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Internazionale 8-14 Maggio

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Internazionale 8-14 Maggio
9 7 7 112 2 2 83008
n. 1101 • anno 22
Katha Pollitt
Charlie Hebdo
merita quel premio
internazionale.it
Libia
Tra gli scafisti
di Zuwara
3,00 €
Stati Uniti
Le scuole di Baltimora
tolgono la speranza
PI, SPED IN AP, DL 353/03 ART 1, 1 DCB VR
de 7,00 € • be 6,00 € • ch 6,00 CHF • uk 4,4 £
51101
8/14 maggio 2015
Ogni settimana
il meglio dei giornali
di tutto il mondo
Curarsi con gli allucinogeni
Nelle università statunitensi sono ripresi gli studi sulle sostanze
psichedeliche, con risultati sorprendenti
8/14 maggio 2015 • Numero 1101 • Anno 22
Sommario
“I dittatori dormono male, hanno il sonno agitato, si alzano
tardissimo, fanno le cose a orari strampalati”
ANtoNio muñoz moliNA, pAgiNA
iN copertiNA
La settimana
Terapia psichedelica
consigli
Nelle università statunitensi sono ripresi gli studi sulle sostanze
allucinogene, con risultati sorprendenti (p. 40). Illustrazione di
Séverin Millet, lettering di Mariona Alegre.
Giovanni De Mauro
europA
18 Polonia
Wprost
AfricA e medio
orieNte
20 Arabia Saudita
Al Monitor
22 Democrazia
nel mondo arabo
Bitácora
AsiA e pAcifico
24 Nepal
Nepali Times
26 Indonesia
Financial Times
Americhe
28 Stati Uniti
The New York Times
visti dAgli Altri
30 I migranti africani
32
sognano
il Nordeuropa
The New York Times
Le architetture
dell’Expo
Le Monde
cAmbogiA
50 Social shopping
Brand Eins
stAti uNiti
52 Le scuole
di Baltimora
tolgono la speranza
Aeon
libiA
58 Tra gli scaisti
tecNologiA
101 I cartograi digitali
di Zuwara
The Guardian
aiutano il Nepal
The Atlantic
portfolio
ecoNomiA
e lAvoro
64 Bambine madri
Stephanie Sinclair
102 Grecia
Ivory Tower
ritrAtti
70 Mamoun Eltlib
Brownbook
cultura
viAggi
78
Cinema, libri,
musica, arte
Financial Times
Le opinioni
72 Bhutan
grAphic
JourNAlism
74 Cartoline dalla
Jugoslavia
(via Vienna)
Aleksandar Zograf
culturA
77 Il premio
23
Amira Hass
36
Katha Pollitt
38
Rami Khouri
80
Gofredo Foi
82
Giuliano Milani
84
Pier Andrea Canei
86
Christian Caujolle
94
Tullio De Mauro
della discordia
The Guardian
POP
90 La fame
Martín Caparrós
93 Il tiranno cineilo
Antonio Muñoz
Molina
le rubriche
14
Posta
17
Editoriali
104 Strisce
105 L’oroscopo
scieNzA
96 Ingegneria
genetica
New Scientist
Articoli in formato
mp3 per gli abbonati
le principali fonti di questo numero
Aeon È un magazine online britannico di idee e cultura. L’articolo a pagina 52 è uscito il 27 aprile 2015 con il titolo School of failure. Brand Eins È un mensile
economico tedesco, fondato nel 1999. L’articolo a pagina 50 è uscito ad aprile del 2015 con il titolo Heimvorteil. Brownbook È un bimestrale di cultura
fondato negli Emirati Arabi Uniti. L’articolo a pagina 70 è uscito il 12 febbraio 2015 con il titolo “Where are the libraries?” The literary radical ighting Sudan’s
crackdowns. Financial Times È un quotidiano economico di Londra. L’articolo a pagina 72 è uscito il 10 aprile 2015 con il titolo A dragon’s eye view: hot-air
ballooning in Bhutan. Le Monde È un quotidiano francese progressista. L’articolo a pagina 32 è uscito il 5 maggio 2015 con il titolo Les
multinationales battent pavillon à l’Expo universelle. Wprost È un settimanale polacco di politica ed economia, fondato nel 1982. L’articolo a
pagina 18 è uscito il 3 maggio 2015 con il titolo Blef zamiast wyborów. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
7
internazionale.it/sommario
Due modi di deinire il giornalismo,
diversi ma forse complementari.
Margaret Sullivan è la public editor
del New York Times: risponde alle
domande dei lettori sulle scelte del
giornale, ma lavora fuori dalla redazione
e le sue opinioni sono personali. Ha
riassunto in 395 parole quello che pensa
del giornalismo, sotto forma di consigli
agli studenti. Eccone alcuni.
Correggi e ammetti gli errori subito.
Il mix ideale è: 20 per cento divertente,
80 per cento serio. Non cercare
scorciatoie. Chiedi consiglio a persone
brave. Pensa più alla correttezza che
all’obiettività. Sii rigoroso. Veriica i fatti
spietatamente. Sii aggressivo: un
giornalista passivo non è un vero
giornalista. Non essere mai noioso: sii
coinvolgente e chiaro, soprattutto quando
l’argomento è complicato o diicile.
Laurie Penny, invece, è una columnist del
settimanale britannico New Statesman,
femminista, impegnata politicamente.
Ha scritto trenta consigli a un giovane
giornalista. Fatti sempre pagare.
Racconta le storie che interessano a te.
Fai capire chiaramente quali sono le tue
convinzioni e i tuoi pregiudizi, mettili
sempre in discussione. Impara dai
migliori. Scrivi e parla con la tua voce.
Costruisci rapporti con altri giornalisti, la
collaborazione è più importante della
competizione. Racconta le storie di cui
nessuno parla. Non leggere i commenti
online. Proponi, proponi e continua a
proporre. Tieni duro. u
Immagini
Aiuti dal cielo
Charikot, Nepal
30 aprile 2015
Gli abitanti di Charikot, nel nordest del
Nepal, guardano gli elicotteri che hanno portato viveri e generi di prima necessità dopo il terremoto di magnitudo
7,8 che ha colpito il paese il 25 aprile. In
Nepal sono arrivate squadre di soccorso e aiuti da molti paesi. Terminata la
ricerca dei superstiti, adesso gli sforzi
sono concentrati sull’assistenza sanitaria. Foto di Daniel Berehulak (The New
York Times/Contrasto)
Immagini
Buco nero
Sanaa, Yemen
29 aprile 2015
Un cratere provocato dai bombardamenti aerei sauditi nell’aeroporto della
capitale controllata dai ribelli sciiti houthi. Le operazioni militari della coalizione guidata da Riyadh per fermare
l’avanzata dei ribelli e dei loro alleati, i
militari rimasti fedeli all’ex presidente
Ali Abdullah Saleh, sono cominciate il
26 marzo. Il 5 maggio e il 6 maggio i ribelli houthi hanno lanciato colpi di mortaio al conine con l’Arabia Saudita, uccidendo otto persone a Najran. Come
rappresaglia la coalizione ha efettuato
almeno trenta raid lungo il conine nordoccidentale, causando decine di vittime. Secondo le Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto sono morte almeno
1.200 persone. Foto di Hani Mohammed
(Ap/Ansa)
Immagini
Primo maggio turco
Ankara, Turchia
1 maggio 2015
Il corteo per il primo maggio ad Ankara.
I manifestanti portano ritratti di leader
del sessantotto turco. Nella capitale turca la manifestazione si è svolta senza
incidenti. A Istanbul, invece, ci sono
stati violenti scontri tra la polizia e i dimostranti, scesi in piazza per protestare
contro il governo del presidente Recep
Tayyip Erdoğan, ritenuto autoritario e
repressivo. Negli scontri a piazza Taksim, il luogo simbolo delle proteste
dell’estate 2013, ci sono stati almeno 24
feriti. Gli agenti hanno arrestato 140
persone. Foto di Adem Altan (Afp/Getty
Images)
[email protected]
Atlantide russa
u Mi ha molto colpito l’articolo
“Atlantide russa” (Internazionale 1099). La storia presenta molte analogie con quanto successo
all’epoca del fascismo al villaggio walser di Agaro, in provincia
di Verbania. Come Mologa, anche Agaro nel 1938 (dopo circa
sette secoli di esistenza) fu “sacriicato” per costruire il bacino
di alimentazione di un impianto
idroelettrico. Fu la ine della storia travagliata del centro abitato
più alto dell’Ossola, costruito
dai coloni di etnia walser, più
volte distrutto dalle valanghe e
sempre ricostruito. Secondo i
racconti dei vecchi, gli ultimi irriducibili se ne andarono dalle
loro case quando l’acqua arrivava ormai al terzo gradino.
Anna Mader
Il maestro che vorrei
u Una volta ero dentro NotreDame a Parigi, mi trovavo
nell’abside. Tre giovani insegnanti stavano guidando un
gruppo di bambini che potevano
avere 6-8 anni. Per raccontare la
storia della cattedrale e delle
opere che conteneva, li avevano
fatti sedere in terra e lì sul posto
avevano messo in scena le vicende che raccontavano, come
in un piccolo teatro. I bimbi seguivano e non ce n’era uno che
si distraesse. Penso che la vera
essenza dell’insegnare consista
in questo: far nascere e coltivare
la curiosità e, parallelamente,
far nascere e coltivare il valore
del dubbio.
Marco Schiattareggia
Reportage da Kobane
u Vi ringrazio per avermi fatto
conoscere Zerocalcare attraverso il reportage su Kobane. Ho
appena comprato il suo ultimo
libro e sono felicissima!
Marta Russo
Sala d’attesa
u Ho cominciato a portare le
copie di Internazionale che avevo già letto nella sala d’attesa
dell’ambulatorio in cui lavoro: le
persone leggono Internazionale
e, se prima erano solo i telefonini a fare da passatempo, ora più
d’uno legge, anziani, adulti e ragazzini. Quando la pila di copie
si assottiglia (qualcuno chiede
di portare via un numero che
stava leggendo) ne porto altre.
Questo dimostra come, con poco, si possano difondere informazione e buone letture.
Valeria Moschese
u Nel numero 1100, nel portfolio a pagina 64, la cantante dei
dischi di Agathe è Mercedes Sosa, non Sosa Mercedes; nella rubrica di Tullio De Mauro a pagina 96, in ottobre a Bastia Umbra
non si terrà il congresso del Movimento di cooperazione educativa, ma il quinto incontro nazionale della Rete di cooperazione educativa. Nel numero
1099, nell’articolo a pagina 56
su Nayipidaw, la capitale birmana, il parco misura 165 acri (circa
67 ettari), non ottomila metri
quadri.
Errori da segnalare?
[email protected]
PER CONTATTARE LA REDAZIONE
Telefono 06 441 7301
Fax 06 4425 2718
Posta via Volturno 58, 00185 Roma
Email [email protected]
Cuccioli senza tasto of
Immagina la scena: io e la mia
famiglia siamo di ritorno da
un lungo viaggio, dopo ore di
tentativi ho inalmente avuto
la meglio sul fuso orario e i
miei tre igli si sono addormentati. È mezzanotte passata, mi si chiudono gli occhi
dalla stanchezza ma non posso andare a dormire: devo prima scoprire come far stare
zitto Furby. Furby – visto che
14
non siete ancora genitori potreste non saperlo – è un peluche elettronico a metà strada
tra una civetta e un Gremlin,
che interagisce con l’ambiente circostante. Dopo aver cercato invano un tasto of mentre quello strano animale mi
sghignazza tra le mani, mi rivolgo a Google: “Come si spegne Furby?”. Il verdetto mi
devasta: “Furby non può essere spento”, leggo sul sito del
produttore, “ma si può facilmente far addormentare in
questi due semplici modi”.
No, aspetta un attimo: vuol
dire che dopo aver lottato con
tre piccoli indemoniati, ora
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Domenico Starnone
Sbalzi
beneici
Errata corrige
Dear Daddy Claudio Rossi Marcelli
Siamo in attesa della prima
bimba e ci è venuta una
pazza idea: se prendessimo anche la nostra prima
cagnetta, per farle crescere
insieme?–Daniela
Parole
devo addormentare anche
Furby? Ecco, questo è quello
che succede con un peluche.
Passando al cane: più che una
pazza idea la vostra mi sembra un’idea folle. Non potreste aspettare ancora un po’?
Non siete ancora esperti di
neonati e non siete ancora
esperti di cani, e secondo me
non è il caso di cominciare le
due cose contemporaneamente. Vostra iglia sarà una
gioia enorme e anche una fatica enorme, e una cagnolina
da addestrare non è dotata di
tasto of.
[email protected]
u Qualche tempo fa un giornalista, alla radio, si è adombrato perché alcuni ascoltatori
mandavano sms col testo tutto
in maiuscole. Sembra che gridiate, ha detto infastidito, e si
è capito che in quella graia
VEDEVA la maleducazione di
chi in treno sta sempre al cellulare difondendo a voce alta
i fatti suoi. Sì, ho scritto VEDEVA, ma giuro che non l’ho
fatto per inoculare un urlo nel
vocabolo. Volevo solo mettere
in rilievo il ruolo dello sguardo
nella lettura, desideravo ricordare a me stesso che la silata
delle lettere e delle loro combinazioni è una messinscena
complicata. Mentre il lettore
tiene dietro al corteo dei segni, la parola scritta si aferra
come può ai suoni dell’oralità
e subito si muovono nel cervello conigurazioni e afetti
ed efetti d’ogni tipo. Grosso
modo è così che leggiamo. E
più abbiamo familiarità con la
lettura, più andiamo spediti,
da 300 a 900 parole al minuto. Ma attenzione, l’eccesso di
familiarità tende a ottunderci.
Piano piano le parole non ci
fanno più impressione, anzi
diventano uno spettacolo abusato quasi come la folla di immagini in tv. Quindi – chissà –
gli sbalzi graici potrebbero
giovarci. Costringerebbero
noi lettori abili a incepparci, a
guardare con più attenzione
vocaboli come: IngIUsTiziA,
sfRutTAmENto, DisuGUAgliaNZa, gUeRRa, paCe, TragIcI faTTi, soFfEReNzA, fAMe, SetE, sterMINIO, tOrTuRa, maFiE, BASTA.
Editoriali
Contro tutte le condanne a morte
“Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio,
di quante se ne sognano nella vostra ilosoia”
William Shakespeare, Amleto
Direttore Giovanni De Mauro
Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen,
Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini
Editor Carlo Ciurlo (viaggi, visti dagli altri),
Gabriele Crescente (opinioni), Camilla Desideri
(America Latina), Simon Dunaway (attualità),
Alessandro Lubello (economia), Alessio
Marchionna (Stati Uniti), Andrea Pipino
(Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio
Oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero
Zardo (cultura, caposervizio)
Copy editor Giovanna Chioini (web,
caposervizio), Anna Franchin, Pierfrancesco
Romano (coordinamento, caposervizio),
Giulia Zoli
Photo editor Giovanna D’Ascenzi (web), Mélissa
Jollivet, Maysa Moroni, Rosy Santella (web)
Impaginazione Pasquale Cavorsi (caposervizio),
Valeria Quadri, Marta Russo
Web Giovanni Ansaldo, Annalisa Camilli,
Donata Columbro, Francesca Gnetti, Stefania
Mascetti (caposervizio), Stella Prudente, Martina
Recchiuti (caposervizio), Giuseppe Rizzo
Internazionale a Ferrara Luisa Cifolilli,
Alberto Emiletti
Segreteria Teresa Censini, Monica Paolucci,
Angelo Sellitto Correzione di bozze Sara
Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori
sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli.
Marina Astrologo, Stefania De Franco, Andrea
De Ritis, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano,
Dario Prola, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini,
Irene Sorrentino, Andrea Sparacino, Bruna
Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei
columnist sono di Scott Menchin Progetto
graico Mark Porter Hanno collaborato Gian
Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille,
Catherine Cornet, China Files, Sergio Fant,
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Pusterla, Marc Saghié, Andreana Saint Amour,
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Guido Vitiello
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(presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot
(vicepresidente), Alessandro Spaventa
(amministratore delegato), Antonio Abete,
Emanuele Bevilacqua, Giovanni De Mauro,
Giovanni Lo Storto
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Direttore responsabile Giovanni De Mauro
Chiuso in redazione alle 20 di mercoledì
6 maggio 2015
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Imbustato in Mater-Bi
The Guardian, Regno Unito
Abbiamo sentito molto parlare di Andrew Chan
e Myuran Sukumaran, i due cittadini australiani
condannati per traico di stupefacenti in Indonesia; del loro pentimento negli anni trascorsi in
carcere e della loro fucilazione avvenuta il 29
aprile nonostante le proteste internazionali. Alcuni potrebbero trovare irritante quella che può
sembrare un’indignazione selettiva dell’occidente. Solo pochi sanno il nome degli indonesiani,
brasiliani e nigeriani che sono stati uccisi insieme
ai due australiani e ancora meno conoscono
l’identità delle 607 vittime di esecuzioni capitali
registrate nel 2014 in tutto il mondo da Amnesty
international. Probabilmente i numeri reali sono
molto più alti. Secondo Amnesty, la Cina ha eseguito più condanne a morte di tutto il resto del
mondo messo insieme, ma tratta questi dati come segreti di stato.
Jakarta è anche colpevole di applicare un doppio standard. Mentre il presidente Joko Widodo
insiste sulla necessità di afrontare con la massima durezza “l’emergenza nazionale” della droga, il governo indonesiano chiede clemenza per i
suoi cittadini rinchiusi nel braccio della morte
all’estero.
Nel mondo la pena di morte è in declino. Nel
1977 solo sedici stati o territori l’avevano abolita
nei codici o nella pratica. Ma lo scorso marzo le
isole Fiji sono state il 99° paese ad abolirla per
tutti i reati. Altri sei stati la riservano solo a casi
eccezionali e 35 non la applicano da almeno dieci
anni. All’assemblea generale delle Nazioni Unite
c’è un sostegno crescente all’ipotesi di una moratoria internazionale. Tuttavia la Cina, l’Iran,
l’Arabia Saudita, l’Iraq e gli Stati Uniti continuano a imporre la condanna a morte a un numero
consistente di detenuti. L’Indonesia è tra i diversi
paesi che hanno ripreso le esecuzioni capitali dopo una moratoria di fatto.
A quanto pare, Widodo segue una logica politica e nazionale. Un presidente debole, in guerra
perino con alcune fazioni del suo partito, cerca
di migliorare la sua immagine all’interno del paese riiutandosi di cedere alle pressioni internazionali. È probabile, quindi, che assisteremo ad altre
esecuzioni capitali. Ma prendersela solo con Jakarta potrebbe rivelarsi controproducente. Il
punto non è che gli stati dovrebbero risparmiare
chi si è pentito o i cittadini stranieri, e neanche
che dovrebbero evitare metodi come la fucilazione, la lapidazione e l’iniezione di farmaci non
sperimentati. Come ha dichiarato il segretario
generale dell’Onu, Ban Ki-moon, il punto è che
togliere la vita a chiunque è ingiusto e incompatibile con i diritti fondamentali dell’essere umano.
Chi critica l’Indonesia oggi dovrebbe fare pressione anche su stati potenti come gli Stati Uniti,
la Cina e il Giappone ainché risparmino la vita
ai loro connazionali. Il primo ministro australiano Tony Abbott ha deinito l’uccisione di Chan e
Sukumaran “crudele e inutile”. Lo stesso si può e
si deve dire di tutte le esecuzioni capitali. u fp
La commedia dei Le Pen
Laurent Jofrin, Libération, Francia
Gli Atridi? Re Lear? Non saprei. La zufa tragicomica che dilania i Le Pen rallegrerà di sicuro i
loro avversari. Certo, questo vaudeville shakespeariano in cui si mescolano rancori covati a
lungo e bufonate scioviniste solleva dei dubbi
sulla capacità di entrambi i suoi protagonisti di
riuscire un giorno a governare.
Magari l’accantonamento del vecchio capo,
Jean-Marie, che riesce a nuocere ancora molto,
potrebbe scoraggiare qualche elettore del Front
national (Fn). Ma si commetterebbe un grosso
errore se si puntasse su questo episodio per
smettere di considerare un pericolo l’Fn. Al contrario. Marine Le Pen sa quel che fa: rompendo
in modo così teatrale con il padre ha accentuato
la svolta strategica avviata già diversi anni fa.
Come fate a dipingermi come il diavolo, dirà,
quando io stessa ho tagliato i ponti con il diavolo?
E dato che questa separazione è pubblica, spettacolare e melodrammatica, gran parte dell’opinione pubblica le crederà.
Di cosa si tratta in realtà? L’Fn ha attenuato il
suo antisemitismo solo perché ha cambiato capro espiatorio. Non sono più gli ebrei ad alimentarne l’ostilità, ma gli arabi o, più precisamente,
i musulmani. La messa al bando del fondatore è
un gesto forte, ma il programma dell’Fn è lo stesso, cioè imputare le diicoltà del paese a una minoranza da escludere e spingere per una rottura
con l’Europa, che isolerebbe la Francia e la sua
economia. Le tragicommedie possono far ridere.
Ma non bisogna prenderle per oro colato. u gim
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
17
Europa
Andrzej Duda con la moglie a Varsavia, il 7 febbraio 2015
no ai candidati alla presidenza di restituirgli
la capacità di essere soggetti politici. Che
non possa essere Komorowski a farlo è evidente: lui e il suo partito oggi sono i principali beneiciari di questo sistema. Per loro
l’emigrazione non è un problema, ma una
specie di valvola di sfogo che serve a prevenire la rivolta sociale. Stupisce, invece, che
queste esigenze non siano state sottolineate neanche da Duda, che dovrebbe essere
più sensibile alla necessità di guarire il paese restituendo ai cittadini la loro libertà.
ALIK KePLICz (AP/AnSA)
Referendum e maggioritario
Le presidenziali in Polonia
nel segno della continuità
Mariusz Staniszewski, Wprost, Polonia
Il 10 maggio i polacchi
sceglieranno il nuovo presidente.
Ma né Bronisław Komorowski né
Andrzej Duda, i due candidati
favoriti, daranno al paese il
cambiamento di cui ha bisogno
essuno dei due candidati favoriti alle elezioni presidenziali, il
cui primo turno si terrà il 10
maggio, ha presentato ai polacche una diagnosi dei problemi del paese o
una possibile soluzione. Paradossalmente
una igura migliore l’hanno fatta i candidati
che non hanno nessuna possibilità di arrivare al ballottaggio. Bronisław Komorowski, presidente uscente e in testa ai sondaggi, ha cercato di convincere gli elettori che
la Polonia è un paese vincente e che lui è il
garante di questa nuova età dell’oro. Gli ha
fatto credere che chi chiede cambiamenti è
un pericoloso radicale. Secondo Komorowski, che si presenta come candidato indipendente ma è sostenuto dal partito di governo Piattaforma civica, solo la continuità
permetterà al paese di conservare il benessere acquisito negli ultimi venticinque anni.
N
18
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Il suo principale avversario, Andrzej Duda,
del partito conservatore Diritto e giustizia,
ha descritto in modo abbastanza corretto i
problemi dello stato polacco – come la tendenza all’oligarchia, l’indifferenza verso
l’opinione pubblica e il continuo peggioramento dei servizi pubblici – ma non ha presentato nessun programma costruttivo. La
campagna elettorale ha anche mostrato che
né Komorowski né Duda sono in grado di
alzare il livello del dibattito politico. Il confronto non può ridursi alle liti sulle responsabilità nella strage di Smolensk del 2010
o alla ridicolizzazione dell’avversario per i
suoi lapsus linguistici.
