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1. damien hirst . . . . . . . . . . . . . . . . 4 2. gallerie, collezionisti e

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1. damien hirst . . . . . . . . . . . . . . . . 4 2. gallerie, collezionisti e
INDICE
INTRODUZIONE
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1.
DAMIEN HIRST
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2.
GALLERIE, COLLEZIONISTI E ARTISTI DI BRAND:
IL PERCORSO DI HIRST
3.
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2
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4
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45
L'ASTA PRESSO SOTHEBY'S, IL CATALOGO
E LE DINAMICHE DI ASTA
BIBLIOGRAFIA
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101
1
INTRODUZIONE
L'applicazione esagerata di metodologie e tecniche importate dalla pura economia
ha trasformato l'arte, appiattendo e massificando il gusto e conformando la fruizione
delle opere a quella di qualunque altro prodotto di largo consumo. La peculiarità
dell'approccio personale, la riflessione intimistica dell'individuo sono ciò che l'arte
chiede ai suoi fruitori, sono ciò che distingue l'opera d'arte da qualsiasi altro bene il cui
valore è strettamente economico. Le nuove modalità del mercato artistico, se pur
riescono egregiamente a proteggere l'interesse degli artisti (e degli altri attori della
medesima compagine) che ne sfruttano le potenzialità e che sono divenuti protagonisti
del sistema contemporaneo dell'arte, hanno sempre più dilatato le proprie influenze, fino
ad intromettersi eccessivamente su ciò che dovrebbe rimanere distinto da ogni variabile
speculativa e che in passato rappresentava la purezza dell'arte: il valore estetico e
intrinseco dell'opera.
In un contesto in cui anche il gusto è vendibile, l'arte si trasforma in merce
scambiabile e le variabili economiche, che divengono la trama principale del tessuto
artistico, operano in una logica di business.
L'obiettivo della trattazione è quello di mettere in luce i meccanismi che oggi
regolano il mercato dell'arte contemporanea e chi ne muove le redini e il proposito è
raggiungibile esplorando e analizzando l'artista che ne è il protagonista in assoluto:
Damien Hirst. Per poter comprendere il personaggio in modo più approfondito, è stato
necessario cominciare dalla sua biografia, fin dai suoi esordi quando era ancora uno
studente, per arrivare ai giorni nostri, un excursus della sua carriera che aiuta a
focalizzare il ruolo che Hirst riveste nel contesto del mercato contemporaneo dell'arte.
L'asta presso la casa d'aste Sotheby's svoltasi nei giorni 15-16 settembre 2008 è
l'emblema ideale dell'attuale funzionamento del sistema artistico e fornisce una chiave
di lettura per capire in che modo le quotazioni siano esplose al rialzo e perché subiscano
ormai da decenni una continua crescita. L'asta ha scardinato alcuni dei meccanismi
2
chiave che sono a fondamento del sistema dell'arte, primo dei quali l'esigenza del
mercato di comunicare con l'artista tramite un mediatore, come può esserlo la galleria.
Hirst ha infatti venduto direttamente all'asta, senza mediazione, ma non è chiaro se
questo evento inciderà sul futuro delle aste e quindi su una buona parte del mercato
dell'arte contemporanea, perché è una peculiarità che pochi possono permettersi.
Ad oggi Damien Hirst è il più importante artista vivente, per molti aspetti lo sarà
anche per la storia dell'arte e se il concetto di bello o brutto, di piacevole o repulsivo per
un'opera è soggettivo, soprattutto per l'arte concettuale, facilmente interpretabile è
invece l'aspetto del marketing e della pubblicità ed è universalmente riconoscibile
l'operazione pubblicitaria che accompagna i più importanti artisti contemporanei.
Damien Hirst, dunque, non solo è il più importante artista vivente, ma è anche uno
dei più emblematici prodotti pubblicitari di questi anni.
3
CAPITOLO I
1.
DAMIEN HIRST
E volevo essere famoso. Volevo essere un artista famoso. L'arte è più importante dei soldi. Però ci
serve molto più potere di quello che abbiamo grazie ai soldi.1
DAMIEN HIRST
Damien Hirst è un artista inglese,
nato il 7 giugno del 1965 a Bristol, nella
regione meridionale dell'Inghilterra. Poco
dopo la nascita si trasferì insieme alla
madre (Mary Brennan) a Leeds, dove
passerà gran parte della sua giovinezza e
dove seguirà un corso alla Leeds School of
Art.
“Sono rimasto per due anni a
spasso, guardavo in giro, facevo dei
lavoretti.
Appena
finita
la
scuola
superiore avevo fatto domanda al St.
Martin, però non mi hanno preso. Avevo
un
amico,
Marcus
Harvey,
Damien Hirst
che
frequentava il Goldsmiths College. Per
due anni avevo passato in rassegna tutti i college, ma a quel punto era ridicolo
decidere se fare pittura o scultura, perché facevo di tutto. Quindi pensai che il
Goldsmiths fosse il posto adatto a me.”2
1
D. Hirst e G. Burn, Manuale per giovani artisti: l'arte raccontata da Damien Hirst, Postmedia books, Milano
2004, p. 71.
2
Ivi, p. 16.
4
Dopo la scuola superiore a Leeds, dunque, riuscì nel 1986 ad iscriversi al corso di
BA Fine Art al Goldsmiths College di Londra, dopo aver tentato inutilmente l'accesso al
St. Martin, college di Arte e Design sempre nella capitale inglese. Si diplomò nel 1989.
Il Goldsmiths College in quegli anni aveva un programma di studi che non prevedeva
distinzione tra pittura e scultura e non era requisito fondamentale saper dipingere o
disegnare, “tu vai lì e fai quello che ti pare, è questo il motivo iniziale che mi ha spinto
ad andarci”3.
Durante il secondo anno di college, nel 1988, organizzò Freeze, una mostra
allestita in un deposito nella zona portuale di Londra, nella zona di Docklands. Alla
mostra parteciparono, oltre ad Hirst, diciassette studenti suoi colleghi al Goldsmiths,
l'artista di Leeds si occupò dell'intera gestione dell'esibizione, ricercò gli sponsor e lo
spazio espositivo, scelse lui stesso le opere da esporre e curò il catalogo e
l'inaugurazione. In quel periodo (per circa un anno) lavorava presso la galleria Anthony
d'Offay e fu determinante per la nascita di Freeze, perché fu in galleria che Hirst capì i
cosiddetti trucchi del mestiere.
“Imballavo i quadri e li appendevo in galleria. Così avevo visto il mondo dell'arte
da quel punto di vista. In un certo senso mi piaceva tutto questo. In quel periodo vivevo
con Hugh, un mio amico di Leeds, che lavorava con me. Un giorno mi telefonò
dicendomi che stava pensando di organizzare una mostra. Chiedeva la mia opinione,
perché voleva fare una mostra a Leeds con altri artisti. […] Ma non la fece mai. Così
credo che mi venne l'idea... […]. Al Goldsmiths c'era davvero ottima arte, creata dagli
studenti. Ad un certo punto mi resi conto che quello che si faceva al college era meglio
di quel che vedevo nella galleria dove lavoravo. Mi ero convinto che quegli studenti
fossero fottutamente bravi. Ed ero consapevole, in un certo senso, del fatto che nessuno
di noi sarebbe potuto sopravvivere nel mondo dell'arte così com'era allora. Dunque,
molto semplicemente mi venne in mente di fare una mostra. Scelsi tutte le persone che
già avevano fatto un lavoro brillante. […] Andavo in giro alla ricerca di un posto e
trovai questo vecchio edificio, che non sapevo a chi appartenesse. […] «Avremo
bisogno di denaro». Così domandai loro di finanziarci [ai dirigenti della società a cui
apparteneva l'edificio] Ci dettero una piccola somma, di circa mille sterline. […] Poi
3
Ibidem.
5
recuperai le luci usate da d'Offay, perché lì non c'era luce, mentre in galleria le
avevamo buttate via, abbandonate in una specie di cassonetto. […] A Londra c'erano
due grosse società di sviluppo: c'era la Docklands e un'altra, chiamata Olympia &
Yorke […]. Mi presentai da Olympia & Yorke chiedendo altre diecimila sterline per
fare il catalogo, il che come richiesta poteva suonare un po' troppo azzardata, ma
accettarono. Insomma, chiunque avvicinai mi disse di sì al primo colpo. Così facemmo
il nostro catalogo e poi la nostra mostra, che fu intitolata Freeze”4.
Il lavoro che Hirst portò in esposizione era composto da scatole di cartone
decorate con del lattice. Freeze è considerata la mostra che diede avvio al movimento
degli Young British Artists, di cui Hirst è l'esponente più rappresentativo, il punto di
partenza della carriera artistica di quel gruppo di studenti che hanno rappresentato la
corrente artistica britannica, una vera e propria mostra di auto-promozione. “La classe
del Goldsmiths che partecipò a Freeze- Hirst, Matt Collishaw, Gary Hume, Michael
Landy, Sarah Lucas e Fiona Rae - fu quella che in Gran Bretagna ebbe forse più
successo in ogni tempo in termini di carriera artistica”5.
Nei due anni successivi, nel 1989 e nel 1990, Hirst promosse insieme a due suoi
amici Bellee Sellman e Carl Freedman due mostre collettive: rispettivamente Modern
Medicine e Gambler.
Nella mostra del 1989 furono esposti quattro pannelli con quattro fotografie di medicine
cabinet (comuni nell'opera di Hirst) che vennero anche forate ed etichettate. Gambler,
del 1990, fu allestita nello stesso edificio di Modern Medicine, una fabbrica
abbandonata che chiamarono
Building One, nel quartiere di Bermondsey (zona
meridionale di Londra), ma il contributo di Hirst, inizialmente fu limitato alla sola
organizzazione preliminare, poiché dopo una lite con gli altri due amici l'artista di Leeds
lasciò il progetto e Sellman e Freedman continuarono da soli.
Dopo qualche tempo Hirst fu invitato nuovamente a partecipare, i tre tornarono a
collaborare e l'artista contribuì alla mostra con una serie di lavori con mosche (i fly
piece), di cui la più importante fu un'opera diventata in seguito tra le più celebri del suo
4
E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo archeologico nazionale,
Electa, Napoli 2004, p. 55.
5
D. Thompson, Lo Squalo da 12 milioni di dollari, Mondadori, Milano 2009, p. 87.
6
lavoro: A Thousand Year (Un
migliaio
di
anni),
“una
rappresentazione della vita e
della morte nella quale delle
larve di mosca venivano fatte
schiudere in una vetrina e poi
spinte
a
superare
una
separazione di vetro dalla
presenza di una testa in
decomposizione
di
mucca.
venivano
Infine
una
fulminate a metà del loro
tragitto”6.
Damien Hirst, A Thousand Year, 1990
seguire
della
Era
possibile
l'intera
evoluzione
decomposizione,
il
visitatore poteva tornare a guardare l'opera qualche giorno dopo e avrebbe trovato uno
scenario diverso, la testa sempre più scarna e smunta e il cumulo di mosche sempre più
grande. Per la costruzione dell'opera Hirst si rivolse ad un fabbricatore, non la costruì
lui personalmente (come farà per le altre opere in teca) ma fece solo un modellino in
scala in cartone e lavorò preliminarmente sugli elementi.
L'idea del fly piece deriva anche dalla volontà di Hirst di utilizzare il vetro come
elemento della composizione: “ho sempre amato i quadri di Bacon. E il vetro mi è
sempre piaciuto, perché è come qualcosa di pericoloso che ti tiene a distanza. Puoi
vederci attraverso, ma è solido. Mi è sempre piaciuta questa idea. Avevo messo il vetro
nei medicine cabinets. Mi piaceva molto usare il vetro in modo che non ci fosse la
cornice di un quadro. Inoltre volevo fare un'opera d'arte che aveva come oggetto
qualcosa d'importante. Ci pensavo in continuazione. […] Volevo fare un'opera d'arte
con un certo peso, una certa importanza e ci pensavo continuamente. Così mi venne
l'idea del fly piece. Ricordo che pensavo che volevo fosse come un Naum Gabo, o
qualcosa di simile, come punti nello spazio. Pensavo che le mosche potessero essere
6
Ibidem.
7
come punti nello spazio, in movimento nello spazio. Dunque decisi che volevo queste
due zone, nettamente separate, ma dove potevi ben vedere all'interno. Non doveva
necessariamente essere vetro; poteva anche essere una rete o qualcosa del genere.
Penso di aver visto in Dan Graham qualcosa di simile, alla galleria Lisson”7.
A Thousand Year fu acquistata al termine dell'esposizione da Charles Saatchi
(pubblicitario anglo-iracheno e tra i più importanti collezionisti contemporanei) che ne
rimase stupito, in realtà, per fare un passo indietro, il rapporto tra Hirst e Saatchi era
cominciato già con la mostra Freeze, che il collezionista visitò. Proprio in
quell'occasione Saatchi decise di iniziare a collezionare alcuni lavori dell'artista inglese
e di altri artisti del gruppo che diventò successivamente quello degli YBAs (Young
British Artists). Fu però con la visita alla mostra Gambler e l'acquisto di A Thousand
Year che Saatchi si offrì di finanziare il lavoro futuro di Hirst.
Nel 1991 l'artista di Leeds allestì insieme a Tamara Chodzko la sua prima
personale in uno spazio autogestito: In & Out of Love. I lavori portati in esposizione
furono due cabinet pieni di bicchieri per l'acqua, dal nome rispettivamente I Can See
Clearly Now e We Don't See Eye to Eye, inoltre espose per la prima volta i lavori con le
farfalle: “[...] Più in là, come procedevi, c'era un tavolo che nascondeva i radiatori; e
appoggiate sul piano c'erano delle scodelle con acqua zuccherata e pagliette per pulire
le pentole, colorate per attrarre le farfalle, oltre a quattro umidificatori. Alle pareti i
quadri. C'era un monocromo bianco con dei ripiani sopra e c'erano delle larve vive di
farfalla incollate sopra. Le farfalle nascevano dal quadro e volavano intorno, quindi
c'era un ambiente per farfalle. C'erano monocromi bianchi. Al piano di sotto c'era un
altro lavoro con dei portacenere sopra e tele con farfalle morte, annegate nella vernice.
C'erano quattro scatole con dei buchi. Simili alle scatole che avevo usato per i fly
pieces, una scatola lunga circa un metro con un buco su ogni facciata, […] quindi misi
questi elementi nello spazio, che dovevano sembrare delle scatole dalle quali le farfalle
uscivano per andare a morire nella vernice o qualcosa del genere. Bizzarro. Ecco
com'era.”8
Un anno dopo, i lavori degli YBAs, che Saatchi accumulò nella sua collezione
7
E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit. pp. 70-72.
8
Ivi, pp. 74-77.
8
privata furono esposti nella prima mostra assoluta dedicata al gruppo, organizzata dal
collezionista stesso: Charles Saatchi's Young British Artists del 1992. Prima della
mostra collettiva, il gruppo non aveva ancora il nome che oggi lo contraddistingue, fu
proprio l'esposizione del 1992 a sancire la nascita, la consacrazione e l'etichetta degli
Young British Artists. La mostra fu allestita alla Saatchi Gallery, la galleria privata di
Saatchi, tra le opere esposte fu presentata di nuovo A Thousand Year, ma il pezzo
senz'altro più importante, che caratterizzerà successivamente l'opera di Hirst, è The
Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (L'impossibilità fisica
della morte nella mente di un essere vivente). L'opera è composta da uno squalo tigre
lungo oltre 4 metri posto in una vetrina riempita di formaldeide.
“The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living è un vecchio
titolo, è stato il primo pezzo che ho fatto. In effetti era una frase tratta da un testo che
avevo scritto su Robert Longo. Scrissi semplicemente che il suo lavoro parlava
dell'impossibilità
fisica della morte
nella testa di un
essere
vivente.
[…] Mi piaceva e
mi è rimasto in
mente, ho sempre
desiderato fare un
lavoro
con
gli
squali... guardavo
fotografie
leggevo
e
Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone
Living, 1991
storie
sugli squali, sulla loro capacità di terrorizzare. Allora ho cercato di capire se potevo
avere uno squalo in galleria, non volevo dipingerlo, né avere un bel cibachrome, un
lightbox o una foto. Poi ho pensato, se riuscissi ad averne uno in un grande spazio, nel
liquido, grande abbastanza da spaventarti, in modo che pensi di essere li con lui e che
ti possa mangiare, allora funzionerebbe”9.
9
D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 18.
9
L'opera fu precedentemente commissionata e acquistata da Saatchi, che finanziò il
progetto anticipando ad Hirst 50.000 sterline, l'artista in questo modo poté rivolgersi ad
un pescatore australiano,Vic Hislop, che catturò lo squalo e lo spedì in Inghilterra, dove
sotto la direzione e la supervisione dell'artista inglese venne trattato e sistemato nella
teca di vetro riempita di formaldeide da una squadra di tecnici. L'opera fu rivenduta
successivamente (nel 2005) da Saatchi al collezionista Steve Cohen tramite la
mediazione del gallerista Larry Gagosian per 12 milioni di dollari e l'operazione rese
all'epoca Hirst l'artista vivente più quotato dopo Jasper Johns, quella cifra risultava la
più alta mai pagata per l'opera di un artista vivente (ad eccezione come già detto
dell'artista statunitense), ma l'argomento sarà trattato più approfonditamente nel capitolo
successivo.
Hirst fu il primo ad esporre uno squalo come opera d'arte, ma non fu il primo ad
avere l'idea di esporre uno squalo. Nel 1989, ben tre anni prima rispetto all'esposizione
di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living alla Saatchi
Gallery, un negoziante di nome Eddie Saunders appese al muro (nel suo negozio di
elettricista a Londra) un pesce martello che nel 2003 fu provocatoriamente esposto con
il titolo A Dead Shark Isn't Art (Uno squalo morto non è arte) alla Stuckism
International Gallery di Londra. Saunder mise in vendita lo squalo ad un milione di
sterline con la seguente pubblicità: “«Saldi di fine anno: squalo per un milione di
sterline soltanto; risparmiate 5 milioni di sterline sulla copia di Damien Hirst»”10 e
sottolineò, a differenza di Hirst, lo sforzo di averlo catturato lui stesso con le proprie
mani e che il suo era migliore, ma nonostante la pubblicità considerevole che ne derivò
non ricevette neppure una proposta d'acquisto.
Le opere di Hirst presentano titoli molto elaborati e complessi che contribuiscono
alla loro lettura. Il motivo di questa scelta è legato alla capacità dei titoli di porre una
riflessione e di invitare lo spettatore a cercare di intuirne il significato. A volte nasce
prima il titolo e in seguito l'opera.
“I titoli per me sono solo una verbalizzazione che serve a visualizzare quel che
faccio con la scultura. A volte l'idea della scultura nasce insieme al titolo. […] Con A
Thousand Years il titolo è venuto dopo. Avevo la scultura e ho cercato un titolo. Penso
10 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., pp. 88-89.
10
che con lo squalo avevo in mente da prima il titolo e non sapevo cosa farci, e poi ho
fatto questa scultura e penso di aver messo insieme le due cose. Mi ero reso conto che
The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, era un'espressione
che avevo usato per descrivere l'idea della morte a me stesso. L'avevo usata nel mio
saggio di tesi al Goldsmiths. Utilizzai quel termine per cercare di descrivere
l'impossibilità fisica della morte nella mente di qualcuno in vita. […] Penso che in
realtà si tratti di collage, è tutto un collage. Ci sono titoli e ci sono sculture. Ho anche
la passione per le parole che uso come materiale visivo. Sono sempre alle prese con le
parole e con le sculture e poi alla fine fondamentalmente le associo. […] Quando hai
una frase in mente, ci pensi costantemente... Quel titolo mi spingerà a fare la scultura
che si adatti perfettamente al suo senso”11.
Per The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living il titolo “è
solo un modo per descrivere la paura. Era solo paura, morte e paura, solo una cosa.
Era solo quello. Pensavo che la morte fosse difficile da rappresentare. Mi sembrava
che in quel tipo di espressione enigmatica, avrei detto quello che la scultura voleva
dire. È come non poter credere di dover morire. Non riesci a credere che sia reale, non
puoi credere che stia per mangiarti. Lo sai quando giri intorno al contenitore e vedi
quella rifrazione, che fa saltare lo squalo”12.
L'opera di Damien Hirst è dunque soprattutto una riflessione sulla morte, sulla
fragilità dell'esistenza, sul progressivo declino di tutto ciò che esiste al mondo. Come in
un tentativo di contrastare l'azione naturale di logorio e decadimento le opere in
formaldeide si pongono come una fotografia, statica e immobile che ferma il tempo e i
suoi effetti. In realtà, l'azione di decomposizione sugli animali non può essere arrestata
e lo squalo di The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living non è
più l'originale esposto nel 1992 alla Saatchi Gallery, l'animale poco dopo iniziò a
deteriorarsi, la pelle si raggrinzì, una pinna cadde e la soluzione di formaldeide che
circondava lo squalo si intorbidì. Nonostante il tentativo da parte dei curatori della
galleria di iniettare uno schiarente all'interno della teca in vetro l'effetto rimase identico,
anzi la decomposizione dell'animale subì un'accelerazione.
11 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 122-123.
12 Ibidem.
11
Nel 2005, dopo che l'opera fu venduta a Steve Cohen, Hirst decise di sostituire il
vecchio squalo, ormai logoro e irrecuperabile con un altro squalo bianco di uguali
caratteristiche, si rivolse allo stesso pescatore (Vic Hislop) con cui aveva collaborato
per il primo animale e chiese, inoltre, anche altri tre squali tigre ricevendone cinque,
uno in omaggio. Al nuovo squalo fu iniettata una quantità più concentrata di
formaldeide dieci volte superiore a quella impiegata per il primo squalo, ma il problema
che si levò non era più legato ai dubbi di preservazione dell'animale, ma piuttosto
riguardava i postulati a fondamento dell'arte. L'opera perse il suo originale protagonista,
sostituendo l'animale con un altro, l'opera non sarebbe stata più la stessa.
“Its condition highlights growing alarm over how to preserve the high-priced
conceptual works, many made from organic materials, poor quality paint, junk and even
blood and insects, produced by Hirst's Young British Artists movement. If the shark
substitution goes ahead, it will also raise serious questions about what is an original
work of art, and whether changing parts of it devalues it. Martin Gayford, the art critic
for Bloomberg, said yesterday: «My take on it is to ask whether you regard the piece we
are talking about as a work of art or as an idea. If somebody completely painted over a
Rembrandt, it wouldn't be the same thing. But the shark constitutes an idea plus the
way it's presented. It seems to me that if Hirst finds a new shark and has it pickled and
it looks right to him then that's fine». Larry Gagosian tells the July issue of The Art
Newspaper: «The shark is a conceptual piece and to substitute a shark of equal size and
appearance, in my opinion, does not alter the piece». […] He said: «Steve Cohen is
very happy with the piece and is not troubled at all with having to substitute it. It's not a
direct analogy but if you have a work by Dan Flavin [the American installation artist
who uses fluorescent light tubes] and one of his lights goes out and you substitute it, it
doesn't matter. It doesn't affect the significance of the piece or the value of the piece».
[…] Mr Gayford said: «[...] We are entering unknown territory with some of the
materials that artists are using today and the big question is what happens when Hirst
is no longer among us».13 (La sua condizione mette in luce l'allarme crescente su come
preservare i costosi lavori concettuali, molti fatti con materiali organici, vernice di
13 N. Reynolds, Hirst's pickled shark is rotting and needs to be replaced. Should it still be worth £6,5m?, in “The
Telegraph”, 28 giugno 2006.
12
scarsa qualità, ciarpame e talvolta sangue e insetti, prodotti dal movimento degli Young
British Artists di Hirst. Se la sostituzione dello squalo andrà in porto, solleverà seri
interrogativi sul concetto di originalità dell'opera d'arte, la sostituzione di una parte di
essa porterà alla svalutazione dell'opera. Martin Gayford, il critico d'arte di Bloomberg,
ha detto ieri: «La mia idea è quella di chiedersi, ogniqualvolta si sta guardando un
lavoro, se si ha di fronte un'opera d'arte o un concetto. Se qualcuno dipingesse sopra un
Rembrandt, non sarebbe la stessa cosa. Ma lo squalo costituisce un'idea più che il modo
in cui esso è presentato. Ciò che voglio dire è che se Hirst trovasse un nuovo squalo e lo
mettesse in salamoia e a lui sembrerebbe soddisfacente, allora va bene». Larry Gagosian
ha dato una risposta al problema: «Lo squalo è un lavoro concettuale e nella mia
personale opinione la sostituzione dell'animale con uno di uguale stazza e fisionomia,
non altererebbe il pezzo». […] Continua: «Steve Cohen è molto felice dell'opera e non
avrebbe alcun problema per un'eventuale sostituzione. Non è una diretta analogia ma se
si guarda a un lavoro di Dan Flavin [l'artista americano che crea installazioni con tubi di
luci fluorescenti] e una delle sue luci si spegne e la si sostituisce, che cosa importa. Non
incide sul significato del lavoro o sul valore dell'installazione». […] Continua Mr.
Gayoford: «[...] Stiamo entrando in un territorio sconosciuto con alcuni dei materiali
che gli artisti usano oggi e la grande questione è cosa succederà quando Hirst non sarà
più tra noi»).
Arte concettuale dunque, il concetto si slega dall'immagine rappresentata,
dall'oggetto coinvolto nell'opera, che è tale perché assimilata da un discorso critico a
fondamento che le dà significato. Bottle Rack (Scolabottiglie) di Duchamp del 1914 che
fu il primo ready made nella storia dell'arte, oggi non è più l'originale, l'oggetto fu
sostituito dall'artista stesso più avanti, così come Fountain (1917) sempre di Duchamp,
l'orinatoio originale non esiste più. Hirst coglie molto dell'artista dadaista, in particolare
il ready made, cioè la traslazione di oggetti comuni, quotidiani, sulla scena artistica, i
suoi ready made sono animali, scatole di medicine, pillole, pacchetti di sigarette, sedie e
tavoli da ufficio.
“Per me è una comunicazione di idee piuttosto che una comunicazione di
personalità. Voglio dire, più lo cambio, più parla di me. Invece meno lo cambio, più
parla di un'idea universale. Tutti sanno cos'è un divano. Ma io lo striscio all'interno del
13
mio lavoro, perché credo in quelle idee molto umane dell'espressionismo astratto del
tipo “dipingo quello che sento”. […] Voglio dire come de Kooning. “Oggi mi sento
triste, farò un quadro marrone e viola”. Fare così e dire “Questo sono io”.”14
Come gli altri YBAs il suo linguaggio è aggressivo, diretto e facilmente
codificabile e come gli altri YBAs ha sempre dato particolare attenzione alle dinamiche
legate al mercato dell'arte, all'importanza dei media come strumento pubblicitario e alle
sovvenzioni da parte di istituzioni pubbliche o di mecenati privati, molti artisti del
movimento di Hirst sono finanziati privatamente da alcune istituzione inglesi, come il
Department of National Heritage (dal 1997 Department for Culture, Media and Sport).
