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Strategie e interventi per la promozione di una corretta

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Strategie e interventi per la promozione di una corretta
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DEL PIEMONTE ORIENTALE “A. AVOGADRO”
Dipartimento di Medicina Traslazionale
in collaborazione con
Università Cattolica del Sacro Cuore e Università di Milano Bicocca
CORSO INTEGRATO ASPP
ADVANCED SCHOOL OF PREVENTION AND HEALTH
PROMOTION
Strategie e interventi per la promozione
di una corretta alimentazione:
come migliorare l'attività di prevenzione?*
Giampiero Bondonno,
Silvia Cardetti,
Vanessa Carioggia,
Marilena Piardi,
Francesco Sparano,
Valentina Trotta
Anno accademico 2013-2014
1
Strategie e interventi per la promozione
di una corretta alimentazione:
come migliorare l'attività di prevenzione?*
"Il presente elaborato è frutto di un lavoro comune; tuttavia la stesura dei vari paragrafi va così
attribuita: Francesco Sparano – cap.1 “Dimensione del fenomeno” e cap.3 “Materiali e metodi”;
Valentina Trotta – cap.4 “Le determinanti del fenomeno: modelli di comportamento, aspetti
culturali, contagio sociale. Le aree di intervento della prevenzione”; Giampiero Bondonno – cap.5
“Le determinanti ambientali”; Silvia Cardetti – cap.6 “Strumenti e strategie per la promozione di
una corretta alimentazione e la prevenzione delle malattie ad essa correlate” e cap.3 “Materiali e
metodi”; Marilena Piardi – Appendice 1 “Ruolo della famiglia e della scuola nella prevenzione
dell'obesità infantile: ricerca evidenze di efficacia nell'educazione alimentare”; Vanessa Carioggia –
Appendice 2 “Un esempio di progetto di promozione della salute - Il progetto PRO.MUOVI
SAPERI E SAPORI.”. I capitoli non espressamente citati sono frutto di un’elaborazione collettiva.
2
Indice
1. DIMENSIONE DEL FENOMENO
5
2. OBIETTIVO
13
3. MATERIALI E METODI
14
4. LE DETERMINANTI DEL FENOMENO: MODELLI DI
COMPORTAMENTO, ASPETTI CULTURALI, CONTAGIO
SOCIALE. LE AREE DI INTERVENTO DELLA PREVENZIONE
16
5. LE DETERMINANTI AMBIENTALI
20
6. STRUMENTI E STRATEGIE PER LA PROMOZIONE DI UNA
CORRETTA ALIMENTAZIONE E LA PREVENZIONE DELLE
MALATTIE AD ESSA CORRELATE
25
7. CONCLUSIONI
39
BIBLIOGRAFIA
41
Appendice 1: RUOLO DELLA FAMIGLIA E DELLA SCUOLA NELLA
PREVENZIONE DELL'OBESITA INFANTILE: RICERCA DI EVIDENZE
DI EFFICACIA NELL'EDUCAZIONE ALIMENTARE
45
Appendice 2: UN ESEMPIO DI PROGETTO DI PROMOZIONE DELLA
SALUTE. IL PROGETTO PRO.MUOVI SAPERI E SAPORI.
56
3
4
1. DIMENSIONE DEL FENOMENO
L'alimentazione corretta, insieme alla pratica quotidiana dell'attività fisica, rappresenta uno dei
fattori fondamentali per mantenere un buono stato di salute. Una dieta varia ed equilibrata, infatti, è
alla base del buon funzionamento dell'organismo e determinante per un sano sviluppo fisico e
mentale. Al contrario, una scorretta alimentazione è uno dei fattori di rischio modificabili
responsabile delle principali malattie croniche. Tali fattori modificabili determinano i cosiddetti
fattori di rischio intermedi, come ipertensione, sovrappeso ed obesità, i quali, assieme ai primi,
concorrono ad aumentare il rischio di mortalità e disabilità causati da malattie croniche quali
cardiopatie, ictus, diabete e tumori (Figura 1.1).
Figura 1.1
1.1 Le abitudini alimentari degli italiani
Esistono una serie di sistemi di sorveglianza che indagano sulle abitudini alimentari e gli stili di vita
della popolazione italiana, al fine di ottenere un quadro generale dello stato di salute della
popolazione, che permetta di indirizzare in maniera opportuna gli interventi di prevenzione e di
valutare l'efficacia di quelli attuati.
Secondo i dati contenuti all'interno dell'Annuario Statistico Italiano (ISTAT, 2013), in Italia si è
ancora lontani dal modello di pasto consumato veloce e fuori casa. Il 74,2% degli italiani, infatti,
dichiara di consumare a casa il pranzo, considerato dal 67,8% come il pasto principale. La quota più
bassa, tra gli adulti, di chi pranza a casa risulta essere tra gli uomini tra i 35-44 anni (52,2%)
mentre, a livello territoriale, il Mezzogiorno ottiene percentuali più alte (84,7%) rispetto al Nord
(68,4%). Per quanto riguarda la colazione, il 79,7% ha l'abitudine di un consumo definito
“adeguato”, cioè non limitato a caffè o tè, bensì accompagnato da alimenti ricchi di nutrienti come
latte e cibi solidi. Tale consuetudine è più presente all'interno della popolazione femminile (82,6%)
rispetto a quella maschile (76,7%) e altamente diffusa tra i bambini da 3 a 10 anni (93%).
L'abitudine ad una colazione adeguata è più diffusa nel Centro e nel Nord.
5
Analizzando i differenti tipi di alimenti consumati1, nel 2013 la dieta della popolazione italiana è
ancora caratterizzata largamente, nonostante sia in continuo ma leggero calo, da pane e pasta,
consumati almeno una volta al giorno dall'82,4% degli italiani. L'82,5% della popolazione dichiara
di mangiare qualche volta a settimana carni bianche, percentuale che diminuisce quando si tratta di
carni bovine (66,9%) e suine (45,2%). Rispetto al 2010, il consumo di carni bovine è diminuito del
4,1% e quello di carni suine dell'1,8%. Il 51,4% degli italiani ha dichiarato di consumare verdure
almeno una volta al giorno (dato stabile rispetto alle precedenti rilevazioni), più alta la quota di
consumatori giornalieri di frutta (in leggero calo), pari al 74,5%.
Per quanto riguarda le differenze di genere, il consumo femminile risulta essere più salutare rispetto
a quello maschile. Lo stile alimentare delle prime, infatti, si caratterizza per un utilizzo quotidiano
maggiore di verdure (56% rispetto al 46,5% degli uomini), di ortaggi (47,9% rispetto al 40,1% degli
uomini) e frutta (77,1% rispetto al 71,7% degli uomini). Le abitudini alimentari degli uomini,
invece, si basano soprattutto sul consumo di pasta e pane (85,6% di consumo giornaliero rispetto al
79,4% delle donne), salumi (il 64,2% ne consuma almeno qualche volta a settimana rispetto al
53,5% delle donne), carni bovine (70,5% qualche volta a settimana contro il 63,5% delle donne),
carne di maiale (49,2% rispetto al 41,5% delle donne) e snack (29,8% rispetto al 23,7% delle
donne).
Il 66,9% delle popolazione presta attenzione al consumo di sale, in particolare le donne, e il 42,7%
utilizza sale arricchito di iodio.
Anche il sistema di sorveglianza Passi ha indagato sul consumo di frutta e verdura nella
popolazione italiana: nel periodo 2010-2013: il 48% degli intervistati ha dichiarato di consumare tre
o più porzioni al giorno di frutta e verdura, mentre solo il 10% ne consuma cinque porzioni (Figura
1.2), quantità raccomandata dalle linee guida2.
Questi ultimi consumatori risultano essere in prevalenza donne, adulti dai 50 ai 69 anni, le persone
più istruite e chi dichiara di non avere difficoltà economiche. Esistono differenze anche a livello
territoriale, dove le regioni settentrionali mostrano consumi maggiori di cinque porzioni di frutta e
verdura giornaliere rispetto a quelle meridionali (Figura 1.3.).
1
http://dati.istat.it/
2
http://www.epicentro.iss.it/passi/rapporto2013/5ADay.asp
6
Figura 1.2
Figura 1.3
Particolare attenzione va prestata alle abitudini alimentari di bambini ed adolescenti, target a rischio
sovrappeso ed obesità, sia a causa di uno stile sedentario sia per una cattiva alimentazione.
Il rischio di obesità in età adulta, infatti, è nettamente più alto tra chi lo è già in giovane età, così
come aumenta il rischio di soffrire di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, problemi ortopedici
e problemi di salute mentale come la scarsa autostima.
Un importante rapporto realizzato dall'ISTAT, in collaborazione con UNICEF, ha analizzato gli stili
alimentari di bambini e adolescenti fino ai 17 anni, considerando le caratteristiche territoriali e
socio-economiche della famiglia. Così come per altri stili di vita, emergono forti disuguaglianze,
condizionate in particolar modo dalle condizioni socio-economiche: a maggior risorse economiche
e a titolo di studio più alto dei genitori corrispondono stili alimentari più adeguati.
Considerando, ad esempio, la colazione, la percentuale di bambini tra i 3 e i 17 anni con madre
laureata che non fanno una colazione adeguata è pari al 5,6%, dato che aumenta tra chi ha madre
solo diplomata (7,9%) o solo con la scuola dell'obbligo (12,2%).
Per quanto riguarda il consumo di snack, il 14,2% dei 3-17enni ne consuma almeno una volta al
giorno, quota che aumenta all'aumentare dell'età (11,4% nella fascia 3-10 anni, 17,4% nella fascia
11-17 anni). Anche in questo caso si ripropongono le stesse disuguaglianze socio-economiche: la
percentuale di chi consuma quotidianamente snack aumenta all'abbassamento del livello di
istruzione dei genitori (7,3% tra chi ha genitori con laurea, 12,2% con diploma e 17,4% con scuola
dell'obbligo). A livello territoriale, il Sud presenta percentuali più alte (19,4%) insieme al NordOvest (16,3%), mentre le quote più basse si registrano al Centro (8,9%) e nel Nord-Est (11,4%).
Anche il consumo di bevande gassate presenta la stessa relazione con il titolo di studio: tra chi ha
madri laureate, il consumo quotidiano di almeno mezzo litro di bevande gassate è pari al 4,7%, al
10,4% tra chi ha madri diplomate e al 8,6% tra chi ha madri con la sola scuola dell'obbligo.
Passando al consumo di frutta e verdura, nel 2012 il 12% dei bambini consuma 4 o più porzioni di
frutta e verdura al giorno, mentre il 63,2% ne consuma fino a 3 porzioni. Anche in questo caso i
valori più critici sono presenti al Sud, dove solo il 6,8% dei bambini ha un alto consumo di frutta e
7
verdura, e nelle Isole (9,1%) mentre i più alti si registrano al Centro (15,1%), seguito da Nord-Est
(14,9%) e Nord-Ovest (14,2%). Considerando il titolo di studio, la più alta percentuale di bambini
tra i 3 e i 17 anni che consuma 4 o più porzioni di frutta e verdura al giorno si registra tra chi ha
madre laureata (24,1%), mentre solo il 14,5% di chi ha madre con diploma o con scuola dell'obbligo
adotta quest'abitudine alimentare (ISTAT-UNICEF, 2013).
Secondo lo studio HBSC-Italia (Health Behaviour in School-aged Children), il consumo di frutta e
verdura degli adolescenti tra gli 11 e i 15 anni diminuisce all'aumentare dell'età e vede le femmine
maggiori consumatrici rispetto ai coetanei maschi. In generale, vi è un maggior consumo di frutta
rispetto alle verdure: il 45,5% degli 11enni dichiara di consumare frutta una o più volte al giorno,
percentuale che scende al 39,9% tra i 13enni e al 38,4% tra i 15enni. Consumare almeno una volta
al giorno verdura, invece, è un'abitudine del 21% degli 11enni, 19,6% dei 13enni e 20,2% dei
15enni. Basse le percentuali di chi dichiara di non consumare mai frutta (4,9% per gli 11 e 13enni,
5,5% per i 15enni), mentre gli stessi dati sono decisamente più alti riguardo al consumo di verdure
(12,2% per gli 11enni, 8,9% per i 13enni e 8,4% per i 15enni). Rispetto alle precedenti rilevazioni,
si nota una diminuzione del consumo sia di frutta che di verdura, mentre aumenta il consumo
quotidiano di dolci: a parte gli 11enni, che passano dal 29% al 28%, i 13enni che consumano ogni
giorno, rispetto al 2006, passano dal 29% al 35%, mentre i 15enni dal 32% al 36%. Vi è, quindi, un
aumento del consumo all'aumentare dell'età, fenomeno che si verifica anche per il consumo di bibite
zuccherate (Cavallo et al., 2013).
Secondo i risultati del sistema di sorveglianza Okkio alla SALUTE, emergono abitudini che
possono favorire l'aumento di peso nei bambini: il 9% di loro, infatti, salta la prima colazione e il
31% fa una colazione non adeguata; il 22% dei genitori, inoltre, dichiara che i loro figli non
consumano quotidianamente frutta e/o verdura, mentre il 44% ha un consumo quotidiano di bibite
gassate e/o zuccherate (Spinelli et al. 2012).
1.2 Sovrappeso ed obesità
Sovrappeso ed obesità sono causa di morte prematura e principali fattori di rischio di malattie
croniche. Secondo l'OMS3, a livello mondiale nel 2008 più di 1,4 miliardi di persone dai 20 anni in
su è sovrappeso. Tra questi, 200 milioni di uomini e 300 milioni di donne sono obese. Nella regione
Europea, più del 50% della popolazione è sovrappeso e il 23% delle donne e il 20% degli uomini
risulta obeso.
Stando a questi dati, l'Italia risulta essere in una situazione migliore rispetto alla media europea.
Secondo i dati PASSI, l'11% degli adulti tra i 16-69 anni è obeso e il 42% risulta in eccesso
ponderale (sovrappeso/obesità). Tra gli anziani dai 64 anni in su, la percentuale di obesità sale al
15%, mentre le persone in sovrappeso risultano essere il 42%. Il trend temporale non registra
variazioni nelle percentuali di sovrappeso ed obesità rilevate, si ha quindi una situazione stabile dal
2008 al 2013. In entrambi i gruppi di popolazione, l'eccesso ponderale è più frequente nelle
persone con bassi livelli di istruzione e difficoltà economiche e il Sud risulta la regione con le
percentuali più alte. Per ciò che riguarda la consapevolezza di tale stato, il 50% di chi risulta
3
http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs311/en/
8
sovrappeso e addirittura il 10% di chi è obeso dichiara di ritenere il proprio peso giusto (PASSI,
2013).
Un quadro simile è offerto dai dati ISTAT4, secondo i quali nel 2013 la quota di persone sovrappeso
in Italia è pari al 35,5% e di obesi al 10,3%. Anche in questo caso la quota registrata risulta stabile
rispetto alle rilevazioni degli anni precedenti. Gli uomini risultano i più colpiti da tale condizione:
gli adulti maschi in sovrappeso sono pari al 44,1% contro il 27,5% delle femmine, gli obesi sono
pari all'11,5% rispetto al 9,3% delle femmine. Confermata la relazione inversamente proporzionale
tra titolo di studio e prevalenza di sovrappeso/obesità: il 45,2% di chi ha licenza elementare o
nessun titolo di studio è in sovrappeso rispetto al 26% di chi possiede la laurea, la percentuale di
obesità, invece, è pari al 16,7% nei primi rispetto al 5,9% dei secondi. Le regioni del Sud
presentano le percentuali più alte di sovrappeso ed obesità (rispettivamente 39,5% e 11,2%), mentre
il Nord le più basse (33,1% e 9,9%).
Per quanto riguarda i bambini e gli adolescenti, si registra una lieve diminuzione di obesità e
sovrappeso, ma l'Italia continua ad essere tra i primi posti per quanto riguarda l'eccesso ponderale
infantile. Okkio alla SALUTE ha stimato, nel 2012, una prevalenza di 22,2% di bambini in
sovrappeso e un 10,6% di obesità, situazione in leggero calo rispetto agli anni precedenti, con
percentuali più alte nelle regioni del centro sud (Spinelli A et al., 2012).
Questo trend geografico è confermato dai dati HBSC, secondo cui i valori del sovrappeso sono, per
le femmine, 16,5%, 14,6% e 10,5% e 22,2%, 20,6% e 21,3% per i maschi rispettivamente di 11, 13
e 15 anni. I valori dell'obesità sono, per le femmine, 2,3%, 2,4% e 1,4% e per i maschi 5,9%, 4,2%
e 3,9%. In entrambi i casi si assiste ad una diminuzione dei valori all'aumentare dell'età e i valori
dei maschi risultano nettamente superiori a quelli delle femmine (Cavallo et al., 2013). I giovani
adolescenti italiani risultano maggiormente in sovrappeso ed obesi rispetto alla media degli
adolescenti dei paesi che hanno partecipato all'indagine HBSC, in tutte e tre le fasce d'età e per
entrambi i sessi (HBSC 2010).
Il peso dei genitori è sicuramente uno dei fattori che più possono influenzare il fenomeno
dell'aumento di peso nei bambini e negli adolescenti. Le percentuali di sovrappeso nella
popolazione tra i 6 e i 17 anni, infatti, sono più alte tra coloro che hanno entrambi i genitori
sovrappeso (38,1%), mentre il valore scende quando solo la madre è in sovrappeso (28,1%) o solo il
padre (26,5%). Decisamente inferiore la percentuale di chi non ha genitori in sovrappeso, pari al
20,4% (ISTAT-UNICEF, 2013).
1.3 GBD e DALY
Il Global Burden of Disease (GBD) è uno strumento che permette di valutare l'impatto delle
patologie e dei fattori di rischio sulla salute della popolazione, sia in termini di mortalità sia in
termini di disabilità e qualità di vita. Il GBD viene espresso attraverso il DALY (Disability Adjusted
Life Years), una misura che consente di attribuire, ad ogni causa o fattore di rischio, gli anni persi
per morte prematura (YLL: Years of Life Lost) e gli anni vissuti con disabilità (YLD: Years Lived
with Disability). Un DALY corrisponde ad un anno di vita sana perduto.
