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OLTRE LA CRISI Sono ormai diverse decine le esperienze di
O LT R E L A C R I S I
Sono ormai
diverse decine
le esperienze
di imprese sull’orlo
del fallimento rimesse
in moto grazie ai dipendenti.
Che diventano manager
di se stessi investendo
di tasca propria. Come
hanno fatto? La risposta
in questa inchiesta
54
55
–di Stefano Arduini
SIMONE CECCHETTI
U
WORKERS BUY OUT
VITA — maggio 2015
n centro commerciale rinato su un terreno sequestrato alla mafia. Una storica società editoriale riemersa dai debiti e sopravvissuta al
suicidio di uno dei suoi titolari. Uno dei big sul mercato della vetreria e della regalistica da matrimonio
che ha saputo ripartire a un centimetro dal baratro.
Dal 2008 ad oggi in Italia sono fallite 82mila imprese con una perdita di un milione di posti di lavoro.
Secondo i dati Cerved, il picco di fallimenti si è registrato proprio l’anno scorso con oltre 15mila serrande abbassate. Ma c’è anche chi ha saputo attrezzarsi e resistere a questa valanga. E lo ha fatto in
modo innovativo, rivoluzionando la governance di
imprese che pur avendo modelli produttivi non più
al passo coi tempi, avevano comunque il know how
per continuare a competere sul mercato. Li chiamano workers buyout, ovvero dipendenti che acquistano l’azienda per cui lavorano (in gergo finanziario il buyout è un’operazione di investimento per
LA VETRERIA DI AREZZO
Un socio-lavoratore dell’Industria Vetraria Valdarnese.
Dopo la crisi i dipendenti hanno sottoscritto un aumento
di capitale di 3mila euro pro capite
maggio 2015 — VITA
WORKERS BUYOUT
UDINE
PORDENONE
07
I 69 CASI
DI IMPRESA “FAI DA TE”
NOVARA
MILANO
02
08
TRIESTE
VERONA
09
05 06
03
LODI
PADOVA
04
VENEZIA
11 12 13
14 15
CUNEO
01
10
ANCONA
50 51
MACERATA
PERUGIA
52
53 54 55
VITERBO
TERNI
56
57
ROMA
58 59
SASSARI
LATINA
60
69
REGGIO EMILIA
16 17 18
19 20 21
45
PISA
46 47
61 62
22 23
BOLOGNA
Italia
24 25 26
27 28 29 30
31 32 33
PISTOIA
RAVENNA
FIRENZE
36 37 38
39 40 41
42 43 44
NAPOLI
FERRARA
MODENA
56
cui un’azienda è acquisita da un gruppo di manager, che quindi diventano manager-imprenditori).
I casi di questo genere in Italia hanno ormai raggiunto quota 69 coinvolgendo marchi di una certa
notorietà come Ideal Standard o appunto la copisteria Zanardi alla cui vicenda anche il New York Times lo scorso aprile ha dedicato una corrispondenza dall’Italia.
Prime ore del mattino del 13 febbraio 2014. Giorgio Zanardi, 73 anni, viene trovato senza vita nella
sede della Zanardi editoriale di via Venezuela a Padova. «Eravamo sommersi da una montagna di debiti», ricorda l’allora amministratore unico Mario
Grillo. Fino al 2005 la Zanardi è stata una delle
aziende leader nel segmento dell’editoria di pregio
(con edizioni limitate anche da 2.500 euro a copia).
L’azienda in pochi anni era passata da 300 a 110 dipendenti (la stragrande maggioranza dei quali in
cassa integrazione) e proprio pochi giorni prima, il
9 gennaio, aveva presentato richiesta di concordato liquidatorio. Era la fine.
