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“ “ I miei dieci anni a Downing Street
DIARIO
VENERDÌ 27 APRILE 2007
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LA REPUBBLICA 51
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L’INCONTRO CON IL PREMIER BRITANNICO
Alla vigilia
dell’annuncio
del ritiro, il leader
fa un bilancio
del suo operato
I successi e
gli insuccessi,
le scelte giuste
e sbagliate
di un riformista
(segue dalla prima pagina)
un concetto espresso
con brio ma non certo
originale. Avrebbe trovato concordi gran parte dei
premier degli ultimi quarant’anni. Qual è quindi la caratteristica peculiare dell’approccio di Blair? Qual è l’essenza del blairismo? La sua risposta
non potrebbe essere più chiara:
«E’ l’interventismo liberale». Il
blairismo, aggiunge, concerne
una visione progressista del
mondo, che parte dalla realtà di
interdipendenza in un’era di
globalizzazione e agisce in accordo a determinati valori. «Sono un’interventista e ne vado
fiero». Non sconfesserebbe il
suo discorso di Chicago del
1999, la tesi liberale e interventista della “dottrina della comunità internazionale”. Anche se è
vero, come io sostengo, che
l’amministrazione Bush sta
prendendo le distanze dalla difesa della democratizzazione
come caposaldo della propria
politica estera, Blair non si adegua. «Io in ogni caso non lo faccio».
L’Iraq non fa eccezione. La
stragrande maggioranza degli
iracheni comuni vuole la pace e
la democrazia, ma sono oggetto
di sabotaggi per mano di “agenti esterni” (cita l’Iran e Al Qaeda)
oltre che di «una minoranza di
estremisti interni». Non ha l’incubo di passare il resto della sua
vita a rispondere a domande
sull’Iraq? No, lo considera perfettamente logico, ma «a chi dice “l’Iraq deciderà tutto”... rispondo: dipende da come andranno le cose». E’ sbagliato
dunque sostenere che l’Iraq determinerà il giudizio sulla sua
politica estera? No, indubbiamente ne è stato «un’importante dimensione» ma è troppo
presto per dire che esito darà.
Sarà la storia a dirlo.
Passo alle due alleanze. L’unico caposaldo di politica estera nel programma elettorale del
Labour del 1997 era «dare alla
Gran Bretagna la leadership in
Europa di cui la Gran Bretagna e
l’Europa hanno bisogno». Lo ha
fatto? Beh, «La Gran Bretagna è
stata leader in Europa», dice un
po’ sulla difensiva, benché «in
superficie l’approccio britannico rimanga ostinatamente euroscettico». Ciò è dovuto in larga parte ai media euroscettici.
L’Europa, è il luogo in cui, più
che altrove «i media, persino
quelli di buon senso, mi esortano a far cose che so completamente stupide e che chiunque
nel mio ruolo considererebbe
completamente stupide».
Ma «ho una teoria a proposito». Cioè che «i britannici hanno abbastanza buon senso da
capire che, anche se nutrono
dei pregiudizi nei confronti dell’Europa, non possono pretendere che il loro governo necessariamente li condivida o agisca
E’
BLAIR
ImieidiecianniaDowningStreet
TIMOTHY GARTON ASH
su quella base». Così, ad esempio, in occasione del Consiglio
Europeo del 21/22 giugno (al
quale è chiaro che ha in mente
di partecipare ancora in veste di
premier) spera di concordare
con gli altri leader europei i termini per negoziare un trattato
che codifichi le modifiche isti-
tuzionali necessarie a garantire
il funzionamento di una Ue allargata. Non più una costituzione, solo un semplice emendamento ai trattati esistenti. La
stampa euroscettica strepiterà,
ma questa sarà comunque «la
decisione giusta nel reale interesse britannico».
