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Catch My Lies if you Can

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Catch My Lies if you Can
Ringraziamenti:
Giunta, infine, all’ultima tappa del mio percorso universitario, penso sia doveroso,
innanzitutto, spendere due parole verso coloro che mi hanno aiutato, praticamente
o anche solo moralmente, ad affrontare quest’ultima fatica prima del traguardo.
In primo luogo desidero ringraziare la mia relatrice, la Professoressa Cristina Iani,
per avermi dato la possibilità di realizzare una tesi su un argomento di mio particolare interesse, permettendomi così di esprimermi al meglio. La ringrazio per la
pazienza, la disponibilità e la cortesia mostratami in ogni circostanza.
Ringrazio il Prof. Corrado de Francesco che mi ha incoraggiata a trasformare
quello che era stato un buon esame nel punto di partenza per un’altrettanto efficace tesi di laurea.
Ringrazio anche il Prof. Kermol, la Dott.ssa Soloperto e la Dott.ssa Leghissa dell’
Università degli Studi di Trieste per i preziosi insegnamenti, indispensabili per la
stesura della tesi e per la mia personale conoscenza.
Un fortissimo ringraziamento per la costante fiducia, la stima e l’affetto va ovviamente alla mia famiglia, e in particolar modo a mia madre e mio padre, senza i
quali non sarei mai potuta arrivare sin qui.
Grazie alla mia Direttrice, Virginia, che mi ha sempre permesso di conciliare
l’amore per il mio lavoro e la determinazione a terminare gli studi universitari.
Grazie a Eddi che ha pazientato un pomeriggio intero e scattato oltre 100 foto,
nella disperata ricerca di quelle uniche 7 da poter pubblicare.
Desidero infine ringraziare Ivo che per un anno mi ha dato serenità, amicizia e
supporto morale.
A mio nonno.
Vi sono le bugie che hanno le gambe corte, e le bugie che hanno il naso lungo:
la tua per l'appunto è di quelle che hanno il naso lungo.
(da Pinocchio di Carlo Collodi)
Fin da quando siamo piccoli, i nostri genitori ci insegnano che mentire è sbagliato.
L'onestà è la miglior condotta.
La verità vi renderà liberi.
Il diavolo è il padre della menzogna
Ma, allora, perché mentiamo?
Perché i nostri genitori si sono preoccupati di insegnarci anche che quando l’onestà, sebbene sia la
miglior condotta, non ci riesce proprio di intraprenderla, allora possiamo sempre fingerla: «Non fare
quella faccia schifata», «Levati quel sorrisino dalla
bocca».
Insomma, la verità ti renderà anche libero, ma se
fingi quello che ti dico di fare eviti la sgridata.
E così, finiamo tutti col dare ragione all’ultimo proverbio.
Sono poche le ragioni per dire la verità. Mentre quelle per mentire sono infinite.
i
(Carlos Ruiz Zafòn)
Perché mentiamo?
Non vorrei sembrare prolissa e tediosa come certe persone che sicuramente vi è capitato di incontrare e dei
quali avete detto poi: “Quello quando ti racconta qualcosa comincia sempre da Adamo ed Eva”.
Perdonatemi, perciò, ma in questo caso è necessario
partire proprio da lì. Nel giardino dell’Eden i nostri primogenitori furono i protagonisti della prima menzogna
della storia: “Positivamente non morirete.” disse il serpente alla donna.1 Eva ci cascò, mangiò e dritta alla tomba andò.
Anche se tutti sappiamo che mentire è sbagliato, a volte diventa inevitabile, necessario, perfino scusabile.
Ma perché mentiamo?
Esiste un modo per smascherare le bugie?
Alcune bugie sono davvero scusabili? Se sì, quali?
Cerchiamo di scoprirlo insieme.
Nel libro “How infants know minds”, Vasudevi Reddy,
insegnante di Psicologia dello sviluppo all'Università di
Portsmouth (GB), sostiene che "fin dalla nascita i bambini sviluppano relazioni emozionali con i genitori”. La
comunicazione ingannevole non verbale può servire a
diversi scopi: "Ricevere attenzione, essere premiati, salvare la faccia, evitare problemi […] accresce nel bambino l'esperienza delle conseguenze delle proprie azioni".2
Come dire: le cattive abitudini s’imparano in fretta.
Non mi freghi!
E va bene, accettiamo pure il fatto che impariamo a mentire fin da bambini, che l’istinto di sopravvivenza l’ha tramandato per evoluzione o
una donna credulona e un viscido serpente ci abbiano fregato alla grande.
Che dobbiamo fare, subire le menzogne passivamente? Farci prendere in giro senza nemmeno
accorgercene? Berci tutte le frottole che ci raccontano? Abboccare all’amo come pesci lessi?
Beh, non so voi, ma io di farmi fregare non ne ho
proprio voglia! Che fare allora?