I candidati principali alla presidenza
sembrano non capire che, a venticinque anni dalla caduta del comunismo, i polacchi
percepiscono le continue intrusioni dello
stato nella loro vita, per esempio con l’imposizione di un certo modello educativo,
come minacce alla libertà dei cittadini. I
polacchi si sentono sempre più stranieri nel
loro paese perché il governo che hanno
scelto si sta trasformando in un centro di
potere che colonizza il resto della società.
Lo stato che dovrebbe servire la nazione
diventa così un tiranno egemone.
In questa situazione, i cittadini chiedo-
Di richieste simili, comunque, in campagna
elettorale si è parlato. A farlo sono stati soprattutto i cosiddetti candidati dell’antipolitica, che hanno saputo cavalcare l’ondata
di protesta che montava nella società. Anche se al primo turno non avranno più del 15
per cento dei voti, al ballottaggio potrebbero essere proprio loro a decidere chi sarà il
prossimo presidente polacco. Tra questi c’è
il cantante e attore Paweł Kukiz, la cui campagna elettorale, dalla raccolta delle irme
ino all’aissione dei manifesti e all’organizzazione degli incontri, è organizzata da
volontari. Kukiz ha mobilitato migliaia di
persone con parole d’ordine molto semplici: lotta alla partitocrazia e introduzione dei
collegi uninominali, grazie ai quali, secondo Kukiz, i politici potranno essere giudicati singolarmente per il loro operato.
Il ballottaggio sarà deciso anche dagli
elettori di Janusz Korwin-Mikke. Tra le proposte del candidato di destra le più importanti riguardano i limiti all’ingerenza dello
stato nella vita dei cittadini, la riduzione
delle tasse e lo snellimento della burocrazia. Su questi temi Komorowski non ha molto da ofrire, mentre Duda ha già cominciato a corteggiare gli elettori di Korwin-Mikke, promettendo tagli alle tasse sui redditi
bassi. Ma potrebbe non bastare. Di fronte
all’incapacità della classe dirigente di capire i problemi della gente, per inluenzare il
processo decisionale da qualche tempo i
cittadini hanno scelto la strada dei referendum, ma inora non sono stati ascoltati. Per
questo Paweł Tanajno, del piccolo partito
Democrazia diretta, ha raccolto le irme necessarie e si è candidato. Il suo obiettivo è
spingere il governo a convocare votazioni
referendarie su tutti i temi più importanti.
Anche questo è un modo per ricondurre i
politici al ruolo che la democrazia gli ha assegnato. Il primo dei candidati che lo capirà, avrà tutti i numeri per vincere. u dp
Moldova
GERMANIA
Uno scandalo
per Merkel
TOM GAnDOLfInI (AfP/GeTTy IMAGeS)
In cerca del miliardo
“Il Bundesnachrichtendienst
(Bnd), i servizi segreti tedeschi,
ha aiutato la national security
agency (nsa) statunitense a
spiare degli obiettivi in Germania e nel resto d’europa”, scrive
Der Spiegel. “e nonostante le
segnalazioni ricevute negli anni
scorsi, il governo di Berlino non
ha fatto niente per impedirlo”.
Queste operazioni hanno preso
di mira alcune grandi compagnie, tra cui l’azienda costruttrice di aeromobili Airbus, ma anche leader politici e istituzioni
europee. “La cancelliera Angela
Merkel, che è tenuta a coordinare e controllare i servizi, ha chiaramente fallito in questo compito”, osserva il settimanale. “Il
nuovo scandalo sulla collaborazione tra Bnd e nsa è anche un
suo scandalo”.
Chişinău, 3 maggio 2015
SPAGNA
UCRAINA
La tregua
non tiene
Dopo un periodo di relativa calma in Ucraina si torna a morire.
I colpi di artiglieria sul centro di
Donetsk hanno ucciso due persone nella notte tra il 2 e il 3
maggio. Il 5 maggio quattro soldati ucraini sono morti per lo
scoppio di una mina ad Avdiïvka
e altri due in un’imboscata a
horlivka. Il sito Polit.ru scrive
che “la tensione rimane molto
alta” e riferisce che la diplomazia internazionale sta valutando
la possibilità di creare una zona
smilitarizzata sotto il controllo
dell’Osce a est di Mariupol, dove
si combatte ancora.
Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a
Chişinău il 3 maggio per protestare contro la corruzione e
per ottenere chiarimenti sulla sparizione di un miliardo di
dollari dalle casse di alcune banche del paese. All’inizio di
aprile, infatti, la Banca centrale moldava ha scoperto che
tre importanti istituti bancari avevano concesso prestiti
per circa un miliardo di dollari, cioè il 15 per cento del pil
del paese, a destinatari non identiicati. Di quei soldi si
sono perse le tracce: secondo alcune fonti potrebbero
essere initi in banche russe. Come scrive il Jurnal de
Chişinău, la Piattaforma civica per la dignità e la verità,
che ha organizzato il corteo, ha dato al governo due
settimane di tempo per recuperare il denaro, annunciando
una nuova mobilitazione per il 16 maggio. Il premier Chiril
Gaburici ha risposto che “è nell’interesse dell’esecutivo
risolvere la crisi del sistema bancario”. Il 5 maggio, intanto,
è stato reso pubblico il rapporto che aveva sollevato lo
scandalo, realizzato dalla società di veriiche inanziarie
statunitense Kroll, e il giorno dopo è stato arrestato uno
dei più ricchi imprenditori del paese, Ilan Shor. u
FRANCIA
La rete
sotto controllo
L’assemblea nazionale ha approvato il 5 maggio la discussa
riforma dell’intelligence, elaborata sull’onda degli attentati di
Parigi di inizio gennaio. Uno dei
punti più contestati della legge
prevede l’uso di strumenti automatici per il controllo dei metadati (destinatari e origine dei
messaggi, siti web, durata delle
comunicazioni o della connessione) di attività online ritenute
sospette. Queste “scatole nere”
funzioneranno in base a un algoritmo capace di individuare i
proili di persone potenzialmente legate al terrorismo. Secondo Slate la legge, che a giugno dovrà passare al vaglio del
senato e ha già ricevuto molte
critiche, è “il risultato di un incrocio tra Minority report e il
Grande fratello di 1984”.
ROBeRT PRATTA (ReUTeRS/COnTRASTO)
A tre settimane dalle amministrative del 24 maggio, Podemos
ha ricevuto un duro colpo: le dimissioni di Juan Carlos Monedero (nella foto), tra i fondatori e
gli ideologi del partito. “Con la
sua rottura, che è stata pubblica
e violenta, Monedero vuole apparire agli elettori di Podemos
come estraneo a ogni tentativo
di avvicinarsi al potere. Le sue
dimissioni, inoltre, danneggiano il leader del partito, Pablo
Iglesias, ritratto come un opportunista pronto a tutto per arrivare al governo”, scrive El País.
L’addio di Monedero, tuttavia,
non ha mutato i piani del partito
che in campagna elettorale non
ha cambiato strategia.
JAnA ní BhéDeAInn
Tensioni
dentro Podemos
IN BREVE
Francia Il 4 maggio il fondatore
del front national, Jean-Marie
Le Pen, è stato sospeso dal partito, guidato dalla iglia Marine,
dopo alcune afermazioni sulla
shoah e l’immigrazione. (Nella
foto Marine e Jean Marie Le Pen)
Albania Il 30 aprile il parlamento ha approvato una legge
che permette di aprire gli archivi
della polizia segreta comunista
(Sigurimi). Chi vorrà potrà consultare il proprio dossier.
Turchia Un tribunale di Istanbul ha assolto il 29 aprile gli organizzatori delle proteste del
2013 contro il governo guidato
da Recep Tayyip erdoğan.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
19
Africa e Medio Oriente
FAISAL AL NASSEr (rEUTErS/CONTrASTO)
Riyadh, 23 gennaio 2015. Mohammed bin Nayef al funerale del re Abdullah
Cambiamenti ai vertici
del regno saudita
Suo padre, il defunto principe ereditario Nayef, era così reazionario da essere
soprannominato “il principe nero”. Il iglio
è diverso? Mohammed bin Nayef ha studiato in Oregon ed è stato addestrato
dall’Fbi e da Scotland Yard prima di entrare al ministero dell’interno. Presiede il comitato politico e di sicurezza del regno. Gli
attivisti per i diritti umani criticano il suo
ruolo di poliziotto del regno, ma gli esperti
di sicurezza lodano i risultati ottenuti nel
campo dell’antiterrorismo. E il giovane ed
energico Mohammed bin Salman, il volto
della guerra nello Yemen? Oggi è il protagonista di canzoni popolari che ne esaltano
le capacità di comando. A gennaio è diventato ministro della difesa e da allora è apparso spesso in tv, mentre sosteneva lo
sforzo bellico o incontrava i leader stranieri per convincerli ad appoggiare la campagna contro i ribelli houthi iloiraniani. Ma
Mohammed bin Salman è considerato soprattutto un uomo ambizioso, molto vicino
al padre.
La posta in gioco
Bruce Riedel, Al Monitor, Stati Uniti
Il 29 aprile re Salman ha
nominato principe ereditario
il nipote Mohammed bin Nayef
e ha promosso uno dei suoi igli
al terzo posto nella linea di
successione al trono
a decisione improvvisa di re Salman bin Abdulaziz al Saud di
modiicare la linea di successione al trono a favore del iglio ha
fatto nascere molti interrogativi su cosa
succederà all’interno della famiglia reale
saudita. Questi cambiamenti avvengono in
un momento in cui il re sta portando avanti
una politica estera molto aggressiva.
Il 29 aprile Salman ha deposto il principe ereditario, il fratellastro Muqrin, e ha
nominato al suo posto suo nipote Mohammed bin Nayef, che era terzo in linea di
successione. Ha poi fatto avanzare in questa posizione suo figlio Mohammed bin
Salman. Il re ha inoltre sostituito il ministro degli esteri, il principe Saud al Faisal,
con Adel al Jubeir, l’attuale ambasciatore a
Washington, che non fa parte della famiglia reale. Negli Stati Uniti Jubeir ha forte-
L
20
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
mente sostenuto l’intervento saudita nello
Yemen.
Quello che è successo a Muqrin è un
punto chiave. Figlio di una schiava yemenita, è stato sempre considerato la pecora nera della famiglia, ma nessuno ha mai messo
in discussione le sue competenze. Secondo
quanto dichiarato dalla casa reale, Muqrin
avrebbe chiesto di essere sostituito senza
dare spiegazioni. Dal 1902 nessun principe
ereditario aveva mai rinunciato alla posizione. Si stanno facendo varie ipotesi su
quest’allontanamento. Muqrin era un pupillo del defunto re Abdullah, ma non è vicino al ramo Sudairi della famiglia reale (a cui
appartiene Salman), formato dai figli di
Hassa bint Ahmad al Sudairi, la moglie preferita del fondatore del regno.
Il nuovo principe ereditario Mohammed
bin Nayef, 55 anni, è conosciuto soprattutto
per aver impedito ad Al Qaeda di rovesciare
la casa dei Saud una decina di anni fa. Per
quattro anni ha guidato una campagna antiterrorismo che ha decimato i ranghi
dell’organizzazione terroristica nel regno e
ha costretto i superstiti a rifugiarsi nello Yemen. Nel suo duello a distanza con Osama
bin Laden, Mohammed bin Nayef è sopravvissuto ad almeno quattro attentati.
Queste nomine rappresentano dei grandi
cambiamenti negli equilibri di potere tra le
diverse generazioni, in una società che dà
molta importanza all’età e all’esperienza.
Promuovendo il nipote e il iglio, re Salman
sta passando il testimone alle successive
due generazioni di reali.
Nel frattempo nel regno sono state arrestate molte persone per presunti legami
con il gruppo Stato islamico, comprese alcune che sembra stessero progettando un
attacco all’ambasciata statunitense. I sauditi dubitano che Washington abbia per
l’Iraq una soluzione praticabile in grado di
evitare che Teheran resti la potenza dominante nella regione. E sono convinti che gli
Stati Uniti non abbiano una vera strategia
in Siria. Inine si preoccupano della guerra
che stanno combattendo nello Yemen. In
passato i sauditi non avevano mai forzato il
cambiamento politico in un altro paese
servendosi dell’esercito. La guerra nello
Yemen è in parte espressione della rivalità
regionale tra sauditi e iraniani, in parte uno
strascico della primavera araba e in parte
frutto del conlitto tra sunniti e sciiti. Ma
ora è soprattutto la guerra di Salman e del
iglio. E la posta in gioco del conlitto è fondamentale non solo per il futuro dello Yemen, ma anche per quello della casa dei
Saud. I falchi devono ottenere risultati
concreti o perderanno credibilità. u gim
Africa e Medio Oriente
diploma superiore e il 17 per cento una laurea, non è diicile capire come frustrazione
e pessimismo siano sentimenti dominanti
tra gli intervistati. Questo spiega inoltre
perché molti giovani si sentono attratti dalla propaganda del gruppo Stato islamico,
che vuole rovesciare i governi arabi e creare
un califato come all’epoca di Maometto.
Tuttavia alla domanda “qual è il principale problema del mondo arabo?”, il 37 per
cento ha risposto l’espansione del gruppo
Stato islamico e il 32 per cento la minaccia
del terrorismo. Il problema della disoccupazione è stato indicato dal 29 per cento
degli intervistati, e il conlitto tra israeliani
e palestinesi dal 23 per cento .
La minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano è stata indicata solo
dall’8 per cento degli intervistati (smentendo quanto dichiarano i governi arabi), mentre il 17 per cento ritiene che il vero problema sia la mancanza di leader politici e solo
il 15 per cento denuncia l’assenza di democrazia. Le interviste non sono state estese
all’Iran, paese non arabo ma musulmano.
BELAL DArDEr (AP/ANSA)
Sostenitori dei Fratelli musulmani al Cairo, in Egitto, il 25 aprile 2015
I giovani arabi delusi
dalla democrazia
Conlitto interno
Roberto Savio, Bitácora, Uruguay
Dopo le rivolte del 2011 i ragazzi
arabi credevano nel futuro. Ma
un recente sondaggio ha rivelato
che oggi non è più così, perché
temono l’espansione del gruppo
Stato islamico
al 20 gennaio al 12 febbraio del
2015 l’istituto Penn Schoen
Berland ha condotto un sondaggio in tutti i paesi arabi
(tranne la Siria) intervistando 3.500 giovani
tra i 18 e i 24 anni sulla situazione in Medio
Oriente e in Nordafrica. I risultati non riguardano una minoranza marginale, se
consideriamo che il 60 per cento della popolazione araba (circa 200 milioni di persone) ha meno di 25 anni. Dallo studio è emerso che la grande maggioranza dei giovani
arabi non ha iducia nella democrazia.
Dopo le rivolte della primavera araba
nel 2011, il 72 per cento dei giovani credeva
che nella regione ci fossero stati dei progressi. Nel 2013 la percentuale è scesa al 70
per cento, nel 2014 al 54 per cento e oggi è
crollata al 38 per cento. Il 39 per cento dei
giovani arabi è d’accordo con l’afermazio-
D
22
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
ne secondo cui “la democrazia non funzionerà mai nella regione”, il 36 per cento degli
intervistati pensa che potrebbe funzionare,
mentre il restante 25 per cento ha molti dubbi. Le speranze suscitate dalla primavera
araba sono state tradite dal ritorno al potere
dell’esercito, come in Egitto, o dal cieco attaccamento al potere della vecchia classe
dirigente, come nel caso della Siria di
Bashar al Assad. Se a questo si aggiunge che
il 41 per cento dei giovani arabi non ha un
lavoro, e che di questi il 31 per cento ha un
Da sapere
L’opinione dei giovani arabi
Qual è il principale problema del mondo arabo?
Percentuale di risposte
Gruppo Stato islamico
37
Terrorismo
32
Disoccupazione
29
Conlitto tra Israele e Palestina
23
Mancanza di leadership forte
17
Assenza di democrazia
15
Nucleare iraniano
8
Fonte: El País
Nell’islam sunnita è in corso un conlitto: il
wahabismo, una corrente rigorista sunnita
nata in Arabia Saudita (e che oggi è la religione ufficiale della casa regnante dei
Saud), si è diviso tra chi predica il ritorno
alla purezza dei primi tempi e quelli che
vengono considerati dei “petrowahabiti”,
cioè dei corrotti dalla ricchezza generata
dal petrolio. L’Arabia Saudita ha speso in
media 3 miliardi di dollari all’anno per promuovere il wahabismo. Ha costruito in tutto il mondo più di 1.500 moschee, dove predicatori radicali chiedono ai fedeli di tornare all’islam delle origini. Lo studio rivela
che anche per i giovani sunniti il gruppo
Stato islamico e il terrorismo sono le minacce più gravi. Considerato che il sondaggio
dovrebbe rappresentare 200 milioni di persone tra i 18 e i 25 anni, se solo l’1 per cento
di loro cedesse alla chiamata del jihad, si
tratterebbe comunque di un potenziale di
due milioni di persone, e questo suscita forti preoccupazioni. La divisione nell’islam
sunnita è considerata il problema più importante per il futuro del Medio Oriente.
Per l’Europa e per gli Stati Uniti questa dovrebbe essere la prova più evidente del fatto
che il gruppo Stato islamico e il terrorismo
sono prima di tutto un problema interno
all’islam e che intervenire servirà solo a unire gli arabi contro l’invasore. u gim
Israele
AfoLABI SoTuNDE (REuTERS/CoNTRASTo)
Yola, 2 maggio 2015
CONGO
Vietato
il velo integrale
La rivolta degli etiopi
Tel Aviv, 3 maggio 2015
Ostaggi
liberati
Il 3 maggio il governo nigeriano
ha annunciato di aver trasferito
in un campo profughi a yola,
nello stato di Adamawa, 275 dei
circa 700 ostaggi di Boko haram
liberati dall’esercito tra il 28 e il
30 maggio nella foresta di Sambisa. Tra gli ostaggi liberati –
donne e bambini – non ci sono le
219 studentesse rapite a Chibok
il 14 aprile 2014, scrive il giornale nigeriano The Punch. Intanto, l’esercito è stato accusato di
aver ucciso decine di civili nello
stato di plateau dopo un attacco
in cui erano morti sei soldati.
JACk GuEZ (Afp/GETTy IMAGES)
NIGERIA
Il 2 maggio il governo di Brazzaville ha vietato ai musulmani di
indossare il velo integrale nei
luoghi pubblici “per prevenire
gli attentati”. La decisione è stata accolta positivamente dalle
associazioni islamiche locali. finora il paese è stato risparmiato
dalle violenze jihadiste che hanno interessato il vicino Camerun, scrive Jeune Afrique.
IN BREVE
Il 3 maggio migliaia di israeliani di origine etiope sono
scesi in piazza a Tel Aviv per protestare contro il “razzismo
della polizia”. Almeno 23 poliziotti e sette manifestanti
sono rimasti feriti. Le proteste sono scoppiate dopo la
pubblicazione di un video che mostra due poliziotti
mentre picchiano un soldato di origine etiope. Il 4 maggio
il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato una
serie di misure per favorire l’integrazione. “Il problema è
che i circa 130mila etiopi israeliani sono trascurati da
decenni”, scrive Ha’aretz. “Il 52 per cento delle famiglie
vive al di sotto della soglia di povertà”. u
Burundi Il 5 maggio la corte costituzionale ha autorizzato la
candidatura a un terzo mandato
del presidente pierre Nkurunziza. Il giorno prima quattro persone erano state uccise dalla polizia durante una manifestazione di protesta contro Nkurunziza a Bujumbura.
Mali Nove soldati e dieci ribelli
sono morti il 29 aprile nei combattimenti a Léré (centro).
Rep. Centrafricana Il 5 maggio otto gruppi armati si sono
impegnati a Bangui a liberare
migliaia di bambini soldato.
YEMEN
Arrivano
i senegalesi
Il 5 maggio il governo senegalese ha annunciato l’invio di 2.100
soldati “per aiutare l’Arabia
Saudita a proteggere i suoi conini”, minacciati dai ribelli houthi nello yemen. Di recente il
Senegal aveva ottenuto degli
aiuti inanziari da Riyadh. Intanto, a più di un mese dall’inizio della guerra in yemen, la situazione è in una fase di stallo,
scrive il quotidiano Al Akhbar.
I ribelli appoggiati dall’Iran continuano a controllare Aden e il
sud del paese. Quindi, malgrado
la fragile tregua in corso, gli attacchi della coalizione guidata
dall’Arabia Saudita potrebbero
riprendere presto, magari con
un’operazione di terra, conclude
il quotidiano.
Da Dunedin Amira Hass
Un amore che sboccia
Stavo assistendo all’inizio di
un amore? Sabato ho fatto una
passeggiata in campagna insieme a due israeliani che ho
incontrato a Dunedin, nel sud
della Nuova Zelanda (o Aotearoa, come i maori chiamano il
paese). Domenica ho ripetuto
l’esperienza con quattro giovani palestinesi. Ho conosciuto
tutti e sei dopo il mio intervento a una conferenza in città. I
due israeliani hanno lasciato
Israele perché non sopportavano che fosse diventato una
potenza occupante. Tre palestinesi su quattro sono nati
all’estero ma hanno mantenuto l’accento e l’umorismo della
loro terra. La quarta è un’araba
israeliana nata ad Haifa da
una famiglia il cui villaggio è
stato distrutto dall’esercito
israeliano nel 1948.
Nei pochi mesi trascorsi a
Dunedin per scrivere la tesi di
dottorato, la ragazza è diventata il punto di riferimento
della piccola comunità palestinese. Ha conquistato tutti
quelli che la circondano con la
sua voce ruvida e il suo sorriso.
Durante la passeggiata mi sono accorta che uno dei ragazzi
è innamorato di lei. Ho immaginato che il suo animo generoso potesse fare breccia nel
cuore della ragazza, e la mia
mente ha cominciato a vagare
nel futuro. La Nuova Zelanda,
per lei, è un posto troppo tranquillo. Ha bisogno delle vibrazioni del nostro paese. Lui potrebbe seguirla in Israele. Ma
dovrebbe afrontare delle diicoltà enormi. Ci vorrebbero
anni per ottenere la residenza.
E se chiedesse di essere naturalizzato dovrebbe rinunciare
alla prima nazionalità. Meglio
non pensarci. u as
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
23
Asia e Paciico
anni. Il risultato di questa situazione è apparso evidente durante la crisi di queste
settimane. I rappresentanti nazionali stanno cercando di accumulare capitale politico
anziché compattarsi nell’emergenza. I leader che di solito non perdono occasione per
partecipare ai raduni e pronunciare lunghi
discorsi si sono dileguati dopo il terremoto.
L’assenza di consigli municipali, distrettuali e di villaggio si è fatta sentire molto. I leader locali non hanno alcun incentivo e non
temono il giudizio dei cittadini. una traccia
residua di responsabilità è ancora presente
nei comitati per lo sviluppo dei villaggi nati
con le elezioni del 1997 e in altre comunità
dove c’è una tradizione di impegno collettivo e dove esistono servizi di emergenza. Ma
a livello nazionale e distrettuale ci sono stati gravi ritardi nelle operazioni di soccorso.
