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Boccaccio - Decameron - Frate cipolla

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Boccaccio - Decameron - Frate cipolla
I classici • Giovanni Boccaccio
Decameron, Frate Cipolla
VOLUME 1
Il Trecento
Giovanni Boccaccio
Frate Cipolla
Opera: Decameron, giornata VI, novella 10
Punti chiave:
Il potere della parola
Il tema dell’astuzia
Il ribaltamento comico
agosto) ha ritenuto più opportuno mostrare ai fedeli questa reliquia, piuttosto che quella dell’angelo.
La satira anticlericale e la denuncia dell’abuso
delle reliquie sono temi diffusi nella letteratura del
periodo: da Dante a Chaucer, che nei Racconti di
Canterbury affronta vicende analoghe. Una fonte reale, vicina a Boccaccio, per questi fenomeni di
costume potrebbe essere stato lo scandalo scoppiato a Firenze nel 1356 per il ritrovamento del presunto braccio di Santa Reparata, che si rivelò essere un pezzo di legno. La sesta giornata del Decameron si chiude quindi riaffermando il potere
della parola, in grado di modificare la realtà: frate Cipolla, ottimo parlatore e pronto, riesce a
ingannare, a sua volta ingannato, la stolta moltitudine. L’astuto frate sembra dunque riscuotere
la simpatia di Boccaccio: la sua intelligenza, sebbene volta alla frode, ha la meglio su un pubblico
incapace di distinguere il vero dal falso.
a sesta giornata è dedicata ai motti e alla prontezza di spirito, che permettono, a chi sa farne
buon uso, di risolvere situazioni spiacevoli. Continuando ad approfondire questo tema, alla fine della giornata Dioneo decide di raccontare una novella un po’ più lunga di quelle precedenti. Protagonista
è frate Cipolla, della confraternita di Sant’Antonio,
mercante di false reliquie. Derubato della preziosa
(quanto falsa) penna dell’angelo Gabriele, che intendeva mostrare agli abitanti di Certaldo per trarne sostanziose offerte in denaro, il frate escogita una
brillante soluzione. I ladri avevano infatti riempito
la cassetta, che conteneva la penna miracolosa, con
carbone. Il frate, scoperto il furto proprio nel momento cruciale dell’esposizione, deve volgere la situazione a suo favore: racconta quindi ai certaldesi che quei
carboni sono i resti di San Lorenzo, morto su una graticola. Si tratta – dice frate Cipolla – della volontà
di Dio, che a soli due giorni dalla festa del santo (10
L
Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrare loro la penna dell’Agnolo Gabriello, in luogo
della quale1 trovando carboni, quegli dice esser di quegli che arrostirono san Lorenzo.
Essendo ciascuno della brigata della sua novella riuscito2, conobbe Dioneo che a lui toccava il dover dire3. Per la qual cosa, senza troppo solenne comandamento aspettare, imposto silenzio a quegli che il sentito motto di Guido4 lodavano, incominciò.
5
Vezzose donne, quantunque io abbia per privilegio di poter di quel che più mi piace parlare, oggi io non intendo di volere da quella materia separarmi della qual voi tutte avete assai
acconciamente parlato5; ma, seguitando le vostre pedate6, intendo di mostrarvi quanto
cautamente con sùbito riparo7 uno de’ frati di Santo Antonio fuggisse uno scorno8 che da due
giovani apparecchiato gli era. Né vi dovrà esser grave, perché io, per ben dire la novella compiuta, alquanto in parlar mi distenda, se al sol guarderete, il quale è ancora a mezzo il cielo9.
1. in luogo della quale: al posto della quale.
2. Essendo ciascuno... riuscito: dopo che
ognuno aveva raccontato la propria novella.
3. a lui toccava il dover dire: era il suo turno.
4. sentito il motto di Guido: l’acuta (senti-
to) risposta di Guido Cavalcanti (cfr. VI 9).
5. quantunque io abbia... parlato: Dioneo
dichiara che, rinunciando al suo privilegio,
racconterà una novella sullo stesso argomento di quelle precedenti.
6. pedate: orme.
7. sùbito riparo: rimedio immediato.
G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta
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8. scorno: umiliazione.
9. Né vi dovrà... a mezzo il cielo: E non dovrà risultarvi noioso se io, per poter considerare la novella conclusa, dovrò dilungarmi nel racconto. Il sole è ancora a
mezzo il cielo perché le novelle precedenti erano state particolarmente brevi.
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Certaldo, come voi forse avete potuto udire, è un castel10 di Val d’Elsa posto nel nostro contado, il quale, quantunque picciol sia, già di nobili uomini e d’agiati fu abitato. Nel quale, per ciò che buona pastura11 vi trovava, usò un lungo tempo d’andare ogn’anno una volta, a ricoglier le limosine fatte loro dagli sciocchi, un de’ frati di santo Antonio, il cui nome
era frate Cipolla, forse non meno per lo nome che per altra divozione vedutovi volontieri, con ciò sia cosa che quel terreno produca cipolle famose per tutta Toscana.