4
http://dati.istat.it/
9
Secondo i dati del Global Burden of disease 20105, le principali cause di morte nei paesi sviluppati
sono le cardiopatie e l'infarto, inoltre, rispetto al 1990, aumenta la mortalità per diabete e cancro al
colon-retto, tutte patologie correlate ad una dieta scorretta. Cardiopatie e infarto risultano essere
anche le due patologie che hanno maggior peso nel carico globale di malattia (DALY).
In Italia si assiste ad una situazione simile anche se, rispetto a 20 anni fa, ci sono stati miglioramenti
per quanto riguarda la mortalità per cardiopatie (-2%, rispetto all'aumento del 2% registrato nella
media dei paesi sviluppati) e per infarto (-10% contro il -4% dei paesi sviluppati). In aumento,
invece, le malattie cardiache ipertensive (al quinto posto per causa di morte, mentre nella media dei
paesi sviluppati non rientra tra le principali cause) e altre malattie cardiocircolatorie (+77% rispetto
al +12% dei paesi sviluppati).
Il principale fattore di rischio di mortalità in Italia sono i comportamenti legati alla dieta, passato
dal secondo posto del 1990 al primo del 2010, seguito da ipertensione, fumo e alto indice di massa
corporea (Figura 4). Rispetto a 20 anni fa, migliorano i risultati relativi a questi fattori, ad eccezione
della mortalità dovuta all'alto indice di massa corporea, che aumenta dell'11%, risultato comunque
più basso rispetto alla media dei paesi sviluppati, dove si assiste ad un aumento del 27%. Gli stessi
quattro fattori, sono quelli che più contribuiscono al carico globale di malattia. La cattiva
alimentazione rappresenta il principale fattore di rischio di malattie cardiovascolari: in Italia è
responsabile del 10,59% dei DALY (-2,74% rispetto al 1990) attribuiti a tali patologie, pari a
Figura 1.4
1.723.980 anni di vita sana persi. Lo stesso fattore è causa del 2% del totale dei DALY attribuiti ai
tumori. Nella media dei paesi sviluppati, la dieta scorretta ha un impatto maggiore rispetto che in
Italia, essendo causa del 14,08% dei DALY legati alle malattie cardiovascolari.
Al secondo e quarto posto dei principali fattori di rischio di mortalità e disabilità, troviamo
l'ipertensione e l'alto indice di massa corporea, strettamente correlati alla cattiva alimentazione. Il
primo è causa del 10,53% dei DALY (-3,62% rispetto al 1990) attribuiti alle malattie
cardiovascolari (12,45% nei paesi sviluppati), mentre il secondo ne è responsabile in misura pari al
4,52% (6,14% nei paesi sviluppati), così come contribuisce al 2,13% dei DALY (+0,27%) causati
da malattie diabetiche, urogenitali, endocrine e del sangue (Figura 5).
5
http://www.healthdata.org/gbd/data-visualizations
10
Figura 1.5
Analizzando in maniera più approfondita i dati, i comportamenti legati alla dieta che più
contribuiscono al carico globale di malattia in Italia risultano essere, in ordine: dieta ricca di sodio
(responsabile del 3,48% di DALY attribuiti alle malattie cardiovascolari), basso consumo di frutta
(2,84% di DALY per malattie cardiovascolari e 0,65% di DALY per neoplasie), basso consumo di
noci e semi oleosi (3,35% di DALY per malattie cardiovascolari), pochi cibi integrali (2,21% di
DALY per malattie cardiovascolari), consumo di carne processata (1,41% di DALY per malattie
cardiovascolari e 0,38% di DALY dovuti a malattie diabetiche, urogenitali, endocrine e del sangue)
e basso consumo di verdure (1,57% DALY) (Figura 6). Rispetto al 1990, migliora la situazione, in
termini di impatto sulla salute, per quanto riguarda il basso consumo di frutta (allora era al primo
posto e responsabile del 3,95% di DALY legati alle malattie cardiovascolari), così come per il basso
consumo di verdure, di noci e semi oleosi e l'alto consumo di sodio.
11
Figura 1.6
12
2. OBIETTIVO
L’obiettivo dell’elaborato è quello di analizzare il problema di salute con un approccio sistemicomultidimensionale. considerando: le determinanti del fenomeno, gli strumenti e le strategie efficaci
per la promozione di una corretta alimentazione e la prevenzione delle malattie ad essa correlate, le
evidenze di efficacia, l’analisi delle strategie in Europa e in Italia.
Nello specifico si intende valutare l’impatto della cattiva alimentazione in termini di costi di salute,
non esclusivamente economici. L’analisi dei determinanti ci permetterà di individuare la tipologia
degli interventi e delle strategie potenzialmente più efficaci, poi analizzate alla luce della letteratura
e della sostenibilità politica e pratica.
Tale analisi permetterà di comparare le strategie in Europa e in Italia per poi evidenziare quali sono
le criticità e dunque le aree di miglioramento affinchè la prevenzione delle malattie croniche non
trasmissibili sia realmente strategica.
In Appendice vengono riportati uno studio sull’efficacia di una tipologia specifica di intervento di
prevenzione, in particolare sul ruolo del caregiver nell’educazione nutrizionale dei bambini
(Appendice 1) e un esempio di progetto di educazione nutrizionale nel contesto scolastico
(Appendice 2)
13
3. MATERIALI E METODI
Per la raccolta dei dati sugli stili alimentari e la prevalenza di obesità e sovrappeso nel nostro paese,
sono stati consultati i documenti prodotti dai principali sistemi di sorveglianza: rapporti ISTAT,
PASSI, Okkio alla Salute e HBSC. La ricerca dei documenti è avvenuta attraverso la consultazione
dei principali motori di ricerca, utilizzando le parole chiave: alimentazione, salute, prevenzione, stili
alimentari, adolescenti, bambini, obesità e sovrappeso. Sono stati consultati, inoltre, i portali
Epicentro (http://www.epicentro.iss.it/) e Guadagnare Salute (http://www.guadagnaresalute.it/). Per
quanto riguarda i dati ISTAT, oltre alla documentazione ottenuta tramite la ricerca sopra descritta, è
stato consultato il database online dell'Istituto (http://dati.istat.it), contenente informazioni
aggiornate sugli stili alimentari e grazie al quale è stato possibile confrontare i dati relativi all'ultima
rilevazione con quelli degli anni precedenti.
Per l'analisi dei DALY è stata consultata la pagina web dell'Institute for Health Metrics and
Evaluation (www.healthdata.org), dove sono inseriti tutti i dati, per ogni singolo paese, relativi al
Global Burden of Disease 2010. In particolare, nella sezione dedicata al Global Burden of Disease,
è presente lo strumento GBD Compare, il quale permette di interagire online con tutti i dati,
selezionando il tipo di grafico e analizzando nello specifico variabili come età, genere, anno, Paese,
cause di mortalità e cause di disabilità.
Per la disamina delle tipologie di interventi e della loro efficacia ci si è avvalsi dei risultati di un
precedente lavoro di ricerca svolto da uno degli autori6 attraverso la consultazione delle banche dati:
PubMed e EMBASE selezionando metanalisi, revisioni sistematiche, revisioni, RCT, linee guida e
pubblicazioni governative degli ultimi 5 anni selezionando la seguente stringa di ricerca:
(nutritional AND information) AND ("obesity prevention" OR "obesity") AND ("prevention and
control" OR ("prevention" AND "control") OR "prevention and control" OR "prevention").
Dagli articoli reperiti sono stati esclusi quelli che non riportavano evidenze di efficacia, gli
articoli relativi a trattamenti dell’obesità come misure preventive (es. chirurgia bariatrica), quelli
irreperibili in fulltext attraverso il nostro accesso alle risorse bibliografiche (Biblioteca virtuale del
Piemonte).
A queste fonti sono stati aggiunti:
• i report del gruppo di lavoro Europeo Eatwell Project (“Interventions to Promote Healthy
Eating Habits: Evaluation and Recommendations”), che ha fra le sue finalità la valutazione di
efficacia di interventi attuati a livello europeo per migliorare l’alimentazione e il loro impatto di
salute e la valutazione dell’accettabilità di potenziali interventi futuri e la pubblicazione di linee
guida per l’implementazione. E stata scelta questa pubblicazione in quanto recente e perché include,
sul tema della valutazione cost-effectiveness di misure di promozione di stili di vita salutari, il
risultato di altri due ampi studi: una dell’OECD (8) (compreso fra i risultati della nostra ricerca) e
uno dell’Australian National Health and Medical Research Council, the “ACE—Prevention”
(Assessing Cost-Effectiveness in Prevention project).
6
Silvia Cardetti, “La prevenzione dell’obesità nella popolazione generale: gli interventi finalizzati al miglioramento
delle scelte alimentari”, tesi di Master in scienze della prevenzione MSP-ASPP, 2014
14
•
Lo studio stesso “Assessing Cost-Effectiveness in Prevention. ACE–Prevention”
• il testo di Sassi, “Obesity and the economics of prevention. Fit not Fat” pubblicato
dall’OECD (The Organisation for Economic Co-operation and Development) nel 2010.
Per la discussione delle strategie in atto in Europa si è fatto riferimento ai principali siti web
Istituzionali: “The United Nation System Standing Committee on Nutrition”
(http://www.unscn.org/en/nutrition_ncd); “The world Health Organization” sulla nutrizione
(http://www.who.int/dietphysicalactivity/en/); il sito della Commissione europea, settore “salute
pubblicadieta
e
attività
fisica”
(http://ec.europa.eu/health/nutrition_physical_activity/policy/index_en.htm); “The World health
Organization”- Europe (http://www.euro.who.int/en/home).
Per la disamina della situazione italiana i materiali sono stati raccolti dai siti di riferimento per la
sanità pubblica e in particolare per il settore della prevenzione: Il sito del Ministero della Salute
(http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_3_prevenzione.html),
il
sito
di
Epicentro
(http://www.epicentro.iss.it/); il sito del Centro Nazionale per la prevenzione e il Controllo delle
Malattie (http://www.ccm-network.it/home.html); il sito del programma Guadagnare Salute
(http://www.guadagnaresalute.it/).
15
4. LE DETERMINANTI DEL FENOMENO: MODELLI DI COMPORTAMENTO,
ASPETTI CULTURALI, CONTAGIO SOCIALE. LE AREE DI INTERVENTO DELLA
PREVENZIONE
A partire dalla disamina esposta nel precedente capitolo, è possibile affermare che i disturbi
dell’alimentazione siano ad oggi un importante e impattante problema di salute che assume
particolare importanza a fronte del significato del concetto di salute definito dall’
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità:
“La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente una
assenza di malattia o infermità.”
E’ quindi di estrema importanza, al fine di accrescere le probabilità di efficacia di un intervento di
prevenzione, approfondire e analizzare le determinanti del fenomeno con un approccio quanto più
possibile sistemico.
Contano più gli aspetti individuali o il contesto politico, socio-economico e culturale? La
discussione non è solo teorica e concettuale; le sue conclusioni hanno a che fare con le strategie di
prevenzione e le politiche sanitarie di una nazione. I determinanti del comportamento sono i fattori
che influenzano lo stato di salute di un individuo e – più estesamente – di una comunità o di una
popolazione e i comportamenti, in ottica sistemica, sono la manifestazione dell’interazione di
diverse dimensioni che analizzeremo nel prosieguo di questo capitolo.
In linea generale, e senza voler assumere un atteggiamento riduzionista, l’obiettivo ultimo,
qualunque sia il modello, lo strumento, il target, ecc.. di una campagna di prevenzione, è quello di
ottenere un cambiamento dei comportamenti quanto più diffusi possibile.
Sembra necessario quindi ragionare su cosa sia un comportamento e cosa lo determina al fine di
orientare un intervento di prevenzione.
Il comportamento è il modo di agire e reagire di un oggetto o un organismo messo in relazione o
interazione con altri oggetti, organismi o più in generale con l'ambiente. Si tratta dunque
dell'esternazione di un atteggiamento[senza fonte], il quale a sua volta si basa su una idea o una
convinzione, più o meno realistica fino anche un pregiudizio. Il comportamento umano può essere
conscio o inconscio, volontario o involontario
Nei decenni gli approcci allo studio del comportamento si sono focalizzati su aspetti diversi, quali
ad esempio: l’ approccio comportamentista, cognitivista, psicosociale, sociologico… ma al di là dei
singoli orientamenti ciò che può rendere un intervento efficace è la valutare di ogni elemento del
sistema in fase di progettazione, parliamo quindi di un approccio sistemico.
Un tratto comune ad alcuni di questi approcci asserisce che una formulazione chiusa di un problema
spesso inibisce le soluzioni innovative e la ricerca della soluzione migliore.
16
4.1 La valutazione sistemica del fenomeno:
«Non si può risolvere un problema con lo stesso pensiero che l'ha originato»
Albert Einstein 1921
Un’interessante ed esplicativa analisi e disamina di molti studi sui determinanti del comportamento
è stata condotta dal Prof. D’Angelo. Nella seguente immagine è possibile condividere una
schematizzazione di tali elementi, alcuni dei quali verranno approfonditi di seguito:
La cultura è la determinante fondamentale dei bisogni percepiti dalla persona. l’individuo,
crescendo in un certo ambiente, assorbe un insieme di valori, ognuno dei quali viene poi elaborato e
modificato dalle singole realtà culturali e dalle loro dinamiche.
Aspetti della subcultura che possono influenzare il comportamento alimentare e che di conseguenza
devono essere considerate nella progettazione di un intervento di prevenzione, fanno riferimento a:
valori, abitudini, tradizioni diverse e per dislocazione geografica, razza, religione, etnie, classi
sociali, ecc..
L’individuo è inevitabilmente inserito in un contesto sociale che contribuisce a determinare e dal
quale viene influenzato. L’influenza sociale, che alcune teorie definiscono virale, è un potente
strumento di diffusione di comportamenti.
Lewin (1948) afferma che “Un gruppo è definito al meglio come una totalità dinamica basata
sull’interdipendenza invece che sulla somiglianza”
Secondo Pedon (2011), in modo molto generale, il termine “influenza sociale” indica il fatto che
l'azione di una persona diventa una prescrizione nell'orientamento del comportamento di un'altra
persona. L'influenza sociale non ci informa direttamente sul modo in cui gli individui la generano,
la trattano, l'assimilano ma si può dire che essa riguarda tutto ciò che produce un cambiamento di
comportamento in virtù di influenze presenti in un dato contesto.
Nel 1968 Kerckhoff e Back, attraverso uno studio, riuscirono a dimostrare che gli individui che
hanno relazioni positive tra loro tendono a modellare i propri comportamenti gli uni sugli altri,
perché cercano la somiglianza. In questo studio osservarono che anche una manifestazione di ordine
biologico può avere una spiegazione «sociale» basata sul fatto che un individuo accetta un modello
implicito secondo il quale, in certe situazioni, è preferibile essere come gli altri ed agire in modo
analogo.
Infatti, secondo la teoria del confronto sociale di Festinger (1954), le persone non sono mai sicure
delle proprie opinioni o delle proprie azioni e, quindi, sono inclini a ricercare negli altri la conferma
delle loro opinioni. Tale incertezza e il desiderio di approvazione orientano i comportamenti sullo
schema dei comportamenti degli altri.
L’influenza sociale e il conseguente (il più delle volte inconsapevole) adeguamento del
comportamento, soddisfa un bisogno innato dell’uomo: quello di appartenenza che secondo la teoria
della gerarchia dei bisogni di Maslow si pone ai primi posti alla base della piramide. Ma soddisfa
anche meccanismo di ottimizzazione dei processi cognitivi nel processo di decisione, bisogno di
attribuire alla realtà un significato condiviso. Il consenso riduce la possibilità dell’errore individuale
17
“io posso sbagliare ma è difficile che tutto il gruppo sbagli”. Questo porta le persone ad aderire e
rispettare le norme sociali.
Come nascono le norme sociali:
• Interazione tra i membri del gruppo
• Ciascun membro è influenzato dalle idee e dalle azioni altrui
• Idee, comportamenti dei membri del gruppo tendono a convergere fino a diventare uguali
• Tali opinioni diventano norme
• Le norme vengono accettate dalla maggioranza dei membri del gruppo
• I membri tendono a sovrastimare il consenso sulla propria visione del mondo (consenso illusorio)
Il concetto di norma richiama quello di conformità; La conformità è la convergenza dei pensieri,
sentimenti, comportamenti degli individui verso le norme del gruppo. Il gruppo non accetta, anzi
rigetta, gli individui che deviano rispetto alle norme stabilite dal gruppo (Levine,1980).
La conoscenza e l’utilizzo di tali meccanismi, sebbene apparentemente lontani dal tema delle
abitudini alimentari, può invece supportare la conoscenza delle determinanti del fenomeno e delle
più adeguate strategie di intervento.
4.2 Le abitudini alimentari: come motivare al cambiamento dei comportamenti
Le abitudini possono essere definite come comportamenti routinari inconsapevoli ma le abitudini
alimentari si modificano anche in virtù dei grandi cambiamenti sociali, economici, ecc.. Basti
pensare, ad esempio, all’impatto sulle abitudini alimentari dovuto ai cambiamenti del mondo del
lavoro negli ultimi decenni: globalizzazione del mercato, ingresso delle donne, flessibilità del
lavoro, prolungamento degli orari e aumento dei carichi, difficoltà crescente nella gestione della
dinamica conciliazione casa-lavoro.. da una superficiale osservazione delle dinamiche sociali in tal
senso, è possibile riflettere sul fatto che tali nuove esigenze di tempo hanno fatto nascere la “moda
alimentare” dei fast food.
Allo stesso modo, lo stress determinato da tali richieste è possibile che abbia determinato il bisogno
sociale di recuperare la dimensione relazionale, di riappropriarsi del senso del tempo, di ritornare
alle origini e alle tradizioni; possiamo dire che il recente successo del concetto di slow food, inteso
come recupero di tradizione, socialità, sano, cura, sia attribuibile al fatto che flow food sia stata una
risposta al fast food e alle nuove esigenze sociali?
Lavorare per ottenere un cambiamento è oggi identificabile nel termine Change management:
approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società
che rende possibile (e/o pilota) la transizione da un assetto corrente ad un futuro assetto desiderato.