Con l’aiuto del FACS e lo studio delle microespressioni facciali, puoi trasformarti anche tu,
come me, in una LieBusters.
Tipi di menzogna
Tutti noi siamo dotati di libero
arbitrio e per questo, quando ci
viene posta una domanda, quando esponiamo un fatto, quando
raccontiamo una vicenda, possiamo sempre scegliere se affermare la verità o affidarci a una menzogna.
Ovviamente, le menzogne cui mi
riferisco, sono quelle in cui il destinatario non chiede di essere ingannato e il mentitore non ha deciso in precedenza di farlo. Sono
quelle che Goffman chiama menzogne sfacciate, quelle “per le
quali esiste la prova che chi le ha
dette sapeva di mentire e l’ha fatto volontariamente”.3
Perciò il presupposto della menzogna che indagheremo è la volontarietà del gesto.
Vediamo i due modi che abbiamo
per mentire a qualcuno.
Dissimulazione
Nella dissimulazione, chi mente,
si limita a omettere parti del racconto, tralasciare particolari, saltare avvenimenti, nascondere informazioni senza, però, mai effettivamente dire nulla di falso.
Solitamente questo è il modo preferito di mentire, perché nascondere qualcosa (comportamento
passivo) fa sentire il mentitore
meno colpevole. Inoltre le bugie
per omissione saranno più facilmente giustificabili nel caso siano
scoperte successivamente: “Mi
sono dimenticato”, “Mi è passato
di mente”, sono vie di fuga cui ricorrere una volta smascherata la
menzogna.
Ma ci sono casi in cui dissimulare
la verità non è sufficiente.
Falsificazione
Nel caso di falsificazione non ci si
limita più al tacere l’informazione vera, ma al dirne una falsa al
suo posto, spacciandola per vera.
Ovviamente, in questo caso, le
cose si complicano.
Nascondere qualcosa è meno pericoloso che riferire il falso, non
c’è il rischio di farsi cogliere in
fallo. Ma l’uso della falsificazione
è comunque necessario quando
mentiamo, per mascherare la verità. Questo avviene soprattutto
quando entrano in gioco le emozioni. Se un’emozione è particolarmente forte, è necessario mascherarla con un’altra, fasulla, al
fine di evitare che l’imbroglio sia
scoperto. Fingere un’emozione
contraria a quella provata è il più
arguto dei depistaggi possibili.
Piccoli errori
La paura di essere smascherato:
Questa paura può essere un vantaggio per chi mente, perché gli
consente di mantenere un alto livello di vigilanza. Ma se raggiunge livelli più elevati, allora diventa riconoscibile.
Per quanto riguarda l’intensità di
questa paura, possono entrare in
gioco fattori diversi: 1. L’idea che
il mentitore ha circa le abilità
della possibile vittima. Se si tratta
di un credulone ingenuo, la paura
sarà quasi nulla. Al contrario se la
potenziale vittima ha fama di non
lasciarsi ingannare facilmente,
l’ansia ne accentuerà i sintomi.
Qui, però, scatta un primo problema: la paura che si disegna sul
volto della persona è causata dall’
aver raccontato una bugia, o per-
ché la persona teme di non essere creduto sebbene stia dicendo
la verità? La microespressione è
la stessa per cui è difficile comprendere realmente quale sia
delle due la vera motivazione.
2. la pratica e il fatto di essersela
sempre cavata in passato possono ridurre l’apprensione. La
fiducia acquistata riduce al minimo la paura. Alla lunga però può
rilevarsi anche controproducente
poiché si può cadere in errore
per distrazione, proprio per un
eccesso di sicurezza.
3. infine, esistono persone che,
per natura, sono più brave a nascondere la paura, mentre altre si
trovano impacciate alla sola idea
di dover mentire
Senso di colpa
La colpa, in questo caso, non fa
riferimento al contenuto della
menzogna ma al fatto di averla
detta. Questa è una distinzione
importante: una persona può non
sentirsi colpevole per ciò che
nasconde, ma per il fatto stesso
di nascondere qualcosa.
I problemi sorgono per diversi
motivi, dovuti all’intensità del
sentimento: 1. Quando si architetta una bugia non sempre si
riesce a prevedere l’intensità del
senso di colpa che ci troveremmo
a provare; 2. Spesso, per mantenere in piedi una bugia ci troviamo costretti a mentire ancora,
e ancora, a volte addirittura all’infinito.
Simile e al contempo diversa è la
vergogna.
La vergogna, a differenza del senso di colpa, è un'emozione sociale (per essere provata necessita di un "pubblico"). Mentre il
senso di colpa si può provare
anche da soli.
Senso di colpa e vergogna sono
spesso concomitanti nella persona: ci si sente in colpa per aver
mentito ma ci si vergogna ad ammetterlo.