L'enorme successo di Hirst, come si è potuto notare già agli esordi con The
Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living e l'esposizione Charles
Saatchi's Young British Artists è strettamente legato a Charles Saatchi, che con la sua
attività di promozione ha portato l'artista all'apice della scena internazionale (il rapporto
tra i due si scioglierà nel 2003 per delle continue frizione scaturite soprattutto dalla
retrospettiva organizzata quell'anno alla Saatchi Gallery). Sotto l'ala protettrice di
Saatchi, Hirst in questi anni ha dato vita alla sua produzione che è possibile dividere
principalmente in sei categorie15.
1. Natural History. La prima è costituita dalla serie che lui chiama Natural
History, che comprende animali morti (interi o sezionati) in teche di vetro conservati in
formaldeide, sono quindi ready made a tutti gli effetti, sradicati dal loro contesto
abituale e trasportati in galleria. Presentati come memento mori, “come «sospesi nella
morte» e come «la gioia della vita e l'ineluttabilità della morte»” 16 raffigurano
l'esplorazione della morte,
sono parte essenziale della poetica della morte, tema
centrale e basale dell'opera di Hirst. Il manifesto di Natural History è The Physical
Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living, che divenne, negli anni novanta,
il simbolo dell'arte britannica, ma anche emblema dell'arte di Damien Hirst stesso.
“Non ho mai pensato a questi lavori come violenti. Li ho sempre visto come molto
tristi. C'è una sorta di tragedia insita in quei pezzi. Alla fine era proprio come una
14 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 24.
15 La divisione in sei categorie è proposta da D. Thompson.
16 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 89. Entrambe sono definizioni date da Hirst.
14
specie di zoo di animali morti. Li ho sempre fatti con le zampe che non toccavano il
pavimento. Sono cose galleggianti. Alcune persone mi hanno detto «Perché non fai una
tigre o un rinoceronte?» E cose simili. Non puoi usare questo tipo di animale
fantastico. Con lo squalo funziona, perché rappresenta una paura, che è
probabilmente, anzi sicuramente legata al film Lo squalo. Abbiamo tutti quella paura
degli squali, che in realtà è solo la paura dell'acqua. Ma poi gli animali, quelli che
mangiamo, ho sempre sentito che avevano un impatto più forte. E pensavo anche
all'aspetto religioso della cosa”17.
E ancora: “alla gente non piace vedere animali in opere artistiche. È questo il
problema fondamentale quando usi animali in arte. Non importa se stanno bene, alla
gente non piace. Ma io voglio che tutto sia reale. Per me è solo un modo di rendere
l'arte reale. Non è una rappresentazione, è la cosa vera. Penso di aver sempre cercato
di fare questo. Sai, come con lo squalo, pensavo di fare una scatola leggera o un
dipinto, un gran dipinto di uno squalo. Ma sapevo che nessuno ci avrebbe creduto,
visto che siamo così abituati alle immagini. Allora, volevo sembrasse reale. Abbastanza
reale da spaventarti”18
Il suo personale rapporto con la morte è conflittuale, ossessionante, si formò ben presto
già all'età di sedici anni. Iniziò a frequentare l'obitorio di Leeds, dove si recò più volte
per dipingere le persone morte per ustione e disegnare l'anatomia del corpo umano che
stava cercando di studiare, i cadaveri erano sotto formaldeide.
“Quand'ero ragazzino volevo sapere cos'è la morte e andai all'obitorio e in mezzo
a tutti quei cadaveri mi sentii male, pensai di morire, era orribile. Ma tornai più volte a
disegnarli. Il punto in cui inizia la morte e finisce la vita per me era lì, prima ancora
che li vedessi. […] Dovevi tirarli fuori dalla vasca e tutto il resto, per studiarli. Erano
sotto formaldeide”19. È lecito pensare che i cadaveri in formaldeide abbiano influito
sulla composizione di Natural History, le opere più rappresentative di questa serie
hanno tutte come oggetto animali conservati in formaldeide.
“Mi resi conto che mi piaceva veramente la formaldeide, il suo aspetto. Possiede
17 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 132.
18 Ivi, p. 115.
19 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 33-34.
15
quel senso di tragedia delle cose che decadono, quel tipo di decadenza immobile o
quasi. Ma ancora una volta probabilmente tutto traeva origine dai medicine cabinets,
perché l'armadietto con le cose dentro era reale. Quindi all'improvviso pensai che, se
potevo prendere quello della farmacia, potevo prendere anche questo dal dipartimento
di anatomia, e farci un collage con tutto il resto. Volevo sempre che le cose fossero vere
e volevo che le persone si trovassero di fronte alla loro stessa esistenza. Insomma, non
solo un'illusione, ma qualcosa di reale. Volevo che le persone pensassero Questo non
dovrebbe stare in una galleria d'arte, e allo stesso tempo si domandassero il motivo
della loro presenza in una galleria d'arte e dubitassero di essere nel posto giusto. Le
cose in formaldeide sono fantastiche, sembrano sempre bellissime. Mi ricordo cose
simili a scuola. All'ora d'arte a scuola avevamo sempre rane in ampolle di vetro e cose
del genere. Eravamo soliti fare i disegni di queste e dei teschi che c'erano in giro”20.
I lavori con animali non sono però un'esclusiva di Hirst, molti artisti prima di lui
ne avevano avuto l'idea come Richard Serra in Habitat (la prima esposizione dell'artista
statunitense, allestita a Roma alla Galleria della Salita nel 1966) oppure Jannis
Kounellis di cui Hirst conosceva alcuni lavori. “A me non sembra un nuovo punto di
partenza. Non era sbalorditivo usare animali, credo. […] Ero consapevole di rifarmi
costantemente a qualcuno. Tanto pensavo che non importasse, visto che non si può fare
niente di nuovo. Ero perfettamente consapevole che i medicine cabinets avessero
qualcosa a che fare con Koons e con il consumismo o qualcosa di simile. Avevo visto la
mostra alla galleria di Saatchi e ne ero cosciente. Sono come le mie versioni di Koons,
come gli Hoover pieces o simili. Mi ricordo di aver pensato a Koons quando ho fatto
quelli. I fly pieces erano simili a Nauman. Le scatole venivano da Sol Lewitt. Poi da
Ellsworth Kelly venivano i monocromi e da Richter gli spot paintings. C'erano tutti
questi riferimenti, ma non ne importava. Dal momento che non erano una copia.
Pensavo: tanto è impossibile non riferirsi a nessuno!”21.
2. Cabinet series. La seconda categoria è la cabinet series che consiste in
collezioni di armadietti per medicinali, che contengono confezioni di pillole e strumenti
chirurgici. Un esempio può essere E.M.I. (1989), un'installazione composta da un
20 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 118.
21 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 114-115.
16
armadietto contenente diversi tipi di
medicinali
(medicine
cabinet).
“Come nascono gli armadietti delle
medicine? Credo di averli visti dal
farmacista. […] Ero con lei dal
farmacista [sua madre], si stava
facendo fare una ricetta e si fidava
completamente dei qualcosa di cui
non sapeva niente. Negli armadietti
delle
medicine
bottigliette,
come
non
sono
sculture
perfettamente
ci
sono
impacchettate,
formali,
organizzate.
Dal
farmacista mia madre guardava le
stesse cose che facevo io e ci
credeva ciecamente, mentre quando
le vedeva in una galleria d'arte no.
Secondo me era la stessa cosa,
Damien Hirst, E.M.I., 1989
sapevo come stavano le cose e
pensavo: “Ah, se solo potessi fare un'arte che faccia lo stesso effetto”, finché non ho
deciso di farlo direttamente. Mi è sempre piaciuta l'idea che l'arte possa curare le
persone. Sono ossessionato dal corpo. Mi piace il fatto che ci sono tutti questi elementi
collegati all'organismo all'interno di un armadietto di medicine. Mi piace quel senso di
consumismo alla Koons. Poi la maggior parte delle scatole di medicinali sono
minimali, potrebbero provenire direttamente dal minimalismo, nel senso che il
minimalismo implica sicurezza.”22. Il medicine cabinet assume la parvenza di un corpo
umano, ogni medicinale è portato a curare attraverso il suo effetto un definito organo, o
una specifica funzione e attività, diventa quindi metaforicamente una parte del corpo.
Nella vita di tutti i giorni un armadietto dei medicinali rivela parecchio di chi lo
possiede, ogni medicinale cura un particolare disturbo, l'armadietto comunica le
22 Ivi, p. 22.
17
ossessioni, alcuni aspetti della vita, le abitudini di chi ne cura la composizione. Il
medicine cabinet prova a comunicare questa realtà con lo spettatore e si frappone con
un'indole empatica, un'emanazione di colui che ne guarda la geometria essenziale, una
scultura minimale in cui è possibile riconoscersi, nelle proprie debolezze e nelle proprie
fobie ipocondriache. “Ho scelto la forma e le misure del cabinet come fosse un corpo.
Volevo che fossero come corpi umani, con un addome un petto e un intestino. C'è
qualcosa di umano in quella forma e in quella dimensione, perciò li feci con una
piccola parte sopra, come una testa. Poi giocai un po' con l'idea di mettere le medicine
per la testa in cima e quelle per i piedi in fondo. Cercai di scoprire a cosa servissero
tutte le medicine. Ma alla fine, venendo da quel tipo di formazione sul colore, non
riuscii a resistere dal farlo in termini di colore. Tutto è realizzato secondo parametri di
colore e di come appare. L'intero cabinet è solo un'illusione, solo per nascondere il
fatto di aver preso tutte le decisioni molto tradizionali”23.
3. Spot painting. La terza categoria riguarda gli spot painting, numerosi cerchietti
colorati disposti per righe e colonne su una superficie monocroma bianca, un esempio è
Pardaxin (2004). I titoli degli spot painting richiamano i nomi delle sostanze chimiche,
come Pardaxin appunto, oppure Hydroxy Tetra Hydrocannabinol (1993) oppure ancora
Argininosuccinic Acid (1995), il motivo non è recondito, “ho solo comprato un libro, il
prontuario di riferimento dei medici, che è un elenco di sostanze. È un catalogo di
sostanze chimiche, farmaceutiche che puoi trovare ovunque. È stato solo un pensiero
successivo intitolarli con i nomi delle sostanze chimiche, prese da questo libro. L'ho
visto ed ho pensato: devo proprio farle tutte.”24
Quella degli spot painting è una serie di quadri che, come per gli spin painting e i
quadri con le farfalle, l'artista non ha più intenzione di proseguire, poiché hanno già
esaurito la volontà espressiva alla base della loro creazione. L'idea alla base degli spot
painting è legata alla pittura emozionale, all'espressione delle emozioni, la ricerca più
intima dell'artista. “La prima idea era solo mettere alla prova quel tipo di pittura.
Venivo da quel tipo di formazione alla Rothko: dipingi come senti. Se sei depresso,
dipingi da depresso: un tipo di atteggiamento americano, da pittura anni Cinquanta
23 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 105-106.
24 Ivi, p. 113.
18
astratta. Penso che a Leeds avessero saccheggiato l'idea. Penso a Peter Canyon, a Ivon
Hitchens, a Patrick Heron, insomma a quel genere di pittura emozionale. […] Creai
queste cose dove puoi riversare le emozioni dentro... Pensare ad una sorta di macchina
impersonale che fa i quadri. Cercare di ridurre tutte quelle decisioni espressive fatte
sul colore ad una griglia per creare un sistema dove poter scientificamente dipingere il
tuo stato d'animo, perché in fin dei conti è ininfluente. Non importa come ti senti,
vengono sempre fuori allegri: ecco, avevo come l'esigenza di far questo. Nella mia testa
avevo l'idea di un artista che faceva una serie infinita di questi quadri, che erano più
che altro una specie di
logo. Feci solo quella
griglia, dove dicevo che
tutti gli spazi dovevano
essere come gli spot e in
ogni
singolo
nessun
colore
quadro
è
lo
stesso. Solo che ogni
dipinto
deve
essere
diverso.
Erano
molto
belli, quindi continuai a
farli. Ho appena spesso
di
farli,
ma
l'idea
iniziale era che fossero
Damien Hirst, Pardaxin, 2004
25
una serie infinita” .
Gli spot painting, però non vengono dipinti da Hirst, ogni quadro viene realizzato
da un assistente, lui dice loro quali colori utilizzare e dove dipingere i pallini. Ne fece
solo cinque all'inizio della serie, ma detestava realizzarli, appena riuscì a venderne uno
usò i soldi ricavati per pagare qualcuno che li dipingesse per lui. Per spiegare il suo
rapporto con gli spot painting, Hirst offre una similitudine con l'architettura, un
parallelo con l'architetto statunitense Frank Lloyd Wright, il progettista del Guggenheim
Museum di New York. La creatività artistica del progetto appartiene all'architetto, che
25 Ivi, pp. 96-97.
19
ne delinea le forme virtuali assecondando, così la propria arte, la realizzazione materiale
dell'edificio è compito che non spetta a lui, allo stesso modo la creatività di uno spot
painting, l'idea, il gusto, l'arte, appartengono ad Hirst, la realizzazione ad un gruppo di
assistenti.
“[...] È un architetto del cazzo, non sa costruire un muro. Allora, è meglio vivere
in una casa progettata da Frank Lloyd Wright e costruita da lui, sapendo che non sa
tirare su un muro, o in una casa progettata da lui e costruita da altre persone? Qual'è
la migliore delle due? […] Ho fatto solo cinque quadri puntinati. Sono capace di farli,
ma quando ho iniziato sapevo esattamente dove stavo arrivando, sapevo esattamente
cosa sarebbe successo e non potevo perdere tempo a farli. Allora ho preso delle
persone, i miei puntinati fanno cagare, li ho fatti sul supporto sbagliato, si vedono i fori
del compasso in mezzo ai punti. All'inizio dissi che era voluto, perché volevo ci fosse
una certa verità. Se li guardi attentamente puoi capire come li ho fatti, fanno cagare a
confronto a... La persona più in gamba a dipingere quadri puntinati per me è stata
Rachel Howard. Era fantastica, assolutamente fantastica. Se vuoi i pallini, i migliori
sono quelli fatti da Rachel”26.
Il discorso appare, in realtà, poco convincente, mentre il lavoro creativo e artistico
di un architetto si completa con il progetto, che è il risultato del suo processo creativo (e
non l'edificio costruito che è l'aspetto strutturale e applicativo del progetto creativo), lo
stesso non si può dire di un artista, l'opera è il progetto dell'artista, è la diretta
espressione dell'idea artistica, che non potrebbe mai essere espressa se non con l'opera
stessa. Separare l'opera dall'artista, se pur comprensibile per le composizioni in teca e
formaldeide o le installazioni per cui l'analogia con l'architettura potrebbe trovare
affinità, significa bloccare la naturale evoluzione del pensiero artistico che nasce nella
mente e vive sulla tela. Se lo spot painting esprime una pittura emozionale, rivela al
mondo il sentimento di colui che con la sua mano ha dato vita al dipinto, se Rachel
Howard compone l'opera, il mondo potrà ammirare il suo sentimento, se Damien Hirst
compone l'opera, potremo contemplare il suo essere, se l'artista inglese vuole esprimere
se stesso attraverso la figura di un suo assistente, il naturale processo creativo dell'artista
è bloccato, finisce dove inizia quello di Howard o chi per lei.
26 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 85-86.
20
Nel 1999, la British Airways utilizzò un motivo simile ad un quadro spot painting
per una sua campagna pubblicitaria, Hirst fece denuncia alla compagnia aerea per
violazione di copyright, sono quindi quadri molto riconoscibili, un'icona dell'arte di
Damien Hirst e addirittura, sempre nel 1999 fu chiesto all'artista inglese di creare uno
speciale spot painting da dipingere su un componente della navicella spaziale che
sarebbe stata inviata su Marte nel 2003, per la missione Beagle II e fu il primo artista il
cui lavoro fu mandato nello spazio.
4. Sping painting. La quarta categoria è costituita dagli spin painting, dipinti su
una ruota che viene fatta girare, viene versato così il colore. “Si racconta che nel
processo di realizzazione Hirst indossi una tuta e occhiali protettivi, salga su una
scaletta e getti vernice su
una tela rotante o su una
base di legno urlando «Più
rosso!» O «Trementina!» a
un assistente.”27.
Beautiful
sphincter,
revolving
oops
brown
(2003) è un esempio di
spin painting, sono quadri
secondari, i più deboli
dell'opera di Hirst, sono
semplici sia dal punto di
vista estetico, compositivo,
sia
Damien Hirst, Beautiful revolving sphincter, oops brown, 2003
nel
vengono
modo
in
cui
realizzati,
facendo cadere il colore su
una macchina che ruota. “Adoro la macchina che gira, ma appena sono asciutti e si
fermano mi annoio subito. Se ne avessi uno appeso al muro lo girerei, Detto questo,
sono quel che sono. Sono oggetti molto semplici, infantili. Non credo che avranno una
grande influenza nella storia della pittura. Li considero un po' delle sculture. […] Sono
27 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 91.
21
belli quando sono grandi. È perché sono grandi che penso che funzionino. In
confidenza li trovo solo gradevoli; credo che siano di poco valore e ingannevoli. Sono
molto fumo e poco arrosto. Poi a volte ne vedo uno su un muro, ed è come se mi
accorgessi che sono proprio belli. Non ne comprerei uno. […] Ho una relazione di odio
amore con loro”28. Esiste un secondo tipo di spin painting, differente dagli altri perché
presenta uno scheletro stilizzato al centro e una tonalità più scura di colori, i primi
esemplari di questo genere sono stati presentati per la prima volta a Città del Messico.
5. Butterfly painting. La quinta categoria, i butterfly painting, riprende ancora il
filone principale della riflessione sulla morte e le sue dinamiche. I butterfly painting
sono collage composti da migliaia di ali di farfalla assemblate su una tela monocroma di
vernice lucida, oppure componimenti con intere farfalle dai colori accesi. L'interesse di
Hirst
verso
questi
nacque
molto
soprattutto
in
insetti
presto,
preparazione
della sua prima personale In
& Out of Love (1991) quando
già li allevava nella sua stanza
da letto, acquistò pupe e larve
per curarle e studiarne i
comportamenti e le dinamiche
biologiche.
L'idea
dei
monocromi nacque, in realtà
per caso “mi ricordo che una
volta dipingevo qualcosa di
bianco e delle mosche ci si
Damien Hirst, Kaleidoscope VII, 2004
posarono, pensai «Fanculo!»,
ma poi a ripensarci era divertente. Era divertente l'idea dell'artista che cerca di fare un
monocromo e che viene sabotato dalle farfalle che vanno a finire annegate nella pittura
o roba del genere. Poi afferri la bellezza della farfalla, ma, in effetti, è qualcosa di
orribile. È come se una farfalla fosse volata lì attorno per poi morire atrocemente nella
28 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 190.
22
pittura. La morte di un insetto comunque ha questa bellezza veramente ottimistica di
una cosa meravigliosa. Ricordo di aver pensato a tutto ciò. Non marciscono come gli
esserei umani”29.
I butterfly painting si fondono con l'esigenza espressiva realista dell'artista
inglese, un legame molto forte con il reale, la realtà, come in Natural History e in
cabinet series “la differenza tra l'arte e la vita consiste nello smettere di giocare con
questa idea. Con i monocromi bianchi delle farfalle volevo fare qualcosa di reale. Era
molto importante, perché era arte. Veniva direttamente dalla mia idea di quanto fosse
importante l'arte, per cui volevo fare qualcosa senza colore che fosse reale; […] I
monocromi bianchi: questo è vero amore, è come le farfalle che volano in un buon
ambiente ma dentro non c'è colore, [...]”30. Anche i butterfly painting sono realizzati da
un team di tecnici e assistenti che lavora sotto la direzione dell'artista di Leeds e sono
generalmente venduti da White Cube, la galleria londinese di Jay Jopling, che
rappresenta Hirst sul territorio britannico e non solo. Le loro quotazioni possono
raggiungere generalmente le 300.000 sterline ciascuno e uno dei primi lavori di questo
genere è stato acquistato da David Beckham per 250.000 sterline.
6. Quadri fotorealistici. L'ultima categoria riguarda una serie di quadri
fotorealistici. Le trentuno opere sono state esposte per la prima volta nel 2005 in
occasione della mostra Damien Hirst: The Elusive Truth alla Gagosian Gallery di New
York . Addicted to Crack, Abandoned by Society (drogata di crack, abbandonata dalla
società), Autopsy with Sliced Human Brain (Autopsia con cervello umano affettato),
sono solo esempi dei titoli che Hirst diede a queste opere per cercare ancora un effetto
propagandistico e provocatorio così come il tema principale dei quadri: episodi di morte
violenta. Di nuovo la morte, quindi, grande filone comune dell'opera di Damien Hirst,
ma un'altra analogia lega questi lavori con gli altri dell'artista inglese: le opere portano
la firma di Hirst, ma non sono state realizzate da lui, ma da un team di assistenti. Così
come lo squalo, gli spot painting, gli spin painting, i butterfly painting, fu una squadra
di persone a realizzare le opere sotto la sua direzione artistica e ciascuno si divideva il
lavoro in modo che nessuno ne fosse interamente responsabile, Hirst aggiunse solo
29 Ivi, pp. 82-83.
30 Ivi, p. 78.
23
qualche pennellata e la sua firma che appare come una convalida, una certificazione di
qualità. Lui stesso ha affermato di non saper dipingere, ma che un'opera di qualità
inferiore avrebbe attratto comunque un collezionista pronto ad acquistarla, solo se fosse
stato lui a realizzarla.
“Sulla questione di etica artistica che implica l'utilizzare quattro studi e quaranta
assistenti per produrre degli Hirst che poi l'artista si limita a firmare, ha detto: «Mi piace
l'idea di una fabbrica che produce le opere, il che separa le opere dalle idee, ma non mi
piacerebbe una fabbrica che produce idee». […] La critica d'arte del Village Voice
Jerry Saltz commentò: «Il meglio che si possa dire di queste opere è che Hirst sta
lavorando nell'interstizio tra il quadro e il nome del pittore: Damien Hirst sta facendo
dei Damien Hirst. I
quadri in sé sono
delle
etichette
portatori di brand.
Come dei Prada o
dei
Gucci:
per
godere dell'euforia
di un brand si paga
di più. Per cifre tra
i 250.000 dollari e
i 2 milioni, zotici e
speculatori
Damien Hirst, Addicted to Crack, Abandoned by Society , 2004-2005
possono acquistare
un'opera che non è
altro che un nome»”31.
I trentuno quadri fotorealistici furono venduti tutti il primo giorno della mostra
alla Gagosian Gallery e la più altra cifra raggiunta da uno di questi lavori fu di 2,2
milioni di dollari. Fu messa in vendita anche una linea economica, composta da
magliette stampate con le immagini delle opere oggetto dell'esposizione.
31 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., pp. 92-93.
24
Alcune opere di
Hirst possono integrare
diverse categorie, così
un'opera può presentare
elementi
di
Natural
History combinati con
la
cabinet
series
principi
dello
painting.
Ne
esempio
e
spot
è
un
Isolated
Elements Swimming in
the Same Direction for
the
Purpose
Damien Hirst, Isolated Elements Swimming in the Same Direction for
the Purpose of Understanding, 1991
of
Understanding, (Isolati elementi nuotano nella stessa
direzione per il fine della
conoscenza) del 1991, dove pesci in formaldeide (Natural History) contenuti in un
armadietto di medicinali (cabinet series) sono organizzati secondo precise scelte di
colori, struttura e forma che richiamano le caratteristiche dello spot painting.
Al tema principale dell'opera di Damien Hirst cioè l'esplorazione della morte si
lega un'altra tematica, intrecciata fortemente con la moralità: il fumo.
“Il rapporto tra piacere e morte. La sigaretta nel suo rituale appagante ed
autodistruttivo consuma se stessa ed il suo amante. La sigaretta ha una durata, un arco
vitale, una lenta corruzione per poi morire e diventare scoria. Il mozzicone è scaglia,
impronta, scheletro di un corpo logoro e finito, di un mutamento finale”32. La sigaretta è
vita, il fuoco dell'accendino è carburante e il mozzicone è morte, il posacenere è un
cimitero. Il fumo è un suicidio teorico, il danno che provoca è un effetto conosciuto ed
accettato dal fumatore, ma nonostante ciò la sigaretta continua ad essere consumata. Il
lento suicidio, concetto che esalta Hirst, è il prezzo che si è disposti a pagare, il
compromesso accettato per il piacere del fumo. In Considered, Stubbed Out, Forgotten,
1993 (Giudicato, spento, dimenticato), numerosi mozziconi di sigaretta sono
rigorosamente sistemati in fila in un contenitore simile ai medicine cabinet, in Horror at
32 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 37.
25
Home (Orrore a casa) e Party Time (L'ora della festa) entrambe del 1995 un enorme
posacenere si presta a cimitero di pacchetti, sigarette e mozziconi. La superficie pulita,
levigata, pura del contenitore contrasta con l'immondizia del suo contenuto.
In The Acquired
Inability to Escape,
Divided
(L'inabilità
acquisita di fuggire,
diviso)
del
1993,
Damien Hirst esprime
il
suo
concetto
di
claustrofobia, di vuoto
e l'opera, insieme ad
altre
come
The
Acquired Inability to
Escape,
Inverted
(1993) e The Acquired
Damien Hirst, Party Time, 1995
Inability to Escape,
Inverted and Divided (1993), fa parte di una stessa serie. In esse è osservabile una
gabbia di vetro, con una scrivania, una sedia e altri oggetti di uso comune,
successivamente ci si accorge del vuoto, la mancanza della presenza umana. Come per
molte delle sue opere, anche in questo lavoro nasce prima il titolo e successivamente la
composizione. “Stavo parlando di un pezzo di Bruce Nauman nel quale c'erano dei ratti
in una scatola o di un video su quel lavoro che si chiamava Learned Helplessness in
Rats e disse, «Non mi ricordo il nome perché lo so solo in tedesco». Disse, «Credo che
sia qualcosa come The Acquired Inability to Escape». Pensai subito che fosse un titolo
bellissimo, quindi andai a controllare e scoprii che in effetti si chiamava Learned
Helplessness in Rats. Allora mi sono tenuto il titolo per me. E ho fatto una scultura che
vi si associasse. Ripensando a tutte le mie sculture, le dimensioni di quella [The
Acquired Inability to Escape Divided] sono le mie preferite in assoluto. L'altezza del
tavolo, tutte le divisioni, dividere il vetro nel tavolo, le sedie. Tutte le sue misure sono
26
perfette. Uso molto quella forma di contenitore. È la vetrina migliore”33.
Claustrofobia, prigione, trappola, confinati spazi, “in questa opera credo che la
cosa fondamentale siano le due sezioni. Una sezione e un'altra sezione, come le avevo
già usate per i fly pieces. È come essere chiusi in una stanza dove c'è una piccola
apertura che ti può condurre nella stanza accanto, da cui però non riesci a passare. Ha
le misure di un essere umano, ti fa entrare, ma non è abbastanza grande per passarci
attraverso. C'è solo questa sottile fessura, abbastanza sottile per poterci infilare le dita
attraverso, come in una cella. C'è una entrata, ma l'entrata non è percorribile. È come
se tu fossi spiritualmente
escluso,
entri
nello
spazio, e poi non c'è
niente dall'altra parte.