Il Change Management, così come viene comunemente inteso, fornisce strumenti e processi per
riconoscere, comprendere e guidare il cambiamento.
Uno dei primi ma sempre validi modelli di gestione del cambiamento fu elaborato da Kurt Lewin
che ne ha interpretato il punto di vista individuale come strumento di diffusione sociale.
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Lewin descriveva la transizione come un processo a tre stadi.
1) lo “scongelamento” (“unfreezing”), comporta il superamento dell'inerzia e lo
smantellamento della mentalità e delle abitudini esistenti. La naturale resistenza innescata
dai meccanismi di difesa deve essere superata. In questa fase è molto importante la gestione
di una campagna di informazione e sensibilizzazione sul tema. Per avviare un percorso di
cambiamento, che risulti efficace nel tempo, è in questa fase che si definiscono le leve
motivazionali sia a livello individuale che sociale sulla base di un’anali di tutte le
determinanti precedentemente riportate.
2) La “confusione”: il secondo stadio, quello in cui si attua/manifesta il cambiamento, è
contraddistinto da uno stato di confusione e di provvisorietà legata alla transizione. Si è
consapevoli che il quadro precedente è stato messo in discussione ma non si ha ancora una
chiara percezione di come sostituirlo. E’ in questa fase che il contagio sociale può risultare
un fattore di particolare rilevanza.
3) il “ricongelamento” ("refreezing"), comporta il consolidamento del nuovo quadro e delle
nuove abitudini e la loro cristallizzazione, riportando gli individui ad un livello di
confidenza con i processi analogo a quello prima del cambiamento.
In una dimensione puramente sociale il Change Management è inteso come un insieme di strumenti
e processi utile ad ottenere il consenso (materia trattata approfonditamente da Edward Bernays da
molti considerato il padre fondatore delle pubbliche relazioni moderne) e/o la partecipazione attiva
della massa (o del proprio target) per il raggiungimento degli obiettivi di trasformazione.
Esempi di questo secondo lato potrebbero essere:
 la transizione innescata da una riforma legislativa (che comporterebbe una campagna
pubblicitaria di informazione per avvisare/educare i cittadini riguardo ai nuovi procedimenti
amministrativi legiferati, un piano operativo per predisporre i nuovi servizi necessari, ecc.,
vedere anche Comunicazione istituzionale);
 la scissione o la fusione di movimenti politici (che comporterebbe un piano per la
riorganizzazione delle strutture, una campagna per la nuova gestione dei tesseramenti, un
piano di comunicazione per informare l'opinione pubblica, ecc.);
 l'orientamento di un target di consumatori verso un diverso modello di consumo da parte di
una associazione di produttori (che comporterebbe la commissione di studi di mercato, la
definizione di standard comuni tra i produttori, campagne di comunicazione, ecc.).
In questo ambito il lato dell'individuo è quello che viene osservato attraverso le lenti
dell'antropologia culturale, mentre il lato del sistema è quello che viene osservato dalle lenti della
politica, dell'associazionismo culturale, delle parti sociali (associazioni di imprese o sindacati), del
mondo delle associazioni religiose, ecc..
In conclusione si può considerare che una campagna di prevenzione dei disturbi alimentari o di
promozione della salute attraverso la diffusione di buone abitudini alimentari, è caratterizzata da
maggiori probabilità di successo e di efficacia se analizza il fenomeno nella complessa interazione
degli aspetti che sono stati analizzati.
19
5. LE DETERMINANTI AMBIENTALI
In questo capitolo si tratterà in maniera specifica il tema dei determinanti ambientali legati al
tema dell'obesità, o per meglio dire i disturbi dell'alimentazione legati ai fattori socio-economici
delle popolazioni.
Le cause che hanno portato all’esplosione del fenomeno dell’obesità e le differenze che
esistono relativamente alla prevalenza di questa condizione tra i diversi gruppi sociali sono di natura
culturale ed economica, oltre che biologica ed epidemiologica. Fattori come il livello di istruzione,
il reddito e la posizione sociale sembrano rappresentare aspetti determinanti. Di seguito verranno
fornite alcune evidenze delle relazioni esistenti tra la cattiva alimentazione e alcune variabili che
determinano lo stato socio-economico degli individui. Prima, però, è necessario comprendere come
il fenomeno si declini diversamente già a livello di sesso ed età.
5.1 differenze nei diversi gruppi socio-economici.
5.1.1 Le differenze tra donne e uomini.
Il tasso di obesità a livello mondiale è tendenzialmente più elevato nella popolazione
femminile rispetto a quella maschile. Le donne, generalmente, presentano tassi di obesità maggiori
rispetto agli uomini, ma la condizione di sovrappeso, invece, è maggiormente diffusa negli uomini
(Miljkovic et al., 2008). Sono stati fatti diversi tentativi per spiegare questo fenomeno. Uno studio
americano, ad esempio, dimostra come negli Stati Uniti, a partire dal 1970, le donne abbiano
sperimentato una progressiva riduzione del reddito reale a fronte di un aumento del numero di ore
dedicate al lavoro e come ciò sia strettamente connesso con l’aumento del tasso di obesità.
Inoltre, è emerso anche come le donne che hanno sperimentato squilibri nutrizionali (fenomeni più
diffusi nelle femmine rispetto ai maschi) in età adolescenziale siano maggiormente predisposte a
sviluppare l’obesità in età adulta.
Come si vedrà in seguito, la differenza di genere nella prevalenza dell’obesità appare
significativamente correlata con altre caratteristiche individuali, come la condizione socioeconomica, il gruppo etnico di appartenenza, e il livello di attività fisica.
5.1.2. Le differenze nelle classi di età.
Un primo gruppo di determinanti è relativo alle caratteristiche socio-demografiche dei
consumatori. Nella diffusione dell’obesità, l’età assume un ruolo fondamentale, in quanto tale
patologia, negli Stati Uniti, si riscontra principalmente negli uomini sopra i 65 anni e nelle donne tra
in 65 e i 74 anni (Miljkovic et al., 2008; Chang et al., 2006). Le evidenze statistiche raccolte in
alcuni Paesi mostrano come la relazione tra peso corporeo e classi di età segua una curva a “u”
rovesciata. Il peso tende ad aumentare lentamente con l’avanzare dell’età fino a raggiungere un
picco intorno ai 50 anni, per poi calare mano a mano che un individuo invecchia, con la diffusione
di malattie croniche, la maggior parte delle quali provoca una perdita di peso corporeo.
20
Questo fenomeno è da ricollegare ai differenti stili di vita generalmente adottati nell’arco
dell’intera esistenza di un individuo. Durante i primi anni di vita e l’adolescenza un’attività fisica
tendenzialmente più intensa e regolare e un’alimentazione più controllata consentono il
mantenimento di un buon livello di BMI (pur con le dovute differenze ed eccezioni tra i diversi
Paesi), mentre con il passare degli anni e l’inizio dell’attività lavorativa si può notare una crescita
generalizzata nella prevalenza dell’obesità nei Paesi osservati. Ciò è dovuto, ad esempio, al forte
grado di terziarizzazione del mondo del lavoro nei Paesi ad alto reddito, che prevede perlopiù
mansioni sedentarie. Raggiunti i 50 anni di età si osserva, però, una lenta inversione di tendenza,
dovuta alla comparsa dei primi sintomi di malattie croniche e alle conseguenti misure preventive e
di controllo adottate,come diete a basso contenuto di grassi o di zuccheri. Inoltre si delinea una
relazione inversa tra attività fisica e Bmi, sottolineando come le condizioni di obesità e sovrappeso
si riscontrano maggiormente in individui scarsamente propensi all’attività sportiva (Lakdawalla e
Philipson, 2002).
5.1.3. La differenza nelle etnie.
Le etnie e le dinamiche migratorie sono dimensioni all’interno delle quali si creano diversi
stili di vita e comportamenti alimentari. Le minoranze etniche spesso appartengono alle classi
sociali più basse, tendono ad essere emarginate e costituiscono un terreno fertile perché si
inneschino quei fenomeni analizzati precedentemente (all’interno di classi sociali meno agiate, con
un livello di istruzione e reddito più bassi, il tasso di sovrappeso e di obesità è tendenzialmente più
elevato).
In Inghilterra, ad esempio, la popolazione femminile mostra andamenti discordanti a
seconda delle diverse etnie, con un picco della prevalenza di obesità registrato nelle donne di
colore, mentre per gli uomini i dati sembrano essere più lineari. Negli Stati Uniti la popolazione
femminile di etnia afroamericana presenti tassi di sovrappeso e di obesità decisamente al di sopra
della media.
Infine, anche i contesti territoriali possono avere un’influenza sulla diffusione dell’obesità,
tenendo presente, ad esempio, che in Italia nelle regioni del sud, cioè nelle aree con reddito procapite più basso, i livelli di obesità sono maggiori di quelli che si rilevano nelle regioni del nord
(Mazzocchi, 2005).
5.1.4. Le condizioni economiche e il livello di istruzione.
L’obesità risulta essere un problema che riguarda principalmente le categorie sociali
svantaggiate, vale a dire la fascia di popolazione che presenta minori livelli di istruzione e maggiori
difficoltà ad accedere all’assistenza medica, a causa dei bassi livelli di reddito (Drewnowski e
Darmon, 2005). Secondo uno studio di Loureiro e Nayga (2005), si riscontra una percentuale di
obesità alquanto bassa fra la popolazione adulta con livelli di istruzione elevati e redditi medio-alti,
mentre l’incidenza di individui obesi risulta nettamente più elevata in quella parte della popolazione
che possiede solo un’istruzione elementare. Inoltre, il collegamento tra obesità, basso reddito e
limitato grado di istruzione appare più evidente nelle donne. Un lavoro pubblicato sul “Journal of
21
Epidemiology Community Health” ha analizzato la prevalenza dell’obesità in relazione al grado di
distribuzione del benessere (misurato come distanza tra il reddito dei più ricchi e quello dei più
poveri). Sebbene questo fattore non sia sufficiente da solo a spiegare i differenziali nel tasso di
obesità tra i diversi Paesi osservati, i risultati mostrano come a un elevato grado di ineguaglianza
nella distribuzione del reddito generalmente corrisponda una maggiore prevalenza di obesità tra la
popolazione. L’OECD fornisce un’altra misura della disparità sociale in relazione all’obesità,
equivalente alla probabilità di essere obesi nella classe meno abbiente rispetto alla più ricca. Anche
questa analisi conferma che il livello di disparità sociale genera una probabilità di essere in
sovrappeso o obesi maggiore nelle donne rispetto agli uomini. Le donne appartenenti alla classe più
abbiente presentano, infatti, tassi di obesità significativamente inferiori rispetto a quelle
appartenenti a classi sociali meno agiate, mentre questo dato risulta meno evidente nel caso degli
uomini.
Esistono molti studi che evidenziano la relazione esistente tra il numero di anni dedicati
all’educazione scolastica e lo stile di vita. Chi ha dedicato maggior tempo alla propria formazione,
in genere, consuma meno tabacco o alcol, non assume sostanze stupefacenti e presenta una
prevalenza di obesità e sovrappeso inferiore alla media. Tali studi dimostrano come la prevalenza
dell’obesità si riduca con l’aumentare degli anni di istruzione, evidenziando anche come la
relazione inversa tra tasso di obesità e livello di istruzione sia più marcata nella popolazione
femminile rispetto a quella maschile. Infatti, non sembra esserci alcuna relazione tra livello di
istruzione e obesità negli uomini.
L’indice di disparità è applicabile anche al livello di istruzione, consentendo così di valutare
la differenza che intercorre nel tasso di obesità tra gli individui meno istruiti rispetto a quelli più
istruiti (il livello di istruzione è misurato in base al numero di anni dedicati alla propria
formazione).
Si nota come anche nel caso dell’istruzione il livello di disparità sia più elevato per la
popolazione obesa rispetto a quella sovrappeso. Inoltre, l’effetto dell’istruzione sull’obesità e sul
sovrappeso è decisamente più elevato nelle donne rispetto agli uomini.
In Italia, un’analisi svolta su un campione di individui adulti di età compresa tra i 25 e i 44
anni, mostra chiaramente come la prevalenza dell’obesità si riduca gradualmente con l’aumentare
del livello di istruzione (definito dal titolo di studio in possesso) sia per le donne che per gli uomini.
5.2. I cambiamenti urbanistici.
Che uno stile di vita che preveda un’adeguata attività motoria sia uno dei fattori che
riducono maggiormente la probabilità di sovrappeso e obesità è ormai un dato consolidato.
Storicamente, l’esercizio fisico era un’attività che non bisognava necessariamente pianificare
durante la giornata o la settimana, in quanto era parte integrante della vita quotidiana e lavorativa.
Se da un lato l’incremento delle distanze percorse per raggiungere il luogo di lavoro/studio ha
ridotto la mobilità fisica delle persone, poiché ci si sposta prevalentemente con auto private o mezzi
pubblici, dall’altro i miglioramenti tecnologici hanno reso il lavoro più sedentario.
22
In un contesto simile, i cambiamenti dei luoghi e degli spazi urbanistici in cui i bambini e gli
adolescenti crescono (o sono cresciuti) producono effetti sul loro livello di attività motoria. Più
nello specifico, la nascita delle “città diffuse” e l’incremento dei chilometri percorsi in automobile
hanno avuto un impatto significativo sul livello di attività fisica dei bambini e degli adolescenti che
camminano raramente o utilizzano per lo più la bicicletta per raggiungere la scuola o i luoghi di
divertimento.
Si consideri che se nel 1977 negli Stati Uniti il 15,8% dei viaggi compiuti da bambini e
adolescenti di età compresa tra i 5 e i 15 anni era effettuato camminando o utilizzando la bicicletta,
nel 1990 questa percentuale si attestava al 14,1% e nel 1995 al 9,9%, mentre oggi si stima sia
inferiore al 4%.
Una riduzione simile è dovuta alla volontà crescente dei genitori di accompagnare i propri
figli a scuola o nei luoghi di divertimento, per via della distanza tra il luogo di residenza e la scuola
troppo grande per essere coperta a piedi o in bicicletta dai propri figli e a causa dell’indisponibilità
di corsie preferenziali o percorsi liberi da automobili e da pericoli.
Tuttavia, poiché questa situazione sembra rappresentare una variabile esogena, sarebbe
opportuno incentivare politiche di promozione e facilitazione anche delle attività sportive. La
perdita di opportunità di praticare attività motoria di questo tipo (andando a scuola o giocando con
gli amici) ha, infatti, un impatto addizionale sulla minore propensione all’esercizio fisico anche in
altri contesti (attività sportive di gruppo ecc.) e ciò rappresenta un altro fattore di minore
propensione all’adozione di uno stile di vita attivo da adulto.
5.3 Diffusione di stili di vita sedentari.
Lo stile di vita sedentario è un altro fattore di rischio per il sovrappeso e l’obesità. La
diffusione di stili di vita sedentari, già nei bambini, spesso è favorita da un’evoluzione di esigenze
familiari e sociali che lasciano poche possibilità, se non nessuna, di praticare attività motorie di
base. I bambini, ad esempio, trascorrono molte ore davanti alla televisione o al computer poiché i
genitori tendono ad essere impegnati sul lavoro fino alle ore serali. Il costante aumento del tempo
trascorso dai giovani davanti al computer, televisione o devices elettronici è confermato da uno
studio americano che ha calcolato in 7 ore e 38 minuti al giorno il tempo medio che i ragazzi di età
compresa tra gli 8 e i 18 anni25 passano davanti a device elettronici nel 2009. Rispetto a cinque
anni prima (2004) è stato registrato un aumento di 1 ora e 17 minuti.
Le tendenze attuali, inoltre, evidenziano come bambini e adolescenti escano sempre meno di
casa, poiché i genitori sono maggiormente apprensivi per la loro sicurezza e partecipano meno di
frequente ad attività di educazione fisica (in particolare le ragazze adolescenti).
E sono numerosi gli studi internazionali che hanno associato questi comportamenti a un
incremento della prevalenza dell’obesità infanto-giovanile. L’esercizio fisico, oltre a evitare
l’aumento eccessivo del peso corporeo, è di fondamentale importanza per la crescita di un bambino,
in quanto promuove e aiuta a modificare la proporzione tra massa magra (tessuto muscolare) e
massa grassa (tessuto adiposo). Sarebbe, quindi, sufficiente praticare un’attività aerobica a moderata
intensità, senza affaticare troppo l’organismo, come ad esempio una camminata che sottopone i
23
muscoli a uno sforzo poco intenso ma costante, che permette di attingere energia dal serbatoio dei
grassi.
5.4. Le informazioni al consumatore.
Le informazioni che il consumatore trova nell'etichettatura rappresentano un ulteriore
determinante della corretta alimentazione.
Un consumatore scarsamente informato, infatti, non è in grado di ottimizzare le proprie
preferenze ed è portato a compiere scelte errate per sé e per la propria salute. È importante non solo
che gli alimenti riportino sulla confezione messaggi chiari e veritieri, ma che il consumatore abbia
un livello di istruzione tale da poter comprendere l’etichetta e le informazioni nutrizionali, in modo
da limitare le scelte insalubri (Drichoutis et al., 2005 e 2008).
Alcuni studi hanno messo in evidenza come un’informazione insufficiente non permetta di
fare scelte consapevoli e favorisca un aumento dell’obesità e del sovrappeso . In questo senso,
l’etichettatura assume un ruolo rilevante nel favorire scelte più consapevoli e ciò in particolare vale
per l’etichettatura nutrizionale. Negli Stati Uniti, ad esempio, è stato osservato come l’etichettatura
nutrizionale possa favorire una riduzione dei livelli di Bmi e aiutare nella scelta di alimenti più
salutari da un punto di vista nutrizionale (Variyam, 2008).
In sintesi, per poter modificare e ridurre i determinanti ambientali della cattiva alimentazione e
dell'obesità è necessario intervenire con un approccio intersettoriale e trasversale, che tenga in
giusta considerazione sia l'aspetto sanitario ma anche i determinanti ambientali, sociali ed
economici.
24
6. STRUMENTI E STRATEGIE PER LA PROMOZIONE DI UNA CORRETTA
ALIMENTAZIONE E LA PREVENZIONE DELLE MALATTIE AD ESSA CORRELATE.
