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M isericordia io voglio e non sacrifici

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M isericordia io voglio e non sacrifici
laSoglia
QUELLO CHE PIÙ
MI STA A CUORE
a
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M
sa
n
o
en
Per la comunità parrocchiale
di S. Giustina in Colle
anno XI, n. 46, aprile 2016
NOI… CENTRO PARROCCHIALE
SABATO 21 maggio 2016
DALLE 15
FESTA DEL
CENTRO
PARROCCHIALE
perchè riesca bene servono
IMPEGNO, FANTASIA,
SPIRITO DI COLLABORAZIONE,
GENEROSITÀ, GRATUITÀ
E FIDUCIA NEI FRATELLI E IN DIO.
VOI AVETE QUESTI DONI…
PORTATELI!
2 laSoglia n. 46, Aprile 2016
Misericordia IO VOGLIO E NON SACRIFICI
CHIAMATA DI MATTEO
(Matteo 9,9-13)
A
ndando via di là, Gesù vide un
uomo, chiamato Matteo, seduto al
banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10Mentre
sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne
stavano a tavola con Gesù e con i suoi
discepoli. 11Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro
maestro mangia insieme ai pubblicani
e ai peccatori?». 12Udito questo, disse:
«Non sono i sani che hanno bisogno del
medico, ma i malati. 13Andate a
imparare che cosa vuol dire:
Misericordia io voglio e non
sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i
giusti, ma i peccatori».
N
o, Signore, non abbiamo capito, nemmeno noi. Come i farisei, non abbiamo
capito cosa significa che tu desideri la misericordia e non i sacrifici. A volte anche noi
riduciamo la fede ad un elenco di regole da
rispettare, di riti da celebrare, di preghiere
da mandare a memoria e da recitare svogliatamente. Oppure, in nome di una presunta libertà, cancelliamo tutto, confondiamo
la spontaneità con l'anarchia, crediamo di
essere diversi dagli altri perché annacquiamo la fede nel sentimento fino a renderci
indistinguibili da chi non crede. Ciò che
tu proponi, invece, è ben diverso. La
fede
nasce d a l l ' e s p e r i e n z a
gioiosa col Padre, dalla consapevolezza di
essere amati,
e diventa cambiamento
di
prospettiva:
capiamo
che
solo nell'amore
concreto e fattivo
possiamo
realizzare la nostra vita, capiamo
che il mondo ha
un progetto da realizzare e che tu ci
chiami ad essere tuoi
collaboratori. L'osservanza dei precetti diventa,
allora, un modo concreto di
amare, di esprimere la fiducia nei
tuoi confronti. Gesù non è un anarchico che vìola la legge, ma colui che la riporta all'essenziale. No, Signore, non abbiamo ancora capito che tu non ami i sacrifici.
“laSoglia”, periodico bimestrale per la comunità di Santa Giustina in Colle, anno XI, n. 46, Aprile 2016, è una iniziativa
del Consiglio Pastorale. Canonica, Piazza dei Martiri. Tel. 049 5790174. Direttore: don Leopoldo Voltan. Redattore:
Giuseppe Verzotto. Comitato di redazione: don Daniele Zoccarato, Giampietro Beghin, Fabrizio Biasibetti, Costanza
Biasibetti, Natalia De Santi, Suor Roberta, Valentino Fiscon, Egidio Gottardello, Raffaele Meneghello, Federica Pinton,
Gianluca Ruffato, Antonio Ruffato, Diana Tommasin. Segretaria: Maria Cecilia Zorzi. Indirizzo e-mail: lasoglia@
email.it. Aut. Tribunale di Padova n. 2076 del 30-3-2007. Stampato dalla Litografia Nino Andretta.
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 3
EDITORIALE
DOCUMENTO
“scrivo a voi”
dalla "Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia
L’unico lavoro che urge
«C
’è nel Vangelo una risposta già
fatta per ogni problema umano?
[...] Il Vangelo non ha una soluzione, è
una soluzione, la quale non esce bella e
pronta dalle pagine del libro divino né
dalle esperienze o dall’insegnamento
della Chiesa, ma diviene, di volta in volta, la soluzione, man mano che, come
fermento gettato nella pasta, lo spirito
del Vangelo solleva e piega la realtà verso
le sue conclusioni salutari. Quali siano
queste conclusioni, quali aspetti prenderà un mondo fermentato dal Vangelo, nessuno lo può sapere in precedenza
[...] Quello che importa è di “forzare” il
Signore, non le persone, a entrare nella fabbrica, nella scuola, nello Stato, in
una testa, in un cuore. Ho detto “il Signore”, non la sua effige, che può essere
messa dappertutto insieme a tante altre,
e con poco significato se non quello di
collocarlo o di toglierlo a seconda degli
uomini e delle convenienze. Quando gli
apostoli hanno fatto entrare il Vangelo
tra i pagani, non potevano prevedere le
reazioni e immaginare la nuova società
che ne sarebbe uscita [...] Se uno ha fede
nel fermento evangelico, deve lasciarlo
operare senza porgli limiti o condizioni
di sorta. Guai se mi preoccupo in precedenza di salvare questo o quell’interesse, questa o quella costituzione, questa
o quella civiltà! [...] Forse è provvidenziale quest’ora di spaventosa impotenza
perché ci persuadiamo che è necessario
abbandonare ogni questione di metodo,
di forma, di organizzazione, per riprendere l’unico gesto e l’unico lavoro che
urge, quello del seminatore che esce a seminare dappertutto, lungo la strada, nei
4 laSoglia n. 46, Aprile 2016
Misericordia vultus di papa Francesco
luoghi rocciosi, sulle spine, nella buona
terra. Perché il primo dovere dell’ora è
seminare; l’unico dovere, seminare».
Sono righe del Diario di don Primo
Mazzolari, uno dei preti, insieme con
don Lorenzo Milani della Scuola di Barbiana e con don Zeno Santini del popolo nuovo di Nomadelfia, che ha segnato
ed illuminato il 900 italiano.
A me piace pensare che il Vangelo è
la soluzione in se stesso e che questo
Vangelo non è una formula ma diviene,
nel tempo e nelle situazioni del nostro
territorio e società. La verità, la libertà, la giustizia, la condivisione, l’amore
che il Vangelo ci offre non sono possessi
esclusivi ed assoluti ma sono semplicemente sementi gettate nel solco della storia e che sono destinate, per loro
forza intrinseca, per la grazia di Gesù,
a fruttificare.
Cara comunità di Santa Giustina c’è
molto da seminare nei nostri cuori e nei
cuori dei nostri fratelli. Una parola di
giustizia che sia gonfia di misericordia,
un messaggio di misericordia che contenga anche le istanze della giustizia.
C’è da annunciare il volto buono ma
anche desideroso di giustizia del Signore, c’è da raccontare ancora la salvezza
del Signore che passa attraverso la misericordia ma anche nelle attenzioni concrete di giustizia sociale. Senza separare
giustizia e misericordia, senza opporle e
snaturarle.
C’è da seminare. Questo nostro tempo, il Vangelo, la buona notizia di Gesù
sono la soluzione del vivere e del mondo… c’è da seminarlo!
dleo
Giustizia e Misericordia
20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia
e misericordia. Non sono due aspetti
in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa
progressivamente fino a raggiungere il
suo apice nella pienezza dell’amore. La
giustizia è un concetto fondamentale
per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine
giuridico attraverso il quale si applica
la legge. Per giustizia si intende anche
che a ciascuno deve essere dato ciò che
gli è dovuto. Nella Bibbia, molte volte si
fa riferimento alla giustizia divina e a
Dio come giudice. La si intende di solito
come l’osservanza integrale della Legge
e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da
Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato
non poche volte a cadere nel legalismo,
mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia
possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella
Sacra Scrittura la giustizia è concepita
essenzialmente come un abbandonarsi
fiducioso alla volontà di Dio.
Da parte sua, Gesù parla più volte
dell’importanza della fede, piuttosto che
dell’osservanza della legge. È in questo
senso che dobbiamo comprendere le
sue parole quando, trovandosi a tavola
con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano:
« Andate e imparate che cosa vuol dire:
Misericordia io voglio e non sacrifici.
Io non sono venuto infatti a chiamare
i giusti, ma i peccatori » (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come
mera osservanza della legge, che giudica
dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono
della misericordia che ricerca i peccatori
per offrire loro il perdono e la salvezza.
Si comprende perché, a causa di questa
sua visione così liberatrice e fonte di
rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato
dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano
solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il
richiamo all’osservanza della legge non
può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone.
Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – « voglio l’amore e non il sacrificio » (6,6) – è molto significativo in
proposito. Gesù afferma che d’ora in
avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il
primato della misericordia, come Lui
stesso testimonia, condividendo il pasto
con i peccatori. La misericordia, ancora
una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di
Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai
suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece,
va oltre la legge; la sua condivisione con
quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua
misericordia.
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 5
Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era
dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil
3,6). La conversione a Cristo lo portò a
ribaltare la sua visione, a tal punto che
nella Lettera ai Galati afferma: « Abbiamo creduto anche noi in Cristo
Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le
opere della
Legge »
6 laSoglia n. 46, Aprile 2016
(2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora
pone al primo posto la fede e non più
la legge. Non è l’osservanza della legge
che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che
con la sua morte e resurrezione porta la
salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la
liberazione per quanti sono
oppressi dalla schiavitù del peccato e di
tutte le sue conseguenze. La giustizia di
Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16).
21. La misericordia non è contraria alla
giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli
un’ulteriore possibilità per ravvedersi,
convertirsi e credere. L’esperienza del
profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca
di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico.
Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto
fedele all’alleanza, si è
allontanato da Dio e
ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana, è giusto che
Dio pensi di rifiutare il
popolo infedele: non ha
osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le
parole del profeta lo attestano: « Non ritornerà al paese
d’Egitto, ma Assur sarà il suo
re, perché non hanno voluto
convertirsi » (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che
si richiama alla giustizia, il
profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e
rivela il vero volto di Dio:
« Il mio cuore si commuove dentro di me, il
mio intimo freme di
compassione. Non
darò sfogo all’ardore della mia
ira, non tornerò a distruggere Èfraim,
perché sono Dio e non uomo; sono il
Santo in mezzo a te e non verrò da te
nella mia ira » (11,8-9). Sant’Agostino,
quasi a commentare le parole del profeta
dice: « È più facile che Dio trattenga l’ira
più che la misericordia ».[13] È proprio
così. L’ira di Dio dura un istante, mentre
la sua misericordia dura in eterno.
Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti
gli uomini che invocano il rispetto della
legge. La giustizia da sola non basta, e
l’esperienza insegna che appellarsi solo
ad essa rischia di distruggerla. Per questo
Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al
contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la
pena. Solo che questo non è il fine, ma
l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio
non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba
e supera in un evento superiore dove si
sperimenta l’amore che è a fondamento
di una vera giustizia. Dobbiamo prestare
molta attenzione a quanto scrive Paolo
per non cadere nello stesso errore che
l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi
contemporanei: « Ignorando la giustizia
di Dio e cercando di stabilire la propria,
non si sono sottomessi alla giustizia di
Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo,
perché la giustizia sia data a chiunque
crede » (Rm 10,3-4). Questa giustizia
di Dio è la misericordia concessa a tutti
come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti
noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova.
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 7
Misericordia
io voglio…
(Matteo 9, 9-13)
È
un brevissimo brano preso dal cap.
9 del Vangelo di Matteo. È certo che
prospetta e definisce le motivazioni per
le quali Dio si è fatto uomo. Poi chiarisce anche il perché papa Francesco abbia programmato un anno di riflessione, di preghiera e di impegno personale
verso l’atteggiamento fondamentale di
Dio Padre verso di noi. Dio vuole salvare, ma salvare con e per amore. Dio
Padre è misericordioso, è misericordia.
La Bibbia lo proclama. Cristo, Dio fatto
uomo, lo ha abbondantemente rivelato
attraverso tutta la sua vita con azioni
concrete, visibili e spesso da Lui sofferte. Gesù ha voluto formare il vero discepolo non solo con l’ascolto della Parola
di Maestro, ma anche con tutta una vita
concreta coerente in parole e opere con
la volontà del Padre, quindi con fedeltà
alla sua vocazione.
Meditando questo breve brano è importante aprire la mente verso tutto il
capitolo 9 di Matteo. Potremmo affermare che l’evangelista ha collocato qui
alcuni momenti, varie azioni miracolose
che ci rimandano oltre a ciò che si vede
con i sensi. Basti pensare ai primi ver-
setti 1-8 dove Gesù fa misericordia a
un paralitico perdonandogli i peccati
e guarendolo.“Costui bestemmia, solo
Dio può perdonare i peccati” (9,34), dicono alcuni scribi presenti. Più
avanti, oltre il nostro brano, Gesù parlerà della novità del Regno non comprensibile in superficie, ma sicura e
accessibile solo a una mentalità nuova, quella della fede, aperta al Dio
che viene continuamente. “Vino
nuovo in otre nuovo” afferma
Gesù (9.17) Nei versetti che
seguono troviamo due guarigioni miracolose. Una del figlio
di un capo del luogo e l’altra di
una donna che soffriva da dodici anni perdite di sangue.
Gesù affermerà: “Coraggio,
figlia, la tua fede ti ha
guarito” (9,22).
La vera storia
dell'uomo nasce
dal cuore
8 laSoglia n. 46, Aprile 2016
La stessa affermazione è rivolta da
Gesù anche al papà del figlio guarito.
Anche nell’altra parte di questo capitolo 9 di Matteo troviamo la proposta
concreta di Gesù di andare oltre al puro
ragionamento umano o alla norma del
codice della legge, quando ci si mette a
contatto con Dio Padre. Cristo si è fatto
uno di noi per provarci questa verità e
richiamarci a una conversione che viene
prima di quella della fuga dal peccato.
La prima e fondamentale conversione
è quella che ci fa puntare lo sguardo
pieno, totale, vitale verso il Signore e
Autore della vita, “capace di far sorgere figli di Abramo da queste pietre” (Matteo 3,9). Figli di Abramo sono coloro che possiedono
la fede sicura in Dio, sono i
veri convertiti. Gesù venne in
mezzo a noi e rimane come
risorto in mezzo a noi, per
insegnarci come lasciarci convertire da questo
grande Dio. Il primo invito continua ad essere
sempre quello di riconoscerlo come Padre.
Gesù continua a porre
nelle nostre labbra,
anche oggi in ogni eucaristia, la preghiera
del Padre nostro.
Misericordia non
animali sacrificati
Dio è il padrone
di tutto l’universo,
nulla esiste che non
sia suo e di cui Egli
non possa disporre.
Esiste però il cuore
dell’uomo, di ogni
essere umano, che
solo può diventare proprietà di
Dio se l’essere
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 9
umano lo offre. La vera e autentica storia
di ogni essere umano nasce proprio dal
cuore, cioè da quelle profondità nascoste nei nati da donna, dove albergano i sentimenti, la capacità
di entrare in comunione,
di godere e di soffrire
facendo esperienza di
che cosa significhi
crescere, maturare
umanamente.
Il
cuore vede più in
là dei nostri occhi. Spesso nei
nostri rapporti
personali con
il
prossimo
vediamo che
una semplice presenza,
una parola amica,
un gesto
fraterno o
Un silenzio pensato,
vale più di una
medicina precettata
dal medico.
È la bontà che aiuta
l’essere umano
a uscire dalla
prigione
del suo egoismo.
10 laSoglia n. 46, Aprile 2016
È cosa buona l’indulgenza, non c’è dubbio.
Però il senso pieno di
questo Anno di Grazia lo
troviamo nella riflessione
serena sulla nostra capacità di assomigliare al
nostro Maestro nella pratica della misericordia.
anche un silenzio pensato, valgono più di
una medicina precettata dal medico. È la
bontà che aiuta l’essere umano a uscire
dalla prigione del suo egoismo.