«Di fronte alla concorrenza dei libri elettronici e
alla flessione del mercato delle guide, in particolare in Francia dove eravamo molto forti, non erava-
FORLÌ
34
35
AREZZO
48 49
PALERMO
64
MESSINA
63
TRAPANI
65 66
AGRIGENTO
«Alla Zanardi abbiamo tutti rinunciato
agli scatti di anzianità con riduzioni di
stipendio dal 10 al 15%»
67
MARTA MANDILE
CATANIA
68
01. CARTIERA PIRINOLI
Cuneo, Cartiera
02. CASEIFICI SANTI
Novara, Caseificio
03. RI-MAFLOW
Milano,Apparecchiature
elettriche ed elettroniche
04. ONE OVEN
Lodi, Forni per ristorazione
05. KUNI, Verona, Arredi navali
06. CERAMICA MAGICA
Verona,Lavorazione ceramica
07. IDEAL STANDARD
Pordenone,Arredo bagno
08. AUSSAMETAL Udine, Carpenteria
09. CI-TY Trieste,Distribuzione
10. SPORTARREDO SALES Venezia,
Manutenzione app. solarium
11. HD&C Padova,Distribuzione
di prodotti e servizi on line
12. METAL WELDING WIRE
Padova, Lavorazione ferro
13. FONDERIA ZEN Padova,Fonderia
14. CNP-N.P. Padova,Cantiere navale
15. COOPERATIVA LAVORATORI
ZANARDI Padova,Tipografia
16. ART LINING Reggio
Emilia,Produzione di cravatte
17. TEXTYLE Reggio Emilia,
Produzione all’ingrosso di tessuti
VITA — maggio 2015
18. GRESLAB Reggio Emilia,
Lavorazione ceramica
19. INFISSI DESIGN Reggio
Emilia,Infissi e serramenti
20. ARCA LAND Reggio Emilia,
Arredo urbano
21. ARBIZZI Reggio Emilia,
Prodotti per imballaggi
22. TSI-ARISTEA, Ferrara,
Segnaletica e manutenzione strada
23. N.C.S. Ferrara,
Infissi e serramenti
24. PERFORMA Bologna,
Arredatore d’interni
25. 3ELLE Bologna,
Infissi e serramenti
26. SOCIAL PNEUS Bologna,
Distribuzione pneumatici
27. ALFA ENGINEERING Modena,
Giunti isolanti monolitici
per gasdotti, oleodotti e acquedotti
28. ITALSTICK Modena,
Materiali auto adesivi
29. SIAMESI Modena,
Grate di sicurezza
30. ITALTAC Modena,Cartario
31. CASA ITALIA Modena,Pvc
32. AGG Modena,
Verniciature industriali
32. EDIZIONI MODENA
Modena, Tipografia
34. RAVIPLAST Ravenna, Imballaggi
35. LINCOOP Forlì Cesena,
Costruzione e manutenzione strade
36. IPT Firenze, Industria plastica
37. M.C.M. Firenze , Comunicazione
38. C.S.V. SOC. COOPERATIVA
Firenze, Cristallerie
39. MASTER CERAMICA Firenze,
Industria ceramica
40. TECNOL Firenze,
Cilindri per moto
41. COOP BOLFRA Firenze,
Profili in legno
42. COOP3 Firenze,
Grande distribuzione
43. VETRERIE EMPOLESI Firenze,
Vetreria artistica
44. ALCO PLAST SOCIETÀ COOP
Firenze, Società consumatori
45. MICRONIX SOCIETÀ COOP
Pistoia, Consulente informatico
46. COOPTIMA Pisa, Noleggio
attrezzatura pesante per costruzioni
47. NUOVA BULLERI Pisa,Produzione
di macchinari per la lavorazione del
legno, della plastica e dell’acciaio
48. CLAB Arezzo, Arredo bagno
49. IVV Arezzo, Vetreria artistica
50. L&Q Ancona, Settore cucine
51. COOPRINT Ancona,
Industria grafica
52. CONCERIA DEL CHIENTI
Macerata, Conceria
53. 2012 AUTOTRASPORTI
Perugia, Autotrasporti
54. FAIL Perugia, Serramenti
55. GBM Perugia, Impiantistica
56. MASTER Viterbo, Arredobagno
57. CMT Terni, Servizi
58. IL MANIFESTO Roma, Media
59. FENIX PHARMA
Roma, Casa farmaceutica
60. EX EVOTAPE Latina, Packaging
61. ITALCABLES Napoli, Cavi acciaio
62. NUOVA OSSIGENO NAPOLI
Napoli, Gas tecnici
63. BIRRIFICIO MESSINA
Messina, Birra
64. CENTRO OLIMPO Palermo, Centro
commerciale
65. TERRAMIA Trapani,
Lavorazione Olio
66. CALCESTRUZZI ERICINA LIBERA
Trapani, Fornitore di cemento
67. COGEST Agrigento, Supermercati
68. ESTESA Catania,
Installazione linee telefoniche 69. ISOLEX
Sassari, Lastre Polistirene
mo stati in grado di reagire», ricorda Grillo. Rimaneva, forse, una carta da giocare: quella della
cooperativa di lavoro. Un passo che 24 dipendenti
hanno scelto di compiere, investendo le loro mobilità e cassa integrazione, per un totale di 400mila