Come precedentemente discusso, un modello efficace di intervento di prevenzione dovrebbe essere
progettato tenendo conto dei diversi livelli del sistema in cui si muovono gli individui. Un tentativo
di dare un impulso strategico in questa direzione è stata la direttiva europea “Salute in tutte le
politiche” con cui si sono voluti indirizzare gli stati membri a valutare l’impatto in termini di salute
delle scelte politiche in tutti gli ambiti, non solo sanitari.
In questo capitolo esamineremo brevemente quali sono gli interventi attualmente più diffusi per
contrastare le malattie croniche non trasmissibili (MCNT) legate alla cattiva alimentazione e quali
quelli riconosciuti come efficaci, quali le strategie globali ed europee e come queste siano state
recepite dall’Italia e tradotte in una strategia nazionale.
6.2 Gli interventi
Attualmente si è ancora lontani da una pianificazione politica di qualità tale da integrare la salute in
tutte le politiche e generalmente gli interventi pubblici per la prevenzione dell’obesità e delle
malattie non trasmissibili correlate all’alimentazione si orientano verso singoli livelli e settori del
sistema relazionale, sociale ed economico in cui si muovono gli individui, a seconda che il
comportamento alimentare venga considerato prevalentemente una conseguenza di scelte
individuali o di determinanti ambientali.
1 -Gli interventi rivolti agli individui si basano sul presupposto che l’alimentazione scorretta sia
principalmente dovuta a mancanza di informazioni circa gli effetti dannosi sulla salute del consumo
eccessivo di zuccheri, grassi saturi, sodio e dello scarso consumo di frutta, verdura, alimenti
integrali e a scarse conoscenze sulla composizione degli alimenti. La logica che ispira questo tipo di
politiche si basa sulla centralità della scelta del consumatore e sulla sua capacità nell’indirizzare le
produzioni; fondamentalmente il principio che ne sta alla base è neo-liberista, finalizzato alla
massimizzazione dell’utile e a garantire apparentemente la massima libertà di scelta al consumatore.
Questo tipo di interventi si concretizzano in genere in:
-
azioni finalizzate ad aumentare le conoscenze dei consumatori sulla correlazione fra malattie
non trasmissibili e alimentazione. Rientrano in questa categoria: le campagne informative e
di sensibilizzazione, realizzate tramite la comunicazione di massa tradizionale o attraverso
canali più innovativi (mailing, telefono, apps, videogames, siti web, …); i programmi di
educazione nutrizionale, generalmente realizzati nelle scuole o su specifici target di
popolazione (soggetti a rischio, fasi di vita, luoghi di lavoro); il counseling opportunistico da
parte del medico di base o di altre professionalità sanitarie. Quest’ultimo è piuttosto efficace
per il valore motivazionale che ha il consiglio del medico di fiducia e per il peso maggiore
che può avere un’informazione di salute fornita in un momento di vita sensibile (teacheable
moments) (1).
25
-
azioni finalizzate ad aumentare le informazioni a disposizione del consumatore sugli
alimenti: troviamo in questa categoria la regolamentazione dell’etichettatura nutrizionale;
l’apposizione di claim nutrizionali o simboli salute. Per quanto riguarda i claim, i limiti sono
legati principalmente alla volontarietà dell’apposizione, mentre per i simboli salute (tackle,
semaforo, bollini qualità, …) il limite è legato alla discrezionalità della scelta del simbolo
stesso da parte delle industrie alimentari: infatti queste ultime tendono ad evitare simbologie
più comprensibili ed efficaci nell’indirizzare la scelta, (come il semaforo) a favore di
strumenti meno penalizzanti per l’industria stessa (tackle, bollini qualità, …) .
-
regolamentazione o restrizioni alla pubblicità di alimenti non salutari: è un approccio con
una lunga storia, soprattutto nei confronti dei minori, poiché è universalmente riconosciuta la
vulnerabilità di questa fascia d’età ai messaggi pubblicitari. Nell’ultimo decennio sono
aumentate esponenzialmente le strategie di marketing rivolte ai minori, sia tradizionali che
innovative, basate sui nuovi media (dati da doc OMS), sebbene nella Convenzione delle
Nazioni Unite sui Diritti del Bambino (2) si enunci il diritto dei minori ad un’alimentazione
adeguata (3) e alla vita libera dall’obesità (4). Per raggiungere tale obiettivo si può partire da
un principio di diritto alla salute, o da una valutazione in termini di costi e benefici.
L’approccio basato sul diritto parte dal presupposto che sia responsabilità di una società
civile la tutela della salute dei propri cittadini, specialmente di quelli più vulnerabili. Per
converso, l’altro approccio cerca di pesare le molteplici probabilità di outcomes, per
minimizzare i costi e massimizzare i benefici derivanti dagli interventi. Riconosce e
recepisce i conflitti di interesse e i costi per i vari stakeholders e la necessità di una
proporzionale azione a controbilanciare i costi economici e commerciali contro i vantaggi di
salute. L’approccio sul diritto è intrinsecamente più favorevole alla protezione totale della
popolazione (infantle, in questo caso), mentre un approccio rischio-beneficio offre più
protezione alla libertà di movimento del mercato, ma è più facilmente implementabile in
azioni, tenendo conto della molteplicità degli interessi e delle forze in azione negli ambienti
naturali. Nelle raccomandazioni dell’OMS del 2010 (5) sul marketing verso i bambini,
l’approccio è principalmente quello di ridurre il rischio di salute piuttosto che vincolare ad un
marketing responsabile. Più specificatamente il documento invita gli Stati Membri ad
adottare politiche che riducano l’entità dell’esposizione e l’influenza dei messaggi
promozionali che promuovono il consumo di alimenti ricchi di grassi saturi, acidi grassi
trans, zucchero o sale.
2. Gli interventi di promozione della salute di popolazione sono in genere centrati sui determinanti
macroambientali e strutturali, relativi alla disponibilità e accessibilità degli alimenti. Si tratta per lo
più di politiche sanitarie o economiche, che hanno un grande impatto perché gli effetti ricadono
sulla popolazione generale o su grandi gruppi di popolazione e richiedono limitati investimenti
economici. Possono però non essere sempre bene accetti dalla popolazione (come nel caso
dell’imposizione di tasse) o dai soggetti economici toccati da queste norme (ad es. di definizione di
vincoli ai processi produttivi). Sono pertanto necessari approcci innovativi in grado sia di garantire
la protezione della salute della popolazione, sia di soddisfare gli interessi economici del settore
privato.
26
Alcuni esempi di interventi strutturali sono:
-
misure fiscali: possono tradursi in incentivi al consumo di alimenti salutari attraverso
politiche di calmieramento dei prezzi, oppure concretizzarsi nella tassazione di alimenti non
salutari, come avvenuto in Danimarca dove il governo nel 2011 ha introdotto un’imposta
sugli acidi grassi saturi contenuti negli alimenti (escludendo dal campo di applicazione
dell’imposta alcuni prodotti, come ad esempio il latte, il pesce e le uova (6); oppure ancora
espletarsi nella forma di sussidi a consumatori svantaggiati, come sperimentato negli Stati
Uniti, in un programma in cui sono stati forniti buoni per l’acquisto di frutta e verdura a
persone economicamente svantaggiate.
-
interventi di regolamentazione nella ristorazione pubblica e collettiva e definizione di
standard per i capitolati: questi strumenti implicano un intervento legislativo che vincoli i
soggetti fornitori di pasti e alimenti a fasce di popolazione ampie o vulnerabili al rispetto di
precise indicazioni di sicurezza e qualità nutrizionale. Rientrano in questa categoria, ad
esempio, i capitolati d’appalto per le ditte di ristorazione che forniscono le mense scolastiche,
ospedaliere o delle residenze per anziani. Un altro esempio è l’intervento che ha proibito
nelle scuole francesi la presenza di distributori automatici di alimenti non salutari: in questo
caso l’azione si è orientata drasticamente all’eliminazione di una fonte di disponibilità di
alimenti; in altri casi, come in alcune regioni italiane, sono stati avviati progetti per istituire
partnership per l’introduzione nelle scuole e nei luoghi di lavoro di distributori di frutta o
snack salutari (es. Emilia Romagna, Piemonte).
-
misure governative per incentivare l’intervento dei privati: considerato che la disponibilità e
il prezzo delle derrate alimentari determinano in misura sostanziale ciò che arriva sulle nostre
tavole – in particolare nel caso delle famiglie a basso reddito, possono risultare strategici
interventi incentivanti/ regolatori nel settore agroalimentare e nell’industria alimentare, che
favoriscano la produzione di alimenti più salutari o l’adozione di processi produttivi più
tutelanti la salute (ad esempio riduzione del contenuto di sale) instaurando meccanismi
premianti da parte dei consumatori.
Per quanto riguarda l’efficacia degli interventi di prevenzione della cattiva alimentazione
comunemente in uso, ad oggi, l’evidenza di quale misura o di quale combinazione di misure sia
efficace nel contrastare la cattiva alimentazione al fine di prevenire le MCNT ad essa correlate
rimane relativamente incerta: spesso mancano risultati di valutazione, non è possibile individuare
singole misure efficaci ed eseguire verifiche sull’efficacia degli interventi alimentari è assai
complesso. Per avere una stima grezza dell’efficacia degli interventi di prevenzione nutrizionale,
basti considerare che nel 2012 la Cochrane Library conteneva 30 revisioni sistematiche sugli
interventi di prevenzione primaria nel complesso: dei 503 interventi valutati solo il 34% mostravano
almeno un esito di outcome favorevole (7). Consideriamo inoltre che di questi solo una parte sono
interventi di prevenzione nutrizionale e che vengono pubblicati solo quelli che probabilmente sono
sufficientemente solidi o che hanno mostrato qualche risultato.
Ancora più complesso è stabilire quali siano gli interventi maggiormente costo efficaci. Alcuni dati
ci derivano dal recente studio Australiano “ACE project” (8), che ha classificato 123 interventi di
prevenzione delle malattie non trasmissibili secondo criteri di impatto di salute e di costeffectiveness: dall’analisi risulta che solo un limitato numero di interventi hanno un impatto di
27
salute che può essere definito ampio (almeno 100.000 DALYs guadagnati per intervento): per
quanto riguarda l’alimentazione si tratta della tassazione su alcool e alimenti non salutari e
l’imposizione di limiti obbligatori nel contenuto di sale di soli tre alimenti (pane, cereali e
margarine) (figura 6.1).
Fra gli interventi con un impatto di salute moderato (fra 10.00. e 100.000 DALYs) non ci sono
interventi di promozione di alimentazione sana, ma programmi di screening del pre-diabete, delle
patologie del fegato e dell’osteoporosi, oltre a un paio di interventi di promozione dell’attività fisica
per la riduzione dell’obesità (pedometri e campagne massmediatiche).
Fig.6.1: impatto di salute in rapporto ai costi di alcuni interventi di promozione della corretta alimentazione [Fonte Ace
Project]
Per quanto riguarda il bilancio fra costi e guadagno di salute, nel medesimo studio sono stati
considerati cost-effective gli interventi per i quali non si fosse speso più di 50.000 dollari per
DALY. Al contempo gli interventi sono stati classificati anche in base all’applicabilità. Gli
interventi efficaci e che al contempo consentono un risparmio economico sono stati definiti
dominanti: fra questi troviamo alcuni interventi sull’alimentazione e di prevenzione dell’obesità
(figura 6.2). Si tratta principalmente di interventi di natura ambientale/ strutturale, come i limiti sul
contenuto di sale (volontari e vincolanti), la tassazione sugli alimenti non salutari e fra gli interventi
sui comportamenti individuali, forme di promozione di comunità del consumo di frutta e verdura.
Nella stessa figura sono riportati gli interventi classificati come efficaci o molto efficaci in rapporto
al costo, cioè programmi o azioni che producono un guadagno di salute a costi rispettivamente
inferiori ai 10.000 dollari o fra 10.000 e 50.000 dollari per DALY.
28
Sempre in figura 2, vediamo che compaiono con maggior frequenza interventi di promozione della
salute finalizzati a modificare i comportamenti degli individui attraverso l’informazione e la
motivazione. Tuttavia, il rapporto di costo-efficacia si basa sul basso costo di questi interventi (+;
meno di 10 milioni di dollari annui), mentre l’impatto di salute risulta più frequentemente piccolo
(+;tra 0 e 10.000 dollari per DALY) o medio (++;tra 10.000 e 50.000 dollari per DALY)..
Fig 6.2: interventi di promozione della corretta aliemntazione ordinati per grado di costo-efficacia. [rielaborazione
dell’autore - Fonte Ace project]
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V
E
In conclusione, la prevenzione può comunque migliorare la salute della popolazione a un costo
inferiore rispetto a molti trattamenti offerti dai sistemi sanitari (9). In Italia, quasi tutti gli interventi
di prevenzione delle MCNT legate all’alimentazione hanno un rapporto costo-efficacia favorevole
29
rispetto allo standard internazionale (circa 35000 Euro per anno di vita guadagnato in buona salute)
(9). Purtroppo, poiché questo tipo di programmi richiede in genere tempi lunghi per produrre effetti
sulla salute, ciò si traduce, da un punto di vista meramente economico, in un rapporto costoefficacia meno favorevole nel breve termine (figure 6.3 e 6.4), il che rende meno appetibili da un
punto di vista politico gli interventi di prevenzione.
Fig. 6.3: Costo per anno di vita in buona salute guadagnato [Fonte: Fit not Fat (9)]
Fig 6.4: Impatto economico annuale degli interventi per ridurre l’obesità e migliorare l’alimentazione [Fonte: Fit not Fat
(9)]
30
Oltre al diverso impatto di salute e ad un diverso rapporto costo efficacia, nel valutare gli interventi
di prevenzione, tanto quelli individuali che quelli strutturali/ambientali, occorre tener conto di altri
aspetti che ne condizionano l’applicabilità e gli effettivi risultati.
Per quanto riguarda gli interventi rivolti agli individui, soprattutto di quelli basati sulle conoscenze,
possono non rispondere ad un bisogno di equità. Infatti un livello sufficiente di conoscenze
nutrizionali costituisce il presupposto per un comportamento alimentare sano e sostenibile, dunque
l’aumento delle conoscenze dovrebbe essere un obiettivo prioritario di tutte le misure di
prevenzione attuate sul piano comportamentale. Tuttavia, il semplice aumento delle conoscenze non
è sufficiente a influenzare il comportamento alimentare, i cui determinanti sono molteplici e
complessi. Il divario sociale, in particolare, influisce sulla capacità dei singoli di acquisire e
utilizzare le informazioni e dunque un’attività di informazione sull’alimentazione rischia di non
avere effetti proprio sulle fasce di popolazione più svantaggiate, che sono anche quelle più a rischio.
Proprio su questo target la disponibilità, il prezzo e la pubblicità degli alimenti influiscono
significativamente sul comportamento di consumo. Si parla di “Food literacy”, cioè la capacita di
organizzare autonomamente l’alimentazione quotidiana in modo cosciente, responsabile e
appagante (10). Presupposto per una corretta competenza nutrizionale è che le informazioni
nutrizionali siano accessibili, vengano comprese correttamente e, infine, valutate nel contesto
globale. A questo scopo è indispensabile una conoscenza approfondita delle più diverse aree
tematiche.
Il concetto di Food Literacy, sebbene meno documentato, si basa sugli stessi presupposti della
“Health Literacy” e come per quest’ultimo, è lecito supporre che anche per la competenza
nutrizionale fattori quali l’età, il livello di reddito, le condizioni di salute e, soprattutto, il livello
d’istruzione abbiano un influsso determinante (11). Un’educazione alimentare e un’informazione
sull’alimentazione adeguati ai diversi gruppi target rivestono pertanto un’importanza decisiva. A
questo riguardo, gli istituti di formazione rivestono un ruolo peculiare, in quanto possono
incrementare le possibilità dell’individuo di acquisire competenze nutrizionali. Inoltre gli interventi
educativi, specialmente se effettuati nella scuola pubblica, fanno presumere il raggiungimento di
effetti durevoli, dal momento che l’impostazione del comportamento alimentare inizia già nei primi
anni di vita, e soprattutto possono compensare il diverso impatto degli interventi di prevenzione sui
diversi livelli socioculturali della popolazione. Inoltre, la facile applicabilità che in genere ha questo
tipo di interventi fa sì che siano molto diffusi e, specialmente per quanto riguarda le campagne
informative e di marketing sociale, che si ripetano frequentemente, sedimentandosi nella cultura
popolare.
Anche per questi motivi i governi in genere preferiscono agli interventi strutturali misure e
interventi a sostegno delle scelte informate del consumatore. Le misure volte a favorire scelte
informate trovano meno ostacoli politici e etici all’applicazione, ma il loro impatto è mediato dalla
soggettività del consumatore, il cui interesse non coincide sempre con l’interesse collettivo di tutela
della salute pubblica o di riduzione dei costi dell’impatto dell’obesità sul sistema sanitario. Questo
tipo di interventi ha anche molti limiti: a meno che non si tratti di campagne di informazione o
sensibilizzazione a carattere nazionale, per tutti gli altri interventi centrati sul comportamento
dell’individuo, uno dei più grossi deficit è dato dall’implementazione a carattere volontario e
disomogenea sul territorio, che incide pesantemente sull’impatto di salute che potrebbero avere.
31
Inoltre le ricadute sulla salute si hanno in tempi molto lunghi (generazioni), il che li rende poco
allettanti per i governi e scarsamente impattanti (se scontiamo gli effetti negli anni) rispetto ai costi.