Poi con un nuovo presidente
francese, un cancelliere tedesco amico e un presidente della
Commissione Europea disponibile, la Gran Bretagna potrà
procedere assieme ai suoi partner ad affrontare questioni più
importanti per il futuro dell’Europa. Non prova, gli chiedo, una
fitta al cuore dato che il gruppo
di leader europei sognato da
Downing Street emerge a quanto sembra proprio nel momento in cui lui si prepara ad uscire
di scena? Inizia a ridere ancor
prima che io abbia finito la domanda, poi dice con un sorriso
ironico: «c’est la vie». Lo prendo
Laura Minestroni
“
TONY Blair è famoso per la sua
convinzione che scopo precipuo
del vincere una campagna elettorale sia quello di vincere la successiva…
Ben sapendo – dalle analisi di Anthony Giddens –
che l’assenza di linee guida su cui basarsi è uno degli aspetti più vulnerabili e penosi della vita nel nostro
scenario sociale sempre più fluido, Blair ha preferito
puntare tutto sull’appello a fidarsi di lui, dedicando
pochissimo tempo a illustrare le politiche per le quali gli elettori avrebbero dovuto concedergli fiducia.
Dopo la vittoria elettorale, ovviamente non c’è stato
alcun motivo di abbandonare la strategia vincente.
A proposito di una delle conferenze stampa di Blair,
Simon Hoggart, editorialista del Guardian, ha così
commentato: «Sono rimasto molto colpito, e non è
la prima volta che accade, da come i discorsi di Blair
assomiglino più a una composizione musicale
che a esercizi di pura e semplice retorica. Come
accade con i pezzi musicali, il suo obiettivo non
è informare, ma emozionare».
BLAIR
non è
come credi
IN LIBRERIA
Si comincia così.
Col mentire a se stessi e credere
perdutamente alle proprie fantasie.
Poi si finisce per ingannare gli
altri e il mondo intero.
Lupetti
Narrativa
Distribuito da Messaggerie Libri
ZYGMUNT BAUMAN
come un sì.
Quanto all’altra cruciale alleanza, che cosa ha in realtà ottenuto la Gran Bretagna, gli
chiedo, dal suo “rapporto speciale” con Washington negli ultimi dieci anni? In che cosa è
consistito il vantaggio per noi?
Nel rapporto in sé, è la sua risposta, e nell’influenza che esso
ci consente di esercitare in altri
ambiti, come i negoziati sul
commercio mondiale e il processo di pace in Medio Oriente.
Dire “E’ ora di una politica estera indipendente” è il modo più
facile di strappare l’applauso,
ma basta iniziare a prendere distanze dagli Stati Uniti per veder diminuire la propria influenza.
Pur affermando che i rapporti della Gran Bretagna sia con
l’Europa che con gli Stati Uniti
sono più solidi rispetto a dieci
anni fa, ammette che i britannici sono ancora lontani dal suo
ideale obiettivo di sentirsi «a
proprio agio» nell’ambito di
questo doppio rapporto. La destra britannica non è più soddisfatta dei legami con l’Europa di
quanto lo fosse nel 1997 e la sinistra lo è ancora di meno rispetto ad allora quanto ai rapporti della Gran Bretagna con
gli USA. Alcune componenti dei
media, aggiunge, sono oggi sia
euroscettiche che anti-americane: «valli a capire...».
Forse il maggior mutamento
intervenuto nell’arco dei suoi
dieci anni a Downing Street
consiste nel sorpasso del globale sul locale. «La politica estera
non è più politica estera». Il dilemma di un leader nazionale è
che «il tuo paese vuole che tu ti
concentri su temi interni, ma la
verità è che le sfide che affronti
sono spesso globali». Ad esempio è importante intraprendere
azioni interne sul cambiamento climatico, ma in realtà, «lo
scopo è di esercitare una forza
trainante sulla leadership internazionale». Serve quindi un governo più globale: bisogna procedere sia alla riforma dell’Onu
che a stringere alleanze per l’azione. La comunità di democrazie è una buona idea, ma in termini politici pratici «si costruisce partendo dall’alleanza europea-americana». Nel cinguettio di uccelli attorno allo
stupendo glicine del giardino di
Downing Street, sento l’eco di
molte future conferenze da anziano statista.
Molti nel mondo, e non solo
negli Stati Uniti, apprezzano le
parole di Blair e molto del suo
operato. Altri, in particolare
nella sinistra britannica, li detestano. Ma l’unica critica insostenibile, almeno riguardo alla
politica estera, è che il blairismo
sia privo di contenuti. In politica estera Tony Blair ha sostenuto un’idea, che può piacere o
meno, e sa dire esattamente
quale.