Mentre il senso di colpa spinge
verso la confessione per essere
placato, la vergogna, per essere
evitate, spinge a non farlo.
Anche in questo caso ci sono persone più soggette e vulnerabili di
altre al senso di colpa e alla vergogna. Soprattutto in mancanza
di valori comuni tra autore e vittima, il senso di colpa sarà scarso
e si proverà poco imbarazzo.
Il piacere della beffa
Mentire può anche provocare piacere. L’inganno può essere visto
come un’impresa riuscita: chi
mente può provare eccitazione sia
prima sia durante le fasi d’inganno, e sollievo una volta accertato
che la vittima ci è cascata, accompagnato da orgoglio, soddisfazione e senso di superiorità. Tutti
sentimenti che possono tradire l’
autore della menzogna.
Distinguiamo due tipi di piacere
derivanti dal mentire:
• un piacere socialmente accettato come conseguenza di giochi e scherzi che si possono fare tra amici.
• un piacere derivante dalla soddisfazione delle proprie malefatte.
Il secondo tipo di piacere è quello
che traspare sui volti del colpevole sotto forma di sogghigno.
Come microespressione questa è
la più riconoscibile di tutte, anche
se, troppo spesso, riesce a passare
inosservata.
Il piacere della beffa aumenta
quando ci si trova davanti ad un
degno avversario, ciò trasformerà
l’inganno e il fatto stesso di ingannare una sfida. Se poi il tutto si
consuma sotto lo sguardo di un
pubblico (consapevole o meno
della menzogna) che possa ammirare l’arte del mentitore, il piacere
sarà massimo.
Smascheriamo l’inganno
Ecco tre cose che dovremmo sempre tenere sott’occhio quando “interroghiamo” qualcuno di sospetto:
Le parole.
La massima cura nell’arte del camuffamento della verità è dedicata alla scelta delle parole. E’ facile capire il perché: le parole sono il modo più accurato, rapido e
ricco di comunicare. Il bugiardo
lo sa bene (lo sappiamo tutti)
perciò si concentra molto su
quello che dice. Inoltre mentire a
parole è molto semplice, basta
dire qualcosa di non-vero.
Ma, cosa ancora più importante,
nel parlare si dispone sempre di
un’informazione di ritorno: possiamo sentirci, ascoltare le nostre parole.
Quest’informazione di ritorno ci
permette, all’occorrenza, di aggiustare il tiro delle nostre parole.
Eppure può capitare che molti
bugiardi siano traditi dalle parole per pura e semplice distrazione.
Un motivo può essere che non si
siano preparati alcuna “verità alternativa” da sfoggiare in caso di
necessità. Oppure si può essere
traditi da uno di quei lapsus che
Freud sostiene esprimano “qualcosa che non si desiderava dire e
che tradiscono noi stessi”.4 Altro
modo in cui l’errore diventa vistoso sono le tirate declamatorie,
quando le informazioni fuoriescono ininterrottamente spinte
dalla foga dell’emozione e, solo
quando ormai il pasticcio è fatto,
ci si rende conto del danno. Ciò
nonostante mentire a parole, è
molto facile.
La voce.
La voce è collegata a zone del
cervello coinvolte nelle emozioni. Per questo è così difficile controllare i cambiamenti nel tono
della voce quando entra in gioco
un’emozione.
Inoltre l’informazione di ritorno
che otteniamo dall’ascoltarci
non è così accurata come avviene per le parole.
Dovremmo tendere l’orecchio
soprattutto ad alcuni aspetti del
parlato: 1. Le pause: se troppo
lunghe o frequenti e l’esitazione
al momento di attaccare a parlare, possono far nascere sospetti;
2. Gli errori: quali le intromissioni di non-parole (ehm, uhm,
ecc.), ripetizioni (Io, io, ecco…) e
delle parole ripetute a metà
(vera-veramente…). Pause ed
errori possono presentarsi sia
perché non si è preparato bene
in anticipo l’inganno, sia perché,
seppur sia ben preparato, l’autore della menzogna si lascia
prendere dall’ansia di essere
scoperto; 3. Infine, il suono della
voce può far trapelare l’inganno:
più acuto in situazioni di turbamento (soprattutto in caso di
rabbia o paura), l’accelerazione
e l’aumento di volume in caso di
collera e paura, infine il rallentamento e l’abbassamento di volume in caso di tristezza.
Va comunque detto che non esiste alcun segno vocale di bugia
(così come l’assenza di ciascuno
di essi non è prova di sincerità),
ma solo sintomi di emozioni in
atto.
I gesti.
Esistono tre tipi di gesti: i gesti
emblematici, gli illustratori e le
manipolazioni.