D’altro canto un cambiamento del contesto strutturale in cui viviamo può produrre effetti duraturi,
universali e con un grande impatto, toccando tutta la popolazione, ma se dovesse avere ricadute
negative non attese, anche queste si presenterebbero con un impatto ad ampio raggio. Il contesto
strutturale può essere trasformato attraverso la modifica delle condizioni quadro normative, come
nel caso della tassazione imposta dalla Danimarca. Tuttavia attualmente a livello internazionale, le
imposte sulle derrate alimentari e sulle bevande rappresentano un tema sempre più dibattuto, anche
perché l’evidenza scientifica della loro efficacia non è ancora incontrovertibile (12, 13) e i risultati
dei provvedimenti adottati fino ad oggi si potranno verificare solo fra alcuni anni. Proprio per la
frequente difficoltà di giungere a misure legislative condivise dalle forze di governo e dai poteri
economici, spesso presentano una maggiore fattibilità misure volontarie degli attori coinvolti. In
particolare le aziende dell’economia privata, che possono essere motivate ad adottare misure per la
promozione di un’alimentazione equilibrata, ad esempio modificando l’entità delle porzionature
degli alimenti in commercio o la composizione delle derrate alimentari, oppure rinunciando alla
pubblicità di alimenti e bevande analcoliche con un elevato contenuto di acidi grassi saturi e trans,
zucchero o sale e destinati ai bambini.
Le misure per la promozione di un’alimentazione equilibrata devono fondarsi su evidenze affidabili.
Per produrre degli effetti, è probabilmente più produttivo implementare misure sia sul piano
comportamentale individuale che sul piano strutturale.
Dal 2005 esiste una “EU Platform for Action on Diet, Physical Activity and Health”, i cui membri
provengono da tutti i settori economici, dal settore dei consumatori e dal settore delle
organizzazioni non governative: un monitoraggio annuale volto da tale organismo verifica i
progressi compiuti e valuta la qualità delle misure attuate nei paesi europei. Una valutazione del
2010 ha indicato che le attività si sono concentrate soprattutto nel settore delle campagne
informative e del setting scolastico, mentre mancavano ancora totalmente attività nel settore dei
prezzi delle derrate alimentari e del setting del posto di lavoro (14) (vedi fig 6.5)
32
Fig. 6.5: tipologia e numero di interventi di prevenzione nutrizionale attuati dai governi europei [fonte Eatwell
Project (15)]
6.2 Le strategie
A partire dalle conoscenze attualmente disponibili sull’efficacia degli interventi in materia di cattiva
alimentazione, sulla loro applicabilità, sostenibilità e accettabilità, nell’ultimo decennio si sono
realizzate numerose concertazioni che, con la regia dell’OMS, hanno condotto alla produzione di
strategie e politiche internazionali di contrasto alle MCNT, basate anche sulla promozione di
strategie e programmi intesi a limitare i determinanti principali, fra cui la cattiva alimentazione.
A livello globale, la strategia per la promozione di un’alimentazione equilibrata viene descritta
dall’OMS in due documenti strategici di fondamentale importanza:
-
La “Global strategy on diet, physical activity and health” (16) dell’OMS. Si tratta di un
piano d’azione rivolto agli Stati membri e ai partner internazionali con l’obiettivo di
indirizzarli nell’impegno operativo per la prevenzione e il controllo delle malattie croniche,
guidando e catalizzando una risposta intersettoriale a vari livelli focalizzata sui Paesi a basso
e medio reddito e sulle popolazioni vulnerabili. Ha lo scopo generale di: mappare l’epidemia
emergente di malattie croniche non trasmissibili e analizzarne i determinanti, per fornire
indicazioni su politiche, programmi, misure legislative e finanziarie necessari a sostenere e
monitorare gli interventi per la prevenzione e il controllo; ridurre il livello di esposizione dei
singoli individui e delle popolazioni ai fattori di rischio modificabili comuni alle varie
malattie croniche rafforzando, allo stesso tempo, la capacità degli individui e delle
popolazioni di fare scelte sane; potenziare l’assistenza sanitaria per le persone con malattie
33
croniche, mettendo a punto norme, standard e linee guida basate sull’evidenza e riorientando
i sistemi sanitari per una loro gestione efficace.
-
L’Action Plan for the Global Strategy for the Prevention and Control of Non Communicable
Diseases 2008–2013 sollecita ancora gli Stati membri dell’OMS a ridurre i principali fattori
di rischio modificabili per le malattie non trasmissibili (17). Fra questi figurano il consumo di
tabacco, un’alimentazione non equilibrata, la sedentarietà e l’abuso di alcol. Nell’ottica di
un’alimentazione equilibrata, l’OMS invita, da una parte, a definire e implementare delle
raccomandazioni nutrizionali basate sulle derrate alimentari e, dall’altra, a perseguire una più
sana composizione degli alimenti attraverso quattro misure: ridurre il contenuto di sale,
evitare gli acidi grassi trans di produzione industriale, ridurre il contenuto di acidi grassi
saturi e limitare il contenuto di zucchero semplice.
Anche a livello europeo esistono numerose indicazioni strategiche per la promozione di
un’alimentazione equilibrata. Nel 2006 gli Stati membri hanno sottoscritto la “European Charter on
counteracting obesity”, affermando la propria volontà di implementarla nei rispettivi Stati (18). Nei
suoi principi, la Carta richiede misure intersettoriali più efficaci e innovative, il loro adeguamento
alle circostanze locali e nuovi approcci di ricerca a tutti i livelli, con una particolare considerazione
per i bambini, i giovani e le fasce di popolazione socialmente più fragili.
Documenti strategici editi negli anni sul tema sono:
-
Il primo “Action Plan for Food and Nutrition Policy 2000–2005” dell’OMS Europa, che ha
definito tre strategie negli ambiti di sicurezza delle derrate alimentari, alimentazione
sostenibile e comportamento alimentare sano con l’obiettivo di ridurre la prevalenza delle
malattie correlate all’alimentazione e dei costi da esse derivanti (19). Gli obiettivi definiti
dagli Stati membri, tuttavia, non sono stati raggiunti o sono stati raggiunti solo in parte;
questo risultato è riconducibile all’impiego carente di risorse finanziarie e umane, alla
mancanza di impegno politico e a problemi di coordinamento fra le varie funzioni. A questa
conclusione sono giunti gli autori del secondo “European Action Plan for Food and Nutrition
Policy 2007–2012” il cui obiettivo, infatti, era realizzare un migliore coordinamento della
politica alimentare e nutrizionale degli Stati europei (20).
-
Nel 2007, nell’ambito del “White Paper on a Strategy for Europe on Nutrition, Overweight
and Obesity related health issues”, l’UE ha ripreso gli obiettivi del “Secondo piano d’azione
2007–2012” e ha definito delle misure per il loro raggiungimento (21). Il Libro bianco pone
al centro la creazione di partnership di orientamento pratico. Gli obiettivi principali
comprendono, fra gli altri, il rafforzamento della responsabilità personale, il miglioramento
dell’informazione ai consumatori, il controllo della composizione degli alimenti, il
miglioramento delle basi di dati e la promozione della ricerca.
-
L’ultimo documento di indirizzo strategico e tecnico per la prevenzione e il controllo delle
malattie croniche edito sul tema è l’“Action Plan for implementation of the European
Strategy for the Prevention and Control of Noncommunicable Diseases 2012−2016”, che fa
seguito al precedente Piano d’azione Oms 2008-2013. Il nuovo Action Plan definisce gli
obiettivi e le azioni raccomandate a livello dei singoli Stati europei nell’arco dei prossimi
cinque anni; rispetto al documento del 2008, la pubblicazione tiene conto delle nuove
34
conoscenze, dei progressi compiuti negli ultimi cinque anni e dell’attuale momento storico
nonché dei contenuti della strategia OMS Health 2020, che di fatto traccerà gli indirizzi
politici per gli Stati membri della Regione europea dell’Oms nei prossimi anni. Con questa
nuova politica sociale e sanitaria comune l’Oms Europa focalizza la sua attenzione sui
determinanti sociali della salute e sulle relative equità, centrandosi su alcuni principi guida:
l’equità, il rafforzamento del sistema sanitario, il concetto di salute in tutte le politiche, un
approccio che abbraccia tutto l'arco della vita, l’empowerment individuale e di comunità,
l’integrazione dei programmi dei vari settori della società, il bilanciamento degli interventi
sui singoli con quelli sulla collettività, la “co-produzione” della salute da parte dello Stato e
della società. Molta evidenza viene data alla necessità di investire sulle “caratteristiche
comuni” delle MCNT con molte altre condizioni e patologie (eziologia, diversi determinanti
e fattori comportamentali e ambientali). In questa cornice sono infine individuati gli
interventi prioritari per i prossimi cinque anni. Questi sono stati selezionati in base al fatto
che hanno dato prova di efficacia e che sono fattibili dal punto di vista finanziario e politico
per l’esecuzione in un contesto nazionale. Gli interventi prioritari scelti sono cinque, di cui
tre relativi ad un’alimentazione corretta:

la promozione del consumo di alimenti salutari utilizzando la leva fiscale e politiche di
marketing

la sostituzione dei grassi trans negli alimenti con grassi polinsaturi

la riduzione dell’uso del sale

la valutazione e il governo del rischio cardio-metabolico

la diagnosi precoce del cancro della cervice uterina, della mammella e del colonretto.
Rispetto alle precedenti linee di indirizzo, è interessante l’indicazione di azioni specifiche
(interventi prioritari) su cui concentrare l’azione, evitando che le energie e risorse dei singoli
stati membri si disperdano in mille rivoli di microprogettualità la cui efficacia diventa
impossibile da verificare. Recepisce inoltre l’attuale difficoltà da parte dei governi di
proporre misure politiche ed economiche per la prevenzione delle MCNT legate
all’alimentazione. Questo elemento può da un lato essere letto come un segnale di una
visione maggiormente realistica e quindi andare nella direzione di una maggiore
applicabilità delle linee di indirizzo oppure può essere il segnale di una certa rassegnazione
di fronte alla difficoltà di coinvolgere alcuni settori della società (ad esempio l’industria
alimentare) in un programma di miglioramento dell’offerta alimentare.
6.3 La situazione Italiana
In Italia, come sono stati tradotti in pratica gli indirizzi OMS?
Recentemente il nostro Paese ha aderito al Piano d’Azione Globale contro le MCNT 2008-13 (21,
22), articolato in poche linee strategiche.
35
-
In primo luogo il rafforzamento delle politiche nazionali contro le MCNT attraverso
l’integrazione di prevenzione e controllo, facendo leva, da un lato, sul Centro Nazionale per
la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (CCM) del Ministero della Salute e, dall’altro,
sviluppando la strategia “Salute in tutte le politiche” (23).
-
Altro aspetto fondamentale è la promozione della ricerca e del monitoraggio. La ricerca è
finalizzata a valutare l’efficacia della prevenzione secondaria (screening tumori e diabete) e
l’impatto delle attività di comunicazione, a individuare i fattori che influenzano le scelte
sugli stili di vita dei cittadini. L’attenzione al monitoraggio si concretizza nelle sorveglianze
di popolazione (PASSI, PASSI d’Argento, OKkio alla Salute e HBSC).
-
L’attuazione del programma “Guadagnare Salute”, varato per decreto nel 2007 (24) con la
firma dei Protocolli d’intesa tra il Ministero della salute e i rappresentanti di 22
organizzazioni delle Imprese dell’Associazionismo e del Sindacato: iniziativa che promuove
il partenariato intersettoriale , finalizzato a facilitare le scelte di salute dei cittadini. A livello
internazionale Guadagnare Salute rientra nella cornice della strategia europea per la
prevenzione e il controllo delle malattie croniche “Gaining in health” promossa dall’Oms dal
2006. Si tratta di un approccio integrato che si pone come obiettivo l’intervento sui principali
fattori di rischio (sedentarietà, alimentazione scorretta, fumo, abuso di alcol) e il
rafforzamento della prevenzione e del controllo attraverso sistemi sanitari adeguati e
l’integrazione di interventi multisettoriali. È diventato sempre più evidente infatti che alcuni
determinanti di salute sono al di fuori del diretto controllo del settore sanitario ed è quindi
necessario coinvolgere settori diversi della società e delle istituzioni per creare alleanze e
azioni sinergiche. Guadagnare salute rappresenta il primo documento programmatico
finalizzato alla realizzazione di interventi per la tutela e la promozione della salute pubblica,
concordati fra livelli istituzionali e di governo e che prevede la sinergia di vari Ministeri, il
coinvolgimento delle Amministrazioni regionali e locali, del Servizio sanitario, del mondo
della scuola, di quello imprenditoriale e associativo, realizzando una vera e propria
piattaforma nazionale della salute. Per quanto riguarda l’alimentazione il programma prevede
la realizzazione di campagne informative, la ricerca di dinamiche dell’offerta volta alla
diffusione di alimenti in linea con i comportamenti salutari, la progressiva eliminazione di
messaggi pubblicitari ingannevoli e distorti in modo da garantire la tutela dei consumatori, in
particolare dei bambini (25, 26), la realizzazione di progetti. Una parte di questi sono
progettualità specifiche di iniziativa centrale (ad es. “Forchetta e scarpetta”, “Canguro
Saltacorda”, …) veicolate attraverso la scuola o il sito ministeriale. Per la maggior parte però
si tratta di una strategia che ha visto l’investimento di risorse in progettualità da realizzarsi da
parte delle Regioni e di altri soggetti secondo le linee di indirizzo del programma, come i
progetti frutto dei bandi del CCM, di cui gran parte delle risorse sono state investite in questa
direzione o come il progetto “Scuola e Salute”, che a sua volta si è concretizzato in una
molteplicità di iniziative regionali. Tutte le iniziative attivate nell’ambito del programma
sono caratterizzate da un "logo", il cui utilizzo contribuisce sia ad aumentare l’autorevolezza
dei messaggi trasmessi, sia a permettere al cittadino di riconoscere gli interventi coerenti con
la strategia e gli obiettivi del programma.. Tutti i rappresentanti delle organizzazioni
coinvolte si sono impegnati, attraverso la sigla di protocolli d'intesa: con il Ministero delle
politiche giovanili, dell’Istruzione, delle politiche agricole, alimentari e forestali, con la
36
Federezione Italiana Medici Pediatri, con la Società Italiana di Pediatria, con il CONI e gli
Enti di promozione sportiva, i Protocolli per la riduzione del sale negli alimenti con alcune
associazioni di panificatori e produttori alimentari.
-
L’ultima linea strategica consiste nella messa in opera di interventi specifici per i quattro
fattori di rischio (fumo, alcol, cattiva alimentazione, sedentarietà) attraverso una loro
sistematizzazione nel Piano Nazionale di Prevenzione (PNP). Già dal 2005 l’Italia aveva
recepito l’allarme sulle MCNT individuando come problema di salute prioritario l’obesità:
con l’Intesa tra Stato, Regioni e Province autonome, fu definito il Piano Nazionale della
Prevenzione, con le ricadute conseguenti sulla progettazione Regionale date dai Piani
Regionali della Prevenzione. Allora la pianificazione regionale fu supportata da una serie di
programmi mirati particolarmente alla definizione di un sistema di sorveglianza su sovrappeso
e obesità, pattern nutrizionali e attività fisica nella popolazione italiana da parte del CCM e
delle Regioni e Province autonome (OKkio, HBSC, Passi).
Nel Piano Nazionale 2010-12 (27) le strategie preventive delle MCNT trovano una loro
espressione su più livelli: programmi di prevenzione collettiva, programmi rivolti a gruppi a
rischio e di prevenzione individuale. In particolare la prevenzione di quelle riconducibili
all’alimentazione viene focalizzata nell’area della prevenzione di abitudini, comportamenti,
stili di vita non salutari con l’obiettivo di contenere al di sotto del 10% l’obesità infantile; le
linee strategiche e di supporto per il raggiungimento di questo obiettivo prevedevano, in
particolare:
•- partnership e alleanze con la scuola, finalizzate al sostegno di interventi educativi,
all'interno delle attività didattiche e curricolari, orientate all'empowerment individuale e di
comunità;
•- programmi volti all'incremento del consumo di frutta e verdura nella popolazione in
generale (da valutare con l'aiuto di dati di commercializzazione);
•- programmi di promozione dell'allattamento al seno;
•- programmi per il miglioramento e il controllo della qualità nutrizionale dei menù delle
mense scolastiche ed aziendali.
Nel processo attuativo del Piano era previsto che stabiliti i principi fondamentali da parte dello
Stato, le Regioni avessero competenza non solo in materia di organizzazione dei servizi, ma
anche sulla legislazione per l'attuazione dei principi suddetti, sulla programmazione, sulla
regolamentazione e sulla realizzazione dei differenti obiettivi. Pertanto le Regioni hanno
declinato il loro ruolo contribuendo attivamente alla determinazione delle linee strategiche e
dando corso al lavoro previsto dal PNP, mentre il Ministero ha esplicato una funzione di
supporto, anche attraverso il CCM e il coordinamento degli organi tecnico-scientifici centrali.
I contenuti e gli obiettivi del PNP e dei corrispondenti Piani regionali della prevenzione,
avrebbero dovuto trovar posto rispettivamente nel PSN e nei piani sanitari regionali: Le
Regioni e Province Autonome sono state chiamate ad adattare obiettivi e finalità del PNP alle
proprie realtà locali. Se da un lato questa strategia salvaguarda la possibilità, per gli Enti
locali, di adattare l’attuazione degli obiettivi e delle priorità del Piano alle specifiche realtà
(disponibilità di risorse, diversi sistemi organizzativi, ecc…), dall’altra ha dato vita ad un
37
proliferare di progettualità: nei 4 anni di vigenza del PNP, i Piani regionali di prevenzione
hanno prodotto 740 tra programmi e progetti, con una distribuzione tra le 4 macroaree di
intervento che vede un investimento assolutamente prioritario nella prevenzione universale
(470 progetti/programmi pari al 64% del totale) e, in particolare, nella Linea dedicata alla
“promozione della salute” per il contrasto alle malattie croniche, che sostanzialmente declina,
a livello regionale e locale, obiettivi e azioni del programma nazionale Guadagnare salute
(28). Affinché alcuni programmi di prevenzione e tutti quelli di promozione della salute
abbiano un effetto di salute sensibile, è necessario che siano applicati in modo sistematico su
una vasta popolazione: ciò implica spesso, a livello attuativo, travalicare i limiti del sistema
sanitario regionale (o aziendale) e, al contrario, operare intersettorialmente per ottenere un
effetto tale da giustificare i costi del programma stesso (28). In caso contrario, diventa anche
molto difficile valutare l’impatto di salute degli interventi, oltre a porsi problemi di equità fra
l’accesso alla salute e alla prevenzione della popolazione.
