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Le tentazioni della famiglia

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Le tentazioni della famiglia
1. Le tentazioni della famiglia
“… mangia, bevi, divertiti…”: dal consumo alla condivisione
1. Introduzione.
"Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito
Santo nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo” (Luca 4,1-2).
Duemila anni fa. Sui monti sassosi del deserto di Giuda, a nord di Gerico, Gesù, Figlio
di Dio, spinto dallo Spirito Santo incontra il tentatore. Tre dure tentazioni, che egli ha
vinto con il digiuno e la parola di Dio. Poi l’ultima tentazione, la più violenta, nei giorni
della passione, vinta con l’amore vissuto come dono totale di sé.
Pensando agli sposi, alle famiglie, ai genitori, scopro che anch’essi sono chiamati, nel
deserto di oggi, ad affrontare le violente provocazioni che il tentatore fa giungere da
più parti e in varie forme, fino a “vietare il matrimonio” (1 Tinoteo 4,3), dice S. Paolo.
Sono tentazioni, cioè non dei peccati ma occasioni per misurare la propria maturità,
opportunità per rinnegare o confermare le scelte di vita, ostacoli per purificare il
cammino. È una via per tutti, normale e impegnativa. Due sono le garanzie: la prima:
c’è lo Spirito Santo con noi; la seconda: Gesù ha già vinto anche per noi (noi non
dobbiamo far altro che confermare con la nostra adesione a lui).
Oggi ci fermiamo a riflettere sulla prima tentazione di Gesù. “Dopo aver digiunato
quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli
disse: Se sei Figlio di Dio di' che questi sassi diventino pane… Sta scritto: Non di solo
pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"(Matteo 4,2-4).Il
Signore deve fare un miracolo a proprio vantaggio, per un bisogno primario, per
saziare la sua fame. Ma la fame vuol consumare cose, che abbiamo scelto per noi.
Questa è una tentazione sulla linea del possedere, del tenere per sé, del badare solo
ai propri bisogni. Una tentazione di consumismo, che fa sparire l’altro dall’orizzonte,
che fa dimenticare il coniuge, i figli. Ci sono io, con le mie esigenze, agli altri non
penso o ci penso più tardi o se ho tempo. Apriamo il vangelo di Luca 12,13-21.
2. La Parola di Dio: Luca 12, 13-21
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Uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità».
Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
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E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se
uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
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Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto
abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei
raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi
e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a
disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli
1
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disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai
preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce
presso Dio».
3. Approfondimento.
Gesù sta camminando diretto a Gerusalemme, verso la fine dell’anno 29. Lungo il
viaggio ha occasione di prendere spunto da varie situazioni per ammaestrare i
discepoli e la gente che va dietro a lui. Passa per la Samaria, una regione poco
ospitale, dove non è accolto. Lui però non si scoraggia. Tornando verso il fiume
Giordano, invia 72 discepoli ad annunciare il Regno di Dio nei vari villaggi intorno.
Questi tornano felici perché le persone li hanno accolti e ascoltati volentieri ed hanno
compiuto miracoli. Lasciata Gerico, sale verso la città santa lungo una strada molto
pericolosa, e ne approfitta per raccontare la parabola del buon samaritano, a
commento di fatti dolorosi che si verificavano in quella strada. Si ferma poi da Marta e
Maria a Betania. Nel frattempo, Gesù si ritira spesso a pregare: entra nelle grotte
naturali, e li si ferma a lungo, spesso vi passa anche la notte. In una di queste grotte,
nel monte degli ulivi, consegna ai discepoli desiderosi di pregare, il Pater noster.
Luca riferisce poi di un incontro del Signore con gli scribi e i farisei, i maestri religiosi,
che lo seguono dappertutto. Il Maestro punta il dito su di loro, mettendo in evidenza la
loro ipocrisia e il loro morboso attaccamento al denaro.
Come succedeva spesso, tra chi ascoltava il Maestro, c’era sempre chi faceva richieste
di chiarificazioni e di aiuto, anche per risolvere questioni familiari di ordine economico.
Così un giovane si avvicina a Gesù e gli chiede aiuto per trovare accordo con il fratello
riguardo all’eredità. Ma egli non risponde ma esprime alcuni insegnamenti sul senso
delle ricchezze e sulla fiducia nella provvidenza divina.
4. Per l’incontro vivo con Gesù vivo.
Adesso entriamo con Gesù in una di quelle grotte del monte degli ulivi. Ci sediamo
accanto a lui, noi sposi cristiani, e gli chiediamo di illuminare anche noi. Ci troviamo,
infatti, facilmente davanti alla tentazione di cercare e accumulare beni e ricchezze solo
per la nostra famiglia, non interessandoci delle altre. E inoltre, anche nel rapporto di
coppia il nostro io, segnato dall’egoismo, ci spinge a pensare e preoccuparci solo tanto
di noi stessi, lasciando l’altro da solo, nei suoi problemi o necessità. Ascoltiamo che
cosa Gesù vuol dire alla nostra coppia e a ciascuno di noi sposi.