Il terremoto in Nepal
e le macerie della politica
Poteva andare peggio
OLIvIA HArrIS (rEutErS/CONtrAStO)
Un campo per sfollati a Kathmandu, 5 maggio 2015
Nepali Times, Nepal
Di fronte al disastro che ha
colpito il paese, i politici sono
rimasti in silenzio invece di fare
fronte comune. E gli
amministratori locali hanno
evitato ogni responsabilità
opo una tragedia di simili proporzioni è diicile immaginare
che il Nepal possa tornare alla
normalità. Eppure con il tempo
la normalità torna sempre. I disastri naturali di questo tipo hanno un efetto catartico,
scuotono la società così a fondo da contribuire perino a risolvere problemi che prima
sembravano senza soluzione. La guerra civile in Sri Lanka e il conlitto separatista di
Aceh in Indonesia, per esempio, hanno perso vigore dopo lo tsunami del 2004. Oggi
possiamo sperare che questa crisi insegni
qualcosa a chi governa il Nepal. I terremoti
sono chiamati “disastri naturali”, ma la devastazione e le morti provocate da un sisma
in parte sono colpa di azioni umane. Case
costruite male, insediamenti su terreni franosi, operazioni di soccorso male organizzate: tutto questo uccide, e la causa princi-
D
24
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
pale di queste negligenze è la politica, un
eccesso di politica o una sua carenza. Nel
primo caso gli eletti passano il tempo a lottare per il potere e il denaro, senza occuparsi delle opere a lungo termine di cui le comunità hanno bisogno. Se invece la politica
manca, i funzionari non si assumono le loro
responsabilità. In questo momento il Nepal
sofre di entrambi i mali: troppa politica a
livello nazionale e troppo poca alla base,
dato che non si tengono elezioni locali da 18
Da sapere
ultime notizie
u Dieci giorni dopo il sisma di magnitudo 7,8
che ha colpito il Nepal il 25 aprile, il governo ha
chiesto alle squadre di soccorso straniere di
andarsene, dato che non c’è più speranza di
trovare superstiti. I morti sono stati più di 7.500.
Nelle aree colpite dal sisma resterà il personale
sanitario perché ora cresce il pericolo delle
epidemie.
u Il villaggio di Langtang, meta per il trekking a
nord di Kathmandu, è stato cancellato da una
frana: 178 abitanti del posto sono morti e i
turisti rimasti sepolti potrebbero essere 150. La
stagione alpinistica sull’Everest, importante
fonte di guadagno per il paese, sarà interrotta
per il secondo anno consecutivo. Bbc
Questo terremoto non è stato “imprevisto”,
tutti sapevano che sarebbe arrivato. Imprevisto è il fatto che non si sia trattato del mostro di magnitudo 8,5 sulla scala richter
che avrebbe potuto uccidere 100mila persone solo nella capitale. Per quanto siano
tragiche le conseguenze del sisma nella
valle di Kathmandu, poteva andare molto
peggio. I telefoni hanno funzionato per
gran parte del tempo, la corrente elettrica è
tornata nel giro di tre giorni, gli ospedali
sono rimasti in piedi e l’85 per cento degli
ediici residenziali ha resistito alle scosse.
Le autostrade intorno alla capitale erano
aperte e l’aeroporto non è stato danneggiato. Ma la prossima volta potremmo non essere così fortunati.
Stando alle prime analisi dei sismologi,
gran parte della tensione tettonica nel Nepal centrale è stata rilasciata, rinviando la
prospettiva di un megaterremoto. Ma nella
zona a ovest dell’epicentro le probabilità di
un evento devastante sono ancora più alte.
Il Nepal è uno dei paesi montuosi più densamente popolati del mondo, e non abbiamo alternativa se non prepararci. Nei 12 distretti più colpiti perino l’apparato statale
più preparato avrebbe avuto grandi diicoltà a gestire la situazione. D’ora in poi l’importante sarà far arrivare gli aiuti, tende,
cibo e medicine. Il problema non sono i materiali, che stanno arrivando da tutto il
mondo, ma la logistica. Far arrivare gli aiuti
a chi ne ha bisogno è compito nostro. Ma
per farlo bene, e per coordinare le operazioni come si deve, dobbiamo prima aggiustare la politica. u as
Asia e Paciico
Il lato oscuro
di Joko Widodo
D. Pilling e B. Bland, Financial Times, Regno Unito
Da gennaio in Indonesia sono
state eseguite 14 condanne a
morte per traico di droga. Il
presidente ha respinto gli appelli
alla clemenza. È una prova di
forza di un leader in diicoltà
entre in patria è considerato
un riformatore dal sorriso
accattivante che sa parlare
alla gente comune, all’estero Joko Widodo si sta guadagnando la fama
di carneice. Il presidente indonesiano, che
a luglio aveva riacceso le speranze del paese
con la sua elezione, non ha ceduto alle pressioni per fermare l’esecuzione di alcune
condanne a morte per traico di droga. Il 29
aprile due australiani, un brasiliano, un
ghaneano, tre nigeriani e un indonesiano
sono stati portati in un campo su un’isola al
largo di Java e fucilati. Il primo ministro australiano Tony Abbott ha richiamato il suo
ambasciatore a Jakarta e ha deinito le esecuzioni “crudeli e inutili”.
Widodo, 53 anni, è stato irremovibile e
ha dichiarato che gli stranieri non dovrebbero interferire con le decisioni dei tribu-
M
nali indonesiani. “Abbiamo un’emergenza
droga”, ha detto di recente presentando dei
dati, contestati da alcuni, secondo cui nel
paese ci sarebbero 4 milioni di tossicodipendenti su 250 milioni di abitanti. “non
avremo nessuna pietà per i traicanti”, ha
aggiunto. Le esecuzioni del 29 aprile non
sono state le prime da quando Widodo è
presidente. A gennaio sono stati fucilati per
lo stesso motivo cinque stranieri e un indonesiano. E nel braccio della morte ci sono
altre decine di condannati.
La spietata determinazione del presidente è stata ben accolta dalla maggioranza
musulmana del paese, che nutre poca simpatia per i traicanti di droga e ancora meno
per i governi stranieri che sembrano chiedere trattamenti di favore. ma per Widodo
questa improvvisa conversione alla pena di
morte – un tema mai afrontato durante la
campagna elettorale – indica più disperazione che forza. “Forse”, dice Jonathan pincus, presidente dell’istituto di ricerca rajawali foundation, “sta tentando di rimediare
alla recente polemica suscitata da una nomina che, agli occhi di molti indonesiani,
ha ofuscato la sua fama di riformista”.
La sua dimostrazione d’intransigenza è
lontana dall’atteggiamento bonario che gli
ha procurato le simpatie di tanti cittadini
portandolo, contro ogni previsione, a vincere le elezioni.
Widodo è il primo presidente dall’indipendenza che non appartiene all’élite politica o militare, e molti speravano che potesse estirpare la corruzione, rendere più eiciente la burocrazia e avviare le riforme
economiche. per molti indonesiani, Widodo è “uno di loro” e la sua ascesa è la prova
dei progressi fatti dal paese dopo l’uscita
dalla dittatura alla ine degli anni novanta.
ma perino alcuni dei suoi più strenui sostenitori ammettono che oggi è in diicoltà.
I guai sono cominciati a gennaio, quando ha nominato budi Gunawan capo della
polizia. molti l’hanno vista come una concessione a megawati sukarnoputri, ex presidente e leader del partito democratico
indonesiano di lotta, al quale Widodo appartiene. Gunawan è considerato un politico vecchio stile, non il tecnocrate onesto
che Widodo aveva promesso. Quest’impressione si è raforzata quando la commissione anticorruzione ha avviato un’indagine su di lui. Un altro tribunale, però, ha fatto
archiviare le indagini a carico di Gunawan,
che poi è stato nominato vicecapo della polizia. molte delle nomine fatte da Widodo
portano l’impronta di sukarnoputri, la iglia
del primo presidente indonesiano sukarno.
E come se non bastasse, in aprile sukarnoputri ha lanciato un attacco contro Widodo,
contribuendo a minare la sua popolarità. A
febbraio il consenso del presidente era sceso al 42 per cento, dal 72 per cento dello
scorso agosto.
AchmAD IbrAhIm (Ap/AnsA)
Una politica estera diversa
Manifestazione per fermare le esecuzioni. Jakarta, 28 aprile 2015
26
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
La decisione di Widodo di procedere con le
esecuzioni nonostante gli appelli della comunità internazionale dimostra che da
quando è diventato presidente la politica
estera di Jakarta è cambiata. Il motto del
suo predecessore, susilo bambang Yudhoyono, era “mille amici e zero nemici”. Desideroso di ottenere l’approvazione della comunità internazionale, Yudhoyono aveva
messo una moratoria sulla pena di morte,
raforzando la sua immagine di conciliatore
e procurandosi molti riconoscimenti. Widodo ha incentrato la sua politica su tre
obiettivi: afermare la sovranità del paese,
proteggere gli indonesiani all’estero e promuovere gli scambi e gli investimenti. Questo signiica che è più disposto di Yudhoyono a far innervosire gli stranieri per difendere gli interessi del paese. u bt
thailandia
giappone-stati uniti
nuove linee
di difesa
australia
immigrati
sfruttati
Lo stato di Victoria ha aperto
un’indagine sullo sfruttamento
dei lavoratori immigrati nelle
aziende agricole che riforniscono le principali catene di supermercati e aziende alimentari australiane, scrive il sito della tv
pubblica Abc. Alla base della
decisione del governo locale c’è
un’inchiesta del programma
della Abc Four corners, secondo
cui molti stranieri che risiedono
nel paese, soprattutto asiatici ed
europei, con un visto di “vacanza lavoro” di 12 mesi (riservato a
chi ha tra i 18 e i 30 anni) lavorano in condizioni di semischiavitù, sono sottopagati e sottoposti
a maltrattamenti e molestie sessuali. Secondo la Federazione
nazionale degli agricoltori il lavoro degli immigrati è fondamentale per il settore: senza di
loro ci sarebbe una carenza di
manodopera, scrive la Bbc.
Scheletri trovati a Songkhla, Thailandia, 2 maggio 2015
MADArEE TohLALA (AFP/GETTy IMAGES)
Durante la visita del primo ministro giapponese Shinzō Abe
negli Stati Uniti sono state difuse le nuove linee guida sulla cooperazione alla difesa tra Tokyo
e Washington. È il primo aggiornamento dell’alleanza militare
tra i due paesi dal 1997, e risente
della nuova interpretazione della costituzione paciista giapponese decisa dal governo Abe nel
2014 per poter “esercitare il diritto all’autodifesa” sancito dalla
carta. D’ora in poi il Giappone,
desideroso di assumere un ruolo
internazionale di maggior rilievo, potrà abbattere missili diretti
verso gli Stati Uniti e intervenire
in aiuto di paesi terzi sotto attacco. Le nuove linee guida porteranno anche più collaborazione
tra i due paesi nelle acque contese del mar Cinese meridionale, scrive il Japan Times.
cina-taiwan
Fossa comune nella giungla
Quattro persone sono state arrestate perché sospettate di gestire un
campo di detenzione scoperto il 1 maggio nella foresta vicino al
conine con la Malesia. Nel campo è stata trovata una fossa comune
con 26 cadaveri, forse di rohingya fuggiti dalla Birmania e initi nel
traico di esseri umani. Probabilmente le vittime sono morte di fame o malattia in attesa che le famiglie pagassero il riscatto per liberarle. Secondo le associazioni per i diritti umani che operano nella
regione, nella zona ci sono altri campi simili.
sempre
più vicine
Il 4 maggio il presidente cinese
Xi Jinping ha incontrato in veste
di segretario del Partito comunista Eric Chu, presidente del
Kuomintang (Kmt), il partito
che governa Taiwan. Pechino e
Taipei sono divise del 1949. I
due leader hanno ribadito l’adesione al “consenso del 1992”,
che stabilì il principio di “una
sola Cina” lasciando le parti libere di interpretarlo. L’accettazione di quel principio, scrive il
Taipei Times, ostacola la presenza di Taiwan nella comunità
internazionale. Per il settimanale cinese Caijing l’incontro tra
Xi e Chu è una pietra miliare nel
processo di riavvicinamento.
Ma potrebbe non servire al Kmt
in vista del voto del 2016, dato
che l’opposizione pro autonomia guadagna consensi.
vietnam
chi ha vinto davvero
The Diplomat, Giappone
Il 30 aprile 1975 l’esercito comunista
del Vietnam del Nord prese Saigon,
rovesciò il governo del Sud
appoggiato da Washington e mise ine
alla guerra, durata vent’anni.
L’intervento americano costò la vita a
tre milioni di vietnamiti e a 58mila
statunitensi, devastò le infrastrutture
e riportò il paese indietro di decenni.
Saigon, oggi ho Chi Minh City, ha celebrato il 40°
anniversario della vittoria comunista con parate e
manifestazioni. Il centro della città era pieno di poster con
il volto del leader comunista, per anni il “marchio” più
potente nella città che porta il suo nome. Ma dopo
vent’anni di crescita economica e il formarsi di una classe
media, Saigon è molto diversa e lo zio ho deve competere
con i simboli occidentali. A trent’anni dalle riforme avviate
per creare un’“economia di mercato di stampo socialista”,
il Vietnam è parte integrante del mondo capitalista. oggi,
scrive The Diplomat, è lecito chiedersi chi abbia vinto
davvero la guerra. ◆
in breve
India Il 4 maggio otto soldati
sono morti in un’imboscata dei
ribelli separatisti nel Nagaland,
nel nordest del paese. I ribelli
chiedono uno stato indipendente per i circa due milioni di abitanti di etnia naga.
Afghanistan Il 3 maggio a Doha, in Qatar, una delegazione
governativa ha incontrato alcuni
rappresentanti dei taliban per
cercare di mettere ine alla crisi
nel paese.
Kazakistan Il presidente
uscente Nursultan Nazarbaev è
stato rieletto il 26 aprile per un
quinto mandato con il 97,7 per
cento dei voti.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
27
Americhe
la causa diretta è un comportamento autodistruttivo, come l’abuso di farmaci, il fumo
e l’obesità. È sbagliato dire che la povertà è
una questione di valori, come se i poveri
avessero semplicemente fatto delle scelte
sbagliate e starebbero meglio se avessero
adottato i valori della classe media. Ormai
è chiaro a tutti che i valori della classe media attecchiscono solo in un’economia che
ofre posti di lavoro per la classe media.
TODD HEISLER (THE NEW YORK TIMES/CONTRASTO)
Baltimora, 1 maggio 2015
Il lavoro scomparso
Le disuguaglianze
che spiegano le rivolte
Paul Krugman, The New York Times, Stati Uniti
I fatti di Baltimora non sono solo
il simbolo delle discriminazioni
contro i neri. Dimostrano che
negli Stati Uniti gli squilibri tra
ricchi e poveri sono sempre più
forti. L’opinione di Paul Krugman
ovrebbe essere chiaro a tutti
che il caso di Freddie Gray, il
ragazzo di 25 anni morto per le
lesioni riportate durante un arresto, non è stato un incidente isolato. I disordini scoppiati a Baltimora nelle ultime
settimane hanno messo in evidenza le disuguaglianze che avvelenano le vite di troppi
statunitensi. Tuttavia, c’è il rischio che le
palesi discriminazioni portate alla luce da
questa vicenda trasmettano l’idea sbagliata
che la povertà continua e l’alienazione sociale siano esperienze che riguardano solo i
neri. In realtà, buona parte dei problemi di
Baltimora e di molte altre città del paese
hanno a che fare con la classe, con gli efetti
devastanti dell’estrema e crescente disuguaglianza. Consideriamo, per esempio, la
salute e la mortalità. Alcuni hanno sottolineato che in molti quartieri di Baltimora
D
28
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
l’aspettativa di vita è inferiore a quella di
paesi molto più poveri. Ma è interessante
notare che anche tra i bianchi sono aumentate le disparità di classe nei tassi di mortalità. In particolare, la mortalità tra le donne
bianche è aumentata sensibilmente rispetto agli anni novanta, soprattutto nelle fasce
di popolazione più povere e con un’istruzione più bassa; l’aspettativa di vita tra i bianchi meno istruiti ha subìto un crollo che ricorda quello degli anni novanta nella Russia postcomunista. Queste morti sono il risultato della disuguaglianza e della mancanza di opportunità, anche nei casi in cui
Da sapere
Ultime notizie
u Il 1 maggio Marilyn Mosby, procuratrice dello
stato del Maryland, ha incriminato i sei agenti
considerati responsabili della morte di Freddie
Gray, un afroamericano di 25 anni morto a
causa delle lesioni riportate durante un arresto.
u Il 3 maggio Stephanie Rawlings-Blake, la
sindaca di Baltimora, ha revocato il coprifuoco
in vigore da cinque giorni nella città.
u Il 5 maggio Barack Obama ha denunciato
l’uso eccessivo della forza da parte della polizia
contro i neri, gli asiatici e gli ispanici.
Il sociologo William Julius Wilson sosteneva che i cambiamenti sociali nella comunità
nera, come il declino delle famiglie tradizionali, erano in realtà provocati dalla
scomparsa di lavori ben pagati nelle aree
urbane. La sua argomentazione conteneva
una previsione: se altri gruppi etnici avessero subìto perdite di opportunità di lavoro
paragonabili a quelle subite dai neri, anche
il loro comportamento sarebbe cambiato in
modi simili. Ed è proprio quello che è successo. Ai salari bassi e all’instabilità lavorativa hanno fatto seguito il calo dei matrimoni, l’aumento di igli di genitori non sposati
e via di seguito. Per questo è scoraggiante
sentir dire da certi commentatori che i poveri sono la causa della loro stessa povertà.
Ed è scoraggiante che si continui ad alimentare un altro falso mito, cioè che negli
ultimi anni abbiamo speso enormi somme
di denaro per combattere la povertà senza
alcun risultato. In realtà la spesa federale
per programmi di sussidi legati al reddito
ha oscillato per decenni tra l’1 e il 2 per cento del pil, aumentando nei periodi di recessione e diminuendo nei periodi di ripresa.
Non sono molti soldi – è meno di quanto
spendono gli altri paesi avanzati – e non tutti vanno alle famiglie al di sotto della soglia
di povertà. Nonostante questo, alcune di
queste misure hanno permesso di fare progressi reali nella lotta contro la povertà.
Quando si considerano i mali della povertà negli Stati Uniti, non c’è spazio per il
fatalismo. Scrollare le spalle e parlare di valori è un atto di negligenza in malafede. I
poveri non hanno bisogno di lezioni di moralità, hanno bisogno di maggiori risorse,
che possiamo trovare, e di migliori opportunità economiche, che possiamo garantire
con la formazione e l’aumento dei salari minimi. Baltimora e gli Stati Uniti non devono
per forza essere così iniqui. u gim
Paul Krugman è un economista statunitense, premio Nobel per l’economia nel 2008.
Stati Uniti
STaTi UniTi/cUba
Traghetti
in partenza
LUIS ACoSTA (AfP/GETTy IMAGES)
Jihadisti in Texas
L’Fbi sulla scena del crimine a Garland, il 4 maggio 2015
condanne
per spionaggio
Il 30 aprile la corte suprema della Colombia ha condannato a 14
anni di carcere María del Pilar
Hurtado (nella foto), che tra il
2007 e il 2008 ha diretto il Departamento administrativo de
seguridad (Das), l’ex uicio
d’intelligence del paese. Bernardo Moreno, segretario alla presidenza di Álvaro Uribe, è stato
condannato a otto anni da scontare agli arresti domiciliari. “Per
Hurtado l’accusa”, scrive Semana, “è di aver intercettato e
spiato illegalmente politici
dell’opposizione, magistrati e
giornalisti”. Uribe ha dichiarato
che le intercettazioni sono state
condotte nell’ambito di operazioni per la sicurezza nazionale.
BEN ToRRES (GETTy IMAGES)
colombia
Il 3 maggio due uomini hanno aperto il fuoco nel
parcheggio del Curtis Culwell center di Garland, in Texas,
dove si svolgeva un concorso di vignette su Maometto.
Una guardia di sicurezza è stata colpita alla caviglia. Subito
dopo i due attentatori, Elton Simpson e Nadir Sooi, sono
stati uccisi dalla polizia. L’attentato è stato rivendicato dal
gruppo Stato islamico. È la prima volta che il gruppo
rivendica un attacco in territorio statunitense. Simpson era
stato condannato nel 2010 per falsa testimonianza perché
aveva mentito riguardo a un viaggio in Somalia. Secondo
l’accusa voleva unirsi al gruppo jihadista Al Shabaab. u
Violenze
nel Jalisco
“Il primo maggio lo stato occidentale di Jalisco ha vissuto una
terribile giornata di violenza,
che porta la irma del cartello Jalisco nueva generación”, scrive
Proceso. I narcotraicanti hanno aperto il fuoco contro un elicottero dell’esercito, provocando la morte di cinque soldati e
ferendone altri dodici. Lo stesso
giorno, mentre il governo annunciava l’inizio di un’operazione per garantire la sicurezza della zona, ci sono stati scontri,
sparatorie e blocchi stradali in
vari municipi dello stato. Le vittime sono state almeno 15.
Brasília
BRASILE
BOLIVIA
Paraná
PARAGUAY
Rio de Janeiro
São Paulo
cile
meSSico
Il 6 maggio il governo degli Stati
Uniti ha approvato la creazione
di un servizio navale tra la florida e Cuba. I trasporti tra i due
paesi erano stati interrotti nel
1960, quando Washington aveva imposto l’embargo sull’isola.
La decisione è stata presa
nell’ambito del processo di normalizzazione dei rapporti tra i
due paesi, cominciato nel dicembre del 2014 e culminato ad
aprile con l’incontro tra Barack
obama e il presidente cubano
Raúl Castro al vertice delle
Americhe, a Panamá. L’Atlantic spiega che almeno cinque
compagnie di trasporto passeggeri e merci via mare hanno già
ottenuto le licenze. Da qualche
settimana è operativo anche un
servizio di voli charter tra New
york e l’Avana.
Una nuova
costituzione
Il 29 aprile la presidente cilena
Michelle Bachelet ha annunciato in un discorso trasmesso in tv
che, a partire da settembre, il
governo avvierà il processo per
redigere una nuova costituzione. Bachelet ha spiegato che il
percorso si baserà su dibattiti,
consultazioni e incontri con la
cittadinanza, e dovrà portare a
un testo pienamente democratico che rappresenti tutti i cittadini. La costituzione oggi in vigore
risale al 1980, quando era al potere il dittatore di Augusto Pinochet. Su Infolatam Rogelio
Núñez scrive che l’idea di avviare una riforma costituzionale
proprio quando l’immagine del
paese e del governo è stata danAsunción
Curitiba
neggiata da alcuni scandali di
corruzione può essere un’arma a
Porto Alegre
doppio taglio per Bachelet. “Se
350 km
una riforma nasce da un ampio
in breVe
consenso sociale e politico, può
Brasile Il 29 aprile più di duecontribuire a unire il paese. Ma
cento persone sono rimaste ferise si realizza nel mezzo di una
te negli scontri tra polizia e inseprofonda crisi istituzionale, rignanti durante una manifestaschia di essere uno sforzo eizione a Curitiba. Gli insegnanti
mero”. El País sottolinea che
protestavano contro un progetto
“dopo mesi di immobilismo idi legge che modiicherebbe le
nalmente la presidente ha preso
loro pensioni. u Il 5 maggio è
in mano le redini della situazione”. Infatti, oltre alla riforma co- stata aperta un’inchiesta preliminare contro l’ex presidente
stituzionale, “Bachelet ha anLuiz Inácio Lula da Silva, accununciato una serie di misure ansato di aver aiutato un’azienda a
ticorruzione, tra cui una gestioottenere degli appalti all’estero.
ne più trasparente dei inanziaCanada Il New democratic parmenti ai partiti e delle campaty (sinistra) ha vinto le elezioni
gne elettorali”. Secondo El Model 5 maggio nell’Alberta, metstrador, “si va nella direzione
tendo ine a 44 anni di dominio
giusta, anche se i problemi del
dei conservatori.