Era questo frate Cipolla di persona piccolo, di pelo rosso e lieto nel viso e il miglior brigante12 del mondo: e oltre a questo, niuna scienzia avendo13, sì ottimo parlatore e pronto era, che chi conosciuto non l’avesse, non solamente un gran retorico14 l’avrebbe stimato, ma avrebbe detto esser Tulio medesimo o forse Quintiliano: e quasi di tutti quegli della
contrada era compare o amico o benivogliente15.
Il quale, secondo la sua usanza, del mese d’agosto tra l’altre v’andò una volta, e una domenica mattina, essendo tutti i buoni uomini e le femine delle ville dattorno venuti alla messa nella calonica16, quando tempo gli parve, fattosi innanzi disse:
– Signori e donne, come voi sapete, vostra usanza è di mandare ogn’anno a’ poveri del baron17 messer santo Antonio del vostro grano e delle vostre biade, chi poco e chi assai, secondo il podere18 e la divozion sua, acciò che il beato santo Antonio vi sia guardia de’ buoi
e degli asini e de’ porci e delle pecore vostre; e oltre a ciò solete pagare, e spezialmente quegli che alla nostra compagnia19 scritti sono, quel poco debito che ogn’anno si paga una volta. Alle quali cose ricogliere io sono dal mio maggiore, cio è da messer l’abate, stato mandato20, e per ciò, con la benedizion di Dio, dopo nona21, quando udirete sonare le
campanelle, verrete qui di fuor della chiesa là dove io al modo usato vi farò la predicazione, e bacerete la croce; e oltre a ciò (per ciò che divotissimi tutti vi conosco del baron messer santo Antonio) di spezial grazia22 vi mosterrò una santissima e bella reliquia, la quale io medesimo già recai dalle sante terre d’oltre mare; e questa è una delle penne dello
Agnolo Gabriello, la quale nella camera della Vergine Maria rimase quando egli la venne
ad annunziare23 in Nazzaret.
E questo detto, si tacque e ritornossi alla messa.
Erano, quando frate Cipolla queste cose diceva, tra gli altri molti nella chiesa due giovani astuti molto, chiamato l’uno Giovanni del Bragoniera e l’altro Biagio Pizzini24. Li quali, poi che alquanto tra sé ebbero riso della reliquia di frate Cipolla, ancora che25 molto
fossero suoi amici e di sua brigata, seco proposero di fargli di questa penna26 alcuna beffa. E avendo saputo che frate Cipolla la mattina desinava nel castello27 con un suo amico, come a tavola il sentirono così se ne scesero alla strada e all’albergo dove il frate era
smontato se n’andarono con questo proponimento: che Biagio dovesse tenere a parole28
il fante29 di frate Cipolla, e Giovanni dovesse tra le cose del frate cercare di questa penna,
chente che ella si fosse30, e torgliele, per vedere come egli di questo fatto poi dovesse al
popolo dire31.
10. castel: borgo.
11. buona pastura: pascolo rigoglioso; si
tratta di un’ironica metafora per indicare
che a Certaldo frate Cipolla riscuoteva
laute offerte.
12. brigante: «compagnone» (N. Sapegno).
13. niuna scienzia avendo: benché non
avesse alcun titolo.
14. retorico: «oratore, maestro d’eloquenza» (V. Branca).
15. quasi di tutti... o benivogliente:
«quasi mezzo parente coi più, e con gli
inferiori benevolo e cordiale» (N. Sapegno).
16. calonica: chiesa parrocchiale.
17. baron: titolo onorifico, riferito a Sant’Antonio.
18. secondo il podere: secondo le proprie
possibilità.
19. compagnia: confraternita.
20. Alle quali cose... stato mandato: sono stato mandato a raccogliere le offerte
dal mio superiore, l’abate.
21. dopo nona: dopo le tre pomeridiane.
22. di spezial grazia: per speciale concessione.
23. la venne ad annunziare: venne a portare l’annuncio della nascita di Gesú.
24. chiamato l’uno... Biagio Pizzini: «i
nomi qui ricordati sono probabilmente
tutti di personaggi storici, appartenenti a
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un ambiente particolarmente familiare
allo scrittore» (N. Sapegno).
25. ancora che: nonostante.
26. di questa penna: a proposito di questa
penna.
27. nel castello: «nella parte alta del paese, sul colle, dov’era ed è ancora il Palazzo comunale e dove erano le case dei
Boccaccio» (V. Branca).
28. tenere a parole: intrattenere, in modo da distrarre.
29. fante: servo.
30. chente che ella si fosse: quale che fosse.
31. come egli di questo fatto... dire: come
avrebbe spiegato questo fatto al popolo.