* “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia”
Gesù fa sosta, probabilmente all’ombra di una quercia. Attorno a lui i discepoli, le
donne che lo hanno seguito e anche un po’ di gente. Uno fa richiesta di aiuto per
sistemare l’eredità con il fratello. Gesù stigmatizza la richiesta come un fare giustizia
alla maniera umana, per la quale ognuno cerca di avvantaggiare più che sia possibile
se stesso, anche contro l’altro. E chiama quella giustizia umana cupidigia, arroganza,
avidità, cioè sentimento, atteggiamento, comportamento smodato, non cristiano,
verso i beni terreni. Di qui l’avvertimento: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni
cupidigia”, perché il denaro prende il posto di Dio e dell’amore. Ricordiamo: “Nessuno
può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà
all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Matteo 6,24). S.
Paolo afferma con chiarezza: “Fate morire… quella cupidigia che è idolatria” (Colossesi
3,5); “Sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro, cioè nessun idolatra,
ha in eredità il regno di Cristo e di Dio”, cioè l’amore (Efesini 5,5).
Guardando la nostra realtà di sposi e la nostra relazione, prendiamo coscienza di
quale bene pericoloso sia il denaro, e come è necessario acquisire insieme una
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mentalità libera davanti ad esso, una mentalità che porti ad atteggiamenti giusti, che
non rovinino anzi favoriscano l’amore nella relazione. “Cercate anzitutto il Regno di
Dio”, cioè l’amore fra voi (Matteo 6,33). E l’amore porterà a guardare il denaro e i
beni terreni prima di tutto come un mezzo e non un fine: un mezzo per far vivere e
crescere l’amore nella relazione, e quindi in un’ottica di condivisione, di messa in
comune in un unico conto in banca, di decisioni insieme circa le spese necessarie e la
gestione di eventuali beni, di precisazione circa un tetto massimo di accumulo, come
pure di partecipazione alle necessità di famiglie bisognose o della nostra Chiesa.
L’amore aiuterà le coppie in situazioni precarie a non invidiare chi è nel benessere e a
non guardare con agitazione alla propria condizione, ma a considerarla in una serena
luce di provvidenza (Matteo 6,25-34), perché “il Padre vi ama” (Giovanni 16,27).
Il mio rapporto con il denaro in quali aspetti frena o blocca il nostro amore?
* “La sua vita non dipende da ciò che egli possiede”
Gesù continua il suo insegnamento con questa affermazione, decisamente contraria
alla mentalità del mondo e alla mentalità religiosa ebraica. La prima, lo sappiamo
bene anche oggi, fa consistere la vita e anche l’amore nella possibilità di beni e
ricchezze (Non si parla di “buon partito” quando uno sposa una persona ricca?), e
quindi gioielli, vacanze, case e vestiti alla moda. Anche i fidanzati, oggi, sono molto
penalizzati da questa mentalità, al punto che, non potendo fare un matrimonio fastoso
o non si sposano o preferiscono andare a convivere in attesa di avere lavoro
assicurato, casa già addobbata, macchina nuova.
La seconda, considera la ricchezza una benedizione di Dio e la povertà una
maledizione. Per questo i capi religiosi ritengono di essere più vicini a Dio, più
benedetti da lui, perché posseggono molte ricchezze.
La vita non dipende da ciò che si possiede, l’amore non è frutto di soldi. Le ricchezze
hanno schiavizzato tante persone ed hanno finito per far morire l’amore (Ricordate il
giovane ricco?). S. Paolo nella prima lettera ai Corinzi (13° capitolo) afferma che le
cose che si posseggono, anche quelle spirituali (“il dono delle profezie, tanta fede da
trasportare le montagne …”) non contano nulla se manca la carità, l’amore. La vera
ricchezza, che definisce Dio Trinità è l’amore. Dio è amore e perciò è vita. Noi viviamo
nella misura che amiamo.
La vera ricchezza degli sposi è il loro amore; la loro vita, il loro benessere, la loro
pace, il loro successo consiste nell’amore comunicato, goduto e fatto crescere.
Parlando di amore non intendo quel sentimento umano che nasce da noi, ma quel
dono di Dio (1 Giovanni 4,7) che ci fa comunicare noi stessi per colmare di gioia la
nostra relazione e che è disposto per questo anche a sacrificare la vita: “Nessuno ha
un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13).
Cosa faccio per essere conforme al vangelo nel collegare la vita all’amore e non
alle cose che si posseggono?
* “Ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti”
Per farsi capire meglio, conforme al suo stile, Gesù racconta una parabola, detta del
ricco stolto. Questo signore si trova davanti ad un raccolto abbondante. Conforme alla
mentalità ebraica si considera particolarmente benedetto da Dio. Per cui fa costruire
nuovi e più capienti granai, dimenticando che tale abbondanza è dono di Dio e dono
per gli altri. Si chiude nel suo egoismo e da benedetto diventa maledetto. Nei suoi
ragionamenti egoistici trova morte immediata: “Stolto, questa notte stessa ti sarà
richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”.
Alcuni verbi sottolineano, nella parabola, il pensiero e il comportamento da egoista del
ricco e sui quali ogni coppia di sposi può confrontarsi: “Anima mia, hai a disposizione
3
molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Tutto questo indica un
modo di comportarsi da scapoli, pur essendo sposati. Lo scapolo è uno che mette al
centro della relazione se stesso, i suoi bisogni, le sue esigenze, i suoi diritti, il suo
lavoro, i suoi genitori, le proprie qualità…, dimenticando o non tenendo conto
dell’altro, delle sue necessità, dei suoi bisogni, della sua stanchezza, del suo stato
d’animo, ecc. Questa mentalità, questo modo di vivere l’amore nella relazione
allontana l’uno dall’altro, forma il gelo fra i due, nascono spaccature, non esiste gioia:
c’è la morte dell’amore!