Il nuovo Piano Nazionale della Prevenzione 2014-18 (29), cerca di correggere questa e alcune
altre criticità (ad esempio, identificazione di una adeguata e opportunamente quantificata
copertura della popolazione beneficiaria; scelta di indicatori realistici, preferibilmente di
output o di proxy di esito, in grado di misurare il progressivo raggiungimento dell’obiettivo di
salute; individuazione di tutti i gruppi di interesse così come dei vincoli esterni alla
realizzazione degli interventi,…), anche nell’ottica di una maggiore integrazione e
trasversalità della programmazione, con un cambio di strategia, che si è prevalentemente
espressa attraverso un “ridimensionamento” delle azioni, sia con l’interruzione dei progetti
che non sono riusciti a superare ostacoli strutturali, sia con il contenimento della dispersione
progettuale a favore invece della sinergia degli interventi all’interno di un disegno più
organico di programmazione. Inoltre per la prima volta, obiettivi e indicatori per misurare il
progresso della prevenzione sono definiti congiuntamente fra Governo e Regioni. A tale
scopo, oltre a definire la vision in campo di prevenzione della salute e i principali macroobiettivi, il nuovo Piano chiama attivamente le Regioni a seguire priorità e scadenze precise.
Per quanto riguarda l’ambito della prevenzione delle MCNT legate all’alimentazione, queste
rientrano nel macroobiettivo generale “ridurre il carico prevenibile ed evitabile di morbosità,
mortalità e disabilità delle malattie non trasmissibili”, per il quale vengono definiti obiettivi e
declinate strategie a partire dai determinanti del problema, alcuni in modo molto specifico,
altri in modo più generale. Fra gli obiettivi di carattere generale vi è la stesura e realizzazione
di un piano intersettoriale per la promozione della salute, da raggiungere con la stipula di
accordi quadro, e promuovere il potenziamento di fattori di protezione e comportamenti sani
nella popolazione giovanile, attraverso il coinvolgimento della scuola in progetti regionali ad
hoc. Gli altri obiettivi sono invece molto più specifici, valutabili tramite indicatori stringenti:
aumentare il consumo di frutta e verdura e ridurre il consumo di sale, valutabili attraverso i
sistemi di sorveglianza. Il PNP recepisce così anche gli indirizzi delineati dall’Action Plan
2012-16 indirizzando l’azione verso azioni di dimostrata efficacia. Tuttavia potrebbero
permanere ancora problemi di equità e di effettivo impatto delle azioni previste, dovuti
all’indeterminatezza di alcuni obiettivi e alle modalità di valutazione, che lasciano ampio
variabilità nell’attuazione del piano stesso da parte delle Regioni, attualmente molto diverse
fra loro per risorse, competenze, esperienza in materia di prevenzione.
38
7. CONCLUSIONI
Dopo anni di lavoro della comunità internazionale sul tema della prevenzione, sembrano esserci
ormai dei punti fermi riconosciuti da tutti i soggetti coinvolti nella definizione di politiche per la
salute. Sebbene ancora con qualche incertezza, sono ormai riconoscibili un certo numero di
interventi efficaci nel prevenire o ridurre alcune MCNT. Anche sulle strategie generali per
fronteggiare il problema esiste un certo accordo: multisettorialità, integrazione, empowerment dei
singoli e delle comunità. Si riconosce necessario intervenire con un approccio intersettoriale e
trasversale, che tenga in giusta considerazione sia l'aspetto sanitario ma anche i determinanti
individuali, ambientali, sociali ed economici. L’obiettivo è quello di costruire una società in cui gli
stili di vita salutari siano accettati e condivisi, se non addirittura il parametro normativo dello stile
di vita, e le scelte in tal senso siano facilitate e rese accessibili a tutta la popolazione, andando a
modificare anche l'ambiente di vita e di lavoro. L'approccio non può che essere multi - stakeholder
con il coinvolgimento dei soggetti istituzionali, dallo stato centrale ai comuni, e della società civile
per facilitare scelte e comportamenti attraverso azioni regolatorie e normative, modifiche strutturali
e ambientali e il coinvolgimento della popolazione mediante l'informazione, la comunicazione e la
partecipazione.
L’azione deve orientarsi su più fronti e su più tematiche:

informare e mobilitare l’opinione pubblica. Rendere più consapevole e reattiva l’opinione
pubblica sulle conseguenze per la salute, sull’impatto sociale e sui costi economici e
ambientali;

diffondere la cultura della prevenzione. Educare le persone al concetto di limite e trasmettere
la cultura della prevenzione affinché i comportamenti salutari diventino sempre più una scelta
consapevole;

insegnare abitudini sane fin dall’infanzia. Rafforzare i presidi di educazione e informazione
dei giovani;

programmare un impegno congiunto di governi e settore privato. Attivare piani integrati e
coordinati di medio-lungo periodo, che coinvolgano tutti i principali attori interessati;

incoraggiare l’impegno dell’industria e della distribuzione. Coinvolgere l’industria alimentare
e la distribuzione nelle iniziative di salute pubblica promosse e guidate dai governi;

lottare contro l’ambiente obesogenico. Combattere i fattori che inducono ad assumere stili di
vita e scelte alimentari scorretti e rendono difficile compiere scelte salutari.
Tuttavia, quando si passa dal livello delle enunciazioni al livello attuativo, quello che si riscontra è
ancora una certa difficoltà nel delineare ed attuare strategie che rendano effettivamente efficaci gli
sforzi di quanti si impegnano nella prevenzione, rischiando di disperdere un patrimonio di
esperienze e risorse economiche e umane, a fronte di risultati spesso difficili anche da valutare,
sebbene grandi sforzi si stiano facendo, anche in Italia, per organizzare un sistema della
prevenzione che risponda alle sfide della complessità della società attuale.
39
L’analisi proposta nell’elaborato, pur non avendo alcuna pretesa di esaustività, evidenzia certamente
la complessità del fenomeno e stimola la riflessione sull’esigenza di monitorare e documentare
costantemente le strategie e gli interventi di prevenzione che si attuano in Italia e all’estero per
evidenziarne, in modo sistematico, le prove di efficacia e gli aspetti critici in modo da porre una
base di miglioramento continuo nella progettazione di nuove strategie di prevenzione in ottica
multidimensionale e multidisciplinare. Data la complessità del problema delle MCNT legate
all’alimentazione e l’influenza reciproca dei loro determinanti, diventa essenziale integrare gli
interventi di prevenzione, sia su più livelli: individuali, di popolazione, economici, di policy, sia con
gli altri interventi sugli stili di vita (attività fisica, salute mentale, …). Anche relativamente alle
strategie generali per fronteggiare il problema, gli organismi internazionali concordano: sono
necessari multi-settorialità, integrazione, empowerment dei singoli.
Tuttavia nei singoli contesti nazionali e nella fattispecie in Italia, per quanto riguarda il presente
lavoro, a livello attuativo si riscontra ancora molta difficoltà nel delineare strategie che tengano
conto della necessaria integrazione fra settori (politiche sanitarie, economiche, agricole,
dell’istruzione…), tanto a lievllo periferico, quanto a livello centrale. La programmazione delle
attività dei Piani della Prevenzione, ad esempio, avviene a livello locale su indicazioni Nazionali,
ma con una grande disparità fra Regioni, che hanno una notevole autonomia nella declinazione
degli obiettivi nazionali. La stessa criticità si presenta nel passaggio dal mandato Regionale alla
programmazione dei Piani di Prevenzione Locali, dipendente anche dall’organizzazione strutturale
delle singole aziende sanitarie locali.
Tali criticità fanno sì che questa strategia a cascata, funzionale in teoria, non riesca però a tradurre
sempre gli interventi di prevenzione in un’applicazione sistematica e omogenea su vaste
popolazioni, obiettivo essenziale per poter garantire un effetto di salute sensibile e una maggiore
equità nella salute.
Manca d’altronde anche un semplice sistema di rilevazione degli interventi di prevenzione
organizzato a livello nazionale e minimamente standardizzato: sarebbe un utile strumento per
monitorare lo stato attuale della prevenzione e riformulare obiettivi e strategie in modo coerente con
i reali bisogni di salute della popolazione.
L’approccio sistemico sostenuto in questo elaborato vuole essere non un riferimento teorico ma una
modalità di pensare, progettare, attuare e monitorare sia in termini di obiettivi e strumenti sia
pensando agli ambiti e ai target di intervento.
La salute viene creata e vissuta da tutti nella sfera della quotidianità: lì dove si impara, si lavora, si
gioca, si ama. La salute si crea avendo cura di se stessi e degli altri, acquisendo la capacità di
prendere decisioni e di assumere il controllo delle circostanze della vita, e facendo in modo che la
società in cui si vive consenta la conquista della salute per tutti i suoi membri.
40
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44
APPENDICE 1
Ruolo della famiglia e della scuola nella prevenzione dell'obesità infantile: ricerca evidenze di
efficacia nell'educazione alimentare
Introduzione
La problematica dell'obesità infantile negli ultimi decenni ha assunto dimensioni e gravità
preoccupanti per l'estesa incidenza, per la probabile persistenza in età adulta, e per le morbilità
connesse. L'obesità infantile e adolescenziale è un problema importante per la salute, da valutare
seriamente a causa della sua elevata incidenza sulla popolazione e delle malattie ad essa associate.
Un aspetto altrettanto preoccupante è rappresentato dal fatto che tale condizione tende a permanere
anche in età adulta, con tutte le inevitabili conseguenze metaboliche che rischiano di influenzare
negativamente l'aspettativa di vita futura.
Per quanto riguarda il diffondersi del fenomeno del sovrappeso e dell’obesità infantile, la
comunità scientifica internazionale, pur essendo concorde nel ritenere che esso è causato da
numerosi e complessi fattori che interagiscono tra loro (sesso, eta’, patrimonio genetico, condizioni
socio-economiche, ambientali e culturali) è altresì concorde nel riconoscere un ruolo sempre
maggiore agli scorretti stili di vita basati su una limitata attività fisica ed un corrispondente stile
alimentare squilibrato.
Le figure parentali a loro più vicine rappresentano i modelli prioritari ed indiscussi di
riferimento, gli adulti hanno l’obbligo di non abdicare al ruolo di educatori. Alla famiglia, primo
naturale contesto socializzante in cui si trova inserito il bambino, spetta il difficile ma stimolante
compito di seguirlo passo passo nella crescita. Tutti i genitori, nella consapevolezza che l’età
evolutiva è la fase della vita maggiormente implicata, con la comparsa di scorrette abitudini, hanno
il dovere di creare le condizioni favorevoli, affinchè i loro figli instaurino un rapporto sano con il
proprio corpo.
La scuola condivide con la famiglia il ruolo educativo e dunque, se in seno al nucleo
familiare si strutturano i primi modelli di comportamenti corretti, spetta alla scuola, in parallelo
consolidarli e proteggerli da stimoli devianti.
L’azione educativa e formativa della scuola risulta essenziale per favorire l’acquisizione e la messa
in pratica di quelle conoscenze e competenze che, in modo motivato, possano condurre a stili di vita
orientati al benessere ed alla prevenzione.
Percezione del caregiver
Negli ultimi anni si è arrivati alla conclusione che il miglior trattamento sia comunque la
prevenzione: sebbene tutti gli esperti concordino sull'importanza di questo approccio, c'è poca
ricerca in questo settore e pochi studi riguardanti l'efficienza delle diverse strategie d'intervento.
A testimonianza del ruolo fondamentale dell'ambiente familiare-scolastico , e quindi del
caregiver, ho concentrato l' attenzione e la ricerca di evidenze su aspetti che vedono il caregiver
45
quale protagonista chiamato ad agire ed intervenire e nel contempo quale osservatore, il cui compito
è percepire e recepire informazioni dal contesto ambientale e dall'individuo di cui si occupa.
La ricerca della letteratura scientifica
Per la ricerca sono stati consultati i principali database bibliografici scientifici interrogati secondo le
regole MeSH53 (PubMed, Cochrane Library, DARE, , Health Evidence) con l’utilizzo di parole
chiave specifiche.
Al fine della mia ricerca, dove era previsto che si indagasse su tutte le tipologie di intervento, ho
preferito formulare il quesito:
“Esistono in letteratura prove di efficacia per la prevenzione dell’obesità e del sovrappeso nei
bambini e negli adolescenti?”.
PubMed
(“obesity”[MeSH Terms]
OR “obesity”[All Fields]
OR “overweight”[MeSH
Terms] OR “overweight”[All
Fields]) AND “prevention and
control”[Subheading] AND
(effectiveness[All Fields] OR
efficacy[All Fields]) AND
(“infant”[MeSH Terms] OR
“child”[MeSH Terms] OR
“adolescent”[MeSH Terms])
Tale quesito, sicuramente poco specifico, aveva lo scopo di poter reperire nel modo più ampio
possibile, i lavori che riguardavano il maggior numero di tipologie di intervento.
La metodologia per la ricerca della letteratura scientifica degli studi di valutazione dell’efficacia
degli interventi per la prevenzione dell’obesità e del sovrappeso nei bambini e negli adolescenti.è
stato svolta partendo inizialmente dalla formulazione del quesito e passando poi alla successiva
ricerca dei lavori relativi attraverso la consultazione di banche dati tramite l’uso di stringhe di
ricerca.
Criteri di inclusione
Sono stati selezionati quei lavori che prendevano in esame almeno uno dei seguenti temi:
alimentazione, attività fisica, sedentarietà, obesità/sovrappeso.
46
• Per quanto riguarda il target di popolazione, bambini/adolescenti, sonostati considerati quegli
interventi rivolti alle fasce di età fino a 19 anni
• È stata presa in esame la valutazione di efficacia di tutte le tipologie di intervento per la
prevenzione dell’obesità/sovrappeso.
• Tutti i lavori pubblicati fino 2013
• Non sono stati posti limiti di lingua.
Metodo
In base ai principi dell’Evidence-based prevention (EBP - Prevenzione basata sulle prove di
efficacia), è stato formulato il quesito che prende in considerazione l’intervento, l’outcome, il
setting di popolazione e il target relativo.
PICO
P - bambini ed adolescenti che presentano una % di sovrappeso e obesita'
I - la promozione di educazione alimentare ed educazione fisica (counseling dei genitori,
formazione degli insegnanti, caregivers )
C- fascia di eta' dai 5-14 anni
O - diminuzione di obesita' e numero di nuovi casi
PAROLE CHIAVE – OBESITA' INFANTILE, SCUOLA, FAMIGLIA, CAREGIVERS,
EDUCAZIONE ALIMENTARE, INTERVENTI EFFICACI
Le revisioni reperite, la cui qualità è nel complesso soddisfacente, consentono di concludere che:
1. gli interventi incentrati sull’attività fisica riportano un effetto, espresso con diverse misure di
associazione, maggiore rispetto a quelli riguardanti l’alimentazione;
2. gli interventi che vedono coinvolti i bambini più piccoli comportano più facilmente risultati
positivi; questi soggetti, infatti, risultano essere facilmente influenzati da insegnanti, genitori,
educatori ecc.;
3. le ragazze vengono maggiormente coinvolte in interventi di tipo educativo-comportamentale;
mentre con i ragazzi si hanno migliori risultati tramite interventi di tipo strutturale o ambientale che
permettono
o promuovono lo svolgimento dell’attività fisica (palestre attrezzate, messaggi di promozione
attraverso i media, attuazione di politiche locali per l’individuazione di spazi dedicati ecc.);
4. la partecipazione della famiglia nelle diverse tipologie di intervento e nelle diverse classi di età
comporta una maggiore adesione da parte dei soggetti coinvolti e quindi un effetto maggiore.
Di seguito verranno sintetizzate narrativamente le revisioni selezionate.
47
Pubblicato sul Journal of Family Nursing nel novembre 2010
“Do family interventions improve health?”
(Gli interventi familiari migliorano la salute?) di Chesla CA.
Lo studio si è occupato di valutare l'evidenza che gli interventi familiari possano migliorare la
salute nelle persone affette da malattie croniche e nei loro parenti.
Negli adulti, l'evidenza supporta gli effetti benefici degli interventi della famiglia in confronto
all'assistenza medica usuale per la salute fisica e mentale del paziente e della famiglia. Nei bambini,
risulta evidente l'importanza degli interventi multi modali basati sulla famiglia per il trattamento
dell'obesità e del diabete di tipo 1
"Caregivers' inability to identify childhood adiposity: a cross-sectional survey of rural
children and their caregivers' attitudes"
(Incapacità dei caregivers nell'identificare l'adiposità infantile: un'indagine trasversale di bambini
delle zone rurali e dell'atteggiamento dei loro caregivers), scritto da Fisher L. et al. e risalente al
2006.
L'indagine ha avuto come obiettivo la determinazione della prevalenza di bambini sovrappeso e
obesi nella zona nord-occidentale del Nuovo Galles del Sud e la valutazione della capacità dei
caregivers di rilevare adiposità nei loro figli. Per lo studio è stato utilizzato un questionario
standardizzato per i caregivers e le misure antropometriche di bambini frequentanti 10 scuole
primarie selezionate casualmente.
Il campione era di 598 bambini di età compresa tra i cinque e gli otto anni. Le misure rilevanti sono
state l'indice di massa corporea per i bambini, la valutazione dei caregivers circa l'apporto dietetico
dei loro figli, l'attività fisica e l'adiposità.
Dai risultati si vide che un totale di 348 caregivers aveva risposto al sondaggio, ottenendo un tasso
di risposta del 58,2%. Significativamente, più caregivers di ragazzi (200) rispetto alle ragazze (144)
avevano scelto di partecipare. La stragrande maggioranza dei caregivers (87%) acconsentì che i
propri figli fossero misurati. Le misurazioni del BMI rivelarono quanto segue: più di 3/4 dei ragazzi
(82%) e delle ragazze (77%) erano normopeso; il 13% del totale era in sovrappeso; il doppio delle
ragazze (6%) rispetto ai ragazzi (3%) era obeso. In totale, il 31% dei caregivers sottostimava il peso
dei propri figli. In proporzione più caregivers di ragazzi in sovrappeso sottovalutava il peso dei loro
figli, rispetto ai caregivers delle ragazze(67% contro il 44%).In conclusione, si è ritenuto che le
attività di promozione della salute devono affrontare, in via prioritaria, la capacità dei caregivers di
valutare con precisione la corretta categoria di peso dei loro figli.