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Aveva frate Cipolla un suo fante, il quale alcuni chiamavano Guccio Balena e altri Guccio
Imbratta, e chi gli diceva Guccio Porco32; il quale era tanto cattivo33, che egli non è vero che
mai Lippo Topo ne facesse alcun cotanto34; di cui spesse volte frate Cipolla era usato di motteggiare35 con la sua brigata e di dire:
– Il fante mio ha in sé nove cose tali che, se qualunque è l’una di quelle36 fosse in Salamone o in Aristotile o in Seneca, avrebbe forza di guastare ogni lor virtù, ogni lor senno, ogni
lor santità. Pensate adunque che uom dee essere egli, nel quale né virtù né senno né santità alcuna è, avendone nove.
Ed, essendo alcuna volta domandato quali fossero queste nove cose, ed egli avendole in rima messe, rispondeva:
– Diròlvi: egli è tardo, sugliardo37 e bugiardo; nigligente, disubidente e maldicente; trascutato38, smemorato e scostumato; senza che egli ha alcune altre taccherelle con queste, che si taccion per lo migliore39. E quello che sommamente è da ridere de’ fatti suoi è che egli in ogni
luogo vuol pigliar moglie e tôr casa a pigione40; e avendo la barba grande e nera e unta, gli par
sì forte41 esser bello e piacevole, che egli s’avvisa42 che quante femine il veggano tutte di lui s’innamorino; ed essendo lasciato, a tutte andrebbe dietro perdendo la coreggia43. È il vero che
egli m’è d’un grande aiuto, per ciò che mai niuno non mi vuol sì segreto parlare, che egli non
voglia la sua parte udire; e se avviene che io d’alcuna cosa sia domandato, ha sì gran paura che
io non sappia rispondere, che prestamente risponde egli e sì e no, come giudica si convenga.
A costui, lasciandolo allo albergo, aveva frate Cipolla comandato che ben guardasse che
alcuna persona non toccasse le cose sue, e spezialmente le sue bisaccie, per ciò che in quelle erano le cose sacre.
Ma Guccio Imbratta, il quale era più vago44 di stare in cucina che sopra i verdi rami l’usignuolo, e massimamente se fante vi sentiva niuna45, avendone in quella dell’oste una veduta grassa e grossa e piccola e mal fatta e con un paio di poppe che parevan due ceston
da letame e con un viso che parea de’ Baronci46, tutta sudata, unta e affumicata, non altramenti che si gitti l’avoltoio alla carogna, lasciata la camera di frate Cipolla aperta e tutte le
sue cose in abbandono, là si calò. E ancora che d’agosto fosse, postosi presso al fuoco a sedere, cominciò con costei, che Nuta aveva nome, ad entrare in parole e dirle che egli era gentile uomo per procuratore47, e che egli aveva de’ fiorini più di millantanove48, senza quegli che egli aveva a dare altrui, che erano anzi più che meno, e che egli sapeva tante cose
fare e dire, che domine pure unquanche49. E senza riguardare ad un suo cappuccio, sopra
il quale era tanto untume che avrebbe condito il calderon d’Altopascio50, e ad un suo farsetto rotto e ripezzato51 e intorno al collo e sotto le ditella52 smaltato di sucidume, con più
macchie e di più colori che mai drappi fossero tartareschi o indiani53, e alle sue scarpette
32. Guccio Balena... Guccio Porco: i nomi
attribuiti al servo di frate Cipolla, tutti di tono scherzoso, alludono certamente al suo
goffo aspetto. Di seguito egli viene menzionato, di volta in volta, con uno di questi
epiteti.
33. cattivo: incapace.
34. egli non è vero... alcun cotanto: neppure Lippo Topo (personaggio di fantasia; «proverbiale protagonista di aneddoti e facezie», N. Sapegno) avrebbe potuto
essere più incapace; alcun cotanto sottintende cattivo.
35. di cui... motteggiare: spesso frate Cipolla lo prendeva in giro.
36. qualunque è l’una di quelle: una qualsiasi delle “doti” (cose tali che, in tono
ironico) di Guccio.
37. sugliardo: sudicio (dal francese souillard).
38. trascutato: «sbadato» (N. Sapegno).
39. senza che egli... per lo migliore: senza
aggiungere che ha altri difetti oltre a questi;
taccherelle significa, letteralmente, «macchioline e quindi difettucci» (V. Branca).
40. tôr casa a pigione: prendere casa in
affitto.
41. sì forte: così tanto.
42. s’avvisa: si propone.
43. essendo lasciato... la coreggia: «se lo
si lasciasse fare andrebbe dietro a tutte,
tanto che non si accorgerebbe di perdere
la cintura» (V. Branca).
44. vago: desideroso.
45. se fante vi sentiva niuna: se si accorgeva che c’era qualche serva.
46. un viso che parea de’ Baronci: i Baronci erano una famiglia fiorentina, di
estrazione borghese; la loro proverbiale
bruttezza è ricordata anche altrove da
Boccaccio (cfr. VI 5, 6).
47. gentile uomo per procuratore: nobi-
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le per procura, per gli incarichi affidatigli
dal padrone.
48. millantanove: «millanta è formazione
giocosa, indeterminata, cui l’aggiunta del
nove vorrebbe dare il senso di una scrupolosa precisione» (V. Branca); qui Boccaccio intende evocare una “millantata ricchezza”.