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Repubblica Nazionale
“
52 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
VENERDÌ 27 APRILE 2007
DIARIO
LA GIOVINEZZA 1953-1975
Tony Blair nasce nel 1953 ad Edimburgo,
in Scozia. Negli anni dell’università
frequenta giurisprudenza al St. John’s
College di Oxford e suona la chitarra nel
gruppo rock degli Ugly Rumours
IL TRIONFO 1994
A 41 anni diventa presidente del Labour
Party, prendendo il posto di John Smith
(21 luglio 1994). Nel 1995 dà vita al New
Labour. La sua carriera era iniziata nel
1983 con l’elezione al parlamento
PREMIER 1997
Il 2 maggio Blair diventa capo del governo
riportando al potere i laburisti dopo 18
anni: il successo è schiacciante. Nasce la
Cool Britannia del New Labour e del
“blairismo”
I SUCCESSI IN ECONOMIA E NEL SOCIALE. L’OMBRA DELL’IRAQ
COSÌ HA TRASFORMATO
LA SOCIETÀ BRITANNICA
ANTHONY GIDDENS
I LIBRI
RALF
DAHRENDORF
La società
riaperta,
Laterza 2004
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Tony Blair,
Viking 2004
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potere,
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2003
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a Blair:
la cultura
inglese
contemporanea,
Carocci 2001
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Il Saggiatore
2001
Oltre la
destra e la
sinistra, il
Mulino 1997
Cogliere
l’occasione.
Le sfide
di un
mondo che
cambia,
Carocci
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Tony Blair,
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Books 2001
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VELTRONI
Governare
da sinistra,
Baldini
Castoldi
Dalai 1997
NAPOLEONE
COLAJANNI
Dov’è la
sinistra?
Critica
della terza
via, Ponte
alla grazie
2000
er giudicare realisticamente Tony Blair, nel momento in cui sta per dimettersi, conviene mettere i
suoi dieci anni di governo a
confronto con quello che hanno ottenuto altri leader politici
suoi contemporanei: con i risultati conseguiti da Schroeder
in Germania, Clinton negli Stati Uniti, Prodi nel suo primo
mandato in Italia, Jospin in
Francia, per limitarci a capi di stato o
di governo appartenenti alle forze
progressiste. Ebbene, da questo confronto Blair esce indubbiamente bene. La Gran Bretagna che il leader del
Labour lascia in
eredità al suo successore è oggi in
condizioni decisamente migliori rispetto al 1997,
quando Blair entrò
a Downing street.
L’economia è in
crescita da un decennio e continua a
espandersi. L’occupazione è ai livelli più alti d’Europa.
Inflazione e altri indicatori economici
sono sotto controllo o positivi. Milioni di persone
sono uscite dal livello di povertà. Il governo Blair ha inoltre compiuto grossi investimenti nel settore pubblico: il
servizio sanitario nazionale è
significativamente progredito, i finanziamenti per l’istruzione statale sono stati utili, le
infrastrutture pubbliche nel
complesso hanno ricevuto la
più sostanziosa iniezione di
fondi dall’epoca vittoriana.
Un altro aspetto del lascito
di Blair è l’attenzione che egli
ha riservato a due problemi
importanti come la criminalità, o in senso più ampio l’ordine pubblico, e l’immigrazione. I partiti di centro-sinistra
andati al potere in altri paesi
europei hanno incontrato serie difficoltà, quando non sono
stati capaci di affrontare questi
due problemi, che preoccupano giustamente una vasta parte dell’opinione pubblica e
dell’elettorato. Blair li ha affrontati senza mezzi termini,
battendosi per combattere i
comportamenti anti-sociali,
ovvero la delinquenza di strada, e per regolare l’immigrazione senza chiudere la porta
agli immigrati dei nuovi paesi
dell’Europa orientale entrati
nella Ue.
Un terzo elemento positivo
della sua eredità sono i cambiamenti costituzionali. Blair
aveva promesso di cambiare il
Regno Unito e lo ha fatto. La
“devolution” in Galles, in Scozia, a dispetto della spinta al secessionismo che ha provocato
tra i nazionalisti scozzesi, e soprattutto in Irlanda del nord, è
stata una riforma importante.