Nel testo evangelico che ci è proposto
troviamo Gesù in questo atteggiamento di incontro con un eretico, esattore
di imposte a favore di una autorità straniera. Assieme ai suoi discepoli Gesù
sta pranzando nella casa di Matteo come
ospite commettendo un grave peccato di
contaminazione, di impurità. Scrive un
conosciuto biblista “tra i semiti la commensalità era segno chiaro di amicizia e
comunione di vita”.
Gesù risponde alle accuse degli scribi
con una frase del profeta Osea (6,6) dichiarando senza tentennamenti di trovarsi, sì, nella casa pranzando con un
peccatore, però come medico, per salvare,
per guarire. Il medico non visita i sani.
Il medico Gesù dichiara di essere segno
della misericordia, della bontà di Dio Padre quindi sta attuando oltre la Legge. In
questo caso, come in vari altri presentati da Matteo, il peccatore convertito in
apostolo ed evangelista dalla misericordia, il più in là, l’oltre è la fede in un
Dio che non cerca di aggiustare ma
“che fa nuove tutte le cose” (Ap.
21,5) partendo dal cuore. Due
profeti alcuni secoli prima
avevano scritto: “Vi darò
un cuore nuovo, metterò
dentro di voi uno spirito
nuovo” (Ez. 36,26 – Gr.
31,31). Gesù, Maestro e
Salvatore ne dà testimonianza nel suo incontro
quotidiano con i suoi, incominciando con Matteo
e i dodici apostoli,
Perché
la misericordia
Cristo Maestro e medico aveva la missione di
rendere evidente la protezione e l’amore
di Dio Padre verso l’umanità e di agire
conformemente a questa sua missione.
Giovanni nel suo Vangelo ci riporta una
frase illuminante di Gesù: “…conoscerete
che non faccio nulla da me stesso ma parlo
come il Padre mi ha insegnato... faccio sempre le cose che gli sono gradite” (Gv.8,2829). Dio è misericordioso, è misericordia
però chiede conversione, chiede fede.
Completano le nostre osservazioni aprendo la nostra mente sul: che cosa fare? le
ultime righe di questo nostro cap. 9 “Gesù
percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando
il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne
sentì compassione perché erano stanche e
sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: “la mèsse
è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il Signore della mèsse, perché
mandi operai alla sua mèsse!” (9, 35-38).
Gesù insegna con azioni concrete ad avere
compassione, a sentire misericordia come
un dovere… a fare ciò che è possibile incominciando con la preghiera.
Conclusione
In questi giorni ho potuto ascoltare
tanti battezzati, discepoli del Signore. Ho
provato profonda meraviglia nella richiesta di spiegazioni sulla indulgenza unita al
passaggio attraverso la porta santa. È cosa
buona l’indulgenza, non c’è dubbio. Però
il senso pieno di questo Anno di Grazia
lo troviamo nella riflessione serena sulla
nostra capacità di assomigliare al nostro
Maestro nella pratica della misericordia.
Papa Francesco ci dice che scoprendo meglio la nostra vocazione di rappresentanti del Cristo risorto come suoi imitatori
nell’operare misericordia, crescerà nel
mondo la fraternità. Si potrà scoprire che
cosa significhi formare la grande famiglia
di un unico Dio che è AMORE.
p. Giorgio Morosinotto
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 11
Gesù chiama
i peccatori
L
’Anno Santo del Giubileo Straordinario della
Misericordia è un tempo che
ci è donato per ascoltare, conoscere, riflettere e vivere
conoscendo un po’ di più in
che modo «Gesù di Nazareth
con la sua parola, con i suoi
gesti e con tutta la sua Persona rivela la misericordia
di Dio». Il brano del vangelo
secondo Matteo 9,9-13 è uno
dei molti brani a mostrarci,
in un episodio della vita di
Gesù, la sua relazione con
i peccatori mentre sedeva
a tavola con loro e la risposta alla domanda dei farisei:
«12Non sono i sani che hanno
bisogno del medico, ma i malati. 13Andate a imparare che
cosa vuol dire: Misericordia io
voglio e non sacrifici. Io non
sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Questa risposta di Gesù
sorprende sempre ogni volta che viene letta o ascoltata
perché mette a nudo la distanza tra il sentire, l’agire,
il parlare di Gesù e il modo
di sentire, agire e parlare dei
farisei che è anche un po’ il
nostro. Il sedere a tavola con
certe persone, i pubblicani
e i peccatori, mostra che tra
Gesù e queste persone vi è
una vicinanza non solo fisica ma anche una sintonia
spirituale e questo disturba
molto ancora oggi, le sue parole sono pesanti e vengono
percepite come un qualcosa
di inaudito.
Se allarghiamo lo sguardo
12 laSoglia n. 46, Aprile 2016
Non sono i sani
che hanno
bisogno
del
medico
alla Bibbia possiamo leggere
che Dio, fin dagli inizi e durante tutte le vicende della
storia della salvezza, si manifesta continuamente con
un cuore di padre e madre e
usa, senza sosta, misericordia verso:
• Adamo ed Eva dopo il
peccato: «Il Signore Dio fece
all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì» (Gen
3,21);
• Caino, dopo l’uccisione del
fratello: «Il Signore impose a
Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse»
(Gen 4,15);
• il salmista quando, nel sal-
mo 145 e in altri salmi, prega
riferendosi alla sua esperienza di vita e ci invita oggi ad
avere nel nostro cuore questa preghiera che apre ad una
speranza certa verso l’amore
gratuito di Dio: «8Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore.
9
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su
tutte le creature»;
• il popolo che, al ritorno
dall’esilio babilonese, si rivolge a Dio nella preghiera
riconoscendolo presente nella sua storia, pur difficile e
dolorosa, con queste parole:
«Si sono rifiutati di obbedire e
non si sono ricordati dei tuoi
prodigi, che tu avevi operato
in loro favore; hanno indurito
la loro cervice e nella loro ribellione si sono dati un capo
per tornare alla loro schiavi-
tù. Ma tu sei un Dio pronto
a perdonare, misericordioso e
pietoso, lento all'ira e ricco di
amore e non li hai abbandonati» (Ne 9,17);
• tutte le persone di ogni tempo e luogo che sperimentano
la sua misericordia come
speranza in un futuro di vita
piena ascoltando la parola di
Dio che ci invita a ripartire
sempre: «Forse che io ho piacere della morte del malvagio
– oracolo del Signore – o non
piuttosto che desista dalla sua
condotta e viva?» (Ez 18,23).
Gesù, nella sua nascosta
vicenda umana, ci rivela il
Dio Trinità che ama tutti di
un amore così traboccante
da invitarci a viverlo pienamente andando oltre il nostro modo di pensare: «44Ma
io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi
perseguitano, 45affinché siate
figli del Padre vostro che è nei
cieli; poiché egli fa levare il suo
sole sopra i malvagi e sopra i
buoni, e fa piovere sui giusti e
sugli ingiusti» (Mt 5,44-45).
Gesù ci invita, in vari modi,
a convertirci e vivere con
gioia la sua misericordia e
per questo, come nel brano
del vangelo proposto dove
si narra la chiamata di Matteo e la festa che ne segue,
evidenzia in modo diretto e
forte che la sua presenza tra
di noi ha lo scopo di rendere presente il Regno di Dio e
salvare l’uomo dal peccato.
L’uomo viene salvato con
il dono della sua grazia, del
suo amore che è la presenza
di Dio nella nostra vita, nel
nostro cuore.
Questa realtà non è in
vendita, non la possiamo
comprare è semplicemente
un dono del Signore ai suoi
figli. Fare domande del come
mai Gesù mangia insieme
con i pubblicani e i peccatori o mormorare quando entra nella casa di Zaccheo (Lc
19, 1-10) o chiedere tra sé:
«Se costui fosse un profeta,
saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca:
è una peccatrice!» quando è
invitato a tavola nella casa
di Simone (Lc 7,36-50), mostra che chi si crede giusto ha
un altro pensare, ha un’altra
idea di Dio. È un pensare ai
doni di Dio come frutto di
una vita buona e rispettosa
delle regole, come un merito, una conquista, un acquisto, un diritto e non si accetta un Dio che dona se stesso
gratuitamente. Rifiutano e
combattono un Dio misericordia, un Dio che si dona
al peccatore perché viva. È
considerata una scandalosa
gratuità, un sovvertimento
delle regole da combattere
con ogni mezzo.
Per questo il giusto, il buono, l’osservante della Legge
si arrabbia, si incattivisce e
lo odia fino a tal punto da
cercare il modo di metterlo a tacere e lo fa morire in
croce. In questa situazione
di estremo annullamento
Gesù è messo in croce tra
due «malfattori» e prega ed
offre a tutti il suo perdono,
la sua misericordia, una vita
nuova, piena di dignità che
nasce dal dono del suo Spirito.
Gesù viene tra di noi per
salvarci, liberarci dal peccato che è causa di ogni male
per ognuno di noi, per le
società di questo pianeta e
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 13
INSIEME
CI AIUTIAMO
AD ESSERE
Papa Francesco, Bolla indizione
Giubileo Straordinario della Misericordia, 11 Aprile 2015.
Francesco, Il nome di Dio è misericordia, Piemme.
bito i farisei furono pronti a
giudicarlo. Pregare, andare
a Messa, partecipare attivamente alla vita della comunità sono gesti importanti
per un cristiano, ma per
essere veramente coerente
con il suo credo, deve anche
cercare di non porre discriminazioni fra le persone e
non emarginare nessuno.
Se pensiamo ai fatti di
cronaca di questi giorni,
terrorismo, guerre e profughi in esilio, omicidi, ci vien
facile rivolgersi al Signore e
chiedere "come poterci sedere allo stesso tavolo degli
artefici di tali soprusi?".
Credo sia giusto fermarsi
e cominciare dai gesti semplici e dalle piccole cose. A
partire dalle nostre famiglie,
dai vicini, dai colleghi e dagli amici. Spesso nascono
screzi, giudizi, discussioni,
che potrebbero essere facilmente risolti con un po' di
educazione ed empatia reciproca. Comprendere l'altro,
accogliendolo per quello che
è con la propria storia.
Se imparassimo a vivere
le relazioni assaporando il
bello di ognuno, accettando
vicendevolmente i difetti
dell'altro, cercando di migliorarsi sempre, anche le
diversità ci aiuterebbero a
stare bene con noi stessi e
con gli altri. Spesso invece,
ognuno si chiude nel suo
mondo pensando di essere nel giusto, cammina per la propria
strada
senza
mai incrociare lo sguardo
dell'atro, ci
si osserva
da
lon-
14 laSoglia n. 46, Aprile 2016
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 15
per il creato in cui viviamo. Ci
invita ad avere un cuore puro,
a riconoscere che solo Dio può
creare sempre un cuore nuovo
con la conoscenza della sua Parola, l’amore al prossimo e la
preghiera.
Le persone, dei brani evangelici sopra riportati, entrano
in una relazione di fiducia e
di amore con Gesù a differenza
dei farisei sempre pronti a giustificare se stessi e a giudicare
gli altri nella loro orgogliosa autosufficienza. Ascoltano la sua
parola, rientrano in se stessi
e desiderano di essere salvati.
Percepiscono l’Altro che si manifesta nella sua disponibilità a
prendersi cura di loro, a consolarli, a guarirli. Si riconoscono
per quello che sono, povere creature di fronte al Creatore che
non hanno nulla da vantare né
da esigere. Non si giustificano,
non accusano alcuno, chiedono
solo misericordia. Nel volto di
Gesù vedono la tenerezza di Dio.
Questo contatto li trasforma.
Escono dalla logica del profitto
per entrare in quella dell’amore e della gratuità e conformare
la propria vita a questa novità.
In modo libero e spontaneo, nei
loro gesti e parole, chiedono e
ottengono il perdono, sono giustificati-ricreati, riacquistano
la loro dignità. Subito iniziano
a cambiare vita con gioia, compiono azioni di giustizia verso
il prossimo e scoprono che possono camminare, con responsabilità e coraggio, verso un avvenire e una promessa nuovi, non
più soli.
Raffaele e Natalia
"M
isericordia
io
voglio e non
sacrifici", papa Francesco anche questa volta,
con pochissime parole
ci chiede di essere veri,
giusti non solo per pura
ottemperanza alle regole,
ma perché crediamo in
alcuni valori che a volte
vanno oltre al rispetto di
alcune norme.
Spesso può essere più
facile rispettare con fedeltà e rigidità principi e
dettami stabiliti, per sentirsi giusti e in pace con
se stessi, ma è così che si
incarna la misericordia e
la giustizia?
Viviamo in una società mutevole, dinamica,
a volte molto dura, che
spesso ci pone di fronte
situazioni, idee, non sempre facili da comprendere
e accettare. La gente si
divide tra giudizi severi,
indifferenza, accettazione e accoglienza. Dove
sta il giusto? Dove risiede
la verità? Credo dimori
nel profondo del cuore di
colui, che riesce a vedere
l'amore come fine ultimo,
un amore che rispetti "la
vita".
Giuseppe di fronte
alla circostanza di Maria
incinta avrebbe dovuto, secondo la legge, denunciarla dichiarandola
adultera e facendola così
lapidare. Egli decise però
di non ascoltare il proprio
orgoglio ferito, ma si preoccupò di trovare una soluzione per salvare la vita
di Maria e del bambino.
Sceglie di stare dalla parte
dell’Amore. Giuseppe va
così oltre la mentalità di
quel tempo che lo avrebbe
giustificato se avesse denunciato pubblicamente
Gli facciamo
una
carezza?
Maria. L’angelo poi gli svela
il mistero circa la gravidanza
e lui, con la forza dell’amore gratuito, restituisce la dignità alla sua promessa sposa e con lei, si prende cura
di Gesù. L’essere giusto di
Giuseppe non si dimostra
nell’applicare rapidamente
la legge, ma nell’accogliere
l’Amore e il suo stesso progetto di vita.
Giuseppe ci insegna a
mettere in discussione le
leggi della tradizione, quando il loro rispetto potrebbe
ledere fortemente la vita degli altri.
Gesù, prima ancora di venire al mondo, ci offre una
lezione di vita: al centro del
tuo essere, del tuo agire, deve
esserci l’amore e il rispetto
per il prossimo; da adulto
siede alla stessa tavola di
pubblicani e peccatori e su-
tano, ci si giudica e ci si fa
la guerra a distanza. È solo
sedendo allo stesso tavolo,
che gli occhi si possono incontrare e nel momento in
cui le mentalità riusciranno
ad aprirsi, finalmente ci si
accorgerebbe che al di là del
corpo diverso, abbiamo tutti
un unico cuore.
Missione non semplice,
ma dobbiamo crederci! Per i
nostri figli e per i bambini di
tutto il mondo, che nascono
puri, innocenti e pieni di
amore per l'altro.
Noi educatrici e insegnanti ogni giorno affrontiamo la vita con i bambini e le famiglie con questo
obiettivo nel cuore, aiutare
i bambini a fare esperienza
della diversità, guidarli nel
comprendere l'altro, educarli all'ascolto e al rispetto. Ogni occasione diventa
momento per riflettere sulle
nostre azioni, quelle giuste,
quelle sbagliate, non fer16 laSoglia n. 46, Aprile 2016
mandoci a classificarle, ma
cercando di comprendere
motivazioni e emozioni che
spingono i compagni a compiere "gesti poco gentili". Si
cerca sempre infatti, di sottolineare l'azione sbagliata
senza affidare appellativi e
giudizi alla persona. Questo permette al bambino di
non sentirsi sbagliato, ma
di accorgersi che è il comportamento ad essere in
questione. Una metodologia educativa che offre al
bambino l'opportunità di
riflettere sul proprio agire e
sentirsi in grado di potersi
migliorare.