49. che domine pure unquanche: che
neppure il suo signore saprebbe dire o
fare.
50. il calderon d’Altopascio: tratto proverbiale; «la gran caldaia di quella celebre badia nel Lucchese, dove si cocevano le minestre per i poveri» (N. Sapegno).
51. farsetto rotto e ripezzato: giubbotto
sdrucito e rattoppato.
52. ditella: ascelle.
53. tartareschi o indiani: tartari o turchi;
i loro tessuti erano assai famosi nel Medioevo.
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tutte rotte e alle calze sdrucite, le disse, quasi stato fosse il siri di Castiglione54, che rivestir
la voleva e rimetterla in arnese55 e trarla di quella cattività di star con altrui56, e senza gran
possession d’avere57 ridurla in isperanza di miglior fortuna, e altre cose assai; le quali quantunque molto affettuosamente le dicesse, tutte in vento convertite, come le più delle sue
imprese facevano, tornarono in niente.
Trovarono adunque i due giovani Guccio Porco intorno alla Nuta occupato; della qual cosa contenti, per ciò che mezza la lor fatica era cessata58, non contradicendolo alcuno59, nella camera di frate Cipolla, la quale aperta trovarono, entrati, la prima cosa che venne lor
presa per cercare60 fu la bisaccia nella quale era la penna; la quale aperta, trovarono in un
gran viluppo di zendado61 fasciata, una piccola cassettina; la quale aperta, trovarono in essa una penna di quelle della coda d’un pappagallo, la quale avvisarono62 dovere esser quella che egli promessa avea di mostrare a’ certaldesi.
E certo egli il poteva a quei tempi leggiermente63 far credere, per ciò che ancora non erano le morbidezze d’Egitto64, se non in piccola quantità, trapassate in Toscana, come poi in
grandissima copia, con disfacimento di tutta Italia, son trapassate; e dove che elle poco conosciute fossero, in quella contrada quasi in niente erano dagli abitanti sapute; anzi, durandovi ancora la rozza onestà degli antichi, non che65 veduti avesser pappagalli, ma di gran
lunga mai uditi non gli avean ricordare.
Contenti adunque i giovani d’aver la penna trovata, quella tolsero, e, per non lasciare la cassetta vota, vedendo carboni in un canto della camera, di quegli la cassetta empierono; e richiusala, e ogni cosa racconcia66 come trovata avevano, senza essere stati veduti, lieti se ne
vennero con la penna e cominciarono ad aspettare quello che frate Cipolla, in luogo della penna trovando carboni, dovesse dire.
Gli uomini e le femine semplici che nella chiesa erano, udendo che veder doveano la penna dello Agnol Gabriello dopo nona, detta la messa, si tornarono a casa; e dettolo l’un vicino all’altro e l’una comare all’altra, come desinato ebbero ogn’uomo67, tanti uomini e tante femine concorsono nel castello che a pena vi capeano68, con disiderio aspettando di veder
questa penna.
Frate Cipolla, avendo ben desinato e poi alquanto dormito, un poco dopo nona levatosi,
e sentendo la moltitudine grande esser venuta di contadini per dovere la penna vedere, mandò69 a Guccio Imbratta che lassù con le campanelle venisse e recasse le sue bisacce. Il qual,
poi che con fatica dalla cucina e dalla Nuta si fu divelto70, con le cose addimandate71 con
lento passo lassù n’andò; dove ansando giunto, per ciò che il ber dell’acqua gli avea molto fatto crescere il corpo, per comandamento di frate Cipolla andatosene in su la porta della chiesa, forte incominciò le campanelle a sonare.
Dove poi che tutto il popolo fu ragunato72, frate Cipolla, senza essersi avveduto che niuna sua cosa fosse stata mossa73, cominciò la sua predica, e in acconcio de’ fatti suoi disse
molte parole74; e dovendo venire al mostrar della penna dell’Agnolo Gabriello, fatta prima con gran solennità la confessione75, fece accender due torchi76, e soavemente svilup-
54. il siri di Castiglione: letteralmente, il
signore di Châtillon, celebre feudo francese; vale quindi «come se fosse un gran signore» (V. Branca).
55. rimetterla in arnese: rimetterla in
sesto.
56. trarla di quella... con altrui: riscattarla dalla sua condizione di servitù.
57. senza gran possession d’avere: senza ricchezze.
58. mezza... cessata: avevano così evitato metà della fatica; dato che Guccio era
occupato con la serva, i ladri non avevano
dovuto neppure fare la fatica di distrarlo.
59. non contradicendolo alcuno: non trovando alcun ostacolo.
60. la prima cosa... per cercare: la prima
cosa che si misero a cercare.
61. viluppo di zendado: drappo di seta.
62. avvisarono: credettero.
63. leggiermente: facilmente.
64. le morbidezze d’Egitto: le raffinatezze orientali; allude ai pappagalli, menzionati poco prima.
65. non che: non solo.
66. racconcia: rimessa in ordine.