Il raggiungimento della pace e
apparentemente di un governo congiunto tra protestanti e
cattolici in Nord Irlanda resterà anzi come uno dei successi individuali di maggior
peso dell’era Blair. Il quale ha
portato a compimento anche
altre riforme: l’elezione diretta
P
‘‘
,,
Il paese, che Blair lascia in
eredità al suo successore Gordon
Brown, è oggi in condizioni
decisamente migliori rispetto
al 1997, quando andò al potere
I SIMPSON
Blair compare nella puntata “I Simpson a Londra”,
prestando la propria voce al personaggio
dei sindaci nelle città, che in
particolare a Londra fa oggi la
differenza col passato; la fine
dei seggi ereditari alla camera
dei Lord; la legge sulla “partnership civile” per gli omosessuali; l’indipendenza della
Corte Suprema. Una serie di
riforme che hanno trasformato la società britannica.
Rimane la politica estera. In
questo ambito, occorre ricordare che l’impegno di Blair a
usare sia la diplomazia che la
forza militare, quando necessario, per risolvere le grandi
crisi internazionali, ha dato
buoni risultati in Bosnia, Kosovo, Sierra Leone, Afghanistan.
L’intervento in Iraq, tuttavia, si
è rivelato una scommessa rischiosa: una decisione che, col
senno di poi, non ha avuto l’effetto desiderato. Sia perché in
Iraq non c’erano armi di distruzione di massa, ragione offerta dal governo Blair per entrare in guerra; sia per l’andamento di un conflitto gravido
di incertezze.
Personalmente, penso che
dieci anni al potere siano abbastanza, e che Blair si sarebbe dimesso comunque, arrivato più
o meno a metà del suo terzo
mandato. L’eccesso di propaganda mediatica, la tendenza a
presentare il Labour come un
prodotto commerciale, perlomeno nei primi anni del suo
governo, a un certo punto si è
rivoltato contro di lui, incidendo sull’entusiasmo iniziale nei
suoi confronti. E la familiarità
con un leader che resta a lungo
al potere crea inevitabilmente
disillusione: la gente finisce
per concentrarsi non sui risultati ottenuti, che vengono dati
per scontati, ma sugli obiettivi
non ancora raggiunti o sugli
occasionali errori di percorso
che accompagnano qualsiasi governo di lungo corso.
Ciononostante, è
innegabile che le
polemiche sull’Iraq
abbiano prodotto
un’ombra sui suoi
ultimi anni a Downing street.
Ci sono altri due
retaggi del blairismo di cui prendere
nota. L’europeismo dichiarato di
Blair non ha condotto Londra nell’euro-zona né diminuito l’euroscetticismo predominante in questo
paese: il primo ministro ha ottenuto
qualcosa, aumentando l’integrazione militare della Ue
e operando per
un’azione più coordinata in altri campi, ma non è riuscito a
fare di più. A suo merito, viceversa, vanno sottolineate le
riforme che hanno permesso al
New Labour, a un partito laburista profondamente rinnovato, di vincere tre elezioni consecutive. Il rinnovamento dei
partiti progressisti è un movimento non solo britannico,
bensì mondiale: ma l’impresa
conseguita da Blair, tre successi elettorali consecutivi, è senza eguali in Gran Bretagna e in
tutta Europa, con l’eccezione
dei paesi scandinavi, dunque
rappresenta anche per altri
paesi una conferma della validità di questa scelta e un incitamento a proseguire su questa
strada. Non solo: le vittorie
consecutive possono diventare quattro. Come sostengo nel
mio ultimo libro Over to you,
Mr. Brown (Tocca a lei, Mr.
Brown, ndr.), l’attuale ministro delle Finanze Gordon
Brown, che entro breve sostituirà Blair come premier, ha almeno un 50 per cento di possibilità di essere rieletto quando
fra due anni e mezzo si andrà
alle urne. Anche la quarta vittoria farebbe parte dell’eredità
politica di Blair.
In conclusione, nei suoi anni la Gran Bretagna è diventata, a dispetto di qualche problema, la società multi-etnica
meglio integrata d’Europa:
una nazione cosmopolita, arricchita dalla diversità culturale, vibrante, piena di energia. Il
merito ovviamente non è solo
del primo ministro, ma Blair ha
ben rappresentato questa prodigiosa evoluzione: ne incarna
il volto e il simbolo. Il Tony Blair
che ora lascia il potere è, anche
per questo, una figura globale:
cosa che, dalla seconda guerra
mondiale in poi, era riuscita
soltanto alla Thatcher fra i leader britannici.