Ecco perché spesso "ci si
siede al tavolo insieme ai
pubblicani e ai peccatori",
è nello stare insieme e nel
confrontarsi che ci si può
arricchire l'un l'altro. Un
bambino che morde e viene
sgridato perché dispettoso,
maleducato e viene messo
in castigo, si sentirà solo,
sbagliato, la sua rabbia aumenterà e morderà ancora.
Un bambino morde, la
maestra si avvicina, si abbassa lo guarda negli occhi
e prende per mano entrambi i bambini, rivolgendosi a
quello che ha morso: "Cosa
succede, hai morso un tuo
amico che ora ha male,
gli chiediamo scusa?
gli facciamo una carezza?". A volte le scuse
avvengono subito, il
bambino morso
riprende a giocare, ma il dialogo tra maestra
e bambino che
ha morso continua: "Come
mai hai morso?
Stai male?", vi assicuro che
spesso le risposte sono queste: "mi manca la mamma",
"sono stanco", "quel bambino non voleva giocare con
me", "ho male i denti". Ecco
che quel morso assume un
significato e la maestra può
aiutare il bambino a dare
voce a quelle emozioni, in
un modo diverso dal morso.
A volte i bambini riescono
a chiedere scusa solo dopo
questo confronto.
Questo significa che solo
nel momento in cui una persona di sente accolta a prescindere da quello che fa,
ascoltata e capita, comprende i propri gesti. Chiaramente questi passaggi sono delicati, per niente semplici, a
volte non riescono, ma noi
ci proviamo sempre, perché
credere nella bontà dell'animo umano non è ingenuità,
non è sacrificio, ma misericordia.
CHIEDERE
CON FEDE
Q
uanto è grande la misericordia di Dio? Fino
a 70 volte 7, come l’oceano,
come l’universo, cioè infinita!?
Di certo è così ma mi pongo il problema se sia giusto
chiedere a Dio la sua misericordia anche se per cose
importanti come la salute.
Perché dovrei guarire io e
non altri, salvarmi io e non
altri miei fratelli che soffrono con me e più di me?
Dubbio inutile e atteggiamento superbo. Non sta a
me stabilire a chi e perché
sia destinata una vita lunga
e in salute o breve e tormentata… lascia fare a Dio. E
Dio ci dice di chiedere e di
chiedere con fede .
Poi la sua risposta verrà
anche se potrebbe essere diversa da quella che ci aspettiamo.
L’ho pregato in questo
tempo e continuerò a farlo
insieme con tanti amici e
fratelli per poter guarire e
poterlo lodare ancora. Ma
non voglio pregarlo solo per
me. Porto nel cuore situazioni che necessitano della
misericordia di Dio come
la terra riarsa della pioggia:
matrimoni e sacerdoti in
grave difficoltà, malattie invalidanti o mortali, perdite
del lavoro e della sicurezza
economica, perdita della
patria e del proprio spazio
di vita a causa di guerre assurde, dove giochi politici
ed economici si travestono
da esigenze religiose. Come
si può non pregare per tutto
ciò?
Ma il mio desiderio oggi
è che la misericordia di Dio
inondi il mondo degli adulti. Siamo noi, gli adulti, che
dobbiamo offrire ai giovani
un esempio, un modello di
dedizione e saggezza. Siamo
noi che dobbiamo mostrare
come una vita buona e generosa sia anche una vita
gioiosa.
Come potrebbero i giovani investire le loro energie
in relazioni a lungo termi-
ne come il matrimonio e la
famiglia, in progetti e valori
alternativi a quelli del guadagno ad ogni costo, se noi,
gli adulti, non ci mostriamo
contenti di queste scelte?
Come potranno far dono
di sé e del loro tempo se noi
li educhiamo a competere, a
cercare il successo sempre e
comunque e a monetizzare
tutte le loro esperienze?
Se il passare degli anni facesse crescere in noi la paura, anziché la saggezza e la
generosità, cosa potremmo
offrire di valido alle nuove
generazioni ?
E mi immagino Gesù che
cena con noi adulti malati
di soldi e di paura che nella
gioia ci dice di fidarsi di Lui
e di essere testimoni di gratuità e di speranza .
Fabrizio
(da una riflessione di don Giorgio Ronzoni)
Misericordia
per noi adulti
Chiara
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 17
2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare
il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità
e di pace. È condizione della nostra salvezza.
Misericordia: è la parola che rivela
il mistero della SS. Trinità.
Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il
quale Dio ci viene
incontro. Misericordia: è la legge
fondamentale che
abita nel cuore
di ogni persona
quando guarda con occhi
sinceri
il
fratello che
incontra nel
cammino
della vita.
Misericordia: è la via
che unisce
Dio e l’uomo,
perché apre il
cuore alla speranza di essere
amati per sempre nonostante
il limite del nostro peccato.
Francesco,
Misericordiae vultus
papa
18 laSoglia n. 46, Aprile 2016
Gesù
chiama
i peccatori
Matteo
esattore
U
n uomo probabilmente
ricco, sicuramente detestato.
Egli infatti raccoglieva i
soldi da consegnare all'occupante romano. L'esattore, mai particolarmente amato, in questo
caso è un detestabile
collaborazionista.
Bastano però poche parole, una sola
in verità, "Seguimi"
perché tutto questo cessi nella vita
di Matteo. Con la
parola "Seguimi",
pronunciata da Gesù
con autorità
divina, Matteo riceve la
forza per
trasformare la
pro-
pria vita, abbandonare le
vecchie abitudini e abbracciare la nuova vita in Cristo.
La conversione del cuore
è un'opportunità speciale
che Dio, in qualche momento della vita, concede a
ciascuno di noi; dipende da
noi accogliere o meno questa opportunità.
Alla prima chiamata, che
genera conversione, segue
la quotidiana lotta contro le
abitudini e le passioni che
incatenano l'uomo vecchio
e appesantiscono il suo cuore. Chi si sente peccatore è
pronto ad accogliere la chiamata di Cristo che, trovando
terreno fertile, produce frutti di conversione. A colui
che si crede nel giusto non è
facile aprire il cuore al perdono di Dio.
Che cosa sa l'uomo che
pensa di bastare a se stesso,
della Misericordia di Dio?
Dopo la prima chiamata
è necessario abbandonare
le abitudini dell'uomo vecchio.
Dio è consapevole di
quanto sia difficile per la
natura umana passare per la
porta stretta del pentimento. Sant'Ambrogio scriveva: "anch'io,
come Levi, ero
piagato dalle
vostre stesse
passioni.
Ho trovato
un
Medico,
il quale abita
in cielo e diffonde
sulla
terra la sua
medicina (...).
Lui solo può
cancellare il
Chi si sente peccatore
è pronto ad accogliere
la chiamata di Cristo
che, trovando terreno
fertile, produce frutti
di conversione.
A colui che si crede
nel giusto non è facile
aprire il cuore
al perdono di Dio.
dolore del cuore, il pallore
dell'anima, perché conosce
i mali nascosti" (Ambrogio,
Commento al Vangelo di
Luca ).
Passare attraverso la misericordia di Dio ci permette di entrare nel suo regno
come fece il peccatore sulla
croce che, grazie a Gesù,
entrò direttamente in paradiso. La misericordia del
Padre è un canale preferenziale rivolto a chi ha il cuore
umile e pentito.
"Non disperate del perdono per la grandezza delle malvagità, poiché una
grande misericordia cancella grandi peccati". Così
rifletteva San Girolamo nel
suo commento al profeta
Gioele.
Il premio è grande e merita il nostro sacrificio, un
sacrificio di decisione. È necessario, infatti, perseguire
con risolutezza la strada che
Dio ci ha spalancato con la
sua misericordia.
Sempre San Girolamo,
uomo dal carattere focoso
e risoluto nel diffondere la
parola di Dio e contrastare i pagani, ci esorta così:
"Perciò convertitevi a me
con tutto il vostro cuore e
palesate la penitenza del
cuore nel digiuno, nel gemito e nelle lacrime, affinché,
digiunando ora, possiate essere saziati dopo, gemendo
ora, ridere dopo, piangendo
ora, siate consolati dopo...
(San Girolamo, Commento
al profeta Gioele).
Per tutti noi che perseguiamo la conversione del
cuore ci sorregga la certezza
che Dio ci ama.
Luca Pagnin
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 19
MISERICORDIA
IO VOGLIO
M
entre Gesù era seduto
a mensa, alcuni pubblicani e peccatori s’erano messi a tavola con lui. Accortisi
di questo, i farisei dissero ai
suoi discepoli: «Perché il vostro Maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Gesù, sentite queste
parole, rispose: «Andate ad
imparare che cosa vuol dire:
misericordia io voglio e non
sacrificio».
Gesù cita qui una frase del
profeta Osea e questo fatto
dimostra che a Gesù piace il
concetto lì contenuto: l’amore ha il primato su qualsiasi altro comandamento, su
qualsiasi altra regola o precetto. Si tratta della norma
secondo la quale Gesù stesso
si comporta.
È questa la novità del cristianesimo. Dio tramite suo
Figlio Gesù indica ad ogni
uomo di rivolgere, nei con-
fronti degli altri uomini, prima di tutto l’amore. L’amore
dovrebbe essere per ogni
cristiano la legge fondamentale del suo agire e dovrebbe
prendere il sopravvento sulle altre leggi.
Il cristiano dovrebbe vivere così, anzitutto perché
Dio è così: Dio è prima di
tutto misericordioso, il Padre che ama tutti, che fa sorgere il sole e fa piovere sopra
i buoni e i cattivi. Gesù, per
rivelarci chi è Dio, sta proprio con i pubblicani e i peccatori, poiché Egli dice «non
sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati». E chi tra gli uomini può
definirsi sano, giusto, senza
peccato? Dio quindi sta vicino a tutti, la misericordia
esprime la vicinanza di Dio
verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità
per ravvedersi, convertirsi
e credere. E se Dio è così,
se Gesù è tale, anche noi
cristiani dobbiamo nutrire
identici sentimenti.
Se non si ha misericordia,
amore per il fratello, a Gesù
non piace il culto esercitato.
Non gli interessa che venga
espressa una preghiera, che
si partecipi alla messa, che si
facciano offerte, se tutto ciò
non fiorisce da un cuore in
pace con tutti, ricco di amore verso tutti.
Se tu volessi fare un dono
a tuo padre mentre sei in
collera con tuo fratello (o
tuo fratello con te) che ti
direbbe tuo padre? Prima è
necessario mettersi in pace
e poi è possibile offrire qualcosa a Dio. L’amore, quindi,
è la base del vivere cristiano
ed è anche la via più diretta,
per stare in comunione con
Dio.
Non bisogna porre discriminazioni fra gli uomini, non
bisogna emarginare nessuno,
ma con tutti si può essere misericordiosi allo stesso modo,
imitando Dio Padre. È bene
aggiustare piccoli o grandi
screzi che dispiacciono a Dio
e che amareggiano la vita.
Se ci si comporterà così,
tutto ciò che ognuno di noi
farà (sia che si lavori o si riposi, sia che si giochi, o si studi,
sia che si stia con i figli, o che
si preghi, o ci si sacrifichi, o si
partecipi alla vita della comunità, ...) sarà gradito a Dio.
Federica
Se non si vuole incorrere nel giudizio di
Dio, nessuno può diventare giudice
del proprio fratello. Gli uomini, infatti,
con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo.
Quanto male fanno le parole quando sono
mosse da sentimenti di gelosia e invidia!
Parlare male del fratello in sua assenza
equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in
balia della chiacchiera. Non giudicare e
non condannare significa, in positivo,
saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni
persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la
nostra presunzione di sapere tutto. Ma
questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di
perdonare e di donare. Essere strumenti
del perdono, perché noi per primi
lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere
generosi nei confronti di tutti,
sapendo che anche Dio
elargisce la sua benevolenza
su di noi con grande
magnanimità.
papa Francesco,
Misericordiae vultus
Un cuore in pace con tutti
20 laSoglia n. 46, Aprile 2016
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 21
CHIAMATA
DI DIO
RISPOSTA
DELL'UOMO
I
l nostro è un Dio ineffabile.
Vorrei tanto che parlasse,
vorrei tanto che di fronte alle
piccole e grandi scelte della
vita venisse accanto a me, mi
prendesse la mano e semplicemente mi dicesse: “Quella
è la cosa giusta da fare”.
Non so se faccio testo, io
sono anche una che va a leggersi i finali dei libri prima
di leggere l’inizio e la trama
completa dei film prima di
andarli a vedere: vorrei con
tutto il cuore poter sapere
che cosa mi aspetta, perché
dentro di me ho questo assurdo bisogno di organizzami. Come se bastasse organizzarsi bene per affrontare
la vita… Ma credo che tutti,
nel profondo del nostro cuore, vorremmo parlare davvero con Dio. Sentire la sua
voce, invitarlo a pranzo, a
fare una gita in montagna.
A volte, fatico a sentirlo.
Fatico a rendermi conto che
c’è, che è accanto a me, nella discrezione silenziosa ed
umile che lo contraddistingue.
Qualche settimana fa, mi
è stato chiesto di chiudere
gli occhi e di immaginare di
trovarmi nel posto più bello
che potessi sognare. E proprio lì, Gesù mi sarebbe venuto incontro. Sempre immaginando, mi sono chiesta
che cosa gli avrei detto se
veramente fosse arrivato.
Avrei fatto un gran preambolo, credo. Niente dubbi
teologici, forse gli avrei chiesto com’era il Paradiso, dove
stavano i miei amati nonni,
se poteva portare loro la mia
carezza. Poi avrei iniziato
un’arringa sulla pastorale
giovanile, su alcuni interventi che ritengo necessari,
programmato qualche azione dello Spirito Santo e poi
credo ci saremmo rivolti a
discutere dei grandi problemi umanitari: trovare una
soluzione alla fame che ancora affligge troppi uomini,
mettere pace nel cuore dei
Ineffabile Dio
22 laSoglia n. 46, Aprile 2016
paesi e dei popoli in guerra,
accogliere e sostenere coloro
che partono dalla propria
casa per cercare salvezza, le
ragioni della speranza nella
malattia.
Mi sono addirittura fatta
un elenco, per essere preparata, per non sprecare neppure un secondo del tempo
che avevo a disposizione faccia a faccia con Gesù.
Ascolta...
la senti?
La musica!
Io la sento
dappertutto:
nel vento,
nell'aria,
nella luce...
è intorno
a noi,
non bisogna
fare altro
che aprire
l'anima,
non bisogna
fare altro
che ascoltare!
Evan Taylor "August Rush"
Come se Lui non sapesse già tutto quello che c’era
scritto. Come se Lui non sapesse tutto quello che abita
il mio cuore.
Come se Lui non fosse
a conoscenza di ogni cuore che smette di battere, di
ogni speranza svanita, di
ogni vita che nasce nel Sud
Sudan o nel deserto insanguinato della Libia.
Allora ho piegato la mia
lista (che non avevo immaginato, avevo fatto per davvero) e ho immaginato di
nuovo la stessa scena. Ero
nel posto più bello che potessi sognare, Gesù mi camminava incontro con calma
ed un sorriso sul volto che
raccontava tutta la tenerezza di una madre che guarda
il suo piccolo per la prima
volta.
E io lo abbracciavo.
Non serviva altro, perché
Lui sapeva già tutto.
Sapeva anche della mia
fame di conoscenza, della
mia curiosità, sapeva tutto.
Sa tutto.
Ascolta... lo senti? Gesù!
Io la sento dappertutto:
nel vento, nell'aria, nella
luce... è intorno a noi, non
bisogna fare altro che aprire l'anima, non bisogna
fare altro che ascoltare!
Parole sante, queste. Davvero sante, sacre, preziose.
Gesù sa tutto ciò che abita il nostro cuore. Conosce
la nostra agenda, il nostro
numero di scarpe, il modello
delle scarpe che vorremmo
ma che non possiamo permetterci.
