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Prova, controprova e responsabilità dell`operatore nelle frodi IVA

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Prova, controprova e responsabilità dell`operatore nelle frodi IVA
IVA
CTR Lazio, 3 luglio 2014, n. 4432
Prova, controprova e responsabilità
dell’operatore nelle frodi IVA
di Paolo Centore
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 4432 del 2014, affronta e
risolve in favore del contribuente una controversia sorta in merito alla responsabilità fiscale
dell’operatore che rimane coinvolto, suo malgrado, in una frode fiscale. La questione viene decisa sulla base dell’onere della prova, ritenendo che l’Amministrazione fiscale non abbia provato (non tanto il coinvolgimento attivo del soggetto, quanto) la compartecipazione colpevole, sotto il profilo dell’omessa diligenza nel valutare il comportamento della controparte.
Lo schema dedotto nella vicenda risolta dalla
Commissione tributaria regionale del Lazio con
la sentenza n. 4432 del 2014 (1) appartiene alla
letteratura classica, sia per i soggetti che per
l’oggetto. Per quest’ultimo, i beni inseriti nel
circuito frodatorio sono automobili, un genere
“caro” ai fraudster, considerando che con poche
operazioni, dato il prezzo medio, si può lucrare
un’ingente somma. Ed anche per l’aspetto soggettivo, gli attori sono sempre gli stessi: un venditore presunto onesto, un acquirente un po’ meno, un terzo soggetto che fa da filtro, e infine,
un acquirente che, spesso turandosi il naso, acquista l’automezzo a prezzo vantaggioso.
Dalla narrativa offerta non si può sapere come
siano andati i fatti nella realtà, ma è ragionevole
presumere che la frode vi sia realmente stata:
cioè, l’Erario, “complici”, in senso lato, tutti i
protagonisti della vicenda, non ha incassato
l’imposta sull’automezzo passato al consumo.
Partendo da questo dato di fatto, occorre aggiungerne un altro, cioè, che i “veri” frodatori, coloro che fanno della frode il loro business, non
avranno mezzi per ristorare il danno erariale.
Sicché, anche in questo caso, la domanda è chi
paga il conto.
I giudici di appello ripercorrono i contorni della
frode cd. carosello, richiamano le sentenze della
Corte di giustizia sul tema e, alla fine, giungono
alla conclusione secondo cui “l’onere di provare
la connivenza tra cedente e cessionario in un
quadro fraudolento spetta essenzialmente al-
l’Amministrazione finanziaria. Nel caso di specie nessuna prova è stata fornita dall’Ufficio circa la partecipazione dell’appellata al meccanismo fraudolento”. Da qui la conferma della decisione di 1° grado e l’annullamento della pretesa erariale.
Come finirà in Cassazione? Non avendo accesso
agli atti di causa, ovviamente, non è dato sapere
quali prove abbia addotto l’Ufficio ma, per le
massime d’esperienza comune, si può ritenere
che l’Amministrazione abbia prodotto qualche
prova, ovvero qualche indizio. Ché, altrimenti,
l’atto d’accertamento sarebbe davvero da considerarsi temerario.
Assumendo, dunque, che l’Ufficio abbia agito
secondo l’usuale diligenza, e ammettendo che
non vi siano prove “regine”, cioè, quelle in base
alle quali (anche attraverso il parallelo procedimento penale) sia stata accertata la partecipazione attiva del contribuente alla frode, si può ragionevolmente presumere che la pretesa sia stata
all’origine fondata sul concetto di negligenza,
tradotto, poi, nell’espressione del “non poteva
non sapere” rivolta all’operatore che ha deciso,
nonostante gli indizi, di contrattare lo stesso, in
omaggio all’adagio pecunia non olet.
Paolo Centore - Professore a contratto di diritto tributario presso
l’Università di Parma e Avvocato in Genova e Milano
Nota:
(1) Il testo della sentenza è riportato a seguire.
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CTR Lazio, 3 luglio 2014, n. 4432
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA
l’ordinanza 6 febbraio
Il principio
Principio di responsabilità oggettiva
2014, causa C-33/12, “Jadi responsabilità oggettiva
In più decisioni della Corte di giustizia,
giello”, ove si conferma la
È fin troppo evidente che il
si rinviene il principio di
limitazione delle indagini
fornitore non disponga di
“responsabilità oggettiva”.
che il contribuente coinvolmezzi investigativi tali da
Nell’ordinanza “Jagiello”, per esempio,
to in operazioni fraudolente
consentirgli di verificare
si conferma la limitazione delle
deve svolgere sulla propria
l’esistenza di situazioni di
indagini che il contribuente coinvolto
controparte contrattuale al
rischio nella sfera giuridica
in operazioni fraudolente deve svolgere
fine di essere considerato in
della sua controparte. Dal
sulla propria controparte contrattuale
buona fede nell’effettuazioche si può desumere che
al fine di essere considerato in buona
ne dell’operazione. Ciò sil’Amministrazione finanziafede nell’effettuazione dell’operazione.