(Testo raccolto
da Enrico Franceschini)
RALF DAHRENDORF
I neodemocratici di
Clinton e il partito
laburista di Blair sono
in realtà l’espressione
perfetta degli interessi
della classe globale
La società riaperta
2004
HANIF KUREISHI
La guerra in Iraq, che
Blair ha creduto di
poter ingaggiare senza
provocare qui costi e
divisioni sociali, ha
portato nuove lacerazioni
La parola e la bomba
2006
Repubblica Nazionale
VENERDÌ 27 APRILE 2007
LA REPUBBLICA 53
DIARIO
AFGHANISTAN E IRAQ 2001-2003
Nel 2001 si schiera con gli Usa contro i
talebani in Afghanistan e dal marzo 2003
combatte in Iraq contro Saddam,
confermando il suo ruolo di fedele alleato
di Bush nella guerra contro il terrorismo
LA CRISI 2003
Con lo scandalo delle armi di distruzione
di massa di Saddam e il suicidio
dell’esperto di armamenti David Kelly (16
luglio 2003), il “blairismo” inizia a perdere
colpi. Si fa avanti l’ipotesi di successione
OGGI
Dopo l’erosione dei consensi alle elezioni
del 2005, che lo hanno visto vincere per la
terza volta consecutiva, Blair ha
annunciato che presto lascerà il suo posto
a Gordon Brown
UN ESPERIMENTO GUARDATO CON SOSPETTO ED ENTUSIASMO
LE DUE SINISTRE ITALIANE
E I CONTI COL BLAIRISMO
EDMONDO BERSELLI
n’incertezza profonda segna
l’atteggiamento della sinistra italiana verso Tony Blair.
Da un lato fu subito visibile la soddisfazione per la riscossa contro i
conservatori inglesi, dopo la lunga
egemonia thatcheriana e i suoi strascichi. Dall’altro c’era la percezione
di un’alterità, ossia di una tradizione laburista del tutto diversa rispetto ai socialismi continentali.
Anche se il Labour era una formazione politica ad amplissimo
spettro che comprendeva moderati ed estremisti, con una componente trotzkista che in certi momenti acquistò un peso fortissimo nel partito, è fuor di dubbio
che la cultura e la filosofia del Pci, e anche
di gran parte della sinistra non comunista,
erano in antitesi con il
riformismo laburista.
Due culture, due ispirazioni: oggi suscita ammirazione rileggere i documenti del Labour subito dopo la seconda guerra
mondiale, quando sullo
sfondo di un paese martoriato i dirigenti inglesi sostenevano che il problema
«non è equidistribuire la
povertà, ma amministrare
quote crescenti di ricchezza». A distanza di mezzo secolo, quando Blair nel 1997
vince le elezioni contro John
Major, dopo diciotto anni di egemonia tory, le grandi ombre di Beveridge e di Bevin, i fautori di un benessere basato sul welfare “dalla culla alla
tomba”, appartengono al Pantheon
della civilizzazione laburista, ma intanto il mondo contemporaneo ha
già cominciato a sperimentare le fatiche della globalizzazione, dell’esposizione delle imprese nazionali
alla concorrenza straniera, della necessità di mettere sotto controllo
l’inflazione e i costi dello stato sociale, di promuovere l’occupazione anziché proteggere i disoccupati.
Per l’Italia della seconda metà
degli anni Novanta l’esperimento
di Blair è insieme affascinante e ambiguo. Suggestivo per i postcomunisti come Massimo D’Alema, che
dopo essersi liberato dal fardello
dell’ideologia si sente prontissimo
a recepire il messaggio del New Labour (tanto è vero che si presenta alla City, e stupisce l’establishment finanziario londinese dicendo che
l’Italia realizzerà un’autentica “rivoluzione liberale”). Ma per le altre
forze politiche della sinistra postOttantanove, compreso ovviamente l’Ulivo, la “Terza via” blairiana,
scolpita sulle colonne concettuali
di Anthony Giddens, appare spesso
come una fumosità impenetrabile.