Sa che vorremmo anche
noi sapere di più. Per organizzarci, per capire cosa fare
del domani, per capire chi
salutare, che strada prendere, se pioverà, cosa portare
con noi.
Ma sarebbe troppo facile.
E non ci darebbe la possibilità di assaporare di ogni
piccola cosa speciale che
improvvisamente riempie
di bellezza la nostra vita. La
sanno lunga, il Padre e pure
il Figlio.
Basta ascoltare.
Basta aprire il cuore, l’anima, e lasciarsi condurre.
Ammetto che mi piacerebbe mi indicassero la
strada giusta… Ma quanto
è bello fare una scelta di cui
siamo pienamente certi, in
cui crediamo.
Noi scegliamo cosa credere ogni giorno, scegliamo di
riporre la nostra fiducia in
un Dio ineffabile… Ma che
ci avvolge in un abbraccio di
colori, di luci, di profumi.
Sì, così c’è la concreta
possibilità che il rumore del
mondo, il fracasso del traffico e la musica troppo alta
ci impediscano di cogliere la
sua presenza. C’è anche la
possibilità che, non udendolo, ce ne scordiamo. Sbagliamo. Sbagliamo ancora.
Ma Gesù è venuto incontro a noi nella nostra umana
fragilità. Nei nostri peccati.
Nel nostro desiderio di condividere umanamente con
lui i nostri problemi, le nostre preoccupazioni.
È venuto ad incontrare i
peccatori.
È venuto ad incontrare
noi tutti, che non conosciamo il finale.
Ma che vogliamo amare il
presente
Costanza
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 23
GIUSTIZIA E
MISERICORDIA
M
i sono sempre chiesto
cosa contenessero i
due piattelli della bilancia
perfettamente orizzontali, a
simboleggiare la giustizia.
Su un piattello si troverà
certamente la colpa dell’imputato e sull’altro? Non saprei proprio. Forse il diritto
o la legge o un castigo che
dovrebbe equiparare il delitto. Ma una colpa è determinata da molti parametri non
quantificabili: l’intenzione,
la conoscenza a mente fredda, la volontà, le circostanze
aggravanti o attenuanti, la
disattenzione, un’improvvisa emozione… tutti
fattori che non possono essere calcolati con
numeri (ad esempio
di anni di detenzione). Eppure i magistrati con tanto di
tocco e toga, citando incomprensibili
numeri di articoli dei
codici, emettono sentenze di condanna nel
nome di un popolo che,
anche senza aver studiato
codici e pandette, si sente
spesso contrario a certe sentenze proclamate con tanta
sicumera.
Quante volte abbiamo
sentito dire: se a subire
quell’incidente o quello stupro fosse stato non un pinco
pallino qualsiasi, ma la figlia
del giudice, questi che sentenza avrebbe emesso?
Non so se nei nostri tribunali sia ancora richiesto il
24 laSoglia n. 46, Aprile 2016
giuramento in nome di Dio o
sulla Bibbia; ma se uno non
crede neppure al pan bianco,
su che cosa dovrebbe giurare? E la sua testimonianza
è valida come quella di chi
ha giurato? Ecco allora il
solito pastrocchio
del quale siamo
testimoni
nei vari
c o m portamen-
Consideriamo anche il disprezzato pubblicano che se
ne stava pettoruto davanti
all’altare: era una persona
onesta, compiva tutti i doveri del buon cittadino e
adempiva a tutte le leggi,
anche quella di pagare la
decima parte
Se fosse
stata la
figlia del
giudice?
ti umani:
per non discriminare quel due per cento
diverso dalla massa, (nel
comportamento
sessuale,
nell’appartenenza a una certa religione, nelle le adozioni ecc...), i nostri equanimi
(?) legislatori del parlamento ti forgiano una legge che
discriminerà gli altri 98 per
cento. Così tutti saranno garantiti da una legge e la giustizia finalmente trionferà.
della mentuccia che cresceva spontanea vicino al muro
di casa e del cimino, la pianticella aromatica (angelica
archangelica delle ombrellifere); insomma, non era
un evasore fiscale (che oggigiorno non è poco!). Peccava di presunzione, ma tra i
dieci comandamenti, quello
di non essere presuntuosi
non c’è. Eppure Gesù, così
sempre misericordioso con
ladri e prostitute, lo condannò senza appello. Ma allora,
dove sta la giustizia?
Cerchiamo di rispondere
a queste domande.
Nell’immaginario collettivo la giustizia è collegata
alla legge, per cui chiamiamo
giustizia l’applicazione della
legge. Niente di più falso:
questo collegamento è errato
anche per la legge dettata da
Dio, che spesso cade
nel legalismo, mistificando il senso originario
e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede.
(Misericordiae vultus, n.
20); figuriamoci per le
leggi fatte dai parlamenti umani! “Davanti alla
visione di una giustizia
come mera osservanza
della legge,
che giudica dividendo
le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare
il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori
per offrire loro il perdono e la
salvezza”(ibid. n. 21).
“Siate figli del Padre vostro che è nei cieli, il quale
fa sorgere il suo sole sui
cattivi come sui buoni
e fa piovere sui giusti
come sugli empi”(Mt
5:45).
In questo versetto troviamo la
giustizia collegata all’amore
misericordiso, cosa
possible
a
Dio,
ma non
sempre a
noi uomini
che riusciamo scavalcare
la divina misericordia con i nostri trucchi.
Dice infatti Woody
Allen (che non è certo un
padre della Chiesa) che anche se il Buon Dio fa piovere
equamente sui giusti e sugli
ingiusti, gli ingiusti riman-
gono sempre all’asciutto e i
giusti sempre nel bagnato,
perché gli ingiusti rubano
l’ombrello ai giusti.
Ma allora come rispondere alle plurime domande
formulate in questo articoletto e come faremo noi piccoli uomini a praticare una
vera giustizia?
La risposta c’è ed è unica:
la misericordia.
Ma se un magistrato
usasse la mis e r i c o rd i a ,
anziché applicare
la
pena prevista dal codice, le vittime
sarebbero
doppiamente
beffate.
La misericordia non
elimina
la
giusta pena:
essa dovrebbe essere nel
cuore del
giudice ed
esprimersi
nell’applicazione
della pena,
come inevitabile
rimedio
al grave disordine
causato
dalla colpa.
Riconosco che
è più facile a dirsi
che a mettere in pratica! Ma quale prescrizione
del Vangelo è facile?
Ricordo ancora con commozione un sacerdote vecchio e malato su di un let-
to di ospedale. Mi volevo
confessare da lui ed egli,
durante la confessione, citò
un detto di Sant’Ambrogio:
“Ov’è la misericordia c’è Dio;
dove non c’è la misericordia
non c’è Dio, ma un suo rappresentante”.
Mi confidò tra le lacrime e
con mio grande imbarazzo,
di aver negato l’assoluzione
a una persona sposata che
aveva l’amante e non era disposta a lasciarlo. Mi disse
che le diede una semplice
benedizione, promettendo
di pregare e fare penitenza
al suo posto. Io lo consolai
dicendogli che anche questa
era misericordia.
Comunque noi abbiamo
un modello: “la misericordia viene rivelata come dimensione fondamentale della
missione di Gesù. Essa è una
vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano
al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la
legge; la sua condivisione con
quelli che la legge considerava peccatori, fa comprendere
fin dove arriva la sua misericordia” (ibid. n. 20).
Ecco allora trovato il contenuto del secondo piattello
della bilancia: è la misericordia; e se è Dio a mettercela
sul piattello, si assiste ad
un subito cadere di questo
e all’improvviso sollevarsi
dell’altro, perché il grave
peso delle colpe si trasforma, come per incanto, in
vapore che svanisce. Dice il
Signore: “Ho disperso come
una nube le tue trasgressioni,
i tuoi peccati come una nuvola” (Is 44:22).
Franco Ometto
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 25
Testimonianza
di Enrico Milan
detenuto
in carcere
Due Palazzi,
attualmente
ospite presso la
canonica di
Campodarsego.
C
i sono alcune ingiustizie
che difficilmente si trovano scritte nei libri o vengono
raccontate. In più di 30 anni
di carcere ne ho viste di tutti i
colori, non è un vanto, tutt’altro, ma questo mi permette di
dire qualcosa su questo tema.
Il mio percorso di cristiano è
stato tutt’altro che coerente,
ma qualche valore in fondo
l’ho sempre portato con me,
anche se sono consapevole di
avere fatto del male. Ho sbagliato, ed è giusto che paghi,
ma in questo pagare mi sono
scontrato anche con qualcosa
che secondo me non è giusto,
poi giudicate voi.
Venendo ai fatti, la mia prima carcerazione è del 1978
(ero ancora minorenne) ed
ho conosciuto molte persone e storie in questi anni. Ci
sono storie che mi sono rimaste più in mente di altre, per
esempio: che senso ha incarcerare una persona dopo 1015 anche 20 anni dal reato
commesso?
La legge italiana in materia penale è basata sul Codice Rocco del 1934, con il
sistema di ulteriori pene rieducative in case di lavoro
26 laSoglia n. 46, Aprile 2016
nostre carceri. Il Codice prevede 3 gradi di Giudizio: I°,
II° appello, III° Cassazione.
Per avere una pena definitiva
della Cassazione ci vogliono
dai 12 ai 20 anni.
Bene, prendete un ragazzo che ha fatto un reato a 20
anni, viene arrestato, fa un
mese di carcere o qualcosa di
più, poi viene messo a piede
libero perché incensurato e
non definitivo. È possibile
che trovi un avvocato che
vuole tirare per le lunghe il
processo (volete mettere la
Giustizia umana
e giustizia divina
A sinistra l'autore di questa
testimonianza; celle di detenzione e sopra detenuti impegnati a produrre dolci.
o in colonie agricole dopo
aver scontato la pena (questo riguarda i recidivi, ma è
un caso unico in Europa). Il
nostro codice penale è inadeguato, antico, e così l’Italia
è tuttora condannata dalla
corte europea dei diritti per
“Tortura”. Per gli altri stati
europei sono inaccettabili le
parcella per un grado di giudizio in confronto a una per
tutti e tre i gradi?), che magari aggiunge inutili perizie che
comportano altre attese.
Intanto la vita del giovane
va avanti, può sposarsi e magari avere figli, trova un lavoro, fa un mutuo per la casa,
ha una vita normale.
Il suo errore di gioventù
diventa acqua passata, ha
capito e compreso quello che
ha fatto e gli è stato di monito. Il tempo passa e ci si
dimentica, oppure si fa finta
di dimenticare, ma la giustizia fa il suo lento inesorabile
corso.
Dopo 14 anni la sentenza
diventa definitiva. A 34 anni
si trova in prigione a scontare i suoi tre anni di pena. Il
mondo gli crolla addosso. Chi
penserà ai suoi cari?! Chi pagherà il mutuo?! C’è una sola
risposta: “nessuno”. E questa
è realtà, succede spesse volte,
per pene che variano dai 3 ai
5-6 anni. Certo, è giusto che
una persona che ha sbagliato
paghi, ma metterla a piede libero e arrestarla dopo 10-1520 anni è barbarie.
C’è poi il problema riguardo la vita in carcere: come si
può pretendere di rieducare una persona lasciandola
all’abbandono, nell’ozio totale? Le persone che lavorano
in carcere sono pochissime, è
una guerra tra poveri per pochi posti di lavoro.
Questa quotidianità ti lascia un segno indelebile nella vita. Perché tutto questo?
Quante domande senza risposta…
Anni fa, nel 1981, è ve-
nuto il Ministro di Grazia e
Giustizia a Venezia, presso il
carcere dicendo: “Chiuderemo il carcere di Venezia perché è indegno di uno Stato, i
giovani adulti saranno messi
in strutture a parte per dar
loro una possibilità in più di
rieducarli nella legalità... ecc.
ecc.”. Tanta acqua è passata
sotto i ponti da quell’anno,
ma nulla è stato fatto, il carcere è ancora lì.
Vorrei anche sfatare un
luogo comune. A volte qualcuno dice: “Chi va in galera
sta bene, mangia e beve, ha
tutto pagato…”. Ebbene non
si sa la cruda verità. Una
normativa europea dice che
servizi igienici, doccia con
acqua calda, devono essere
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 27
ubicati nella cella, che deve
essere presente un piccolo
frigorifero in ogni cella. Nella maggior parte delle carceri
tutto questo è un sogno, se
vuoi un piccolo frigo lo paghi
(198 €), è in comodato d’uso
e al tuo trasferimento diventa proprietà dell’amministrazione, lo stesso per avere una
spina di corrente in cella (costa 248€ l’installazione) che
poi ha la stessa clausola di
comodato del frigo. Lo stesso
vale per il decoder e se vuoi
pitturare la cella ti paghi il
colore, il pennello e te la pitturi da solo.
L’acqua calda in cella non
esiste, e la doccia non c’è.
C’è uno stanzone con 8 box
doccia, e trovarla calda è un
miracolo. La caldaia del carcere di Padova è progettata
per 350 detenuti e siamo arrivati anche ad essere 900,
come può soddisfare il fabbisogno?
Anche il cibo è molto carente, e si mangia con orari strani, alle 11 è il pranzo
e alle 15.50 la cena, oppure
salti da quella finestra. Se hai
qualche soldo puoi comprarti
qualcosa da mangiare extra e
prepararlo in cella con piccoli fornelletti, altrimenti devi
accontentarti di quello che
passa l’amministrazione, e
allora è dura.
D’inverno per vivere in
cella bisogna mettersi cappotto, cappello e guanti e al
mattino il materasso è tutto
bagnato per l’umidità.
D’estate invece si muore dal caldo, e questo per la
maggior parte delle carceri
italiane.
Ora scusatemi, ma devo
farvi una domanda che è una
28 laSoglia n. 46, Aprile 2016
provocazione: secondo voi
nel carcere ci sono gli stessi
diritti di ogni cittadino? Voglio raccontarvi un fatto che
sto vivendo. Fra pochi giorni
avrò 55 anni, sono in carcere dal 2005 con una pena
di altri 10 anni da scontare;
attualmente sono agli arresti
domiciliari in quanto il 31
luglio 2015 mi hanno trovato
un tumore con due classificazioni e con altre problematiche, la diagnosi è stata severa: pochi mesi di vita.
Il 27 agosto mi hanno
dunque messo fuori, ai domiciliari, quasi per farmi morire fuori dal carcere e per ricevere le cure necessarie. Se
vivrò, il 30 novembre dovrò
tornare in carcere a scontare
la mia pena, ed è quello che
desidero più di tutto: vivere.
Questa più che vita è una lotta giornaliera, vedersi ogni
giorno combattere con la malattia, sentire il proprio corpo
che non ti dà più quella forza
che aveva prima e la notte è
anche più difficile.
Ho già fatto mesi di chemio e radioterapia, adesso,
dopo una operazione di 9
ore, mi hanno tagliato via alcune parti del mio corpo che
non saranno più ristabilite.
Ho altri problemi ma sono in
piedi, avrò un ciclo di 6 mesi
di chemio (per il momento,
poi si valuterà).
Dico sinceramente che
questa è una pena, il carcere
è un paradiso in confronto.
Ebbene, io dopo aver girato
alcuni carceri sono arrivato
nel 2007 al carcere Due Palazzi di Padova, lì ho la residenza: come mai non mi è
mai stato fatto uno screening
per il tumore (quello del sangue occulto sulle feci)? E io
i 50 anni li ho compiuti nel
2011.
Ma dal 27 agosto ho il domicilio presso la parrocchia
Don Marco Pozza giovane cappellano del carcere di massima
sicurezza "Due Palazzi" di Padova. Ogni giorno supera diciassette cancelli prima di stringere una mano. Il carcere è il suo
punto di osservazione sul mondo. A destra il vescovo Claudio
all'apertura della porta santa presso lo stesso carcere.
di Campodarsego, e da quel
giorno mi sono già arrivate
due lettere a distanza di un
paio di mesi l’una dall’altra
per fare tale visita… perché
fuori sì e in carcere no?