In quali situazioni più facilmente mi comporto come una persona scapola?
* “Dio gli disse: Stolto!”
Il giudizio del Signore è ben diverso da quello distorto dello stolto, accecato dalla sua
avidità. Dichiara stolto, cioè senza intelligenza, quell’uomo che fa dipendere la sua vita
e il suo futuro da tutto quello che possiede e non da quello che egli è. Egli è incapace
di capire il senso del dono che circonda la sua vita: non sa infatti riconoscere che la
vita e i beni ricevuti sono un dono di Dio, e non entra nell’ottica di farsi lui stesso
dono, con la sua abbondanza, verso gli altri. Si chiude e muore nel suo egoismo,
mentre con la mentalità del dono avrebbe acquistato vita felice per sé e per gli altri.
Come è importante che in ogni coppia sia sviluppato il senso del dono. Gesù chiama
questo sapienza, intelligenza vera. Tutto nel matrimonio è dono: l’amore è dono di
Dio, l’altro è dono di Dio che incontro sulla mia strada, la relazione è dono dell’uno e
dell’altra, i figli sono dono di tutti e due al mondo e al Signore; ogni gesto, ogni
parola, ogni comportamento d’amore sono e siano un dono dell’uno all’altra.
Io sono un dono per te. Tu sei un dono per me. Da parte di Dio. Cosa decido?
5. Conclusione
La nostra relazione incontra facilmente la tentazione che ognuno dei due sposi pensi a
se stesso, accumuli per sé, sia preoccupato per sé, e dimentichi l’altro, lo tenga come
oggetto, come servo. Anche la nostra famiglia può chiudersi, non accorgendosi delle
necessità degli altri. Il Signore ci dice che l’amore ci rende capaci di essere dono l’uno
per l’altro, e che in questo è necessario educarci ed educare i nostri figli. Solo così la
vita si riempie di bene e di gioia.
SONO «SCAPOLO-FIDANZATO» quando:
(segna con x i cinque aspetti a cui dai più importanza)
— decido da solo, ignorando le idee e la volontà dell’altro;
— privilegio, per principio o per abitudine, quello che io valuto prioritario senza
interpellare l’altro;
— condiziono l’altro con i miei modi di fare, le mie idee;
— seguo le mie abitudini ignorando il mio partner;
— non rispetto i tempi dell’altro per crescere insieme;
— non voglio cogliere i valori e le qualità del mio partner; ritengo di avere sempre
ragione io;
— non valuto i miei comportamenti con obiettività;
— evito di vivere le difficoltà del mio partner e di aiutarlo;
— non aiuto l’altro a realizzarsi come persona;
— evito di cogliere le attese e i bisogni dell’altro per non dovermi coinvolgere o
sacrificare qualcosa di me;
— penso prima a me stesso, ignorando l’altro;
— non collaboro per chiarire le situazioni e portare serenità, fiducia e speranza;
— non decido di amare per primo, nel timore del rischio e dell’insuccesso;
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— amo le cose e utilizzo le persone;
— non prendo l’iniziativa per ristabilire la pace e ricreare l’unità, superando il mio
orgoglio;
— cerco al di fuori della relazione col mio partner le compensazioni alle attese rimaste
deluse;
— affronto con superficialità i problemi della nostra coppia per non dover accettare
limiti e soluzioni impegnative;
— do più importanza al mio lavoro e alla mia carriera che al mio partner.
(dopo la riflessione personale, parlane con il tuo partner)
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2. Le tentazioni della famiglia
“… per essere ammirati da loro…”: dalle maschere alla faccia
1. Introduzione.
Gesù, guidato dallo Spirito Santo, è nel deserto, tentato dal diavolo, per quaranta
giorni. Non mangia, non beve, e prega.
In questi giorni, anche noi sposi ci avviciniamo a lui per riflettere insieme sul nostro
inserimento nella vita del mondo, quotidianamente soggetta a mille tentazioni, le quali
distolgono il nostro amore dalla relazione e lo chiudono sull’uno o sull’altro.
Oggi ci fermiamo a riflettere sulla seconda tentazione. “Allora il diavolo lo portò nella
città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: Se tu sei figlio di Dio,
gettati giù… Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo” (Matteo 4,
5-7). Una tentazione sulla linea dell’apparire. Gesù, planandosi dal pinnacolo, avrebbe
fatto un’enorme impressione sul milione e oltre di persone frequentanti il Tempio in
quei giorni di Pasqua. Ecco: compiere un gesto eclatante per farsi vedere e accogliere,
per imporsi come Messia, e ottenere il Regno e i regni, con il potere, anziché con
l’amore, secondo la proprio la volontà e non quella di Dio. Una tentazione di mettere
delle maschere, di farsi vedere speciale per far presa sull’altro, per mostrarsi per quel
che si vorrebbe, nascondendo quel che si è. Anche nella famiglia circola questa
tentazione. Essa stessa è tentata di costruirsi sui messaggi della mentalità corrente,
su quelli dei bombardamenti mediatici, anziché sul suo valore profondo che è l’amore.
Anch’essa può lasciarsi prendere dall’importanza della facciata, anziché della faccia
vera. Apriamo il vangelo di Matteo 6,1-6.16-18.
2. La Parola di Dio: Matteo 6,1-6.16-18
1
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere
ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che
è nei cieli. 2Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te,
come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente.