gnifica, dunque, che il conria non sia legittimata a
I giudici, al fine di valutare se il
tribuente non può sostituirsi
chiedere al fornitore di ancontribuente si sia comportato
all’Amministrazione finandare oltre la consueta dilisecondo buona fede e se abbia
ziaria, la quale dispone di
genza richiesta ad un operaadottato le misure per evitare di
strumenti autoritativi per
tore economico e, salvo il
essere coinvolto in una frode, devono,
accertare che un soggetto
caso in cui esistano prove di
ad esempio, considerare i vincoli
non sia in realtà una cartieun reale accordo fraudolengiuridici, commerciali e
ra o rispetti i propri obblito con il cessionario, non ha
professionali, esistenti tra gli
ghi fiscali.
avrebbe alcun diritto di reoperatori. Rilevano, in particolare, il
Il principio della responsacuperare in capo al fornitore
lucro illecito ritratto da chi esercita il
bilità oggettiva del contril’imposta da altri evasa.
diritto a detrazione e la posizione di
buente coinvolto in operaTale conclusione, che si può
questo nell’operazione.
zioni fraudolente si rinviene
definire “di forma”, trova
in un’altra ordinanza della
conferma anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha Corte di giustizia in relazione alla causa Critenuto che: “in ipotesi di accertata falsità ideo- 563/11 del 28 febbraio 2013, “Forvards”, ove si
logica [della lettera d’intenti - N.d.A.], il contri- stabilisce che “il sistema IVA osta a che il destibuente deve provare di avere adottato tutte le natario di una fattura si veda negare il diritto di
misure ragionevoli in suo potere al fine di assi- detrazione dell’IVA versata, tenuto conto della
curarsi che la cessione effettuata in regime di frode o delle irregolarità commesse dal soggetto
esenzione dall’IVA non lo conducesse a parteci- che ha emesso la fattura, come conseguenza del
pare ad una frode” (2), precisando che “la con- fatto che l’operazione corrispondente a quest’uldotta di colui che operi senza assolvere l’impo- tima sia considerata come non realizzata effettista in base ad una dichiarazione falsa, con la vamente (oggettivamente inesistente), salvo che
consapevolezza della falsità, è del tutto equiva- si stabilisca sulla base di elementi oggettivi e
lente a quella di chi sia del tutto privo della di- senza che siano richieste al destinatario di detta
fattura delle verifiche che non gli competono,
chiarazione”.
È evidente che la Corte di cassazione intende li- che il destinatario sapeva o avrebbe dovuto samitare la responsabilità del fornitore alle ipotesi pere che tale operazione si incardinava in una
in cui costui abbia colpevolmente trascurato di frode IVA”.
adottare misure ragionevoli di controllo che gli Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si
avrebbero consentito di rilevare segnali di ano- possono in astratto individuare gli indici che il
malia imprenditoriale del cessionario. Ciò in giudice investito della causa deve considerare al
quanto la Corte di cassazione non trascura il fat- fine di giudicare se un contribuente si sia comto che il fornitore ha una visione solo parziale
della realtà economica del proprio cessionario.
Nota:
Si tratta del cd. principio di responsabilità og- (2) Cfr. Cass., Sez. trib., 26 ottobre 2005, n. 20834; Id., 20 giugno
gettiva, affrontato dalla Corte di giustizia nel- 2008, n. 16819; Id., 17 marzo 2010, n. 6458.
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SOLUZIONI OPERATIVE
costituito dalla causa delportato secondo buona fede
Principio di buona fede
l’errore medesimo. Se esso
nella conclusione dei propri
Ai fini della disapplicazione delle
dipende da imprudenza, neaffari, e se abbia adottato le
sanzioni in capo al fornitore, è
gligenza o imperizia, non
sufficienti misure per evitanecessario che esso abbia posto in
rileva ai fini dell’esclusione
re di essere coinvolto in
essere i comportamenti necessari a
della responsabilità, ma se
un’operazione fraudolenta.
dimostrare di aver agito con la
il trasgressore ha osservato
In proposito, meritano essediligenza necessaria e di essersi
la normale diligenza nella
re richiamate le conclusioni
comportato in buona fede. Ed il fatto
ricostruzione della realtà,
dell’Avvocato Generale nel
discriminante è quindi costituito dalla
l’errore in cui è incorso
caso C-439/04, 6 luglio
causa dell’errore medesimo:
esclude la colpa richiesta
2006, “Axel Kittel”, ove si
– se l’errore dipende da imprudenza,
dal precedente art. 5. Per
suggerisce che i giudici donegligenza o imperizia, non rileva ai
contro l’errore evitabile con
vrebbero, ad esempio, confini dell’esclusione della
l’uso dell’ordinaria diligensiderare i vincoli giuridici,
responsabilità in quanto evitabile con
za, quella cioè che si può
commerciali e personali esil’uso dell’ordinaria diligenza che si può
ragionevolmente pretendere
stenti tra gli operatori impliragionevolmente pretendere dal
dal soggetto agente, non incati.
soggetto agente;
fluisce sulla punibilità”.