Voglio chiudere dicendo
che nella vita ho fatto del
male e ne sono conscio. Sono
entrato che ero un uomo (nel
2005) ma in questi anni ho
intrapreso un cammino di
conversione, chiedo perdono
del mio passato (ma il mio
passato è anche un po’ il mio
presente, in quanto è giusto
che paghi il mio debito verso la società), ho gettato nel
cesso (scusate il francesismo) parte della mia vita, ho
scoperto troppo tardi i veri
valori: la famiglia è il vero
valore.
Adesso è inutile pensare
con i “se” e i “ma”, conta il
presente, e il presente è che
sono stato accolto da una
comunità che mi ha aperto
le porte, a me che sono un
“lupo di galera”, non avrei
mai pensato di ricevere tanto
amore da persone sconosciute. Anzi, avrebbero il diritto
di trattarmi diversamente, e
non sono messo ai margini,
anzi, sono al centro.
Ringrazio tutta la comunità per quello che stanno
facendo verso di me e anche
don Marco e tutta l’équipe
della parrocchia del carcere
che ha permesso di creare
questo legame.
Come finirà la mia odissea? Non lo so, ma con il
cuore posso dire alla comu-
nità di Campodarsego: Grazie! È inutile fare un elenco,
ma voglio comprendere tutti.
Vi porterò sempre nel cuore.
Quest’anno è l’anno della
misericordia, la porta santa è
stata aperta il 12 dicembre, la
comunità non ha aspettato,
anzi, tramite don Leopoldo,
don Nicolò e don Daniele
hanno aperto la loro porta il
27 agosto 2015. È questa la
data indelebile che porterò
con me dovunque io vada. Da
quale giustizia dipenderò?
Da quella divina o da quella umana? Non lo so , ma…
“vivi il presente, il domani
non ci appartiene”. Questa
parola della Bibbia mi è sempre rimasta impressa e ora ne
capisco il significato.
Enrico Milan detto “Il lupo”
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 29
Consiglio
Pastorale
Parrocchiale
12 Aprile 2016
Argomenti trattati
1. Verifica del tempo della
Quaresima e celebrazione
della settimana santa
Questo importante periodo
della vita cristiana ha visto la
partecipazione della comunità
alle varie iniziative: via crucis
al venerdì mattino, centri di
ascolto nelle famiglie, copertura della preghiera nelle sue
varie proposte, varie celebrazioni liturgiche, celebrazione
della prima comunione il giovedì santo, … come elemento
di crescita e bella partecipazione. Importante è sempre il lavoro, mai compiuto, di interessare e coinvolgere più persone
per pensare assieme quanto si
compie, e questo è anche un
compito dell’Ambito Liturgico.
2. Sacerdote e comunità
Stiamo vivendo un periodo
abbastanza lungo di assenza
del parroco. Vengono proposte
a tutta la comunità alcune iniziative per pensare e pregare
nel periodo propizio del mese
di maggio: trovarsi nel Centro
parrocchiale ogni lunedì sera
alle 20,30 per la recita del rosario guidato da Gruppi e Associazioni; mercoledì 11 maggio
alla sera vi sarà un incontro
sul tema: sacerdote/comunità nel nostro tempo; vi sarà
il 21 maggio la festa del Centro
parrocchiale in cui ricorrerà
questo tema, come domenica
22 maggio è una giornata dedicata a commemorare il parroco don Giovanni Zannini
(ha costruito la nostra chiesa)
nel centenario della sua morte,
anche con un intrattenimento
di canti e riflessioni su questo
tema alla sera; chiusura del
mese di maggio lunedì 30.
30 laSoglia n. 46, Aprile 2016
Tutti siamo invitati a partecipare a queste iniziative, che
verranno specificate meglio
in varie forme. Hanno come
tema questa realtà - sacerdote/
comunità - che è da vivere e
costruire assieme. Il sacerdote
e la comunità sono la Chiesa
nel nostro territorio chiamata
a vivere oggi il Vangelo di Gesù
per il bene comune.
Vengono illustrate le iniziative estive dell’ACR, giovanissimi, giovani (andranno
alla Giornata Mondiale della
Gioventù a Cracovia), Scout e
Grest (al termine del periodo
estivo)… questo non può non
essere frutto della vita della comunità attenta ai ragazzi e ai
giovani.
3. Iniziazione Cristiana: IV
tempo
Si vuole rendere partecipe tutta la comunità di come
si procederà nel trasmettere
la fede dopo la celebrazione
dei sacramenti. È ancora una
proposta diocesana, anche se
molto avanzata. Nella nostra
comunità, aderendo all’invito della diocesi, da tre anni si
sta attuando questa modalità
di trasmettere il Vangelo alle
giovani generazioni: prima
evangelizzazione, primo discepolato, ultima quaresima
e celebrazione dei sacramenti
nella veglia pasquale, IV tempo
(in attesa di un nome appropriato).
Questo ultimo periodo di
due anni successivo alla celebrazione dei sacramenti ha
la caratteristica di aiutare ad
entrare sempre più a vivere/
conoscere quanto celebrato
nei sacramenti dell’Iniziazione
Cristiana con e nella comunità:
Battesimo, Cresima ed Eucaristia.
Don Leopoldo sottolinea alcune attenzioni:
• è in continuità con quanto
svolto in precedenza come me-
todo. Vuole coinvolgere tutta
la persona nel suo ambiente
di vita e avere una dimensione
globale e non puramente dottrinale;
• è un modo che vuol porre
attenzione a «creare percorsi
possibili e praticabili dai ragazzi che stanno vivendo l’inizio
della vita cristiana»;
• è un accompagnamento «ad
“immergersi” ancora di più
nella relazione con Gesù». La
presentazione del Vangelo non
può non incontrare le domande
della vita del ragazzo, il dialogo
con Lui, il suo corpo, i sensi, il
pensiero e valorizzare, del linguaggio della liturgia, tutto ciò
che li mette in relazione con la
realtà circostante;
• viene incentrato sui sacramenti dell’Eucaristia e Penitenza che accompagnano e
alimentano tutta la vita di ogni
credente nelle sue relazioni;
• attenzione deve essere posta
sugli educatori, preferibilmente giovani in questo periodo,
che fanno un lavoro di squadra
assieme ai catechisti/animatori e altre figure educative. È
un compito affidato a tutta la
comunità che, un po’ alla volta si trasforma in “comunità
educante”. Quindi particolare
cura deve essere posta nella
formazione a tutti e in particolar modo per i giovani per
accordarsi con la pastorale giovanile;
• particolare attenzione verrà
posta ad attuare forme di unione con la diocesi ed il vescovo.
NIDO INTEGRATO "Don Giuseppe Lago"
Accreditato a pieni voti
I
l 4 marzo 2016 presso il nido integrato della nostra parrocchia, si è svolto
un importante sopralluogo da parte del
Gruppo Tecnico Multiprofessionale
dell'Azienda ULSS 15 "Alta Padovana",
incaricato per l'accertamento del possesso dei requisiti minimi, generali e specifici delle strutture socio-sanitarie e sociali.
La visita ha riportato il seguente risultato: punteggio 100%, esito POSITIVO.
È stata pertanto accertata la presenza
dei requisiti previsti dalla normativa regionale e che il punteggio previsto dalla
struttura, calcolato secondo le modalità
stabilite nella D.G.R. n. 84/2007, di at-
tuazione della L.R. 22/2002, è superiore
alla soglia minima.
Un ottimo risultato per l'équipe educativa, che lavora con professionalità e
passione. Un altro importate obiettivo
raggiunto, che stimola il personale a
migliorare sempre il servizio offerto,
garanzia per chi accede al nostro nido
integrato, di impegno, serietà e competenza, volti a condividere con i genitori,
la missione educativa.
L'unione fa la forza, l'ascolto, l'umiltà,
la grinta e il rispetto, contraddistinguono questo gruppo di lavoro, che fa della
collaborazione una strategia vincente.
4. Varie ed eventuali
Gita/pellegrinaggio il 3-4
maggio a Roma, il come verrà
specificato meglio da foglietto. Settimana comunitaria, in
canonica, degli animatori dal
25 aprile. Il 4 giugno serata di
presentazione di un libro su
Giulia. Colletta Caritas il 22
maggio.
Preghiera finale.
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 31
GRUPPO
CARITAS
È all’aperto sulla destra del fabbricato e guarda la strada ma anche chi entra in patronato. C’è una quercia, una panchina, un leggìo e un vialetto fatto a tau. Lì non si
vende e non si compra niente. Lì si va per riposare l’anima.
È il posto di Giulia... preparato con tanto amore dalle sue famiglie: quella vera e
quella altrettanto vera degli scout e donato a tutta la comunità. Ti puoi sedere sulla
panca e leggere un libro che ti piace e che ti fa crescere. Puoi leggerti un brano del
vangelo e lasciare che la parola faccia nuova la tua vita.
Puoi ascoltare un po’ di musica per far ballare la tua voglia di bene e di Pace. Puoi
regalarti qualche minuto di riposo per trovare in te la gioia del perdono.
Ti può anche capitare di sentirti vuoto e senza speranza... vai lì da Giulia... pensa al
suo sorriso, alla sua generosità e alla sua umile grandezza e tutto ritornerà possibile: nuove strade si apriranno e nuove sorgenti sgorgheranno nei tuoi deserti.
C’è un posto in patronato dove puoi fare pace con te stesso e ritornare in armonia
con il tuo mondo. Ricordalo!...
fabrizio
32 laSoglia n. 46, Aprile 2016
I
“esercizio
Non c'è
migliore
per il cuore
che stendere
la mano
ad aiutare
gli altri
ad alzarsi
n più occasioni il
Gruppo Caritas ha
cercato di rendervi
partecipi del ruolo
dei Centri di Ascolto evidenziando il
valore fondamentale
dell'ascolto nel momento in cui una
persona viene a
chiedere aiuto.
Pensiamo però che
le parole usate nei
volantini, non possano mettere a fuoco concretamente
come si opera per giungere
alla soluzione di problematiche che non sono solo la
“borsa spesa”, anche se è
indubbio il suo valore. Vorremmo allora spendere due
parole per dare qualche altra informazione.
Dopo
l'ascolto
delle
persone che permette di
mettersi in relazione costruttiva, comincia la fase
delicata dell'accompagnamento verso una possibile
soluzione delle problematiche emerse. In questa fase
gli operatori dei CDA interpellano altri soggetti del
territorio (assistenti sociali,
parroci, altre realtà significative del territorio) per avere
un quadro, il più completo
possibile, della situazione
che si sta esaminando.
In data 18 febbraio scorso, in una riunione con i volontari Caritas, l'assistente
sociale, il sindaco (responsabile dell’assistenza per il
“
C’è un posto in centro parrocchiale...
che mi affascina e mi attira
comune) e don Leo, sono
state valutate, a grandi linee
e nel rispetto della privacy,
le situazioni di disagio per
concordare sinergie negli interventi. Sinergie che si chiamano anche contributi per
sostenere economicamente
iniziative progettuali.
ATTUALMENTE:
- è iniziato a febbraio un progetto dal titolo “alfabetizzando”, rivolto agli alunni delle
scuole primarie e secondarie
del territorio che presentano
difficoltà nello studio, nello
svolgimento dei compiti e
nella comprensione linguistica orale e scritta. Il progetto si propone di favorire
le famiglie che non hanno i
mezzi economici per accedere a servizi a pagamento già
presenti sul territorio. Le lezioni iniziate il 16 febbraio
scorso proseguiranno fino al
9 giugno;
- il 29 gennaio scorso è ini-
ziato un corso di alfabetizzazione e orientamento ai
servizi per le donne straniere, promosso dalle amministrazioni comunali di Borgoricco, S. Giustina in Colle,
S. Giorgio delle Pertiche e
Camposampiero della durata
di otto lezioni (co-finanziato
dalla Regione Veneto/spazio
pari opportunità “Qui Donna”); sono state accompagnate e hanno partecipato
con ottimi risultati alcune
donne residenti nel nostro
comune;
- il sostegno a famiglie in
grave difficoltà economica
avviene costantemente attraverso il pagamento delle
utenze domestiche, acquisto
ausili sanitari, medicinali,
legna, bombole gas ecc…;
- il supporto a mamme sole
con bimbi piccoli si effettua
con l’acquisto di latte e pannolini, vestiario e alimenti
per la prima infanzia.
In questi ultimi due anni
(dall’apertura del CDAV)
sono state date in media n.
10 “borse spesa” al mese.
Cogliamo l'occasione per
ringraziare tutti i cittadini
delle parrocchie di S. Giustina in Colle e Fratte, della
generosità dimostrata nelle
raccolte alimentari. Un ringraziamento particolare va
anche alle diverse Associazioni e Gruppi operanti in
paese e in Parrocchia, solo
per menzionarne alcuni
(CIF, Mercato Equo, ProLoco, Auser, Anteas e... per
la sensibilità dimostrata
nei confronti dell'attività
Caritas.
Fernanda e Pierpaola
Gruppo Caritas
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 33
DAL LIBRO
DEI RE
U
ltimo a regnare sull'intero Israele, Salomone
fu certamente il più potente
ed illustre di tutti i monarchi
di quella nazione. Anche se
la sua potenza e splendore
erano in parte
frutto del sagace ed energico
governo di suo
padre David,
Salomone, per
conto suo, accumulò ogni
sorta di ricchezze anche con metodi di
governo autoritari e oppressivi. Nel Nuovo Testamento,
Salomone è ricordato come
simbolo di sfarzo (Mt 4,29)
e di sapienza (Mt 12,42).
Divergenti sono i giudizi dei
Padri della Chiesa su di lui:
mentre S. Agostino e generalmente i Padri latini gli
sono sfavorevoli e mettono
in dubbio ch'egli si sia salvato (a motivo della sua idolatria finale), S. Giovanni
Crisostomo e il più dei Padri greci gli sono favorevoli.
Con questi ultimi si schiera
Dante (Paradiso X,109-116)
che mette Salomone nel Sole
insieme con i dottori e lo fa
presentare da S. Tommaso;
ma allude pure all'incertezza che si aveva sulla terra
riguardo alla sua salvezza,
quando ricorda che "tutto il
mondo - laggiù ne gola di saper novella".
È talmente incredibile la
descrizione che il libro dei
Re fa di questo personag-
gio, che viene spontaneo
dubitare che sia realmente
esistito. Il cronista bibblico, quasi a mettere le mani
avanti, racconta e fa capire
che la grande sapienza di
questo uomo non era tutta farina del suo sacco, ma
un dono esclusivo di Dio,
che in sogno gli promise la
sapienza, l'intelligenza, e il
sapere amministrare la giu-
stizia, oltre che onori e ricchezza in cambio della sua
fedeltà e dedizione.
Nessuno dei protagonisti dell'antichità biblica occupa il posto di Salomone
nella tradizione popolare,
la quale abbraccia una infinità di racconti e leggende,
che sono contenuti in varie
fonti storiche, morali, poetiche, e che sorprendente-
La proverbiale
giustizia di re
Salomone
34 laSoglia n. 46, Aprile 2016
mente appartengono a popoli diversi (Arabi, Persiani,
Turchi, Africani ecc.). Essa
narra dell'illimitato potere
che Dio avrebbe concesso a
quel principe, cui ubbidivano non solo gli animali della
terra, del cielo e del mare,
ma i geni di ogni natura e
categoria e tutte le cose del
creato.
La tavola, il diadema, il
tesoro, il trono risplendente
e ornato di leoni e di uccelli magicamente animati, la
coppa entro cui si vedevano
riflessi come in uno specchio gli avvenimenti, l'anello, e soprattutto il sigillo (la
famosa stella a sei punte,
chiamata anche stella di Salomone, ma che oggi è meglio conosciuta come stella
di Davide, ed è presente nello stemma
di Israele) con cui
Salomone piegava
ai propri voleri ogni forza
e disponeva dei venti che lo
trasportavano da un capo
all'altro dell'universo, sono
l'oggetto di speciali racconti
meravigliosi, che hanno fatto la fortuna di romanzieri e
registi, e fanno del figlio di
David un personaggio leggendario.