Cile sono molto più profondi”.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
29
Visti dagli altri
I migranti africani
sognano il Nordeuropa
Molte delle persone
che attraversano il mar
Mediterraneo non vogliono
restare in Italia, ma spesso
sono obbligate a farlo
tanti migranti che arrivano nei porti
siciliani sono di nazionalità diverse. I
siriani di solito hanno abbastanza soldi, portano i frammenti della loro vita
spezzata in una borsa di tela e riescono a
uscire dall’Italia diretti verso i paesi dell’Europa settentrionale. Gli eritrei sono meno
ricchi ma anche loro sono organizzati e hanno dei contatti che li portano a nord.
Poi ci sono migranti come Agyemin Boateng e Prince Adawiah, recuperati nel Mediterraneo a ine aprile da una nave italiana.
Sono entrambi del Ghana e nessuno dei due
ha un piano per la nuova vita in Europa. Dicono che non avevano mai pensato di venire in Italia. Lavoravano come operai in Libia
e ci sono rimasti ino a quando la vita è diventata insostenibile. In Ghana, però, non
possono tornare. “In Libia ci sono bombe e
fucili”, dice Adawiah, 25 anni, che ha lavorato a Tripoli per tre anni. “Sparavano ogni
FONTE: ThE NEw yOrk TIMES
I
30
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
giorno e io avevo paura, per questo sono venuto in Italia”. Ad aprile, con il migliorare
delle condizioni meteorologiche, sono aumentate le traversate e i morti. Secondo alcune stime, dall’inizio del 2015 sono annegate 1.700 persone. Negli ultimi anni i conlitti in Africa, Medio Oriente e Asia centrale hanno modiicato i lussi migratori verso
l’Europa. La guerra in Siria ha inluito più di
tutti gli altri conlitti sul traico di esseri
umani, ma ora la crisi libica sta cambiando
la situazione. Il caos che regna in Libia ha
permesso ai traicanti di agire indisturbati
e ha costretto alla fuga molti lavoratori africani emigrati lì. Una buona parte di questi
ora si trova nei centri di accoglienza italiani
senza contatti esterni né progetti per il futuro. Il loro aumento preoccupa i sindaci e le
altre autorità. “Nessuno ci dice niente”, dice Shamsudeen Sawud, 18 anni, arrivato in
Italia a ine aprile.
In attesa di una risposta
Il cambiamento dei paesi di provenienza si
deduce dalle statistiche. L’anno scorso in
Italia sono sbarcate 170mila persone tra migranti e rifugiati. Secondo il ministero
dell’interno, nel 2014 i due gruppi più numerosi erano i siriani e gli eritrei. I gambiani
erano al quinto posto. Durante i primi mesi
del 2015 il Gambia è salito al primo posto
con 1.413 arrivi su 10.165. Le organizzazioni
umanitarie confermano che la maggioranza dei migranti arriva dai paesi dell’Africa
subsahariana. Alcuni hanno scelto come
destinazione l’Italia, ma molti altri ci sono
initi per caso. “Ci sono rifugiati e migranti
che si erano trasferiti in Libia per restarci,
ma poi hanno deciso di fuggire in Europa,
anche a costo di rischiare la vita”, dice Matteo De Bellis, rappresentante di Amnesty
international per l’Italia.
Secondo Bruce Leimsidor, che insegna
legislazione europea sull’asilo all’università
Ca’ Foscari di Venezia, è possibile che molti
migranti dicano di essere stati costretti a
fuggire dalla Libia per ricevere poi asilo in
Europa. Prima della caduta del regime di
Gheddai, spiega Leimsidor, centinaia di
JASON FLOrIO/MOAS
Jim Yardley, The New York Times, Stati Uniti
Malta, 3 maggio 2015. Il salvataggio
di 361 migranti partiti dalla Libia
migliaia di persone partivano dall’Africa
occidentale e dal Bangladesh per andare a
lavorare in Libia, mettevano da parte i soldi
per un eventuale ritorno a casa e non pensavano di proseguire per l’Europa. Ma oggi la
situazione è diversa. “Ormai da qualche anno in Libia c’è poco lavoro per gli immigrati”, scrive in un’email Leimsidor. Data la
scarsità di lavoro e i pericoli che si corrono,
“chi negli ultimi anni è arrivato in Libia deve aver avuto almeno una vaga intenzione
di raggiungere l’Europa”.
Al centro di accoglienza Umberto I di
Siracusa, Mohammed Njie, 31 anni, racconta come è arrivato in Italia. È partito dal
Gambia sette mesi fa dopo una lite con il
suo datore di lavoro che non gli pagava lo
stipendio. È andato in Libia sperando di
mandare un po’ di soldi ai suoi genitori e ai
suoi igli, sulle orme delle precedenti generazioni di gambiani che avevano lavorato lì
ed erano tornati con dei soldi da parte: “Potevano comprarsi la casa e l’auto. Vivevano
meglio”. Ora, però, Njie e altri africani che
sono nel centro di accoglienza spiegano che
in Libia la situazione è insostenibile. Molti
capicantiere non pagano gli operai e quelli
che sono pagati vengono aggrediti da bande di criminali, a volte adolescenti, che li
derubano puntandogli contro una pistola.
“Non potevamo mandare i soldi in Ghana
Legge elettorale
Grandi poteri da controllare
Neue Zürcher Zeitung, Svizzera
l presidente del consiglio italiano
Matteo Renzi ha promesso più stabilità, e con questo intende dire che
l’Italia dovrà continuare a essere governata dal suo esecutivo per diversi anni.
Con la nuova legge elettorale, detta Italicum e approvata in via deinitiva dalla camera il 4 maggio, il premier ha creato le
premesse per vincere le prossime elezioni
con una maggioranza assoluta del suo
Partito democratico alla camera. Ma più
che voler consolidare solo il suo potere
personale, Renzi è mosso da una missione
politica: vuole cambiare l’Italia, e la riforma elettorale è il punto di partenza. Con
una solida maggioranza parlamentare alle
spalle, il premier potrà realizzare i suoi
progetti di riforma del lavoro, della giustizia e della scuola. Ha capito che per favorire la ripresa economica del paese, lo stato
deve funzionare meglio.
Con la nuova legge è prevedibile che si
crei un sistema bipartitico o tripartitico,
I
perché lì non ci sono banche, perciò li portavamo con noi. Ci aggredivano ogni giorno”, racconta Adawiah.
Secondo Boateng tornare a casa dalla
Libia era troppo pericoloso perché le vie di
terra sono piene di milizie e bande criminali. A un ghaneano che aveva lavorato in Libia per tre anni hanno rubato tutti i risparmi
mentre tentava di tornare a casa. “Anche se
hai i soldi è diicile tornare”, dice Boateng.
“Quando vedono che sei nero, sanno che
hai i soldi addosso”. Diversi uomini hanno
raccontato che per compassione alcuni libici li hanno messi in contatto con i traicanti,
anche perché gli scaisti cercano personale
nero per la traversata. “Dicevano: ‘Se vuoi
salvarti la vita, parti con noi e ti porteremo
in Italia’”, racconta Adawiah. Il crescente
numero di migranti arrivati in Italia crea
forti tensioni politiche nel paese. L’Italia è
stata criticata per aver permesso a molti eritrei e siriani di passare sul territorio nazionale senza essere registrati e di andare a
chiedere asilo in Nordeuropa, in violazione
delle norme dell’Unione europea.
Nel centro Umberto I molti dei migranti
sono preoccupati. Nessuno ha un cellulare
né è riuscito a contattare i parenti in Africa
(i siriani, invece, spesso hanno uno smartphone). Nessuno sa a che punto è la sua richiesta d’asilo. “Ho lasciato a casa la mia
famiglia, ora voglio lavorare. E vorrei inalmente trovare un po’ di pace”, dice il gambiano Njie. u bt
mentre le formazioni più piccole saranno
svantaggiate (la soglia di sbarramento è al
3 per cento). Un risultato del genere non è
di per sé antidemocratico, come sostengono quelli che criticano la riforma, ma in
Italia si pone la questione delle garanzie
insite nel nuovo sistema.
Cosa succederà se l’ex presidente del
consiglio Silvio Berlusconi, un uomo che
crede di essere al di sopra della legge e
preferirebbe abolire i tribunali, potrà contare su una maggioranza automatica in
parlamento? Non è una domanda retorica,
perché Berlusconi ha partecipato alla formulazione della legge elettorale nella convinzione di poter vincere le elezioni.
Con la sua irruenza Renzi potrebbe
cambiare in meglio molte cose. Si può solo
sperare che, se vincerà le prossime elezioni, si asterrà da abusi di potere, cosa che
non ha fatto Berlusconi. Ma le speranze
ingannano: i grandi poteri devono essere
controllati. u fp
Da sapere Come funziona l’Italicum
u Il 4 maggio la camera
italiana ha approvato in via
deinitiva, con 334 voti a
favore e 61 contrari, la nuova
legge elettorale, il cosiddetto
Italicum. A favore si sono
dichiarati: il Partito
democratico, Area popolare,
Scelta civica, Popolari per
l’Italia e Centro democratico.
L’opposizione ha
abbandonato l’aula, mentre
alcuni deputati della
minoranza del Partito
democratico hanno votato no.
L’Italicum entrerà in vigore il 1
luglio del 2016 e varrà solo per
la camera dei deputati.
Ecco cosa prevede la legge.
Premio di maggioranza e
sbarramento La lista che
ottiene più del 40 per cento
dei voti al primo turno (o vince
al ballottaggio) ha il premio di
maggioranza, cioè il 54 per
cento dei seggi: 340 su 630. I
restanti seggi sono assegnati
agli altri partiti. La soglia di
sbarramento per entrare in
parlamento è il 3 per cento.
Tra il primo e il secondo turno
non possono esserci
apparentamenti tra le liste.
Collegi Le 27 circoscrizioni
attuali sono sostituite da venti
circoscrizioni elettorali,
suddivise in cento collegi
plurinominali. In ogni
collegio, in media di circa
seicentomila abitanti
ciascuno, i partiti presentano
delle liste di sei o sette
candidati. In Trentino Alto
Adige e in Valle d’Aosta si vota
in collegi uninominali.
Preferenze Nella prima
stesura della legge le liste
erano bloccate, cioè i
candidati erano eletti
nell’ordine in cui erano
presentati nella lista. Nel
nuovo testo è previsto che
siano bloccati solo i capilista,
mentre dal secondo eletto in
poi valgono le preferenze.
Ogni elettore può esprimere al
massimo due preferenze.
Candidature multiple I
capilista possono candidarsi
in più di un collegio elettorale,
ino a un massimo di dieci.
Voto di genere Ogni elettore
è libero di esprimere nessuna,
una o al massimo due
preferenze. In quest’ultimo
caso deve votare due
candidati di sesso diverso,
pena l’annullamento della
seconda preferenza.
Nell’ambito di ogni
circoscrizione (che in parte
coincide con le regioni) i
capilista di un genere non
devono essere superiori al 60
per cento del totale.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
31
Visti dagli altri
MIChELE D’OTTAvIO (BUENAvISTAPhOTO)
Milano, 1 maggio 2015. Il padiglione di New Holland
Le architetture
dell’Expo
Jean-Jacques Larrochelle, Le Monde, Francia
Il tema dell’esposizione
universale è nutrire il pianeta,
ma è stato oscurato dalla gara
tra singoli paesi e multinazionali
a chi ha il padiglione più bello
isogna essere in ottima forma e
pieni di entusiasmo per fare su e
giù lungo la silza dei 147 padiglioni dell’esposizione universale di Milano, che durerà ino al 31 ottobre.
Il sito di questo evento planetario si estende su entrambi i versanti di un imponente
asse centrale lungo un chilometro e mezzo
– ispirato al decumano degli antichi accampamenti romani – e occupa quasi 110 ettari,
una superficie cinque volte più piccola
dell’esposizione universale del 2010 a
Shanghai. La zona dell’Expo si trova ai
margini della città, nel cuore di un intreccio poco piacevole di binari ferroviari e
tracciati autostradali.
È in questo contesto che la maggioranza dei paesi del mondo (non c’è l’India,
grande assente) dovranno confrontarsi su
un unico tema scelto dagli organizzatori
B
32
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
italiani: “Nutrire il pianeta. Energia per la
vita”. Un’idea molto nobile che salvo rare
eccezioni ha partorito un eccesso indigesto
di opere architettoniche.
In fondo un’esposizione universale non
è molto diversa da una iera commerciale,
se non fosse per i mezzi di cui dispongono
gli espositori. Per le nazioni che partecipano è un’occasione troppo bella e troppo
rara per confrontare i rispettivi padiglioni,
quest’anno modellati essenzialmente in
legno (materiale dall’immagine sempre
tranquilla e rispettabile), oppure rivestiti di
un candore verginale. Occupa un posto di
primo piano anche la moltitudine delle
specie vegetali che sono state piantate, le
cui trasformazioni, promettono gli organizzatori, saranno percepibili nel corso dei
sei mesi di durata della manifestazione.
A questo concorso di bellezza virtuosa
imposto dal tema scelto dagli italiani si sono aggiunti nuovi candidati. Infatti i “negozi” dei padiglioni nazionali sono ormai
iancheggiati da noti marchi che tentano
anche loro di distinguersi, più grazie alla
visibilità dei loghi che agli ornamenti architettonici.
Il padiglione della McDonald’s – uno
degli sponsor di Expo Milano 2015 – è incuneato tra quello del Qatar e quello del
Turkmenistan. È leggermente arretrato
rispetto all’asse principale dell’esposizione
e sulla cartina uiciale consegnata a ogni
visitatore è citato tra i luoghi di “sosta per
famiglie”. Ancor più discreto è l’ediicio
molto corporate della Coca-Cola, grande
come quattro campi da tennis e collocato
in una delle zone più tranquille dell’Expo,
che sovrasta il cluster (il giardino) bio-Mediterraneo.
La presenza di queste aziende alimentari non piace al movimento no expo, che il
1 maggio ha manifestato per le vie di Milano contro l’esposizione universale (migliaia di persone sono scese in strada, non solo
il blocco nero). La Lindt, meno esposta alla
vendetta popolare, è stata più fortunata: il
suo padiglione dalla facciata blu è stato sistemato in un posto privilegiato vicino
all’ingresso principale, proprio nel cuore
del cluster cacao e cioccolato, che aianca
quello del riso e del cafè.
Il Palazzo Italia, invece, corre lungo tutto il cardo, l’asse secondario del sito, che è
perpendicolare al decumano e inisce con
l’Albero della vita (“l’oggetto dell’Expo che
sarà più fotografato”, promettono gli organizzatori). Il padiglione italiano non ha
esitato a sistemare una accanto all’altra le
vetrine delle regioni e quelle di noti marchi
nazionali (Granarolo, San Pellegrino, Martini & Rossi, Lavazza). Una decisione che
rischia di confondere il visitatore disattento.
Le tre fasi
Tuttavia i marchi commerciali, grazie alla
loro esperienza in materia e proprio perché
i loro prodotti si pagano, sono meno esposti alla pressione continua del pubblico.
Invece i padiglioni nazionali, le cui esposizioni sono visitabili liberamente e gratuitamente, non potevano restare indiferenti alla manna rappresentata da questo aflusso di visitatori.
Attirare i visitatori non basta però, bisogna anche riuscire a farli pazientare nel
caso in cui gli spazi interni siano pieni di
gente. Una regola da applicare più o meno
in tutti i padiglioni, visto che il 1 maggio,
nella giornata inaugurale, l’Expo è stata
visitata da più di 200mila persone.
L’organizzazione dei vari padiglioni si
articola su tre fasi: quella della gestione
della ila d’attesa, generalmente accompagnata da distrazioni (immagini animate e
Vasche di legno
È sorprendente che all’Expo non ci sia nessun accenno al problema degli sprechi alimentari e a quello dei riiuti. L’unica eccezione è lo Spazio della biodiversità, gestito
dall’associazione italiana Slow food. Si trova in una zona isolata dell’esposizione,
lontano dal frastuono incessante, e si compone di tre strutture modulari in legno leggero (un teatro, uno spazio espositivo e una
zona degustazione) che formano un triangolo, nel cuore del quale ci sono delle grandi vasche in legno naturale che contengono
piante. Questa installazione dà una grande
serenità ed è stata ideata dallo studio svizzero Herzog&de Meuron.
Sono gli stessi architetti che l’ex sindaco
di Milano Letizia Moratti aveva interpellato
in un primo tempo per ideare il progetto
dell’esposizione universale 2015. “Avevamo accettato”, spiegano Herzog&de Meuron, “a condizione che si abbandonasse
l’idea passatista di un’esposizione basata
unicamente su monumenti architettonici e
su show vanitosi asserviti agli orgogli nazionali”. All’ultimo momento, però, non
hanno ricevuto l’incarico. u ma
Gli scontri per le strade
di Milano
Eric Jozsef, Libération, Francia
Vetrine rotte, auto incendiate
e muri imbrattati. Il blocco
nero ha impedito agli altri
manifestanti di dire perché
sono contrari all’Expo
bbiamo rischiato un altro G8
di Genova”, ha dichiarato il
ministro dell’interno italiano
Angelino Alfano il giorno
successivo all’inaugurazione dell’Esposizione universale di Milano, segnata da scene di guerriglia urbana nel centro della città. Inoltre Alfano si è rallegrato di “aver
evitato il peggio”.
La sera del primo maggio i milanesi sono scesi spontaneamente in strada per pulire i muri, riparare le vetrine in frantumi di
decine di negozi e rimuovere le auto incendiate dal blocco nero poche ore prima.
L’obiettivo era quello di cancellare il più rapidamente possibile le tracce della devastazione per lasciare spazio a questa Expo dedicata all’alimentazione, che ino al 31 ottobre dovrebbe accogliere più di 20 milioni di
visitatori nella periferia della città. Nei primi tre giorni di apertura l’hanno visitata già
varie centinaia di migliaia di persone. Il governo italiano, che scommette sulla manifestazione per rilanciare un paese in crisi,
prevede di adottare speciali misure di sicurezza per evitare nuovi incidenti.
Il primo maggio il corteo paciico formato da circa 20mila persone che protestavano
contro lo spreco di denaro pubblico si è trasformato in un campo di battaglia ideale
per il blocco nero. Con indosso i caschi e
armate di bastoni e bottiglie molotov, circa
700 persone ben organizzate hanno sferrato numerosi attacchi contro “i simboli del
capitalismo”, le banche e le multinazionali
per più di due ore. Alcuni poliziotti sono stati feriti. Tra gli aggressori c’erano anche
cittadini greci, tedeschi e francesi. Alla ine
degli scontri cinque persone sono state arrestate in lagranza di reato e una trentina
sono state identiicate dalla polizia. “Gli ita-
“A
FILIPPo MoNTEFoRTE (AFP/GETTy IMAGES)
musica); quella della circolazione nello
spazio espositivo (si va dall’ingresso verso
l’uscita, e mai nella direzione opposta); inine quella del negozio, generalmente collegato all’esposizione. Invece Food 2.0, il
padiglione degli Stati Uniti, ha regolato il
lusso di visitatori dandogli la possibilità di
percorrere lo spazio espositivo anche a
lunghe falcate (dando però l’impressione
che non ci sia poi molto da vedere). Il Qatar
ha optato per una circolazione elicoidale e
l’incessante cammino dei visitatori nella
penombra è accompagnato da efetti luminosi di diicile lettura. I tedeschi hanno
invece puntato più su un percorso sinuoso
caretterizzato da vari contenuti informativi, per assimilare i quali, però, servirebbe
molto più tempo.
I francesi invece hanno scelto un circuito breve anche perché il loro padiglione è
abbastanza piccolo. È costituito da un soisticato intreccio di travi di legno, ideato
dagli architetti Anouk Legendre e Nicolas
Desmazières dello studio X-Tu, e reinterpreta il modello del mercato coperto. Dopo
aver stiracchiato in maniera esagerata i rilievi della Francia, rappresentata stilizzata, hanno rovesciato il tutto creando un
paesaggio capovolto in cui sono esposti i
prodotti provenienti dai vari territori.
Milano, 3 maggio 2015. Alcuni
cittadini ripuliscono la città
liani sanno benissimo da che parte stare:
hanno sciupato la festa? Hanno cercato di
rovinarcela. Ma quattro teppistelli igli di
papà non riusciranno a rovinare Expo. E
Milano è molto più forte come spirito e determinazione di quello che questi signori
pensano”, ha dichiarato il presidente del
consiglio Matteo Renzi. Intervistato da
Tgcom 24, un ragazzo ha ammesso di essere andato in mezzo ai manifestanti violenti.
“È giusto spaccare tutto, è una protesta, e
noi dobbiamo far sentire la nostra voce. Se
non lo capiscono con le buone, lo facciamo
capire in un altro modo”. Il giorno dopo, però, si è pentito per quelle frasi.
L’ex anarchico Lello Valitutti, ormai in
pensione e costretto su una sedia a rotelle,
ha partecipato al corteo e ha detto: “L’esposizione è una farsa, organizzata da chi ci affama. È stata una buona manifestazione,
sono stati attaccati i simboli della ricchezza.
Coi metodi paciici non ascoltano”. Per i
militanti non violenti del comitato No Expo, la manifestazione del primo maggio ha
rappresentato invece un’occasione persa.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
33
Visti dagli altri
Nuove norme
Anche il premio Nobel Dario Fo ha espresso
la sua rabbia: “I violenti non hanno niente a
che vedere con le migliaia di manifestanti
No Expo che volevano attirare l’attenzione
sul denaro pubblico che si sarebbe potuto
usare per rifare le strade o per ofrire rifugio
ai senza tetto”. Critiche che Matteo Renzi
ha spazzato via con un gesto della mano. A
poche ore dall’apertura dell’Expo tanti padiglioni erano ancora incompiuti, ma lui ha
dichiarato con entusiasmo: “L’Italia è molto più forte delle paure. Quanti dicevano
‘Non ce la farete mai con Expo?’. L’Expo è la
metafora di quello che accade all’Italia, da
una parte quelli che dicono ‘non ce la farete
mai’, e dall’altra ci siamo noi”.
Il ministro dell’interno Angelino Alfano
sta valutando la possibilità di far adottare
nuove norme, simili a quelle che si applicano per gli scontri durante le partite di calcio,
per le manifestazioni in cui avvengono degli scontri: “Più potere ai prefetti per impedire i cortei quando ci sono rischi di iniltrazioni; arresto diferito, entro le 48 ore, come
avviene per il calcio, se dalle telecamere si
riescono a identiicare i violenti”. L’Expo
durerà sei mesi e le autorità italiane temono
che, dopo gli incidenti del 1 maggio, i manifestanti violenti siano tentati di tornare
all’attacco. u gim
34
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Società
Divorzio all’italiana
The Economist, Regno Unito
La legge che riduce i tempi per
sciogliere il matrimonio è stata
approvata dal parlamento.