Lo studio è stato pubblicato nel 2007 sul Journal of the National Medical Association
“Relationships among Body Mass Index, Parental Perceptions, Birthweight and Parental
Weight after Referral to a Weight Clinic”
(Rapporto tra indice di massa corporea, percezione dei genitori, peso alla nascita e peso dei genitori
dopo il riferimento ad un peso clinico), proposto da Watkins et al., del Dipartimento di
Pediatria/Divisione di Endocrinologia, Università del Michigan.
48
I ricercatori hanno tentato di determinare se le percezioni dei genitori riguardo all'obesità dei loro
figli fossero commisurate con il BMI; in secondo luogo, hanno esaminato l'impatto del peso alla
nascita e del BMI dei genitori sul BMI del bambino e valutato i risultati di un questionario
somministrato (le cui voci più importanti erano: soggetti interessati al peso del bambino, percezione
della causa di obesità, storia familiare, livello di attività percepito, ore giornaliere destinate a tv o
videogames, abitudini alimentari in famiglia).
Dai risultati dell'analisi, che ha preso in considerazione 82 bambini e i loro caregivers, è stato
dedotto che c'è divergenza tra la percezione dei genitori riguardo all'obesità infantile e la sua
definizione clinica. Dato l'impatto significativo del peso materno sul sovrappeso infantile,
l'educazione per la prevenzione del sovrappeso giovanile dovrebbe comprendere un mantenimento
della salute in fase prenatale, infantile e adolescenziale.
“Prevention of childhood obesity: sociocultural and familial factors”
(Prevenzione dell'obesità infantile: fattori socioculturali e familiari), scritto da BrussMB et al., nel
2003, ha esaminato i fattori socioculturali e familiari correlati alla prevenzione dell'obesità infantile.
Allo studio parteciparono, in quattro focus group (N=32), i caregivers primari di bambini tra i 6-10
anni, appartenenti a diverse popolazioni etniche di Saipan (Isole Marianne). Emerse un tema
centrale con diversi fattori correlati. Il tema era un conflitto espresso dal caregiver primario tra i
valori socio-culturali, le aspettative della famiglia, le credenze tradizionali alimentari e i
comportamenti, e le conoscenze sul cibo e le malattie. Questi risultati hanno fornito importanti
informazioni in riferimento alla progettazione di interventi che fossero sensibili dal punto di vista
culturale per la prevenzione dell'obesità infantile.
Interventi di prevenzione e cura da parte del caregiver e della scuola
Lo studio condotto nel 2013 da Halberstadt et al., del Dipartimento di Scienze della Salute
dell'Istituto per la Ricerca di Salute e Cura, Università di Amsterdam, ha avuto l'obiettivo di
determinare se la capacità di autoregolazione possa portare ad una perdita di peso a lungo termine in
bambini e adolescenti gravemente obesi, insieme all'individuazione di altri fattori psicosociali in
grado di modificare questo rapporto.
"The role of self-regulating abilities in long-term weight loss in severely obesechildren and
adolescents undergoing intensive combined lifestyle interventions (HELIOS); rationale,
design and methods"
(Il ruolo delle capacità di autoregolazione nella perdita di peso a lungo termine nei bambini e negli
adolescenti gravemente obesi sottoposti ad un intervento intensivo associato allo stile di vita
(HELIOS); logica, design e metodi)
Lo studio è stato effettuato su 120 bambini e adolescenti gravemente obesi (8-19anni) e sui loro
genitori/caregivers sottoposti a un intervento intensivo e combinato sullo stile di vita durante un
anno. L'intervento si è avvalso di tecniche di cambiamento del comportamento per migliorare la
capacità generale di autoregolarsi. Le misure furono eseguite in tre momenti: alla baseline (inizio
del trattamento), al termine del trattamento (1 anno dopo la baseline) e al follow-up (due anni dopo
la baseline). La misura del risultato primario del BMI era influenzata dal sesso e dal cambiamento
49
età-specifico. Inoltre furono utilizzati test al computer e una misura self-report della capacità di
autoregolazione specifica per il mangiare (alimentazione esterna, mangiare emotivo, mangiare
trattenuto). Fattori psicosociali legati alla competenza, motivazione, parentela e alle aspettative del
risultato furono esaminati come fattori di moderazione, attraverso questionari per i pazienti e loro
genitori/caregivers.
Pubblicato su International Journal of Eating Disorders nel 2009
"Treating Childhood Obesity: family background variables and the child's success in aweightcontrol intervention"
(Curare l'obesità infantile: variabili del background familiare e successo del bambino in un
intervento di controllo del peso) di Wilfried Pott et al..
Lo studio si è proposto di analizzare se il caregiver e le caratteristiche della famiglia possano
portare successo in un programma di intervento sullo stile di vita familiare per bambini e
adolescenti. I partecipanti furono 111 bambini in sovrappeso e obesi (7-15 anni) e furono valutati il
BMI del bambino e della famiglia, le caratteristiche avversità familiari, la depressione e l'attitudine
all'attaccamento del caregiver primario. Tra i risultati è stato evidenziato un mancato successo
dell'intervento di perdita di peso nei bambini più grandi, nei casi con fratelli obesi, con depressione
materna e attitudine di scarso attaccamento. Per andare incontro a queste specifiche necessità ed
evitare il rischio di fallimento dell'intervento, appare necessario fornire un supporto speciale a
queste categorie di adolescenti.
Infine per quanto concerne il ruolo della scuola nell'intervenire sullo stile di vita, la review
pubblicata su Il giornale americano di nutrizione clinica nell'anno 2012:
"Effectiveness of preventive school-based obesity interventions in low and middle-income
countries: a systematic review"
(Efficacia degli interventi di prevenzione dell'obesità nelle scuole di paesi a basso e medio reddito:
una revisione sistematica) di Verstraeten R. et al..
La revisione si è proposta di esaminare sistematicamente le evidenze sull'efficacia degli interventi
scolastici destinati al comportamento alimentare e/o attività fisica per la prevenzione primaria
dell'obesità nei bambini e negli adolescenti di età compresa tra 6-18 anni nei paesi a basso e medio
reddito. La maggior parte degli interventi (82%) ha avuto un effetto positivo sul comportamento
alimentare e sull'attività fisica, attraverso attività educative integrate nel curriculum scolastico.
In conclusione si è notato che gli interventi scolastici possono potenzialmente prevenire obesità e
sovrappeso nei paesi a basso e medio reddito. Sulla base di questi risultati, si può concludere che la
prevenzione dell’obesità nella scuola è possibile se vengono condotti programmi limitati alla
combinazione della promozione dell’attività fisica con la corretta alimentazione.
In generale, quindi, i programmi svolti nella scuola sono quelli che presentano maggiori risultati
positivi; inoltre, quei programmi che coinvolgono la famiglia, che esaminano la modifica dei
comportamenti e l’attività fisica hanno avuto un’efficacia maggiore.
50
Altri fattori legati all'obesità
Per concludere la mia attenzione si è focalizzata su ulteriori determinanti alla base dell'eccesso
ponderale e su quanto spiccata possa essere la loro influenza.
Pubblicato su Public Health Nutritionnel 2012 da Chrisa Arcan et al. della Divisione di
Epidemiologia e Comunità di Salute, Università del Minnesota (USA)
“Associations of home food availability, dietary intake, screen time and physical activity with
BMI in young American-Indian children”
(Associazione tra disponibilità di cibo in casa, apporto dietetico, tempo davanti alla tv, attività fisica
con BMI nei bambini indio-americani)
Lo studio è stato stato pubblicato, con l'obiettivo di valutare le associazioni tra i fattori ambientali
domestici e il BMI dei bambini indio-americani del Sud Dakota.
È stata utilizzata un'analisi multi variata per esaminare le associazioni tra categorie di BMI dei
bambini (normale, sovrappeso e obeso), la disponibilità di cibo in casa, l'apporto dietetico nei
bambini e l'attività fisica. Le analisi sono state adattate per età, sesso, stato socio-economico, BMI
dei genitori e scuola. Sono stati presi in esame 424 bambini dell'asilo (51% maschi; età media 5
anni,30sovrappeso/obesi) e caregivers (89% femmine; 86% in sovrappeso/obeso), i quali avevano
misurato la loro altezza e peso e i caregivers avevano completato dei sondaggi sui fattori ambientali
domestici (al momento iniziale e due anni più tardi). Nei risultati è emerso che una maggiore
assunzione di fast-food e uno scarso interesse verso l'attività fisica da parte dei genitori erano
associati con una più alta probabilità che i bambini fossero sovrappeso ed obesi. Un'alta
disponibilità di verdura e cibi salutari era associata ad un peso normale ed alla bassa probabilità di
essere sovrappeso ed obesi.
Da altri studi inoltre era già emersa la correlazione tra il numero di ore trascorse davanti alla tv e
l'aumento del BMI dei bambini. I risultati indicano che gli aspetti selezionati dell'ambiente
domestico sono associati con il peso dei bambini indio-americani e che gli interventi contro obesità
in questa popolazione dovrebbero considerare un supporto ai genitori ad impegnarsi, insegnare
comportamenti salutari ed aumentare la disponibilità di cibi salutari in casa.
Pubblicato sul giornale polacco Med Wieku Rozwoj, nel 2006,
“Simple obesity in children. A study on the role of nutritional factors”
(Obesità semplice nei bambini. Uno studio sul ruolo dei fattori nutrizionali) di H. Weker,
Lo studio ha avuto lo scopo di esaminare l'efficacia del trattamento dietetico nei bambini con
obesità semplice, sulla base di un'analisi approfondita del loro stato di nutrizione, del metodo di
alimentazione e abitudini alimentari e l'impatto di altri fattori ambientali. Quattro ipotesi sono state
confermate dai risultati dello studio: a) l'obesità semplice dei bambini è influenzata da fattori
ambientali selezionati, come il livello di istruzione dei genitori, l'inclinazione familiare all'obesità e
le abitudini salutari; b) un programma di trattamento dietetico scelto e accettato dal bambino e/o dai
caregivers nella forma di una dieta ipocalorica con elementi a basso indice glicemico si traduceva in
una perdita di massa corporea nei bambini; c) il trattamento dietetico implementato si traduceva
51
nella modificazione delle caratteristiche antropometriche; d) il trattamento dietetico implementato
determinava un aumento degli indicatori del metabolismo lipidico.
La ricerca, diretta dall'Unità di Gastroenterologia ed Endocrinologia dell'Istituto di Madre e
Bambino, ha riguardato 236 bambini che vivevano nella regione Mazowsze con diagnosi di obesità
semplice, che accettarono di partecipare a un programma di ricerca di dieci settimane. Lo stato di
nutrizione è stato valutato con 8 caratteristiche di base e 5 parametri antropometrici e indicatori
biochimici del metabolismo dei carboidrati e grassi, prima e dopo l'inizio del trattamento dietetico. I
principali fattori di rischio per l'obesità semplice nei bambini esaminati di età compresa tra 3-15
anni sono le condizioni familiari e ambientali. Una correlazione significativa è stata trovata tra
l'obesità dei bambini espressa dal BMI, non legato ad età e sesso, e il livello di istruzione della
madre e l'obesità del padre. Una correlazione positiva è stata dimostrata tra l'elevato BMI dei
genitori e gli alterati parametri antropometrici dei bambini.
Pubblicato su Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics, 2012, Università di San
Diego.
“Parent Support and Parent-Mediated Behaviors Are Associated with Children's Sugary
Beverage Consumption”.
(Supporto genitoriale e comportamenti mediati dal genitore sono associati con il consumo di
bevande zuccherine da parte dei bambini) di Nanette V. Lopez et al.,
Il consumo di bevande zuccherate è stato identificato come un fattore contribuente all'obesità
infantile. Gli studi hanno esaminato l'importanza di pratiche genitoriali specifiche per il consumo di
bevande nei bambini. Tra i partecipanti, 541 bambini, di età compresa tra 5-8 anni, e i loro genitori.
I genitori hanno completato un sondaggio che fornisse informazioni sul regime alimentare dei loro
figli, così come sulle pratiche genitoriali. Il consumo di bevande zuccherate per bambini ha incluso
soda non dietetica, bevande zuccherate non gassate e bevande sportive.
Il supporto dei genitori e i comportamenti mediati dai genitori, tra cui il tempo totale davanti alla tv
e il mangiare nei fast-food con cadenza settimanale, sono stati associati con un maggiore consumo
di bevande zuccherate nei bambini. Incoraggiare i caregivers a promuovere comportamenti
alimentari sani e a guidare verso scelte sane, limitando l'uso da parte dei bambini della televisione e
del computer e riducendo il consumo nei fast-food, può contribuire alla diminuzione del consumo di
bevande zuccherate tra i bambini davanti alla tv e il mangiare nei fast-food con cadenza settimanale,
sono stati associati con un maggiore consumo di bevande zuccherate nei bambini.
Valorizzazione dell'Educazione Alimentare in Italia
Dal punto di vista etico ci troviamo perfettamente in accordo con le Linee Guida per
l'Educazione Alimentare nella Scuola Italiana del 22 settembre 2011 (M. Gelmini).
Le rilevazioni effettuate in questi anni indicano come crescano nella popolazione giovanile i
problemi legati a cattive abitudini alimentari e alla pratica di stili di vita poco sani: dal 1990 a oggi
si è verificato un allarmante aumento del numero di giovani in sovrappeso o con problemi di
obesità, e la cifra sembra destinata ad aumentare anche negli anni a venire, a meno di forti ed
efficaci interventi educativi. La diffusione di sovrappeso e obesità tra i più giovani è
52
particolarmente preoccupante se si pensa alle future implicazioni socio sanitarie legate al
prevedibile incremento delle malattie cronico-degenerative connesse a questi stati.
In tale contesto è fondamentale sottolineare come l'attività fisica, nel complesso composta
tanto dall'attività motoria quanto da quella sportiva, sia essenziale per il mantenimento di un buono
stato di salute. Aiutando l'organismo a consumare l'energia introdotta con gli alimenti e, quindi, a
tenere sotto controllo il peso corporeo, favorisce il sano sviluppo e il buon funzionamento
dell'apparato locomotore, cardiovascolare e respiratorio.
Tuttavia, poichè lo stile di vita delle società tecnologicamente avanzate è caratterizzato da un
progressivo aumento della sedentarietà, lo sforzo fisico e il movimento sono sempre più contenuti.
Di conseguenza, la spesa energetica giornaliera del nostro organismo continua a ridursi,
avvicinandosi sempre più al solo metabolismo basale, mentre i consumi alimentari restano invariati
o aumentano. Il risultato di questa tendenza è particolarmente rischioso per la salute.
Oltre al sovrappeso e all'obesità infantili, sono da considerare con preoccupazione quelle
forme di disturbi del comportamento alimentare che si manifestano soprattutto in età
adolescenziale, come la bulimia e l'anoressia, causate da disagi psicologici che producono un
rapporto patologico col cibo.
Negli ultimi anni, a fronte di un peggioramento delle condizioni di salute e nutrizione dei
giovani, il modello alimentare italiano ha subito una trasformazione che ha visto un lento evolversi
da un consumo di tipo soprattutto "quantitativo", tipico degli anni '70 e '80, verso un consumo più
consapevole che si orienta maggiormente verso una scelta "qualitativa", espressione di una
maggiore sensibilità, selettività e diversificazione nei comportamenti individuali.
Questa evoluzione, in prevalenza ancora a livello embrionale, è attribuibile principalmente
alla crescente attenzione verso valori riscontrabili nell'ambito dei sistemi produttivo e di consumo
che privilegiano cibi sani, eticamente connotati, ricchi di tradizione culturale e fortemente legati al
territorio e al suo rispetto.
Espressioni come certificazione di qualità, tracciabilità di filiera, sicurezza e tipicità alimentare,
sostenibilità ambientale, trovano sempre più spazio nella filiera socioculturale nel moderno e attento
consumatore italiano.
Tuttavia, nonostante questi segnali positivi, le nuove generazioni devono confrontarsi ogni
giorno con fattori di trasformazione sociale che condizionano fortemente e negativamente i
comportamenti alimentari e le scelte fatte a tavola. Tra questi fenomeni ricordiamo per esempio:
• la destrutturazione della preparazione dei pasti, che si manifesta nella ricerca e nel consumo di
alimenti ready to cook e ready to eat.
In quest'ottica, la scelta alimentare privilegia quei prodotti che dispongono di un buon contenuto di
servizio e sono adattati a essere consumati istantaneamente
rispetto ad alimenti freschi che necessitano di una preparazione come verdura, carne o pesce;
• la destrutturazione della giornata alimentare, che si manifesta frantumando il ritmo
tradizionale, colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena, e moltiplicando le occasioni di consumo
istantaneo e sregolato di alimenti reperibili in ogni ora del giorno, in ogni stagione e in ogni
53
situazione, ma spesso di inadeguata qualità nutrizionale e a forte impatto ambientale;
• la diffusione dei pasti fuori casa, con la ristorazione sociale e commerciale, che delega alle
aziende di gestione pubbliche e private il compito di scegliere qualità, abbinamenti e porzionature
dei cibi di tutti i giorni, accentuando nei fruitori una inevitabile passività rispetto ai modelli di
consumo e agli stili alimentari.
Oggi occorre riesaminare l'alimentazione italiana nella sua globalità, riportando in primo
piano lo storico denominatore comune della pratica alimentare conviviale, semplice, misurata,
economica e naturale che da sempre si sviluppa nella famiglia ed è collegata alle vocazioni del
territorio, alle stagioni, alla possibilità di proteggere la propria salute e di godere consapevolmente
di un benessere personale e collettivo.
Tutto ciò coinvolgendo non solo i giovani ma l'intera popolazione nello sforzo di intrecciare e
riannodare i "fili" che collegano i valori del paesaggio, con quelli scientifici e tecnologici delle
filiere agroalimentari, dei saperi nutrizionali e delle abilità gastronomiche, con le storie alimentari
delle famiglie e le tradizioni del territorio.