Come accenavo all'inizio,
considerando esclusivamente le notizie contenute nella
Bibbia, la storia di Salomone e del suo mitico regno si
trova nella Bibbia, nel primo
libro dei Re, e l'autore gli dedica undici interi capitoli.
Salomone fu il terzo Re di
Israele ed il suo regno durò
dal 970 al 930 a.C., circa, e
fu l'ultimo dei Re del regno
unificato di Giuda e Israele,
dopo di lui i suoi eredi si divisero le terre. Figlio di Davide e Betsabea, la vedova di
Uria l'Ittita che Davide ave-
va mandato a combattere in
prima linea per eliminarlo e
così prendersi sua moglie, è
ritenuto l’uomo più saggio e
più colto del suo tempo. Seppe organizzare in maniera
efficiente l’amministrazione
del suo regno, curò i commerci e le relazioni diplomatiche in modo da accumulare grande fama e ricchezza.
Un esempio della sua saggezza come giudice viene
raccontato nel famosissimo
episodio del bambino. Un
giorno andarono dal re due
prostitute e si presentarono
innanzi a lui. Una delle due
disse: “Ascoltami, signore! Io
e questa donna abitiamo nella stessa casa; io ho partorito
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 35
mentre essa sola era in casa.
Tre giorni dopo il mio parto,
anche questa donna ha partorito; noi stiamo insieme e
non c'è nessun estraneo in
casa fuori di noi due. Il figlio
di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli
si era coricata sopra. Essa si
è alzata nel cuore della notte,
ha preso il mio figlio dal mio
fianco, la sua schiava dormiva, e se lo è messo in seno e
sul mio seno ha messo il figlio
morto. Al mattino mi sono
alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho
osservato bene; ecco, non era il
figlio che avevo partorito io”.
L’altra donna disse: “Non è
vero! Mio figlio è quello vivo,
il tuo è quello morto”. E quella, al contrario, diceva: “Non
è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo”. Discutevano così alla presenza
del re. Egli disse: “Costei
dice: Mio figlio è quello vivo,
il tuo è quello morto e quella
dice: Non è vero! Tuo figlio è
quello morto e il mio è quello vivo”. Allora il re ordinò:
“Prendetemi una spada!”.
Portarono una spada alla
presenza del re. Quindi il re
aggiunse: “Tagliate in due il
figlio vivo e datene una metà
all’una e una metà all’altra”.
La madre del bimbo vivo si
rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per
il suo figlio, e disse: “Signore, date a lei il bambino vivo;
non uccidetelo affatto!”. L’altra disse: “Non sia né mio né
tuo; dividetelo in due!”. Presa
la parola, il re disse: “Date
alla prima il bambino vivo;
non uccidetelo. Quella è sua
madre”.
Tutti gli Israeliti seppero
36 laSoglia n. 46, Aprile 2016
della sentenza pronunziata
dal re e concepirono rispetto per il re, perché avevano
constatato che la saggezza
di Dio era in lui per render
giustizia.
le due “donne di malaffare”
avessero scelto il mestiere
liberamente o per necessità.
In ogni caso la tragedia della
morte di uno dei bimbi le fa
cercare il giudizio del re Salomone, noto nella nazione
ebraica e presso tutti i popoli come sapiente, giusto e
saggio.
Re Salomone mostra in
questo modo tutta la sua sapienza e capacità di penetrare la verità dell’uomo, fin nel
suo più intimo sacrario della
coscienza: egli infatti cerca
di cogliere le intenzioni del
cuore, oltre le parole che
escono di bocca, e che possono essere una falsificazione
retorica o un inganno.
Il suo giudizio, come ci
narra la storia, è entrato
nelle espressioni correnti
La virtù della giustizia
Nel Vicino Oriente Antico la prima virtù dei re (la
cui origine era data dal costituirsi quali capi di grandi
tribù) era la giustizia. Il re
(il termine re, rex, deriva
dal latino rego, is, reggere:
era un reggitore, non un
dominus onnipotente e prepotente, anche se spesso lo
diventava)
amministrava
direttamente la giustizia,
su sua iniziativa, ma anche
quando veniva invocato da
qualcuno del popolo. Questo
è il caso tramandatoci dallo
scrittore biblico del Primo
Libro dei Re. Salomone
viene
interpellato
da due donne, che
vengono definite
prostitute. Al tempo, le donne sposate erano destinate
a rimanere vedove
molto presto: le guerre, le malattie senza rimedio e la strutturale fragilità degli uomini portava
via i loro mariti lasciandole
quasi sempre senza mezzi di
sostentamento. E allora, se
non interveniva un membro maschio della famiglia acquisita,
solitamente
un cognato, erano
destinate
alla strada. Non
sappiamo
Re Salomone
dunque se
e la regina di Saba.
come il “giudizio per antonomasia” (salomonico).
L'episodio era notissimo
anche in ambienti pagani
ai tempi ellenistici, certamerite mediante la diaspora
giudaica, e se ne è trovata la
raffigurazione in caricatura
in un affresco di Pompei.
La fama di Salomone raggiunse il massimo quando
fece costruire il magnifico
Tempio di Gerusalemme
destinato a custodire l'Arca
dell'Alleanza, simbolo del
patto tra Dio e l'Uomo. I lavori durarono sette anni e la
costruzione fu considerata
una delle sette meraviglie
del mondo sia per impianto
architettonico che per la ricchezza dei materiali impiegati per decorarlo: legno di
cedro, argento, oro e pietre
preziose usati
in grande
quanti-
tà. Fino alla distruzione del
Tempio da parte dei Babilonesi, quattrocento anni
dopo, fu l'orgoglio del popolo d'Israele.
Ma la rovina di Salomone
furono le donne. In lui, anche a leggere attentamente
il testo sacro, non si trova
mai un sincero slancio sentimentale. Forse non ha mai
amato nessuna delle tante
donne che ha avuto a portata di mano. Come tutti i dongiovanni della storia, non
è stato capace di amare sul
serio. Salomone tende più a
vantarsi delle proprie donne
che ad amarle. Secondo un
calcolo concreto, pare ne abbia avute un migliaio. Se si
pensa poi che una decina di
loro praticava apertamente
l'idolatria, si capisce come
Salomone, alla fine, per contentarle, non abbia capito
più nulla, e sia diventato un
vecchietto spento che brucia
incensi agli idoli
più grotteschi.
La regina di Saba
Una sola regina fu all'altezza di Salomone; ma, per
quanto si capisce dal racconto della Bibbia, non fu
né sposa né amante; anche
se in proposito, come vedremo, le leggende si sprecano.
Sentendo della fama e della
ricchezza del figlio di David,
volle andare a trovarlo. Si
recò a Gerusalemme anche
per conoscerne la saggezza.
Arrivò con un gran seguito e
con cammelli carichi di spezie. Era la “regina di Saba”,
nome diventato favoloso,
ma anche rimasto incerto.
Il racconto della Bibbia
non entra nei particolari: la
regina dopo avere appagato
la sua curiosità a toccato con
mano che la magnificenza e
l'intelligenza di Salomone
erano autentiche, prese la
via del ritorno, e con i suoi
servitori si avviò verso la
sua terra. Ma chi era realmente la regina di Saba, era
solo una figura mitica? Se
fosse così, cosa ha alimentato l’incredibile leggenda
che la circonda? Gli arabi la
conoscevano come la regina
Bilquis, gli etiopi la chiamavano Macheda, per gli ebrei
e i cristiani è la regina di
Saba.
La sua storia probabilmente ha origini giudee, ma
esiste anche una versione
persiana, la troviamo anche
nel Corano difatti gli arabi
affermano che credesse nella grandezza di Hallah. Ma
in nessuna parte del mondo la leggenda della regina
di Saba è più viva che in
Etiopia. Per questo popolo
rappresenta il mito fondamentale della loro civiltà.
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 37
S
alomone fu realmente il frutto di una nuova riappacificazione tra l'uomo e Dio e
quindi fu una vera Benedizione di Dio. Dio stesso
mandò a Davide un profeta per dare a Salomone
il nome di Iedidià, ossia
diletto del Signore. Salomone era un re saggio
che “camminava con Dio”.
Tale era il legame tra il re
d’Israele e Dio, che Questi
decise di donare al regnante
un potentissimo mezzo con il
quale mettersi direttamente in
contatto con Lui.
Il sigillo è quindi come una porta che mette in comunicazione il
nostro piano con quello superiore e, se usato nella giusta e opportuna maniera e dalle persone
giuste addirittura con l’Altissimo
stesso.
L’utilizzo dei 3 anelli sta ad indicare la trinarietà dell’oggetto e
le parole ivi contenute formano,
se lette nella maniera opportuna
Della visita a Gerusalemme, avvenuta tra il 1000 ed
il 950 a.C., vi è menzione
nel Talmud ebraico, nella
Bibbia con l’Antico Testamento, nel Corano ed ovviamente nel Kebra Nagast,
Gloria dei re che è il libro
fondamentale per la storia
dell’impero degli altopiani,
elaborato in Etiopia nel XIV
secolo.
La storia dice che la regina
di Saba recatasi nuovamente
dal potente re Salomone per
sottoporgli alcuni enigmi
per sondare le capacità tanto decantate del sovrano, ne
rimase affascinata. Secondo
la leggenda dall’unione del
re Salomone con la regina,
fu concepito Menelik, il cui
significato intrinseco è “Figlio dell’uomo saggio” che
portava nel sangue le tracce
di una ascendenza divina e
38 laSoglia n. 46, Aprile 2016
che sarebbe stato il capostipite di una stirpe salomonica; da qui nasce il fatto che
gli Etiopi siano un popolo
eletto.
Menelik, cresciuto e divenuto re, fece proprio il simbolo del leone di Giuda che
innalzò a simbolo del proprio regno. Divenuto adulto, volle far visita al presunto padre Salomone e quando
fece ritorno ad Axum, trafugò, o gli fu affidata, l’Arca dell’Alleanza, la quale
non arrivò con Menelik ad
Axum, ma impiegò qualche
secolo, dopo un lento peregrinare in terra d’Egitto.
Questo avvenimento è
ricordato con i lenti ed esasperanti riti che la Chiesa
Copta etiopica celebra in
onore dell’Arca, in occasione di Ghenna e Timkat che
sono il Natale e l’Epifania
Il Tempio di Re Salomane costruito dall'833 all'826 a.C. e
distrutto 410 anni dopo.
del rito copto. Le feste di
celebrazione di queste due
ricorrenze fanno rivivere lo
splendore di quelle che furono le corti di Gerusalemme e di Axum.
La regina visse ad est di
Sana’a, a Marib che era la
capitale dell’antica Saba.
Marib era situata nel punto in cui si incrociavano le
carovane che trasportavano incenso in direzione del
mar Rosso. L’intera regione
con il passare degli anni, a
causa dei fortunati e fiorenti commerci, prese il nome
di Arabia Felix.
Come abbiamo visto l’incontro tra i due sovrani è
descritto anche nella Bibbia, con la differenza che
in essa non si accenna né
al loro rapporto, né al loro
figlio Menelik, che darà origine alla stirpe dei sovrani
d'Etiopia.
Nella narrazione del Kebra Nagast invece, il loro
profondo ed appassionante
dialogo diviene importante
per varie ragioni: anzitutto
la Regina Makeda decide da
allora che non adorerà più
il Sole come i suoi avi, bensì il Creatore, Dio di Israele, come Salomone. Questo
rappresenta il passaggio dal
un culto arcaico ad un moderno monoteismo.
Il peccato di Salomone
Dopo essere stato il prediletto da Dio, dal quale
aveva ricevuto saggezza e
intelligenza, oltre a gloria e
ricchezza, Salomone, come
accennavo all'inizio, scivo-
un’invocazione a Dio. La stella
di Davide al centro del sigillo, indica il simbolo, il marchio, che il
fautore del sigillo ha scelto come
proprio di fronte a Dio.
Dentro la stella è contenuto il
nome di Dio, che è impronunciabile e inscrivibile per la legge
ebraica. Ma Salomone non con-
lò nell'idolatria trascinatovi
dalle sue numerose mogli
provenienti dai regni vicini che veneravano Astarte, Milcom, Camos, Moloc,
Baal. «Il Signore si sdegnò con
Salomone, perché aveva deviato il suo cuore dal Signore
Dio d’Israele che egli era apparso due volte e gli aveva comandato di non seguire altri
dei e gli disse; "Poiché ti sei
comportato così, ti strapperò
via il regno e lo consegnerò a
un tuo servo. Tuttavia non
farò questo durante la tua
vita, per amore di Davide,
tuo padre; lo strapperò dalla
mano di tuo figlio. Ma non gli
strapperò tutto il regno; una
tribù la darò a tuo figlio, per
amore di Davide, mio servo e
per amore di Gerusalemme,
che ho scelto"» (1Re11,9-13).
Alla morte di Salomone,
la minaccia divenne pur-
tavvenne alla legge in realtà il
nome messo nel cuore del
sigillo indica appunto chi
è l’elettivo contatto che
Salomone aveva. I segni
attorno la stessa sono indicativi trinari. Salomone quindi, assorto nella
preghiera più profonda,
pregava Dio utilizzando
la preghiera scritta nel
sigillo. A questa preghiera letta, vi era sempre associata una richiesta, una
preghiera interiore, che potremmo definire una sorta di
imposizione a Dio. L’Altissimo
donò a Salomone questo mezzo
affinchè attraverso esso, il re potesse richiederGli qualsiasi cosa
purchè la richiesta fosse disinteressata e per il totale bene altrui;
se la richiesta soddisfaceva le
caratteristiche Dio stesso mosso
da amore eterno e felice del fatto
che quell'atto puro avvicinasse
l'uomo a lui, avrebbe esaudito la
richiesta...
troppo realtà: ci fu un grave
scisma politico causato dal
figlio Roboamo, al quale Dio
riservò due sole tribù: Giuda e Benamino. Le altre dieci tribù, quelle di Samaria
e di Galilea, scelsero come
re, in un’assemblea tenuta
a Sichem, Geroboamo, un
sovrintendente alle finanze
dello stato (1Re c.12).
Lo scisma politico comportò di conseguenza anche lo scisma religioso in
quanto le tribù scissioniste
rifiutarono di rendere culto a Dio in Gerusalemme,
per loro ormai in territorio
straniero, e si crearono due
santuari alternativi: uno
a Betel (Sud) e uno a Dan
(Nord) con due statue di vitelli d’oro. Così iniziò la storia parallela dei due regni:
Giuda e Israele.
Egidio Gottardello
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 39
Challenge
23-24 gennaio 2016
Zona Padova del Brenta
Grossa di Gazzo
I
l challenge è un’esperienza unica, ovvero il dover
trascorrere due giorni con
qualcuno che non conosci,
e con lui o lei dover affrontare diverse prove non di
certo facili… Al termine
dell’esperienza, però, è stato
più semplice del previsto, in
fondo eravamo tutti scout!
Alla partenza eravamo
tutti un po’ preoccupati,
lo ammetto. All’iscrizione,
ogni pattuglia riceveva una
mappa e le coordinate di un
percorso in sei tappe da seguire durante i due giorni;
in ogni tappa c’era una famigerata prova da svolgere:
arrampicata, pane alla trappeur (cotto al fuco vivo), segnalazioni morse, una prova
misteriosa, e infine due prove con semplice timbratura
del “passaporto”.
Siamo stati liberi di girovagare per le varie basi fino
a sera, e poi, tornati tutti al
campo base, abbiamo montato le tende e ci siamo radunati con tutti gli altri per
cenare e fare il resoconto
della giornata.