67. come desinato... ogn’uomo: appena
tutti ebbero finito di pranzare.
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68. a... capeano: a malapena ci stavano.
69. mandò: ordinò.
70. divelto: allontanato.
71. addimandate: richieste.
72. ragunato: radunato.
73. senza essersi avveduto... mossa: poiché non si era accorto che alcune sue cose erano state spostate.
74. in acconcio... molte parole: pronunciò
la sua predica secondo lo scopo che voleva ottenere.
75. confessione: il Confiteor, cioè la preghiera penitenziale.
76. torchi: ceri.
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pando il zendado77, avendosi prima tratto78 il cappuccio, fuori la cassetta ne trasse; e dette primieramente alcune parolette a laude e a commendazione79 dell’Agnolo Gabriello e
della sua reliquia, la cassetta aperse. La quale come80 piena di carboni vide, non sospicò81
che ciò Guccio Balena gli avesse fatto, per ciò che nol conosceva da tanto82, né il maladisse del male aver guardato che altri ciò non facesse83; ma bestemmiò tacitamente sé84, che
a lui la guardia delle sue cose aveva commessa85, conoscendol, come faceva, negligente, disubbidente, trascutato e smemorato. Ma non per tanto86, senza mutar colore87, alzato il viso e le mani al cielo, disse sì che da tutti fu udito:
– O Iddio, lodata sia sempre la tua potenzia!
Poi, richiusa la cassetta e al popolo rivolto disse:
– Signori e donne, voi dovete sapere che, essendo io ancora molto giovane, io fui mandato dal mio superiore in quelle parti dove apparisce il sole88, e fummi commesso con espresso comandamento che io cercassi tanto che io trovassi i privilegi del Porcellana, li quali,
ancora che a bollar niente costassero, molto più utili sono ad altrui che a noi89.
Per la qual cosa messom’io per cammino, di Vinegia partendomi e andandomene per lo Borgo de’ Greci, e di quindi per lo reame del Garbo cavalcando e per Baldacca, pervenni in Parione, donde non senza fatica dopo alquanto pervenni in Sardigna90. Ma perché vi vo io tutti i
paesi cerchi91 da me divisando92? Io capitai, passato il braccio di San Giorgio93, in Truffia e in
Buffia94, paesi molto abitati e con gran popoli; e di quindi pervenni in terra di Menzogna, dove molti de’ nostri frati e d’altre religioni95 trovai assai, li quali tutti il disagio andavan per l’amor
di Dio schifando, poco dell’altrui fatiche curandosi, dove la loro utilità vedessero seguitare, nulla altra moneta spendendo che senza conio per qué paesi96; e quindi passai in terra d’Abruzzi, dove gli uomini e le femine vanno in zoccoli su pe’ monti, rivestendo i porci delle lor busecchie medesime97; e poco più là trovai genti che portavano il pan nelle mazze, e ‘l vin nelle
sacca98; da’ quali alle montagne de’ Baschi pervenni, dove tutte l’acque corrono alla ‘ngiù.
E in brieve tanto andai addentro, che io pervenni mei99 infino in India Pastinaca100, là dove io vi giuro per lo abito che io porto addosso che i’ vidi volare i pennati101, cosa incredibile a chi non gli avesse veduti. Ma di ciò non mi lasci mentire Maso del Saggio102, il quale gran mercatante io trovai là, che schiacciava noci e vendeva i gusci a ritaglio103.
Ma non potendo quello che io andava cercando trovare, per ciò che da indi in là si va per
acqua, indietro tornandomene, arrivai in quelle sante terre dove l’anno di state vi vale il pan
freddo quattro denari, e il caldo v’è per niente104. E quivi trovai il venerabile padre messer
Nonmiblasmete Sevoipiace105, degnissimo patriarca di Jerusalem. Il quale, per reverenzia
77. soavemente sviluppando il zendado: svolgendo delicatamente il drappo.
78. tratto: tolto.
79. a laude e a commendazione: a lode e
onore.
80. come: appena.
81. non sospicò: non sospettò.
82. nol conosceva da tanto: non lo riteneva capace di un atto simile.
83. del male... non facesse: di aver male
vigilato che altri non lo facessero; cioè
non rubassero la penna.
84. bestemmiò tacitamente sé: maledisse in silenzio se stesso.
85. commessa: affidata.
86. non per tanto: ciononostante.
87. senza mutar colore: senza mutare
aspetto, senza dar segni di rabbia.
88. in quelle parti dove apparisce il sole:
dove il sole sorge, cioè in Oriente; ma la frase è intenzionalmente ambigua, perché il
sole, letteralmente, apparisce dappertutto.
89. i privilegi... che a noi: «allude allo
spedale di S. Filippo, detto appunto Porcel-
lana, nella parrocchia di S. Paolo» (N. Sapegno).
90. di Vinegia partendomi... pervenni in
Sardigna: si tratta di luoghi realmente
esistenti a Firenze.
91. cerchi: visitati.
92. divisando: elencando.