In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 3Invece, mentre tu fai
l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, 4perché la tua
elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
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E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli
angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In
verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6Invece, quando tu preghi,
entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il
Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
16
E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono
un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già
ricevuto la loro ricompensa. 17Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il
volto, 18perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel
segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
3. Approfondimento.
Gesù è attorniato dai suoi discepoli, sul monte delle Beatitudini, sopra il lago di
Gennesaret. Seduto in mezzo a loro, proclama il suo messaggio rivoluzionario. Nuovo
6
Mosè, annuncia la nuova legge, codificata nelle Beatitudini e riassunta in
quell’espressione: “Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste”. La gente
l’ascolta estasiata e felice. Sente la sua autorità, quando afferma: “E’ stato detto agli
antichi, ma io vi dico”, ed è convinta che egli sia il messia mandato da Dio.
Gesù parla come uno che conosce perfettamente la storia del suo popolo e la legge
mosaica. Sa gli usi e i costumi religiosi della sua gente. Era consapevole
dell’importanza delle tre opere buone, caratteristiche dell’ebraismo. Esse sono:
l’elemosina, molto apprezzata e raccomandata; veniva fatta al tempio in appositi
contenitori, dove i ricchi facevano suonare le monete che vi gettavano; elemosine che
servivano per il sostentamento dei sacerdoti e per aiutare orfani e vedove; la
preghiera, quella che accompagnava il culto del tempio e soprattutto quella privata
fatta tre volte al giorno a casa (mattino, mezzogiorno e sera); e il digiuno riguardo al
mangiare e al bere, in occasione di un dolore o di un lutto, o per preparare una
rivelazione o per sottolineare la conversione.
Gesù stesso viveva queste opere. Ma si era reso conto che il modo di vivere queste
opere, il rapporto con Dio e con le persone era caratterizzato da un’esattezza esteriore
e da una ricerca frenetica di mettersi in vista. Altrove Gesù riporta le parole già
proclamate dal profeta Isaia (cinquecento anni prima): “Questo popolo mi onora con le
labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. Egli vede un popolo che si mette le
maschere del perbenismo, del perfettismo, della bella immagine, ma lascia perdere
l’amore; si preoccupa di apparire religiosa, onesta, fedele, anche senza esserlo.
Nuovo Mosè, il Signore insegna come il suo discepolo deve agire in generale nella vita
e in particolare nel compiere le opere buone. E sottolinea caratteristiche nuove,
riassumibili nel cuore, nell’amore sincero, nel rapporto con Dio. Queste opere sono un
dialogo, un dialogo d’amore con una Persona: essa non è la gente che osserva, ma il
Signore che abita nell’intimo, il quale assicura una “ricompensa grande”.
4. Per l’incontro vivo
“Se tu sei figlio di Dio, gettati giù”. Mi sembra di vedere la sorpresa di Gesù davanti a
questa provocazione, la sua ribellione, il suo disgusto. Ci mettiamo accanto a lui,
perfettamente unito al Padre (“Io e il Padre siamo una cosa sola”), per verificare la
nostra relazione di sposi in ordine alla facile tentazione di mettere le maschere davanti
al nostro coniuge, nascondendo la vera faccia, ossia la tentazione di apparire senza
essere, di fare i gesti, i comportamenti, dire le parole dell’amore, senza amare.
Accanto a Gesù vogliamo farci invadere da quel suo disgusto davanti alle maschere,
ma anche dal desiderio di conoscerle per buttarle dal palco della nostra vita coniugale,
e così far risplendere la bella faccia dell’amore.
* “… Per essere ammirati da loro”
Gesù mette in guardia i discepoli da un comportamento molto diffuso fra i farisei e i
capi religiosi. Convinti che tutta la persona deve, per esempio, pregare, ecco che essi,
mentre leggono i testi delle preghiere a voce dimessa, agitano il loro corpo, o un piede
o una mano… All’origine, il motivo di questo comportamento era il desiderio che tutta
la persona pregasse, poi col passare del tempo si è sviluppato “il culto dell’esteriorità”,
cioè del farsi vedere e ammirare dai passanti, tanto da diventare la principale
preoccupazione, il motivo della preghiera stessa: farsi lodare!
Nella relazione fra gli sposi, può nascere un comportamento espresso solo per il gusto
di essere ammirato o temuto dall’altro coniuge e dagli altri in genere? Fra i due sposi
ci può essere chi ci tiene a mostrarsi forte e sicuro, che possiede un’autorità naturale?
Si mostra solido, fidato, non si spezza, non ha mai emozioni o sentimenti, non si
scompone. Questa persona mascherata si impone questo ruolo e non si accetta
quando prova paura o ha bisogno di tenerezza, non vuole ammettere le sue pigrizie e
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le sue stanchezze. Una maschera che alla fine nasconde la risposta vera alla
domanda: “Tu chi sei, veramente?”. Il matrimonio unisce due persone, con nome e
cognome, concrete: è bello e necessario farsi conoscere per quello che si è. L’amore in
questo contesto fa miracoli, quando poggia sulla verità e sull’umiltà.
Analizzati in profondità: cosa e perché cerchi di nasconderti al tuo sposo/a?
* “Non sappia la tua sinistra”
Sui muri del tempio erano collocate delle trombe per la raccolta di offerte per i
sacerdoti e gli orfani e le vedove. Erano piuttosto lunghe e attorcigliate, in modo che,
quando i ricchi ebrei vi gettavano le loro monete, si sentisse molto rumore e i passanti
erano costretti a girarsi per assumere un’espressione di grande ammirazione.