euro. Al capitale sociale della nuova cooperativa
hanno poi partecipato con un gettone da 250mila
euro l’uno, Coopfond (il fondo mutualistico di Legacoop) e Cfi (Cooperazione finanza impresa) oltre
alla finanziaria della Regione Veneto Sviluppo con
una quota da 200mila euro. Capitale necessario, dopo il via libera del tribunale, all’affitto dei capannoni e all’acquisto dei macchinari. Grillo è riuscito anche ad accendere piccole linee di finanziamento con
Unipol Banca e Banca Etica. Il primo bilancio di appena due mesi fa ha chiuso con un fatturato di
360mila euro (nel 2009 il fatturato ammontava a 15
milioni, scesi a 12 nei quattro anni successivi). «Abbiamo però ritrovato l’equilibrio di gestione e anche
uno dei fratelli Zanardi si è riavvicinato a noi: in
qualità di consulente ci sta dando una mano per riconquistare il mercato d’Oltralpe», spiega Grillo
mostrando, sorridente, un rosso di appena 470 euro «frutto di un ritardo nella contabilizzazione di
LA COPISTERIA DI PADOVA
La copisteria Zanardi di Padova è un altro caso di successo. Il rilancio è avvenuto
dopo il suicidio di uno dei tre fratelli che guidavano l’azienda
alcuni rimborsi spese». L’incontro fra Grillo e la Zanardi è recente. «Sono arrivato nel 2013 quando ormai la situazione era precipitata, dopo, fra l’altro
un’esperienza di 26 anni in Electrolux». Insomma
un manager di lungo corso. «Il meccanismo dei workers buyout può essere molto prezioso anche perché mette fine alla dicotomia fra proprietà e dipendenti rendendo così più forte la capacità di
elaborare strategie condivise: tenete conto che i dipendenti oltre all’investimento della mobilità hanno rinunciato a tutti gli scatti di anzianità e oggi
prendono solo lo stipendio base con riduzioni a seconda dei ruoli che oscillano fra il 10 e il 15%», conclude.
Una condizione, questa, sine qua non per avviare il processo. Come conferma Camillo De Berardinis, vicepresidente e amministratore delegato di
Cfi: «Senza la partecipazione dei dipendenti, noi
non ci muoviamo». Cfi è una società cooperativa
per azioni partecipata dal ministero dello Sviluppo
maggio 2015 — VITA
WORKERS BUYOUT
Roberto Benaglia (Cisl)
58
IL SUPERSTORE DI PALERMO
Il Centro Olimpio sorge su un terreno confiscato alla mafia. Ha ripreso le attività
dopo un sequestro grazie all’impegno di 34 ex dipendenti
economico che ha come soci Coopfond, Fondosviluppo, Generalfond, Invitalia e oltre 270 cooperative. La sua missione è di salvaguardare e incrementare l’occupazione nelle cooperative. Insieme
proprio a Coopfond (44 progetti, investimenti fra
capitale sociale ed erogazioni per circa 13 milioni di
euro fra il 2008 e il 2014) è la leva più forte su cui si
fondano i workers buyout. Solo l’anno passato l’ente ha sostenuto 24 interventi e ne ha in previsione
altri 50 nel prossimo biennio. «Delle circa 80 partecipazioni - che riguardano oltre 2500 addetti - che
abbiamo attive in questo momento oltre l’80% sono costruite intorno al meccanismo dei workers»,
spiega De Berardinis, «e in futuro la porzione è destinata a crescere ancora». «Sono due le strade che
possiamo percorrere», aggiunge, «la prima è quella
della partecipazione al capitale d’impresa
che però in nessun caso può varcare la soglia del 49,9% e durare più di dieci anni; la
seconda è quella della concessione di finanziamenti con tassi variabili o fissi che variano fra il 3,2 e il 4,5%». Dalla sua creazione a
oggi Cfi ha contribuito a creare o salvare il
posto di 12.800 lavoratori, oltre 10mila grazie a programmi di Wbo quasi sempre in partnership con
altri soggetti. «In questi casi», prosegue De Berardinis, «quando entriamo nel capitale esprimiamo un
rappresentante fra i sindaci dell’azienda più che
partecipare attivamente alla gestione finanziaria».