Senza troppe polemiche da
parte della chiesa cattolica
n Italia la legge sul divorzio entrò in
vigore nel 1970, dopo uno scontro
titanico in parlamento. I cattolici
conservatori, riluttanti ad accettare
la sconitta, proposero un referendum per
abrogare la legge. La consultazione popolare si tenne nel 1974 e gli italiani votarono contro l’abrogazione. Il 22 aprile i parlamentari italiani hanno modiicato la
legge sul divorzio in senso più liberale. Lo
hanno fatto a stragrande maggioranza
(398 voti a 28) e senza troppe polemiche.
Un segno che i tempi sono cambiati.
Come era prevedibile, il quotidiano
cattolico Avvenire si è scagliato contro la
riforma. Altri hanno afermato che le
nuove norme rappresentano un ulteriore
colpo alla chiesa cattolica, un’istituzione
che ormai sta perdendo la sua inluenza
anche in Italia. I giovani che scelgono di
convivere e di avere igli fuori dal matrimonio sono sempre più numerosi. Nel
I
Da sapere
I divorzi in Europa
Il rapporto tra i divorzi e le persone che vivono
da sole. Fonte: The Economist
Danimarca
3,5
Divorzi ogni 1.000 abitanti, 2012
Le devastazioni rischiano di far passare in
secondo piano tutte le critiche che in questi
ultimi mesi hanno fatto sorgere dei dubbi
sull’Expo. In particolare quelle per i ritardi
accumulati e la conseguente esplosione dei
costi (le spese per il padiglione italiano sono
passate da 63 a 92 milioni di euro), per i contratti precari a giovani assunti ad hoc, ma
soprattutto per gli scandali di corruzione e
per le iniltrazioni maiose nei cantieri.
Angelo Paris, ex direttore pianiicazione
e acquisti dell’Expo, è stato arrestato l’8
maggio del 2014 perché accusato di aver
truccato delle gare d’appalto. Anche altri
politici di destra e di sinistra sono stati arrestati con l’accusa di aver intascato tangenti.
“Anni di lavoro e di lotte sono state spazzati
via”, si lamentano dopo le violenze alcuni
attivisti del movimento No Expo. Il movimento ha ricevuto il sostegno di numerosi
militanti No Tav, che si oppongono alla costruzione della linea ad alta velocità TorinoLione e che da più di vent’anni organizzano
mobilitazioni contro quello che ritengono
uno spreco di soldi pubblici in un paese già
in troppo indebitato.
Svezia
3,0
2,5
Portogallo
Regno
Unito
Spagna
Germania
2,0
1,5
1,0
Italia
0,5
0
Irlanda
20
30
40
50
Famiglie composte da una sola persona, % sul totale
2012 il numero di matrimoni per migliaio
di abitanti era tra i più bassi dell’Unione
europea. Eppure, neanche i cattolici osservanti si sono uniti per opporsi. L’arcivescovo di Palestrina Domenico Sigalini
ha dichiarato che “se il fallimento è chiaro e irrevocabile, è ingiusto perdersi in
lunghe battaglie giudiziarie che iniscono
solo per aggiungere esasperazione a una
situazione già di per sé esasperata”. In
base alla nuova legge, in caso di divorzio
consensuale le coppie possono sciogliere
il matrimonio dopo sei mesi di separazione, altrimenti possono farlo dopo un anno, mentre inora dovevano aspettare tre
anni. Non è una legge particolarmente
permissiva: almeno in altri cinque paesi
dell’Unione europea si può divorziare
senza un periodo di separazione. C’è chi
dice che la riforma avrebbe potuto essere
ancora più radicale, ma ulteriori emendamenti avrebbero messo in pericolo la sua
approvazione in parlamento.
Gli italiani sono riluttanti a sposarsi,
ma anche a separarsi. Negli ultimi anni il
numero dei divorzi ogni mille abitanti è
aumentato, ma ino al 2012 l’Italia era ancora al penultimo posto in Europa. I divorzi sono pochi perché la procedura è
complessa e le spese legali sono alte, soprattutto nei casi di divorzio non consensuale. Ma le cose stanno cambiando: a
novembre del 2014 il parlamento ha approvato i divorzi “fai da te”, che possono
essere concordati tra i legali dei due coniugi, e l’Italia è diventata uno dei pochi
paesi al mondo in cui si può divorziare
senza andare in tribunale. La nuova norma fa parte di un pacchetto di provvedimenti ideati dal governo Renzi per accelerare i tempi della giustizia civile. Un’accelerazione indispensabile, e non solo per
le coppie che non vanno d’accordo: in Italia ci sono quasi cinque milioni di cause
civili pendenti. In un paese alitto dalla
lentezza della burocrazia, l’aumento dei
divorzi potrebbe dimostrarsi perversamente incoraggiante. u bt
Le opinioni
Charlie Hebdo
merita quel premio
Katha Pollitt
uando il comitato del Pen ha deciso di chiesa cattolica. Le persone che conoscono la cultura
premiare il settimanale satirico Charlie francese dei fumetti hanno sottolineato che le caricaHebdo, evidentemente pensava di do- ture ofensive che circolano in rete, una volta contever onorare l’eroismo dei vignettisti stualizzate, sono l’opposto di quello che sembrano a
francesi. Charlie Hebdo ha continuato un lettore statunitense, sono cioè un attacco alle idee
a uscire quando la sua redazione è stata razziste dei politici francesi di destra.
Non credo che Charlie sia un giornale razzista, e
colpita da una bomba incendiaria nel 2011 e non si è
fermato neanche dopo il brutale massacro di gennaio. non solo perché non esiste un’etnia musulmana. CharOra mettiamo a confronto Charlie Hebdo con la Yale lie è schierato contro ogni forma di religione autoritaUniversity Press, che dopo la prima edizione ha elimi- ria (Le Monde ha analizzato le storie principali pubblinato dal libro di Jytte Klausen le illustrazioni sulle vi- cate da Charlie negli ultimi dieci anni e ha scoperto
che i cristiani sono stati attaccati molto
gnette danesi che ritraevano Maometto,
più spesso dei musulmani). Charlie
o con la Random House, che ha annulla- Molti scrittori
Hebdo è blasfemo, ma questa non è forto la pubblicazione di The jewel of Medi- bersagliati dai
se una qualità nel pensiero di sinistra?
na, romanzo storico di Sherry Jones su fondamentalisti
Un tempo era così, prima che diventasAisha, la moglie di Maometto. Entram- sono musulmani,
simo disperatamente confusi a proposibe le case editrici si sono giustiicate con come la scrittrice
to dell’islam: per metà del tempo ci diil timore di violenze da parte dei fanati- bengalese Taslima
ciamo che i fondamentalisti violenti soci. Il direttore della Random House ave- Nasreen, il blogger
va subìto un attentato prima di bloccare
saudita Raif Badawi, no solo una piccola parte degli 1,6 miliardi di musulmani, ma per l’altra metà
la pubblicazione del libro di Jones.
lo scrittore egiziano
parliamo come se le azioni dei fondaIl coraggio non è suiciente, o almementalisti servano a rimediare ad alcuni
no non lo è per i sei scrittori – Francine Nagib Mahfouz
misfatti oggettivi. Non sono sicura che
Prose, Teju Cole, Michael Ondaatje, Peter Carey, Rachel Kushner e Taiye Selasi – che hanno la seconda posizione faccia bene ai musulmani, perannullato la loro partecipazione alla cerimonia di pre- ché è un po’ come dire che la gente che uccide i medici
miazione dei Pen del 5 maggio. Rachel Kushner ha abortisti rappresenta la cristianità.
Charlie Hebdo non attacca i musulmani, ma il foncriticato “l’intolleranza culturale” di Charlie. Teju Cole, scrivendo sul New York Times dopo gli attentati di damentalismo, cioè la versione superstiziosa e ottusa
gennaio, ha accusato Charlie Hebdo di razzismo e isla- che è alla base di tanta violenza nei confronti degli
mofobia. Peter Carey non accetta che il concetto di li- scrittori. Molti autori presi di mira dai fondamentalisti
bertà di espressione possa avere come unici limiti sono musulmani, come la scrittrice e femminista bengalese Taslima Nasreen, il blogger saudita Raif Badaquelli imposti dalla legge.
“Il lavoro di Charlie non è importante”, mi ha detto wi, lo scrittore egiziano Nagib Mahfouz.
I sei scrittori che hanno boicottato il Pen hanno fatal telefono Francine Prose. “Non è interessante”.
Francine ha ammesso di essersi sentita ofesa dalle to girare una lettera, sottoscritta da molti altri autori
vignette su Maometto e dalla presa in giro dell’islam. famosi come Joyce Carol Oates, Junot Díaz e Lorrie
“È una rivista razzista, diciamoci la verità”. Per Fran- Moore. “C’è una diferenza fondamentale tra sostenecine le caricature dei musulmani pubblicate da Charlie re in modo convinto un’espressione che supera i limiti
Hebdo sono paragonabili alla propaganda antisemita di cos’è accettabile”, hanno scritto, “e premiare con
di Goebbels. “Non vedo la diferenza, davvero. Stesso entusiasmo questa opinione”. Certo, ma cosa signiica
naso gigante e labbra carnose”. Poi ha aggiunto che “superare i limiti di cos’è accettabile”? Cos’è accettamolti giornalisti messicani e russi sono stati uccisi bile? Non abbiamo forse bisogno di libri e opere d’arte
mentre indagavano sulla corruzione dei loro governi e che forzino i conini di ciò che è accettabile? Norman
Mailer, ex presidente del Pen morto nel 2007, ha
che forse bisognava premiare loro.
Personalmente non credo che le vignette di Mao- espresso molte opinioni ottuse e ignoranti. In politica
metto siano diverse dalle volgari caricature del papa, era come uno zio ubriaco che sbatte i pugni sul tavolo
dei rabbini o della vergine Maria violentata dai re Ma- durante la cena del ringraziamento, ma ha forzato i
gi. In ogni caso Charlie è una piccola rivista satirica conini della scrittura facendo un favore a tutti gli scritgestita da sessantenni di sinistra che dedicano buona tori. Per quanto disprezzi gran parte delle sue opere e
parte del loro giornale ad attaccare il Front national e i delle sue idee ripugnanti sulle donne, se il Pen gli conconservatori francesi, con frequenti stilettate alla cedesse un premio non ne farei una tragedia. u as
Q
36
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
KATHA POLLITT
è una giornalista e
femminista
statunitense. Il suo
ultimo libro è Pro:
reclaiming abortion
rights (Picador 2014).
Le opinioni
Le responsabilità
dei violenti
Rami Khouri
osa succede quando la violenza e l’ag- molti altri motivi di tensione che aliggono il Medio
gressione brutale vanno avanti per an- Oriente: le dittature arabe con la loro corruzione, gli
ni senza alcun controllo? Lo si può ca- imprevedibili rapporti della Turchia e dell’Iran con
pire guardando i risultati di un’indagi- Israele, i conlitti religiosi, il terrorismo e le tensioni tra
ne interna delle Nazioni Unite sulla gli arabi e le potenze occidentali.
Un meccanismo di attribuzione delle responsabilità
guerra dell’estate del 2014 nella Striscia di Gaza. Con i suoi attacchi, si legge nel rapporto, nello scenario israelo-palestinese è possibile oggi più
Israele ha ucciso 44 civili palestinesi che avevano cer- che in passato per due motivi principali: innanzitutto la
cato rifugio in sette scuole dell’Onu. In quelle strutture Palestina è uno stato osservatore delle Nazioni Unite, e
questo signiica che può ricorrere a strunon sono state rinvenute armi, che invementi come la Corte penale internazioce si trovavano in altre tre scuole vuote. Oggi l’opinione
Si trattava di strutture gestite in prece- pubblica mondiale, nale. Inoltre, l’opinione pubblica mondiale, compresa quella statunitense, oggi
denza dalle Nazioni Unite, ma usate in compresa quella
è più propensa a sostenere in modo equo
seguito da Hamas per raccogliere le armi statunitense, è più
i diritti legittimi sia degli israeliani sia dei
e “probabilmente” lanciare missili verso propensa a far
palestinesi.
Israele.
rispettare in modo
La guerra di Gaza del 2014 ha provoMa a cosa servono indagini come equo e simultaneo
cato la morte di più di 2.200 palestinesi e
questa dell’Onu, se la loro frequenza è i diritti legittimi
di 72 israeliani, e la distruzione di migliapari a quella delle uccisioni e il loro imdi israeliani e
ia di case e di altre strutture civili nella
patto sulla guerra è nullo? Questo docupalestinesi
Striscia di Gaza. Le Nazioni Unite hanno
mento innescherà una spirale ormai prepiù volte comunicato agli israeliani le covedibile di accuse e risposte tra israeliani
e palestinesi, ma coinvolgerà anche chi in tutto il mon- ordinate delle scuole in cui si rifugiavano i civili. In una
do esprime perplessità e frustrazione di fronte all’inca- lettera al Consiglio di sicurezza, il segretario generale
pacità di porre ine alla violenza che ormai caratterizza dell’Onu ha criticato Israele per gli attacchi a strutture
“inviolabili” dell’organizzazione, ma ha criticato anche
i rapporti tra i due popoli da quasi un secolo.
Forse è ora che i protagonisti nella regione e gli altri Hamas per “l’inaccettabile” uso improprio di altre
attori interessati prendano in considerazione la possi- strutture delle Nazioni Unite.
Secondo l’indagine, sette scuole sono state colpite
bilità di usare questo documento come un’occasione
per creare un meccanismo di attribuzione delle respon- da un fuoco di sbarramento israeliano “con proiettili ad
sabilità più esteso ed eicace. Questo meccanismo po- alta esplosività”, raiche di mortaio e missili di precitrebbe favorire a sua volta un lento abbandono del mili- sione, mentre i militanti di Hamas hanno ammassato
tarismo incontrollato e un tentativo più serio di giunge- armi in scuole vuote e probabilmente le hanno usate
re a una soluzione del conlitto basata sullo stato di di- come basi per lanciare missili. Certo, può sembrare inritto. Capisco che possa sembrare un desiderio roman- giusto valutare con lo stesso metro di giudizio israeliani
tico, ma secondo me il raggiungimento di una forma e palestinesi: la potenza militare israeliana è superiore
credibile di attribuzione delle responsabilità per l’uso e gli attacchi militari contro i palestinesi sono sproporillegale e immorale della forza da parte di tutti nella re- zionati, per non parlare del fatto che Israele ha occupagione è un obiettivo importante e urgente. Se gli israe- to, colonizzato, assetato e assediato la Striscia di Gaza
liani, gli arabi, gli statunitensi e gli altri protagonisti per decenni. Eppure la forza e il valore di qualsiasi fornella regione possono uccidere, invadere, scatenare ma di afermazione dello stato di diritto e di attribuzioguerre, assediare, colonizzare, rubare, imprigionare, ne delle responsabilità derivano dal fatto che quei mectorturare, violentare e usare armi chimiche nella totale canismi si possono applicare in modo equo a entrambe
impunità, continueranno a farlo ancora per molto tem- le parti in causa. I palestinesi hanno detto di essere
po e il risultato sarà un aumento della violenza e della pronti a un processo che indaghi le loro azioni e quelle
di Israele in base alle stesse norme, perché conidano
barbarie in molte aree del mondo arabo.
Aspirare alla creazione di meccanismi di responsa- nel fatto che l’applicazione delle regole potrebbe inalbilità potrebbe ofrirci l’occasione di deinire i problemi mente imporre dei limiti alle aggressioni incontrollate
e tentare piccoli passi verso soluzioni eque per tutti. Il che Israele compie dagli anni quaranta. Questo rapporconlitto israelo-palestinese è un buon punto di parten- to dell’Onu ofre l’opportunità di chiamare degli assasza, per molte ragioni. È il conlitto più antico, destabi- sini incalliti a rispondere delle loro azioni. Non dovremlizzante e radicalizzante della regione; ha alimentato mo lasciarcela sfuggire. u gim
C
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
RAMI KHOURI
è columnist del
quotidiano libanese
Daily Star. È direttore
dell’Issam Fares
institute of public
policy and
international afairs
all’American
university di Beirut.
In copertina
Terapia psich
Michael Pollan, The New Yorker, Stati Uniti
Foto di JeeYoung Lee
Dopo trent’anni, nelle università statunitensi sono
ripresi gli studi sulle sostanze allucinogene, con
risultati sorprendenti. Le esperienze psichedeliche
sono quasi mistiche e potrebbero aiutare i malati
terminali e chi sofre di disturbi mentali
U
40
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
schizofrenia o sofre di disturbo bipolare.
Dopo lo screening Mettes fu assegnato a
Anthony Bossis, uno scontroso psicologo
sulla cinquantina specializzato in cure palliative e uno dei coordinatori della ricerca.
Dopo quattro incontri Bossis decise di
somministrare a Mettes due pillole, una di
un placebo attivo (in questo caso una forte
dose di niacina, che è leggermente eccitante) e l’altra di psilocibina. Entrambe le sedute si sarebbero svolte in una stanza più simile a un salotto che a uno studio medico, con
un divano, quadri alle pareti, libri d’arte e
mitologia, e vari soprammobili etnici e simboli spirituali, tra cui un Budda e un fungo
di ceramica. Durante ogni seduta, che sarebbe durata quasi tutto il giorno, Mettes
sarebbe stato disteso sul divano con una
mascherina sugli occhi e avrebbe ascoltato
in cuia musica di autori come Brian Eno,
Philip Glass, Pat Metheny e Ravi Shankar.
Bossis e un secondo terapeuta sarebbero
rimasti con lui, parlando poco ma pronti a
intervenire in caso di problemi.
Creatività e spiritualità
L’anno scorso in quella stessa stanza ho incontrato Bossis con il suo collega Stephen
Ross, un professore di psichiatria della facoltà di medicina dell’università di New
York che dirige lo studio sulla psilocibina.
Ross, che ha poco più di quarant’anni e guida anche il reparto tossicodipendenze
dell’ospedale Bellevue, mi ha raccontato
che non sapeva quasi nulla delle sostanze
psichedeliche, le droghe che modiicano
profondamente lo stato di coscienza producendo anche allucinazioni. Poi un giorno un
OPIOM GALLERY
n lunedì di aprile del
2010 Patrick Mettes, un
giornalista televisivo di
54 anni in cura per un tumore alle vie biliari, lesse sulla prima pagina del
New York Times un articolo che avrebbe
cambiato la sua morte. Il male gli era stato
diagnosticato tre anni prima, e nel 2010 era
ormai arrivato ai polmoni. Inoltre Mettes
era debilitato da una pesante chemioterapia e dalla paura di non riuscire a sopravvivere. L’articolo, intitolato “I medici tornano
a occuparsi di allucinogeni”, citava i test
clinici condotti in diverse università, compresa quella di New York, in cui la psilocibina – la sostanza attiva dei cosiddetti funghi
magici – era stata somministrata ai malati
di cancro per alleviare la loro “angoscia esistenziale”. Uno dei ricercatori aveva dichiarato che, sotto l’efetto dell’allucinogeno,
“le persone smettono di identiicarsi con il
loro corpo e tornano alla coscienza con una
maggiore accettazione della propria condizione”. Mettes non aveva mai assunto sostanze psichedeliche, ma decise subito di
ofrirsi come volontario. Sua moglie Lisa
era contraria. “Non volevo che cercasse una
via di fuga”, mi ha detto Lisa. “Volevo che
lottasse”.
Alla ine Mettes telefonò e, dopo aver
risposto a una lunga lista di domande, fu
incluso tra i partecipanti allo studio. Dato
che gli allucinogeni possono riportare in
supericie problemi psicologici latenti, i ricercatori cercano di escludere dagli esperimenti le persone a rischio, cioè chi ha fatto
uso di droghe, chi ha una storia familiare di
hedelica
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
41
In copertina
collega gli ha raccontato che negli anni novanta l’lsd era stato usato con buoni risultati per curare gli alcolisti. Ross ha condotto
qualche ricerca ed è rimasto sorpreso da
quello che aveva scoperto. “Mi sono sentito
un po’ come un archeologo che scopre qualcosa rimasto sepolto per secoli”, mi ha detto. Le sostanze psichedeliche erano già state usate negli anni cinquanta per curare
un’ampia gamma di disturbi, dall’alcolismo
alla paura della morte. L’American psychiatric association ne discuteva regolarmente.
“Alcuni dei migliori psichiatri avevano studiato quei composti costruendo modelli
terapeutici grazie ai inanziamenti pubblici”, mi ha spiegato Ross.
Tra il 1953 e il 1973 il governo federale
spese quattro milioni di dollari per inanziare 116 studi sull’lsd, in cui furono coinvolti
più di 1.700 soggetti. Queste cifre non includono le ricerche segrete. Fino alla metà
degli anni sessanta, la psilocibina e l’lsd
erano legali e abbastanza facili da trovare.
La Sandoz, l’industria chimica per la quale
nel 1938 Albert Hofmann aveva sintetizzato
per la prima volta l’lsd, elargiva Dyelisid
(lsd) a tutti i ricercatori che ne facevano richiesta, nella speranza che qualcuno scoprisse un’applicazione commerciabile. Gli
allucinogeni furono testati su alcolisti, persone afette da disturbo ossessivo-compulsivo, depressi, bambini autistici, schizofrenici, malati di cancro allo stadio terminale e
detenuti, ma anche su artisti e scienziati in
perfetta salute (per studiare la creatività) e
studenti di teologia (per indagare la spiritualità). I risultati furono spesso positivi.
Ma, per gli standard moderni, molti degli
studi erano progettati male. Quando esisteva un gruppo di controllo, era diicile tenere nascosto ai ricercatori quali volontari
avevano assunto la sostanza psichedelica
invece del placebo. E questo è un problema
ancora oggi.
Alla metà degli anni sessanta l’lsd uscì
dai laboratori e si difuse nell’ambiente della controcultura. Nel 1970 il presidente Richard Nixon irmò il Controlled substances
act, una legge che vietava l’uso degli allucinogeni per qualsiasi scopo. Ben presto le
ricerche si fermarono e tutto quello che era
stato scoperto ino a quel momento fu quasi
cancellato. “Quando mi sono iscritto alla
facoltà di medicina, ormai nessuno ne parlava più”, dice Ross.