Quindi è come se uscissi
da
questo
posto
per
andare in un altro, dove
non c'è possibilità per te.
L'intera storia in qualche
modo
ti
intrappola
continuamente
e
ti
trattiene imprigionato lì.
C'è una specie di via
Damien Hirst, The Acquired Inability to Escape, 1992
d'uscita, ma non è una
vera via di fuga”34.
Tagliare lo spazio, tagliare il vetro e gli oggetti, residui di sigarette, di mozziconi è
il fumo, come traccia dell'Uomo, come segno del suo passaggio, “quando ho realizzato
Freeze, i primi spot paintings che ho fatto sui muri erano copie identiche l'uno
dell'altro, uno aveva il bordo tagliato e l'altro il fondo, c'erano spot a metà sul fondo e
spot a metà sul margine destro. Ho fatto questi tagli allora per differenziare due
affreschi uguali. Tagliare riguardava soprattutto quel genere di spazio sociale,
33 Ivi, pp. 125-127.
34 Ivi, pp. 128-129.
27
claustrofobico. Si trattava di poter trovare una zona dove rinchiudere tutto insieme e
dargli un senso maggiore. È facile mettere uno squalo in un contenitore, e la gente avrà
paura dello squalo se ci si avvicina, perché può immaginare di essere lì con lo squalo
nel contenitore. Ma devi saper sfruttare una paura più profonda o un qualcosa di
spaziale, come la claustrofobia. Se non sai cosa sia la paura, penso che in The
Acquired Inability to Escape riesci a estrapolarlo. È come una stanza per fumatori, o
una stanza per interrogatori. È claustrofobico riguardo al vetro”35. Il vetro, elemento
costante del lavoro di Hirst, una sostanza tanto solida e pericolosa quanto trasparente e
invisibile, capace di creare una distanza tra l'opera e lo spettatore, che può vedere ma
non toccare. Anche le fessure, gli spiragli sono essenziali, rappresentano un accesso,
una via di unione tra lo spazio esterno e quello interno, invitano in modo subdolo lo
spettatore a penetrare visivamente aldilà del vetro, a immedesimarsi nel nucleo chiuso,
nella trappola claustrofobica, così da innocente esploratore, lo spettatore si trasforma in
vittima.
Nello stesso anno della collettiva Charles Saatchi's Young British Artists Hirst e
per il soddisfacente risultato della mostra, Damien Hirst fu nominato per il Turner Prize
del 1992, premio d'arte contemporanea organizzato annualmente dalla Tate Gallery,
arrivò tra i finalisti ma non riuscì a vincere il premo.
Nel 1993 partecipò alla quarantacinquesima Biennale di Venezia, presentando
l'opera Mother and Child, Divided (Madre e Figlio, separati) del 1993 che verrà anche
inserita nella sua personale Some Went Mad, Some Ran Away del 1995 per cui vincerà
sempre in quell'anno il Turner Prize.
“Come in Mother and Child, Divided (1993), una cosa emozionale con la quale ti
rapporti in un modo brutale e non emotivo, e che però diventa anche una cosa minimale
o strutturale. La divisione che c'è nel titolo è reale, visto che in effetti sono tagliati a
metà. Quel concetto preciso di uccidere le cose per guardarle, in un certo qual modo,
se provi a considerare una relazione con un altro essere umano da un punto di vista
scientifico, è come cercare di risolvere delle questioni romantiche con una mente
scientifica; o cercare di risolvere questioni scientifiche quando sei coinvolto
emotivamente. Le mucche le tagli in sei pezzi ed era un modo per avere due cose
35 Ivi, p. 127.
28
insieme. Potresti dire
che sia amore. Potresti
dire:
di
queste
due
mucche ne farò una
sola.
Ovviamente
è
morta ed è piuttosto
brutale.
Stanno
un
pezzo da una parte, uno
dall'altra.
Ma
la
violenza di ciò credo sia
la violenza insita in
Damien Hirst, Mother and Child, Divided, 1993
ogni sorta di relazione,
come quando cerchi di
tenere in piedi una relazione, che cade a pezzi. E poi il titolo ammetteva che non
avrebbe mai funzionato. A un certo punto, ti rassegni al fatto che non sia possibile. Le
parole tradiscono le bugie intrinseche. La verità sembra essere un tipo di ricerca
impossibile. Le menzogne costituiscono una gran parte della nostra vita”36. Damien
Hirst non è preoccupato dell'inarrestabile processo di decomposizione che gli animali
protagonisti delle sue opere subiranno comunque, o meglio per l'artista inglese l'idea, il
concetto è più importante dell'opera vera e propria e fintanto che i cadaveri degli animali
si conserveranno fino alla fine della sua vita, a lui non importa cosa succederà loro
dopo.
Nel mese di agosto 1995, i funzionari della sanità pubblica newyorkese vietarono
ad Hirst di esporre in galleria l'opera Two Fucking, Two Watching, (una mucca morta e
un toro che si accoppiavano mediante un dispositivo idraulico), gli animali non erano
stati conservati in formaldeide poiché l'idea alla base dell'opera era simile a quella di A
Thousand Year, lasciare che il processo di decomposizione subisse il suo naturale
percorso. L'esposizione non fu permessa per problemi innanzitutto di ordine sanitario e
igienico, in secondo luogo perché l'odore emanato dalle carcasse in decomposizione
sarebbe stato troppo forte e avrebbe causato nausea tra i visitatori.
36 Ivi, p. 145.
29
Nella primavera del 1996, dal 4 maggio al 15 giugno, la Gagosian Gallery di New
York organizzò la prima importante personale di Hirst in America: No Sense of
Absolute Corruption. Si trattò della via preferenziale per il mercato americano, l'ultimo
tassello per la definitiva consacrazione, che doveva avvenire obbligatoriamente negli
Stati Uniti (così com'è tuttora). L'opera principale portata in esposizione fu Some
Comfort Gained from the Acceptance of the Inherent Lies in Everything (Un po' di
conforto guadagnato dall'accettazione della sostanziale bugia di ogni cosa) del 1995,
due
mucche
sezionate in 12
pezzi e ciascuno
immerso in una
colonna riempita
di
formaldeide.
“Penso sia come
quei
che
cabinets
Damien Hirst, Some Comfort Gained from the Acceptance of the Inherent Lies
in Everything, 1995
erano
intitolati The Lovers' Cabinets (1991) e ognuno aveva un proprio nome, The Committed
Lovers, The Spontaneous Lovers, The Compromising Lovers, The Dedicated Lovers.
Erano solo le budella di otto mucche in vasi di vetro dentro quattro cabinets. Stavo
proprio pensando alle relazioni, a Jack Spratt e sua moglie. Come quella filastrocca:
Jack Spratt non poteva mangiare grasso, sua moglie non poteva mangiare magro, per
cui insieme facevano piazza pulita nel piatto. Vuol dire che facevano compromessi, a
lei non piaceva il magro, a lui non piaceva il grasso, per cui ciascuno mangiava quello
dell'altro e finivano tutto. Pensavo a quello. Come in Mother and Child Divided (1993),
una cosa emozionale con la quale ti rapporti in un modo brutale e non emotivo […]”37.
È del 1996 anche l'opera This Little Piggy Went to Market, This Little Piggy
Stayed Home (Questo piccolo porcellino è andato al mercato, questo piccolo porcellino
è rimasto a casa) dove un maiale è diviso a metà e ciascuna parte dell'animale rimane
separata dall'altra ed è inserita in una teca inondata di formaldeide. Ciascuna metà del
maiale scivola l'un l'altra su un binario automatizzato, che permette alle due parti di
37 Ivi, pp. 144-145.
30
separarsi
unirsi
più
e
insieme
volte.
Il
titolo dell'opera
è
un
chiaro
riferimento
ad
una filastrocca
Damien Hirst, This Little Piggy Went to Market, This Little Piggy Stayed Home,
1996
per
bambini
molto
diffusa
nella
cultura
inglese, ma questa scelta particolare non ha alcun motivo a fondamento. “Non
preferisco quel titolo agli altri. Qualche volta penso che sto diventando troppo serio,
allora tiro fuori un titolo stupido, come chiamare qualcosa «Fanculo». In effetti stavo
cercando un altro titolo per quello. Stavo pensando che mi piacerebbe cambiarne il
titolo. Somiglia a un affettatrice; è un affettatrice da maiale e allora pensi che sarebbe
buffo se lo chiamassi come qualcosa che ha a che fare con ciò, ma non lo so. This
Little Piggy Went to Market, This Little Piggy Stayed Home è quel tipo di separazione,
una parte di te va in una direzione e l'altra metà nell'altra. Succede quando hai due
opinioni su qualcosa. Forse è un buon titolo”38.
Il 1997 fu un anno importante per l'artista inglese, nell'autunno di quell'anno alla
Royal Academy of Art di Londra fu inaugurata una mini-retrospettiva sugli Young
British Artists: Sensation, che sbarcò successivamente anche a Brooklyn, New York.
Furono portati in esibizione i lavori più rappresentativi di Hirst e degli altri YBAs
proveniente dalla collezione di Charles Saatchi. Quando la mostra sbarcò a New York,
incontrò numerose polemiche, portate avanti soprattutto dall'allora sindaco della
capitale statunitense Rudolph Giuliani. Le proteste scaturirono, oltreché per le altre
opere (tra cui quelle di Hirst), considerate troppo provocatorie, soprattutto per The Holy
Virgin Mary (La Santa Vergine Maria) di Chris Ofili, un altro YBAs. L'opera
rappresentava la Vergine Maria, in chiave africana, di colore, circondata nello sfondo da
immagini tratte dai film caratteristici del Blaxploitation (un genere di film nato negli
38 Ivi, p. 144.
31
Stati Uniti nei primi anni sessanta, sviluppato e portato avanti soprattutto da
afroamericani e rivolto principalmente ad un pubblico afroamericano) e primi piani di
genitali femminili ritagliati da riviste pornografiche. Le forme assunte dalla
composizione di questi elementi erano un riferimento ai cherubini e ai serafini che
comunemente sono presenti nelle raffigurazioni dell'Immacolata Concezione e
nell'Assunzione di Maria. Giuliani tentò di vietare l'opera ed eventualmente chiudere del
tutto l'esibizione, ma l'unico effetto che le sue proteste provocarono, fu una
considerevole mole di pubblicità per il Brooklyn Museum of Art e la mostra andò come
previsto.
Fu sempre nel 1997 che Damien Hirst iniziò ad espandere le sue attività,
concentrandosi non solo sull'arte, ma anche sul business, seguendo una strada che aveva
già intrapreso precedentemente soprattutto quando, nel 1995, diresse il video del brano
Country House del gruppo pop inglese Blur. Nel 1997 firmò la regia e la sceneggiatura
del cortometraggio Hanging Around, interpretato dal comico e cabarettista inglese
Eddie Izzard. Sempre lo stesso anno disegnò copertine per alcuni album del gruppo
elettropop britannico Eurythmics e divenne co-proprietario della casa discografica
Turtleneck, con l'attore e amico Keith Allen, con cui ha lavorato per diversi progetti.
Iniziò a scrivere la sua autobiografia I Want To Spend the Rest of My Life Everywhere,
with Everyone, One to One, Always, Forever, Now (Edizioni Booth-Clibborn, Londra
1997) che verrà pubblicata l'anno dopo e sempre nel 1998 fu coinvolto in un gruppo
pop, Fat Les, che registrò due singoli.
Il 1997 fu soprattutto l'anno di Pharmacy, un bar ristorante inaugurato a Notting
Hill da Hirst, Jonathan Kennedy e Matthew Freud (esperto in pubbliche relazioni,
parente del pittore Lucien Freud e alla lontana di Sigmund Freud). Il ristorante vide la
collaborazione di Jasper Morrison per gli arredi e Prada che disegnò le divise del
personale. Hirst si occupò degli allestimenti, riempì il ristorante con medicine cabinet e
butterfly painting. L'ambiente era un chiaro riferimento a quello delle farmacie,
all'esterno la tipica croce verde al neon, all'interno armadietti di medicinali, pillole e
stampe della tavola periodica degli elementi chimici, le toilette erano corredate di guanti
in latex e supposte, i cocktail avevano nomi come Detox o Voltarol Retarding Agent.
L'idea a fondamento di Pharmacy nacque in realtà cinque anni prima, è del 1992
32
l'installazione Pharmacy, un'intera farmacia a grandezza naturale, occupava un'intera
stanza e fu installata alla Cohen Gallery di New York nell'inverno del 1992. Seguirono
altre cinque esposizioni della stessa opera, nel 1994 la seconda installazione al Dallas
Museum in Texas, un anno dopo alla Kukje Gallery di Seoul (Corea del Sud) Hirst
presentò la sua terza installazione di Pharmacy, il 1999 fu l'anno della quarta
installazione, questa volta in Europa alla Tate Gallery di Londra e nel 2001 la quinta
installazione alla Tate Modern. Dal 24 ottobre 2009 al 7 marzo 2010 è stata esposta la
sesta installazione di Pharmacy al BALTIC Centre for Contemporary Art (Gateshead,
Nord-Est
dell'Inghilterra)
in
collaborazione
con
la
Tate,
per
celebrare
i
centosettantacinque anni dell'Università di medicina di Newcastle.
“Quando ho fatto Pharmacy a New York, la mostra migliore che avessi fatto fino
a quel momento, c'è stato un attimo in cui ho pensato che dicesse molto dei nostri
tempi, cazzo. Quando ho fatto la mostra c'era un ascensore piccolissimo che portava
direttamente in galleria. Si aprivano le porte e ti trovavi davanti il tavolo della galleria
e il retro del tavolo della farmacia, con su una tazza di tè, un sandwich, il telefono e
altra roba. Quindi andavi oltre il tavolo e pensavi “Oh cazzo!”. Ti trovavi
all'improvviso dietro il bancone di una farmacia. Ti sentivi nel posto sbagliato. Quasi
tutti tornavano all'ascensore dicendo “Oh no, è una farmacia”. Ti ritrovavi dietro la
cassa. Tornavano tutti in ascensore. Scendevano e poi tornavano su. “Dov'è la mostra
di Damien Hirst?... È questa?... Cazzo, è un lavoro”. Fantastico. È così che dovrebbe
funzionare. Alla Tate non è andata così, non ha funzionato molto bene. Ma il fatto è che
nell'attimo esatto in cui lo fai... L'ho fatto lì e basta. Non c'era nient'altro. Era la cosa
più contemporanea che potessi fare, che potessi fare allora”39.
Il ristorante del 1997 fu la naturale evoluzione di quel progetto, la farmacia a
grandezza di stanza si allargò fino a diventare un intero edificio. Pharmacy (il ristorante
come l'installazione) si inseriva nella tematica della medicina che, intrecciata con
l'esplorazione della morte rappresenta un'altra grande poetica del lavoro di Hirst. Il
rapporto tra arte e medicina è ciò che l'artista inglese vuole evidenziare, “[l'arte] può
curarti, guarirti o cose del genere. È probabilmente meglio delle medicine. Penso che
l'arte sia una buona cosa e molto importante. […] Ogni medicina ha infiniti effetti
39 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., pp. 74-75.
33
collaterali. […] Credo che quel che si dimentica è che siamo destinati a morire.
Perdono di vista il problema. Possono solo curarti per un attimo. Quando ti danno le
medicine per tenerti in vita, arrivi a un punto in cui devi dire che non ne vale più la
pena, credo. Le due cose sulle quali non sappiamo nulla, le due cose di cui non ti
insegnano nulla a scuola sono la nascita e la morte, il che è proprio assurdo. Sesso e
morte non sono materia d'insegnamento e sono senz'altro le due cose più importanti: da
dove veniamo e come
andremo a finire. È
giusto dare medicine
alla gente, ma penso
che sarebbe meglio
educarla sul sesso e
la morte. Suppongo
che ora con l'AIDS
sia molto più chiaro.
È un grande e sporco
affare,
quello
dei
farmaci. Certo, sono
migliori
che
passato.
sono
Le
nel
pillole
Damien Hirst, Pharmacy, 1992, particolare dell'installazione
sorprendenti.
Ma è come per il
denaro.
Guarda
il
denaro e i soldi, sono
pezzi
di
metallo,
carta
e
perciò
Damien Hirst, Pharmacy Restaurant, 1997, particolare dell'insegna
devono usare l0arte
per venderli. Ci deve essere un disegno su una banconota, perché se dai alla gente un
pezzo di carta bianca, ti diranno «Togliti dai piedi, questo non vale niente». Quindi
devi farci un disegno per crederci: questa cosa pulita e lucida. Se producessero pillole
34
fatte a mano nessuno comprerebbe una pillola nera, che implica l'idea di morte, per
tutti quei soldi”40.
Pharmacy doveva dare l'illusione di essere una grande farmacia, il nome del
ristorante e l'aspetto dell'insegna esterna, potevano però trarre in inganno, così la Royal
Pharmaceutical Society fece causa ad Hirst, Pharmacy finì su tutti i giornali e la
pubblicità del locale crebbe ancora di più attirando celebrità come Hugh Grant,
Madonna e Kate Moss. Per tenere alto e vivo l'interesse verso il ristorante, Hirst
modificava, a cadenza costante, il nome del locale con gli anagrammi di Pharmacy
come Achy Ramp o Army Chap e continuò a farlo fino a che l'interesse della stampa
scemò, la croce verde fu rimossa e al nome fu aggiunta anche la scritta «Bar
Ristorante».
Il ristorante Pharmacy rimase per Hirst comunque un progetto di secondaria
importanza rispetto all'installazione, “l'arte è speciale, mentre i ristoranti sono noiosi.
L'effetto è diluito. All'inizio, se lo guardavi come opera d'arte, era fantastico. Però non
è un'opera d'arte, è un ristorante, questo è il suo ciclo vitale. Se lo vedi da artista ti
sorprende, la gente si siede in giro in maniera completamente diversa da tutto ciò che
hai visto prima. È emozionante, ti piace. Poi però ti accorgi che è solo un ristorante, e
che l'arte vera è alla Tate. Purtroppo. Sono due cose diverse. Voglio dire, la gente mi
chiede “Se un armadietto di medicine costa 200.000 sterline, allora Pharmacy quanto
vale?”. Ma non funziona così, Ho un contratto in cui non si scherza e dice che se
qualcosa non funziona i pezzi non potranno essere considerati come opere d'arte.”41
Questa intervista risale al 18 aprile del 2000, tre anni dopo successe esattamente il
contrario, nel 2003 Pharmacy chiuse e a seguito della chiusura Sotheby's decise di
mettere all'asta gli arredi del locale, insieme al catalogo dell'asta stessa, la cui copertina
fu disegnata da Hirst. “Centocinquanta oggetti furono messi in vendita in quella che
Barker [Oliver Barker, esperto d'arte contemporanea di Sotheby's] descrisse come la
prima asta, nei duecentocinquantanove anni di Sotheby's, costituita completamente da
opere realizzate da un unico artista vivente”42.
40 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 111-113.
41 Ivi, p. 213.
42 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 94.
35
L'asta chiuse con una vendita complessiva pari a 11,1 milioni di sterline, a fronte
di 3 milioni di valutazione, “gli oggetti del Pharmacy brandizzati da Hirst, venduti
all'asta come opere d'arte, avevano realizzato in una sera un profitto maggiore di quanto
il ristorante avesse fatto in sei anni”43. I più importanti pezzi venduti furono:
•
Full of Love (Pieno d'amore): tela con farfalle, venduta al gallerista londinese
Timothy Taylor per 364.000 sterline, superando Hary Blain di Haunch of
Venison, che operava in rappresentanza di François Pinault (proprietario di
Christie's);
•
The Fragile Truth (La fragile verità): armadietto di medicinali a sei scomparti,
venduto a Blain (che questa volta ebbe la meglio su Taylor) per 1 milione e
200.000 sterline;
•
Diversi oggetti come: sei posacenere e due bicchieri di Martini, venduti
rispettivamente per 1600 sterline e 4800 sterline, una coppia di saliere e pepiere,
venduta per 1920 sterline e un paio di inviti ad una festa di compleanno che
furono acquistati dalla gallerista londinese Anne Faggionato per 1440 sterline,
quaranta rotoli della
tappezzeria
dorata
disegnata da Hirst
aggiudicati per 9600
sterline e un lotto di
sei sedie di Jasper
Morrison
venduto
per 10.000 sterline.
Nel maggio 2003, il suo
spot painting fu mandato
nello spazio, si trattava in
realtà di un componente
della sonda terrestre inglese
Instrument Calibration for Beagle Lander, Damien Hirst, spot
painting, 2003
43 Ivi, p. 95.
36
Beagle, Hirst ne dipinse la
superficie con i cerchietti tipici dello spot painting. Il pezzo serviva alla sonda per
calibrare i suoi strumenti e fu lanciata su Marte come parte della missione Mars Express
dell'Agenzia Spaziale Europea. “L'opera era accompagnata da una canzone della rock
band inglese Blur, che sarebbe dovuta partire per segnalare che il Beagle era atterrato.
La notte di Natale del 2003 il Beagle atterrò sulla superficie di Marte a 225 chilometri
all'ora e il veicolo e lo spot painting finirono in mille pezzi”44.
Nel gennaio 2005, Charles Saatchi vendette l'opera The Physical Impossibility of
Death in the Mind of Someone Living a Steve Cohen; lo squalo ormai rovinato fu
sostituito da un altro squalo bianco simile al precedente per imponenza e ferocia che
Hirst acquistò da Vic Hislop, il pescatore che già gli aveva venduto nel 1991 l'originale.
Il nuovo animale fu esposto nella mostra Re-Object, al Kunsthaus Museum di Bregenz,
in Austria che si tenne dal 18 febbraio al 13 maggio del 2007. L'evento era legato al
ready made e alla cultura pop e le opere in esposizione non furono solo quelle di Hirst,
ma anche quelle di Marchel Duchamp, Gerhard Merz e Jeff Koons.
Sempre nel 2007, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone
Living con il nuovo squalo fu spedito al Metropolitan Museum di New York, donato in
prestito da Steve Cohen e lasciato in esposizione per tre anni.
“Una delle cose che conferisce valore ad un'opera d'arte è la sua rarità, il
presupposto che è unica nel suo genere e che non potrà mai essere riprodotta. Per
proteggere il valore dello squalo di Cohen, ci si sarebbe aspettati che Hirst non ne
avrebbe mai riprodotta una copia. Invece lo fece. All'inizio del 2006, Hirst inaugurò The
Death of God, la sua prima mostra in America Latina, alla Galeria Hilario Galguera di
Città del Messico. All'entrata, in mezzo alla sala, era esposta The Wrath of God (L'ira di
Dio), un altro squalo tigre in formaldeide”45. Lo squalo in questione era quello che Vic
Hislop spedì in omaggio ad Hirst, fu venduto per 4 milioni di dollari al Leeum Samsung
Museum di Seul, Corea del Sud. Cohen, comunque, non parve dare importanza alla
questione.
Tra maggio e giugno 2007 Hirst mise a segno due importanti vendite record
sempre da Sotheby's, la prima riguardava uno spot painting di 194 x 154 cm, venduto
44 Ivi, pp. 95-96.
45 Ivi, p. 89.
37
per un milione e mezzo di Euro, la seconda vendita fu invece relativa all'opera Lullaby
Spring (Ninnananna primavera) del 2002, un medicine cabinet di acciaio e vetro
contenente
6136
pillole realizzate a
mano
e
fu
aggiudicata
per
19,1
milioni
di
dollari, superando
il
precedente
record
di
17
milioni di dollari
per
l'opera
costosa
da
più
realizzata
un
vivente
apparteneva
artista
che
Damien Hirst, Lullaby Spring, 2002
a
Jasper Johns, inoltre la cifra record superò anche la quotazione dell'opera gemella,
sempre di Hirst, Lullaby Winter (Ninnananna inverno) sempre del 2002, aggiudicata per
7,4 milioni di dollari non più di un mese prima a New York.
La firma di Damien Hirst non è solo il punto finale del suo discorso artistico, è
qualcosa di più, “Gill [Adrian Anthony Gill, giornalista e critico gastronomico del
Sunday Times] possedeva un vecchio ritratto di Iosif Stalin dipinto da un anonimo, che
diceva, «era appeso sopra la scrivania come sprone a lavorare duro». L'aveva pagato
200 sterline. Nel febbraio 2007 Gill lo propose a Christie's per venderlo in un'asta
infrasettimanale di minore importanza. La casa d'asta lo rifiutò dicendo che non trattava
opere che ritraevano Hitler o Stalin. «E se si trattasse di uno Stalin di Hirst o di
Warhol?», «In questo caso, naturalmente, saremmo felicissimi di averlo». Gill chiamò
Damien Hirst e gli chiese se avrebbe dipinto un naso rosso sul suo Stalin. Hirst accettò,
e aggiunse la sua firma sotto quel naso. Con la firma di Hirst, Christie's lo accettò e lo
offrì per una stima tra le 8000 e le 12.000 sterline. Diciassette rilanci dopo, il martello
38
batté la cifra di 140.000 sterline. Dopotutto, si trattava di un Hirst autografo”46. Il
concetto qui espresso è un'anticipazione di ciò che sarà spiegato approfonditamente nel
capitolo successivo ma già spiega come Damien Hirst sia riuscito a plasmare la sua
firma, aggiungendole un valore extra-artistico sfruttando le leve pubblicitarie e
promozionali durante l'arco della sua carriera.
Un'altra opera molto particolare e
rappresentativa della carriera di Hirst è
For the Love of God (Per l'amor di Dio)
composta nel 2007, l'unica nella storia
dell'arte a godere di pubblicità sui
giornali addirittura un anno prima che
venisse realizzata. «For the Love of
God» sarebbe stato esattamente ciò che
pare abbia detto la madre di Hirst
appena venuta a conoscenza del progetto
(da cui il titolo). L'opera, tempestata di
8601
diamanti
di
tipo
industriale
incrostati a pavé, ha una quantità di
pietre preziose tre volte superiore a
quella della Corona Imperiale e sarebbe
la più grande commissione accolta da un
Damien Hirst, For the Love of God, 2007
gioielliere dai tempi della Corona stessa,
per un totale di 1100 carati. Il diamante più prezioso da 52,4 carati è rosa ed è al centro
della fronte, per un valore di circa 4 milioni di sterline.