Due sono gli indizi in parti– se il trasgressore ha osservato la
Il principio sopra menziocolare modo rilevanti: uno è
normale diligenza nella ricostruzione
nato è ricollegabile a quanil lucro illecito ritratto da
della realtà, l’errore in cui è incorso
to previsto dall’art. 1176
chi esercita il diritto a detraesclude la colpa.
c.c. ove si dispone al comzione, mentre l’altro è la poma 1, che “nell’adempiere
sizione di questi nell’operazione, in quanto una maggiore prossimità al fal- l’obbligazione il debitore deve usare la diligenso negozio accresce il sospetto di una sua parte- za del buon padre di famiglia” e al comma 2 che
“nell’adempimento delle obbligazioni inerenti
cipazione all’inganno.
Relativamente al primo punto, la Corte di giusti- all’esercizio di un’attività professionale, la dilizia ha avuto modo di affermare che “si presume genza deve valutarsi con riguardo alla natura
che un soggetto abbia ragionevoli motivi per so- dell’attività esercitata”.
spettare la sussistenza di tale fattispecie [frode] Pertanto, ai fini della disapplicazione delle sanse il prezzo ad esso richiesto era inferiore al zioni in capo al fornitore, è necessario che esso
prezzo minimo che questi poteva ragionevol- abbia posto in essere i comportamenti necessari
mente aspettarsi di pagare sul mercato per detti a dimostrare di aver agito con la diligenza nebeni, ovvero era inferiore al prezzo richiesto per cessaria e di essersi comportato in buona fede.
Ed il fatto discriminante è quindi costituito dalla
precedenti cessioni dei medesimi beni (3)”.
causa dell’errore medesimo:
– se l’errore dipende da imprudenza, negligenza
Il principio di buona fede
Tanto osservato in linea di ricostruzione teorica, o imperizia, non rileva ai fini dell’esclusione
il tema della responsabilità del cedente/prestato- della responsabilità in quanto evitabile con l’uso
re deve essere ulteriormente analizzato sotto il dell’ordinaria diligenza che si può ragionevolprofilo sostanziale, alla ricerca, cioè, dei limiti mente pretendere dal soggetto agente;
del comportamento di buona fede richiesto dal – se il trasgressore ha osservato la normale diligenza nella ricostruzione della realtà, l’errore in
sistema all’operatore.
L’Agenzia delle entrate, con circolare 10 luglio cui è incorso esclude la colpa (4).
1998, n. 180/E, ha affermato che “rispetto alla
falsa rappresentazione della realtà l’art. 6, comma 1 (del D.Lgs. n. 472/1997 - N.d.R.), esclude Note:
(3) Corte di giustizia UE, 11 maggio 2006, causa C-384/04, “Fedela responsabilità quando l’errore non è determi- ration of Technological Industries e altri”, punto 31.
nato da colpa. Il fattore discriminante è quindi (4) Su questo tema si v. anche risoluzione 24 luglio 2014, n. 71/E.
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La giurisprudenza sul tema
della compartecipazione.
La posizione della Corte di giustizia
Si è già visto retro, a proposito dei limiti formali
della responsabilità del fornitore ed il tema della
responsabilità oggettiva, che la Corte di giustizia ha espresso il principio ormai consolidato
secondo cui le conseguenze della frode fiscale
da altri perpetrata non possono essere poste a
carico del soggetto che non sia in esse coinvolto.
Per completare la ricostruzione dell’attuale posizione dei giudici europei, occorre qui ricordare
la sentenza della Corte di giustizia 21 febbraio
2008, C-271/06, “Netto Supermarkt”, (punto 18
della sentenza), ove si richiama la necessità del
rispetto dei “principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico comunitario, quali, in particolare, i principi di certezza
del diritto e di proporzionalità, nonché di tutela
del legittimo affidamento (v., in tal senso, sentenze 18 dicembre 1997, cause riunite C-286/94,
C-340/95, C-401/95 e C-47/96, “Molenheide e
a.”, Racc. pag. I-7281, punti 45-48; 11 maggio
2006, causa C-384/04, “Federation of Technological Industries e a.”, Racc. pag. I-4191, punto
29, nonché 14 settembre 2006, cause riunite da
C-181/04 a C-183/04, “Elmeka”, Racc. pag. I8167, punto 31)”.