Da questo punto di vista infatti il supporto arriva di-
VITA — maggio 2015
rettamente dalle centrali cooperative. Un lavoro generalmente ben fatto, almeno a giudicare dai dati.
Passa la fase preistruttoria il 65/70% delle domande
presentate a Cfi e viene approvato il 95% di quelle
che poi vanno in consiglio. Mentre il tasso di mortalità delle aziende partecipate è del 13%. Anche se,
secondo uno studio dell’università di Padova, la
percentuale delle nuove aziende nate da una ristrutturazione gestita dai lavoratori è del 22%. Comunque decisamente inferiore al 35% delle start-up. Il
sistema di supporto che un’azienda è in grado di calamitare intorno a sé è decisivo. Oltre ai fondi cooperativi quindi è spesso vitale il coinvolgimento degli istituti di credito. Come abbiamo visto sul fronte
Wbo ci sono Unipol e Banca Etica.
Un ruolo importate lo stanno giocando anche le
banche di credito cooperativo. È il caso per esempio
del Credito Cooperativo Ravennate e Imolese, che
ha sostenuto i lavoratori della Raviplast (la cooperativa di scatole e imballaggi nata sulle ceneri
dell’ormai fallita Pramac) non solo con linee di credito ordinarie, ma anche con l’anticipazione dell’indennità di mobilità. «L’obiettivo che ci siamo posti
è stato quello di sostenere una realtà del territorio
per mantenere l’occupazione di 13 persone all’epoca in mobilità», interviene la responsabile relazioni
esterne Tamara Pignato. Ma a quali condizioni una
«Noi come Bcc anche per questo tipo
di intervento richiediamo che il
progetto finanziario sia sostenibile»
Banca investe in operazioni di Wbo? «Come per ogni
azienda che richiede un supporto finanziario, è necessario che siano presentati progetti sostenibili,
con caratteristiche tali da rendere efficiente la propria attività e soprattutto efficace rispetto alle opportunità economiche del mercato di riferimento».
Dalla Romagna alla provincia di Arezzo, il passo
è breve e il modello simile. Simone Carresi è il presidente della cooperativa IVV, ovvero Industria Vetraria Valdarnese. «Siamo un’azienda storica
nata nel 1952, con un fatturato di circa 14 milioni di euro di cui 5,5 dall’estero». Nel 2006
il primo bilancio in perdita dopo 20 anni. Il
tracollo nel 2009. Da 160, i dipendenti quasi
si dimezzano e incomincia la sequenza dei
contratti di solidarietà (al 50/60% delle ore).
Carresi, 44 anni, da direttore generale si incarica di
guidare la ristrutturazione aziendale, varando un
aumento di capitale che impegna ognuno dei 110
soci della cooperativa al versamento di 3mila euro.
Oltre alla rinuncia dei benefici della contrattazione
di secondo livello, quantificabile in una riduzione
generalizzata di circa il 15% delle retribuzioni. Il ri-
dimensionamento poi implica anche la vendita di
asset e immobili per un valore di 3,6 milioni di euro. A maggio 2014 parte il nuovo corso. L’obiettivo
per i prossimi 5 anni è quello di un fatturato di 4 milioni per annualità. «Un traguardo che contiamo di
tagliare grazie anche al supporto del mondo cooperativo, insieme alla Coop e a Conad abbiamo infatti
lanciato un programma loyalty promozionale basato sui bollini/spesa che per noi sta avendo un peso
importante», spiega Carresi. Nel frattempo il 2014
ha chiuso con un utile di 200mila euro. «Un bel segnale». Il passo decisivo? «Senza la disponibilità dei
soci-lavoratori oggi non saremmo qui».