Il progetto è il calco di un teschio umano su modello di un un uomo di circa
trentacinque anni deceduto tra il 1720 e il 1810 (che Hirst comprò a Islington, un borgo
londinese, in un negozio di tassidermia). Il teschio, in scala 1:1, è in platino con denti
umani. “Hirst dice che For the Love of God si inserisce nella tradizione del memento
mori: i teschi un tempo venivano dipinti per ricordarci la nostra mortalità. Rappresenta
anche un omaggio agli Aztechi, dato che attualmente Hirst passa quattro mesi all'anno
46 Ivi, p. 96.
39
nella sua seconda casa in Messico”47. Il contributo di Hirst per l'opera si è limitato come
per gran parte della altre sue produzioni, alla supervisione, mentre la realizzazione e la
produzione del teschio di diamanti (costato tra i 12 e i 15 milioni di sterline) è stata
realizzata dalla gioielleria Bentley and Skynner di Bond Street a Londra. Esposta nel
giugno 2007 alla White Cube di Londra nella mostra Beyond Belief, fu acquistata nel
settembre 2007 da un gruppo di investitori per 50 milioni di sterline (prezzo al quale fu
messo in vendita) qualificando così l'opera come la più costosa di un artista vivente.
Gli investitori versarono solo la parte relativa alla loro quota e cioè 38 milioni di
sterline, poiché Hirst volle mantenere per sé il 24 per cento della proprietà dell'opera.
White Cube, inoltre mise in vendita anche delle serigrafie del teschio, tutte in edizione
limitata, le più care erano cosparse di polvere di diamanti e raggiungevano prezzi dalle
900 alle 10.000 sterline. “L'artista Dinos Chapman ha definito il teschio un'opera di
genio, non per l'arte, ma per il marketing. Un banditore di Christie's, alla domanda sui
prezzi, scuote la testa e dice «Se comprerei un Hirst? No. Ma noi non dettiamo il gusto,
è il mercato a crearlo, noi mettiamo semplicemente l'arte all'asta»” 48. Anche questo
discorso sarà approfondito nel successivo capitolo.
Damien Hirst è attivo anche nel contesto veneziano, dal 7 giugno all'8 settembre
2007, in occasione della cinquantaduesima Biennale di Venezia, è stata allestita a
Palazzo Pesaro Papafava l'esposizione New Religion , in collaborazione con la Galleria
Michela Rizzo. Le opere, tra serigrafie, sculture e fotografie furono già create nel 2005
per la galleria londinese Paul Stolper Gallery, dove sempre quell'anno ci fu la prima
edizione della mostra. Il tema è quello classico, il rapporto tra vita e morte, in una
prospettiva dedicata al rapporto tra medicina e religione, “non posso fare a meno di
pensare che la scienza sia la nuova religione per molte persone. È davvero altrettanto
semplice e altrettanto complessa”49. Religione, amore, arte e scienza intrecciati assieme
come unico grande tema, “tutti sono solo strumenti che possono aiutarti a trovare una
via attraverso l'oscurità in cui brancoliamo. Nessuno di loro in realtà funziona fino a
questo punto, ma aiutano. Tra tutti, la scienza sembra essere l'unico strumento giusto in
47 Ivi, pp. 96-97.
48 Ivi, p. 99.
49 D. Hirst, New Religion, Damiani, Bologna 2007, p. 5.
40
questo momento. Come la religione, fornisce quel barlume di speranza che forse andrà
tutto bene alla fine. Immagino di voler più che altro far pensare la gente. In questo caso,
volevo che le persone pensassero alla combinazione di scienza e religione,
fondamentalmente. La gente tende a considerarle come due cose nettamente separate,
una fredda e clinica, l'altra emozionante, amorevole, calda. Io volevo scavalcare questi
confini e dare qualcosa che sembra clinico e freddo ma ha anche tutte le connotazioni
religiose e metafisiche. Adesso è il momento perfetto, perché la chiesa sta facendo
un'enorme confusione su tutto”50.
Il rapporto con Venezia è sempre costante, è tuttora in corso (dal 12 aprile al 30
luglio 2010) la mostra Death in Venice allestita nella Galleria Michela Rizzo, in
collaborazione con la Paul Stolper Gallery di Londra. Il titolo dell'esposizione è un
chiaro riferimento al romanzo di Thomas Mann, Death in Venice. Il tema è quello
tradizionale della morte. Le opere
portate da Hirst in esposizione sono
oltre venti, tutte della sua ultima
produzione, “[...] una serie di sei
teschi intitolati Dead, due grandi
grafiche Sceptic e Faithles, dove
composizioni di farfalle richiamano
l’iconografia delle vetrate delle
cattedrali europee in un’immagine
sospesa tra laicità e fede, un dipinto
di
grandi
Primal
dimensioni
Urges
Painting,
Beatiful
opera
circolare della serie degli spin
painting (tele dipinte durante un
movimento rotatorio) e ancora,
teschi
coperti
di
polvere
di
diamante. In queste opere l’artista
inglese sembra quasi che si rapporti
Damien Hirst, Nowhere Women" Death - 8 , 2010
50 Ibidem.
41
con i colori e le declinazioni della cultura pop e ancora una volta classicità e glamour
vengono uniti in una visione assolutamente contemporanea”51. Oltre alle opere più
comuni dell'artista inglese, sono esposte in mostra anche una serie di dieci teschi,
disegnati a matita con il collage tanto caro al primo Hirst. Lo scheletro qui muta, ruba
gli occhi e la bocca a persone vive, cambia in continuazione da un aspetto a un altro, ma
rimane in sostanza sempre lo stesso e ricorda a chi lo scruta che la vita è destinata a
dissolversi, memento mori come Natural History.
Nel 2009 l'artista di Leeds ha collaborato con Lance Armstrong per un'operazione
di beneficenza (e di pubblicità) cimentandosi nella decorazione della bicicletta del
ciclista statunitense per il Tour de France, incollando ali di farfalla che lui stesso ed i
suoi collaboratori hanno
staccato dal corpo degli
insetti utilizzati. “Lance
is an inspiration to many
people on many levels.
Bono first approached
me about the bike and
described Lance to me as
“the greatest sportsman
the world has ever known
after Ali!” It was a great
opportunity to work with
someone I admire and
create
something
the
I've
bike,
Damien Hirst, Butterfly bike , 2009
never
done before. The technical problems were immense, as I wanted to use real butterflies
and not just pictures of butterflies, because I wanted it to shimmer when the light
catches it like only real butterflies do, and we were trying not to add any extra weight to
the bike.”52. (Lance è una fonte d'ispirazione per tante persone a diversi livelli. Bono per
51 Comunicato stampa di Death in Venice, Galleria Rizzo, Disponibile da: www.galleriamichelarizzo.net
[Consultato nel mese di maggio 2010].
52 Invervista di Damien Hirst disponibile su: www.trekbikes.com [Consultato nel mese di febbraio 2010].
42
primo mi parlò della bicicletta e mi descrisse Lance come “il più grande uomo di sport
che il mondo abbia mai conosciuto dopo Ali!”. E 'stata una grande opportunità per
lavorare con qualcuno che ammiro e così ho creato la bicicletta, una cosa che non ho
mai fatto prima. I problemi tecnici sono stati immensi, così ho voluto usare delle vere
farfalle e non solo immagini di farfalle, perché volevo che brillassero quando la luce le
catturasse, cosa che può succedere solo con le vere farfalle e abbiamo cercato di non
aggiungere alcun peso extra per la bici).
Nel Febbraio del 2008, Hirst e Bono (il cantante degli U2), organizzarono The
(RED) auction, un'asta tenuta da Sotheby's nella sede di New York, interamente
dedicata alla beneficenza. I proventi della vendita furono destinati all'Organizzazione
delle Nazioni Unite, per sostenere i programmi di soccorso in Africa, in particolare al
progetto condotto dal Global Fund di lotta all'AIDS/HIV alla Tubercolosi e alla Malaria.
La vendita, che incluse lavori donati da artisti come Anish Kapoor, Marc Quinn, Marc
Newson, Keith Tyson, Takashi Murakami e Banksy, realizzò un introito complessivo
pari a 42,58 milioni di Dollari, un record storico mai realizzato per un asta di
beneficenza.
Sempre in quell'anno, nel settembre del 2008, Hirst decise di mettere all'asta da
Sotheby's tutte le opere che aveva in studio (circa 223 lavori) e di venderle,
scavalcando, per così dire, i soggetti mediatori (come le gallerie) e vendendo
direttamente ai compratori, seguendo, quindi, una modalità inedita per un artista fino a
quel momento. L'asta ebbe luogo
precisamente nei giorni 15 e 16 di quel mese,
registrando un record storico mai raggiunto prima nel mercato dell'arte, vendendo tutti i
lotti per un incasso complessivo pari a 112 milioni di Sterline (circa 140 milioni di
Euro), più del doppio rispetto alle stime fatte dagli esperti Sotheby's. L'analisi dell'asta e
il relativo catalogo saranno oggetto del terzo capitolo.
Damien Hirst è rappresentato da Larry Gagosian (Gagosian Gallery) negli Stati
Uniti, mentre per l'Europa e non solo è rappresentato da Jay Jopling (White Cube), le
sue opere sono incluse tra le più importanti collezioni private come quelle di Charles
Saatchi, Steve Cohen e François Pinault e in alcune collezioni permanenti di musei
pubblici e gallerie, espone, inoltre nei più importanti Musei internazionali di arte
contemporanea, come il MOMA di New York e la Tate di Londra. Ora vive nella
43
residenza di Toddington Manor nel Gloucestershire, contea a sud-ovest dell'Inghilterra
con la moglie Maia Norman e i loro tre figli. Lavora a casa sua e nel suo studio a
Londra, nominato da lui Science.
“All'età di quarantadue anni, Damien Hirst è più ricco, più famoso e forse più
potente di qualsiasi altro artista vivente”53.
53 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 98.
44
CAPITOLO II
2.
GALLERIE, COLLEZIONISTI E ARTISTI DI BRAND: IL
PERCORSO DI HIRST
Per capire il percorso che ha portato Damien Hirst al successo è necessario
conoscere i meccanismi che oggi regolano il mercato dell'arte contemporanea. Cosa
sono i galleristi, i collezionisti e gli artisti di brand?
Il concetto di brand (letteralmente marca o marchio di fabbrica) è un assunto che
ha preso piede con l'avvento del marketing, nato nei primi anni del '900 negli Stati
Uniti. Con questo termine s'intende l'insieme dei segni distintivi che contraddistinguono
e caratterizzano un'impresa e di cui essa si serve per esaltare e differenziare il proprio
prodotto rispetto ad altri dello stesso genere. Questa e tante altre sono solo parte delle
molteplici potenzialità del marketing, disciplina che, sviluppatasi e diffusasi nel corso
del secolo scorso nell'ambito pubblicitario dei più importanti mercati, era rimasto, però,
uno strumento del tutto sconosciuto a quello artistico. Il concetto di branding,
solitamente associato ai prodotti di consumo, una volta assimilato anche dai prodotti
artistici ha mantenuto le medesime caratteristiche, producendo i medesimi benefici:
un'arte brandizzata acquisisce valore in quanto assimila personalità e distinzione.
L'influenza che questa leva ha sui prezzi dell'arte è notevole, un collezionista è
disposto a pagare di più per un'opera per così dire, di marca, piuttosto che per una che
non lo è, questo valore aggiunto, conosciuto con il nome di brand equity, si è ormai
diffuso influenzando la formazione delle quotazioni artistiche. Il concetto è simile a
quello che regola il valore degli altri beni di lusso, il meccanismo che li governa è
strettamente legato alla visibilità che essi possono comportare, garantita da una marca
ben riconoscibile.
Allo stesso modo l'arte crea distinzione, e ciò che è più importante per chi
appartiene ai ranghi più elevati, non è il denaro in sé, quanto la sicurezza di possedere
45
un'opera d'arte rara e ricercata che pone il collezionista in una posizione di status più
elevata rispetto agli altri. “I mercanti e gli esperti […] dicono pubblicamente che i
prezzi sono quelli che qualcuno sarà disposto a pagare, e in privato che comprare arte
della fascia di prezzo più alta spesso è un gioco per super ricchi che ha come
ricompensa notorietà e prestigio culturale”54.
Il primo artista a sfruttare la pubblicità e le potenzialità ad essa legate fu Andy
Warhol, che negli anni sessanta introdusse l'idea di “artista-come-celebrità,
un'estensione del concetto della superstar nella musica, nel cinema e nello sport”55.
Andy Warhol, nato il 6 agosto del 1928 a Pittsburgh, negli Stati Uniti, è noto come
maggior esponente della Pop Art, è conosciuto per la sua capacità di descrivere la
cultura, i costumi e le abitudini della società americana della sua epoca ma è ancor più
famoso per il suo brand. Warhol fu il primo artista a sfruttare queste nuove leve del
successo, ma certamente non l'ultimo, molti altri artisti ne hanno seguito l'esempio,
come ad esempio Jeff Koons “il Ronald Reagan della scultura”56, Tracey Emin e
Damien Hirst. Arte quindi come industria, come fabbrica, come factory. Fu quella di
Andy Warhol, nel 1963 a raccogliere i giovani artisti newyorchesi per dare loro uno
spazio adatto per creare arte, ma il suo nome, The Factory (La Fabbrica), suggerisce
l'interpretazione giusta da dare alla volontà di Andy Warhol, l'accezione, la sfumatura
corretta adatta alla Factory warholiana è quella più economica. Un'officina artistica, un
luogo collettivo di produzione dell'arte, simile a quello di una qualunque industria
commerciale.
“Il carattere unico e sorprendentemente attuale dell'esperienza della Factory
newyorchese, la particolarissima bottega di lavoro dell'autore [Warhol] che, nell'epoca
della riproducibilità tecnica delle opere d'arte, non può che coincidere con una
'fabbrica'”57. Sorprendentemente attuale, mai sopita, sempre viva. La Factory non è mai
54 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 12. Il paragone tra Jeff Koons e il quarantesimo Presidente degli Stati
Uniti d'America nasce da una somiglianza comportamentale e caratteriale che rende i due personaggi simili tra
loro. Thompson continua definendo Koons “rivestito di teflon e mellifluo come lo può essere una volpe”,
sorridente, gentile, affabile al limite dello smielato, del plastificato (rivestito di teflon), l'effetto è così marcato che
porta a credere che la sua sia più una forma di furbizia che di bontà d'animo.
55 Ivi, p. 100.
56 Ivi, p. 110.
57 F. Prisco, Warhol e la “Factory”, quando l'arte contemporanea diventa industriale, in “Il Sole 24 Ore”, 5 marzo
2008.
46
tramontata, ha assunto forme diverse, ma il concetto a fondamento è rimasto intatto.
Hirst possiede uno studio dove lavorano circa quaranta persone, assistenti che
realizzano per lui le opere, come per la serie degli spin painting, gli spot painting e i
butterfly painting, “in questo momento mi piace essere il datore di lavoro ed avere
responsabilità nei confronti di altre persone […]. Mi piace l'idea di una fabbrica che
produca lavoro, che separi il lavoro dalle idee, ma non mi piacerebbe una fabbrica per
produrre delle idee”58. Il confine rimane comunque sottile e fragile. Il rischio che la
fabbrica di opere si trasformi in un'officina che produce in serie le idee è concreto e la
certezza che questa metamorfosi non sia già avvenuta viene meno.
Riprendendo il concetto di brand nell'arte, è necessario estendere il discorso a più
ampio raggio, questa importante leva economica, infatti, non è da circoscrivere al solo
artista, ma integratasi pienamente negli ingranaggi del mercato si è estesa anche agli
altri attori del sistema, vale a dire ai galleristi, ai collezionisti e in alcuni casi anche ai
musei.
Una galleria di brand è un “luogo dove gli artisti brandizzati nascono e vengono
incubati”59. Queste gallerie leader sono le più importanti in assoluto, costituiscono il
vertice del sistema dell'arte contemporanea e sono in grado da sole di determinare le
tendenze dominanti attraverso un controllo monopolistico o oligopolistico sulla
produzione degli artisti, “mirano a un rinnovamento permanente dell'offerta e cercano
continuamente dei nuovi artisti da promuovere”60 (John Maynard Keynes).
Sono organizzate seguendo le caratteristiche tipiche di un'azienda commerciale,
con filiali in altre città, un'importante rete di collegamenti e collaborazioni e un
adeguato numero di dipendenti, vantano potenti clienti, come i più ricchi collezionisti,
le banche e i musei più influenti. Alcune di queste gallerie sfruttano strategie di
marketing molto simili alle più grandi case di moda, stimolando i bisogni del cliente per
poi soddisfarne la domanda, trasformandosi spesso in mass-market brand (riconosciuti,
cioè, da un mercato vasto e globalizzato). “Insomma la scuderia di cui fa parte un artista
58 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., pp. 232-233.
59 Ivi, p. 38.
60 Dichiarazione dell'economista Keynes riportata in R. Moulin, L'artiste, l'istitution et le marchè, Flammarion,
Paris 1992, p.49. (ora anche in, F. Poli, Il sistema dell'arte contemporanea, 3 ed., Editori Laterza, Bari 2008,
p.70).
47
è la carta vincente oggi sul mercato. Anche perché sono le grandi gallerie ad avere i
mezzi per fare mostre quasi museali. Il video di Bill Viola, Ocean without a Shore
nell'ex chiesetta di San Gallo a Venezia è stato pagato da Haunch of Venison
(controllata da Christie's) che rappresenta Viola fuori dagli Usa, da James Cohan
(gallerista Usa di Viola) e Kukje Gallery, rappresentante in Korea. «In essenza di
politiche culturali del Museo di Arte Moderna di New York – spiega Arnold Glimcher
di Pace Gallery da New York – il mondo delle gallerie funziona collettivamente come
un museo d'arte contemporanea»”61.
Il “gallerista superstar”62 è a tutti gli effetti un manager, applica le strategie di
vendita più aggressive per attrarre a se i collezionisti, ha a disposizione grosse somme di
capitale da investire, una fitta rete di contatti e un buon intuito nella scelta dei giovani
artisti. Il suo modus operandi consiste nel seguire l'artista durante tutta la sua fase di
maturazione e lanciarlo nel mercato promuovendolo presso musei, fiere e gallerie di
altri paesi, colloca le sue opere nelle più importanti collezioni, permettendo così
all'artista di avanzare rapidamente nel mercato. Molti di loro non amano essere definiti
mercanti d'arte, termine che rivela un'accezione prettamente commerciale, economica,
legata quindi ai ritorni in termini di capitale, preferiscono considerarsi più propriamente
galleristi, termine, invece, un po' più morbido, più legato all'essenza pura, culturale
dell'arte. Per questo i mercanti più abili sono quelli le cui gallerie somigliano meno a
spazi commerciali, quanto più a musei dove il prezzo non è mai esposto.
Sostanzialmente, però, a prescindere dal termine usato, rimangono abili venditori,
talvolta senza alcuna laurea in economia o in storia dell'arte, che adottano strategie di
vendita aggressive, con un grosso ritorno economico. “Il gallerista di brand intraprende
una serie di attività di marketing che comprendono le pubbliche relazioni, la pubblicità,
le mostre e i prestiti. La maggior parte delle attività di marketing non hanno per scopo
vendite immediate, ma il rafforzamento del brand del gallerista e la copertura per gli
artisti sulla stampa di settore. Il marketing inizia con le pubbliche relazioni: cene
riservate per presentare i clienti e critici d'arte ai nuovi artisti; brunch e aperitivi
61 M. Pirrelli e A. Somers Cocks, Galleristi e mercanti trasformisti dell'arte, in “Il Sole 24 Ore”, 4 agosto 2007.
62 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 41.
48
all'inaugurazione delle mostre”63.
Storicamente il primo che può definirsi il capostipite di questa tipologia di
galleristi è stato Joseph Henry Duveen64, affermatosi sulla scena del mercato dell'arte
internazionale agli inizi del novecento e fino agli anni '30 dello stesso secolo.
“Come fece questo mercante d'arte a trasformare coriacei imprenditori americani in
appassionati cultori di dipinti d'alta epoca? E come fece a convincere altezzosi milord
inglesi a cedere capolavori mozzafiato che da secoli troneggiavano nelle loro avite
dimore? Fece così: mise a punto il 'metodo Duveen', una sorta di 'arte di vender arte'
fatta di velocità di giudizio, abilità psicologica, esercizio retorico, piccole astuzie,
efficaci stratagemmi e infallibile tempismo. Innanzitutto acquistava con grande
prudenza, perché il mercato dell'arte antica era infettato dai falsi e da attribuzioni troppo
generose. Naturalmente, Duveen non fu immune da trappole e scivoloni in tal senso
(subì anche clamorosi processi per vicende di falsi), ma nel complesso riuscì a difendere
bene la propria reputazione. Una volta verificata l'autenticità di un'opera, questa veniva
acquistata al massimo prezzo, come elemento di garanzia, e di conseguenza venduta al
collezionista a cifre considerevolmente più alte rispetto alla media. Il dipinto acquistato
diventava però un 'Quadro Duveen', fornito di tutti i possibili crismi, non ultimo quello
che il mercante era pronto in ogni momento a ricomprarlo al medesimo prezzo di
vendita.”65.
Duveen quindi, era un abile venditore e un abile comunicatore, i prezzi che
applicava erano molto alti e li giustificava dicendo che «quando si paga per qualcosa
che non ha prezzo, si sta facendo un affare»66 e ancora «L'Europa possiede un sacco di
beni artistici, gli Stati Uniti un sacco di soldi e grandi case vuote: io li faccio
incontrare»67. I galleristi moderni vendono status sociale sotto forma di arte, Duveen fu
il primo.
Nel corso del secolo scorso, tanti altri importanti mercanti si sono imposti sulla
63 Ivi, p. 42.
64 Duveen nacque il 14 ottobre del 1869 a Hull, cittadina inglese dello Yorkshire, regione nella zona orientale
dell'Inghilterra, era figlio di Sir Joseph Joel Duveen, un'importante imprenditore di origine olandese ed ebraica.
65 M. Carminati, Duveen, re dei mercanti, in “Il Sole 24 Ore”, 30 settembre 2007.
66 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 43.
67 Ibidem.
49
scena internazionale, uno su tutti Leo Castelli, banchiere italiano, nato a Trieste nel
1907. La sua galleria newyorkese, la Leo Castelli Gallery divenne famosa soprattutto
perché culla degli artisti americani dell'espressionismo astratto, fu il mercante d'arte di
artisti del calibro di Jackson Pollock, Willem de Kooning, scoprì il talento di Jasper
Johns, Robert Rauschenberg e successivamente Cy Twombly, Claes Oldenburg, Jim
Dine, artisti che contribuirono a forgiare il brand Castelli. Agli esordi della sua carriera
di mercante espose artisti europei come Wassilly Kandinsky, durante gli anni sessanta e
settanta, ormai nel pieno della sua attività e della sua fama organizzò la prima mostra
americana di Francis Bacon, rappresentò tra gli altri, Roy Lichtenstein, Andy Warhol e
Frank Stella.
Castelli cercava principalmente di anticipare le tendenze artistiche, scegliendo gli
artisti in base alla loro personalità e per garantire loro maggiore sicurezza e tranquillità,
assicurava la possibilità di avere uno stipendio fisso, fu il caso, ad esempio di Frank
Stella che stipulò con Castelli un vitalizio di 300 dollari al mese per 3 anni affinché si
dedicasse a tempo pieno alla pittura, Stella infatti nel 1960 lavorava come imbianchino
e poteva dedicarsi alla sua passione solo quando era libero da impegni lavorativi. “Negli
anni settanta, Castelli era il più influente gallerista di arte contemporanea al mondo: i
collezionisti dicevano di acquistare un «Castelli» piuttosto che un Johns o un altro degli
artisti della sua galleria”68.
Castelli è quindi riconosciuto come prototipo del mercante moderno, un gallerista
capace di porsi al centro di una rete intrecciata di rapporti proficui da lui stesso creati,
con i più importanti direttori di musei, con le più autorevoli gallerie di tutto il mondo e
con i più potenti collezionisti. Castelli è quindi considerato l'erede di Duveen, come
presenza imponente e carismatica nel mercato internazionale dell'arte. Muore nel 1999,
lasciando in eredità un ruolo fondamentale e cruciale per la scena artistica.
Questo ruolo verrà presto conquistato da Larry Gagosian. Di origine armena, nato
nel 1945 a Los Angeles, iniziò la sua carriera vendendo manifesti, stampe e poster nella
sua città natale. Nel 1979 aprì la sua prima galleria a New York, nella stessa strada dove
era ubicata quella di Castelli e proprio di fronte. Il modo di operare di Gagosian è
differente rispetto a quello che fu di Castelli, infatti, mentre la peculiarità di quest'ultimo
68 Ivi, p. 47.
50
era quella di anticipare i movimenti artistici e scovare i giovani artisti più promettenti
per formarli e seguirli durante l'arco della loro carriera, l'americano, invece, fonda la sua
esclusività sui rapporti con altri artisti di brand, già illustri, cerca di attirare artisti di
altre gallerie offrendo loro condizioni migliori e punta maggiormente sui rapporti con i
collezionisti più importanti.
Gli artisti da lui rappresentati sono numerosi e di differenti nazionalità e dato che
gli artisti di brand preferiscono essere rappresentati da gallerie diverse nei diversi paesi,
Gagosian, invece, sfruttando le sue grandi risorse finanziare, ha aperto numerose filiali
internazionali e ha creato una catena di gallerie che gli permette di gestire meglio i suoi
artisti. Le Gagosian gallery (questo è il nome del suo brand) sono otto in tutto: tre a
New York, una a Beverly Hills, due a Londra, una a Roma (aperta nel 2007) e una
recente inaugurata ad Atene nel 2009, in più ha due uffici, uno a La Jolla in California e
l'altro ad Hong Kong ed un Gagosian shop a New York.
Quella di Gagosian si può definire una vera e propria multinazionale che opera nel
mercato dell'arte. Questa rete internazionale di gallerie permette, quindi, di
rappresentare numerosi artisti nei vari paesi dove le gallerie sono situate, il gallerista
americano cura gli interessi dei più importanti artisti di brand, tra cui si annoverano
Richard Serra, Rachel Whiteread, Cecily Brown, Jenny Saville, Jeff Koons, Maurizio
Cattelan, Vanessa Beecroft, Mike Kelley, Chris Burden, Cy Twombly e i fondi di
Warhol e De Kooning. Inoltre, rappresenta negli Stati Uniti il fondo di Giacometti e
Damien Hirst.
Nella primavera del 1996 Hirst si apprestava ad esporre i propri lavori per la prima
volta negli Stati Uniti, per la mostra No Sense of Absolute Corruption alla Gagosian
Gallery di New York, fu per lui la svolta decisiva, l'ultima tappa per la consacrazione
internazionale e non esisteva altro palcoscenico migliore se non la galleria di Gagosian.
Hirst ne era ben consapevole e le sue parole in un'intervista datata aprile 1996, un mese
prima circa dell'inaugurazione della mostra, furono chiare: “per me, dal punto di vista
del mondo dell'arte, dopo Gagosian non c'è più nessun posto in cui andare”69. Il suo
rapporto con galleria è sofisticato e va aldilà di un semplice contratto di mediazione e
sponsorizzazione, “ho un rapporto con la galleria. Mi pagano un milione di dollari per
69 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 53.