I test clinici dell’università di New York
– a breve ne partirà un secondo sull’uso della psilocibina nella cura dell’alcolismo – sono un aspetto della rinascita della ricerca
psichedelica in atto in diverse università
degli Stati Uniti, tra cui la Johns Hopkins, il
42
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Medical center dell’Harbor-Ucla e l’università del New Mexico. Ma anche all’Imperial
college di Londra e all’università di Zurigo
si fanno ricerche simili. Oggi che la guerra
alla droga ha perso intensità, gli scienziati
sono ansiosi di tornare a occuparsi delle potenzialità terapeutiche delle sostanze psichedeliche. A gennaio, per esempio, The
Lancet, la più prestigiosa rivista medica bri-
L’lsd uscì dai
laboratori e si difuse
nell’ambiente della
controcultura
tannica, ha pubblicato un editoriale a sostegno di questo tipo di ricerche. Gli effetti
della psilocibina somigliano a quelli dell’lsd
ma, come mi ha spiegato un ricercatore, “le
due sostanze non hanno le stesse connotazioni politiche e culturali”. Inoltre, l’lsd ha
efetti più profondi e duraturi ed è più probabile che provochi reazioni avverse. I ricercatori stanno usando, o progettando di usare, la psilocibina
non solo per curare l’ansia, le dipendenze da fumo e alcol e la depressione, ma anche per studiare
la neurobiologia delle esperienze
mistiche che questa sostanza, in dosi massicce, spesso produce. A quarant’anni da
quando Nixon decise di bloccare le ricerche sugli allucinogeni, il governo statunitense sta cautamente consentendo a un
piccolo numero di scienziati di riprendere
a studiare queste potenti molecole ancora
misteriose.
Mentre chiacchieravo con Tony Bossis e
Stephen Ross nella stanza dove si svolgono
le sedute all’università di New York, il loro
entusiasmo per i risultati ottenuti era evidente. Secondo Ross, nei malati di cancro
una sola dose di psilocibina produce un’immediata riduzione dell’ansia e della depressione, e il miglioramento dura almeno sei
mesi. Al momento stanno analizzando i dati e non li hanno ancora mandati a nessuna
rivista per la valutazione di altri esperti, ma
prevedono di pubblicarli nel corso dell’anno. “Pensavo che i primi dieci o venti volontari fossero iniltrati, che stessero ingendo”, mi ha confessato Ross. “Dicevano cose
del tipo ‘l’amore è la forza più potente del
mondo’, o ‘ho avuto un incontro con il mio
cancro, è una nuvola di fumo nero’. Persone
che prima erano terrorizzate dalla morte
non avevano più paura. Che una sola dose
di una sostanza possa avere efetti simili
per tanto tempo è una scoperta senza pre-
cedenti. Non c’è mai stato niente del genere in psichiatria”.
Sono rimasto sorpreso nel vedere uno
scienziato, specialista di tossicodipendenze, così entusiasta per una sostanza che negli anni settanta era una droga di strada,
classiicata come inutile dalle autorità. Ma
il sostegno alle nuove ricerche sugli allucinogeni è molto diffuso tra gli esperti del
settore. “Io sono particolarmente favorevole a questo tipo di studi”, dice Thomas R.
Insel, che dirige il National institute of mental health. “Se queste sostanze si dimostrano utili per le persone che sofrono veramente, dobbiamo studiarle seriamente”.
Nora Volkow, che guida il National institute
for drug abuse sottolinea però che “è importante ricordare alla gente che fare esperimenti al di fuori dell’ambito della ricerca
con le droghe che creano dipendenza può
provocare seri danni”. Anche Herbert D.
Kleber, lo psichiatra che dirige il reparto
tossicodipendenze del New York state psychiatric institute della Columbia university
ed è uno dei maggiori esperti statunitensi
nel campo, invita alla cautela:
“Questo settore di ricerca è molto
afascinante, ma non dobbiamo
dimenticare che gli studi sono
stati condotti su campioni molto
piccoli”. Kleber sottolinea anche
il rischio di efetti collaterali e l’importanza
di “avere una guida accanto, perché l’esperienza può essere positiva o spaventosa”.
Poi, riferendosi alle ricerche dell’università
di New York e della Johns Hopkins, aggiunge: “Le persone che conducono questi studi
sono molto preparate e serie, sanno quello
che fanno. Il dubbio è: se ne può cominciare
a parlare in tv?”.
Il mondo trasformato
L’idea di somministrare una sostanza psichedelica a una persona in in di vita venne
per la prima volta al romanziere Aldous
Huxley. Nel 1953 lo psichiatra britannico
Humphry Osmond lo aveva introdotto alla
mescalina, un’esperienza che Huxley raccontò nel saggio del 1954 Le porte della percezione. In seguito Huxley propose una ricerca basata sulla “somministrazione
dell’lsd ai malati di cancro allo stadio terminale, nella speranza di poter rendere la
morte un evento più spirituale e meno isiologico”. Lo scrittore, che morì di cancro
alla laringe a 69 anni il 22 novembre 1963,
si fece iniettare l’lsd dalla moglie sul letto
di morte.
I funghi di psilocibina furono scoperti
dalla medicina occidentale (e dalla cultura
popolare) nel 1957 grazie a un articolo di 15
OPIOM GALLeRy
pagine pubblicato sulla rivista Life da un
micologo dilettante – oltre che vicepresidente della J.P. Morgan – di nome R. Gordon Wasson. Nel 1955, dopo aver passato
anni a cercare informazioni sull’uso dei
funghi magici da parte dei nativi messicani,
Wasson li sperimentò personalmente nel
sud del Messico grazie a María Sabina, una
curandera (guaritrice). Il resoconto del suo
viaggio psichedelico durante una cerimonia notturna spinse diversi scienziati, tra
cui Timothy Leary, uno psicologo di Harvard che conduceva esperimenti sulla personalità, a studiare la psilocibina. Dopo
aver provato i funghi magici a Cuernavaca
nel 1960, Leary concepì il Progetto psilocibina, per studiare le potenzialità terapeutiche degli allucinogeni, e qualche anno dopo
cominciò a occuparsi anche di lsd.
Sulla scia delle ricerche di Wasson, Albert Hofmann sperimentò i funghi magici
nel 1957. “Trenta minuti dopo averli presi il
mondo esterno comincia a subire una strana trasformazione”, scrisse Hofman, che
identiicò, isolò e poi sintetizzò il principio
attivo di quei funghi, cioè la psilocibina, il
composto usato nelle ricerche attuali.
Forse il più inluente e rigoroso di questi
primi studi fu quello cosiddetto del venerdì
santo, condotto nel 1962 da Walter Pahnke,
uno psichiatra e pastore protestante che
stava preparando la tesi di dottorato ad Harvard sotto la supervisione di Leary. In un
esperimento in doppio cieco, a venti studenti di teologia fu somministrata una
compressa prima del servizio del venerdì
santo alla Marsh chapel dell’università di
Boston. Metà delle pillole contenevano psilocibina, le altre un placebo attivo (acido
nicotinico). Dei dieci studenti che avevano
assunto la psilocibina, otto dissero di aver
vissuto un’esperienza mistica, mentre solo
uno di quelli del gruppo di controllo disse di
aver provato un senso di sacro e di pace. In
quell’occasione distinguere i soggetti non
fu diicile: chi aveva assunto il placebo era
rimasto tranquillamente seduto mentre gli
altri si erano stesi per terra o avevano vaga-
to per la cappella borbottando frasi come
“Dio è ovunque” e “oh, la gloria!”. Pahnke
arrivò alla conclusione che l’esperienza degli otto che avevano preso la psilocibina era
“indistinguibile, se non identica” rispetto a
certe esperienze mistiche classiche come
quelle descritte dagli studiosi William James e Walter Stace.
Un’illuminazione spirituale
Nel 1991 Rick Doblin, il direttore della Multidisciplinary association for psychedelic
studies (Maps), pubblicò i risultati di un altro studio, per il quale aveva rintracciato e
intervistato sette degli otto studenti di teologia che avevano sperimentato la psilocibina alla Marsh chapel. Tutti gli avevano
raccontato che quell’esperienza li aveva segnati in modo profondo e duraturo. Ma Doblin trovò un punto debole nel resoconto
pubblicato da Pahnke: non aveva minimamente accennato al fatto che, durante
quell’esperienza, diversi soggetti avevano
provato una forte angoscia. Uno dei parteInternazionale 1101 | 8 maggio 2015
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cipanti, che a un certo punto era scappato
dalla cappella convinto di essere stato prescelto per annunciare il ritorno del messia,
era stato immobilizzato e gli era stata somministrata una dose di torazina, un potente
antipsicotico.
La prima ondata di studi sugli allucinogeni era destinata a fallire a causa dell’eccessivo entusiasmo dei ricercatori. Per chi
lavorava con queste straordinarie molecole
era diicile non arrivare alla conclusione di
aver scoperto qualcosa che poteva cambiare il mondo, una sorta di vangelo psichedelico. Avevano diicoltà ad accettare il fatto
che quelle molecole potevano essere usate
solo in laboratorio o per curare chi sofriva.
Presto scienziati un tempo rispettabili si
mostrarono insoferenti verso la scienza.
Leary, per esempio, cominciò a considerarla una delle tante convenzioni sociali che
era giunto il momento di scardinare.
La sospensione delle ricerche sulle sostanze psichedeliche era inevitabile? Secondo Stanislav Grof, uno psichiatra di origine ceca che negli anni sessanta fece ampio uso di lsd, gli allucinogeni “avevano liberato l’elemento dionisiaco” e costituivano quindi una minaccia per i valori puritani
dell’America. Roland Griiths, uno psicofarmacologo della Johns Hopkins university, fa notare che la cultura statunitense non
è stata la prima a sentirsi minacciata dalle
droghe psichedeliche. Anche in Messico i
colonizzatori spagnoli avevano vietato l’uso
dei funghi magici, considerati un pericoloso residuo del paganesimo.
All’inizio del 2006 Tony Bossis, Stephen
Ross e Jefrey Guss, uno psichiatra dell’università di New York, cominciarono a incontrarsi il venerdì pomeriggio dopo il lavoro
per leggere e discutere la letteratura scientiica sugli allucinogeni. Chiamarono il loro
gruppo Psychedelic reading group (Prg,
gruppo di lettura psichedelico), ma nel giro
di pochi mesi, la parola reading (lettura) fu
sostituita da research (ricerca). Avevano deciso di avviare un esperimento usando la
psilocibina per curare l’ansia nei malati di
cancro. Gli ostacoli che avrebbero incontrato non erano da poco: la Food and drug administration (Fda, l’agenzia statunitense
che regolamenta i prodotti alimentari e farmaceutici) e la Drug enforcement administration (Dea, l’agenzia antidroga) gli
avrebbero permesso di usare la sostanza?
L’Institutional review board dell’università
di New York, la commissione incaricata di
proteggere i soggetti degli esperimenti,
avrebbe autorizzato la somministrazione di
un allucinogeno ai malati di cancro? A luglio, inine, la rivista Psychopharmacology
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
pubblicò un epocale articolo irmato da Roland Griiths e da altri scienziati intitolato
“La psilocibina può provocare esperienze
spirituali mistiche”.
“Ci buttammo tutti sull’articolo di Roland”, mi ha raccontato Bossis. “Perché
rafforzava la nostra fiducia in quello che
stavamo facendo. La Johns Hopkins aveva
dimostrato che potevamo continuare senza
correre nessun rischio”. L’articolo diede a
Ross lo strumento di cui aveva bisogno per
convincere la commissione di controllo. “Il
fatto che la Johns Hopkins, considerata un
centro di eccellenza, conducesse ricerche
sugli allucinogeni rendeva più facile far accettare il nostro lavoro”. Nonostante questo, gli studi sugli allucinogeni sono rimasti
rigidamente regolamentati e controllati.
La psilocibina
inluisce in modo
duraturo e positivo
sulla personalità
Lo studio in doppio cieco di Griiths riprendeva quello di Pahnke degli anni sessanta, ma con un rigore scientiico decisamente maggiore. Griiths aveva somministrato a 36 volontari, nessuno dei quali aveva mai fatto uso di allucinogeni, una pillola
che conteneva psilocibina o un placebo attivo (metilfenidato o Ritalin) e
nella seduta successiva aveva invertito le pillole. “Quando viene
somministrata in condizioni protette”, concludeva nell’articolo,
“la psilocibina provoca esperienze simili a quelle mistiche che si veriicano
spontaneamente”. I partecipanti le avevano giudicate tra le più signiicative della loro
vita, paragonabili alla nascita di un iglio o
alla morte di un genitore. Due terzi dei soggetti aveva classiicato la seduta con la psilocibina tra le cinque esperienze spirituali
più importanti della vita; un terzo l’aveva
messa al primo posto. Quattordici mesi dopo, questi giudizi si erano solo leggermente
ridimensionati.
Da uno studio successivo di Katherine
MacLean, una psicologa del laboratorio di
Griiths, emerse che nella maggior parte
dei partecipanti l’esperienza con la psilocibina aveva inluito in modo positivo e duraturo anche sulla personalità. È un dato sorprendente perché in psicologia è risaputo
che la personalità si consolida intorno ai
trent’anni e diicilmente in seguito subisce
cambiamenti di rilievo. Ma a più di un anno
dalle sedute con la psilocibina, i volontari
che avevano vissuto l’esperienza mistica
più completa dimostravano una maggiore
“apertura”, uno dei cinque tratti che gli psicologi prendono in esame per valutare la
personalità (gli altri sono la coscienziosità,
l’estroversione, l’amicalità e la stabilità
emotiva). “Non voglio usare la parola ‘sconvolgente”, dice oggi Griiths, “ma per uno
scienziato, creare un esperimento in cui il
70 per cento dei partecipanti dice di avere
avuto una delle esperienze più signiicative
della vita è un fatto eccezionale”.
Con cautela
L’attuale rinascita delle ricerche sugli allucinogeni deve molto alla rispettabilità dei
suoi sostenitori. A 68 anni, Ronald Griiths,
un comportamentista che alla Hopkins si
occupa di psichiatria e neuroscienze, è uno
dei maggiori esperti di tossicodipendenza
degli Stati Uniti. È alto, magrissimo e dritto
come un fuso: l’unica nota indisciplinata
nel suo aspetto è una folta e indomabile capigliatura bianca. Il direttore del Nihm,
Tom Insel, lo descrive come “uno scienziato molto serio e attento, con la fama di essere particolarmente meticoloso nell’analisi
dei dati. Perciò è interessante il fatto che
oggi si stia occupando di un campo che altri
potrebbero considerare pericoloso”.
La carriera di Griiths ha preso una svolta inaspettata negli anni novanta dopo due
eventi casuali. Il primo è stato la scoperta
del siddha yoga, nel 1994. La meditazione lo ha abituato ad avere
“una visione meno materiale del
mondo, della quale non posso
parlare con i miei colleghi perché
parte da presupposti che come
scienziato mi mettono a disagio”. Nel 1996,
poi, Bob Schuster, un suo amico e collega,
ex direttore del National institute for drug
abuse, gli consigliò di parlare con Robert
Jesse, un ragazzo che aveva conosciuto a
Esalen, un centro di meditazione di Big Sur,
in California. Jesse non era né un medico né
uno scienziato, ma un informatico e uno dei
vicepresidenti dell’azienda di software
Oracle. Aveva deciso di riportare in vita le
ricerche sugli allucinogeni per i loro efetti
non tanto medici quanto spirituali. Così
Schuster (che è morto nel 2011) telefonò a
Jesse per parlargli del suo vecchio amico
Roland Griiths, descrivendoglielo come
“il ricercatore aidabile” di cui aveva bisogno. Jesse prese un aereo per Baltimora e
andò a conoscere Griiths. Cominciò così
una serie di conversazioni sulla meditazione e la spiritualità che alla ine avrebbero
spinto lo scienziato a riprendere la ricerca
sugli allucinogeni culminata, nel 2006,
OPIOM GALLeRY
nell’articolo pubblicato su Psychopharmacology. Roland Griiths e Bob Jesse avevano riaperto una porta che era rimasta chiusa
per trent’anni.
A partire dal 2006 il laboratorio di Grifiths ha condotto uno studio pilota sull’uso
della psilocibina nella cura della dipendenza dal fumo. I risultati sono stati pubblicati
a novembre del 2014 sul Journal of Psychopharmacology. Il campione era molto ridotto, solo 15 fumatori, ma il successo
dell’esperimento è stato sorprendente. Dodici dei volontari, che avevano tutti cercato
di smettere più di una volta, sei mesi dopo il
trattamento erano ancora non fumatori.
L’esperimento era riuscito all’80 per cento.
L’esperienza psichedelica sembra aver consentito a molti soggetti di modiicare, e poi
rompere, un’abitudine consolidata. “Fumare mi è sembrato improvvisamente inutile”, mi ha detto uno dei partecipanti
all’esperimento.
Finora le critiche alla ricerca sugli allucinogeni sono state limitate. “Non si può
somministrare ai pazienti una sostanza solo
perché ha un efetto antidepressivo igno-
rando tutti gli altri efetti. È troppo pericoloso”, ha dichiarato l’estate scorsa alla rivista
Science Florian Holsboer, il direttore del
Max Planck institute of psychiatry di Monaco. Nora Volkow del National institute for
drug abuse mi ha scritto in un’email che “la
nostra preoccupazione principale è che il
pubblico possa avere l’impressione che usare la psilocibina non è pericoloso, mentre i
suoi efetti negativi sono ben noti, anche se
non del tutto prevedibili”. Poi ha aggiunto:
“Sono stati fatti molti progressi nell’allontanare, in particolare i giovani, dagli allucinogeni. Non vorremmo che questa tendenza
si invertisse”.
Diario di viaggio
L’uso delle sostanze psichedeliche a scopo
ricreativo è associato a casi di psicosi, allucinazioni e suicidi. Ma questi efetti negativi non sono emersi negli esperimenti condotti all’università di New York e alla Johns
Hopkins. Dopo quasi 500 somministrazioni di psilocibina, i ricercatori non hanno riscontrato nessun efetto collaterale grave.
Considerato che i soggetti erano volontari,
attentamente selezionati e preparati, e che
sono stati guidati da terapeuti capaci di gestire gli episodi di paura e di ansia, il dato è
meno sorprendente di quanto possa sembrare. A parte le molecole usate, una seduta
terapeutica con gli allucinogeni e un’esperienza psichedelica ricreativa hanno ben
poco in comune.
Attualmente il laboratorio della Hopkins
sta conducendo una ricerca di particolare
interesse per Griiths: sta esaminando l’effetto della psilocibina sulle persone che
meditano da molto tempo. Il progetto prevede di studiare il cervello di 40 persone
che meditano regolarmente usando la risonanza magnetica funzionale prima, durante e dopo l’assunzione di psilocibina. Lo
scopo è rilevare eventuali modificazioni
dell’attività cerebrale e della connettività e
scoprire come “le persone abituate alla
contemplazione” vivono un’esperienza simile. Il laboratorio di Griffiths sta anche
avviando uno studio in collaborazione con
l’università di New York che prevede la
somministrazione della sostanza a persone
di varie fedi religiose per vedere come
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OPIOM GALLERY
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l’esperienza inluisce sul loro lavoro. “Mi
sento come un bambino in un negozio di
caramelle”, mi ha detto Griiths. “Dopo
trent’anni la ricerca si sta risvegliando”.
“L’inefabilità” è la caratteristica principale dell’esperienza mistica. Molti hanno
difficoltà a descrivere le strane cose che
succedono nella loro mente durante un
viaggio psichedelico guidato senza sembrare dei guru new age o dei pazzi scatenati. La
lingua corrente non sempre è adeguata al
compito di raccontare un’esperienza che, a
quanto sembra, permette di uscire dal proprio corpo, viaggiare nello spazio e nel tempo, incontrare demoni e dèi, e guardare in
faccia la morte.
Ai volontari dello studio sulla psilocibina dell’università di New York è stato chiesto di scrivere un resoconto della propria
esperienza subito dopo il trattamento. Da
buon giornalista, Patrick Mettes prese la
cosa sul serio. Dopo la seduta, che si era
svolta di venerdì, lavorò tutto il ine settimana per elaborare meglio la sua esperienza e raccontarla.
Arrivato nella stanza dove avrebbe avu-
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to luogo il trattamento, era stato accolto
dalle sue guide, Tony Bossis e Krystallia
Kalliontzi. Alle nove gli avevano portato
una coppetta che conteneva la pillola. Nessuno sapeva se si trattasse di psilocibina o
di un placebo. Quando gli avevano chiesto
perché aveva deciso di sottoporsi all’esperimento, Mettes aveva risposto che voleva
imparare a gestire meglio l’ansia e la paura
provocate dal cancro. Come gli avevano
suggerito i ricercatori, aveva portato con sé
qualche fotograia – lui, la moglie Lisa e il
cane Arlo – e le aveva sparse per la stanza.
Alle nove e mezza Mettes si era disteso sul
divano, si era messo gli auricolari e una mascherina, ed era rimasto fermo in silenzio.
Nel suo racconto paragona l’inizio del viaggio al lancio di un missile spaziale, “un decollo violento e piuttosto sgradevole che
alla ine cede il posto alla serena beatitudine dell’assenza di peso”.
Molti dei volontari che ho intervistato
mi hanno detto di aver provato paura e ansia prima di abbandonarsi all’esperienza.
Le guide seguono una serie di “istruzioni di
volo” preparate da Bill Richards, uno psico-
logo di Baltimora che negli anni settanta ha
lavorato con Stanislav Grof e oggi fa parte
della nuova generazione di terapeuti psichedelici. Il documento è una sintesi delle
esperienze accumulate durante migliaia di
sedute – e innumerevoli brutti viaggi – negli
anni sessanta, sia in ambiente terapeutico
sia sotto le tende di Woodstock.
La “stessa forza che ti trascina dentro, ti
riporta sano e salvo alla vita quotidiana”, si
legge a un certo punto sul manuale. Le guide devono ricordare ai volontari che non
saranno mai lasciati soli e che durante il
viaggio non dovranno preoccuparsi del loro
corpo, perché ci sarà qualcuno che li terrà
d’occhio. Se avete la sensazione di “morire,
sciogliervi, esplodere o impazzire, lasciatevi andare. Salite scale, aprite porte, esplorate sentieri, sorvolate paesaggi”. E se vi trovate davanti a qualcosa che vi spaventa,
“guardate il mostro negli occhi e andategli
incontro. Puntate i piedi e chiedetegli: ‘Cosa ci fai nella mia mente?’. Oppure: ‘Cosa
posso imparare da te?’. Cercate gli angoli
più bui, e puntate lì la vostra luce”. Questa
preparazione forse spiega perché durante
gli esperimenti non si provano le sensazioni
sgradevoli che a volte accompagnano l’uso
ricreativo degli allucinogeni .
All’inizio del viaggio Mettes aveva incontrato la moglie di suo fratello, Ruth,
morta di cancro più di vent’anni prima, a 43
anni. Ruth “si è oferta di farmi da guida”, si
legge nel resoconto, “e non sembrava sorpresa di vedermi. ‘Indossava’ il suo corpo
translucido per permettermi di riconoscerla”. A un certo punto era comparsa Michelle
Obama. “Tutta quella energia femminile
intorno a me mi faceva capire chiaramente
che una madre, qualsiasi madre, non può
non amare i igli. Era un messaggio potente.
So che stavo piangendo”. Mettes aveva avuto la sensazione di uscire dal ventre materno, di “essere partorito di nuovo”.
Bossis si era accorto che Mettes stava
piangendo e aveva il respiro pesante. Diceva che la nascita e la morte sono una grande
fatica. Sembrava che avesse le convulsioni.
Poi aveva aferrato la mano di Kalliontzi,
aveva alzato le ginocchia e aveva cominciato a spingere, come se stesse partorendo.
“Oddio”, aveva detto, “ora capisco tutto, è
così semplice e così bello”.