BIBLIOGRAFIE E RIFERIMENTI
Arcan C., Hannan P.J., Fulkerson J.A., Himes J.H., Holy Rock B., Smyth M. and Story M.,
Associations of home food availability, dietary intake, screen time and physical activity with BMI in
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overweight/obesity: results from the 'Quebec en Forme' Project, Int J Obes (Lond), 2006;
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http://www.nutrizionesport.com/attivita e fisica,salute, invecchiamento.html)
55
APPENDICE 2
Un esempio di progetto di promozione della salute - Il progetto PRO.MUOVI SAPERI E
SAPORI.
Quest’anno per il quarto anno consecutivo l’ASL TO 4 ha inserito nel proprio catalogo dell’offerta
dei progetti di Promozione della Salute il progetto PRO.MUOVI SAPERI E SAPORI. I progetti
inseriti nel Catalogo seguono alcuni criteri fondamentali: tengono conto dei bisogni di salute dei
destinatari, sono basati su programmi in grado di agire favorevolmente sugli elementi che li
determinano e utilizzano metodi e buone prassi considerati efficaci dalla letteratura scientifica.
Questi progetti hanno bisogno, per essere pienamente compiuti, della partecipazione attiva degli
stakeholder e dei destinatari e sono una proposta che vuole anche essere un invito a costruire
insieme strategie e prospettive di sistema attraverso l’integrazione delle attività e una proposta per
lo sviluppo di interventi di co-progettazione e di alleanza per la salute.
Fin dal 1947 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito la salute come “uno stato
di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non una mera assenza di malattie o infermità”,
sottolineando così il concetto di pluridimensionalità della salute per il cui raggiungimento è
necessario che vi sia interazione tra aspetti fisici, mentali e sociali.
La Carta di Ottawa per la Promozione della Salute del 1986 definisce la promozione della salute
come un processo “che mette in grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di
migliorarla. Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo
o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i
propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte”7.
La salute come detto nella Carta è realizzata e vissuta dalla persone all’interno degli ambienti della
vita quotidiana di tutti noi: dove si studia, si lavora, si gioca e si ama.
La promozione della salute va oltre la semplice assistenza sanitaria e richiede un’attività coordinata
di tutte le strutture e i soggetti coinvolti. Vi devono essere interventi diffusi di informazione ed
educazione alla salute che garantiscano una reale partecipazione dei cittadini e della comunità.
L’educazione alla salute si configura come una complessa operazione che deve tener conto del
contesto nel quale agisce e deve essere in grado di stimolare la potenzialità dei cittadini , fornendo
loro gli strumenti più idonei sia per aumentare il controllo della propria salute per migliorarla, sia
per identificare e realizzare le proprie aspirazioni, sia per soddisfare i propri bisogni e cambiare
l’ambiente rendendolo più vivibile e salutare.
7
La Carta di Ottawa per la Promozione della Salute. The Ottawa Charter for Health Promotion, 1°
Conferenza Internazionale sulla promozione della salute, 17-21 novembre 1986, Ottawa, Ontario,
Canada.
56
Proprio in quest’ottica e con queste premesse è stato pensato il progetto PRO.MUOVI SAPERI E
SAPORI.
Articolazione del progetto.
Il progetto si sviluppa attraverso i seguenti momenti:
1) una riunione preliminare, tenuta dagli operatori del gruppo di progetto, con gli insegnanti
aderenti, per la condivisione della metodologia e dei contenuti:
-
promozione della salute nella comunità scolastica sui temi alimentazione e attività fisica;
promozione della cittadinanza attiva;
osservazione da parte degli studenti del loro contesto di vita attraverso un questionario
allegato 1(scuola, casa, tempo libero, …);
- individuazione, in collaborazione con gli insegnanti, di bisogni e aree di miglioramento in
relazione allo stato di benessere (con particolare riferimento all’alimentazione ed all’attività
fisica);
- Sviluppo da parte del gruppo classe di un progetto di miglioramento, in collaborazione con
la comunità locale (es: miglior utilizzo degli spazi interni alla scuola destinati all’attività
fisica; riduzione degli sprechi nella mensa scolastica, organizzazione/recupero di aree verdi
limitrofe all’Istituto Scolastico per l’attività fisica….);
2) un intervento nelle singole classi aderenti per presentare il progetto ai ragazzi e condividere con
loro un’indagine di salute per realizzare, con l’aiuto degli insegnanti, un’analisi del loro contesto di
vita. Tale lavoro costituirà il punto di partenza per progettare interventi atti a migliorare la propria
situazione in tema di benessere. Restituzione del lavoro svolto ed individuazione dell’obiettivo di
cambiamento;
3) incontri di approfondimento/supporto metodologico nei singoli plessi scolastici sui temi
alimentazione/attività fisica, promozione delle life skills; tali incontri sono aperti ad insegnanti e
genitori di tutto l’istituto scolastico partecipante al progetto;
4) elaborazione dei progetti individuati dai ragazzi. Monitoraggio a cura degli operatori
dell’ASLTO4, attraverso un sostegno locale con interventi puntuali nel corso dell’anno con
insegnanti e classi;
5) presentazione dei lavori prodotti dai ragazzi degli Istituti partecipanti in un evento conclusivo,
con valutazione di una giuria di esperti.
La partecipazione al progetto è gratuita; l’ASL TO 4 si impegna a promuovere e a sostenere con i
decisori locali i progetti di miglioramento prodotti dai ragazzi.
Il progetto rappresenta un’occasione formativa per gli insegnanti, perfettamente integrabile nel
corso della normale programmazione scolastica,per promuovere sia la corretta alimentazione
sial’incremento dell’attività fisica.
Ai docenti vengono proposti alcuni incontri di approfondimento/confronto con esperti dell’ASL
TO4 (6-8 ore) e l’articolazione di un percorso ricco di spunti e di materiali didattici con cui gli
stessi possono acquisire elementi utili per guidare i loro studenti nell’analisi dei propri bisogni e
sostenerli nel loro ruolo di “cittadini attivi”, attraverso lo sviluppo di progetti di miglioramento che
potranno essere proposti alla comunità quali ad esempio:
57
-il miglioramento della qualità del servizio di ristorazione scolastica
-un più proficuo utilizzo di spazi interni alla Scuola utili all’attività fisica
-il censimento, l’organizzazione e/o il recupero di aree verdi limitrofe all’Istituto
scolastico da destinare all’attività fisica
-lo sviluppo di percorsi pedonali o ciclabili “sicuri” casa-scuola
L’ASL si impegna a promuovere e a sostenere con i decisori locali i progetti di miglioramento
prodotti dai ragazzi.
I lavori prodotti durante l’anno scolastico dai ragazzi degli Istituti partecipanti vengono presentati
in un evento conclusivo e valutati da una giuria di esperti. La partecipazione al progetto è gratuita
Analisi di contesto
I dati della sorveglianze Okkio alla salute 2008 e 2010 evidenziano come il soprappeso e l’obesità
nella popolazione infantile costituiscano un problema importante di salute pubblica: nell’indagine
2010, tra i bambini della Regione Piemonte l’8% risulta obeso e il 19% è in sovrappeso (nell’ASL
TO4 8% obesi e 18% sovrappeso). Se riportiamo la prevalenza di obesità e di soprappeso
riscontrata in questa indagine a tutto il gruppo di bambini di età 6-11 anni, il numero di bambini
sovrappeso e obesi nella nostra Regione sarebbe pari a 61.327, di cui obesi 17.968.
Inoltre dallo studio Hbsc ( dati 2009-2010) si evidenzia una significativa riduzione dell’attività
fisica già nel gruppo dei 15 enni rispetto a quelli degli 11 e 13 anni . La presenza di dati elevati di
soprappeso/obesità e di riduzione dell’attività motoria nei giovani accompagnati dall’assenza di
interventi efficaci e tempestivi a livello di comunità , espongono questa fascia di popolazione a una
serie di rischi ( cardiopatie, diabete, ecc). La letteratura scientifica segnala sempre più chiaramente
che gli interventi efficaci sono quelli integrati (che vedono la partecipazione della scuola, degli
operatori della sanità ,delle famiglie e della comunità nel suo insieme ), multicomponente (che
promuovono la sana alimentazione ma anche l’attività fisica, la diminuzione della sedentarietà, il
coinvolgimento dei genitori) e continuativi.
Sul territorio aziendale dell’ASL TO4 , che comprende 177 comuni e una popolazione totale di
516.000 residenti e si estende a nord della cintura torinese verso la Valle d’Aosta, sono state
realizzate negli ultimi anni significative esperienze in tema di educazione alimentare e promozione
dell’attività fisica in collaborazione con le scuole , rispettivamente : “Meno grassi più sani “
,“Bambini in movimento”,“Mens sana in corpore sano” , “Ali…movi…mentazione” , “Proteggiamo
la salute” , laboratorio di progettazione Insieme per la salute .
Obiettivo generale
Promuovere il benessere e la salute dei ragazzi con particolare riferimento all’alimentazione e
all’attività fisica; promuovere in loro l’esercizio della cittadinanza attiva.
 Sostenere la collaborazione tra Scuola e Sanità per il potenziamento delle abilità cognitive,
socio affettive e comunicative (life skills) nei giovani;
58
 fornire agli insegnanti strumenti operativi utili a sostenere negli studenti l'apprendimento di
competenze trasversali e favorire il loro coinvolgimento diretto nei processi decisionali (
cittadinanza attiva );
 ampliare la rete delle “Scuole che promuovono Salute “attivando processi di cambiamento
in sinergia tra Scuola, Sanità , Famiglie e Comunità.
Obiettivi specifici



supportare gli insegnanti al fine di renderli una guida competente per gli studenti in tema di
promozione della salute nella comunità scolastica;
analisi del contesto eseguita dai ragazzi con la collaborazione degli insegnanti;
progettazione di un intervento teso a migliorare aspetti del contesto di vita.
Destinatari
Studenti, insegnanti delle scuole secondarie di I° e II° grado e genitori.
Metodi e strumenti
Costituzione di gruppi di lavoro integrati tra insegnanti, operatori sanitari e genitori ;
elaborazione di una progettazione congiunta tra insegnanti di ciascun Istituto, usufruendo della
collaborazione di professionisti dell’ASL , per attivare con gli studenti percorsi didattici orientati
alla promozione di corretti stili di vita in tema di alimentazione e attività fisica;
realizzazione di attività didattiche in orario curricolare ed inserimento del progetto nel P.O.F;
realizzazione dell’evento finale coinvolgendo attivamente gli studenti nella presentazione delle
attività /e o dei materiali didattici prodotti durante l’anno scolastico.
Le attività si sviluppano secondo il modello di progettazione dell’empowerment di comunità.
Attuazione e primi risultati.
Nell’anno scolastico in corso, 2014- 2015, hanno aderito cinque scuole secondarie di I grado, dei
comuni di Brandizzo, Cafasse, Castellamonte, Leinì e Settimo Torinese per un totale di dodici classi
e due scuole secondarie di II grado dei comuni di Ivrea e Lanzo per un totale di 3 classi.
Gli operatori della ASL TO 4 hanno effettuato un intervento in ogni singola classe che ha aderito al
progetto.
Traccia dell’intervento nelle classi
Gli operatori sono introdotti nelle classi dall’insegnante di riferimento, si presentano dicendo chi
sono e a quale servizio appartengono ( ASL TO 4, SSD Promozione della Salute)
Presentano il progetto: si inizia con un’analisi del contesto da parte dei ragazzi, a partire da ciò si
individuano bisogni e le aree di miglioramento; i ragazzi sceglieranno su cosa lavorare ed
elaboreranno un progetto.
Il gruppo di lavoro dell’ASL TO 4 monitorerà i lavori nel corso dell’anno. Alla fine dell’anno
scolastico vi sarà la presentazione del progetto con un evento finale.
Il progetto dovrà affrontare la salute della comunità scolastica partendo dai ragazzi, dalle loro
opinioni.
59
I ragazzi saranno chiamati a cercare una sintesi tra salute e cittadinanza attiva. Anche loro sono
cittadini, devono riscoprire ed esercitare il loro potere di cittadini, fin da quest’ età.
I ragazzi sono chiamati a progettare un intervento che parte sempre dell’individuare un bisogno.
Viene spiegato il percorso in termini di Spirale della Progettazione:
1. Analisi dei bisogni/indagine;
2. Definizione di che cosa vogliamo cambiare, partendo da ciò che è emerso dall’indagine
3. Programmazione dell’intervento
L’intervento ha avuto una durata media di due ore, in classe era presente anche l’insegnante che
seguirà i ragazzi nella progettazione dell’intervento.
All’indagine di salute distribuita in classe (allegato 1) hanno risposto 180 ragazzi delle scuole
secondarie di primo grado e 54 ragazzi delle scuole secondario di secondo grado.
I risultati sono stati raccolti dopo due settimane dall’intervento in classe.
La scheda indagine di salute è suddivisa in due parti, scuola e individuale. Per la prima parte è stato
lasciata libertà di compilazione, i ragazzi potevano utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per
analizzare il loro contesto e la restituzione è avvenuta tramite elaborati, fotografie e cartelloni, la
parte individuale doveva essere compilata in forma anonima e veniva lasciata la più ampia libertà di
risposta.
L’indagine di salute ha il compito di aiutare i ragazzi ad analizzare il contesto che li circonda. Deve
sollecitare domande come:
 Cosa possiamo fare noi per migliorare la qualità della nostra vita quotidiana, per stare bene
nei contesti in cui ci muoviamo (scuola, casa, ambiti di socializzazione..)?
 Quali sono i nostri bisogni e le nostre necessità, cosa vorremmo migliorare o quali nuove
opportunità vorremmo costruire per migliorare il nostro stile di vita, per trascorrere le nostre
giornate all’insegna di un maggior benessere e per sentirci a nostro agio nel territorio in cui
viviamo?
A partire dai dati emersi dall’indagine e che verranno restituiti in classe dagli operatori dell’ASL
TO 4 i ragazzi dovranno co-progettare un miglioramento sostenibile nel loro contesto di vita.
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education, Trento, Erickson, 2002.
Allegato 1
INDAGINE SULLA NOSTRA SALUTE
TEMA: salute e stato di benessere (in relazione ad alimentazione ed attività fisica)
Se siamo d’accordo sul valore che abbiamo condiviso, osserviamo la realtà nella quale viviamo e ci
muoviamo, con la consapevolezza di ciò che può contribuire a determinare il nostro stato di salute e
benessere. Proviamo ad “indagare” alcuni aspetti della nostra quotidianità, che ci aiuteranno a
capire cosa ci soddisfa e cosa non ci soddisfa.
Provate a discuterne come gruppo classe, con il supporto dell’insegnante, seguendo la traccia
contenuta nella “scheda di classe”; tenete conto che il vostro lavoro dovrà essere la sintesi delle
riflessioni collettive e rappresentare il gruppo.
E’ possibile documentare il “percorso” che vi invitiamo a compiere con foto, video, produzioni
grafiche ed ogni altro elemento che la vostra creatività vi suggerisce….buon lavoro!
SCHEDA DI CLASSE
SCUOLA
1) All’interno del vostro istituto scolastico quanti e quali spazi ci sono riservati all’attività
fisica?
Cosa vi piace/non vi piace di quegli spazi?
2) Quali altre attrezzature vi piacerebbe avere e quali altre attività vorreste svolgere nello
spazio palestra (diverse dalle attuali)?
3) Esistono degli spazi esterni dove giocare o svolgere attività motorie durante l’intervallo?
4) Vi piacerebbe utilizzare la scuola per attività ludico-ricreative nel tempo extrascolastico? A
Che attività pensate?
5) Esistono nei pressi della scuola spazi pubblici o oratori adibiti all’attività motoria (gioco
libero, campi di calcio, pallavolo, basket, tennis…)? Se non ce ne fossero, vi piacerebbe
averne?
6) Esiste una mensa scolastica? Se non c’è, dove e cosa mangiate?
7) Quante volte alla settimana utilizzate la mensa scolastica?
8) Vi piacciono i cibi proposti? Perché.
9) Descrivete le relazioni tra compagni nella classe, cosa vi piace di più e cosa vi piace di
meno.
10) Descrivete delle occasioni in cui passate il tempo libero con i compagni di classe
SCHEDA INDIVIDUALE
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Questa parte della nostra indagine è in forma anonima; verrà compilata individualmente da ogni
singolo partecipante e consegnato all’insegnante. Ciascun lavoro individuale sarà un contributo
importante ai fini dell’indagine collettiva.
CASA/TEMPO LIBERO
1) Svolgi attività fisica in orario extrascolastico? Racconta che cosa fai e per quanto tempo
nell’arco della settimana.
2) Prova a pensare ai tuoi spostamenti durante la giornata e racconta come avvengono (a piedi,
in macchina, in bici, in autobus….) e dove vai.
3) Passi del tempo a giocare all’aria aperta (cortile, giardini pubblici, parchi, oratorio…)?
Secondo te quante ore nell’arco di una settimana?
4) Pensa al tempo libero che hai a casa e a quanto ne passi al giorno davanti alla televisione,
videogiochi, computer, cellulare…raccontaci se hai dei limiti imposti dai genitori, se sei
libero e ti autogestisci, cosa ti appassiona di più.
5) Consumi uno o più spuntini nell’arco della mattinata, di che tipo e in che quantità (frutta,
merendine, focacce…)?
6) Chi ti prepara le merende che porti a scuola? Ti piacciono? Ti piacerebbe mangiare
qualcos’altro?
7) Parlaci di dove consumi i tuoi pasti e con chi, quando non mangi a scuola
8) Fai la prima colazione? Che alimenti consumi?
9) Fai un esempio del tuo pasto tipo, consumato non a scuola.
10) Stai bene nella tua classe? Cosa ti piace e cosa non ti piace?
11) Raccontaci se inviti dei compagni di classe a casa e come decidete di passare il tempo.
Per l’elaborazione dell’appendice 2 la candidata ringrazia il Gruppo di Lavoro dell’ASL TO 4.
Dott. Giorgio Bellan, Responsabile del SSD Promozione della Salute, dott. ssa Carla Francone,
Dirigente medico, dott.ssa Maria Franca Dupont, Responsabile SS Sorveglianza e Prevenzione
nutrizionale, dott. ssa Sonia Mazzetto, educatrice professionale, SSD Promozione della Salute.
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