Subito appresso (punti 19 e 20 della sentenza), i
giudici europei ricordano che “in particolare,
quanto al principio di proporzionalità, la Corte
ha già affermato che, conformemente a tale
principio, gli Stati membri devono far ricorso a
mezzi che, pur consentendo di raggiungere efficacemente l’obiettivo perseguito dal diritto interno, portino il minor pregiudizio possibile agli
obiettivi e ai principi stabiliti dalla normativa
comunitaria controversa (v. sentenze ‘Molenheide e a.’, cit., punto 46, nonché 27 settembre
2007, causa C 409/04, ‘Teleos e a.’, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 52). Così, anche se è legittimo che i provvedimenti adottati
dagli Stati membri tendano a preservare il più
efficacemente possibile i diritti dell’Erario, essi
non devono eccedere quanto è necessario a tal
fine (v., in particolare, le citate sentenze ‘Molenheide e a.’, punto 47, nonché ‘Federation of
Technological Industries e a.’, punto 30)”. Per
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giungere, poi (punti 21 e 22 della sentenza), alla
conclusione che “i fornitori agiscono come collettori d’imposta per conto dello Stato e nell’interesse dell’Erario (v. sentenza 20 ottobre 1993,
causa C-10/92, ‘Balocchi’, Racc. pag. I-5105,
punto 25). Detti fornitori sono debitori del versamento dell’IVA anche quando questa, in quanto imposta sul consumo, è in definitiva a carico
del consumatore finale (v. sentenza 3 ottobre
2006, causa C-475/03, ‘Banca popolare di Cremona’, Racc. pag. I-9373, punti 22 e 28). Per tale motivo, l’obiettivo di prevenire la frode fiscale di cui all’art. 15 della sesta direttiva giustifica
talvolta prescrizioni severe quanto agli obblighi
dei fornitori. Tuttavia, qualsiasi suddivisione del
rischio tra questi ultimi e il Fisco, in seguito ad
una frode commessa da un terzo, dev’essere
compatibile col principio di proporzionalità
(sentenza ‘Teleos e a.’, cit., punto 58)”.
I tre passaggi sopra evidenziati, cioè, (i) la necessità del rispetto dei principi fondamentali, tra
cui, il principio di proporzionalità, (ii) la conseguente necessità di contemperamento dei diritti
erariali rispetto a tale principio e, infine, (iii) la
suddivisione del rischio della frode fra Erario e
fornitore sono, all’evidenza, concatenati e, alla
base di essi, vi è la questione della proporzionalità dell’intervento statuale di recupero del danno erariale, perfettamente ammesso e giustificato, in linea di principio, ma da misurare rispetto
al comportamento dell’operatore. Tanto da condurre la Corte di giustizia all’osservazione che
“il fornitore che ha agito in buona fede, che ha
adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere
e che è esclusa la sua partecipazione ad una frode costituiscono elementi importanti per determinare la possibilità di obbligare tale fornitore
ad assolvere l’IVA a posteriori” (punto 25 della
sentenza “Netto Supermarkt”).
La Corte di cassazione sul principio
del “non sapeva o non poteva sapere”
La Corte di cassazione adotta un atteggiamento
rigoroso nei confronti del fornitore consapevole
della frode eventualmente perpetrata dal cliente.
Ad esempio, nel caso dei cd. “falsi” esportatori
abituali, la previsione normativa viene applicata
dalla Corte di cassazione nel senso che “a tutela
del cedente risulta sufficiente la dichiarazione
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sottoscritta dal cessionario sotto la propria responsabilità, sicché il cedente che si attiene alla
dichiarazione pone in essere un comportamento
del tutto adeguato alla previsione della legge”
(5).
Conformemente a quanto già affermato in precedenza dalla stessa Corte (sentenza 24 novembre
1998, n. 11914), al cedente non incombe alcun
obbligo, né facoltà di controllo in ordine all’eventuale non veridicità della dichiarazione.
All’opposto, la responsabilità del fornitore non
viene meno, se questo risulta dolosamente coinvolto in una frode in accordo con l’esportatore
abituale. A questo proposito, la Corte di cassazione, con sentenza 20 giugno 2008, n. 16819,
ha deciso nel senso che “la consapevolezza, da
parte del soggetto che emette la fattura, della
falsità della dichiarazione sulla cui scorta egli
non sottopone l’operazione ad imposta, evidenzia la non sussumibilità di quella concreta operazione nella fattispecie legale (modello astratto) delineata e regolata dal D.P.R. n. 633/1972,
riprodotto art. 8 (che prevede la non imponibilità dell’operazione alle condizioni dallo stesso
indicate) per consapevole mancanza originaria
dell’elemento, che caratterizza quel modello legale, dato dal veritiero intendimento del cessionario (nel caso falsamente dichiarante) di voler
esportare la merce acquistata e, quindi, in sostanza, disvela l’erroneità della applicazione di
quel modello alla fattispecie concreta perché
questa è diversa da quella regolata dal complesso normativo applicato”.