Intorno a mezzogiorno Mettes aveva
chiesto di fare una pausa. “Le sensazioni
stavano diventando troppo intense”, si legge nel diario del viaggio. Lo avevano accompagnato in bagno. “Perino i germi erano belli, come tutto il resto del nostro mondo e dell’universo”. Dopo la pausa, aveva
esitato prima di tornare indietro. “La fatica
era notevole, ma mi piaceva quel senso di
avventura”. Si era rimesso la mascherina e
gli auricolari e si era steso di nuovo. “Da
quel momento in poi, c’è stato solo l’amore.
Era ed è l’unico scopo della vita. L’amore
sembrava emanare da un unico punto di
luce. E vibrava. Nessuna sensazione, nessuna immagine di bellezza, niente nella mia
vita sulla terra mi aveva mai dato un senso
di purezza e di gioia estrema come il culmine di quel viaggio”. Alle dodici aveva detto
qualcosa che Bossis si era appuntato. “Ok,
adesso possiamo andarcene. Ho capito”.
Poi aveva fatto un giro dei suoi polmoni,
dove aveva “visto due macchie”. Non erano
“niente di che”. Mettes ha scritto che gli
“stavano dicendo, senza usare le parole, di
non preoccuparsi del cancro. È una piccola
cosa, una semplice imperfezione della tua
umanità”. Poi aveva provato quella che ha
deinito “una breve morte”. “Mi sono avvicinato a quello che sembrava un pezzo di
acciaio inossidabile molto ailato. Somigliava a una lama di rasoio. Ho continuato a
salire ino in cima a quello scintillante oggetto e quando sono arrivato in alto potevo
scegliere se guardare o non guardare dall’altra parte, nell’abisso ininito”. Aveva issato
“la vastità dell’universo”, esitante ma non
spaventato. “Volevo entrarci dentro ma
sentivo che se lo avessi fatto, avrei lasciato
il mio corpo per sempre”, ha scritto. Ma sapeva che “lì c’era ancora molto” per lui.
Quando aveva raccontato alle sue guide la
scelta che aveva fatto, aveva spiegato che
“non era ancora pronto per fare il salto e lasciare Lisa”. Alle tre di pomeriggio era tutto
inito. “Il passaggio da uno stato in cui non
Il paziente aveva
issato la “vastità
dell’universo”. E non
era spaventato
avevo nessun senso del tempo e dello spazio alla relativa monotonia della vita reale è
stato rapido. E avevo mal di testa”. Quando
Lisa arrivò per riportarlo a casa, Patrick
“non aveva un bel colorito, era stanco e sudato, ma era entusiasta”. Diceva di aver
toccato il volto di dio.
La rete di default
Ogni viaggio psichedelico guidato è diverso
dagli altri, ma sembrano esserci dei temi
ricorrenti. Alcuni dei malati di cancro che
ho intervistato all’università di New York e
alla Hopkins hanno detto di aver provato la
sensazione di partorire o di essere partoriti.
Molti hanno anche parlato di un incontro
con il cancro che ha avuto l’efetto di diminuire il suo potere su di
loro. Dinah Bazer, una donna timida sulla sessantina alla quale
nel 2010 era stato diagnosticato
un tumore alle ovaie, davanti alla
massa nera che ha incontrato guardando
dentro di sé ha urlato: “Vafanculo, non mi
lascerò mangiare viva!”. Oggi racconta che
ha smesso di preoccuparsi di avere una ricaduta: esattamente uno degli obiettivi
dell’esperimento.
Spesso durante il viaggio si ha un’improvvisa illuminazione sui grandi misteri
della vita, rivelazioni del tipo “siamo una
cosa sola” o “l’amore è tutto quello che conta”. La mente ritrova la sua capacità di stupirsi e simili idee acquistano la forza di verità rivelate. Il risultato è un’esperienza simile a quella di una conversione: secondo i
ricercatori, l’efetto terapeutico è proprio
in questo dettaglio.
Roland Griiths paragona l’esperienza
con la psilocibina a una sorta di “disturbo
post-traumatico da stress al contrario, un
evento che modiica, positivamente e a lungo termine, atteggiamenti, stati d’animo e
comportamenti, e che, presumibilmente,
produce cambiamenti anche nel cervello”.
Diversi pazienti dicono di aver guardato
oltre la vita. Tammy Burgess, a cui è stato
diagnosticato un cancro alle ovaie a 55 anni,
dice di essersi ritrovata a contemplare “la
grande distesa della coscienza. Ero sola, ma
potevo allungare la mano e toccare tutte le
persone che avevo conosciuto. Quando fosse arrivato il mio momento, è li che sarei
andata. E non sarebbe stato un problema”.
Le descrizioni dei viaggi psichedelici
sono molto diverse dai racconti dei sogni.
Tanto per cominciare, il ricordo del viaggio
non è solo vivido, ma molto dettagliato. Il
racconto che ne deriva è luido e rimane invariato anche a distanza di anni.
Come possiamo giudicare la veridicità
delle illuminazioni che le persone hanno
durante un viaggio psichedelico? Una cosa
è arrivare alla conclusione che solo l’amore
è importante, tutt’altra cosa è uscire da una
terapia convinti che “c’è un’altra realtà” dopo la morte, come ha detto uno dei volontari, o che l’universo e la coscienza non sono
solo quello che la visione puramente materialistica del mondo vuol farci credere. La
terapia psichedelica serve solo a creare illusioni consolatorie nelle persone malate o
vicine alla morte? “Questo va oltre le mie
competenze”, ha risposto Bossis con un’alzata di spalle. Bill Richards ha citato William James, secondo cui il criterio per giudicare un’esperienza mistica non è la sua veridicità, ma le sue conseguenze,
cioè se indirizza la vita di una persona in una direzione positiva.
Molti ricercatori ammettono
che la suggestione può svolgere
un ruolo importante quando una
sostanza come la psilocibina viene somministrata da professionisti in un contesto legale: in queste condizioni è molto più probabile che il paziente soddisi le aspettative
del terapeuta. E che il viaggio non sia spiacevole. E poi – si chiede qualcuno – che importanza ha tutto questo se la terapia aiuta i
malati? Forse il tentativo più ambizioso di
sciogliere il mistero dell’esperienza psichedelica è stato fatto in un laboratorio dell’Imperial college di Londra, dove un neuroscienziato di nome Robin Carhart-Harris
ha iniettato psilocibina e lsd a un gruppo di
volontari sani per poi osservare quello che
succedeva nel loro cervello usando tecniche diverse, dalla risonanza magnetica funzionale alla magnetoencefalograia.
Nel 2010, quando Carhart-Harris ha cominciato a studiare l’efetto degli allucinoInternazionale 1101 | 8 maggio 2015
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geni, i neuroscienziati pensavano che facessero aumentare l’attività cerebrale, e
che fosse quello il motivo delle vivide allucinazioni e delle forti emozioni di cui parlavano i pazienti. Ma quando ha visto i risultati della prima serie di risonanze – che mettono in evidenza le zone del cervello più attive
registrando i lussi di sangue e il consumo di
ossigeno – Carhart-Harris ha scoperto che
in realtà le sostanze riducevano l’attività in
una particolare regione cerebrale: la rete di
default. Sembra che questa rete sia tanto
più attiva quanto meno siamo concentrati
su un compito o meno attenti al mondo
esterno. Si accende quando fantastichiamo,
quando siamo impegnati in processi metacognitivi come l’autoriflessione, i viaggi
mentali nel tempo, la meditazione. CarhartHarris descrive la rete di default come “il
direttore d’orchestra”, “l’amministratore
delegato” o la “capitale” del cervello, che
“gestisce e tiene insieme l’intero sistema”.
Molti ritengono che sia l’equivalente isico
del sé autobiograico o ego. “Quello del cervello è un sistema gerarchico”, dice
Carhart-Harris. “Le parti più elevate, come
la rete di default, hanno una funzione inibitoria nei confronti di quelle più in basso,
come le emozioni e la memoria”. Con il suo
studio, lo scienziato ha scoperto che sotto
l’inluenza degli allucinogeni il lusso sanguigno e l’attività elettrica della rete di default subiscono un calo improvviso, e questo potrebbe spiegare la perdita del senso di
sé di cui parlano i volontari.
Poco prima che Carhart-Harris pubblicasse i risultati del suo lavoro in un articolo
uscito nel 2012 su Proceedings of the national academy of sciences, un ricercatore di
Yale di nome Judson Brewer, che stava
usando la risonanza magnetica funzionale
per studiare il cervello delle persone esperte di meditazione, aveva notato che anche
la loro rete di default era più tranquilla rispetto a quella dei meditanti meno esperti.
A quanto sembra, quando l’ego è temporaneamente fuori servizio, il conine tra l’io e
il mondo, il soggetto e l’oggetto, si dissolve.
Questa è anche una caratteristica delle
esperienze mistiche.
Se la rete di default è il direttore d’orchestra dell’attività cerebrale, è presumibile
che quando esce di scena si veriichi un aumento della dissonanza e del disordine
mentale, come succede durante i viaggi psichedelici. Nelle scansioni cerebrali,
Carhart-Harris ha trovato la prova che la
disattivazione della rete di default “fa entrare in attività” altre zone del cervello. E
questo consente ai contenuti mentali che
nelle normali condizioni di veglia sono na-
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scosti (o rimossi) – emozioni, ricordi, desideri e paure – di affiorare alla coscienza.
Regioni che di solito non comunicano direttamente tra loro cominciano a parlarsi (i
neuroscienziati a volte chiamano questo
fenomeno “interferenza”), spesso con risultati bizzarri. Carhart-Harris non ha una
visione romantica degli allucinogeni, ed è
piuttosto insofferente nei confronti del
“pensiero magico” e “metaisico” che evocano. Secondo lui, gli stati di coscienza che
innescano sono regressioni a un “tipo di cognizione più primitivo”. Sulla scia di Freud,
lo scienziato sostiene che l’esperienza mistica – da qualunque cosa sia stata originata
Gli ostacoli alla
difusione della
terapia psichedelica
sono ancora molti
– ci riporta alla condizione psicologica del
neonato, che non ha ancora sviluppato il
senso del sé. Il valore psicoanalitico degli
allucinogeni, a suo avviso, è quello di consentirci di portare il funzionamento dell’inconscio “a un livello osservabile”.
L’angoscia esistenziale che accompagna
la ine della vita presenta molte delle caratteristiche psicologiche di una rete di default
iperattiva, compresa l’autorilessione eccessiva e l’incapacità di
sfuggire ai pensieri negativi. Davanti alla prospettiva della propria dissoluzione, l’ego diventa
ipervigile e smette di occuparsi
del mondo esterno e degli altri. È sorprendente che un’unica esperienza psichedelica
abbia il potere di modiicare la coscienza in
modo duraturo. È quello che sembra essere
successo a molti dei pazienti che hanno
partecipato ai test clinici con la psilocibina
alla Johns Hopkins e all’università di New
York. Dopo il suo viaggio Patrick Mettes visse ancora 17 mesi e, secondo la moglie Lisa,
in quel periodo riuscì ad accettare l’idea
della morte.
Il tabù più grande
Nonostante gli incoraggianti risultati di
questi test, gli ostacoli all’uso difuso della
terapia psichedelica sono ancora molti.
“Negli Stati Uniti non moriamo bene”, mi
ha detto poco tempo fa Bossis mentre pranzavamo insieme in un ristorante vicino al
suo centro di ricerca. “Provi a chiedere alle
persone dove vogliono morire, e quasi tutte
le risponderanno a casa con i loro cari. Ma
quasi tutti moriamo in un reparto di terapia
intensiva. Parlare della morte è il più grande tabù della medicina americana. Per un
medico, lasciar morire un paziente è una
sconitta”. Bossis e diversi dei suoi colleghi
mi hanno detto di aver avuto serie diicoltà
a reclutare pazienti nel reparto oncologico
dell’università per i loro esperimenti con la
psilocibina. “Sto cercando di mantenere in
vita i miei pazienti”, ha risposto un oncologo a Gabrielle Agin-Liebes, che dirige il progetto. Solo quando sono cominciate ad arrivare le notizie di esperienze positive, le infermiere del reparto, ma non i medici, hanno deciso di parlarne con i pazienti.
Quella di reclutare volontari è solo una
delle diicoltà che incontra la fase 3 dello
studio sulla psilocibina, che dovrebbe coinvolgere centinaia di pazienti in vari istituti e
costare milioni di dollari. L’università del
Wisconsin e l’università della California a
Los Angeles stanno pensando di partecipare, ma l’approvazione della Fda non è ancora sicura. Se però l’esperimento riuscisse, il
governo sarebbe costretto a eliminare la
psilocibina dalla lista delle sostanze non
utilizzabili a scopi medici. Inoltre, sembra
improbabile che uno studio del genere ottenga un inanziamento pubblico. “Il National institute of mental health non è contrario alla ricerca sugli allucinogeni, ma dubito
che voglia fare grossi investimenti”, mi ha
confessato il direttore dell’istituto Tom Insel. Secondo lui dovrebbe prima
analizzare “i possibili sviluppi”
del progetto. Insel teme anche
che sia “molto difficile trovare
una casa farmaceutica interessata a sviluppare un prodotto simile, perché non potrà comunque essere brevettato”. È altrettanto improbabile che
l’industria sia interessata a produrre una
sostanza da somministrare solo una o due
volte nel corso di un trattamento. “Se i risultati si possono ottenere con un’unica seduta, non c’è molto da guadagnare”, osserva
Bossis. Ma Bob Jesse e Rick Doblin sono iduciosi di poter ottenere un inanziamento
privato per la fase 3, e dopo aver parlato con
diversi investitori penso che ci riusciranno.
Nei discorsi della psicologa Katherine
MacLean si sente l’eco dell’entusiasmo degli anni sessanta per le potenzialità degli
allucinogeni e si avverte anche l’insoferenza per i vincoli imposti dal sistema sanitario. In passato sono stati proprio l’entusiasmo per gli allucinogeni e la frustrazione
per la lentezza con cui arrivavano i risultati
a scatenare la reazione che ha costretto a
interrompere gli esperimenti. Ma l’idea di
“far stare meglio le persone che stanno bene”, per usare una frase di Bob Jesse, è nei
OPIOM GALLeRy
pensieri di molti dei ricercatori che ho intervistato, alcuni dei quali mi sono sembrati
più riluttanti a parlarne apertamente rispetto a scienziati meno istituzionali come Jesse
e MacLean. Per loro il primo passo verso
l’accettazione sociale è l’accettazione da
parte dei medici. A Jesse piacerebbe che
queste sostanze potessero essere somministrate da guide esperte “in contesti multigenerazionali” che, stando alle descrizioni,
dovrebbero somigliare molto a comunità
religiose. Altri prevedono che un giorno le
persone che vorranno fare un’esperienza
psichedelica – per motivi di salute mentale,
ricerca spirituale o semplice curiosità – potranno andare in una sorta di “circolo della
salute mentale”, come lo ha chiamato Julie
Holland, un’ex psichiatra del Bellevue. Tutti hanno parlato dell’importanza di avere
guide ben preparate e della necessità, inito
il trattamento, di aiutare le persone a “interpretare” la loro esperienza per renderla
utile. Questo non succede quando sostanze
simili sono usate a scopo ricreativo.
Quando ho chiesto a Rick Doblin se teme un’altra ondata repressiva, mi ha risposto che dagli anni sessanta sono stati fatti
molti progressi: “Quelli erano altri tempi.
Allora la gente non parlava neanche del
cancro e della morte. Alle donne davano
tranquillanti prima di partorire e agli uomini non era permesso entrare in sala parto.
Lo yoga e la meditazione erano considerati
pratiche astruse. Oggi c’è più consapevolezza, tutti fanno yoga, esistono centri per la
preparazione al parto e ospedali per i malati terminali ovunque. Queste cose fanno
ormai parte della nostra cultura. Siamo
pronti anche per gli allucinogeni”. Inoltre,
ha osservato Doblin, molte delle persone
che oggi occupano posti di responsabilità
nelle istituzioni hanno sperimentato personalmente gli allucinogeni e ne hanno meno
paura. A Bossis piacerebbe credere alle previsioni ottimiste di Doblin, e spera che con
il suo lavoro riuscirà a introdurre gli allucinogeni nelle cure palliative. Ma sa anche
che una novità simile potrebbe incontrare
forti resistenze. “La nostra cultura ha paura
della morte, della trascendenza e dell’ignoto: praticamente di tutto quello che è alla
base della nostra ricerca”, mi ha detto.
Quando ho accennato alla possibilità di
“far stare meglio le persone che stanno bene”, Roland Griiths si è improvvisamente
agitato e ha cominciato a scegliere le parole
con cura: “Dal punto di vista culturale, è ancora pericoloso promuovere un’idea del
genere”, ha detto. Ma mi è sembrato convinto del fatto che molti di noi potrebbero
trarre vantaggio da queste molecole e, ancora di più, dalle esperienze spirituali a cui
permettono di accedere. “Tutti dobbiamo
affrontare la morte”, dice Griffiths.
“Quell’esperienza è troppo preziosa per essere riservata solo ai malati”. u bt
L’AUTORE
Michael Pollan è un giornalista e saggista
statunitense, autore del Dilemma
dell’onnivoro (Adelphi 2008). Il suo ultimo
libro è Cotto (Adelphi 2014).
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
49
Cambogia
Social
shopping
Denise Hruby, Brand Eins, Germania
Foto di Martin Roemers
I colossi del commercio online hanno trascurato
la Cambogia, scoraggiati dall’ineicienza dei
servizi postali. Ma un imprenditore locale ha fatto
fortuna vendendo abiti su Facebook
ichet In, 26 anni, indossa
un paio di bermuda rossi
e una polo beige con il
colletto arancione. Sembra un tipo a posto e abbastanza anonimo, lontano
da come ci si potrebbe immaginare uno zar
della moda. Eppure dirige una delle aziende cambogiane di moda di maggior successo. Tutto merito di internet e delle gravi
ineicienze del suo paese, che scoraggiano
colossi del commercio online come Amazon e eBay. In Cambogia solo il 4 per cento
della popolazione ha un conto in banca, gli
stipendi sono pagati in contanti e i soldi si
tengono addosso. A questo bisogna aggiungere la pessima fama delle poste cambogiane, considerate corrotte e inaidabili. I pacchi spesso vengono smarriti, forse anche
perché nell’unico uicio postale di Phnom
Penh, una città di due milioni di abitanti,
non si sono ancora messi d’accordo su quali
sono i codici postali di ciascun quartiere. Il
pagamento e la consegna delle merci devono essere sbrigati di persona, e nessuna
azienda di commercio online straniera è
riuscita ancora ad afermarsi.
L’idea di fondare una startup chiamata
Little Fashion è venuta a Vichet In quattro
anni fa, mentre studiava economia negli
Stati Uniti. “Dovevo comprare un regalo di
Natale per la mia ragazza, che vive in Cambogia”, racconta l’imprenditore. Ha pensato subito ad Amazon e a eBay: avrebbe ordi-
V
50
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nato un regalo comodamente dalla sua
stanza nel gelido Minnesota e l’avrebbe fatto recapitare all’indirizzo della sua ragazza
nella loro città tropicale. Solo che in Cambogia Amazon non c’era, e neanche eBay. A
dire il vero, non c’era nessun modo di fare
acquisti online.
Pioniere dell’f-commerce
Su internet Vichet In ha trovato un fornitore cinese disposto a consegnare un vestito
in Cambogia. La qualità sembrava buona,
il prezzo molto conveniente. Ma poi ha capito che il fornitore glielo avrebbe venduto
alla cifra concordata solo se ne avesse acquistati almeno venti. Vichet In non si è lasciato spaventare e ha cercato altre persone
interessate a comprare lo stesso vestito
pubblicando una foto su Facebook, dove
all’epoca aveva già migliaia di amici. Il vestitino a iori ha suscitato un notevole interesse e in poco tempo l’ordine collettivo è
stato spedito in Cina. A quel punto Vichet
In si era incuriosito, e la settimana dopo ha
pubblicato altre foto di abbigliamento. I
suoi amici si sono mostrati di nuovo interessati. “Mi sono subito accorto che c’era
un’opportunità di guadagno”, racconta Vichet.
La sua Little Fashion vende l’80 per cento della merce attraverso una pagina Facebook dove ogni giorno compaiono foto di
nuovi vestiti. I clienti ordinano i prodotti
scrivendo commenti ai post, inviando un
messaggio privato o facendo una telefonata. La consegna avviene entro ventiquattr’ore. In quattro anni la Little Fashion ha
accumulato 700mila fan e con pochi dipendenti nel 2014 è riuscita a vendere più di
60mila vestiti. Nel 2011 ne aveva venduti
tremila. I ritmi di crescita non sono mai inferiori al cento per cento. Nel suo paese,
Vichet In è considerato un pioniere dell’fcommerce, dove la f sta per Facebook. Ogni
settimana in Cambogia una nuova impresa
cerca di raggiungere attraverso il social network il vasto mercato di giovani utenti di
internet.
In Europa la Cambogia è ancora associata a immagini di poveri orfani e ai khmer
rossi che negli anni settanta decisero di trasformare il piccolo regno in uno stato agricolo uccidendo circa due milioni di persone. Ma da quando, all’inizio degli anni novanta, si sono tenute le prime elezioni libere, l’economia è cresciuta a ritmi rapidissimi. Tra il 1994 e il 2013 il pil del paese ha
registrato in media un aumento del 7,7 per
cento all’anno.
Vichet In è tornato in Cambogia per
aprire la sua ditta tre settimane dopo il primo ordine. Ha creato una pagina Facebook
e ha invitato amici e parenti a comprare vestiti cinesi attraverso la Little Fashion. Dopo
meno di un anno ha aperto una piccola boutique nel quartiere più esclusivo di Phnom
Penh: gli interessati, spiega, dovevano poter verificare di persona la qualità della
merce e l’onestà dell’azienda prima di diventare suoi clienti su Facebook.
Ancora oggi chi acquista paga in contanti e i prodotti gli vengono consegnati da corrieri in motorino. Chea Phary è uno di loro.
Quando ha l’ultimo turno, guida ino alle
dieci di sera tra le strade polverose e gli
stretti cortili interni dei palazzi di Phnom
Penh. La capitale della Cambogia ha una
popolazione numerosa concentrata in poco
spazio, così che Phary raggiunge anche gli
angoli più remoti in meno di mezz’ora. “Lavorare per la Little Fashion è una fortuna.
Guadagno il doppio di quello che si prende
con altri lavori di consegna”, dice Phary, 26
anni, indicando orgoglioso la giacca nera
lucida con il logo dell’azienda. In genere
raccoglie diversi pacchi alla volta e pianiica
il percorso migliore prima di partire a tutta
birra con il motorino.
In questo momento è diretto verso la casa di Kim Sokkea, una cliente che ha ordinato due vestiti. Nelle strade costeggiate da
palme, Phary scansa tutte le buche, gira intorno al monumento per l’indipendenza,
passa davanti a trattorie che ofrono uova e
spaghettini di riso e attraversa un ponte che
PAnoS/LuzPHoTo
Sothearos road, Phnom Pehn, 2009
porta nella parte meridionale e meno popolata della città, dove si ferma davanti a
un’elegante casetta a schiera. Kim ha due
igli, e il marito ha un lavoro ben pagato. Per
i due abitini a iori che ha ordinato la sera
prima, la donna paga l’equivalente di trenta
euro. Al mercato, dove bisogna rovistare in
enormi mucchi di vestiti, non è facile trovare qualcosa che le stia a pennello. “Invece i
vestiti della Little Fashion sono disponibili
in diverse taglie”. E poi con il servizio di
consegna si risparmia il viaggio in città. Gli
ingorghi, la ricerca del parcheggio, il caldo
tropicale, per di più con due bambini piccoli: andare a fare acquisti può diventare un
vero problema. Kim Sokkea preferisce starsene seduta sul divano di pelle bianca davanti al nuovo televisore a schermo piatto a
bere una Coca-Cola e a studiare le ultime
tendenze della moda su Facebook. Fa parte
della giovane e ambiziosa classe media
cambogiana, non si sa con precisione quanto sia numerosa, ma di certo sta crescendo.