93. il braccio di San Giorgio: così era detto lo stretto del Bosforo.
94. in Truffia e in Buffia: nomi inventati,
come la terra di Menzogna; «alludono ovviamente a truffa e beffa» (N. Sapegno).
95. d’altre religioni: di altri ordini religiosi.
96. poco dell’altrui fatiche... per que’
paesi: puntando sul facile equivoco (per il
pubblico stolto che ascoltava), frate Cipolla ribaltava il senso effettivo della frase: in
realtà i suoi confratelli non si dedicavano
affatto a opere pie (le fatiche sono altrui,
le monete sono senza conio, cioè senza alcun valore: sono solo chiacchiere).
97. rivestendo... medesime: uccidendo i
maiali per farne salami e salsicce.
98. il pan... nelle sacca: «le ciambelle in-
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filate su bastoni e il vino negli otri» (V.
Branca); forse, come il precedente vanno
in zoccoli su pe’ monti, è un’allusione
oscena.
99. mei: «nientemeno» (N. Sapegno).
100. India Pastinaca: l’apposizione potrebbe significare sciocchezza, fandonia (V.
Branca).
101. i pennati: ennesimo equivoco; i pennati, che letteralmente sono attrezzi agricoli,
richiamano qui i pennuti, cioè gli uccelli.
102. Maso del Saggio: celebre burlone.
103. a ritaglio: al minuto; in realtà, secondo logica, avrebbe dovuto vendere le noci,
non i gusci.
104. il caldo v’è per niente: non significa
che “il pane caldo non costa niente”, ma
che “il caldo in estate non costa nulla”
(perché ce n’è in abbondanza).
105. Nonmiblasmete Sevoipiace: «letteralmente non mi biasimate per favore» (V.
Branca); nome scherzoso con valore allegorico, poiché in realtà cela la vigliaccheria di chi lo porta.
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dello abito che io ho sempre portato del baron messer santo Antonio, volle che io vedessi tutte le sante reliquie le quali egli appresso di sé aveva; e furon tante che, se io ve le volessi tutte contare, io non ne verrei a capo in parecchie miglia. Ma pure, per non lasciarvi
sconsolate, ve ne dirò alquante.
Egli primieramente mi mostrò il dito dello Spirito Santo così intero e saldo come fu mai; e
il ciuffetto del Serafino che apparve a san Francesco; e una dell’unghie de’ Gherubini; e una
delle coste del Verbum caro fatti alle finestre106, e de’ vestimenti della santa Fé cattolica; e alquanti de’ raggi della stella che apparve a’ tre Magi in oriente; e una ampolla del sudore di san
Michele quando combatté col diavolo; e la mascella della morte di san Lazzaro107 e altre.
E per ciò che io liberamente gli feci copia delle piagge di Monte Morello in volgare e d’alquanti capitoli del Caprezio108, li quali egli lungamente era andato cercando, mi fece egli partefice109 delle sue sante reliquie, e donommi uno de’ denti della santa Croce110, e in una ampolletta alquanto del suono delle campane del tempio di Salomone e la penna dello
Agnolo Gabriello, della quale già detto v’ho, e l’un de’ zoccoli di san Gherardo da Villamagna111, il quale io, non ha molto112, a Firenze donai a Gherardo di Bonsi113, il quale in lui ha
grandissima divozione; e diedemi de’ carboni, co’ quali fu il beatissimo martire san Lorenzo arrostito. Le quali cose io tutte di qua con meco divotamente ne recai, e holle tutte114.
È il vero che il mio maggiore115 non ha mai sofferto116 che io l’abbia mostrate, infino a tanto che certificato non s’è se desse117 sono o no. Ma ora che per certi miracoli fatti da esse e
per lettere ricevute dal patriarca divenuto n’è certo, m’ha conceduta licenzia118 che io le mostri; ma io, temendo di fidarle altrui119, sempre le porto meco.
Vera cosa è che io porto la penna dello Agnolo Gabriello, acciò che non si guasti, in una
cassetta, e i carboni co’ quali fu arrostito san Lorenzo in una altra, le quali son sì simiglianti l’una all’altra, che spesse volte mi vien presa l’una per l’altra e al presente m’è avvenuto120;
per ciò che credendomi io qui avere arrecata la cassetta dove era la penna, io ho arrecata
quella dove sono i carboni. Il quale io non reputo che stato sia errore, anzi mi pare esser
certo che volontà sia stata di Dio, e che egli stesso la cassetta de’ carboni ponesse nelle mie
mani, ricordandom’io pur testé121 che la festa di san Lorenzo sia di qui a due dì122. E per
ciò, volendo Iddio che io, col mostrarvi i carboni co’ quali esso fu arrostito, raccenda nelle vostre anime la divozione che in lui aver dovete, non la penna che io voleva, ma i benedetti carboni spenti dallo omor123 di quel santissimo corpo mi fe’ pigliare. E per ciò, figliuoli benedetti, trarretevi i cappucci e qua divotamente v’appresserete a vedergli.