Gli emblematici, sono segni convenzionali del linguaggio (es. salutare, fare spallucce, ecc),
questi gesti hanno un significato
ben preciso all’interno di un certo gruppo culturale. Questi sono
gesti eseguiti di solito deliberatamente, ma ci sono delle eccezioni: dei lapsus gestuali, gesti
che il soggetto si lascia sfuggire e
che tradiscono qualcosa che in
realtà voleva essere nascosto.
Due sono i segni distintivi del
lapsus: 1. Il gesto è eseguito solo
parzialmente; 2. l’azione non è
eseguita nella posizione in cui si
presenta solitamente (avviene
fuori dal campo visivo).
I lapsus gestuali sono un segnale
attendibile perché non ambigui.
I gesti illustratori sono quelli che
accompagnano il discorso mentre viene pronunciato. Solitamente sono le mani e i movimenti di sopraciglia e palpebre.
L’indizio, nel caso di questi due
gesti, sta nel vedere diminuire
gli illustrativi a dispetto del suo
solito, mentre, per effetto di lapsus, aumentano gli emblematici.
I motivi per cui si riducono sono:
1. minor partecipazione emotiva
al racconto; 2. Difficoltà a decidere cosa dire; 3. Interferenza di
emozioni che possono ostacolare la coerenza del discorso.
Le manipolazioni, infine, hanno
lo scopo di allentare la tensione
(strofinare, massaggiare, ecc.).
Sono abitudini inevitabili.
Paul Ekman
Queste sono foto di due indigeni della tribù di Fore in
Nuova Guinea. Osservale con attenzione.
Che sensazioni ti trasmettono?
Queste sono le facce da cui è partito lo scienziato Paul
Ekman nel suo studio sulle microespressioni facciali.
Grazie agli studi in Nuova Guinea, Ekman mostrò che le
espressioni facciali delle emozioni non sono determinate dalla cultura, ma sono universali.5
Pareva proprio che Darwin avesse ragione.6
All’epoca dei suoi studi, però, la visione che dominava
l’antropologia culturale, e anche la psicologia, riteneva
che tutto ciò che avesse importanza sociale dovesse essere il prodotto di un apprendimento, e pertanto differenziarsi a seconda della cultura di appartenenza.7
Ekman rispose con il concetto di regole di esibizione:
esistono regole apprese socialmente che riguardano la
manifestazione delle emozioni che variavano da cultura a cultura.8
Quello che facciamo è manifestare in privato le emozioni innate, mentre in pubblico quelle gestire (ovvero
quelle che sappiamo di poter/dover mostrare).9
AU dei muscoli facciali
secondo la codifica del FACS
Il FACS
Paul Ekman è uno dei 100
psicologi più famosi del
ventesimo secolo, pioniere
dello studio delle emozioni
e della loro relazione con le
espressioni facciali.
Nel 1976 Ekman e Friesen, a conclusione dei numerosi studi e delle ricerche svolte, individuarono 7
emozioni universali, riconoscibili al di là di ogni ragionevole dubbio.
Chiamarono queste emozioni: fondamentali.
Le caratteristiche di queste emozioni sono:
• universalità (valgono per tutti gli esseri umani);
• indipendenza dal sesso;
• dalla razza;
• dalla scolarizzazione;
• dalla cultura di appartenenza.
Stilata così una lista delle emozioni base, Ekman
concluse che alcune di esse sono biologicamente
universali per tutti gli esseri umani.
Proseguendo negli studi e nelle ricerche, Ekman arrivò a sviluppare il Facial Action Coding System
(FACS) per ordinare ogni espressione facciale umana pensabile. Il FACS inventato da Ekman e Friesen è il
più comprensivo, completo e versatile sistema di misurazione dei movimenti facciali che risultano dall’azione dei muscoli.
Il FACS fu sviluppato per determinare come
le contrazioni di ogni muscolo facciale, singolarmente o in combinazione con altri muscoli, cambiano le sembianze di una faccia.
La misura delle espressioni facciali nel sistema FACS è fatta attraverso le Unità di Azione (AU), invece che con unità muscolari.
Tramite i loro studi, Ekman e Friesen hanno
calcolato e codificato 44 AU che rendono
conto dei cambi nelle espressioni facciali e
altre 14 AU che più grossolanamente descrivono i cambi nella direzione dello sguardo e
nell’orientamento della testa.
Ekman e Friesen hanno così redatto un FACS
Manual, che insegna come riconoscere e numerare le AU. Nel manuale ogni AU è rappresentata tramite immagini e video, oltre a essere descritta verbalmente.10
Ma cosa si fa esattamente tramite il FACS
Manual?
Elementare Watson!
Quello che facciamo è dissezionare un’espressione osservata, decomponendola nelle
specifiche AU che hanno prodotto il movimento.
Si guarda e riguarda il video da analizzare (sia
al rallentatore, sia fermando le immagini) per
determinare quale unità di azione, o combinazione di unità di azione, sono coinvolte nei
cambiamenti facciali.