51
fare una mostra e poi li recuperano. […] Sei semplicemente nella posizione in cui ti
danno dei soldi per fare degli esperimenti”70. Quest'ultima frase lascia spazio ad una
precisa interpretazione, il concetto espresso non è dissimile rispetto a quello della
Factory warholiana, è direttamente collegabile e anzi lo amplia. Mentre quello di
Warhol è un discorso circoscritto all'artista, quello espresso nella dichiarazione citata è
esteso anche alla galleria d'arte. Non solo è l'artista a produrre in serie le opere, ma è la
galleria stessa ad alimentare questo meccanismo, per poter così rientrare
nell'investimento, esattamente come quanto accade per qualsiasi altro settore
merceologico. Se la galleria d'arte privata è portata a interpretare il ruolo di mecenate,
vien da sé che, in quanto impresa commerciale, non si limiterà semplicemente a
proteggere l'artista in un rapporto di sereno patrocinio e senza ingerenza nella sua libera
attività di ispirazione, ma ne spronerà la continua produzione artistica come risorsa
economica per soddisfare l'esigente mercato. Il meccanismo è espresso perfettamente da
Hirst, afferma di ricevere un finanziamento per garantire alla galleria un'adeguata
produzione e a questi livelli, la sicurezza del ritorno economico e della copertura
dell'investimento, con le dovute precauzioni è solida. I brand Hirst e Gagosian sono
garanzia sufficiente.
Gagosian, ovviamente, è legato ad una rete di maggiori collezionisti, tra i più
importanti collaborano con lui David Geffen, Samuel Newhouse jr, David Ganek,
Charles Saatchi e François Pinault, proprietario di Palazzo Grassi a Venezia e della casa
d'asta Christie's.
“Larry Gagosian is perhaps New York's most exotic and most talked about art
dealer […]. Mr. Gagosian, or Go-Go, as he is nicknamed, brashly bestrides the US artdealing scene. […] He is a powerhouse: he shows the work of such names as Richard
Serra, Walter de Maria, Jeff Koons, Ed Ruscha and Rachel Whiteread. Mr Gagosian
also represents the estate of Andy Warhol, and in New York shows British artists such
as Damien Hirst, Douglas Gordon and Jenny Saville.[...] Cristina Ruiz, editor of the Art
Newspaper, said: "Everything you hear about Gagosian stresses that he loves to close a
deal. He loves the art - but he is one of those dealers who absolutely loves to sell, and he
is very successful at it. Yes, he employs aggressive selling techniques, but that's how
70 Ivi, p. 148.
52
dealers get stuff done"71. (Larry Gagosian è forse il mercante d'arte più esotico e più
chiacchierato di New York […] Mr. Gagosian, o Go-Go, com'è soprannominato,
domina prepotentemente la scena del mercato dell'arte statunitense. […] Egli è
dinamico e vulcanico: espone il lavoro di nomi come Richard Serra, Walter de Maria,
Jeff Koons, Ed Ruscha e Rachel Whiteread. Mr. Gagosian rappresenta anche il fondo di
Andy Warhol e a New York espone artisti come Damien Hirst, Douglas Gordon e Jenny
Saville. […] Cristina Ruiz, editrice di Art Newspaper, afferma: “Tutto ciò che voi
sentite dire su Gagosian evidenzia il suo piacere per gli affari. Lui ama l'arte ma è uno
di quei mercanti a cui piace soprattutto vendere, ed è un vincente in questo. Sì, lui
impiega tecniche aggressive di vendita, ma è questo ciò che i mercanti fanno).
Nella classifica dei 100 personaggi più influenti e potenti del mondo dell'arte (The
Power 10072), che ogni anno la rivista britannica Art Rewiev stila considerando fattori
come l'influenza sulla produzione artistica internazionale , il giro d'affari e l'attività
degli ultimi 12 mesi, Gagosian è risultato primo nel 2004: "the world's greatest art
businessman" (l’art businessman più importante del mondo). Il suo piazzamento è
rimasto comunque costante, mantenendosi al secondo posto nei successivi quattro anni e
giungendo quinto nel 2009.
“Nell’ambiente lo chiamano “lo squalo” […] È Larry Gagosian, il 62enne
californiano (di origine armena) che ha rivoluzionato il mercato dell’arte contemporanea
con le sue intuizioni in un rapporto inscindibile di senso estetico e finanziario”73. La
rivista americana New York Times lo ha definito “Dogged, unreadable and enamored
with risk”74 (Ostinato, criptico, innamorato del rischio). Ancora su di lui: “[...] Larry
Gagosian, 63, has built a contemporary and modern art empire unlike any other the
business has ever seen, with galleries in New York, Los Angeles, London and Rome.
His stable of talent -- nearly all of them poached from rivals -- includes seven- and
eight-figure luminaries like Richard Prince, Jeff Koons and Damien Hirst. And the
profits from primary-market sales are dwarfed by the riches that Mr. Gagosian has
71 C. Higgins, King's Cross a Go-Go as top US art dealer unveils new gallery, in “The Guardian”, 10 maggio 2004.
72 Art Review, The Power 100, Disponibile su: www.artreview100.com [Consultato il 5 maggio 2010].
73 A. Carnevale, A Roma arriva Gagosian, lo squalo che ha rivoluzionato il mercato dell'arte, in “Panorama”, 18
dicembre 2007.
74 D. Segal, Larry Gagosian, in “The New York Times”, 9 marzo 2009.
53
earned by helping the superrich quietly sell masterpieces to one another”75.
(Larry Gagosian, 63 anni, ha costruito un impero nell'arte contemporanea e
moderna come nessun altro business ha mai visto, con gallerie a New York, Los
Angeles, Londra e Roma. La sua scuderia di talenti– quasi tutti strappati ai rivali include 7 e 8 figure luminarie come Richard Prince, Jeff Koons and Damien Hirst. E i
profitti delle vendite sul mercato primario sono rimpiccioliti dalle ricchezze che Mr.
Gagosian ha guadagnato aiutando i super ricchi a vendere in modo quieto e tranquillo
grandi pezzi d'arte l'un l'altro). Per capire quest'ultima considerazione è necessario
conoscere il concetto di mercato primario e mercato secondario legati al sistema
dell'arte.
Il mercato primario accoglie le opere che per la prima volta fanno la loro
comparsa e che per la prima volta conoscono una valutazione di carattere economico. È
certamente il più incerto tra i due, può conoscere grandi oscillazioni di prezzo legate al
fatto che le opere non sono ancora state stimate e il loro valore si stabilisce all'atto dello
scambio (il primo in assoluto e inedito per l'opera).
Il mercato secondario, invece è quello degli scambi secondari, quello delle opere
già in circolazione, che già sono state vendute per la prima volta, che hanno già una
storia nel mercato e hanno già conosciuto valutazioni economiche. Gagosian opera in
tutti e due, ma preferisce il mercato secondario (come in linea di massima la maggior
parte dei galleristi) sia perché comporta meno spese generali, sia perché esula dai
rapporti con gli artisti che potrebbero lasciarsi influenzare dalla loro insicurezza e sia
perché tramite il mercato secondario è possibile influenzare considerevolmente le
quotazioni di un artista.
Ciò è possibile farlo ad esempio partecipando all'asta di un'opera d'arte, alcuni
galleristi partecipano attivamente al rilancio delle quotazioni, fino a che il prezzo non
raggiunge la quota da loro prefissata, proteggendo così il proprio mercato, oppure, per
evitare che un'opera rimanga invenduta loro stessi la acquistano per proteggere il futuro
mercato dell'artista rappresentato. La mancata vendita, per l'opera stessa è una macchia
difficilmente trascurabile.
75 Ibidem.
54
L'articolo citato continua paragonando il mercato dell'arte del dopoguerra ad un
mercato azionario: “To understand Mr. Gagosian's success you need to understand that
the postwar art world is basically a stock market with a couple of thousand really
valuable shares. Few people have any idea where those shares are located, because
they're hanging in the homes and sitting in the warehouses of collectors, who, for
obvious security reasons, tend to keep their holdings well-guarded secrets. […] Mr.
Gagosian never bothered to hide his interest in making scads of money, but he quickly
developed a refined eye for great art and how to showcase it. He opened a gallery in
Chelsea, one of the first in that neighborhood, in 1985, and scored some high-profile
triumphs that put him on the Manhattan art map. Those include a cold call to the
Connecticut home of Emily and Burton Tremaine, owners of ''Victory Boogie-Woogie,''
by Piet Mondrian, which was sold to Si Newhouse for $12 million”76. (Per comprendere
il successo di Mr. Gagosian è necessario capire che il mondo dell'arte del dopoguerra è
sostanzialmente un mercato azionario dove solo un paio di migliaia di azioni hanno un
vero valore. Solo alcune persone hanno idea di dove sia localizzate queste azioni,
perché sono appese nelle case o sono posizionate nei magazzini dei collezionisti, i quali
per ovvi motivi di sicurezza tendono a mantenere nascosto ciò che possiedono. Mr.
Gagosian non si è mai preoccupato di nascondere il suo interesse nel fare un mucchio di
denaro, ma velocemente ha sviluppato un occhio molto raffinato per la grande arte e su
come metterla in vetrina. Ha aperto una galleria in Chelsea, una delle prime in quel
vicinato nel 1985 ed è riuscito a raggiungere qualche grande successo che lo ha messo
sulla mappa dell'arte di Manhattan. Questi trionfi includono una chiamata a freddo
presso la casa in Connecticut di Emily e Burton Tremain, i possessori di “Victory
Boogie-Woogie” di Piet Mondrian, che è stato venduto a Si Newhouse per 12 milioni di
dollari).
S.I. Newhouse è un imprenditore statunitense, proprietario delle Edizioni Condè
Nast, fu il primo cliente importante del gallerista americano.
Gagosian cura gli interessi di Hirst negli Stati Uniti e quando Charles Saatchi nel
2005 decise di vendere lo squalo dell'artista britannico, all'epoca di sua proprietà (e da
lui stesso commissionato e finanziato nel 1991) fu Larry Gagosian a mediare la vendita,
76 Ibidem.
55
cercando per conto del collezionista un compratore disposto ad acquistare lo squalo per
12 milioni di dollari, cifra minima alla quale Saatchi sarebbe stato disposto a privarsi
dell'opera. Gagosian riuscì ad accontentare il collezionista vendendo l'opera a Steve
Cohen, un magnate americano che gestisce fondi di investimento, proprio per 12 milioni
di dollari, rendendo all'epoca l'opera, con questa transazione, come la più costosa mai
pagata per un artista vivente, ad eccezione di Jasper Johns.
La strategia di Gagosian e degli altri galleristi di brand consiste in una massiccia
copertura pubblicitaria mediatica, su riviste e giornali di settore soprattutto per
rafforzare il brand, inoltre di estrema importanza dev'essere la costante collocazione
delle opere nelle collezioni dei maggiori collezionisti.
“La strategia commerciale di promozione dei prodotti artistici non può non avere
caratteristiche molto sofisticate, adeguate allo snobismo di una clientela d'élite.
Continuo deve essere l'impegno per mantenere viva l'aura di fascino culturale e per
enfatizzare il valore d'eccellenza e di rarità delle opere”77.
Il contesto attuale è caratterizzato da un sempre più veloce rinnovamento dei
movimenti artistici, che si basa sulla complessa rete di gallerie leader, grandi
collezionisti e musei più importanti. Per rendere l'ascesa dei nuovi artisti più rapida,
legittimandoli al mercato in breve tempo, l'investimento (come ad esempio la
promozione attraverso la critica d'arte, la densa organizzazione di mostre e lo
sfruttamento del marketing sviluppato sui media) deve essere ingente.
“Essenziale è la collocazione delle opere dell'artista in questione non solo nei
musei, ma anche nelle collezioni delle fondazioni private che contano davvero, come
quelle, per citare alcuni nomi notissimi, di Charles Saatchi (Londra), dei De Menil (New
York), di Peter Ludwig (Aachen), di François Pinault (Parigi) o di Dakis Joannou
(Atene).”78.
In passato, invece, la valorizzazione era caratterizzata da tempi certamente più
lunghi, la legittimazione e la maturazione dell'artista cresceva in una lenta progressione
e l'interesse dei collezionisti lievitava di pari passo, insieme alla fame speculativa che
generava prezzi in lenta ascesa. In un contesto così frenetico come quello che
77 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 66.
78 Ivi. 69.
56
caratterizza questa fase storica è possibile quindi che il semplice collezionista (o più in
generale l'investitore) non abbia il tempo di approfondire le proprie conoscenze in
merito all'arte e più in particolare ai criteri di valutazione legati alle opere.
È proprio questa situazione di asimmetria informativa che genera insicurezza ed è
ciò che porta il compratore di arte contemporanea ad affidarsi esclusivamente al brand
come rassicurazione per i propri acquisti, diventa quindi a tutti gli effetti un sostituto del
giudizio estetico. Ecco che quindi, la riconoscibilità del marchio (il nome) dell'artista si
sostituisce alla valutazione qualitativa dell'opera, divenendo un connotato talmente
importante da rendere legittimo al mercato qualsiasi lavoro prodotto dall'artista stesso. È
possibile addirittura che il cliente di un mercante d'arte influente e brandizzato (come
Larry Gagosian) possa arrivare ad affidare la scelta per l'acquisto di un'opera
esclusivamente al mercante stesso, sostituendo a tutti gli effetti il proprio giudizio con
quello del gallerista. Il rapporto di fiducia può essere talmente stretto da portare il
cliente ad acquistare senza neppure visionare l'opera.
“Il lavoro di un artista emergente che una galleria vende a 4000 sterline può essere
offerto a 12000 sterline da una galleria di brand. Per quanto possa sembrare strano, è il
branding del gallerista e il giudizio e la scelta da lui fatti per conto del collezionista che
aggiungono valore.”79.
Accanto ai collezionisti insicuri, si impongono invece quelli autorevoli, potenti e
influenti. In passato il collezionista era guidato da finalità prettamente culturali,
certamente anche da ambizioni personali, ma slegate da ragionamenti puramente
economici. La collezione era la diretta espressione della propria identità, una porzione
aggiuntiva della propria mente e della propria personalità, era quindi molto diffusa
l'intenzione e molto forte il desiderio di mantenere integra la propria collezione anche
dopo la morte. Questa volontà non promuoveva solo gli interessi individuali del
collezionista, ma spesso si ripercuoteva positivamente sulla collettività che poteva così
godere di un arricchimento del patrimonio artistico pubblico.
Questo prototipo di collezionista è possibile trovarlo ancora oggi, anche se
sporadicamente, ma ciò che è cambiata è soprattutto l'influenza che questo modello di
79 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 20.
57
collezionismo può avere nei meccanismi artistici. Il collezionista “all'antica”80 oggi è
considerato non più di un cliente, magari blandito e corteggiato dai mercanti, ma non
più un soggetto capace di influire sui processi di valorizzazione delle opere.
L'evoluzione del grande collezionismo, posta in essere in questi ultimi decenni, è
avvenuta proprio in tal senso.
Il grande collezionista, oggi, è in grado di condizionare i processi di
valorizzazione degli artisti e, quindi di influenzare i meccanismi dell'arte a tutti i livelli.
È divenuto simile ai grandi mercanti, compra e vende opere anche in grandi quantità di
artisti giovani ed emergenti, a prezzi bassi, in un'ottica di breve-medio termine che
prevede la crescita progressiva delle valutazioni sia economiche che culturali delle
opere acquistate e degli artisti selezionati. Riesce in questo intento, analizzando e
controllando
le
principali
tendenze
artistiche
internazionali
in
un
costante
aggiornamento che permette a lui di mantenere ristretta l'èlite degli artisti e gestendone
quotazioni.
Egli stesso è garanzia per la qualità delle opere, innesca un processo di acquisto a
catena che si attiva nel momento in cui un artista diviene parte della sua collezione, la
sola presenza legittima i collezionisti minori ad acquistare e suscita l'interesse dei
direttori dei musei.
“Dunque è giusto dire che questo genere di protagonista del sistema artistico,
quando si muove ai massimi livelli, può arrivare a svolgere allo stesso tempo varie
funzioni: di valorizzatore e promotore degli artisti; di leader d'opinione nelle scelte degli
altri collezionisti; di ascoltato consigliere presso i responsabili di musei; di «mecenate»
dell'arte quando eventualmente dona delle opere a muse o quando dà vinta a una
fondazione (in entrambi i casi spesso per ragioni fiscali); di critico curatore quando
organizza mostre di opere della sua collezione in spazi pubblici o privati; e in fine di
mercante tout court quando vende (o fa vendere da mercanti ufficiali) opere delle sue
raccolte con esiti economici soddisfacenti.”81.
Un esempio su tutti dello stereotipo del moderno collezionista, o meglio,
collezionista-gallerista è Charles Saatchi. Di origine anglo-irachena, è considerato il
80 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 102.
81 Ivi, p. 103.
58
promotore ed il maggiore responsabile del successo dei più importanti artisti esplosi
negli anni Ottanta. È importante chiarire che la figura di Saatchi non rimane inquadrata
solo nella pura cornice del collezionista, ma si estende anche alle competenze proprie
dei mercanti e quindi dei galleristi. Saatchi, come già accennato nel primo capitolo in
riguardo alla collettiva Charles Saatchi's Young British Artists del 1992 (che sancì
l'avvio del movimento degli Young British Artists) possiede una sua galleria, la Saatchi
Gallery ed è doveroso precisarlo per comprenderne meglio il ruolo.
La sua fama nacque nel 1970, quando con il fratello Maurice fondò la Saatchi &
Saatchi, un'agenzia pubblicitaria che salì alla ribalta come promotrice, nel 1979, della
campagna elettorale del partito conservatore britannico ed arrivando alle soglie degli
anni novanta a divenire una delle più grandi ed importanti agenzie pubblicitarie del
mondo. Saatchi, quindi, nasce come pubblicitario, è pertanto facilmente intuibile come
le sue conoscenze in merito siano state di fondamentale importanza per la sua attività di
collezionista d'arte, o ancor più precisamente nelle vesti di mecenate di famosi artisti
della scena contemporanea internazionale (come Hirst, ma non solo) e di importanti
movimenti artistici.
Il movimento degli Young British Artist nacque dalla mente di Saatchi, che iniziò
a collezionare i lavori dell'allora gruppo di giovani artisti studenti del Goldsmiths
celebrandoli poi nella prima collettiva dedicata a loro: Charles Saatchi's Young British
Artists del 1992, che aprì la strada al movimento. Non furono gli artisti ad influenzare il
gusto di Saatchi, ma fu quest'ultimo a formare il loro, molti Young British Artist
frequentarono la sua galleria e formarono lì il proprio senso artistico. Il personaggio di
Saatchi, analizzato a tutto tondo, risulta quindi essere qualcosa in più di un mero
compratore d'arte, bensì un promotore di spicco che condiziona le trame del mercato,
una figura centrale nel panorama dell'arte contemporanea, un mercante d'arte a tutti gli
effetti, è uno dei pochi collezionisti moderni ad aver dato vita ad un movimento
artistico.
“A volte la figura del collezionista e quella del dealer si confondono: Charles
Saatchi ha influenzato con acquisti e vendite in blocco i prezzi di diversi artisti.”82.
Va da sé, alla luce di queste considerazioni, che il nome Saatchi sia diventato
82 M. Pirrelli e A. Somers Cocks, Galleristi e mercanti..., cit..
59
anch'esso un brand, un forte marchio capace da solo di influenzare prepotentemente i
meccanismi dell'arte.
“Le riviste del settore, le case d'asta e i collezionisti a volte etichettano un'opera
d'arte come nella «collezione Saatchi» o «di proprietà di Saatchi» o «ricercata da
Saatchi». Ognuna di queste definizione verosimilmente accresce il prezzo dell'opera
dell'artista in questione. Meno fortunato risulterà un artista segnalato come «rifiutato da
Saatchi» o «rivenduto da Saatchi»”83.
È quindi intuibile che un collezionista del calibro e dell'importanza di Saatchi (o
di altri personaggi influenti come lui, ad esempio per citare alcuni nomi, Steve Cohen,
François Pinault, Hélène e Bernard Arnault, Samuel Newhouse Jr) influenza talmente il
valore di un'opera, che il solo fatto di appartenere alla relativa collezione, diviene di per
sé un valore aggiunto, una brand equity. Per accrescere, quindi, la quotazione di
un'opera il collezionista la include semplicemente nella propria collezione, oppure si
limita ad esprimerne un interesse.
In riferimento a ciò e opportuno tornare per un attimo agli Young British Artist, in
particolare a Damien Hirst. Il rapporto tra l'artista e Saatchi sbocciò già con Freeze, del
1988, il collezionista visitò la mostra e fu in quell'occasione che iniziò a collezionarne le
prime opere. Due anni più tardi, nel 1990 Saatchi acquistò due armadietti di medicine e
A Thousand Years, fu proprio di queste opere che rimase stupito e si offrì, da quel
momento in poi di finanziare il lavoro futuro di Hirst. Fu il collezionista anglo-iracheno
ad anticipare all'artista britannico 50.000 sterline per l'esecuzione materiale dell'opera
The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, commissionandola
e finanziandola di fatto e quindi consentendo all'artista di acquistare, trasportare e
sistemare lo squalo tigre nella teca riempita di formaldeide. L'opera, come già descritto,
fu poi rivenduta da Charles Saatchi sotto la mediazione di Larry Gagosian al
collezionista Steve Cohen, che l'acquistò per 12 milioni di dollari, cifra che fu stabilita e
voluta proprio da Saatchi.
È proprio Hirst che rivela la strategia del collezionista (e anche la propria), in
un'intervista del gennaio del 1992: “gli interessano i soldi, ecco perché ha speso così
tanto per lo squalo. Ha tutti questi lavori, ne ha almeno sei, forse di più, e pensa: 'Se
83 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 119.
60
pago seimila per uno, tutto il resto aumenta di valore'. Poi arriva a un punto in cui non
sale più, allora vende tutto e si cerca un altro artista. Comunque non mi interessa. Non
ci penso. Ma siccome so cos'è la moda, non per altro ma perché vivo nel mondo di oggi,
faccio dei lavori che sono considerati di moda. È inevitabile. Viene fuori nel lavoro. Il
lavoro sembra alla moda e allora Saatchi lo compra […]”84.
È chiaro, quindi, quanto sia rilevante l'influenza del collezionista anglo-iracheno
su Hirst che, potendo lavorare sotto la sua protezione, è riuscito a scavalcare in fretta i
gradini per la consacrazione al grande pubblico. Il rapporto fra i due fu simbiotico e
senza ombra di dubbio molto proficuo per entrambi (nel 2003 il rapporto si è sciolto).
“Qualcuno sostiene perfino che [Saatchi] abbia inventato il personaggio artistico di
Hirst”85.
Così come un collezionista di questo calibro può influenzare e portare
rapidamente al successo un giovane artista così, allo stesso modo, può intralciarne il
cammino. Celebre fu il caso dell'italiano Sandro Chia, del 1985. Chia all'epoca era un
giovane pittore, legato al movimento della Transavanguardia italiana (di cui è uno degli
esponenti maggiori) iniziava nei primissimi anni ottanta a muovere importanti passi in
ambito internazionale. Nel 1982, Saatchi organizzò una grande festa in suo onore, in
occasione della mostra personale di Chia presso la galleria Anthony d’Offay di Londra.
Fin dagli esordi il collezionista manifestò interessi verso l'artista e ne acquistò diversi
quadri donandone alcuni alla Tate Gallery di Londra. Il rapporto durò qualche anno,
quando iniziarono ad emergere delle divergenze e delle differenti vedute riguardo ad
alcune opere di Chia presenti nella collezione di Saatchi.
Non furono questi piccoli screzi però a provocare la rottura, ma un litigio
avvenuto nel 1985 che segnò il termine ultimo del loro rapporto. Saatchi vendette le
sette opere in suo possesso alle gallerie dalle quali le aveva acquistate (Sperone
Westwater di New York e Bruno Bischofberger di Zurigo) e dichiarò in fretta alla
stampa che stava depurando la sua collezione. Di queste due gallerie, che all'epoca
rappresentavano Chia, nessuna lo rappresenta più e la richiesta di sue opere è andata
indebolendosi.
84 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 29.
85 Ibidem.
61
“Saatchi diede dimostrazione del suo potere punitivo, e, dopo il caso di Sandro
Chia, ogni artista sa che quello che Saatchi dà in termini di legittimazione e reputazione,
Saatchi può togliere”86.
Anche Saatchi è incluso nella classifica dei cento personaggi più influenti e
potenti del mondo dell'arte (The Power 10087), risultando primo nel 2002. Come per
Gagosian, la posizione nel corso degli anni è rimasta sempre costante, anche se meno a
ridosso del vertice, ma pur sempre tra i primi cento, gli anni più rilevanti sono stati il
2003, dove giunse sesto e il 2006 e il 2007 dove giunse settimo. Questi posizionamenti
sono giustificati dal fatto che “ai livelli più alti di mercato, molti grandi collezionisti
non si limitano solo più a comprare o vendere quadri, ma diventano, in forma più o
meno occulta, veri e propri finanziatori di mercanti, per operazioni speculative su larga
scala con valori giù confermati o con nuovi artisti da lanciare”88.
Non sono solo galleristi, collezionisti, artisti e case d'asta ad avere la caratteristica
del brand, anche un quarto attore influenza il mercato dell'arte: il museo d'arte
contemporanea. I musei d'arte contemporanea sono un elemento essenziale nella catena
della valorizzazione, i più importanti musei, quelli considerati leader svolgono una
funzione di prim'ordine per quanto riguarda la legittimazione degli artisti. Innanzitutto
le nuove strutture museali per l'arte contemporanea tendono sempre di più a divenire
delle emanazioni del potere economico e del prestigio culturale delle città in cui sono
costruite, la grandiosità e fastosità dell'architettura che le riveste diviene protagonista,
come nel caso del Museo Guggenheim di Bilbao, progettato da Frank Gehry, architetto
attualmente tra i più importanti della scena internazionale.
Talvolta questo eccessivo protagonismo dell'architettura può portare ad offuscare
il contenuto del museo (le opere d'arte) e a porre la stessa struttura come fonte di
attrazione, l'edificio diviene quindi importante anche nella sua veste di calamita
turistica, con un elevato valore simbolico dal punto di vista monumentale. La sede del
museo diviene essa stessa “un'opera d'arte destinata a contenere altre opere d'arte” 89 e
86 Ivi, p. 127.
87 Art Review, The Power 100..., cit..
88 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 60.
89 J. Giovannini, Art into Architecture, in Guggenheim Magazine, New York 1997, riportato in, A. Dal Lago e S.
Giordano, Mercanti d'Aura, Il Mulino, Bologna 2006, p. 131.
62
impone la propria architettura al pubblico. I più monumentali musei d'arte
contemporanea sono delle vere e proprie cattedrali90 in chiave moderna, che esprimono
la prosperità di chi le costruisce, ma anche dove l'effetto di sacralizzazione delle opere è
ingigantito: “[...] Sono gli allestimenti e la vastità delle sale a intimidire.
Indipendentemente dal significato che molti artisti volevano attribuire alle loro opere
[…] è inevitabile che i visitatori subiscano un effetto di sacralità.