Ma prima voglio che voi sappiate che chiunque da questi carboni in segno di croce è tocco, tutto quello anno può viver sicuro che fuoco nol cocerà che non si senta124.
E poi che così detto ebbe, cantando una sua laude di san Lorenzo, aperse la cassetta e mostrò i carboni. Li quali poi che alquanto la stolta moltitudine ebbe con ammirazione reverentemente guardati, con grandissima calca tutti s’appressavano a frate Cipolla e, migliori
offerte dando che usati non erano125, che con essi126 gli dovesse toccare il pregava ciascuno.
106. Verbum caro fatti alle finestre: storpiatura di Verbum caro factum est (Gv. I,
14).
107. la mascella della morte di san Lazzaro: «forse la più fantastica e surreale di
queste reliquie: cioè la mascella della
Morte (immaginata, secondo le figurazioni correnti, come uno scheletro femminile) che colpì Lazzaro, poi resuscitato da
Gesú» (V. Branca).
108. gli feci copia... Caprezio: sia Monte
Morello (un colle vicino a Firenze), sia Caprezio, che è nome inventato, non indicano un libro, ma sono allusioni a pratiche
sessuali: fare copia di sé significa infatti
“darsi a godere carnalmente” (C. Segre).
109. partefice: partecipe.
110. denti della santa Croce: frequenti le
reliquie di denti, «ma ovviamente grottesco riferirli alla Croce, con evidente equivoco forse sulle “braccia” della croce» (V.
Branca).
111. san Gherardo da Villamagna: fu tra
i primi seguaci di San Francesco.
112. non ha molto: non molto tempo fa.
113. Gherardo di Bonsi: fu tra gli esponenti più in vista dell’Arte della Lana; per
la sua devozione a San Gherardo fondò un
ospedale a lui dedicato.
114. holle tutte: le ho tutte con me.
115. maggiore: abate.
116. sofferto: tollerato.
117. desse: forma rafforzativa; proprio
quelle.
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118. licenzia: permesso.
119. fidarle altrui: affidarle ad altri.
120. e al presente m’è avvenuto: come mi
è accaduto oggi.
121. testé: poco fa.
122. di qui a due dì: doveva essere quindi l’otto agosto, dato che la festa di San Lorenzo cade il dieci di quel mese.
123. omor: «umore, cioè grasso liquefatto o sangue» (V. Branca).
124. fuoco... non si senta: il fuoco lo investirà senza che lui se ne accorga.
125. migliori offerte... non erano: dando
offerte più sostanziose di quanto facessero normalmente.
126. con essi: con i carboni di San Lorenzo.
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I classici • Giovanni Boccaccio
Decameron, Frate Cipolla
VOLUME 1
Il Trecento
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Per la qual cosa frate Cipolla, recatisi questi carboni in mano, sopra li lor camiciotti bianchi e sopra i farsetti e sopra li veli delle donne cominciò a fare le maggior croci che vi capevano127, affermando che tanto quanto essi scemavano a far quelle croci, poi ricrescevano nella cassetta128, sì come egli molte volte avea provato.
E in cotal guisa, non senza sua grandissima utilità, avendo tutti crociati i certaldesi, per presto accorgimento fece coloro rimanere scherniti, che lui, togliendogli la penna, avevan creduto schernire129. Li quali stati alla sua predica e avendo udito il nuovo riparo130 preso da
lui, e quanto da lungi fatto si fosse131 e con che parole, avevan tanto riso che eran creduti
smascellare132. E poi che partito si fu il vulgo, a lui andatisene133, colla maggior festa del
mondo ciò che fatto avevan gli discoprirono134, e appresso gli renderono la sua penna, la
quale l’anno seguente gli valse non meno che quel giorno gli fosser valuti i carboni.
G. Boccaccio, Decameron, a cura di N. Sapegno, UTET, Torino 1956.
127. fare... che vi capevano: fare segni di
croce con i gesti più ampi possibile.
128. tanto quanto essi... nella cassetta:
tanto i carboni venivano esauriti facendo i
segni di croce, tanto si riformavano poi
nella cassetta della reliquia.
129. per presto accorgimento... schernire: grazie a uno stratagemma escogitato
rapidamente riuscì a ingannare coloro
che, rubandogli la penna, avevano creduto di ingannare lui stesso.
130. nuovo riparo: nuovo rimedio.
IN PRIMO PIANO
I temi e le tecniche narrative
ANALISI DEL TESTO
in cui si accorge del furto egli riesce a volgere la situazione, inizialmente negativa, a suo favore. La scena è articolata in due
momenti.
1 Frate Cipolla apre la cassetta e trova, al posto della penna,
i carboni: a quel punto non sospicò che ciò Guccio Balena gli
avesse fatto, ma bestemmiò tacitamente sé per aver affidato
il tesoro a persona tanto negligente. Immediatamente, con
grande prontezza di spirito, ribalta la situazione (Ma non per
tanto, senza mutar colore...). Circonda tutto un’aria di sacralità: la descrizione della cerimonia insiste, con lente inquadrature, sul contrasto tra la cornice sacra (la chiesa, l’omelia),
i gesti lenti e misurati (fatta prima con gran solennità la confessione, fece accender due torchi... avendosi prima tratto il cappuccio) e la progressiva consapevolezza del frate, che d’un
tratto si accorge di esser stato derubato.