La Terza via parlava del “realismo
utopico”, si autocollocava in un
“centro radicale” che era una specie
di sezione aurea segnata all’intersezione della vecchia socialdemocrazia con il pensiero unico neoliberista. Vedi caso, quel luogo imprendibile della politica, la “neue Mitte”,
dove intendeva collocarsi anche il
nuovo socialdemocratico Gerhard
Schröder. Non restava granché per
il solidarismo cattolico, e neanche
per lo stato sociale all’italiana, quella struttura “particolaristico-clientelare” secondo la scienza politica
più avanzata, mediata integralmente da partiti e sindacati. Blair segnalava un orizzonte in cui le categorie tradizionali della politica italiana di sinistra venivano tutte scavalcate. Al posto del proletariato industriale si profilava la massa dei ceti medi; anziché la disuguaglianza il
U
ULRICH BECK
L’Europa non spinge
per affermare la sua
visione del mondo.
Blair è diventato
un’appendice degli
americani
La Repubblica
12 novembre 2004
COLIN CROUCH
Il New Labour può
essere letto come
spostamento da un
partito a misura di
democrazia a uno pronto
per la postdemocrazia
Postdemocrazia
2003
‘‘
,,
Per l’Italia della seconda metà
degli anni Novanta la scelta
di Blair è insieme affascinante e
ambigua. Suggestiva soprattutto
per i postcomunisti
PROPAGANDA
Qui sopra, a sinistra, un manifesto elettorale contro
Blair. A destra, la firma del premier. Al centro,
un ritratto ufficiale del pittore John Anthony
GLI AUTORI
I DIARI ONLINE
Il testo del Sillabario di Zygmunt Bauman
è tratto da La società sotto assedio, (Laterza).
Timothy Garton Ash, storico, insegna a
O x f o r d .
Anthony Giddens, è sociologo uno dei principali consiglieri di Tony Blair
Tutti i numeri
del “Diario” di
Repubblica sono consultabili
in Rete al sito
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New Labour indicava come bersaglio la povertà (e a seguire lo squilibrio di potere e la discriminazione
di genere).
Ci voleva poco quindi per classificare Blair come un astuto manipolatore di concetti sradicati dalla storia della sinistra. Il vessillifero di un
thatcherismo senza Thatcher, capace di sostituire alla durezza ideologica della Lady di Ferro il proprio
pragmatismo, senza principi che
non fossero quelli attinenti alle necessità imposte dalla “modernizzazione”. Va detto che sul versante italiano ha giocato contro Blair anche
una certa corrività vacanziera con Silvio
Berlusconi: un rapporto su cui si staglia
la passeggiata a Porto
Rotondo dell’agosto
2004, con le foto del
premier italiano nel
“bandana look” di quella strana estate e dei due
Blair un po’ troppo divertiti da quello strappo
all’ufficialità.
Folclore. Ma si sa che le
sintonie politiche dipendono anche dalle simpatie. E la familiarità fra Berlusconi e Blair si è aggiunta
come uno sfregio, per la sinistra, all’universo simbolico e programmatico del
New Labour. Perché Blair ha
continuato a sostenere che la
modernizzazione laburista si
fonda sui «nostri valori di fondo, la
giustizia sociale, la solidarietà, la ricerca di maggiori opportunità e
maggiore prosperità per tutti». Ma
per la sinistra tradizionale si trattava di chiacchiere senza costrutto:
una patina di belle parole per giustificare una politica economica dalla
evidente impostazione monetarista e neoliberista.
Il distacco è diventato abissale nel
momento in cui Blair si è schierato al
fianco di George W. Bush nella campagna di preparazione dell’intervento americano contro Saddam
Hussein e successivamente nell’invasione irachena, ossia quando gli
interessi geopolitica britannici hanno seguito un’orbita lontanissima
da quella continentale.
Ma adesso che è stato varato il
partito democratico, e che si vedono effettivamente nel panorama
politico italiano “due sinistre”, una
tendenzialmente moderata e l’altra
più incline al radicalismo, è probabile che la sintesi blairiana, una modernizzazione fatta di liberalizzazioni e di incentivo keynesiano al
migliore funzionamento dei mercati, torni a essere un riferimento
obbligato.
E non soltanto perché c’è effettivamente un flusso di comunicazione anche generazionale con personalità di cultura non socialista come Francesco Rutelli, o perché la
compassionevole visione sociale di
Walter Veltroni non è dissimile da
quella blairiana («Magari soltanto
perché abbiamo frequentato gli
stessi libri», come disse dieci anni fa
il sindaco di Roma). Piuttosto, per la
ragione che una sinistra “moderna”
deve fare i conti con il merito come
criterio e strumento per garantire
un’uguaglianza effettiva, con l’istruzione e la conoscenza come fattori di crescita economica e di promozione sociale, con la competizione interna per essere in grado di
affrontare la concorrenza esterna.