Dopo cena abbiamo partecipato ad una veglia di
preghiera iniziata in chiesa
e conclusasi all’esterno con
l’accensione delle fiaccole
che avevamo preparato noi
a casa; questo è stato un momento magnifico.
La mattina seguente ogni
pattuglia era libera di alzarsi e partire quando voleva,
sapendo, però, che c’erano
da tener presente gli orari
di colazione e apertura delle
basi.
La cosa più traumatizzante, oltre l’aver passato la notte in tenda con circa –3\4°c, è stata
dover smontare la
tenda ghiacciata
con le dita completamente congelate… Gennaio è
gennaio!!!
Per fortuna, durante la mattinata, la temperatura
si è alzata e tutto è
stato più semplice,
anche se eravamo
ancora indolenziti
per le fatiche del
giorno prima.
Per le dodici ci
siamo tutti riuniti
al punto di ritrovo, dove abbiamo
consegnato il “passaporto”
con segnate le tappe fatte
e il punteggio delle prove
eseguite. All’arrivo degli ultimi, per fortuna, ci aspettava una pastasciutta calda…
che buonaaaa...!
Dopo il pranzo, poi, siamo andati tutti a messa.
Alla fine, ci sono state le
tanto attese premiazioni e
noi, del S. Giustina in Colle1, siamo riusciti a portarci
a casa (anche per la gioia dei
nostri capi) ben due podi,
uno della squadre femminili
e uno delle squadre maschili, GRANDI!!
Noviziato
Clan Aquila
I
l Challenge è una proposta specifica, prevista dal
metodo scout che si rivolge
in particolare al noviziato
della branca R\S (16 nni
circa).
La parola “challenge” significa “sfida, duello, lotta”.
Fare un challenge scout significa impegnarsi a compiere una “sfida” con se
stessi, con i propri limiti e
le proprie paure. Ovviamente, affinché non appaia una
specie di selezione per fregiarsi del titolo di “Rambo”,
le gare non sono difficili ma
impegnative e soprattutto
hanno come scopo finale il
“servizio”.
Affinché questo servizio
si possa adempiere in modo
corretto, bisogna acquisire
una mentalità nuova e sapere dove si vuole arrivare.
È per questo motivo che
indichiamo delle mete ideali, spirituali, allo scopo di
pensare in modo nuovo: io
accetto la sfida e mi metto in
gioco anche alla scoperta e
conoscenza dei miei limiti.
Il Challenge può durare
uno o più giorni, anche se
normalmente avviene in un
fine settimana; vi partecipano Noviziati appartenenti
alla stessa Zona ma a volte
viene proposto anche a livello regionale. I partecipanti, divisi in pattuglie o in
semplici squadre, affrontano
varie prove di abilità scout,
che comprendono quindi:
• abilità manuali
• abilità espressive
• abilità tecniche come
- velocità nel montaggio
tende
- conoscenza di nodi e legature
- conoscenze di tecniche trappeur
- conoscenza delle
tecniche di pronto
soccorso
• spiritualità.
Ad ogni prova
viene assegnato un
punteggio in base al
risultato e a come è
stata svolta, e al termine del Challenge,
la o le pattuglie che
hanno totalizzato i
punteggi migliori ricevono premi o riconoscimenti.
La parola “challenge” significa “sfida, duello, lotta”
40 laSoglia n. 46, Aprile 2016
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 41
USCITA DI COMUNITÀ CAPI
27-28 febbraio
A
nche i capi scout vanno
in uscita? E precisamente cosa fanno? Giocano, si divertono e fanno le ore piccole?
Questa è una domanda tipica
dei nostri ragazzi quando gli
diciamo che la prossima settimana non c’è attività perché
noi capi siamo in uscita. E le
risposte sono vere: giochiamo, ci divertiamo e facciamo
le ore piccole… perché una
comunità come la nostra ha
l’esigenza di sentirsi unita e
di vivere serenamente e con
felicità il servizio verso i nostri ragazzi. Fare servizio,
o se si vuole chiamiamolo
volontariato, non è facile. E
penso a tutti quei volontari
che in vari ambiti, non solo
parrocchiali, si adoperano
per il bene comune. Si mettono le proprie energie, tempo
e conoscenze a disposizione
degli altri e in maniera gratuita, e non sempre le cose
vanno bene, a volte si commettono anche degli errori e
ci sono delle incomprensioni
o diversità di vedute.
Errare è una cosa facilissima, si può avere esperienza,
essere navigati, ma l’errore è
sempre dietro l’angolo. Ed è
qui che interviene la comunità, che deve essere un insieme di persone che condividono uno stesso cammino
e che insieme progettano e
costruiscono qualcosa.Quindi, chi meglio della comunità
può aiutare nel momento del
bisogno, aiutarci negli errori fatti, aiutare la persona in
difficoltà a capire lo sbaglio e
ripartire?
Sembra tutto facile, ma il
42 laSoglia n. 46, Aprile 2016
correggersi e l’aiutare non
sempre sono visti di buon occhio, sia perché molte volte
siamo orgogliosi e non accettiamo di essere corretti, sia
perché non sempre è facile
correggere che ci sta vicino,
si ha paura di ferirlo o di logorare il rapporto.
Baden Powell, il nostro
fondatore, credeva molto
nella correzione fraterna vista come il miglioramento e
la crescita di ognuno di noi.
Infatti questa uscita per noi
capi è servita proprio a questo. Cercare di migliorare il
nostro gruppo nella correzione fraterna, partendo da noi
stessi, mettendo in campo i
nostri talenti e mitigando i
nostri difetti e le nostre debolezze, comprendendo che
solo con l’aiuto del resto del
gruppo possiamo diventare
dei capi migliori.
Quest’anno il nostro gruppo conta 80 iscritti, partendo
dagli 8 fino ai 21 anni per gli
animati e dai 22 ai 55 anni per
i capi, quindi un gruppo numeroso e con età e periodi di
vita molto diversi, un gruppo
non facile da gestire perché,
se vogliamo vedere le difficoltà, i tempi di uno studente
non sono quelli del lavoratore,
le idee di un adulto non sono
quelle di un adolescente, e le
incomprensioni o le differenze di vedute a volte possono
diventare difficili da gestire.
Ma noi non vogliamo guardare il lato negativo di questa
cosa, anzi questa differenza
d’età e di condizione lavorativa o famigliare è la forza
del nostro gruppo che ci dà
la possibilità di proporre ai
nostri ragazzi sia cose divertenti e avvincenti, attività di
avventura e di comunità, ma
ci dà la possibilità di trasmettere esperienze di vita, lavorative o di famiglia diverse e
utili per la loro crescita e formazione personale.
E con questa visione la correzione fraterna diventa uno
strumento utile ed efficace,
nella consapevolezza che io
capo posso essere importante nella crescita dei ragazzi
che mi vengono affidati, devo
anche essere vigile e attento
negli errori che posso commettere, e se da solo non ce la
faccio, avere qualcuno al mio
fianco che mi aiuti in questo
è la cosa migliore.
E in questo l’età non c’entra, si sbaglia da giovani come
da adulti, da capi novelli come
da capi navigati.La cosa importante è accettare la critica
costruttiva, la correzione fraterna, non importa da chi sia
fatta, basta che sia fraterna,
piantare paletti ed essere convinti solo di se stessi e delle
proprie azioni o aver troppo
amor proprio non aiuta a crescere né se stessi né il gruppo, aiuta invece il ripartire
dalle diversità di vedute con
maggiore convinzione per
tracciare una strada utile al
miglioramento, nella convinzione che se abbiamo scelto
di far parte di questo gruppo
lo facciamo per i ragazzi, per
la loro crescita e per renderli
uomini e donne felici.
Nell’anno del Giubileo della Misericordia pensiamo che
parlare di correzione fraterna
La correzione fraterna
sia un buon punto di partenza
per migliorarci come cristiani
e diventare veramente persone misericordiose sentendo
anche le parole di papa Francesco dette all’apertura della
Porta Santa a Roma: “Certo,
qualcuno potrebbe obiettare:
‘Ma, Padre, la Chiesa, in questo
Anno, non dovrebbe fare qualcosa di più? È giusto contemplare la misericordia di Dio,
ma ci sono molti bisogni urgenti!’. È vero, c’è molto da fare, e
io per primo non mi stanco di
ricordarlo. Però bisogna tenere
conto che, alla radice dell’oblio
della misericordia, c’è sempre
l’amor proprio. Nel mondo,
questo prende la forma della
ricerca esclusiva dei propri interessi, di piaceri e onori uniti
al voler accumulare ricchezze,
mentre nella vita dei cristiani
si traveste spesso di ipocrisia
e di mondanità. Tutte queste
cose sono contrarie alla misericordia. I moti dell’amor proprio, che rendono straniera la
misericordia nel mondo, sono
talmente tanti e numerosi che
spesso non siamo più neppure
in grado di riconoscerli come
limiti e come peccato. Ecco perché è necessario riconoscere di
essere peccatori, per rafforzare
in noi la certezza della misericordia divina”.
“L’Anno Giubilare vissuto
nella misericordia possa favorire l’incontro con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda
più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci;
elimini ogni forma di chiusura
e di disprezzo ed espella ogni
forma di violenza e di discriminazione. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. Non giudicate e non
sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati;
perdonate e sarete perdonati.
Date e vi sarà dato”.
Panda puntiglioso
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 43
I LETTORI CI SCRIVONO
a cura di Giampietro Beghin
Caro Direttore,
la lapide posta al di sopra
della porta a sinistra del presbiterio della nostra Chiesa
ci ricorda che il 22 maggio
2016 ricorre il centenario
della morte di don Giovanni
Zannini, il parroco che ha
eretto la Chiesa e del quale si
conserva il busto marmoreo.
Mi puoi dire qualcosa di
questo Sacerdote e della sua
opera? Ringrazio per l’attenzione e auguro a tutta la redazione un buon lavoro.
Caro Lettore,
rispondiamo volentieri alla
tua domanda che ci dà l’occasione per parlare ancora dei nostri Sacerdoti. Lo
facciamo riportando alcuni passaggi del volume La
Chiesa e la comunità di Santa Giustina in Colle, uscito
in occasione del centenario
della consacrazione della
Chiesa Parrocchiale, voluta
dal parroco don Giovanni
Zannini.
G
don
GIOVANNI
ZANNINI
parroco
Lettera firmata
iovanni Zannini, nato
a Borso del Grappa nel
1841, è ordinato sacerdote
il 21 maggio 1864. Esercita
per pochi mesi la cura d’anime quale cappellano curato
a Roana e poi per dodici
anni a Romano d'Ezzelino.
Nel 1878 ha l'incarico di
vice rettore del Seminario
Maggiore di Padova fino al
giorno del suo ingresso nella
parrocchia di S. Giustina in
Colle, avvenuto l'8 dicembre
1888. Il registro nati porta il
suo primo atto in data 10
dicembre dello stesso anno,
ma viene immesso nel possesso del beneficio solo il 23
febbraio 1889.
Don Giovanni Zannini
trova la chiesa “più che mai
non rispondente ai bisogni
della popolazione ed in condizioni pietose, con la facciata mutila ed indecorosa”.
Si attiva quindi immediatamente per accrescere
il fondo raccolto dalla com44 laSoglia n. 46, Aprile 2016
missione parrocchiale, e lasciato dal suo predecessore
don Angelo Tombolato, e
dà incarico di elaborare un
primo progetto della chiesa all’arch. Augusto Zardo,
figlio di Antonio, pure architetto, di Crespano del
Grappa, probabilmente già
conosciuti dallo Zannini,
nativo di Borso del Grappa.
Dopo aver compiuto alcuni sopralluoghi, il 7 ottobre
1892 il progettista consegna a don Giovanni Zannini “il disegno” della nuova
chiesa. Prepara anche un
“conto di spesa”, una specie
di capitolato d’appalto, che
elenca nel dettaglio i lavori
previsti e preventiva costi,
caratteristiche e quantitativi
dei diversi materiali occorrenti per portare la chiesa al
coperto. Il “conto di spesa”
non prevede tuttavia né gli
intonaci interni ed esterni
(che non saranno peraltro
mai realizzati, fatta eccezione per la parete nord), né la
pavimentazione. Contempla invece la costruzione
dell’abside che tuttavia “per
varie ragioni, tra cui in particolare per esigenze finanziarie” sarebbe stata lasciata
“in sospeso” e realizzata solo
trent’anni dopo.
Alla gara d’appalto dei
lavori concorrono Pasquale
Ferraro, capomastro muratore di Semonzo e Angelo Babolin, capo mastro muratore
di S. Giorgio delle Pertiche.
La ditta Ferraro presenta, il
5 gennaio 1893, un preventivo di lire 30.880,85 da cui
“sottrarre il valore della muratura della vecchia chiesa”.
Il capomastro muratore Angelo Babolin presenta il suo
conto di spesa il 12 febbraio
1893 per complessive lire
24.412,97 calcolate detraendo dal conto finale “...le pietre
che si trovano nei muri attuali
cioè di miglia 164.576,00 che
computando la spesa della demolizione si possono calcolare
a lire 15.00”.
Pur avendo offerto il Babolin il prezzo migliore, i
lavori vengono tuttavia affidati all’Impresa Pasquale
Ferraro. Quali siano le ragioni non è dato conoscere, ma
n. 46, Aprile 2016 laSoglia 45
è verosimile che quest’ultima avesse dato maggior affidamento in considerazione
dell’organizzazione aziendale, avuto riguardo anche
al grosso impegno richiesto
dall’opera.
Don Giovani Zannini tiene un quaderno intitolato
“Fabbrica Chiesa - Libro di
memorie riguardanti la Fabbrica della nuova chiesa di
S. Giustina in Colle”, in cui
registra scrupolosamente,
in ordine cronologico, brevi
note concernenti i sopralluoghi del progettista, l’inizio e l’andamento dei lavori,
l’acquisto dei materiali, i pagamenti di operai. Si tratta
di appunti preziosi, che ci
consentono di ricostruire
con precisione, in ogni fase,
lo svolgimento dei lavori:
dagli accessi e studi in cantiere dell’arch. Zardo, alla
demolizione della vecchia
chiesa, via via fino alla copertura della chiesa attuale.
Così, successivamente alla
visita del 7 ottobre 1892, il
parroco annota un secondo
sopralluogo dell’arch. Zardo
per “esaminare meglio l’altezza della vecchia chiesa”,
probabilmente in vista della
sua demolizione e del recupero dei materiali di risulta.
In effetti, la demolizione
della vecchia chiesa inizia
alla fine di giugno 1893: i
lavori vengono eseguiti in
economia con una spesa di
lire 60,75.
Nell’occasione vengono
levate le sepolture di famiglia che esistevano nell’interno della chiesa. Le ossa
sono portate in cimitero,
nell’ossario comune.
Demolito il vecchio fab46 laSoglia n. 46, Aprile 2016
bricato e sgomberato il terreno dei materiali, inizia lo
scavo delle fondamenta.
Il 1o luglio l’arch. Zardo
si ferma in cantiere per due
giorni per “l’impianto della
chiesa”. Ritorna il 3 luglio
per la “sistemazione ed impianto delle quattro cappelle”
e il 12 luglio “per far vedere
il disegno delle cappelle e del
coro”.
Nel frattempo, domenica
9 luglio 1893 don Giovanni
Zannini può benedire e posare la prima pietra del nuovo tempio.
I lavori iniziano sicuramente subito dopo; don
Giovanni Zannini annota
infatti nel suo quaderno di
memorie in data 4 agosto
1893 la “visita dell’ing. per
vedere i lavori fatti e l’effetto
delle pietre vive messe a lato
della facciata”.
Alle maestranze dell’Impresa Ferraro si affiancano i
parrocchiani che “...con slancio e generosità si prestarono
per il trasporto del materiale
e per giornate gratuite di manualità sotto la solerte guida
del loro pastore”.