Operando su tele di grandi dimensioni e riproducendo su vasta scala versioni
fantastiche di oggetti d'uso comune, gli artisti Pop volevano trasfigurare e innalzare la
quotidianità, rovesciando il suo tradizionale rapporto con l'arte; ma ora le loro opere,
installate in sale lunghe decine di metri e alte in proporzione, acquistano un'aura di
grandiosità non dissimile da quella dei mosaici in oro del Duomo di Monreale o degli
affreschi della Cappella Sistina”91.
Dunque, i musei d'arte contemporanea, almeno quelli più importanti, non offrono
solo una funzione celebrativa in senso turistico e di esaltazione del contesto locale (e del
committente) ma assolvono anche l'incarico di promotori dell'arte e dei movimenti
artistici emergenti, non solo attraverso un “processo di aurizzazione”92 (proprio
soprattutto del modello Guggenheim) legato alle dimensioni ingigantite degli spazi
espositivi, ma anche attraverso la funzione dei direttori museali. Al giorno d'oggi la
figura del direttore museale coincide sempre più con quella del manager, se in passato si
occupava di gestire al meglio il patrimonio di opere d'arte presenti nella collezione
museale, di conservarlo e di arricchirlo, oggi, invece, la figura si è allargata a quella più
generale di manager dell'arte, con una forte connotazione manageriale e una forma
mentis economica.
Questa trasformazione è dovuta al fatto che in passato il processo di
legittimazione dell'arte era molto più lento, la valorizzazione avveniva in tempi lunghi e
il direttore museale poteva curare e seguire con maggior minuzia lo sviluppo della
90 Ivi, p. 132.
91 Ibidem.
92 Ivi, p. 133. Con tale definizione A. Dal Lago e S. Giordano intendono propriamente quel processo finalizzato alla
creazione di un'aura che avvolge le opere, si lega alla connotazione di sacralità degli spazi espositivi e alla
cattedralità dei musei moderni (il riferimento è in particolare al Museo Guggenheim di Bilbao) l'esempio, a
proposito di un'opera avente aura, esposto nel libro è quello della Gioconda, aura come carisma, come alone di
unicità capace di attrarre il grande pubblico.
63
maturazione artistica. L'arte contemporanea, invece, è caratterizzata da tempi
certamente più veloci e frenetici, la valorizzazione e la maturazione avvengono sempre
più celermente, il museo dunque si è dovuto adeguare, allineandosi ai tempi agli altri
attori del sistema, quali gallerie e collezionisti che hanno risposto per primi ai
cambiamenti dei meccanismi dell'arte.
Il direttore museale, dunque, oggi è più vincolato alla produzione artistica
contemporanea, “per i direttori e i curatori di musei, l'impegno per approfondire lo
studio della storia dell'arte tende ad essere subordinato all'esigenza pressante di avere
sempre una informazione il più aggiornata possibile su quanto sta avvenendo (o sta per
avvenire) nel contesto artistico internazionale, attraverso una frequentazione continua di
mostre, un rapporto stretto con i galleristi, collezionisti e altri direttori, e un'attenzione
speciale per gli artisti famosi e per i giovani emergenti”93. Il museo, interviene
maggiormente e direttamente nel contesto artistico contemporaneo rispetto al passato,
avviando esso stesso i processi di legittimazione e di valorizzazione o divenendone
parte attiva, attraverso una rete di collegamenti che racchiude i maggiori componenti
della catena artistica e di cui il museo rappresenta uno dei maggiori punti di riferimento.
“Una volta, anche solo qualche decennio fa, le mostre nei musei erano un punto di
arrivo per la carriera di un artista, oggi sono un indispensabile punto di partenza per
poter decollare ai livelli alti del mercato internazionale”94.
È proprio questa peculiarità che rende il museo un potente elemento di
condizionamento del mercato dell'arte, così come un'opera acquisisce valore se
collocata all'interno della collezione di un influente collezionista di brand, allo stesso
modo un'opera o più propriamente un artista acquisisce prestigio, valore e
legittimazione se vanta nel suo curriculum l'esposizione in un museo di brand, un
museo che ha cioè, una forte visibilità e rilevanza internazionale e un forte connotato
valorizzatore. Sono diverse le vie seguite dai musei per acquisire un forte brand, riveste
notevole importanza, oltreché la veste architettonica della sede che conferisce
immediatamente una forte riconoscibilità95, progettata appositamente da architetti dal
93 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 134.
94 Ivi, p. 133.
95 F. Gostoli, Spazi guida per la progettazione di un museo contemporaneo, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia
2008, p. 23. F. Gostoli riprende il DL n. 112/1998 emanato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che
64
grande profilo internazionale (riconoscibili essi stessi), anche la presenza nella
collezione di un'opera notevolmente famosa che consente da sola di attrarre buona parte
del pubblico, un'opera riconoscibile appunto, l'esempio più rinomato è sicuramente
quello della Gioconda di Leonardo da Vinci, ospitata al Louvre di Parigi. Quella del
museo francese è una vera e propria strategia promozionale, “una ricerca fatta dal
Louvre ha rivelato che più della metà delle persone che visitano il museo ogni giorno, ci
si reca soltanto per vedere la Gioconda, tanto che il museo parigino ha approntato
un'entrata separata dedicata a chi vuole vedere esclusivamente quell'opera”96.
Anche opere più recenti sono state emblema di questo tipo di strategia come
Nighthawks (Sparvieri della notte) del pittore statunitense Edward Hopper composta nel
1914 e acquistata dall'Art Institute di Chicago tra il 1926 e il 1942 e sempre nella stessa
operazione furono incluse anche Une dimanche après-midi à l'Île de la Grande-Jatte
(Una domenica pomeriggio all'isola della Grande-Jatte) del 1886 di Georges Seurat e
American Gothic (Gotico americano) di Grant Wood del 1930. Nel 2006 Ron Lauder,
imprenditore americano e collezionista d'arte, comproprietario della Esteé Lauder, la
multinazionale attiva nel mercato dei cosmetici, acquistò l'opera Ritratto di Adele
Bloch-Bauer I (1907) di Gustav Klimt per 135 milioni di dollari. Lauder è proprietario
della Neue Galerie di New York, un piccolo museo che espone principalmente arte del
Modernismo austriaco e tedesco e questa operazione promozionale fu studiata per
innescare l'interesse mediatico e convogliare così un alto numero di turisti verso la
galleria. Il successo fu di grandi proporzioni e il numero di visitatori crebbe da una
media precedente l'acquisto di ottocento al giorno ad una di circa seimila persone nei
mesi successivi, “considerando che la capacità della galleria era di trecentocinquanta
persone, ciò significava che spesso si formavano code di quarantacinque minuti. […] La
pubblicità che tutta l'operazione convogliò su di sé permise alla Neue Galerie di entrare
nell'elenco delle principali attrazioni culturali della città”97. La trattativa per l'acquisto fu
detta i criteri di standard minimi di qualità e le linee guida per la costruzione di un museo, in particolare F.
Gostoli si sofferma sui significati di flessibilità, controllabilità, accessibilità e riconoscibilità, definendo
quest'ultima come un elemento legato alla forma del museo, ai colori e alle sue dimensioni, una riconoscibilità
capace di “cogliere le diversità di un luogo urbano o agricolo”, riprendendo, quindi il concetto di museo come
espressione del luogo in cui è costruito.
96 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p. 304.
97 Ivi, p. 306.
65
privata, per cui, in realtà, non è possibile sapere se il prezzo stabilito per la vendita fosse
effettivamente quello e benché meno è stato confermato ufficialmente, la cifra di 135
milioni di dollari è presunta, Lauder si limitò a confermare che si trattava di un record di
vendita e quello valido fino a quel momento era di 104 milioni di dollari stabiliti all'asta
per Garçon à la pipe (Ragazzo con la pipa) di Picasso nel 2004. È certo, invece, che
non era interesse di nessuno smentire un importo così eclatante e fu proprio per la cifra
pubblicizzata che l'interesse dei visitatori crebbe.
Sono queste operazioni che consentono di creare un brand condiviso a livello
internazionale. Il Museum of Modern Art con sede a New York, conosciuto al grande
pubblico come MOMA, è a tutti gli effetti un museo di brand, ha un'importanza storica
nel tessuto artistico americano determinante, contribuendo più di ogni altro museo alla
promozione a livello internazionale dell'arte americana. Nato nel 1929 su finanziamento
di importanti imprenditori della scena americana, tra cui i Rockefeller, divenne in breve
tempo un grande punto di riferimento per l'arte moderna e contemporanea riuscendo a
sviluppare un esteso interesse verso l'arte da parte del grande pubblico.
Il suo primo direttore (rimasto in carica fino al 1967) fu Alfred Barr, uno storico
statunitense che svolse un ruolo chiave per l'accrescimento della collezione del MOMA,
considerata una delle più grandi ed importanti al mondo. Fu molto criticato perché si
ritenne che Barr agisse in prima persona per indirizzare il flusso artistico, considerata
anche la sua posizione di estrema importanza nel mondo artistico americano. Ma a
prescindere da Barr, l'influenza del MOMA sul sistema artistico, era già inevitabile: “il
prestigio conferito ad un artista dal fatto di avere una sua opera esposta nella collezione
permanente del MOMA, la più importante del mondo, era inestimabile; non c'era onore
più grande di una mostra retrospettiva”98.
Il ruolo e l'importanza rivestita dal MOMA (preso ad esempio, ma il discorso
rimane valido anche per gli altri maggiori musei) non è mutata e ancora oggi è ritenuta
una tappa fondamentale per il successo di un artista.
“Il museo d'Arte Moderna di New York, è una tale pietra miliare nella carriera, è
come un punto fermo, o è come una retrospettiva alla Tate Gallery. Un sacco di artisti, a
98 I. Sandler, American Art of the 1960s, Harper and Row, New York 1988, p. 107, riportato in, F. Poli, Il sistema
dell'arte..., cit., p. 120.
66
un certo punto della loro carriera, sono passati per quei musei”99.
Damien Hirst, a cui appartengono queste parole, inizia precocemente il suo
rapporto con i maggiori musei d'arte contemporanea, già nel 1992, appena quattro anni
dopo la sua prima mostra Freeze, espose al Dallas Museum in Texas per l'installazione
Pharmacy, seguirono poi altre cinque esposizioni per la stessa installazione, ma già nel
1999 per il quarto allestimento, Hirst espose alla Tate Gallery di Londra, a soli undici
anni dalla prima mostra da studente. Il rapporto con la Tate non si fermò a quell'evento,
ma proseguì anche nel 2001 alla Tate Modern per la quinta installazione di Pharmacy.
Nel 2003 avrebbe dovuto organizzare sempre con il museo londinese la sua prima
retrospettiva, ma saltò perché proprio in quell'anno si ruppe il rapporto con Saatchi a
seguito di un litigio sfociato per una mostra organizzata alla Saatchi Gallery. La sua
prima retrospettiva verrà organizzata l'anno dopo, nel 2004, al Museo Archeologico
Nazionale di Napoli: The Agony and the Ecstasy.
Il ruolo che i musei d'arte contemporanea hanno all'interno della rete del sistema
arte è ben integrato, il rapporto con i maggiori galleristi e collezionisti è vivo e talmente
solido che spesso l'influenza reciproca è profonda. I collezionisti o i galleristi possono
suggerire ai musei le opere da acquistare, come avvenne pochi anni fa per il
Guggenheim quando acquistò opere di Alison Fox, giovane artista ancora studente,
suggerita al museo da Charles Saatchi che già l'aveva nella sua collezione. Inoltre,
quando un'opera viene donata, la clausola principale è che quell'opera venga sempre
esposta, a scapito delle opere non donate, limitando di fatto il lavoro dei curatori che
hanno meno possibilità di scelta e di decisione su ciò che verrà esposto.
Il rapporto con i galleristi di brand può arrivare addirittura alla collaborazione per
l'organizzazione delle mostre e se da un lato l'accordo nasce dall'esigenza del museo di
reperire i fondi necessari sfruttando le risorse della galleria, dall'altro il rapporto per
forza di cose si estende anche all'organizzazione a 360 gradi, dagli aspetti meramente
economici e pubblicitari a quelli più specifici della consulenza artistica fino alla scelta
vera e propria delle opere da portare nelle sale espositive. Diviene naturale credere che
l'accordo può diventare più occulto, prevedendo una via preferenziale per una futura
retrospettiva di un artista rappresentato dalla galleria stessa e l'ottenimento di
99 E. Cicelyn, M. Codognato, M. D'Argenzio, D. Hirst, Damien Hirst: Napoli, Museo..., cit., p. 248.
67
informazioni particolari e riservate come quelle sui futuri progetti del museo a livello di
mostre e retrospettive.
Recentemente, in occasione degli ottant'anni di vita dell'artista Cy Twombly, la
Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea (GNAM) di Roma ha promosso la
prima grande retrospettiva italiana dell'artista statunitense, un'esposizione celebrativa
avvenuta nel 2009, dal cinque marzo al ventiquattro maggio. Larry Gagosian, quando
nel 2007 aprì la sua Gagosian Gallery a Roma decise di inaugurare il nuovo spazio con
una mostra dedicata proprio a Cy Twombly (che Gagosian rappresenta). La curatela
della mostra alla GNAM è stata affidata a Nicholas Serota (Direttore Generale della
Tate di Londra), l'evento è stato organizzato, quindi, con la collaborazione del Museo
londinese. Il lasso di tempo tra l'inaugurazione della Gagosian Gallery di Roma e
l'organizzazione dell'evento alla GNAM è breve, appena due anni, ma chiaramente una
Galleria nazionale come quella di Roma deve avere una programmazione ben strutturata
e l'esigenza di pianificare molto tempo prima il suo programma espositivo, per cui è
ammissibile che i due eventi siano strettamente concatenati. È plausibile che ci sia stato
un rapporto stretto tra Larry Gagosian, la GNAM e la Tate e questo caso va ad inserirsi
come esempio nel discorso sulla collaborazione profonda tra galleristi e musei.
L'accesso dell'artista al museo è dunque più facile e immediato, non è più frutto di
una maturazione storica come avveniva in passato, ma è condizionato dal modo in cui
egli viene pubblicizzato e, quindi, da chi viene rappresentato. Gli artisti e le loro opere,
dunque, viaggiano su un circuito di interscambio tra grandi gallerie, maggiori collezioni
private e collezioni museali in un contesto di influenza reciproca che alimenta il
successo degli artisti e le quotazioni delle opere. La legittimazione avviene in questo
modo, in un vortice di relazioni, una sorta di catena di montaggio del valore, che
prevede diverse tappe in corrispondenza dei maggiori protagonisti del mercato dell'arte
e di cui il museo è parte fondamentale.
“Quando un museo compra e presenta un artista, gli conferisce anche quella
legittimità che un tempo era data dalla distanza forzata di quarant'anni tra l'esecuzione
dell'opera e l'acquisizione, e che ora è stata sostituita dall'opinione del curatore o di una
commissione. Quando Alfred Barr comprò tre dipinti di Jasper Johns per la collezione
del MOMA alla prima mostra personale dell'artista, il museo conferì immediata
68
autorevolezza all'artista e legittimità ai suoi prezzi”100.
La prima mostra personale di Jasper Johns, del 1958 fu organizzata da Leo
Castelli, che all'epoca rappresentava l'artista statunitense e fu in quell'occasione che
Barr acquistò i tre dipinti e subito l'anno successivo invitò Johns a esporre le sue opere
per la collettiva Sixteen Americans al MOMA. Questo è un altro esempio, simile a
quello di Gagosian e il GNAM, questa volta esplicito, di come i grandi galleristi
abbiano un rapporto simbiotico con i Musei d'arte contemporanea e di come sia
diventato ormai semplice e precoce per un artista accedere ai più grandi musei
internazionali. Jasper Johns nel 1958 era appena stato scoperto da Castelli, precisamente
da un anno, quando nel 1957 espose alla collettiva Artists of the New York School:
Second Generation, che attirò l'attenzione del gallerista di origini italiane, la sua
produzione artistica era appena agli esordi, ma nel 1958, appena ventottenne poteva già
vantare una mostra al MOMA.
L'esposizione in un museo di brand non solo influisce sul valore dell'opera
esposta con conseguente aumento delle quotazioni, ma anche di riflesso, sull'intera
carriera dell'artista, così come ne beneficia ovviamente chi ha opere relative all'artista in
questione nella propria collezione, anch'essa, di conseguenza, lieviterà di valore. In un
sistema che accontenta più o meno tutti, certamente anche il museo ne trae profitto, può
succedere, infatti, che il museo stesso venda l'opera all'asta subito dopo l'esposizione,
sfruttando esso stesso il suo brand, che influenzerà la quotazione favorendone un
repentino rialzo proprio per via del fatto che provenga dal museo stesso. Ovviamente
anche la casa d'aste ne trae beneficio, non solo in termini economici (commissione) ma
soprattutto quanto a reputazione e prestigio, molto più importanti.
“Quando il MOMA espone il lavoro di un artista, trasmette un brand condiviso,
aggiungendo all'opera un prestigio che il mondo dell'arte chiama «provenienza». Il
brand del MOMA offre rassicurazioni a chi acquista: un'opera d'arte che è stata
mostrata al MOMA o che è stata parte della sua collezione, avrà un prezzo maggiore
grazie alla sua provenienza”101.
Questo concetto vale per il MOMA così come per gli altri musei di brand, quali
100 D. Thompson, Lo Squalo da …, cit., p., 310.
101 Ivi, p. 19.
69
ad esempio, per citare alcuni nomi, negli Stati Uniti il Metropolitan Museum di New
York, la National Gallery di Washington, il Jean Paul Getty Museum di Los Angeles, in
Inghilterra, a Londra la Tate Modern, la Tate Britain e la National Gallery, a Parigi il
Louvre, a Madrid il Prado e i Guggenheim Museum. Così il sistema del mercato
dell'arte si articola tra i suoi principali protagonisti e così com'è importante chi ne è
attore è importante anche il contesto in cui il mercato si realizza.
Attualmente i centri principali per l'arte contemporanea sono Londra e New York,
è in queste due città che si concentrano i maggiori elementi del sistema dell'arte
contemporanea, è qui che gli artisti, i collezionisti o i galleristi si formano, o almeno è
da qui che passano frequentemente. Se New York era già un importante centro all'inizio
del novecento, Londra lo è diventato molto più tardi, la presenza di Gagosian con le sue
gallerie ha solo confermato l'importanza che la capitale inglese riveste al giorno d'oggi
nel mercato dell'arte contemporanea: “More important, though, Mr Gagosian's
affirmation that he wants to do big business in London confirms the city's status as the
centre of Europe's art market. «As an international city, it is second to none» said Mr
Ratibor. «Collectors come here, museum directors come - there are people here to
meet». «London in the past 10-15 years has become the central place in Europe for
collectors - as it never had been before» said Mr Craig-Martin.”102(La cosa più
importante, comunque, è l'affermazione di Mr. Gagosian che ha intenzione di fare
grandi business a Londra, conferma lo status della città come centro europeo del
mercato dell'arte «Essendo una città internazionale, non è seconda a nessuno» dice Mr.
Ratibor. «I collezionisti e i direttori museali arrivano qui - ci sono persone importanti da
incontrare». «Londra nei 10-15 anni passati è diventata il luogo centrale in Europa per i
collezionisti - come non lo è mai stata prima» ha detto Mr. Craig-Martin”).
Quella di Gagosian è solo una delle presenze importanti, ma dimostra quanto
quelli di New York e Londra siano diventati ormai dei canali preferenziali, dei vincoli
essenziali per il successo. Chiunque si trova ai margini di questo nucleo rimarrà
sfavorito, viceversa chi ne potrà sfruttare le potenzialità verrà privilegiato e potrà
accedere facilmente ai livelli più alti del mercato dell'arte.
102 C. Higgins, King's Cross a Go-Go..., cit.. Mr. Ratibor è Stefan Ratibor, il co-direttore della Gagosian gallery
(Britannia street) di Londra.
70
“Ci sono, per esempio, artisti di importanza indubitabile le cui opere hanno
quotazioni più basse di quanto ci si aspetterebbe […] e viceversa ci sono artisti, del
medesimo livello, con quotazioni molto più alte. Questo […] dipende soprattutto dal
potere delle strutture mercantili e museali di promozione e distribuzione che stanno
dietro a ciascun artista. Le più potenti sono naturalmente quelle al centro del sistema
dell'arte e sono l'espressione della cultura dominante a livello mondiale. Attualmente
New York è il centro del mondo dell'arte contemporanea. […] Chi fa parte di contesti
culturali più decentrati si trova svantaggiato in tutti i sensi e non ha obiettivamente la
possibilità di raggiungere alti livelli di notorietà […]. Le quotazioni dei più noti artisti
americani (o, in Europa, soprattutto di area tedesca e inglese) sono quasi irraggiungibili
dagli italiani. A prescindere dalla qualità, troppo grande è, normalmente, lo scarto fra le
rispettive possibilità di carriera internazionale”103.
I casi di artisti italiani arrivati a raggiungere elevate quotazioni sono quelli ad
esempio di Maurizio Cattelan, Francesco Vezzoli, Vanessa Beecroft, Francesco
Clemente, ma rimangono casi isolati o comunque circoscritti ad una cerchia ristretta, la
grande maggioranza di artisti tra i più quotati sono certamente americani e inglesi (con
un buon numero anche di artisti di provenienza tedesca). Sostanzialmente, riprendendo
il concetto di brand già espresso, si può a tutti gli effetti affermare che New York e
Londra sono due città altamente riconoscibili nel sistema dell'arte contemporanea.
“New York e Londra sono due centri nevralgici per il mercato dell'arte
contemporanea di fascia più alta, ed è là che il branding dell'arte è più evidente e ha più
peso. […] New York e Londra sono esse stesse dei brand”104.
Hirst è stato lanciato in America da Gagosian e riprendendo di nuovo No Sense of
Absolute Corruption, la prima mostra in America di Hirst organizzata nel 1996 alla
Gagosian Gallery di New York, sono molto chiare le parole dell'artista pronunciate
poche settimane prima dell'inaugurazione: “se posso farcela in America senza
trasferirmi là molti di quelli che mi tengono d'occhio capiranno cosa significa. Spero
che la gente capisca che se puoi farcela là puoi farcela ovunque. […] C'è un modo facile
103 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., pp. 53-54.
104 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 310.
71
per farcela nel mondo: trasferirsi in America”105.
È necessario, per chiudere l'analisi dei principali soggetti coinvolti nel sistema
dell'arte contemporanea, analizzare l'influenza di un'altra figura: il critico d'arte.
L'avvento dell'arte concettuale ha scardinato il legame che vincolava il messaggio,
il concetto, all'immediatezza della raffigurazione, un'emancipazione dell'idea che ha
portato il discorso critico a divenire parte integrante, non più subordinato, ma essenziale
quasi quanto l'opera stessa, se non addirittura equivalente. Il linguaggio quindi subentra
prepotentemente portandosi con sé il pensiero, la riflessione scindendo il filo comune
tra ciò che è rappresentato, ciò che è realtà e ciò che, invece, è il significato. In Ceci
n'est pas une pipe (1929) di Magritte questo concetto è emblematizzato, la visione
suggerisce alla percezione che ciò che si sta guardando è una pipa, ma la didascalia
(Ceci n'est pas une pipe, appunto) appare un paradosso, si scontra con ciò che è
direttamente assimilato dall'immediatezza della percezione visiva, che avverte il limite
dell'apparenza, in realtà il messaggio intrinseco è che ciò che è dipinto è solo una
rappresentazione dell'oggetto comune, non è l'oggetto reale.
Una disgregazione tra parola e oggetto che rende autonoma la prima nei confronti
dell'immagine, che attiva l'importanza del pensiero come chiave essenziale per
contemplare l'opera, è la riflessione che deve suggere la percezione. Magritte è un
artista surrealista, è antecedente al movimento concettuale che si svilupperà in seguito,
dalla metà degli anni '60, ma quest'opera presenta già degli elementi che rimandano
all'arte concettuale, One & Three Chairs (1965), di Joseph Kosuth, uno dei maggiori
esponenti dell'arte concettuale, suggerisce un messaggio molto simile a quello di Ceci
n'est pas une pipe, mostra, infatti, tre rappresentazioni diverse di sedia: una come
oggetto reale, una come fotografia e una come definizione linguistica tratta dal
vocabolario. Chiara è anche qui, l'intenzione di provocare una riflessione sulla relazione
tra immagini e parola, proprio come l'opera di Magritte. La fruizione, dunque, è mutata
e per risultare completa e pienamente efficace ha dovuto legarsi ad una teoria a
supporto.
“[...] Guardare un dipinto senza essere provvisti di una «teoria convincente» vuol
105 D. Hirst e G. Burn, Manuale per..., cit., p. 51.
72
dire «essere privi di qualcosa di fondamentale»” 106.
È qui che, in un discorso allargato, si inserisce il critico d'arte, perché è colui che
elabora il discorso critico, che è appunto essenziale per l'opera, quanto l'opera stessa.
Vien da sé che la particolare figura del critico si inserisce tra i protagonisti del contesto
dell'arte contemporanea perché capace di confezionare l'artista e l'opera in particolare, o
il movimento artistico in generale, in una definizione critica.
Accanto al concetto di branding, quindi, bisogna introdurre anche il concetto di
packaging107. Questo termine è anch'esso di diretta derivazione dal marketing e dalla
pubblicità, si riferisce, propriamente per questi due contesti, alla confezione con cui un
bene è presentato al consumatore, ha un valore altamente comunicativo, non ha quindi
unicamente la funzione di mero involucro dell'oggetto. Traslando questo concetto
all'arte, il critico è colui che teorizza il movimento artistico, lo battezza, lo qualifica ed
etichetta l'artista secondo il proprio schema.
“Il critico si fa veicolo delle esigenze del mercato nel mondo degli artisti e garante
di questi presso il mercato. […] Permette la riconoscibilità dell'opera di un'artista
(potremmo dire del suo «marchio di qualità»). Il critico deve cioè garantire al mercante
non solo la qualità delle opere, ma anche l'importanza dell'artista all'interno di un certo
movimento o discorso”108.
Garanzia, dunque, un attestato di qualità, il critico decide cosa è opera d'arte e si fa
portavoce di rassicurazione così al mercante quanto più all'acquirente (che spesso
insicuro, si fa dipendente del giudizio critico), o più in generale alla globalità del
sistema artistico. La condizione di oggettività per stabilire la qualità di un'opera si è di
molto assottigliata, il critico d'arte è divenuto un soggetto valorizzatore, in grado quindi
di influenzare il mercato, presentando il prodotto artistico in una confezione critica che
ne da valore, un discorso teorico che è in grado di indirizzare la percezione di qualità
dell'opera.
“L'arte contemporanea è possibile grazie a un'incessante produzione discorsiva, in
106 T. Wolfe, Come ottenere il successo nell'arte, Umberto Allemandi & C., Torino 1987, p. 8, riportato in, A. Dal
Lago e S. Giordano, Mercanti..., cit., p. 94. Le parole riportate nel libro di Wolfe, sono state pronunciate dal
critico di riferimento del New York Times.