La valutazione finale si ottiene tramite le singole rilevazioni di ciascuna specifica espressione facciale, consistente nella codifica delle unità di azione (AU) che sono coinvolte in
quell’espressione.11
Ekman arrivo così anche a concludere che le
microespressioni facciali potevano essere usate per individuare le menzogne.
Vediamo insieme come.
Te lo leggo in faccia
Abbiamo visto che il nostro viso è capace sia di
mentire sia di esprimere la verità. Ma, cosa ancora più straordinaria, è capace di fare entrambe
le cose contemporaneamente.
Alcune espressioni che compaiono sulla nostra
faccia sono, perciò, al servizio della bugia che
stiamo raccontando, sono false anche loro. Eppure, a volte, nonostante i nostri sforzi per celare
o modificare le espressioni del nostro viso, i reali
sentimenti riescono a trapelare ugualmente.
Aimè, però, la maggioranza delle persone non è
in grado di distinguere le espressioni false da
quelle vere, nemmeno (o soprattutto) quando
queste due compaiono insieme. Di solito ci si
sofferma molto sulle espressioni più evidenti,
quelle più visibili, ma che, guarda a caso, sono
spesso quelle false.
Mente le espressioni che fanno trasparire le emozioni nascoste (le microespressioni) sono così rapide che per lo più passano inosservate.
Pensa che una microespressione passa sul nostro viso in meno di un quarto di secondo.
Rapida eh.
Le 7 emozioni universali
Un sorriso è il mezzo scelto per ogni ambiguità.
(Herman Melville)
FELICITA’: Condizione di letizia, di gioia, di soddisfazione, contentezza.12
Il neurologo francese Duchenne de Boulogne, già a
metà del XIX sec. individuò le caratteristiche del vero sorriso. 13
Quello sincero, detto sorriso Duchenne, coinvolge,
oltre ai muscoli della bocca, anche quelli degli occhi.
Ciò che distingue un sorriso autentico da uno falso, è
la modificazione dell’espressione del viso nella persona felice a seguito della contrazione del muscolo
zigomatico maggiore.
Caratteristiche della microespressione:
• Gli angoli della bocca si sollevano in un sorriso.
• Le palpebre si stringono,
• Le guancie si alzano e gli angoli esterni della
fronte si abbassano.
Il muscolo zigomatico maggiore, contraendosi, solleva gli angoli della bocca inclinandoli verso gli zigomi disegnando sul nostro viso il classico sorriso.
Ma perché si tratti di un sorriso genuino, è necessario che compaia anche una contrazione spontanea del muscolo dell'occhio detto pars lateralis.
Paul Ekman ha misurato l’attività celebrare di varie persone sorridenti, scoprendo che solo coloro
che, nel sorridere, contraevano il famoso muscolo
pars lateralis attivavano aree cerebrali che determinano sensazioni di piacere.
Quando invece si sorride in modo forzato, senza
perciò l’attivazione di quelle aree celebrali predisposte al piacere, l’attivazione del muscolo non avviene e le “zampe di gallina” che si formano a lato
degli occhi e il lieve abbassamento delle sopracciglia che compaiono nel sorriso autentico non sono
presenti.
Si è purtroppo notato che, in genere, le persone si
lasciano facilmente ingannare dai falsi sorrisi; la
causa di questi frequenti fraintendimenti è l'incapacità di distinguere i sorrisi veri (Duchenne) da
quelli creati ad hoc per imbrogliare.
Dato che un uomo politico non crede mai in ciò che dice, resta sorpreso
quando gli altri ci credono.
(Charles De Gaulle)
SORPRESA: Ciò che si verifica o si attua all'improvviso, in modo inatteso, inaspettato.14
L’emozione che si disegna sulla nostra faccia a
seguito di una sorpresa spontanea e involontaria
appare solo per una frazione di secondo, ma si
può facilmente riconoscere da:
• Sopracciglia che si alzano così da diventare curve e alte.
• La pelle che si stira sotto le sopracciglia.
• Comparsa di rughe orizzontali sulla
fronte.
• Palpebre aperte.
• La mascella cade, così da separare le labbra e i denti. Non c’è tensione attorno alla bocca.
L’emozione della sorpresa è immediatamente seguita da un’altra emozione, solitamente: paura, gioia o confusione.
L’intensità dell’emozione provata è per lo
più associata con quanto la mascella si
abbassa, ma può anche succedere che in
alcuni casi la bocca non si apra per niente.
È il sollevarsi delle sopracciglia – anche
solo per un momento – il più netto e distintivo segno dell’emozione della sorpresa.
Spesso si scopre esser più utili le cose da noi disprezzate che quelle
apprezzate.