È dello stesso avviso Gaetano Salpietro. Un’altra
città: Palermo. Un altro settore: la grande distribuzione. Un’altra età: 66 anni. La stessa convinzione:
«Il Wbo può essere uno strumento formidabile di
riscatto sociale». Soprattutto se lavori a Mondello
su un terreno confiscato alla mafia. Quella del Centro Olimpo (2mila metri quadrati, sette negozi più
un bar, nel cuore di una delle zone più ricercate del
capoluogo siciliano) è in effetti una storia paradigmatica. Il centro apparteneva al gruppo Aligroup
(marchio Despar) «ma dal 2012», interviene Salpietro, «siamo entrati un una complessa vicenda anche
giudiziale che ha visto il Centro passare di mano a
un gruppo locale di Palermo, che però non ha mai
perfezionato l’acquisto. Di fatto siamo entrati in un
limbo e incominciavano a girare strane voci sul personale: in molti hanno incominciato a temere per
davvero di perdere il posto». Era il punto di non ritorno. Da qui la decisione di costituire una cooperativa e di rilevare il ramo d’azienda. «Prima eravamo in cinque poi in sei alla fine ci siamo ritrovati in
34 su 47», confida Salpietro. Una sponda importate
è stata anche la magistratura che ha concesso il via
libera malgrado l’immobile fosse sotto sequestro e
«ci ha permesso di partecipare all’asta per acquisire
l’attività produttiva»: 500mila euro sono arrivati
dalle indennità di mobilità degli ex dipendenti. Così
a fine 2014 dopo quasi due anni di stop, il Centro ha
riaperto al pubblico. L’obiettivo era di fatturare intorno ai 9/10 milioni contro il 13/14 della gestione
Aligroup. «I primi segnali non sono incoraggianti in
questo senso, ma dopo una pausa così lunga dobbiamo riconquistare la clientela», confessa Salpietro. Che aggiunge: «Guardate che qui in Sicilia, la
nascita della nostra cooperativa è un segnale straordinario: abbiamo sfidato rendite di posizioni molto forti, resistenze sindacali e lo abbiamo fatto perché siamo stati in grado di creare un consenso
visibile intorno a noi, a partire dal mondo cooperativo, ora certo abbiamo bisogno di un po’ di fortuna». Nell’attesa è arrivata la benedizione di Bergoglio. «Faccio il tifo per le coop nate attraverso il
progetto di workers buyout», così papa Francesco
lo scorso 28 febbraio ha accolto 7mila cooperatori
riuniti in audizione in Vaticano.
ORA RIFORMIAMO
GLI AMMORTIZZATORI
S
egretario regionale della Cisl Lombardia, Roberto
Benaglia è certamente uno dei sindacalisti più
pronti a cogliere e valorizzare i segnali di
innovazione nel mercato del lavoro. Per questo non
sorprende la sua conoscenza dei meccanismi e delle
esperienze ricollegabili dei workers buyout.
—— Non sono sporadici i casi in cui nei territori sono
proprio i sindacalisti a mettersi di traverso rispetto al
tentativo di parte dei lavoratori di mettersi in proprio
e così salvare l’azienda e il posto di lavoro. Come se lo
spiega?
Voglio essere chiaro. Siamo molto interessati a
giocarci questa partita. In un momento di crisi non si
può che cercare di favorire chi si mette in campo in
prima persona e cerca di farcela con le proprie forze.
Quindi massima apertura. Ma questo non basta.
—— In che senso?
Occorre rendere sistemico questo approccio, che
altrimenti rischia di rinchiudersi nel recinto delle
buone pratiche.
—— Come?
Bisogna partire da un ripensamento generale degli
ammortizzatori sociali rendendoli più flessibili ed
efficienti. Le faccio un esempio. Oggi se un lavoratore
decide di creare una nuova realtà per rilanciare la
produzione di un’azienda, perde ogni beneficio. Se
invece se ne sta a casa sperando che qualcuno gli offra
un lavoro continua a percepire mobilità o cassa
integrazione che sia. Se vogliamo costruire politiche
attive del lavoro, servono strumenti nuovi. Poi c’è un
altro elemento da considerare.
—— Quale?
Il working buyout oggi è prettamente un fenomeno
cooperativo. Io credo invece che questa possibilità
debba essere data anche a chi intenda utilizzare altre
forme societarie. Un ragionamento analogo a quello
sull’impresa sociale. Non conta tanto chi sei,
cooperatore o meno, ma che cosa fai.
—— A proposito di impresa sociale, la Cgil ha espresso
un parere molto critico rispetto al testo votato in prima lettura alla Camera, lei che posizione ha?
Di grande attenzione. L’elemento cardine è il principio
di pubblica utilità. Principio che non coincide più con
la sfera del pubblico. In questo quadro il welfare
integrativo e le nuove forme mutualistiche sono
terreni in cui l’impresa sociale può guadagnare spazi
importanti. —S.A.
maggio 2015 — VITA
59
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