107 Ivi, p. 112.
108 Ivi, p. 100.
73
cui un ruolo decisivo è assunto dalla critica. Oggi il critico non è più come il mero
depositario dei valori estetici o il tramite tra vita intellettuale o arte. Se in arte il discorso
è tutto, il critico ha il ruolo di vero demiurgo dell'attività artistica.”109
In realtà, nel contesto del mercato artistico, i concetti di branding e packaging,
sono molto simili, tutti e due vogliono identificarsi con la qualità, il brand, però è più
legato alla concezione di marchio, il packaging, invece, a quella di etichetta, più
inerente, quindi alla teorizzazione dei movimenti artistici e all'importanza di
circoscrivere un artista ad una corrente, che prende la forma di un involucro, così come
la confezione del discorso critico sull'opera. Il critico d'arte plasma il movimento
artistico, gli da forma, lo alimenta, ma se, come detto, si fa portavoce del mercato presso
gli artisti (e viceversa), può non limitarsi a rimanere neutrale, egli può divenire a tutti gli
effetti un committente e trasformarsi, quindi, in un “co-ideatore dei presupposti teorici e
discorsivi che presiedono alla creazione dell'opera”110. Il critico assume, quindi, in
alcuni casi un ruolo talmente importante da divenire autore stesso dell'opera, capace di
rendere l'artista addirittura secondario nel processo di produzione artistica: “Il critico,
capace di costruire un impianto teorico-discorsivo così potente da non rendere
necessario un manufatto o un'opera in particolare, diviene ora autore […]. Certo, l'artista
deve pure esistere, ma il suo ruolo rispetto al contratto è divenuto del tutto marginale,
come puramente esteriore è quello del pubblico, ridotto a consumatore passivo di un
prodotto elaborato in tutto e per tutto indipendentemente dal suo giudizio”.
Un critico che si pone a livello di co-autore, è un soggetto altamente influente e
ciò non vale, ovviamente, per la maggioranza dei critici d'arte, ma solo per alcuni di
essi, non tutti sono ugualmente importanti, come vale, d'altronde per i galleristi e i
collezionisti. Storicamente fu determinante Clement Greenberg, o George Maciunas, il
primo come critico teorizzatore del movimento Color Field (vicino all'Espressionismo
astratto di Jackson Pollock) il secondo come teorizzatore del movimento del Fluxus.
Greenberg è considerato colui che aprì la strada a Pollock, De Kooning, Frankenthaler e
Morris Louis, o che comunque ne influenzò molto la carriera. George Maciunas, invece,
fu l'ideatore e l'inventore del movimento del Fluxus (che vide tra i suoi artisti Daniel
109 Ivi, p. 93.
110 Ivi, p. 100.
74
Spoerri, Dick Higgins, Yoko Ono) ne fu il teorizzatore, capace, quindi, di inventarne
l'etichetta.
La figura del critico d'arte ha subito recentemente una metamorfosi e si è
trasformata in quella di curatore d'arte. Il curatore è un critico più operativo, non si
limita alla scrittura di critica, ma il suo ruolo e più ampio e comprende attività quali ad
esempio l'organizzazione di mostre private o pubbliche o quella più generica di
consulenza, può collaborare con le case d'asta o curare collezioni private o pubbliche e
via dicendo. È quindi una nuova generazione legata ancor più indissolubilmente con gli
altri attori del sistema dell'arte contemporanea, è essenziale per il curatore d'arte
stringere continui rapporti con galleristi, collezionisti, direttori di musei e artisti per
avere sempre un'informazione il più possibile aggiornata. Il curatore è quindi una figura
dinamica, molto attivo a livello internazionale, continuamente in viaggio.
“Si tratta del settore dei critici più strettamente legati al mercato. La loro funzione
all'interno del sistema dell'arte interagisce strettamente con quella dei galleristi e dei
collezionisti, e dunque il loro lavoro di valorizzazione culturale rischia di non
distinguersi granché da quello della valorizzazione mercantile”111.
Il curatore è più di un mediatore che interpreta l'arte e la presenta al pubblico,
rispetto al critico possiede competenze manageriali e relazionali necessarie a svolgere la
sua attività. Il curatore, quindi, nel momento in cui esprime un discorso critico, una
propria e personale visione culturale è anche critico, se ciò viene a mancare, l'attività
curatoriale rimane puramente manageriale. Il suo ruolo è potenzialmente e
particolarmente esposto al conflitto di interessi poiché la sua figura rimane molto attiva
nella promozione di un artista. Il curatore d'arte, quindi, non si limita a rimanere
mediatore nel contesto in cui opera, ma si pone come parte attiva nella catena di
valorizzazione artistica.
In conclusione, quindi, per tirare le somme su ciò che è oggi il mercato dell'arte
contemporanea e il suo funzionamento, si può riassumere il discorso con un concetto
chiaro e semplice, quello della squadra, della scuderia: “insomma la scuderia di cui fa
parte un artista è la carta vincente oggi sul mercato”112, un meccanismo che si muove su
111 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 158.
112 M. Pirrelli e A. Somers Cocks, Galleristi e mercanti..., cit..
75
ingranaggi ben definiti “[...] Sono il mercato e le istituzioni economiche dell'arte, grazie
alla supervisione creativa dei critici, a decidere quali sono gli artisti che «valgono»
[...]”113.
Damien Hirst è un artista di brand, è cioè perfettamente inserito in questo
contesto. La sua scuderia, per così dire, racchiude la più grande concentrazione di brand
che si sia mai vista nel mondo dell'arte: Saatchi, Gagosian, White Cube di Jay Jopling
(che lo rappresenta in Inghilterra), Steve Cohen (che acquistò lo squalo) e ovviamente
fanno parte del suo curriculum anche i “timbri” dei maggiori musei di brand, come il
MOMA di New York, che acquisì lo squalo donato da Steve Cohen, subito dopo che il
collezionista lo acquistò da Saatchi, le esposizioni alla Tate di Londra e via dicendo.
Come per Gagosian e Saatchi, anche Damien Hirst è inserito nella speciale classifica
The Power 100114 risultando primo ben due volte, nel 2005 e nel 2008 e rimanendo in
ottime posizioni anche per gli altri anni, come nel 2006 dove giunse undicesimo e
nell'anno dopo dove giunse sesto.
La transazione avvenuta nel 2005 dello squalo (The Physical Impossibility of
Death in the Mind of Someone Living) sintetizza in toto tutto ciò scritto fino ad ora.
L'opera fu finanziata e commissionata (e ovviamente acquistata) da Charles Saatchi a
Damien Hirst nel 1991 per 50.000 sterline, quando l'artista era, quindi, ancora agli
esordi, l'intermediario della transazione fu Larry Gagosian, il primo compratore ad
interessarsi dell'acquisto fu Nicholas Serota, il direttore della Tate Modern, per conto
del museo stesso, aveva, però un budget limitato (perché ovviamente legato alle
esigenze economiche del museo). Saatchi, al momento della messa in vendita, aveva
accordato con Gagosian che la cifra minima alla quale sarebbe stato disposto a vendere
era quella di 12 milioni di dollari, Serota offrì solo 2 milioni e Gagosian (che agiva per
conto di Saatchi) rifiutò la proposta.
È facile intuire perché quella somma non sia stata accettata, 12 milioni di dollari, a
quel tempo, sarebbero divenuti la più alta cifra mai pagata per l'opera di un'artista
vivente (dopo Jasper Johns) e la pubblicità che ne sarebbe conseguita sarebbe stata
certamente eclatante, con articoli sulle più importanti testate giornalistiche mondiali e
113 A. Dal Lago e S. Giordano, Mercanti..., cit., p. 121.
114 Art Review, The Power 100..., cit..
76
naturalmente, quindi, con ripercussioni sulle quotazioni delle altre opere di Hirst. Fu il
magnate Steve Cohen che accettò di comprare alla cifra richiesta e concluse la
transazione così a 12 milioni di dollari. All'acquisto seguì, ovviamente, una forte
pubblicità e come era facile intuire, le ripercussioni positive sul valore e le quotazioni
delle altre opere firmate Hirst furono da allora enormi. Come per il caso di Lauder e
l'acquisto del Ritratto di Adele Bloch-Bauer I la trattativa fu privata, per cui non è dato a
sapere se Cohen abbia realmente versato quella cifra, 12 milioni di dollari furono
l'importo apparso più frequentemente sui giornali, il New York Magazine scrisse
addirittura 13 milioni, ovviamente una volta che una cifra del genere è resa pubblica,
nessuno ha interesse a smentirla.
Cohen, in seguito, donò lo squalo al MOMA e “il mondo dell'arte salutò
l'acquisizione come una vittoria del MOMA sulla Tate Modern di Londra”115. Non è
importante quale dei due musei l'avrebbe accolta nella propria collezione, ciò che
importa è la consacrazione e la legittimazione che ne è derivata (sia per l'opera che per
chi l'ha firmata) a conclusione di una strategia certamente non casuale, avviata con la
transazione, che pare avere tutti i connotati di un'operazione di marketing a tutti i livelli,
studiata a tavolino.
“Per avere successo come artisti bisogna esporre in una buona galleria […]. È
soprattutto una questione di marketing. […] Ci vuole una buona galleria perché la classe
dominante si accorga di te e si crei abbastanza fiducia sul tuo futuro perché
i
collezionisti ti comprino, che sia a cinquecento dollari o a cinquantamila. Non importa
quanto bravo sei: se non ti promuovono nel modo giusto, il tuo nome non sarà tra quelli
che sono ricordati”116 (Warhol e Hackett).
115 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 7.
116 A. Warhol e P. Hackett, Andy Warhol racconta gli anni Sessanta, Meridiano Zero, Padova 2004, pp. 25-26, in,
A. Dal Lago e S. Giordano, Mercanti..., cit., pp. 151-152.
77
CAPITOLO III
3.
L'ASTA PRESSO SOTHEBY'S, IL CATALOGO E LE
DINAMICHE DI ASTA.
Nei giorni 15 e 16 settembre 2008 ha avuto luogo presso la sede londinese della
casa d'asta Sotheby's (a New Bond Street) l'asta relativa a duecentoventitré opere di
Damien Hirst, provenienti direttamente dallo studio dell'artista. La novità, come lo
stesso Hirst ha sottolineato, consiste nello scardinamento dei meccanismi tipici del
mercato dell'arte, dove l'artista è mediato dalla galleria d'arte che ne cura gli interessi
fino alla vendita. Quello di Sotheby's, invece, ha rappresentato un evento inedito nella
storia dell'arte: l'artista ha venduto le opere provenienti dal suo studio direttamente ai
collezionisti, senza la mediazione di alcun soggetto (a parte la casa d'asta stessa).
“«Credo che occorra un pizzico di coraggio o forse di follia per arrivare al punto
da tagliarsi fuori dal giro delle gallerie, e portare un bel carico di opere appena
sfornate direttamente sul mercato, senza storie: Ehi, vince chi offre di più! Bum.
Aggiudicato!», ha detto l' artista in un' intervista rilasciata a Gordon Brown per il
catalogo. Le gallerie tagliate fuori sono le più celebri al mondo: Gagosian e White
Cube. Ovviamente girano voci di combine, subito smentite da Damien Hirst: «È tutto
chiaro e trasparente. Io non sto facendo niente del genere. Dipende tutto dalle vendite:
se i prezzi sono bassi sono bassi, se sono alti sono alti. Quello che voglio dire è che il
mercato è molto più grande di quanto uno si immagina. Credo che in teoria sia molto,
molto più grande, e a tutti è stato fatto credere che si deve prestare enorme attenzione.
E così tutti soltanto a pensarci vanno nel panico. Io invece penso che il mercato può
assorbire tanta arte, specialmente se è buona arte».”117
Il rapporto con le gallerie, però, certamente non si è logorato, anzi, l'ufficio
stampa della Gagosian Gallery, per l'occasione, ha voluto ribadire il contrario: “As
117 P. Vagheggi, Damien Hirst una montagna di dollari, in “La Repubblica”, 8 settembre 2008, p.32.
78
Damien’s long-term gallery, we’ve come to expect the unexpected. He can certainly
count on us to be in the room with paddle in hand”118. (Come galleria a lungo termine di
Hirst, noi ci aspettiamo da lui l'inaspettato. Può certamente contare su di noi, saremo in
sala con una paletta in mano). Per comprendere questa dichiarazione è necessario
conoscere i meccanismi alla base del funzionamento di un'asta di questo livello e il
discorso sarà approfondito in seguito.
L'asta è stata la naturale conclusione della mostra Beautiful inside my head
forever, interamente dedicata ai lavori di Damien Hirst e tenuta nei giorni precedenti
(dal 5 al 15 settembre 2008) sempre nella sede della rinomata casa d'asta londinese, ha
presentato un ventaglio di opere realizzato dall'artista nel corso degli ultimi due anni. La
mostra, che ha registrato circa ventiduemila visite, ha avuto in esposizione lavori tra i
più importanti dell'opera di Hirst, dalle sculture in formaldeide a quelle in plastica, dai
medicine cabinet, agli spin painting, ripercorrendo temi cari all'artista inglese, come la
poetica della morte (nelle opere con animali in formaldeide o in quelle con farfalle come
i butterly painting), la poetica della medicina (medicine cabinet) e quella del fumo, tutte
e tre indissolubilmente legate.
Beautiful inside my head forever è nata come celebrazione da parte di Sotheby's
del ventesimo anniversario di Freeze, la mostra che nel 1988 diede il battesimo alla
stagione della YBAs e quindi alla carriera di Damien Hirst. L'opera senza dubbio
emblema dell'evento è stata The Golden Calf, un vitello immerso in formaldeide,
incoronato da un'aureola d'oro massiccio, con le corna e gli zoccoli ricoperti d'oro
diciotto carati. L'animale è posto all'interno di una teca di vetro, anch'essa dai bordi
placcati d'oro e riprende temi mitologici antichi legati alla religione ebraica: Golden
Calf, il vitello d'oro, appunto, un idolo, un'immagine di culto che, secondo la Bibbia
Ebraica, fu realizzato da Aaron per appagare gli Istraeliti durante l'assenza di Mosè. La
stima valutata per quest'opera era compresa tra gli 8 e i 12 milioni di sterline (10 – 15
milioni di Euro) e la cifra battuta all'asta non si è allontanata molto dalle stime, il pezzo
è stato venduto per 13 milioni di Euro.
118 L'intervista è disponibile sul sito www.sothebys.com alla pagina relativa al catalogo dell'asta di Damien Hirst
[Consultato nel mese di marzo 2010].
79
Sotheby's per l'occasione ha voluto creare un lussuoso catalogo diviso in cinque
volumi, di cui tre dedicati alla vendita e due monografici per The Golden Calf e The
Kingdom, le due opere protagoniste dell'evento. Di seguito alcune delle più importanti
opere presenti in catalogo:
The Golden Calf (2008)
Lotto 13, vendita serale.
Vitello, oro 18 carati, vetro, acciaio placcato
d'oro, soluzione di silicone e formaldeide con
un piedistallo di marmo di Carrara.
Dimensioni:
398.9 x 350.5 x 167.6cm.
Valutazione:
£ 8,000,000-12,000,000
€ 10,120,000-15,180,000
Venduto per:
£ 10,345,250 (ca. € 13,000,000)
80
The Kingdom (2008)
Lotto 5, vendita serale.
Squalo tigre, vetro, acciaio, soluzione di
silicone e formaldeide con basamento di
acciaio.
Dimensioni:
214 x 383.6 x 141.8cm.
Valutazione:
£ 4,000,000 – 6,000,000
€ 5,060,000-7,590,000
Venduto per:
£ 9.561.250 (ca. € 12,000,000)
The Dream (2008)
Lotto 110, vendita mattutina.
Puledro, vetro, acciaio, resina,
soluzione di silicone e formaldeide.
Dimensioni:
231 x 332.6 x 138.1cm.
Valutazione:
£ 2,000,000-3,000,000
€ 2,530,000-3,800,000
Venduto per:
£ 2,337,250 (ca. € 3,000,000)
81
The Incredible Journey
(2008)
Lotto 211, vendita pomeridiana.
Zebra, vetro, acciaio, soluzione di
silicone e formaldeide.
Dimensioni:
208.6 x 322.5 x 108.8cm.
Valutazione:
£ 2,000,000-3,000,000
€ 2,530,000-3,800,000
Venduto per:
£ 1,105,250 (ca. € 1,400,000)
Aurothioglucose (2008)
Lotto 7, vendita serale.
Spot painting, pittura su tela.
Dimensioni:
172.7 x 274.3cm.
Valutazione:
£ 400,000-600,000
€ 510,000-760,000
Venduto per:
£ 668,450 (ca. € 840,000)
82
Memories of / Moments
With You (2008)
Lotto 11, vendita serale.
Acciaio cromato d'oro e vetro, con
diamanti lavorati, dittico.
Dimensioni:
91 x 137.2 x 10cm.
Valutazione:
£ 800,000-1,200,000
€ 1,020,000-1,520,000
Venduto per:
£ 2,617,250 (ca. € 3,300,000)
Unknown Pleasures (2008)
Lotto 206, vendita pomeridiana.
Vetro e acciaio placcato d'oro con
diamanti lavorati.
Dimensioni:
91 x 137.2 x 10cm.
Valutazione:
£400,000-600,000
€ 510,000-760,000
Venduto per:
£ 1,665,250 (ca. € 2,400,000)
83
The
Rose
Window,
Durham Cathedral (2008)
Lotto 27, vendita serale.
Farfalle e vernice metallizzata su tela
in cornice d'artista.
Dimensioni:
Diametro: 270cm.
Valutazione:
£700,000-900,000
€ 890,000-1,140,000
Venduto per:
£ 1,273,250 (ca. € 1,600,000)
Beautiful Helios Hysteria
Intense
Painting
Extra
Inner
(with
Beauty)
(2008)
Lotto 227, vendita pomeridiana.
Spin painting su tela.
Dimensioni:
Diametro: 45.7cm.
Valutazione:
£ 60,000-80,000
€ 76,000-102,000
Venduto per:
£ 121,250 (ca. € 152,000)
84
Psalm 28: Ad te, Domine.
(2008)
Lotto 102, vendita giornaliera.
Farfalle su tela.
Dimensioni:
45.7 x 45.7cm.
Valutazione:
£ 60,000-80,000
€ 76,000-102,000
Venduto per:
£ 127,250 (ca. € 160,000)
1,6
–
Hexanediamine
(2008)
Lotto 107, vendita giornaliera.
Pastelli colorati su carta.
Dimensioni:
123.9 x 123.9cm.
Valutazione:
£ 30,000-40,000
€ 38,000-51,000
Venduto per:
£ 73,250 (ca. € 92,000)
(sito web di Sotheby's)119
119 Il catalogo è disponibile sul sito www.sothebys.com [Consultato nel mese di marzo 2010].
85
“After the success of the Pharmacy auction, I always felt I would like to do
another auction. It’s a very democratic way to sell art and it feels like a natural
evolution for contemporary art. Although there is risk involved, I embrace the challenge
of selling my work in this way. I never want to stop working with my galleries. This is
different. The world’s changing, ultimately I need to see where this road leads”120
(Hirst). (Dopo il successo della vendita all’asta di Pharmacy, io sentii immediatamente
il desiderio di fare un’altra vendita all’asta. È un modo democratico di vendere arte e
sembra una naturale evoluzione per il mercato dell’arte contemporanea. Anche se
effettivamente si corre dei rischi. Io abbraccio la sfida di vendere così il mio lavoro in
asta. Ciononostante voglio assolutamente continuare a lavorare con le mie gallerie. Ma
questo è diverso. Il mondo sta cambiando. E io ho sempre più bisogno ultimamente di
vendere dove questa strada conduce).
Complessivamente in sala sono stati presentati centosessantasette lotti, venduti in
diversi momenti delle due giornate: il primo giorno, nella sessione serale, sono state
messe all'asta circa quaranta opere tra le più importanti, mentre il giorno dopo, nella
sessione diurna i lavori presentati sono stati quelli più accessibili, come ad esempio i
disegni, con un valore stimato più contenuto. L'asta ha incluso anche quattro lavori i cui
proventi erano destinati alla beneficenza e sono:
•
Beautiful Love Demelza Painting with Beautiful Butterflies (lotto 30,
valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Demelza, casa di cura
per bambini;
•
Beautiful Love Survival Painting with Beautiful Butterflies (lotto 8, valutazione:
€320,000-480,000) venduto a beneficio di Survival International;
•
Beautiful Love Strummerville Painting with Beautiful Butterflies (lotto 109,
valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Strummerville –
fondazione Joe Strummer per la nuova musica;
•
Beautiful Love Kids Co Twenty-Five to Ten Painting with Beautiful Butterflies
(lotto 209, valutazione: €320,000-480,000) venduto a beneficio di Kids
Company – fondata nel 1996 da Camila Batmanghelidjh;
120 Ivi.
86
•
Bill with Shark (lotto 203, valutazione: €160,000-240,000) un dipinto ad olio,
basato sulla fotografia di Jean Pigozzi che ritrae Bill Gates mentre osserva lo
squalo in formaldeide di Hirst, venduto a beneficio della Fondazione Bill &
Melinda Gates.
Il valore complessivo dei lotti era stimato intorno ai 65 milioni di sterline (circa 81
milioni di Euro) e, nonostante la recessione economica mondiale ormai incombente, la
speranza dell'artista era di riuscire a vendere tutto.
“È un gioco assai complicato. Ne è cosciente Hirst: «Ci sono sempre speranze e
timori. La mia speranza più grande è quella di vendere tutto. Sì, certo, proprio tutto.
Ma d' altro canto è pur vero che in definitiva, se le cose dovessero andare male, questa
esperienza sarà servita in ogni caso ad aprire una nuova strada. Avrà pur sempre
cambiato il mondo,il mondo dell' arte. Lo avrà cambiato e ne avrà spalancato le
porte»" 121.
E così è stato, l'asta ha registrato un record storico mai raggiunto prima nel
mercato dell'arte, vendendo tutti i lotti per un incasso complessivo pari a 112 milioni di
Sterline, circa 140 milioni di Euro. La cifra raggiunta era grande più del doppio rispetto
alle stime fatte dagli esperti Sotheby's. L'ultimo record relativo ad un asta pubblica
dedicata ad un singolo artista, fu quello del 1993, con 20 milioni di Dollari di incasso,
dove ad essere vendute furono le opere di Picasso.
La scelta di rivolgersi a Sotheby's fu dettata dalla volontà di continuare un
rapporto già ben solido e di una relazione speciale tra l'artista e la casa d'asta che vide la
luce già 4 anni prima, nel 2004. In quell'anno all'asta furono proposti i rimanenti cimeli
artistici (come gli arredi e il mobilio) del ristorante Pharmacy, chiuso nel 2003,
disegnati direttamente da Hirst, totalizzando un incasso pari a 11 milioni di Sterline
(circa 8 milioni di Euro) contro una valutazione di 3,5. In quella occasione Sotheby's
non pretese alcuna percentuale e l'incasso, al netto delle tasse d'acquisizione andò tutto
nelle tasche di Hirst, così come è avvenuto anche per l'asta del 15 e 16 settembre 2008.
121 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit..
87
Bypassando le gallerie Hirst ha così potuto evitare la loro percentuale sulle vendite
che generalmente si aggira intorno al quaranta o cinquanta per cento, così l'enorme
incasso derivante dall'asta milionaria è arrivato all'artista per l'intero importo.
“A chi lo ha accusato di essere troppo attaccato al soldo, Hirst ha risposto che
l'idea di vendere è nata dalla necessità di liberarsi di opere che, pur se realizzate assieme
a 180 assistenti negli ultimi due anni, appartengono al «periodo giovanile». «È giunto il
momento di occuparmi di altro, non farò più, ad esempio, collage di farfalle. Questo è
un modo di voltare pagina». A 43 anni, sottolinea, sa di non essere immortale. Ha
bisogno di rinnovarsi. L'aspetto commerciale è importante, precisa. «Il fatto che queste
opere abbiano un loro valore sul mercato le fa sembrare particolarmente vive.
L'importante è che siano sempre i soldi a inseguire l'arte, e non il contrario»” 122.
Sempre sulla questione del suo rapporto con i soldi e la popolarità Hirst ha
aggiunto: “«Frank Dunphy, il mio business manager, mi ha sostenuto, letteralmente,
mentre affrontavo la cosa. Penso che gli artisti abbiano sempre grossi problemi con i
soldi. È una regola! Gli artisti sono artisti: ciò che vogliono davvero è dipingere. E
tutti sono alla ricerca del prossimo Van Gogh, o di qualcosa che non costi un centesimo
e valga un milione. Warhol è stato il primo a rendere accettabile che gli artisti
pensassero ai soldi. Ma da un certo punto di vista è come se Warhol non ci fosse mai
stato. Prima di lui e dopo di lui è come se gli artisti abbiano sempre pensato che i soldi
arrugginiscono l' arte. Ma l' arte adesso è più popolare. Per quanto mi riguarda, penso
che gli artisti debbano affrontare la questione soldi». Ancora sull'argomento, in parte
contraddicendosi Hirst aggiunge: «Credo di aver avuto, da sempre, la paura innata che
forse l' arte potesse alla resa dei conti svanire in una nuvoletta di fumo. La paura di
scoprire che i soldi sono più importanti o più travolgenti, più potenti. Io faccio "pit art"
in cambio di soldi. Non posso farci niente. Questo è il genere di cose che mi passano
per la testa. Io faccio "pit art" in cambio di soldi per una specie di scommessa. Spero
sempre che per me i soldi restino al secondo posto e l' arte al primo, questo è un dato di
fatto. Ma se dovessi scoprire che i soldi sono più importanti e più potenti, allora l' arte
dovrebbe dileguarsi. Quindi è una scommessa stupida da fare per un artista, da un
certo punto di vista. Ecco perché credo di avere un istinto irrefrenabile ad
122 P. De Carolis, E Hirst vince la sfida: asta da record, in “Corriere della Sera”, 16 settembre 2008.
88
allontanarmene, la cosa mi spaventa. Se dovessi perdere il coraggio, allora sarebbe
come ammettere che i soldi sono più importanti. Insomma, io provo il desiderio
istintivo di cambiare le cose. Nel bene come nel male. Del resto, io ho soltanto 43 anni
e mi trovo in questa posizione incredibile, affascinante. È come se mi chiedessi: "Che
cosa pensi di fare adesso? Startene seduto ad ammuffire?»”123.
Ma come mai un record così eclatante? Dove ha origine? È il termometro
oggettivo della qualità delle opere o è il sistemico risultato di un processo che implica
particolari condizioni psicologiche?
Per capire come in questo tipo di eventi le quotazioni subiscano delle brusche
esplosioni, è necessario descrivere come funzionano le aste nel mercato dell'arte
contemporanea. Innanzitutto è doveroso precisare e sottolineare dove l'asta è avvenuta:
presso Sotheby's. La casa d'aste londinese, insieme a Christie's (anch'essa nata a Londra)
rappresenta sicuramente la punta di diamante del sistema aste nel mondo dell'arte e
inoltre, insieme, compongono un forte duopolio difficile da scardinare, un nucleo
inavvicinabile, capace di dissuadere ogni forma di concorrenza. L'unica casa d'aste che
ha un rilievo vicino alle due sopracitate è la newyorkese Phillips de Pury & Luxemburg,
rappresenta il terzo posto nell'ordine gerarchico di importanza, ma rimane comunque ad
un livello inferiore e non incarna un brand così forte e riconosciuto come le due storiche
case d'aste inglesi.