Addirittura i parrocchiani chiedono al parroco il
permesso di lavorare i campi la domenica, per poter
negli altri giorni dedicarsi ai
lavori della chiesa.
Don Giovanni Zannini
annota
minuziosamente,
giorno dopo giorno, le ore
prestate dai parrocchiani.
I materiali di consumo
sono forniti dallo stesso
committente. Nel libro di
memorie di don Giovanni
Zannini sono via via appuntati, con altrettanta cura e
precisione, l’acquisto di ma-
teriali di consumo e attrezzatura minuta: calce, ferro,
una grossa corda, secchie
in larice, pietre cotte, pietre
cotte sagomate, chiodi, un
tino, carriole, calce idraulica, una botte vecchia per
bagnar le pietre, sabbia, cemento, travi, ferro.
Con il capomastro, muratori e manovali, sono presenti in cantiere anche due
garzoni ed “un fanciullo per
l’acqua”. La presenza del
fanciullo sarà costante lungo tutto l’arco temporale dei
lavori.
Sono registrati acconti
al progettista, pagamenti al
tagliapietre, al carrettiere
per trasporto di pietre dalla
fornace al cantiere. Il 4 settembre 1893 è annotato il
pagamento di “tutti i viaggi
di pietre: sia della facciata
sia dell’interno della chiesa,
escluse le basi, con lire italiane 376,55”.
Un ‘nota bene’ ci dice che
il tagliapietra di Nove era
Marcadello Andrea di Pietro.
Il 24 luglio e il 4 ottobre
1893 sono indicati i pagamenti al carrettiere per la
condotta dei capitelli.
I lavori e, parallelamente,
le annotazioni del parroco continuano nel mese di
novembre 1893 e fino al 24
dicembre dello stesso anno.
Riprendono ai primi di
marzo dell’anno successivo
per tutto il 1894 e fino al 9
febbraio 1895. Qui si interrompono e riprenderanno
il 5 settembre dello stesso
anno, dopo la benedizione
della chiesa, per i successivi
lavori.
In soli 18 mesi dunque si
C
arissimo Lettore, il racconto del parroco don Giovanni Zannini e della sua
Chiesa, che tu ci hai richiesto, è anche il
racconto di una Comunità, la Comunità di
Santa Giustina in Colle dei nostri antenati
di oltre 100 anni fa.
È una Comunità semplice e povera,
prevalentemente contadina, eppure tanto
unita e generosa non esita ad affrontare
una impresa impensabile per quei tempi,
lasciandoci un Tempio maestoso ed imponente.
Come sottolinea orgoglioso don Giovanni, i parrocchiani accorrono all’invito del
loro Pastore e partecipano alla costruzione
della Chiesa con le loro offerte o prestando, gratuitamente, la loro opera manuale;
addirittura, essi chiedono al parroco il
permesso di lavorare i campi la domenica,
per poter negli atri giorni dedicarsi ai lavori della chiesa!
Significativa è la partecipazione alla co-
giunge alla copertura della
nuova chiesa, che il 5 maggio 1895 viene benedetta
dal vescovo di Padova Giuseppe Callegari “con solenne
festa e grande giubilo dei fedeli”.
In occasione della benedizione don Giovanni Zannini pubblica una lettera in
cui esprime gioia e gratitudine ai parrocchiani che lo
hanno aiutato nell’impresa.
Il parroco sottolinea che
“...la nuova chiesa parrocchiale dopo solo 18 mesi da che
venne cominciata, s’innalza
bella, grande, maestosa sullo
spianato della vecchia, tanto
deforme e cadente”. Ringrazia nell’ordine i “commissionati” Ballan Giovanni,
Bisello Gaetano, Centenaro
Angelo, Dalla Bona Pietro,
Filippi Beniamino, Gottardello Luigi, Ruffato Antonio, Ruffato Valentino,
struzione della Chiesa dei giovani che il
Parroco ci descrive… alcuni occupati ad
approntare i materiali… altri intenti a sollevarli oppure a lanciarli in alto a forza di
braccia, altri pronti sui ponti a riceverli e
sempre lesti, sempre obbedienti, sempre allegri e festevoli, come se neppure sentissero il
peso della fatica.
Un grazie viene rivolto anche alle madri e alle figlie che…“largamente concorsero colle loro offerte e col loro obolo alla santa
impresa”.
Una immagine bellissima, che ci piace
ricordare. Quando siamo in Chiesa a pregare o quando vi passiamo davanti immaginiamo per un momento l’opera in costruzione e i giovani che vi lavorano orgogliosi
e uniti. Può essere una bella immagine di
oggi, delle tante persone, giovani e adulti,
che generosamente e senza calcoli si prestano per fare grande e maestosa la nostra
Comunità.
Verzotto Graziano, Verzotto
Stefano e Zorzi Carlo che
“con tanto senso pratico hanno saputo mantenere sempre
vivo, sempre concorde, sempre
ben ordinato il movimento
della Parrocchia”, facendosi
“mallevatore che i loro nomi
verranno sempre ricordati
con ammirazione e benedetti”.
Esprime inoltre soddisfazione e riconoscenza verso
il “locale Municipio”. per
l’aiuto concesso e i parrocchiani che “…persona, animali, averi, tutto impegnaste per la Santa Opera” e, in
particolare, “i cari giovani…
alcuni occupati ad approntare i materiali… altri intenti
a sollevarli oppure a lanciarli
in alto a forza di braccia, altri pronti sui ponti a riceverli
e sempre lesti, sempre obbedienti, sempre allegri e festevoli, come se neppure sentisse-
ro il peso della fatica”.
Un grazie viene rivolto
anche alle madri e alle figlie
che…“largamente concorsero colle loro offerte e col loro
obolo alla santa impresa”.
Dopo i parrocchiani il parroco ricorda con gratitudine
il progettista ing. Augusto
Zardo, il capomastro Paolo
Ferraro e gli operai…“per
la loro assiduità e diligenza
nel lavoro e poi per la loro costante docilità e dipendenza,
virtù queste le quali fecero che
tutto procedesse ordinato e
tranquillo”.
E poi i fornitori dei materiali, “i quali posero in noi
tanta fiducia, furono sì moderati nei prezzi, ci servirono sempre con tanta probità
e buon volere”. Tra essi don
Giovanni Zannini cita con
“particolare preferenza”…
il sig. G. Zanchetta, distinto scalpellino di Cittadella,
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i sigg. C. ed A. Fuga, negozianti di ferramenta di Camposampiero; il sig. G. Fiorazzo, negoziante di legname
in Pontevigodarzere. Infine
il sig. Morandi, fornaciao in
Rustega, al quale il parroco
riserva un particolare ringraziamento, ricordandolo
come “il benefattor più munifico della nostra chiesa…
per la generosità delle sue
profferte… che hanno dato il
coraggio di proseguir nell’impresa”.
Dopo aver ricordato il
cappellano don Remigio Salmaso, per l’azione di sostegno e incoraggiamento, don
Giovanni Zannini conclude
la lettera ai parrocchiani ringraziando …“il nostro caro
e benedetto Signore… il più
liberale, generoso e grande”
dei benefattori…“Non vi
ho io sempre detto che l’opera
nostra è tutta opera del cielo?
Per convincervi fate così: date
prima uno sguardo alla chiesa e poi alla parrocchia. È
grande la nostra parrocchia?
No. È ricca? No. Siamo ricor-
si per aiuto agli estranei? No.
Eppure la nuova chiesa è là,
bella ampia, maestosa, che
colla sveltezza dei suoi archi,
coll’altezza delle sue volte desta l’ammirazione di quanti
vengono a visitarla. E non è
questo tale fatto, che ben chiaro dimostra l’intervento divino? E dire che tanto lavoro
progredì sempre tranquillo
senza ostacoli, senza soste,
senza inclemenze di stagione,
e quello che più importa, senza che mai, in mezzo a tanti
e impreveduti pericoli, succedesse qualche grave e tremenda sventura”
In un manifesto rivolto al
parroco…“nella fausta occasione in cui venne solennemente benedetto il nuovo tempio di S. Giustina in Colle”
i parrocchiani esprimono
a loro volta i sentimenti di
gratitudine “a colui che tanto
operò per innalzare al Dio dei
padri nostri una chiesa che
resterà monumento perenne
di fede, pietà e concordia della presente generazione”.
Per dimostrare la loro ri-
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STUDIO
STEPHEN
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di Tomasin Stefano
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48 laSoglia n. 46, Aprile 2016
conoscenza i parrocchiani
fanno eseguire dal pittore
padovano Luigi Papafava i
ritratti ad olio di don Domenico Pierobon, don Angelo
Tombolato e don Giovanni
Zannini… per conservare
“il ricordo dei tre benemeriti
parroci, nei quali si compie
in più di mezzo secolo la storia gloriosa del risorgimento
morale e materiale del nostro
Paese”.
L’opera e l’impegno di
don Giovanni Zannini non
si fermano con la benedizione della nuova chiesa,
in occasione della quale gli
stessi parrocchiani avevano manifestano “l’impegno
a continuare la nostra missione nell’abbellire il Nuovo
Tempio”.
Ad appena un solo anno
dalla benedizione della chiesa, infatti, la porta maggiore
viene dotata, nel 1896, di
bussola realizzata da “artisti
del nostro paese”, su disegno
dell’ing. Augusto Zardo.
L’anno successivo vengono…“armate di stipiti le
quattro porte interne e quindi
chiuse con forti e ben lavorati battenti; nel 1899 posta la
scalinata della porta maggiore”.
Nel mese di maggio 1900
l’impresa Paolo Ferraro, su
direzione dell’ing. Augusto
Zardo, esegue l’intonaco
della navata maggiore e del
presbiterio, successivamente affrescati dal pittore Manzoni di Padova, “ben esperto
e bravo professionista”.
Nella prima settimana di
quaresima del 1902 inizia
anche “il lavoro per dare il
bianco alle due navate laterali”, affrescate ancora dal
Manzoni.
Nel 1905 l’impresa Ferraro, su direzione dell’ing.
Zardo, costruisce due nuovi
altari nelle prime due cappelle vicine al presbiterio.
Infine, tra il 1906 e l’estate 1907 vengono eseguite la
pavimentazione interna e le
gradinate esterne.
Conclusi tali lavori, il 5
ottobre 1907 la chiesa viene finalmente solennemente consacrata dal vescovo di
Padova mons. Luigi Pellizzo. Anche in questa circostanza l’arciprete don Giovanni Zannini si rivolge ai
suoi parrocchiani con una
lettera che ripercorre le varie tappe della costruzione
della nuova chiesa, a partire
dalla benedizione della prima pietra.
“Se siamo riusciti nella
grande impresa… fu perché
piccoli e poveri”, sottolinea
don Giovanni Zannini invitando i parrocchiani a fare
gran festa e a giubilare “per
una tanta grazia a noi fatta”
e a promettere che “entran-
do da qui innanzi in chiesa
vi staremo con rispetto e raccoglimento profondo” e che
…“celebreremo ogni anno il
ricordo di un sì gran giorno”.
Dopo la consacrazione,
il vescovo di Padova mons.
Luigi Pellizzo visita per la
prima volta solennemente,
il 24 giugno 1912, la chiesa
parrocchiale di S. Giustina
in Colle trovandola… “in
ottime condizioni materiali,
abbondantemente provvista
di sacri arredi, paramenti,
biancheria, e di ogni altra
cosa necessaria per la celebrazione dei SS. Misteri, e tutto
secondo le leggi canoniche e
liturgiche prescrizioni”.
Nel 1914 la nuova chiesa, “fino a questo momento
sprovvista di organo e armonio” viene dotata di organo,
costruito dalla ditta Malvestito di Padova e collaudato
dal maestro Ravanello della
Cappella della Basilica del
Santo.
Questa è l’ultima opera a
favore della chiesa da parte
di don Giovanni Zannini,
che la sera del 22 maggio
1916 muore all’età di 75
anni, assistito dal cappellano don Pietro Bianchini.
Nell’epigrafe pubblicata il
25 maggio don Pietro Bianchini ricorda, con particolare risalto, il “nuovo artistico
tempio rifugio di sua pietà”
lasciato da don Giovanni
Zannini quale “monumento
testimone di fede”.
I funerali sono imponenti. La salma viene tumulata
nel centro del cimitero oltre
la croce, coperta da un semplice strato di cemento sopra
terra che riporta le sole iniziali e la data della morte.
Alcuni anni dopo, il 30
gennaio 1922, viene scoperto con messa solenne di requiem, in memoria dell’arciprete scomparso, il busto
marmoreo, ricordato dal nostro lettore, collocato al di
sopra della porta della sacrestia (in quel tempo ancora a
sinistra del presbiterio), con
epigrafe dettata da mons.
Serraglia, rettore del Seminario di Padova. Scoperto il
busto e la lapide… “tutto il
popolo si porta in processione
al cimitero con le bandiere di
tutte le associazioni”.
Lo stesso anno il fratello
di don Giovanni Zannini,
Romano di Borso del Grappa, fa porre sopra la tomba in
cemento una lastra di marmo con le parole in bronzo e
decorata sui quattro lati da
quattro piccoli coltelli legati
insieme da catena.
Nel 1953 i resti mortali di
don Giovanni Zannini sono
trasferiti e composti nella
nuova Cappella dei sacerdoti del cimitero di S. Giustina
in Colle.
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ELOGIO
DEL PRETE
"FERIALE"
Preti che ci hanno insegnato
che cosa significhi vivere in Dio, con Gesù e per i fratelli,
esempi di dedizione,
pur con i loro mille difetti umani.
Vittorio Messori, parlando dei sacerdoti,
ha espresso la sua gratitudine per questi uomini
che - nonostante povertà e angustie «tengono aperte le infinite chiese del mondo,
dove si celebrano le messe di ogni giorno
e quelle per le tappe fondamentali della vita di ciascuno:
battesimi, matrimoni, funerali.
Chiese dove talvolta c'è anche il dono - ché tale è di un vecchio confessore che attende paziente
per renderci certi, se solo lo vogliamo,
del perdono di Cristo;
dove ci sono panche, penombra e fiori, silenzio,
lumini accesi, anche opere d'arte, se l'edificio è antico;
dove, forse, è restato persino un sentore di incenso;
dove chiunque può entrare, restare quanto gli aggrada,
pregare o pensare o anche solo sostare
senza che nessuno gli chieda conto del suo essere lì
o lo importuni,
perché non si è tolto le scarpe
o non si è calcato lo zucchetto in testa
o non ha uno scialle sulle spalle...
Ho affetto, stima e direi pure tenerezza
per gli uomini che chiamo "feriali",
di una Chiesa anch'essa feriale».
Andrea Tornielli
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La presenza del parroco
nella comunità
L
a nostra parrocchia in questi mesi è senza parroco.
Siamo in attesa di un nuovo parroco.
Un grazie alla presenza generosa di don Leo e don Daniele.
Il 22 maggio verrà ricordato, in vari modi,
don Giovanni Zannini nel centenario della morte.
È il parroco che ha costruito la nostra attuale chiesa.
Il suo busto in marmo è collocato in alto all’inizio
della navata di sinistra.
È una opportunità per fare memoria di questo sacerdote
e riflettere sulla presenza del parroco nella nostra comunità.
Il mese di maggio, con iniziative
che verranno comunicate,
è un tempo che ci dedichiamo
anche per considerare e
pensare alla presenza del
sacerdote nella nostra comunità oggi.
Fin d’ora ci possiamo preparare, a questa importante presenza tra di noi, nelle relazioni familiari e nella realtà che ci circonda, pregando e vivendo
«gli stessi sentimeti che furono
in Cristo Gesù» (Fil 2,5) come
dono e «frutto dello Spirito che è
amore, gioia, pace, magnanimità,
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza,
dominio di sé» (Gal 5,22) per avere
«il pensiero di Gesù» (1Cor 2,16)
e la disponibilità all’azione gratuita.
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