(Fedro)
DISPREZZO: Sentimento e atteggiamento di totale
mancanza di stima e di sdegnato rifiuto verso
persone o cose, considerate prive di dignità morale o intellettuale, abiette, volgari.15
Il disprezzo classificato da Ekamn (contempt) ha
una sfaccettatura diversa dal disprezzo generalmente inteso (scorn): è un sentimento/atteggiamento di considerare qualcosa o qualcuno come
inferiore, vile e senza valore.
Il senso è quello manifesto nell’atto di disprezzare, disonorare e mancare di rispetto a qualcuno,
appunto perché ritenuto inferiore.
Segno distintivo della microespressione del disprezzo è lo stringersi delle labbra e il sollevarsi di
uno solo dei due angoli, come per accennare un
sorriso.
Robert C. Solomon, professore di filosofia alla University of Texas at Austin,
colloca il disprezzo nella sfera dei sentimenti di cui fanno parte anche risentimento e rabbia, specificando però la
differenza tra le tre emozioni:
• Risentimento: è diretto nei confronti di chi ha un più alto stato
sociale.
• Rabbia: è diretto verso chi ha un
eguale stato sociale.
• Disprezzo: è diretto verso chi ha
un inferiore stato sociale.16
Questa del disprezzo è l’unica emozione
che compare su di una sola parte del viso.
Il disprezzo è un’emozione complessa e
inizia a manifestarsi dopo il compimento
del 15/18 mese di vita.
A differenza del disgusto (come vedremo dopo) il disprezzo ha origine sociale.
Se mi capita di scoprire che una persona che ho fatto assolvere in realtà era
colpevole mi viene tristezza perché non ho capito nulla e sono stata presa in giro.
(Giulia Buongiorno)
TRISTEZZA: Stato d'animo di chi è triste, malinconico, addolorato, infelice.17
La tristezza è un’emozione causata da
un sentimento di senso di svantaggio,
perdita e dalla presenza della sensazione di essere indifeso.
Segni distintivi:
• Le palpebre si abbassano, mentre l’angolo interno delle sopracciglia cresce verso l’alto.
• Gli angoli della bocca si abbassano e il labbro inferiore assume la caratteristica posizione
così detta “mesta”.
Solitamente, quando subentra la tristezza, le persone diventano calme, tranquille e tendono a chiudersi in se stesse.
La tristezza è considerata il sentimento
opposto alla felicità e similare alle emozioni di dispiacere, dolore, miseria e malinconia.
La tristezza può essere dovuta ad un momentaneo abbassamento dell’umore (essere giù di corda).
L’emozione della tristezza è legata al senso della perdita (simbolica o reale) e, il
momento della tristezza, viene a coincidere con il momento dell’incontro tra i
nostri desideri e la presa di coscienza dei
nostri limiti.
La tristezza è un’emozione che nasce a
seguito di una perdita, se e quando l’individuo abbandona la lotta.
Senza immaginazione, la paura non esiste.
(Arthur Conan Doyle)
PAURA: Sensazione di forte preoccupazione,
d’insicurezza, di angoscia, che si avverte in presenza o al pensiero di pericoli reali o immaginari.18
La paura è spesso connessa con il possibile
dolore percepito (ES: soffrire di vertigini, si teme il dolore a seguito di una caduta) o con le
fobie (Es. aracnofobia). La paura è anche un
meccanismo di sopravvivenza, e solitamente si
presenta come risposta a specifici stimoli
negativi.
Caratteristiche della microespressione:
• Gli occhi si aprono e la palpebra superiore si alza, come nella sorpresa, ma le
sopracciglia si tirano (non si sollevano)
insieme.
• La bocca si stende orizzontalmente.
Le alterazioni psicofisiologiche derivanti dalla paura sembrano differenziarsi
fra quelle che si associano a stati di
paura intensi (il panico e la fobia) e
quelle invece concomitanti alla preoccupazione e all'ansia.
•
•
•
•
•
Aumento del ritmo e della profondità del respiro;
Aumento della frequenza cardiaca e
quantità di sangue pompato ad ogni
battito;
Meno sangue verso gli organi interni e più sangue verso i muscoli;
Dilatazione delle pupille;
Maggiore secrezione di epinefrina
(adrenalina).
Il risultato di tutte queste modificazioni
è una sorta di paralisi, ossia l'incapacità
di reagire in modo attivo con la fuga o
l'attacco.
Il disgusto mi trova insopportabile. Ma noi due ci separeremmo solo quando
anch’io ne avrò abbastanza di lui.
Disgusto
(Karl Klaus)
DISGUSTO: Senso di nausea, ribrezzo, ripugnanza,
repulsione, avversione.19
Il disgusto è considerato un’emozione fondamentale.
Dal punto di vista del nostro comportamento in situazioni di disgusto (ovvero il nostro modo di manifestarlo) tale emozione si presenta come una
presa di distanza da un oggetto e può essere paragonata ad un atto di rifiuto.
Le manifestazioni facciali di questa emozione
sono:
• Arricciamento delle narici.