Phillips de Pury & Luxemburg, in realtà, non si pone a diretto confronto con
Christie's e Sotheby's, come ha fatto, senza successo, in passato, ma cerca ora di
distinguersi puntando soprattutto a divenire il vertice della sua nicchia di mercato e cioè
quella dell'arte emergente, favorendo compratori giovani, alla loro prima apparizione
nel mondo del collezionismo, offrendo loro opere con la “vernice fresca”124. Christie's e
Sotheby's, invece, rappresentano l'ultimo stadio di legittimazione per un artista, il
riconoscimento finale; si pongono quindi nell'ultima fase di maturazione della carriera
artistica, il mercato dell'arte emergente si profila, per esse, come una nicchia di
second'ordine. Operano, quindi, soprattutto nel mercato secondario, dove qui risultano
123 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit..
124 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 137.
89
“le strutture finanziariamente e strategicamente più potenti”125. Sono entrambe nate a
Londra, ma hanno tutte e due un'importante sede anche a New York, sono posizionate,
sostanzialmente, nei due maggiori centri dell'arte contemporanea.
“Christie's e Sotheby's controllano l'80 per cento del mercato delle aste d'arte di
primo livello, e hanno il monopolio quasi assoluto delle opere che vengono vendute al
di sopra del milione di dollari”126.
È quindi immediato intuire che ciò descritto è il caso di due case d'aste di brand.
Sono entrambe brandizzate, dunque, e come ampiamente definito nel capitolo
precedente, di per sé, già solo questa caratteristica permette di creare un forte valore
aggiunto. La cupola mediatica di cui godono le case d'aste è unica nel mondo dell'arte,
non ha eguali nel sistema artistico e tutto ciò, di riflesso si ripercuote, ovviamente,
anche sulle opere oggetto delle aste. L'attenzione delle riviste e dei giornali (come ad
esempio il New York Times) è incredibilmente ampia e concentrata, tanto da rendere le
aste serali più un evento in senso lato che una semplice vendita di lotti. Ma in fondo è
proprio così, un'asta da Sotheby's o Christie's (soprattutto quella serale) è un evento
mondano, “un indicatore di status sociale”127 per chiunque vi partecipa, anche se non ha
intenzione di acquistare.
“Nell'arte contemporanea, il più grande valore aggiunto proviene dalle case d'aste
brandizzate, Christie's e Sotheby's, che portano con sé status, qualità e compratori
famosi che dispongono di ricchezze impressionanti. […] Cosa si spera di acquistare
quando si fa un'offerta a una prestigiosa asta serale di Sotheby's? Un insieme di cose: un
quadro, naturalmente, ma anche, possibilmente, un nuovo modo in cui gli altri ci
vedono. Come Rober Lacey spiega nel suo libro su Sotheby's, si compra a un'asta per
acquisire status e la conferma del proprio buon gusto”128.
Ma più analiticamente, cos'è che in questi avvenimenti mette in moto l'esplosione
delle quotazioni? I risvolti psicologici implicati nel funzionamento di un'asta sono la
fetta sicuramente più determinante per quanto riguarda la formazione dei prezzi ed è per
125 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 79.
126 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 131.
127 Ivi, p. 133.
128 Ivi, p. 18.
90
questo che le quotazioni formatesi in un'asta non sono di certo un indice sempre
oggettivo della qualità delle opere.
“Piuttosto che utilizzare un processo basato sul consenso per valutare uno sforzo
artistico, un'asta sfrutta la competizione e l'ego dei compratori per raggiungere il più
alto prezzo possibile”129.
Più propriamente è il banditore che è chiamato a sfruttare questa leva, ed è lui il
vero protagonista dell'asta, interpreta un ruolo essenziale e diversamente da come si
potrebbe supporre, non è un semplice vigile dello svolgimento, un assistente che si
limita ad accogliere le proposte di prezzo e aggiudicare l'asta. Il suo ruolo è più simile
ad un vero e proprio direttore d'orchestra, che con la sua gestualità e la sua direzione
determina la qualità dell'esecuzione orchestrale, così il battitore indirizza l'asta e ne
determina l'esito finale.
“Quando era direttore di Christie's Europe, Simon de Pury affermò: «Se vendessi
lo stesso lotto per quattro volte con quattro diversi banditori d'asta, otterresti quattro
pezzi finali differenti». Da Christie's, i banditori Christopher Burge e Jussi Pylkkanen, e
da Sotheby's, Tobias Meyer e l'astro nascente Oliver Barker, sono tenuti in tale
considerazione che la trattativa con chi vende può includere la garanzia che sia uno di
loro a battere il lotto”130.
Innanzitutto è importante che l'asta abbia inizio già in un clima di entusiasmo e in
un'atmosfera euforica e per riuscire in ciò l'intervento della casa d'aste nei giorni
precedenti l'evento è fondamentale, l'impegno per alimentare l'interesse e conservarlo
vivo è massimo, è importante tenere alta l'attenzione mediatica, anche sfruttando il
catalogo della mostra che sarà svelato in anteprima. Durante l'asta, per riuscire a
convogliare l'andamento delle quotazioni sui binari voluti, “il battitore è in grado di
utilizzare varie tattiche per far alzare i prezzi fino al livello voluto dal venditore (con cui
si accorda preventivamente sul cosiddetto prezzo di riserva), attraverso false chiamate in
sala o annunciando offerte per delega”131.
129 Ivi, p. 132.
130 Ivi, p. 161.
131 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 86.
91
Quindi, non sempre e non tutte le offerte sono reali, per far sì che il prezzo salga
velocemente, anche e soprattutto oltre il prezzo di riserva, si stabilisce un meccanismo
di false offerte, sia per suscitare l'interesse per i lotti che non ne stimolano, sia per
mantenere continuo e acceso il clima incalzante che sempre caratterizza le aste
maggiori.
Da chi arrivano queste offerte non reali? Innanzitutto bisogna precisare che oltre ai
presenti in sala, esistono altri due tipi di partecipanti: quelli collegati al telefono e quelli
assenti. L'anonimato è la condizione essenziale, infatti, lasciando da parte i compratori
più conosciuti che abitualmente partecipano a questi grandi eventi e sono pertanto
facilmente riconoscibili, nessuno conosce chi fa offerte e per conto di chi, soprattutto è
impossibile per chi è presente in sala, sapere chi c'è dall'altra parte della cornetta di un
assistente della casa d'aste pronto a ricevere proposte d'acquisto (ammesso che siano
reali) e tantomeno è possibile conoscere chi ha concordato precedentemente la propria
offerta sull'agenda del banditore (partecipanti assenti).
Le condizioni per proporre un'offerta falsa, sono quindi favorevoli, ed è ancora più
semplice se è la stessa casa d'aste a promuoverle: sulla sua agenda, dove sono segnate le
offerte dei partecipanti assenti, il banditore può leggere, per così dire, delle offerte non
reali, al solo scopo di rilanciare un'asta il cui ritmo è diventato troppo lento. Oppure il
collaboratore incaricato di ricevere tramite cornetta le offerte, può proporre un prezzo
che in realtà non esiste, perché non esiste nessuno dall'altro capo del telefono.
Sfruttando l'anonimato, il passo tra un'offerta vera ed una falsa è davvero breve, il
venditore stesso, ovviamente interessato affinché la quotazione salga sempre più, può
commissionare a qualcuno l'incarico di rilanciare in sala.
Nell'intervista rilasciata dalla Gagosian Gallery, già proposta all'inizio di questo
capitolo (reperibile sul sito web di Sotheby's, alla pagina relativa al catalogo dell'asta di
Hirst) questo meccanismo è ammesso non troppo velatamente: “As Damien’s long-term
gallery, we’ve come to expect the unexpected. He can certainly count on us to be in the
room with paddle in hand”132. (Come galleria a lungo termine di Hirst, noi ci aspettiamo
da lui l'inaspettato. Può certamente contare su di noi, saremo in sala con una paletta in
132 L'intervista è disponibile sul sito www.sothebys.com alla pagina relativa al catalogo dell'asta di Damien Hirst
[Consultato nel mese di marzo 2010].
92
mano). La paletta è ovviamente lo strumento utilizzato da colui che vuole rilanciare con
una propria offerta e questa dichiarazione, probabilmente provocatoria e ironica (ma
nulla vieta di pensare il contrario), sta ad indicare che la galleria sarà lì, pronta a
sostenere i prezzi. Qualora non ci fosse un'atmosfera viva e un interesse animato,
dunque, si attiverebbe il meccanismo delle offerte false che servono a mantenere il
ritmo su un livello costante e stimolante, tutto ciò, ovviamente, affinché i prezzi salgano
velocemente.
Il sito arslife.com, un portale di critica ed economia dell'arte, ha pubblicato un
elenco di nomi relativi agli acquirenti che si sono aggiudicati alcuni lotti dell'asta di
Damien Hirst da Sotheby's. Un secondo elenco invece è relativo agli underbidder cioè a
coloro che hanno rilanciato per la penultima offerta prima dell'aggiudicazione. L'elenco
è il seguente (la lettera che segue il nome indica il numero del lotto):
• Acquirenti: White Cube (1), Gilda Moratti (3), Alberto Mugrabi (20), Gary
Tatinsian (22), White Cube (26), Jimmy LaHoud (28), LaHoud (29), Harry Blain (32),
Gagosian Gallery (34), Moratti (35) Blain (36), Nick MacLean (38), White Cube (39),
Andrea Caratsch (42), White Cube (46), Tatinsian (53), Blain (55), Gary Tatinsian
(113), Anne Faggionato (115), White Cube (119), Tatinsian (136), Faggionato (145),
Tatinsian (146), Faggionato (148), Fernando Mignoni (164), Christophe Van de Weghe
(169), Tatinsian (171) Julian Treger (175), Tatinsian (209), Tatinsian (222), Mignon
(240);
• Underbidder: Mugrabi (4), White Cube (5), White Cube (11), Gagosian (13),
Gagosian (16), Treger (19), Fernando Mignoni e LaHoud (20), Haunch of Venison (23),
Haunch of Venison (24), White Cube (25), White Cube (27), Charles Booth-Clibborn
(31), White Cube (36), Mark Fletcher (38), White Cube (40), Anthony d’Offay (46),
Mark Fletcher (47), White Cube (48), White Cube (51), Kenny Schachter e Mugrabi
(53), Christophe Van de Weghe (54), Mignoni (106), White Cube (110), White Cube
(115), Mignoni (134), White Cube (135), Kenny Schachter (143), White Cube (155),
Sofia Urbina (168), Tiqui Atencio (179), Manfredi della Gherardesca (205),
Gherardesca (206), Booth-Clibborn (208), Ricahrd Balfour-Lynn (233), Urbina (239)133.
133 L'elenco è reperibile all'indirizzo: www.arslife.com. La fonte citata è un giornalista di cui però non è rivelata
l'identità per cui non è una fonte pienamente attendibile, fatta eccezione per alcuni nomi, quelli più conosciuti
come Jay Jopling (White Cube), la cui identità all'acquisto era nota [Consultato nel mese di maggio 2010].
93
Il nome di White Cube (una delle gallerie che rappresenta Hirst) compare sia tra
gli acquirenti, sia tra gli underbidder, tra questi ultimi è presente addirittura dodici
volte. Compare anche la Gagosian Gallery (che rappresenta l'artista negli Stati Uniti) sia
nella prima che nella seconda lista. Il conflitto di interessi è evidente, le gallerie di Hirst
hanno partecipato attivamente all'asta perché un eventuale esito negativo della stessa
avrebbe provocato una sensibile svalutazione della collezione di opere con firma Hirst
posseduta dalle due gallerie. “«Credo che occorra un pizzico di coraggio o forse di
follia per arrivare al punto da tagliarsi fuori dal giro delle gallerie [...]”134, così aveva
dichiarato Damien Hirst alla vigilia dell'asta, ma le sue principali gallerie erano tutte
presenti in sala, tutte e due con la paletta alzata e tutte e due con il principale interesse
di sostenere i prezzi. La dichiarazione rilasciata dalla Gagosian Gallery, già proposta in
precedenza, assume un significato preciso, conferma il meccanismo.
“Un portavoce di White Cube dichiarava al 'The Times' che Jopling ha puntato su
ben 20 dei 56 lotti in vendita lunedì sera. Le offerte di White Cube hanno aiutato a fare
innalzare il prezzo del risultato più sorprendente di lunedì, un cabinet di acciaio
contenente diamanti, Fragments of Paradise, venduto per 5.193.250 £, ben 4 milioni di
£ al di sopra del prezzo iniziale di stima, ad un acquirente anonimo in lingua russa, al
telefono con la rappresentante di Sotheby's Alina Davey”135.
White Cube compare tra i partecipanti attivi un numero significativo di volte, ciò
significa che ha inciso in maniera determinante sull'esito di un alto numero di lotti e
quindi sul successo dell'intera asta. A differenza di quanto affermato da Hirst, quindi, le
gallerie non sono state affatto tagliate fuori (per utilizzare i termini esatti della
dichiarazione), bensì il loro intervento ha aiutato le quotazioni a rimanere sui livelli
desiderati contribuendo, dunque, al successo dell'operazione.
È sempre il banditore però ad avere la responsabilità di coordinare le offerte e di
mantenere, attraverso le tecniche da lui conosciute, l'interesse sempre vivo ed un clima
effervescente.
“I banditori cercano sempre di trovare il giusto ritmo dell'asta, intervallando
correttamente le offerte tra loro ogni secondo e mezzo o due, in pratica giusto il tempo
134 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit..
135 C. Zampetti, Hirst in asta supera Picasso, in “Il Sole 24 Ore”, 17 settembre 2008.
94
sufficiente per alzare la mano, ma non abbastanza per stare troppo a pensarci. Il ritmo
incalzante invoglia a partecipare”136.
Un banditore esperto e particolarmente carismatico, rappresenta in termini di
risultati di vendita almeno il 10 per cento di margine aggiuntivo rispetto all'esito delle
aste coordinate da battitori di minor caratura e arriva a questo risultato poiché è capace
più di ogni altro di far leva, come già accennato, sulla competizione e l'ego dei
compratori.
Prima di approfondire questo discorso, è doveroso chiarire che anche nell'ambito
(o forse soprattutto) delle aste entrano in gioco le caratteristiche del brand, più di quanto
ci si possa aspettare. Il meccanismo che spinge un compratore a fare un offerta per
un'opera brandizzata (o che riporta la firma di un artista di brand, o che risponde a tutte
le caratteristiche spiegate nel capitolo precedente come la collezione da cui proviene,
l'acquisizione da parte di un museo d'arte contemporanea ecc.) è legato al beneficio che
egli ne trarrà in termini di status, di appartenenza ad una specifica classe sociale. La
possibilità di esporre un quadro altamente riconoscibile appeso nella propria abitazione
e di poterlo condividere, ostentare, è l'elemento certamente più importante, più di
qualsiasi valutazione di carattere estetica o qualitativa. La brama del compratore è la
forza motrice che spinge ad alzare sempre per ultimo la paletta delle offerte. Avendo
pochi secondi a disposizione per via del ritmo incalzante tenuto vivo dal banditore, il
compratore ha pochissimo tempo per formulare le sue valutazioni e decidere cosa fare,
in una situazione del genere l'istinto prevale su qualsiasi forma di raziocinio.
“Le quotazioni di molto lotti crescono proprio grazie a questioni di ego. È
assolutamente scorretto pensare che la vendita all'asta, innescando meccanismi di
concorrenza tra i compratori, finisca per assegnare il giusto valore agli oggetti. Quando
ci sono due persone che desiderano lo stesso oggetto, l'obiettivo del banditore diventa
quello di rinfocolare la sfida tra i due e farla durare più a lungo possibile cercando di
evitare il ritiro di uno dei due rivali. Alcune frasi solitamente pronunciate da Pylkkanen
– «Ultima offerta... Ne è sicuro? … Senza rimpianti?» - servono proprio a questo. Più
136 D. Thompson, Lo Squalo da…, cit., p. 169.
95
dura la fase dei rilanci, meno diventa importante il valore estetico dell'opera e più
trionfano rivalità e competizione”137.
Il nodo gordiano insito nell'ego, che spinge i compratori alla competizione è il
rimpianto. Nella logica di una competizione ristretta, un ultimo rilancio potrebbe essere
quello definitivo, quello vittorioso ed è così che le offerte si concatenano fino a che uno
dei rivali cede. Il rimorso che deriva dalla sola idea che un ultimo rilancio avrebbe
potuto aggiudicare l'asta è struggente, certamente non consolabile dalla certezza di non
essersi impegnati al pagamento di una cifra considerevole. Date queste condizioni, le
dinamiche di budget divengono immediatamente fragili: ogni compratore, prima di
iniziare l'asta, decide la cifra massima che è disposto a spendere, ma se si spinge in
questo vortice di competizione, è chiaro che la barriera del budget e il relativo limite
psicologico crollano e a quel punto il prezzo è incontrollabile.
L'aggiudicazione di The Kingdom, lo squalo in formaldeide presentato all'asta da
Sotheby's, è avvenuta proprio a conclusione di una competizione tra due contendenti. La
stima iniziale dell'opera era compresa tra 4 e 6 milioni di sterline, intorno ai 3,5 milioni
i rilanci rallentarono sensibilmente, il ritmo si affievolì e il rischio che il lotto potesse
essere aggiudicato ad una cifra di molto inferiore rispetto alla stima diventava sempre
più concreto. La fase di impasse venne superata quando due contendenti iniziarono a
rilanciare con un ritmo incalzante per prevaricare uno sull'altro finché la quotazione non
raggiunse velocemente i 9.561.250 £ (circa 12 milioni di Euro), cifra alla quale il lotto
fu aggiudicato.
La sola logica che rimane valida, dunque, è quella della prevaricazione,
l'aggiudicazione dell'asta supera ogni limite, la competizione si fa più dura e nessuno
dei contendenti avrà, quindi, intenzione di rinunciare all'opera, emblema e trofeo della
vittoria. Ovviamente, quanto detto è riferito solo a chi compra individualmente, per se
stesso e non al compratore legato ad un museo o ad una galleria, il cui ruolo è
specificamente relazionato agli interessi di un gruppo di persone (ad esempio il
consiglio di amministrazione), in questo caso il budget stabilito rimane una barriera
insormontabile, che, se viene superata, porta a conseguenze certamente non irrilevanti.
137 Ivi, p. 170.
96
In un contesto di forte competizione, quindi, il banditore cercherà di sfruttare nel
migliore dei modi la sua posizione tentando di allungare per più tempo possibile la lotta
all'aggiudicazione, diviene determinante la sua abilità dialettica, la sua gestualità e la
capacità di entrare in empatia con i presenti in sala.
“L'obiettivo di tutti i banditori è instaurare relazioni personali con i compratori.
Durante l'asta Pylkkanen guarda in continuazione la sala in cerca di rilanci. […] I
compratori più famosi li chiama per nome: «David, me ne dai tre e due [3,2 milioni di
sterline]?». Per le ultime offerte una espressioni come: «Ti piace... Allora dammi
quattro e cinque», oppure: «Vuoi lasciartelo sfuggire?» o, a un compratore ritiratosi:
«Vuoi rientrare?»”138.
Il banditore dev'essere bravo anche a leggere e a cogliere le sfumature dei
movimenti, anche minimi, di chi ha di fronte in platea, che spesso comunicano
informazioni preziose: “Christopher Burge sostiene ci sia un linguaggio del corpo che
permette di comprendere quando qualcuno si accinge a fare un'offerta: si raddrizza sulla
sedia e si aggiusta la cravatta, per esempio. Per Burge è utile leggere questi gesti per
capire come procedere e come gestire i rilanci in prossimità della conclusione”139.
Se il mezzo più comune e diretto per esprimere la propria volontà di acquistare è alzare
la paletta, alcuni compratori, addirittura, concordano precedentemente con il banditore
un codice comportamentale specifico, come muovere il capo in un determinato modo,
oppure tenere le braccia conserte in un preciso momento, tutti segnali che il banditore
deve tenere a mente e che sono indirizzati solamente a lui poiché fanno parte di una
specifica strategia per mascherare le proprie mosse agli altri compratori.
Norton Simon, importante industriale e collezionista statunitense del '900, a
quanto si dice, usava una tattica alquanto originale e senza dubbio criptica e
indecifrabile per indicare il suo interesse ad un lotto: uscire dalla sala. Era un modo per
depistare gli altri compratori, che, abituati a fidarsi del suo gusto (fiducia di cui sempre
godono i grandi collezionisti), avrebbero creduto che Simon non fosse interessato al
lotto e di conseguenza avrebbero perso loro stessi l'interesse a fare offerte. Nel
138 Ivi, p.173.
139 Ibidem.
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momento in cui rientrava in sala, automaticamente usciva dalla competizione, palesando
al banditore il suo disinteresse.
Altri compratori, quelli più importanti e più esperti, come Larry Gagosian, si
distinguono dai novizi inesperti perché non entrano mai nella competizione durante i
primi momenti dell'asta, generalmente non si lanciano subito con le offerte, lo fanno
solo nel momento in cui a contendersi l'opera sono solo due persone.
“Quando uno dei due sta per ritirarsi e l'altro inizia a rilassarsi e il banditore dice:
«Ultima possibilità», allora il compratore esperto entra in gioco. Il più debole viene
definitivamente estromesso e l'altro messo alle corde”140.
Una tattica usata dalle case d'asta per stimolare l'interesse dei compratori verso
un'opera e far sì che la quotazione salga conseguentemente è quella della referenza. Il
banditore può presentare un lotto annunciando che esso “«è vincolato da una promessa
di prestito fatta al MOMA (oppure alla Tate o al Centre Pompidou) per il prossimo
settembre»”141. Ovviamente per il compratore sapere che quell'opera sarà esposta in un
museo così prestigioso, sarà garanzia sufficiente di qualità e farà di tutto per
aggiudicarsela. Ma la promessa di prestito può non pervenire dalla spontanea volontà
del museo, è possibile che sia la stessa casa d'aste a proporre l'iniziativa al MOMA, alla
Tate ecc., proprio per sfruttare il beneficio che ne deriva.
La casa d'aste è quindi un soggetto attivo nel processo di asta, non rimane
solamente una struttura neutra, un semplice vigile che controlla lo svolgimento e
certifica il risultato dell'asta. La sua attività è talmente vincolata all'esito delle aste che a
sua volta cerca in ogni modo di influenzarlo, il prestigio che una vendita record porta in
termini pubblicitari è smisurato, ma soprattutto, un esito che non ha eguali nella storia,
porta benefici ben comprensibili in termini di manifestazione del proprio potere nei
confronti della concorrenza e in un duopolio ferrato come quello tra Christie's e
Sotheby's l'esito delle aste è di vitale importanza.
“Un caso clamoroso […] è stata la vendita, nel 1987 da Sotheby's, degli Iris di
Van Gogh, che raggiunsero i 54 milioni di dollari. È venuto fuori dopo che il
compratore, l'australiano Alan bond, era stato finanziato per metà del prezzo dalla stessa
140 Ivi, p. 174.
141 Ivi, p. 171.
98
casa d'aste (che per insolvenza dell'acquirente è diventata alla fine proprietaria
dell'opera). Diventando sovente finanziatrici degli acquisti in vari modi (con forme di
prestito diretto o facilitazioni di pagamento, o collaborando a operazioni con mercanti),
le case d'asta non sono più semplicemente delle strutture di intermediazione, ma
tendono ad accrescere il loro potere di controllo e gestione del mercato”142.
Insomma, le aste sono tutto fuorché eventi chiari, che in sala o al telefono o sul
libro del banditore ci sia una reale offerta non è dato a sapere, che chi alza la paletta sia
un reale acquirente interessato all'acquisto oppure un incaricato direttamente collegato
al venditore affinché tenga ben accesa la competizione non è possibile saperlo. La
dichiarazione rilasciata dalla Gagosian Gallery appare come una confessione, è
presumibile che abbia un'accezione ironica, tanto più che è trovabile direttamente sul
sito della Sotheby's, ciò che è sicuro, invece, è che il meccanismo descritto esiste ed è
utilizzato. Nel caso specifico relativo all'asta di Hirst non è possibile conoscere la
maggior parte dei compratori poiché sono anonimi, le uniche sicure identità, importanti
ai fini di questa trattazione, sono quelle di Jay Jopling (White Cube) e Gagosian, anche
la galleria londinese Haunch of Venison, presente nell'elenco, ha collaborato spesso con
Damien Hirst, ma potrebbe aver acquistato per interessi propri. Gli elementi certi che è
possibile trovare nell'asta svoltasi nel settembre del 2008 sono ancora una volta, quelli
legati al concetto di brand.
Secondo Damien Hirst “«questa esperienza sarà servita in ogni caso ad aprire
una nuova strada. Avrà pur sempre cambiato il mondo, il mondo dell'arte. Lo avrà
cambiato e ne avrà spalancato le porte»" 143 è chiaro e altrettanto ovvio, invece, che un
evento del genere è possibile promuoverlo solo da chi è all'apice della propria carriera,
se un artista appena affacciatosi sul mercato proponesse un asta con lo scopo di vendere
direttamente le proprie opere, senza aver avuto un'adeguata mediazione (con un incisivo
inserimento nel mercato e un'efficace e determinante pubblicità), probabilmente
troverebbe difficoltà a vendere anche solo un lotto, certamente non raggiungerebbe
quotazioni elevate, ma nemmeno adeguate.
142 F. Poli, Il sistema dell'arte..., cit., p. 86.
143 P. Vagheggi, Damien Hirst una..., cit..
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La carriera di Hirst è stata ampiamente analizzata, rappresenta oggi il prototipo di
artista di brand, è stato rappresentato e valorizzato da una vera e propria struttura che al
giorno d'oggi si può dire sia la più potente e la più influente esistita nel mercato recente
dell'arte contemporanea. Quando un'opera è firmata da un artista come Damien Hirst,
assorbe implicitamente e per forza di cose il riflesso che gallerie come Gagosian e
White Cube hanno impresso nella carriera dell'artista inglese. Se un collezionista come
Charles Saatchi, il cui gusto è preso a riferimento dal resto del mercato, ha nella propria
collezione opere di Damien Hirst, il prestigio che ne deriva si ripercuote su tutta l'opera
dell'artista e diventa un sinonimo di valore.
Se Damien Hirst, alla luce di queste considerazioni, propone un'asta con
l'intenzione di vendere tutta la sua produzione saprà, contrariamente a quanto può
dichiarare alla stampa, che l'esito sarà da prima pagina, l'unica variabile su cui può
nascere un dubbio è a quanto ammonterà il record. Il record c'è stato, la certezza che
questo evento cambierà radicalmente il presente e il futuro del mercato dell'arte
contemporanea no, almeno non per tutti. Forse solo per l'élite degli artisti all'apogeo
dell'arte contemporanea.
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