Ovviamente chi aveva piccole monete faceva poco rumore e sentiva di fare brutta
figura davanti alla gente. Gesù boccia questa mania del rumore e invita a guardare la
vedova, la quale getta monetine, senza alcun rumore (cf Marco 12,41-44). L’offerta è
fatta a Dio, solo lui deve vederla e considerarla, e dev’essere segreta, neppure nota
solo a lui.
Nella relazione fra sposi, questo messaggio evidenzia da una parte la maschera del
muoversi verso l’altro per interesse, per piacere, per avere un aiuto, per bisogno, per
farsi perdonare qualcosa, e dall’altra la necessità di vivere i gesti, le parole e i
comportamenti dell’amore in modo gratuito: “Ti amo, perché ti amo, anche se in
questo momento tu non ci badi!”; un amore con intensità di affetto e tenerezza per far
felice l’altro, per fargli sentire che per me è importante. Se non si fa esperienza di
amare gratuito, non si riesce a capire, gustare il vero amore.
Considera bene il tuo amore verso il tuo coniuge: in quali momenti lo hai amato
gratuitamente e quando lo hai amato per interesse?
* “Entra nella tua camera”
Gesù bolla la ricerca dell’esteriorità per mettere in mostra se stessi in tutte le opere,
soprattutto in quelle della religione. E noi lo abbiamo ritrovato anche nella relazione
fra sposi. Con espressioni successive ci vuol insegnare come proteggerci dalle
maschere, con cui potremmo presentarci agli altri, al nostro coniuge in particolare.
Gli ebrei tre volte all’anno erano obbligati a recarsi al tempio per le feste principali,
ma, chi poteva, vi si recava più volte al giorno. Degli Apostoli è detto che si recavano
ogni giorno al tempio, per esempio all’ora nona (cioè le quindici) (cf Atti degli Apostoli
3,1). Pregavano anche sulla porta di casa nell’uscire e nel rientrare. Gesù vuol
sottolineare l’esigenza che la casa, anzi la camera sia un luogo di preghiera, dove è
più facile raccogliersi e incontrarsi con Dio e tra di noi. Non voleva certamente Gesù
condannare la preghiera pubblica.
Nella relazione degli sposi, in merito alla preghiera, dov’è la maschera? Certamente
anch’essi sono invitati a fare della loro casa una casa di preghiera: sia creando
l’angolo di Dio, e sia inventando per ogni vano la sua preghiera specifica (camera da
letto, cucina dove si preparano i cibi, tavola dove si prendono i pasti, sala dove si
accolgono le persone, ecc.). La maschera può essere quella di farsi vedere religiosi
dagli altri, o quella della vergogna, del rispetto umano, dell’orgoglio: quando uno
ostenta il luogo della preghiera ma di fatto non prega, quando si vergogna di pregare
insieme al coniuge; quando, alla presenza degli ospiti, gli sposi non se la sentono di
fare i loro momenti di preghiera; quando riescono a dire varie preghiere insieme, ma
non arrivano a fare preghiere spontanee, attinenti la loro vita matrimoniale; quando …
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Per proteggersi da questa maschera è necessario parlarsi con sincerità delle proprie
difficoltà e con delicatezza darsi quegli aiuti che consentono di avviare e arricchire una
vera preghiera in coppia.
Quando pregate in coppia, che cosa provate nel vostro cuore?
* “Profùmati la testa”
Al tempo di Gesù al digiuno veniva dato un contesto esterno molto rivelativo: capelli
scapigliati, vestiti logori, cenere sulla testa ed anche come sedile (cf Ester 4,17k) . Il
digiuno veniva praticato per motivi diversi, ma i farisei lo facevano sempre per farsi
vedere e anche per vantarsi e pretendere davanti a Dio, come fa il fariseo della
parabola (cf Luca 18,9-14).
Gesù insegna a decidere un eventuale digiuno, vivendolo come opportunità per unirsi
alla passione e morte del Signore, non per altre ragioni (cf Marco 5,33-35). E in ogni
caso il digiuno del corpo deve affiancarsi alla conversione del cuore, per purificare
l’amore e la dedizione al vangelo.
Penso alle coppie di sposi: riguardo al digiuno dove si nasconde la maschera e come la
si può eliminare? Oggi va molto la cura del corpo: quanta gente cammina, corre, e
suda; quanti frequentano le palestre e i luoghi di cura; e le diete, prima o dopo il
mare…. La maschera è proprio questa preoccupazione per un corpo perfetto, che
nasconde una carenza di formazione e di valori interiori. S’illudono gli sposi di piacersi
di più se affinano il loro aspetto esteriore e basta! Davvero rischiano di prestare più
facilmente i fianchi al tentatore che invita a provare altre esperienze, altre emozioni…
Il “profumati il capo” mi fa pensare che Gesù voglia invitare anche gli sposi a riempire
la loro mente di pensieri positivi, di riflessioni incoraggianti, di convinzioni forti: se c’è
questa ricchezza interiore, l’esteriorità del corpo si arricchisce e si abbellisce da solo.
Quale spazio riserviamo alla formazione personale e matrimoniale?