• Apertura della bocca con labbro superiore
che si alza e quello inferiore che sporge.
• Innalzamento del labbro superiore.
• Corrugamento delle sopracciglia.
• Leggera chiusura delle palpebre.
Solitamente, in concomitanza con la
contrazione dei muscoli facciali, tutto il
corpo si contrae e si possono arrivare
ad emettere vocalizzazioni riconoscibili
come segnali di ribrezzo.
In alcuni casi, come reazione opposta al
volto disgustato, si può avere la classica
risatina intimidita.
Infine, per quel che riguarda la componente psichica, il tratto costitutivo del
disgusto è la repulsione.
Se è particolarmente intesa, nei casi limite, l'emozione del disgusto, è accompagnata dalla sensazione di nausea e dal
vomito.
Il disgusto è l’emozione che proviamo
meno di frequente e, a differenza del
disprezzo (vedi sopra), il disgusto ha
comunemente origine da animali o cose.
Ciò che più mi fa arrabbiare è che mi arrabbio.
(Roberto Gervaso)
RABBIA: Violenta irritazione, spesso
accompagnata da parole o da azioni
incontrollate.20
La rabbia è una tra le emozioni più
precoci e appartiene, insieme a disgusto e disprezzo alla triade delle emozioni di ostilità.
Segni della microespressione:
• Sia la palpebra superiore che
quella inferiore si stringono,
come anche la fronte che si
abbassa e si stringe insieme.
• Gli occhi mostrano la così detta “occhiataccia”.
• La bocca si stringe e assottiglia.
La rabbia intensa, inoltre, può portare
anche al sollevamento delle sopraciglia,
alla mascella che si spinge in avanti, al
digrignare i denti o al serrare la bocca
con il labbro inferiore che può tendere
un po’ a salire verso l’alto.
Nella rabbia, oltre alla microespressione
facciale, è rilevante anche la variazione
psicofisiologica che subentra nell’individuo, che per alcuni aspetti è anche
visibile direttamente:
• accelerazione del battito cardiaco;
• aumento della pressione arteriosa
e dell'irrorazione dei vasi sanguigni periferici;
• aumento della tensione muscolare;
• aumento della sudorazione.
La rabbia è l’emozione che proviamo più
di frequente.
Lie to Me è un’avvincente serie drammatica,
della Fox che ha già conquistato pubblico e
critica.
Ispirata alla vita e all’attività del nostro ormai
“amico” scienziato Paul Ekman, Lie to Me ne
ripercorre il lavoro scientifico.
La chiave del successo è dovuta alla bravura
di Tim Roth che interpreta il Dr. Cal Lightman,
straordinario analista delle espressioni facciali
e del linguaggio del corpo (ispirato allo stesso
dott. Ekman).
Merito delle infallibili qualità narrative di ogni
puntata che appassiona e coinvolge lo spettatore, Lie to Me, è giunta così alla sua seconda
stagione. La serie vanta un’integrità realistica
costruita dal mescolare sapientemente criminologia, psicologia e attualità, con risultati assolutamente originali.
Catch my lies if you can
“Mentire o non mentire, questo è il problema: se sia più nobile d’animo sopportare gli inganni, le menzogne e le falsità
dell’incauto mentitore, o prendere il FACS contro un mondo
di impostori e sbugiardandoli disperderli.
Sorpresa, paura, nulla più, e con tristezza dirsi che poniamo
fine alla rabbia e all’infinito misero disprezzo retaggio del
disgusto, è soluzione da accogliere con un sorriso.”21
Concludo con questa libera reinterpretazione del monologo
più famoso del mondo, Amleto. Perché, vi chiederete.
Ebbene perché sebbene vi abbia illustrato i modi e le cose a
cui prestare attenzione per poter smascherare le bugie, la
più grande bugia ve l’ho raccontata io, tramite questo Ebook.
Quando si tratta di bugie, non esiste un effetto Pinocchio, il
naso non cresce. La verità è che non ci sono comportamenti che indichino chiaramente una bugia. Anche i massimi esperti di comunicazione non verbale hanno sempre e solo il
50% di essere nel giusto quando analizzano le persone.
Non possiamo impedire che gli altri ci mentano, ma possiamo stare attenti a non farci ingannare.
1
Genesi 3:4. Traduzione del nuovo mondo delle Sacre Scritture (1987), Edito dai Testimoni di Geova.
VASUDEVI, R. (2008) How infants know minds, Cambridge – Massachusetts, Harvard University Press.
3
GOFFMAN, E. (1969) La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino.
4
FREUD, S. (1901) The Psychopatology of Everyday Life, vol.6 of The Complete Psychological Workers, edited by James
Stranchey, New York, W. W. Norton, 1976 p.86.
5
EKMAN, P., SORENSON, E. R., FRIESEN, W.V. (1969) “Pan-cultural elements in facial displays of emotions”, in Science, 164
(3875), pp. 86-88.