Insomma, anche il partito democratico che verrà, per non essere il
“compromesso storico bonsai”, dovrà fare i conti con il decennio di
Tony Blair.
I LIBRI
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BOBBIO
Destra e
sinistra.
Donzelli 1994
L’età dei
diritti,
Einaudi 1990
TIMOTHY
GARTON
ASH
Free World,
Mondadori
2006
ANDREA
ROMANO
The Boy.
Tony Blair e
i destini
della sinistra,
Mondadori
2005
AA.VV
Il concetto di
sinistra,
Bompiani
1982 (con
scritti di
Cacciari,
Flores
D’Arcais,
Vattimo)
G. BOSETTI
(a cura di),
Sinistra
punto zero,
Donzelli 1993
(con saggi di
Bobbio,
Rorty,
Darhendorf)
ALAIN
CAILLÉ
Trenta tesi
per la sinistra
(a cura di
Carlo Grassi),
Donzelli 1997
PETER
MANDELSON
The Blair
Revolution,
Faber and
Faber 1996
RICHARD
RORTY
Una sinistra
per il
prossimo
secolo,
Garzanti
1999
JON SOPEL
Tony Blair:
the
moderniser,
Bantham
Books 1995
Repubblica Nazionale
Fondatore Eugenio Scalfari
ALVOHXEBbahaajA CVDEDIDQDL
Anno 32 - Numero 100
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BASTATO un incontro alla
Prefettura di Milano tra
Romano Prodi e Umberto
Bossi per evocare il patto col diavolo. Ma il punto buffo e niente affatto rassicurante di questo richiamo
faustiano è che ciascuno dei due interlocutori ritiene che l’altro sia
Mefistofele. E dunque procede con
il rischioso baratto.
SEGUE A PAGINA 4
E’
TIMOTHY GARTON ASH
UMBERTO ROSSO
A PAGINA 17
Umberto Bossi
BEI, MAROZZI, PASSALACQUA e TITO ALLE PAGINE 2, 3 e 4
Il ministro Lavrov alla Nato: congeliamo il Trattato. Usa, Camera e Senato: truppe a casa entro 11 mesi. Il presidente porrà il veto
Scudospaziale,sfidadiPutin
Mosca ferma il disarmo. Iraq, il Congresso vota contro Bush
SEMPRE PIÙ
SIMILE ALL’URSS
SANDRO VIOLA
ON erano trascorse ventiquattr’ore dal funerale
di Eltsin, e Vladimir Putin, nel suo discorso di ieri sullo
stato della nazione, ha reso
chiara come non mai la differenza che c’è tra la sua Russia e
quella degli anni di Eltsin. Differenza nel linguaggio, dunque
nella mentalità: da cui si può
concludere, senza troppo forzare, che la Russia di Putin somiglia all’Unione Sovietica assai
più di quanto le somigliasse la
Russia degli anni di Eltsin. Basta
infatti guardare ad uno degli
scorci più significativi del discorso, lì dove Putin ha affermato che dietro le manifestazioni
di dissenso avvenute una decina di giorni fa nelle strade di Mosca e San Pietroburgo, ci sono il
braccio e i soldi dello straniero.
Di governi, è vero, non nominati. Ma che per Putin e i membri
del Parlamento levatisi in piedi
ad applaudirlo, altro non sono
che governi dell’Occidente.
SEGUE A PAGINA 26
N
a Downing
Street”
ROMA — Putin ha deciso di congelare
il trattato sullo scudo spaziale, che prevede la riduzione della armi convenzionali in Europa, confermando quanto annunciato dal ministro Lavrov alla
Nato. Mosca così ferma il disarmo. Intanto negli Usa il Congresso vota contro Bush, fissando il rientro delle truppe dall’Iraq entro 11 mesi. Il presidente degli Stati Uniti ora porrà il veto.