5. Conclusione
Gesù conosce a fondo il cuore dell’uomo. Sa bene che, come bambini, attendiamo un
premio al nostro impegno di formazione e di amore. A chi agisce per il Signore e non
per fini umani o superficiali, il Signore stesso sarà la sua ricompensa.
E penso agli sposi che fanno questo lavoro di togliere queste e altre maschere che ci
sono sul palco della vita. Quale sarà la loro ricompensa? Sono convinto che essa
consiste in un amore più ricco, più vero, più appagante, più intimo, più divino.
Altri modi con cui ci si presenta agli altri (maschere)
• C'è chi ci tiene ad essere l'intellettuale: dà giudizi profondi, è sempre informato su
tutto, analizza le situazioni e tutto quello che dice... ma esaspera questo suo ruolo.
Può avere il dono del pensiero logico, ma invece di apparire utile, si apparta e vive su
di un piano mentale più alto. Forse ha paura di entrare in contatto con quello che vive
interiormente e gli è difficile parlare di sé. E' difficile avvicinarsi a lui perché tiene ben
nascoste le sue qualità di empatia e di comprensione.
• C'è chi si mostra come la persona umile: uno che si tiene in disparte, che dice di
non essere in grado di assumersi delle responsabilità, ... Spesso è una persona molto
concentrata su di sé ed evita di impegnarsi per paura di fare brutta figura! perdere
così la considerazione degli altri.
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• C'è la persona che ci tiene a mostrarsi sempre forte e sicura, che possiede
un'autorità naturale. E' solida e fidata, non si spezza, ma non mostra mai emozioni o
sentimenti. È uno che si impone sempre questo ruolo e non si accetta quando prova
paura o ha bisogno di tenerezza e non vuole ammettere le sue pigrizie e le sue
stanchezze.
• C'è chi si presenta come il classico burlone: uno che ha delle battute spiritose in
ogni circostanza e che cerca di farsi amare ed apprezzare attraverso la sua simpatia e
di non far vedere la sua tristezza, la sua paura nel prendersi le responsabilità.
• C'è la persona super-protettiva. Può essere la donna tutta materna, ma vi sono
anche uomini che si comportano così. Il suo comportamento è esagerato e rischia di
soffocare e rendere infantili gli altri.
• C'è la donna del "si deve", la signora "bisogna che", sa molto bene quello che deve
fare e non si discosta di un millimetro, esige e pretende, per nulla toccata dalla
situazione concreta del marito.
• C'è chi si mostra come una persona ultra-sensibile. Colui, o in genere colei, che si
emoziona, piange con niente, subito si offende. Non lo fa apposta, ma usa questo
modo per difendersi e non aprirsi e così rimane inaccessibile.
• C'è chi si mostra come una persona schietta, aperta: uno che dice sempre ''pane
al pane e vino al vino", uno che non ha maschere: mostra di sé anche gli aspetti
negativi. Di fatto usa questa sua franchezza proprio perché ritiene di non aver altro di
valido e si nasconde dietro questa facciata. Ma quando ha dei problemi non trova
nessuno che l'ascolti.
• C'è chi ci tiene a fare il perfezionista: uno che vuole le cose fatte sempre bene, che
non è mai contento di sé né degli altri. Ritiene che sia questo il modo migliore per
farsi accettare, ma rischia di venire solo ammirato.
• C'è l'uomo di spirito, il burlone con il dono dell'umorismo. E' molto fine, tanto
sottile ma rischia di esaurirsi a forza di sfoggiare il suo humour. Usa molto tempo per
raccontare storielle divertenti e barzellette, ma raramente rivela qualcosa di sé. Può
usare il suo umorismo come uno scudo e nascondere una natura sensibile perché non
vuole apparire debole.
• La persona che passa tutto il suo tempo a fare cose per gli altri. Può possedere
veramente una natura generosa, ma si valuta solo per quello che fa. II suo darsi da
fare può nascondere qualità quali l'essere un buon ascoltatore o un amico sensibile.
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3. Le tentazioni della famiglia
“… i loro capi le opprimono…”: dal dominio al dare la vita.
1. Introduzione.
Stiamo facendo compagnia a Gesù che, guidato dallo Spirito Santo, si ferma nel
deserto, tentato dal diavolo, per quaranta giorni. Fa digiuno completo.
Stiamo ammirando la forza di verità e di volontà che lui, Figlio di Dio fatto uomo,
esprime davanti al maligno, che fa di tutto per portarlo dalla sua parte e fargli tradire
Dio e la sua vera missione. E stiamo rendendoci conto che anche noi, coppie e
famiglie, subiamo tentazioni simili, sempre allo scopo di essere distolti dalla nostra
vera vocazione di sposi, animati esclusivamente dall’amore.
Fermiamoci oggi sulla terza tentazione. “Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte
altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: Tutte queste
cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai… Sta scritto: il Signore, Dio
tuo, adorerai: a lui solo renderai culto” (Matteo 4,8-10). La più terribile delle
tentazioni, quella di credersi forti, dominare, pronti a perseguire qualunque via, anche
quella della menzogna e della prepotenza. Gesù respinge anzitutto la bugia: il diavolo
non ha il potere definitivo sul mondo e sull’uomo e quindi non può disporre di nulla, e
inoltre richiama la verità dell’Unico Dio, creatore e signore di tutto, degno di essere
obbedito e adorato.