Rispetto alle due situazioni innanzi tratteggiate,
nelle quali sia chiaramente esclusa, ovvero altrettanto chiaramente accertata, la responsabilità
del soggetto terzo, restano sullo sfondo le situazioni grigie nelle quali, pur in assenza di un
coinvolgimento diretto e consapevole della frode, il fornitore sa o non può non sapere - usando
i canoni della normale diligenza e considerando,
per esempio, l’attività svolta dal presunto frodatore - della violazione che tale soggetto si accinge a commettere.
Sui confini di questa zona grigia vanno richiamate alcune pronunce a riguardo della prova
delle cessioni intracomunitarie e, in particolare,
in merito ai comportamenti e alle cautele che il
cedente nazionale dovrebbe adoperare al fine di
dimostrare la propria buona fede. Ad esempio, i
giudici di vertice hanno respinto il ricorso presentato dal contribuente, il quale, per provare la
sua buona fede in una cessione di beni ad una
società identificata in un altro Stato membro
dell’Unione, che si occupava del trasferimento
dei beni a destinazione, aveva addotto di aver
controllato il numero di identificazione della società estera e di non aver altri obblighi, avendo
affidato le merci al destinatario che si era incaricato del trasporto in altro Stato membro, poi non
avvenuto (6).
Un altro caso affrontato dalla Corte di cassazione (7) riguarda una società italiana che vende
prodotti ad una società tedesca che si incarica
del trasporto a destinazione incaricando un suo
vettore. La merce, tuttavia, non viene portata in
Germania e l’Agenzia delle entrate richiede il
pagamento dell’IVA al cedente italiano.
Nelle sue difese il contribuente italiano cedente
rappresentava che: (i) la società acquirente esiste (aveva proceduto ai controlli VIES e al registro del commercio); (ii) i mezzi di pagamento
erano normali, cioè, non anomali; (iii) il vettore
è stato scelto dall’acquirente e ha rilasciato tutti
i documenti di trasporto (CMR ecc.); (iv) non vi
era alcuna prova del coinvolgimento del venditore nella frode commessa dall’acquirente. Nonostante il contribuente si sia uniformato alle
istruzioni dell’Amministrazione fiscale rese con
la circolare 28 ottobre 2007, n. 345, la Corte di
cassazione respinge il ricorso.
In un caso analogo a quello che precede (8), la
Corte respinge il ricorso osservando che “non
incombe sul cedente l’onere di escludere la prova della propria malafede, ma semmai di provare con ogni mezzo l’effettività dell’esportazione
e, qualora sia invece provato e ammesso che tale
esportazione non vi è stata, di dimostrare che il
cedente è stato tratto in inganno nonostante
avesse adottato le opportune cautele per evitare
tale aggiramento”.
In pratica, si richiede al contribuente non già
una prova in positivo della propria buona fede,
Note:
(5) Cass., 21
(6) Cass., 27
(7) Cass., 24
(8) Cass., 13
novembre 2011 n. 4694.
luglio 2012, n. 13457.
maggio 2013, n. 12964.
settembre 2013, n. 20980.
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IL PROBLEMA E LA SOLUZIONE
cassazione. La nuova forma addirittura una prova in
Divieto di impugnazione
mulazione, dopo le modifinegativo relativa all’assenza
per le situazioni di “doppia conforme”
che introdotte, prevede che
di malafede.
– Ci si chiede se sia applicabile il
il motivo del n. 5 possa esAlla luce della ricostruzione
divieto di impugnazione per le
sere invocato “per omesso
di episodi concreti, si deve
situazioni di “doppia conforme”, cioè
esame circa un fatto decisiritenere che il principio ogdi valutazioni di merito già
vo per il giudizio che è stagettivo indicato dalla Corte
esaminate e decise nei gradi di
to oggetto di discussione tra
di giustizia è conosciuto
merito del giudizio.
le parti”, rispetto alla previdalla Corte di cassazione
– La questione è stata risolta dalle
gente formulazione che amma non è applicato; ovvero,
Sezioni Unite, con sentenza n. 8053
metteva il ricorso “per
se applicato, lo è in modo
del 2014. La specialità del rito
omessa, insufficiente o contale da svuotare il senso deltributario si arresta al secondo grado,
traddittoria motivazione cirla giurisprudenza unionale
ossia di fronte alla Commissione
ca un fatto controverso e
sul divieto di ampliare il petributaria regionale; per poi confluire,
decisivo per il giudizio”.
