o poi anche questo rebus, e che le scoperte ci aiuteranno a fondere piacere
e finalità, elevando le esperienze di ogni giorno. Rendendole soddisfacenti nel profondo. E, perché no, sublimi.
n
per approfondire
A Common Neurobiology for Pain and Pleasure. Leknes S. e Tracey I., in «Nature
Reviews Neuroscience», Vol. 9, pp. 314-320, aprile 2008.
The Pleasure Center: Trust Your Animal Instincts. Kringelbach M.L., Oxford
University Press, 2008.
Pleasures of the Brain. Kringelbach M.L. e Berridge K. C. (a cura), Oxford University
Press, 2010.
Building a Neuroscience of Pleasure and Well-Being. Berridge K.C. e Kringelbach
M.L., in «Psychology of Well-Being: Theory, Research, and Practice», Vol. 1, articolo n.
3, ottobre 2011. www.psywb.com/content/1/1/3.
Le Scienze 87
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