BONANNI, COEN, NIGRO e
ZAMPAGLIONE
DA PAGINA 6 A PAGINA 10
Gino Strada:“Torneremo se Hanefi sarà liberato”
Strasburgo vota a larghissima maggioranza
Emergency chiude
gli ospedali afgani
Kabul: “Restate”
L’Europarlamento
“Il mondo cancelli
la pena di morte”
LE IDEE
L’occasione perduta
dopo l’11 settembre
BARACK OBAMA
A REPUTAZIONE dell’America ha
molto sofferto nel mondo. La guerra
in Iraq ci è costata in termini di vite
umane e di finanze, d’influenza e di rispetto. Alcuni ipotizzano persino che l’era dell’America sia tramontata. Però viaggiando
di recente ho scoperto molte cose: in un
vecchio edificio in Ucraina ho visto provette piene di antrace e del virus della peste abbandonate e prive di alcun controllo: pericoli che, mi ripetevano, potevano essere
sventati soltanto con l’aiuto dell’America.
SEGUE A PAGINA 11
L
CAFERRI e DUSI
CADALANU e D’ARGENIO
ALLE PAGINE 12 e 13
con un commento di CASSESE A PAGINA 15
ONY BLAIR irrompe nel
giardino del numero 10 di
Downing Street, con l’aria
di chi è pronto a restare altri dieci
anni. Dice che si sta godendo le
ultime settimane in carica e che è
«attivo più che mai». Il primo ministro uscente appare pieno di vigore, di energia mentale e di quel
desiderio quasi compulsivo di
convincere che condivide con Nicolas Sarkozy. All’approssimarsi
del decimo anniversario del suo
trasferimento a Downing Street,
mercoledì prossimo, e dell’annuncio del calendario per il suo
ritiro, parla del decennio in cui ha
improntato la politica estera britannica con una disinvoltura e
una franchezza mai manifestate
in precedenza nel suo mandato,
almeno non nei discorsi ufficiali.
Gli chiedo di elencare i suoi tre
maggiori successi e i tre peggiori
insuccessi in politica estera. Non
ci sta. «No, questa cosa dei successi e degli insuccessi la lascio a
voi», intendendo presumibilmente storici e giornalisti. Dirà
però di che cosa va fiero: di aver
sviluppato un approccio strategico alla politica estera britannica
basato su un insieme di hard e soft
power, e su forti alleanze sia con
l’Europa che con gli Stati Uniti.
Durante il suo governo la Gran
Bretagna ha avuto parte significativa in azioni di hard power,
fosse destituire i Taliban, o rimuovere Saddam, in Kosovo
piuttosto che in Sierra Leone. Lo
stesso ha fatto in ambiti di soft
power, come l’Africa e il cambiamento climatico, e resta protagonista sulla maggior parte dei
grandi temi, siano essi il Sudan, i
negoziati sul commercio mondiale o l’Iran. La Gran Bretagna è
un Paese di soli 60 milioni di abitanti in uno «spazio geografico
relativamente ristretto», quindi
«deve far valere il proprio peso e la
propria influenza per il tramite
delle sue alleanze ».
SEGUE A PAGINA 51
BERSELLI e GIDDENS
ALLE PAGINE 52 e 53
T
INCHIESTA
IL CASO
I nuovi adolescenti. Individualisti, vivono “connessi” alla Rete
Allevatori “pentiti” cercano di alleviare la tortura delle oche
Internet, blog e pochi libri
è la generazione digitale
Se il foie gras diventa
politicamente corretto
L’indagine sull’asilo degli orrori
Il gip: credibili
le testimonianze
dei bambini
sui pedofili
BONINI, LIGUORI e ISMAN
ALLE PAGINE 18 e 19
MARIA NOVELLA DE LUCA
ONNESSI. Sempre. Come se il tempo e lo spazio
non esistessero. Pronti a
dirsi «ciao» sotto casa e a ritrovarsi un minuto dopo a chattare su Messenger, mentre il
cellulare vibra in tasca e l’iPod
in cuffia impermeabilizza da
ogni disturbo esterno. Sono
nati all’inizio degli anni Novanta, quando il mondo
mandava in pezzi le ultime
ideologie.
SEGUE
ALLE PAGINE 24 e 25
C
dal nostro corrispondente
MARIO CALABRESI
NEW YORK
A CORSA è contro il tempo, partecipano allevatori e ristoratori americani
che vogliono salvare le loro produzioni e i loro menu. Spettatori interessati i palati raffinati su
una gradinata, gli attivisti per i
diritti degli animali sull’altra.
L’obiettivo? Fare il foie gras in
modo “più umano”. Difficile.
SEGUE A PAGINA 23
con un commento
di CARLO PETRINI
L
REPUBBLICA
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