rimetro di responsabilità
in terzo grado, innanzi alla
Unitamente a questa modidell’operatore coinvolto,
Cassazione, che va intesa come
fica, va richiamata l’introsuo malgrado, nella frode fiorgano unitario. Dall’applicazione di
duzione del nuovo art. 348scale da altri attuata. Con il
questo principio, si dovrebbe dedurre
ter, il cui ultimo comma
corollario, non privo di siche il processo innanzi alla
prescrive l’ammissibilità
gnificato, che la scrupolosa
Cassazione non dovrebbe aver luogo,
del ricorso per cassazione
attenzione alla lista di
per aver deciso conformemente i
solo per i motivi di cui ai
adempimenti formali legalgiudici di merito sull’inesistenza delle
numeri da 1 a 4 dell’art.
mente previsti non appare
prove, anche indiziarie, addotte
360, e non anche per il n. 5,
sufficiente per mettere il
dall’Amministrazione finanziaria a
qualora esso sia proposto
contribuente, che effettivasostegno della pretesa azionata.
contro una sentenza di apmente agisce secondo buona
pello che abbia confermato
fede, al riparo dai rischi di
un’eventuale contestazione quandanche questi la decisione resa in primo grado, per le stesse
segua, addirittura, le istruzioni fornitegli dalla ragioni riguardanti le questioni di fatto, cioè,
esattamente, il caso della “doppia conforme” sostessa Amministrazione finanziaria.
pra richiamato.
Le motivazioni delle modifiche apportate al coLa “doppia conforme”
dice di rito civile sono ben spiegate nella sensalverà il contribuente?
Prima di abbandonare il tema, va rilevato che la tenza in commento, come strumento per sbarrasentenza resa dalla CTR conferma, con pari mo- re l’accesso alla Cassazione su questioni che,
tivazioni, il giudizio di primo grado. Si pone, oramai, siano state giudicate, con doppio vaquindi, il tema della confluenza del processo tri- glio, e con il fine ultimo di alleggerire il carico
butario nel processo civile, in sede di cassazio- dei ricorsi in terzo grado, ora non più sostenine, e, in particolare, dell’applicabilità del divie- bile.
to di impugnazione per le situazioni di cd. “dop- Tornando all’aspetto fiscale, la norma sopra ripia conforme”, cioè, di valutazioni di merito già chiamata (art. 54 del D.L. n. 83/2012) indica
esaminate e decise nei gradi di merito del giudi- espressamente, al comma 3-bis, che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano
zio.
La questione è stata risolta dalla sentenza delle al processo tributario di cui al decreto legislatiSezioni Unite 7 aprile 2014, n. 8053, in riferi- vo 31 dicembre 1992, n. 546”. La prima e più
mento all’art. 54 del D.L. n. 83/2012, che, con spontanea interpretazione di questa disposizione
l’intento di snellire i processi, ha modificato di- conduce a ritenere che le modifiche sopra indiverse norme del codice di procedura civile, fra cate restino estranee al processo tributario che,
cui il n. 5 dell’art. 360, relativo al ricorso per dunque, resta regolato dall’art. 62 ss. del D.Lgs.
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n. 546/1992. Ed in effetti, con tutta probabilità,
questa è, anzi, doveva essere, l’intenzione del
legislatore del D.L. n. 83/2012, al fine di lasciare indenne dalle modifiche apportate dal decreto
sviluppo 2012 il processo tributario, che, seppur
anela ad una propria fisionomia come “quarta”
giurisdizione, rispetto a quella civile, amministrativa e contabile, rimane comunque un procedimento di particolare, se non speciale, confezione.
Nel valutare questo aspetto, e con l’evidente,
anche se non apertamente dichiarato, intento di
ridurre all’unità le norme che regolano il processo in sede di cassazione, le Sezioni Unite osservano che la “specialità” del rito tributario si arresta al 2° grado, cioè, innanzi alla Commissione tributaria regionale; per poi confluire, in terzo grado innanzi alla Cassazione che va intesa
come organo unitario, ancorché, per motivi organici di trattazione, le controversie siano poi
devolute ad una particolare sezione, esattamente
la V e la VI-T. Il procedimento di revisione in
terzo grado è, dunque, unico, e non differenziato
in due “cassazioni”, di cui una, la cd. “cassazione fiscale”, sulla base del modello tedesco del
Bundesfinanzhof (BFH), ancora non esiste, ancorché sia stata ipotizzata dal progetto di codice
tributario, presentato in Senato nell’agosto
2013.
Dall’applicazione di questo principio, si dovrebbe dedurre serenamente che il processo innanzi
alla Cassazione non dovrebbe aver luogo, per
aver deciso binariamente e conformemente i
giudici di merito sull’inesistenza (o forse, meglio, sull’insufficienza) delle prove, anche indiziarie, addotte dall’Amministrazione finanziaria
a sostegno della pretesa azionata.