6
DARWIN, C. (1982) L’espressione delle emozioni nell’animale e nell’uomo, Torino, Boringhieri.
7
BIRDWHISTELL, R. L. (1970) Kinesics and Context, Philadelphia, University of Pennsylvania Press.
8
EKMAN, P., FRIESEN, W. V. (1969) “The repertoire of nonverbal behavior”, Semiotica, 1 (1), pp. 49-98.
9
EKMAN, P. (1972) “Universal and cultural differences in facial expression of emotion”, in J.Gole (a cura di) Nebraska,
Symposium on Motivation, Lincoln, University of Nebraska Press, pp. 207-83.
10
EKMAN, P., FRIESEN, W. V., HAGER, J. C. (2002) Facial Action Coding Sistem. The Manual, Published by Research Nexus
division of Network Information Research Corporation, Salt Lake City
11
CRF Onlus – Centro Ricerche FACS, Laboratorio di Psicologia della Comunicazione, Trieste,
<http://www.facsitaly.altervista.org/>.
12
Il Sabatini Colletti, Dizionario della lingua italiana. Corriere della sera online, Milano,
<http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/F/felicita.shtml>.
13
DUCHENNE (DE Boulogne), G.b. (1876) Mécanisme de la physionamie humaine. Atlas. Deuxième edition, J.B.Bailliere et Fils,
Paris.
14
Il Sabatini Colletti, Dizionario della lingua italiana. Corriere della sera online, Milano,
<http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/S/sorpresa.shtml >.
15
Ibid. 14 < http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/D/disprezzo.shtml >.
16
SOLOMON, R.C. (1993). The Passions: Emotions and the Meaning of Life. Hackett Publishing, Indianapolis, IN.
17
Il Sabatini Colletti, Dizionario della lingua italiana. Corriere della sera online, Milano,
<http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/T/tristezza.shtml >.
2
18
Ibid. 17 < http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/P/paura.shtml >.
Ibid. 18 < http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/D/disgusto.shtml >.
20
Ibid. 19 < http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/R/rabbia.shtml >.
21
SHAKESPEARE, W. (2002) Amleto, a cura di Lombardo A., La Feltrinelli, Milano. (monologo personalmente riadattato).
19
Per la parte testuale
EKMAN, P. (1999). La seduzione delle bugie. Roma: Di Renzo Editore.
EKMAN, P. e FRIESEN, W. (2002). Facial Action Coding System - The Manual. Salt Lake City:
Research Nexus division of Network Information Research Corporation.
EKMAN, P. e FRIESEN, W. (2007). Giù la maschera. Firenze: Giunti Editore.
EKMAN, P. (2008). Te lo leggo in faccia. Torino: Edizinoi Amrita.
NAVARRO, J. (2008). Non mi freghi. Milano: Mondadori.
Paul Ekman web site: <http://www.paulekman.com>
Lie to me – Fox – web site: <http://www.fox.com/lietome>
Centro Ricerche FACS Onlus (Università di Trieste): <http://www.facsitaly.altervista.org>
Data Face web site: <http://www.face-and-emotion.com/dataface/facs/description.jsp>
Il sito di Antonio Iafano: <http://www.antonioiafano.com/la-menzogna-secondo-paulekman.html>
Psicologia delle emozioni e della comunicazione non verbale (web site):
<http://www.bugiesmascherate.com/>
I segnali nascosti (blog): <http://segnalinascosti.blogspot.com/>
Per le immagini
Tim Roth (Lie to me Epression) pagine 23, 25, 27, 29 31, 33, 35:
<http://www.vancouversun.com/Entertainment/Gallery+tell+tale+faces+Lightman+played+a
ctor+Roth/1223364/story.html>
Personaggi cartoni animati Walt Disney pagine 23, 25, 27, 29 31, 33, 35: <http://www.disney.it>
Per gli sfondi
La bocca della verità: <http://vigilidelfuoco.usb.it/uploads/pics/bocca-della-verita.jpg>
Pag.14: <http://www.awakeningweb.com/wp-content/uploads/2009/02/words-1024x933.jpg>
Pag.15: <http://www.optimaitalia.com/blog/wp-content/uploads/2010/09/suono.png>
Pag.16: <http://psicocafe.blogosfere.it/images/gesticolare.jpg>
Pag.3ͺ: Laurence Olivier in una scena di “Hamlet”, Two Cities Films, Gran Bretagna 1948, di
Laurence Olivier. <http://grattaevinci.files.wordpress.com/2008/11/05amleto1_150.jpg>
Per la copertina: Immagine rielaborata dalla locandina di: "Catch me if you can", DreamWorks,
USA 2002, di Steven Spielberg. <http://www.wallpaperbase.com/movie-catchmeifyoucan.shtml>
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