2 Il frate racconta di un suo immaginario viaggio in Oriente, durante il quale l’abate (con un nome che prelude a ben poco di buono: Nonmiblasmete Sevoipiace) gli avrebbe fatto dono di varie reliquie. I nomi delle vie di Firenze, ben presenti al
pubblico, si alternano con quelli di terre immaginarie (Io capitai...in Truffia e in Buffia...e di quindi pervenni in terra di
Menzogna). Il suo discorso procede lungo il filo dell’equivoco tra il significato reale delle parole e ciò che il popolo, per
l’aspettativa che nutre nei confronti del frate e delle sue reliquie, è in grado di capire.
Il maestro e l’allievo La novella è costantemente sospesa tra
il senso reale delle parole e degli oggetti e il senso, equivoco
e distorto, che frate Cipolla attribuisce loro. L’effetto complessivo, quindi, è quello di un ribaltamento comico e giocoso,
in cui il significato è stabilito non dal valore oggettivo dei segni, ma da quello che il frate è capace di attribuire loro.
Il frate viene subito presentato come ottimo parlatore e pronto, in grado di apparire, a chi non lo conoscesse, sebbene non
avesse alcuna cultura (niuna scienzia avendo), Tullio (cioè Cicerone) medesimo o forse Quintiliano: era in grado – in altre
parole – di servirsi della retorica, dell’arte della parola per ottenere ciò che più desiderava.
Accanto a frate Cipolla, che domina la scena, Boccaccio illumina il suo servo, Guccio, che tenta – come appare subito evidente – di emulare il talento del padrone, cercando di convincere la serva Nuta ad accettare i suoi favori. Il suo discorso,
brevemente riportato, è un piccolo capolavoro di linguaggio
comico: attraverso numerosi neologismi (che sono in realtà,
in bocca a Guccio, goffe storpiature: millantanove, che domine pure unquanche) il servo cerca di presentarsi quale galantuomo (gentile uomo per procuratore), dotato di una posizione tale da permettere alla giovane di riscattarsi dalla sua
misera condizione. Guccio – che intanto aveva lasciato la preziosa reliquia incustodita – non riesce però a convincerla. Nella descrizione di Boccaccio il suo maldestro tentativo di seduzione si mescola a un ritratto impietoso, dove la trascuratezza
dell’aspetto fisico (un suo cappuccio sopra il quale era tanto untume...un suo farsetto rotto e ripezzato...smaltato di sucidume) è spia di una bassezza morale.
Complici dell’inganno Si potrebbe dunque affermare che la
novella proceda su un doppio livello. Il primo livello è rappresentato dall’incredibile racconto di frate Cipolla ai certaldesi: tanto più incredibile perché essi, senza alcuna testimonianza, danno fede a una ricostruzione illogica. Il popolo (la
stolta moltitudine), irretito dalla gestualità magniloquente del
Una rivincita geniale Il nucleo della novella è costituito dal
discorso di frate Cipolla ai fedeli di Certaldo: nel momento
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131. quanto da lungi fatto si fosse: «come
l’avesse presa alla lontana» (V. Branca).
132. eran creduti smascellare: avevano
creduto di slogarsi le mascelle per le risate.
133. a lui andatisene: avvicinatisi a lui.
134. discoprirono: rivelarono.
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frate, gli crede senza incertezze e gli si fa intorno con grandissima calca.
Il secondo livello è quello del significato autentico delle parole pronunciate dal frate: da un lato, quindi, la brigata che
ascolta Dioneo; dall’altro, tra i personaggi della novella, gli ami-
ci burloni del frate, ai quali egli pare rivolgersi durante il suo discorso. Frate Cipolla riesce infatti, per presto accorgimento, a
risolvere la difficile situazione in cui rischiava di trovarsi, volgendo lo scorno –ossia l’umiliazione a cui, non potendo più mostrare la reliquia, sarebbe andato incontro – in grandissima utilità.
Per tornare al testo
Comprensione
1. Dividi la novella in sequenze e attribuisci a ciascuna di esse un titolo.
SPAZIO
COMPETENZE
Analisi
2. Qual è il tema generale della sesta giornata? Come viene svolto nella novella di frate Cipolla?
3. Perché frate Cipolla viene paragonato a Tullio medesimo o forse Quintiliano (r. 19)?
4. Sottolinea nel discorso di frate Cipolla tutti i termini e le espressioni legate alla sfera dell’inganno e della
falsità.
5. Sottolinea tutti i termini e le espressioni di sapore comico utilizzati da Guccio nel suo discorso.
Approfondimenti
6. Sulla base delle novelle del Decameron che hai letto finora, sviluppa in un breve elaborato il tema del rapporto
tra parola e verità.
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