Tuttavia, questo esito non può dirsi scontato. In
precedenti casi, ad esempio, nella questione
“Fallimento Olimpiclub” (9), la Corte di cassazione ha stabilito, conformemente a quanto indicato dalla Corte di giustizia (10), che il principio del giudicato (esterno) deve cedere il passo
a quello che vieta l’abuso del diritto. Evitando,
così, che un formalismo possa travolgere la sostanza.
Non è quindi detta l’ultima parola.
Note:
(9) Cass., 19 maggio 2010, n. 12249.
(10) Corte di giustizia UE, 3 settembre 2009, causa C-2/08. Cfr. P.
Centore, “Giudicato e abuso a confronto nel diritto comunitario”, in L’IVA n. 11/2009, pag. 5; M. Basilavecchia, “Il giudicato
esterno cede all’abuso del diritto (ma non solo)”, in GT - Riv. giur.
trib. n. 1/2010, pag. 13.
LA SENTENZA
Commissione tributaria regionale Lazio, Sez.
XXXVIII, Sent. 3 luglio 2014 (9 aprile 2014), n.
4432 - Pres. Cappelli - Rel. Lunerti
Nel quadro delle frodi carosello, l’onere di
provare la connivenza tra cedente e cessionario spetta sostanzialmente all’Amministrazione finanziaria. Tale prova potrà anche basarsi su presunzioni semplici. In buona sostanza, il Fisco deve portare in evidenza fatti e
circostanze che dimostrino come con il semplice buon senso un qualsiasi imprenditore avveduto, cessionario di beni o servizi, si sarebbe potuto rendere conto dell’inesistenza sostanziale del
cedente.
Fatto
Europa Motori SRL ricorre contro accertamento
IRES IRAP ed IVA 2005 emesso sulla base di ve-
rifica condotta nei confronti della società Gammarent srl da cui emergeva che la ditta stessa insieme
ad altre si poneva come cartiera nell’ambito di frodi carosello nel settore della commercializzazione
di autovetture. Contesta la società ricorrente sia
l’esistenza della frode carosello sia la propria
estraneità alla stessa avendo intrattenuto con la società Gammarent normali rapporti commerciali
non sussistendo quindi nella specie le condizioni
ritenute dall’Ufficio riguardi all’inesistenza di una
“incolpevole ignoranza” rispetto al meccanismo
posto in essere dal proprio fornitore.
La Commissione tributaria provinciale di Roma ha
accolto il ricorso ritenendo non provato il meccanismo di interposizione sulla base del quale l’Ufficio aveva emesso gli accertamenti.
Propone appello la Direzione provinciale 2 di Roma dell’Agenzia delle entrate insistendo sull’esistenza delle circostanze provanti l’interposizione e
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la conseguente frode carosello e la consapevole
partecipazione alla stessa della società accertata
sostenendo la corretta motivazione degli avvisi di
accertamento e la correttezza della ricostruzione
effettuata; conclude quindi per la conferma integrale degli accertamenti chiedendo la riforma in
tal senso delle sentenze impugnate.
Si costituisce nel giudizio di appello la Europa
Motori sostenendo la propria estraneità al meccanismo posto in essere dal proprio fornitore avendo
per la sua parte con questi posto in essere normali
ed effettive operazioni commerciali regolarmente
fatturate. Chiede quindi la conferma delle sentenze
di primo grado.
Diritto
Per la soluzione della controversia devono essere
esaminate le questioni relative alle specie definite
come “frode carosello” quanto alla ripartizione
dell’onere probatorio in materia.
Nella specie l’accertamento impugnato trae origine dalla segnalazione derivante dall’effettuazione
di attività ispettiva nei confronti di soggetto fornitore dell’appellata Euro Motori che pertanto veniva individuata tra i soggetti coinvolti in un articolato meccanismo fraudolento nel settore del commercio di automobili noto comunemente come frode carosello.
Con tale termine si definiscono quelle situazioni
che si concretizzano nella reiterata emissione di
fatture per operazioni (soggettivamente o oggettivamente) inesistenti da parte di soggetti residenti
negli stati membri dell’Unione Europea finalizzata
alla creazione di un fittizio diritto alla detrazione
dell’IVA ovvero alla richiesta di rimborsi IVA.
Lo schema classico della frode carosello vede la
necessaria presenza di almeno tre soggetti: A) il
fornitore comunitario; B) l’acquirente comunitario
- cedente nazionale; C) il cessionario nazionale. Il
soggetto A e quello C sono soggetti passivi dell’IVA nei rispettivi Paesi di appartenenza e sono i
reali attori della cessione merce sottoposta ad imposizione; il soggetto B è un soggetto interposto
che simula l’acquisto del bene dal cedente comunitario e la successiva vendita all’acquirente nazionale.