Se entriamo nel mondo della famiglia, nei rapporti fra marito e moglie, scopriamo che
questa tentazione di dominare con la forza o con i sentimenti, e di esigere obbedienza
e sottomissione dal partner, non è poi così rara. Sappiamo tutti quanto sono frequenti
le notizie di violenze e femminicidi consumati all’interno della casa da parte di mariti,
compagni o familiari. Entriamo in questo vangelo secondo Marco 10,42-45.
2. La Parola di Dio: Marco 10,42-45
42
Allora Gesù li chiamò a sé i suoi discepoli e disse loro: «Voi sapete che coloro i
quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le
opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà
vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il
Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti».
3. Approfondimento
Secondo la versione degli evangelisti Matteo e Marco, Gesù dà questo insegnamento
ai discepoli, prima di arrivare a Gerico nell’anno 30, subito dopo la richiesta di
Giacomo e Giovanni, o della stessa madre, nei giorni durante i quali camminavano
verso Gerico. Essi avevano chiesto al Maestro di avere un posto di privilegio nel regno
(“… uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”). Luca invece colloca le parole di Gesù
nel contesto dell’Ultima Cena (22,14-28), quando i discepoli, dovendo prendere posto
a tavola, discutevano sulla precedenza dei posti da occupare. La discussione avviene
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dopo la consacrazione del pane e del vino. Gesù dà molta importanza al problema, per
cui offre un bel messaggio sul servizio d’amore ai suoi seguaci e, per farsi capire
meglio, compie il gesto della lavanda dei piedi ai suoi apostoli (Giovanni 13,1-11): un
gesto di festosa accoglienza, un servizio umilissimo, riservato agli schiavi. Le due
versioni riferiscono comunque un fatto che ha a che fare con la croce. Essa, secondo il
pensiero umano (potremmo dire del tentatore) rappresenta il segno massimo della
sconfitta, dell’annientamento, mentre secondo la mentalità di Dio la croce è il segno
più alto del servizio d’amore, espresso nel dono della vita: “Dio ha tanto amato il
mondo da dare il suo Figlio… Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita”.
Nel rapporto di coppia la tentazione spinge a rivestirsi di poteri di dominio, mentre la
legge dell’amore chiede insistentemente di farsi dono, di spendersi per il coniuge.
4. Per l’incontro vivo
Ci mettiamo vicino a Gesù, stanco ma sempre con il suo volto pieno di luce.“Tutte
queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Vuol dominarti,
schiacciarti, Gesù! Ma la tua umiltà e la tua verità vincono. Siamo qui insieme con il
Maestro divino per essere guidati in una riflessione importante: anche nella nostra
coppia può prendere il sopravvento il dominio nelle sue varie forme, anziché far
circolare il dono dell’amore. Ci sentiamo deboli di fronte a questa tentazione, anche
perché la mentalità del mondo ci spinge a prevalere l’uno sull’altro, a creare
competizioni, a pensare sfide … per conquistare supremazie e stabilire diritti di uno
sull’altro. C’è bisogno della tua chiarezza, Gesù, e della forza del tuo Spirito Santo.
* “I governanti delle nazioni dominano su di esse”
Gesù esprime anche in questo brano alcuni punti programmatici che, come il Discorso
della Montagna, sono opposti alla mentalità del mondo. Mette in guardia i discepoli
dallo spirito umano che prevale sulla terra, dove chi governa facilmente assume una
posizione di privilegio sul popolo. Il rapporto è basato sulla forza e non poche volte
sulla imposizione della volontà da parte di chi comanda, anche con prepotenza.
Quante dittature nella storia! Nello spirito del mondo chi ha autorità tende a
considerare i cittadini come sudditi da sfruttare a proprio vantaggio, seguendo i criteri
del guadagno e della affermazione. Le persone non valgono per se stesse, ma come
oggetti del proprio potere.
Quando il dominio entra anche nel rapporto fra gli sposi, allora non c’è più comunione
di vita e di amore, ma prepotenza da una parte e paura dall’altra. Il dominio si può
esprimere in varie forme: con l’imposizione delle proprie idee e delle proprie esigenze,
con i giudizi e le critiche pesanti sul coniuge, su quello che dice e fa, con parole
pesanti, con voce arrabbiata, con minacce, con percosse e peggio ancora… Ma, forse,
si può esprimere anche quando uno fa la vittima o pone dei ricatti.
Lo spirito del dominio in quali forme si insinua nel nostro rapporto di coppia?
* “I loro capi le opprimono”
Gesù rincara la dose, aggiungendo un altro elemento al dominio proprio di chi
comanda nel mondo, e cioè l’oppressione con imposte gravose, con restrizioni della
libertà, con una giustizia arbitraria, non favorendo lo sviluppo economico e umano dei
cittadini. L’oppressione può diventare anche imposizione di leggi ingiuste, disprezzo
delle persone deboli, schiavitù dei bambini e delle donne.
Penso se può entrare l’oppressione in un rapporto di coppia! Oppressione, mi sembra,
il comportamento di un coniuge che impedisce all’altro di realizzarsi e di esprimere la
sua appartenenza alla chiesa, l’atteggiamento del coniuge che esige la puntualità pena
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parole ingiuriose, che pretende il rientro veloce dalla spesa e dal lavoro perché non
“sprechi” tempo con altri, che non è mai contento di quello che l’altro fa. Per certi
aspetti anche la gelosia, il continuo sospetto di distrazione sentimentale, il tormento
nel chiedere e nell’esigere prestazioni particolari, l’insistenza fino ad obbligare il
partner a percorrere cammini formativi o a seguire forme di devozione che non
piacciono… possono catalogarsi fra le forme di oppressione.