Il perno fraudolento dell’operazione è rinvenibile
nella figura del acquirente interposto che partecipa
solo cartolarmente all’operazione e non versa
l’imposta addebitata fittiziamente all’acquirente
nazionale che invece la porta in detrazione. Il
meccanismo dell’operazione e gli scopi che la
stessa si propone (acquisizione di materiali a prez-
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zi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del
libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione
all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con
la conseguenza che, in applicazione del relativo
principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17
maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal
medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile, ai sensi
dell’art. 19 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari.
Si deve infatti intendere, interpretando il D.P.R. n.
633 del 1972, art. 19, che l’acquisto - apparentemente effettivo, contabilmente e fiscalmente regolare - compiuto da un’impresa, ultima beneficiaria
di una filiera di società appositamente costituita
per “regolarizzare” (i.e. rendere apparentemente
regolari) una serie di operazioni in evasione o elusione dell’IVA, realizzi esso stesso la comune intenzione fraudolenta dell’intero meccanismo, creato proprio in vista di questo risultato finale; e che
pertanto l’IVA, in tal caso, non è detraibile dal beneficiario finale dell’intero apparato fraudolento,
anche se le fatture e l’intera documentazione contabile relative alle operazioni commerciali da lui
effettivamente compiute sembrino perfettamente
regolari.
È vero, infatti, che in una catena di cessioni soggette ad IVA, poste in essere successivamente da
diversi operatori, quelle che soddisfano i criteri
obiettivi sui quali è fondata la detraibilità dell’imposta non sono pregiudicate dal fatto che una delle
operazioni, precedente o successiva, compresa
nella catena, sia viziata da frode all’IVA, senza
che il soggetto passivo lo sappia o lo possa sapere
(CGE, sent. C-354/03 del 12.1.2006). Ma il meccanismo fraudolento, cui si riferisce la presente
causa, appartenente al genere delle cosiddette frodi carosello, essenzialmente fondate sul mancato
versamento dell’IVA incassata da società cartiere a
seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti
esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione, come nel caso, di una o più società
filtro, suppone, per sua natura e per gli scopi che
si propone, la piena conoscenza della frode e la
piena partecipazione del beneficiario finale all’accordo simulatorio.
In simile ipotesi, è imperativo il richiamo all’art.
17 della direttiva CEE n. 388/77, del 17 maggio
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1977, ove si afferma il principio d’indetraibilità
dell’IVA assolta in corrispondenza di comportamenti abusivi, volti cioè a conseguire il solo risultato del beneficio fiscale, senza una reale e autonoma ragione economica giustificatrice della catena di cessioni successive. Nello stesso senso, CGE
C-419/02 del 21.2.2006 e Cass. n. 10352/2006, in
quanto, secondo un principio generale non scritto
(ora anche positivamente fissato nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 21 bis), vigente nell’ordinamento, il contribuente non può trarre indebiti
vantaggi fiscali dall’utilizzo di strumenti giuridici
privi di ragioni economicamente apprezzabili e diretti unicamente a conseguire tali indebiti vantaggi
(cfr. Cass. SS.UU. n. 30057/2008).
Nel quadro delle frodi carosello, spetta al Fisco dimostrare il coinvolgimento del cessionario nell’ambito delle circostanze incriminate; peraltro, l’amministrazione finanziaria può fornire tale prova mediante presunzioni semplici, purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (cfr
Cass. 28 marzo 2013 n. 7900). Secondo la Suprema
Corte, infatti, innanzitutto l’Amministrazione finanziaria deve poter provare l’esistenza di un comportamento fraudolento da parte del cedente (detta
“cartiera”) preordinato al conseguimento di un utile
e, soprattutto, deve poter poi dimostrare la connivenza nella frode da parte del cessionario. Tale prova non dovrà essere necessariamente certa, ma ben
potrà basarsi su presunzioni semplici, purché dotate
del requisito della gravità, della precisione e della
concordanza. In buona sostanza, il Fisco deve portare in evidenza elementi e fatti che dimostrino come con il semplice buon senso un qualsiasi imprenditore avveduto, cessionario di beni o servizi, si sarebbe potuto rendere conto della inesistenza sostanziale della controparte; concludendo così che l’onere di provare la connivenza tra cedente e cessionario in un quadro fraudolento spetta sostanzialmente
all’amministrazione finanziaria.
Nella specie nessuna concreta prova è stata fornita
dall’Ufficio circa la partecipazione dell’appellata
al meccanismo fraudolento come peraltro già ritenuto dai giudici di prime cure la cui pronuncia merita quindi piena conferma.
La complessità e peculiarità della materia costituiscono giusti motivi per disporre la compensazione
delle spese di lite.
P.Q.M.
La Commissione respinge l’appello dell’Ufficio.
Spese compensate.
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