Nei nostri rapporti quali aspetti di oppressione ci condizionano?
* “Vostro servitore”
“Tra voi però non è così”. Gesù offre ai suoi discepoli uno stile contrario a quello del
mondo. Questo “si serve delle persone” per i suoi scopi ambiziosi e prepotenti, lo stile
di Gesù è un servizio d’amore che “serve le persone”, dove “servire” ha il senso di
rispettare, onorare perché la persona è presenza di Dio, amare perché “chi ama il
prossimo che vede attesta di amare Dio che non vede” (1 Giovanni 4,20), avere
compassione, aiutare fino a rimetterci di persona, anzi fino a dare la propria vita
(Giovanni 15,13), senza ricevere nulla in cambio; perché “gratuitamente avete
ricevuto, gratuitamente date” (Matteo 10,8).
Perché nella celebrazione delle nozze le parole, i gesti della liturgia chiedono sempre
allo sposo di intervenire per primo? Qualcuno pensa che sia dovuto al fatto che
l’uomo, essendo immagine di Cristo, è il più importante; e questo lo porta a pensare a
certi privilegi nella vita di coppia. Ma il motivo vero è legato proprio alle parole del
brano letto: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”. Infatti, come
Gesù ha amato la sua Chiesa, l’ha servita e ha dato la sua vita per lei, così lo sposo
per primo è chiamato a fare la stessa cosa. Ma la moglie non deve starsene tranquilla
ad aspettare sempre che sia il marito a partire per primo, perché marito e moglie, in
quanto sposi cristiani, sono imitatori di Dio, il quale ama sempre per primo: “Noi
amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1 Giovanni 4,19). La parola del Signore
sollecita una gara, una gara d’amore, di chi si muove per primo, di chi fa il primo
passo, di chi precede un desiderio, di chi manifesta ben presto parole di approvazione,
di chi rinuncia ad un suo diritto per il bene della relazione, di chi perdona o chiede
perdono per primo.
“Vostro servitore”. Sottolinea l’atteggiamento di generosità che deve regnare
fra gli sposi: in quali aspetti il nostro amore deve essere arricchito?
* “Schiavo di tutti”
Gesù quando pronuncia queste parole, secondo il vangelo di Luca, si appresta a lavare
i piedi ai suoi discepoli. Questo gesto spettava agli schiavi, cioè a quelle persone che
erano in casa, ma non avevano nessuna dignità propria, dipendevano unicamente
dalla volontà del padrone, il quale aveva su di essi anche il potere di vita e di morte.
Ecco, Gesù invita a mettersi davanti al prossimo, davanti ai nemici, davanti ai diversi,
in atteggiamento di umiltà e di semplicità, pronti ad obbedire e aiutare fino a dare la
vita, mettendo da parte dignità e diritti, senza esigenza di un contraccambio.
Mettendoci, come dice Papa Francesco nella linea della tenerezza.
Riflettendo su “schiavo di tutti” riferito ai coniugi, credo particolarmente significativo
evidenziare le “delicatezze” dell’amore, la sua tenerezza con piccoli particolari nella
vita di casa e fuori, o come afferma il Signore, il donare tutto se stesso, anche la vita.
Con la tenerezza credo importante mettere in evidenza l’umiltà nell’amore, cioè
quell’atteggiamento che spinge a far sì che l’altro si senta subito e facilmente a suo
agio, quella delicatezza che si esprime con parole e gesti semplici ma intensi, quella
disponibilità ad ascoltare anche nei momenti più impensati e ad accogliere l’altro
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qualunque sia il suo stato d’animo e il suo umore, quella obbedienza che parte al
primo cenno senza nulla rimproverare, quella fantasia d’amore che raggiunge il
coniuge nelle forme più speciali e inedite. E questo perché Gesù ha amato così la
Chiesa, sua sposa.
In quali modi cerco di modellare il mio amore di sposo/a su quello di Gesù?
5. Conclusione
“Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Il tentatore
sollecita anche i coniugi a mettersi in un atteggiamento di superiorità l’uno davanti
all’altro, tanto da dominarsi, opprimersi, e quindi non amarsi, anzi procurando
sofferenze l’uno all’altro. Gesù, invece, evidenzia che l’atteggiamento giusto è quello
del servizio d’amore fino alla tenerezza, fino al dono della vita, senza aver paura di
amare troppo. Supplicando con insistenza lo Spirito Santo che ci aiuti a superare le
tentazioni di non amare e a “non aver paura della tenerezza” (Papa Francesco).
Decalogo della tenerezza
1. Poiché la tenerezza è possibile, non c'è nessuna ragione per starne senza.
2. Parlatevi un po' ogni giorno.
3. Crescete insieme, continuamente.
4. Stìmati. Gli unici che apprezzano uno zerbino sono quelli che hanno le
scarpe sporche.
5. Sii compassionevole.
6. Sii gentile. L'amore non ammette le cattive maniere.
7. Scopri il lato buono e bello delle persone, anche quando fanno di tutto per
nasconderlo.
8. Non temere i dissapori e i litigi: solo i morti e gli indifferenti non litigano
mai.
9. Non farti coinvolgere dalle piccole irritazioni e meschinità quotidiane.
10.Continua a ridere: tiene in esercizio il cuore e protegge da disturbi cardiaci.
don Piero Pellegrini
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