La Banca mondiale ha annunciato che nel
2015 la Cambogia passerà dalla condizione
di paese a reddito minimo a quella di paese
a reddito medio-basso. Inoltre il paese ha la
popolazione più giovane del sudest asiatico: metà dei suoi circa quindici milioni di
abitanti ha meno di 25 anni.
La valuta più preziosa
Fare acquisti su Facebook è di moda in
Cambogia. Perino le stelle del pop nelle
loro canzoni si lamentano del fatto che le
loro amiche gli dedicano troppo tempo. Si
clicca su “Mi piace”, si condividono e si
commentano post e si fanno parecchi acquisti e molti ragazzi hanno migliaia di
amici. Qui Facebook è quasi sinonimo di
internet. Per questo i giovani imprenditori
cambogiani sono convinti che l’f-commerce
non sia solo un fenomeno passeggero e che
anche in futuro sarà l’alternativa al commercio tradizionale. Anche nei paesi occidentali molti hanno creduto che Facebook
potesse fare concorrenza ad Amazon nel
commercio online. Marchi come Gap e J.C.
Penney avevano integrato nella loro pagina
Facebook delle app per gli acquisti, che però hanno tolto dopo meno di un anno.
Secondo il consulente svizzero di marketing digitale Thomas Hutter, molti esitano a pagare con la carta di credito su una
pagina Facebook perché temono che qualcuno possa appropriarsi dei loro dati. Le
aziende più piccole cercano di aggirare questo ostacolo con le aste online: l’oferta si fa
su Facebook, ma il pagamento avviene attraverso un altro sito. Dal 2014, inoltre, le
aziende di commercio online hanno la possibilità di incoraggiare gli acquisti immediati con un apposito pulsante messo sotto
l’inserzione. In Cambogia tutto questo non
serve. I clienti si accontentano di ordinare
con un messaggio o una telefonata. Vichet
In si sta già dando da fare per ampliare il suo
assortimento aggiungendo l’abbigliamento
per bambini e per uomo. “E poi quest’anno
voglio raggiungere la soglia del milione”. Si
riferisce al numero di fan della sua pagina
Facebook, la sua valuta più preziosa. u fp
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51
Stati Uniti
AndRew BuRton (Getty IMAGes)
Studenti di Baltimora durante le proteste contro la polizia, 29 aprile 2015
Le scuole di Baltimora
tolgono la speranza
D. Watkins, Aeon, Regno Unito
negli stati uniti il sistema scolastico raforza le discriminazioni contro i neri.
e spesso è l’anticamera del carcere. La denuncia di uno scrittore
utta, mio nipote di tredici
anni, iniva nei guai tutte
le settimane. Rispondeva
male agli insegnanti,
ignorava gli ordini della
preside e usciva dall’aula
durante le lezioni. A un certo punto mia sorella è stata costretta a prendersi un po’ di
tempo ogni mese per andare a parlare con
gli insegnanti, ma neanche questo ha funzionato.
Butta è un ragazzino innocuo e cicciot-
B
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tello, di quelli che ci tengono a condividere
le patatine con gli amici e sarebbero felici di
lasciarti l’ultimo morso del loro panino.
Fuori dalla scuola non ha mai avuto problemi, e questo è tutto dire considerato che suo
padre, io e gli altri suoi zii eravamo già stati
arrestati o cacciati da scuola almeno una
volta quando avevamo la sua età.
“Cosa sta succedendo a scuola?”, gli ho
chiesto.
“I miei insegnanti mi odiano e mi mandano dal signor Ronald, un supplente che
sta tutto il giorno attaccato al telefonino e
dice di non aver bisogno di questo lavoro
perché ha un’azienda. Ma lui non ce l’ha mica un’azienda!”. Butta frequenta la scuola
media, quindi dovrebbe avere più di un insegnante. Ma nel suo istituto i ragazzi problematici vengono spostati in un’aula dove
se ne stanno tutto il giorno in compagnia
dello stesso supplente che gli permette di
giocare a dadi e a carte, di collegarsi ai social network, di ballare, di salire sui banchi
e di fare fondamentalmente tutto quello
iuti abbiamo raggiunto l’uicio. Davanti
alla porta c’erano molti genitori e tutori
dall’aria preoccupata che, come me e mia
sorella, stavano cercando di capire cosa fare
per garantire ai loro ragazzi un’istruzione
decente. Abbiamo salutato la segretaria,
che sembrava simpatica. Si ricordava di mia
sorella e ci ha chiesto di irmare un registro
prima di mandarci nell’aula di Butta. L’odore sgradevole delle scale ci ha accolto di
nuovo mentre procedevamo verso il piano
superiore.
Se l’ingresso della scuola sembrava un
carcere, il secondo piano, quello di Butta,
somigliava a un ospedale psichiatrico.
C’erano studenti che correvano nei corridoi, banchi che volavano, una
scia di fogli con e senza voti sparpagliati dappertutto, scene di lotta che venivano riprese con i cellulari, musica rap a tutto volume,
ragazzini che giocavano a carte e
che interagivano tra di loro a suon di parolacce, il tutto avvolto dalla stessa puzza rivoltante. Il tanfo era così forte che riuscivo
a sentirlo in tutto il corpo, e ho cominciato a
sperare che non mi restasse attaccato ai vestiti.
“Eccoci qua”, ha detto mia sorella con
un sorriso imbarazzato. Come a dire: questa scuola è la mia unica opzione. Sta crescendo Butta da sola, e anche se ognuno di
noi le dà un piccolo aiuto economico, la
scuola privata è comunque troppo costosa.
Nell’aula di Butta era in corso una festa simile a quelle che si vedono spesso nella zona est di Baltimora: ragazzi che ballavano
prendendosi a spintoni, studenti che saltavano da un banco all’altro e uno dei supplenti di cui aveva parlato Butta che mandava sms e controllava gli aggiornamenti su
che vogliono. Anch’io, quando andavo alle
medie, facevo il bullo con i supplenti: tutti
prendono in giro i supplenti quando l’insegnante di ruolo è assente, ma Butta e i suoi
compagni di classe lo facevano da mesi.
Tutti sanno quanto sono violente le
scuole medie di Baltimora. Tempo fa ho
parlato con Stacey Cook, un’ex insegnante
della scuola elementare e media James
McHenry, nella zona sud della città. Cook
mi ha raccontato che l’anno scorso ci sono
state diverse sparatorie davanti all’istituto
durante le lezioni: “Un giorno l’insegnante
di ginnastica si è quasi trovato sotto il fuoco
incrociato. Temendo per la sua vita, ha suonato il campanello e ha implorato di lasciarlo entrare. Ma il preside ha aspettato che la
sparatoria inisse, spiegando che non c’era
nient’altro da fare. L’insegnante di ginnastica, io e molti altri ce ne siamo andati alla
ine dell’anno”.
Sono contento che nessuno abbia mai
sparato contro la scuola di mio nipote, ma la
sua esperienza scolastica è comunque criminale. Stare rinchiusi in un’aula per sei ore
o più al giorno, circondati dal caos e da un
supplente che armeggia con il suo telefonino dovrebbe essere illegale.
Catene secolari
Da sapere
Dalle aule al carcere
Tasso di incarcerazione degli statunitensi per
età, istruzione ed etnia, in %
Neri senza diploma di scuola superiore
Bianchi senza diploma di scuola superiore
20-24 anni
Tutti i neri
Tutti i bianchi
25-29 anni
35
28
21
FoNTE: PEw RESEARCH CENTER
Ho pensato che probabilmente Butta e i
suoi insegnanti avevano un problema di comunicazione e che potevo fare da mediatore. Molti insegnanti dell’istituto sono abituati ad avere a che fare con bambini che
hanno un solo genitore (sempre che ne abbiano uno): volevo essere la voce obiettiva
che valuta tutti i punti di vista nella speranza di aiutare mio nipote a costruire un rapporto proicuo con la sua docente e a rimettersi in carreggiata. Così ho deciso di fare
un salto a scuola insieme a mia sorella.
Un lunedì mattina abbiamo parcheggiato davanti all’istituto. L’ediicio era immerso in una graziosa zona alberata e da fuori
sembrava pulito. Appena entrati ci siamo
ritrovati in uno stretto corridoio. Tre guardie con divise troppo strette per il loro isico
robusto ostruivano il passaggio. Sembravano secondini. Il metal detector installato
all’ingresso era fuori uso, così, come succede nelle prigioni, una delle guardie ci ha
perquisito con uno scanner portatile mentre un’altra controllava le nostre credenziali. Superato l’esame, ci siamo diretti verso
l’uicio della preside, al primo piano in fondo al corridoio.
Le scale puzzavano di preservativi usati
e di piscio di topo. Residui di canne, luidi
non meglio identiicati e carte di caramelle
ricoprivano il pavimento. Scavalcando i ri-
14
7
0
1960
2010 1960
2010
Facebook. Uno degli obiettivi principali
della nostra visita era liberare Butta dal supplente e farlo tornare dalla sua vera insegnante, che però quel giorno non c’era: in
seguito siamo venuti a sapere che era stata
presa a calci e a pugni da un gruppo di ragazzine di terza media inferocite perché i
loro cellulari erano stati coniscati.
È diicile ricevere una buona istruzione
in questo contesto. Non credo che un bravo
insegnante potrebbe fare un lavoro eicace.
Durante la mia visita ho notato che i computer erano vecchi, che i libri di testo erano
rovinati e che nell’aula non c’erano più di
dieci gradi: anche se c’erano almeno trenta
ragazzi che trasudavano pubertà da tutti i
pori faceva comunque freddo.
Come si fa a seguire le lezioni con
questo freddo? Com’è possibile
che in un’importante città degli
Stati Uniti del 2014 le aule non
siano riscaldate? Perché l’uicio
centrale era grazioso e accogliente mentre
le aule erano dei congelatori? Non che fossi
stupito. La mia esperienza della scuola media è stata identica, dalla puzza alla mancanza di strumenti tecnologici ino agli insegnanti esausti o disinteressati che a metà
dell’anno scolastico lasciavano il posto a
una silza di supplenti. A questa situazione
bisogna aggiungere la sensazione di andare
a scuola in una zona di guerra.
La mia storia e quella di Butta si inseriscono nella lunga tradizione dell’esperienza scolastica degli afroamericani negli Stati
Uniti. Alla ine degli anni novanta il mio
americanissimo e bianchissimo insegnante
di storia della scuola media ci faceva addormentare con lunghissime ilippiche patriottiche. Alzava lo sguardo al cielo e ci spiegava
che gli Stati Uniti sono l’unico posto dove si
può arrivare senza possedere nient’altro
che la propria religione e un sogno e ottenere un successo straordinario. Capivo il concetto del sogno, ma sapevo che i miei antenati erano arrivati qui portando con loro
solo paura, catene e incertezza. Non erano
persone in cerca di speranza, ma prigionieri costretti a coltivare e a costruire il cosiddetto mondo libero.
Mentre gli schiavi africani passavano
giorni interminabili cucinando, pulendo e
sudando nei campi e occasionalmente subendo stupri, pestaggi e linciaggi, i igli dei
loro padroni studiavano. Nell’ottocento
spuntarono scuole in tutti gli Stati Uniti, e
alla ine del secolo l’istruzione pubblica gratuita era a disposizione di tutti i bambini
bianchi. I neri vivevano in America dal 1619
e praticamente non ricevettero nessuna
istruzione ino al 1863, quando il presidente
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
53
Stati Uniti
Abraham Lincoln promulgò il Proclama di
emancipazione. I neri, insomma, hanno
avuto uno svantaggio di 244 anni: 244 anni
in cui i bianchi sono stati esposti ai ragionamenti scientiici e al pensiero ilosoico, in
cui hanno scoperto il potere dei libri e della
lettura e in cui hanno potuto trasformare i
sogni in realtà.
“Esiste un mito molto difuso secondo
cui l’istruzione e i libri sono elementi della
cultura bianca”, mi ha detto tempo fa Eric
Rice, un esperto di sistemi scolastici delle
aree urbane della facoltà di pedagogia della
Johns Hopkins university. “Ma gli afroamericani hanno desiderato per molto tempo
un’istruzione. Nel sud schiavista esistevano
leggi che impedivano di insegnare a leggere
agli schiavi, e i neri che cercavano di imparare a leggere venivano picchiati o perino
uccisi. Ma la richiesta di istruzione è sempre stata enorme”.
L’amministrazione Lincoln fece sforzi
importanti per rimediare ai torti subiti dai
neri in vari settori (compresa l’istruzione)
almeno ottomila ex schiavi avevano cominciato ad andare a scuola. Otto anni dopo gli
studenti neri erano diventati ventimila, e le
scuole per neri faticavano a contenerli tutti.
Decine di bambini si accalcavano in quelle
baracche cercando di competere con i compagni tra banchi rotti o inesistenti, acqua
che colava dal soitto e mezzi limitati. “Le
prime scuole per neri ricevevano molte attrezzature e libri usati dalle scuole per bianchi”, racconta Rice. “Le risorse destinate
agli istituti per neri erano più scarse e di
qualità inferiore rispetto a quelle assegnate
alle scuole per bianchi. Le aule erano più
afollate e gli insegnanti meno qualiicati”.
Ci permisero di andare a scuola, ma non
allo stesso livello dei bianchi.
Con il passare degli anni le leggi che imponevano la segregazione razziale fecero
aumentare il divario. Alla ine dell’ottocento diciassette stati più il District of Columbia approvarono leggi che imponevano la
segregazione nelle scuole, e altri quattro
stati la resero possibile. Nel 1951 tredici fa-
Se le scuole sembrano prigioni
e le prigioni sembrano scuole,
ci comporteremo come studenti
o come detenuti?
attraverso l’istituzione, nel 1865, del Freedmen’s bureau. L’agenzia distribuiva vestiti,
cibo e lavoro ai neri liberati dopo la ine della guerra civile e li aiutava a diventare cittadini statunitensi. Aveva perino l’autorità di
assegnare dei terreni. La fase della ricostruzione – gli anni subito dopo la guerra civile,
nei quali il sud sarebbe dovuto rinascere –
era l’occasione giusta per aiutare i neri a
integrarsi nella cultura dominante attraverso l’istruzione. Per la prima volta gli statunitensi assistettero all’ascesa di imprenditori,
politici e sacerdoti neri, ma il paese non
sfruttò quell’opportunità. Quel successo
non produsse nessuna rivoluzione
nell’istruzione degli afroamericani. Quando Lincoln fu ucciso, la sera del 15 aprile
1865, morirono anche le sue promesse. Andrew Johnson, il suo successore, bloccò la
nuova legge sul Freedmen’s bureau e coniscò agli afroamericani le terre che avevano
appena ricevuto e le restituì ai bianchi che
le avevano occupate prima della guerra. Tra
il 1866 e il 1869 Johnson privò di poteri l’uficio, che fu smantellato deinitivamente da
Ulysses Grant nel 1872.
Certo, in quel periodo furono create alcune scuole per schiavi liberati. A un anno
dal Proclama di emancipazione, in Georgia
54
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
miglie nere di Topeka, in Kansas, fecero
causa all’uicio scolastico. Come i loro antenati, volevano un’istruzione di buona
qualità per i loro igli, qualcosa di simile a
quello che i bambini bianchi degli Stati Uniti ricevevano da decenni. Il processo passò
alla storia come Brown v. Board of education
(Brown contro il consiglio scolastico). I nove giudici della corte suprema dichiararono
all’unanimità che le scuole separate per
bianchi e neri erano anticostituzionali. Fu
una vittoria importante per gli studenti
afroamericani, che cominciarono a sperare
in un cambiamento.
Ma l’idea di un’istruzione comune per
neri e bianchi fece impazzire il paese. L’11
giugno 1963 George Wallace, il governatore
dell’Alabama, si piazzò davanti all’ingresso
dell’auditorium dell’università dell’Alabama insieme ad alcuni agenti della polizia
locale per impedire agli studenti neri di entrare. Si arrese solo quando il presidente
John F. Kennedy decise di mandare sul posto la guardia nazionale. Molti genitori
bianchi, inorriditi al pensiero che il iglio
potesse stare in classe con un “negro”, decisero di trasferirsi. Se ne andarono nei sobborghi ai margini delle città, portandosi
dietro i loro i contributi iscali, le loro risorse
e le loro scuole di qualità. Il potere economico aveva molte armi per tenere i neri lontani dai bianchi. Come il blockbusting, una
pratica che consisteva nel far scendere il
valore degli immobili in un quartiere facendo circolare voci sull’arrivo imminente di
un gruppo “indesiderato”. E il redlining, con
cui le banche negavano o rendevano più costosi i loro servizi allo scopo di determinare
la composizione razziale di una zona.
Così eccoci qui: una combinazione di
scuole povere, segregazione istituzionalizzata e carenza di fondi ha alimentato le profonde radici dell’istruzione negata ai neri.
Non solo: ha anche raforzato le fondamenta su cui si basa l’attuale divario nel rendimento scolastico. Tutti questi avvenimenti
e queste politiche hanno prodotto quella
che possiamo deinire la tradizione del fallimento. Questa tradizione non è autoinlitta. Certo, noi afroamericani possiamo assumerci una parte di responsabilità per le
condizioni in cui viviamo, ma spesso non
abbiamo idea di quello che succede perché
discendiamo da persone che non hanno
mai avuto idea di quel che succedeva, in
dal giorno in cui i nostri antenati partirono
da Elmina, il porto usato nella tratta degli
schiavi in Ghana da cui ebbe inizio il nostro
viaggio verso il nuovo mondo.
Ma la cosa peggiore – e che neanche i
miei antenati schiavi avrebbero mai potuto
immaginare – è che mentre ai neri veniva
negata l’istruzione, le porte delle prigioni
erano spalancate e ci accoglievano a braccia aperte. Michelle Alexander, un’avvocata
che si occupa di diritti civili all’università
statale dell’Ohio, autrice di The new Jim
Crow, aferma: “Il sistema della giustizia
penale è stato applicato in modo strategico
per ricacciare gli afroamericani in un sistema di repressione e controllo, una tattica
che avrebbe continuato a dimostrarsi eicace per generazioni”.
Butta si trasferisce
Negli Stati Uniti esiste un canale diretto
che conduce i neri dalla scuola al carcere.
M.K. Asante, scrittore, rapper e docente
alla Morgan state university di Baltimora,
ha parlato di questo circolo vizioso in Buck
(2013), il libro in cui racconta la sua infanzia a Filadelia. Asante aferma che molti
suoi amici sono initi sulla cattiva strada a
causa dei problemi che hanno avuto a
scuola. “C’è un rapporto tossico tra le scuole, le prigioni e i politici che si fanno inanziare le campagne elettorali da aziende che
traggono vantaggi dalla detenzione di
massa, dal lavoro dei detenuti e dagli appalti. Le scuole per neri fanno parte dell’in-
SHANNON STApLETON (REUTERS/CONTRASTO)
Alcuni ragazzi lanciano sassi contro i poliziotti. Baltimora, 27 aprile 2015
neri delle scuole di Baltimora ottiene risultati adeguati alla sua classe. Ma c’è di peggio: oggi in Maryland solo il 57 per cento dei
maschi neri riesce a prendere il diploma di
maturità, contro l’81 per cento dei maschi
bianchi. Ogni anno centinaia di ragazzini
neri abbandonano le scuole superiori di
Baltimora. Entrano nel mondo degli adulti
senza saper leggere e capire un quotidiano
e senza essere in grado di trovare un lavoro
Da sapere
Nuova segregazione
Iscritti alle scuole pubbliche dove almeno
metà degli studenti appartiene a una
minoranza etnica, %
Ispanici
80
Neri
60
Asiatici
40
FONTE: pEw RESEARCH CENTER
dustria delle prigioni”. Asante è convinto
che nelle comunità urbane povere le scuole servano solo a preparare gli studenti neri al carcere. “La scuola dell’obbligo dovrebbe preparare gli studenti all’università
o a un mestiere. Ma pensateci: ci sono sbarre alle inestre, guardie come quelle delle
prigioni e metal detector. Tutto è strutturato come in un penitenziario. La combinazione di questi elementi produce un terreno di coltura per la prigione”. A un certo
punto nel suo libro Asante si chiede: “Se le
scuole sembrano prigioni e le prigioni sembrano scuole, ci comporteremo da studenti o da detenuti?”.
L’atmosfera in cui si è svolta la mia esperienza scolastica spiega perché tanti miei
compagni di classe non sono arrivati ino
alle superiori. E anche se io ho portato a termine gli studi, buona parte di quello che
vedo mi fa pensare che sia più facile entrare
nel mondo del crimine che imparare a leggere: sembrerà pazzesco, ma potrebbe essere vero. Non so quanti spacciatori ci siano
tra i coetanei di Butta, ma ad aprile del 2014
il Baltimore Sun ha reso pubblico un rapporto sul rendimento scolastico della nostra
città: “Stando ai risultati del test che misura
il livello nazionale del progresso scolastico,
in terza media solo il 7 per cento dei ragazzi
Totale
20
Bianchi
0
1990
1995
2000
2005
2010
che copra le spese per mangiare e avere una
casa”.
In molte scuole a maggioranza nera degli Stati Uniti c’è qualcosa che manca. Di
qualunque cosa si tratti, è la strada a colmare il vuoto. La strada fornisce un’istruzione
su tutto quello che le scuole non sono in grado di insegnare, come lo spirito di gruppo,
le opportunità di guadagno e l’amore. Un
amore assente nei freddi corridoi di scuole
come quelle che Butta, io e milioni di altri
afroamericani abbiamo frequentato.
Dopo la mia visita, la scuola di Butta è
stata chiusa insieme ad altri istituti della
città. Mio nipote e i suoi compagni sono stati trasferiti in un’altra scuola in un altro
quartiere, andando a pesare su un istituto
già sovrafollato. La nuova scuola è quasi
identica alla vecchia. Oggi mio nipote riceve un’istruzione leggermente migliore, ma
non si sa quanto durerà: nel 2015 a Baltimora probabilmente chiuderanno altre scuole
a causa della proposta di Larry Hogan, il governatore repubblicano del Maryland, di
ridurre di 35 milioni di dollari le spese per le
scuole pubbliche della città. Ma il problema
non riguarda solo Baltimora. A Filadelia ci
sono scuole che ospitano ino a cinquanta
studenti per classe e sono piene di topi.
Spesso sento qualcuno lamentarsi del
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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Stati Uniti
fatto che le nostre scuole sono in rovina. Ma
è proprio così? Le nostre scuole sono in rovina oppure il sistema funziona esattamente come vorrebbero le persone che lo hanno
creato? Negli anni in cui ho seguito i corsi di
scienze dell’educazione alla Johns Hopkins
ho studiato la cosiddetta teoria della “riproduzione sociale” elaborata dal sociologo
Christopher Doob. Secondo questa teoria,
per perpetuarsi il capitalismo ha bisogno di
produrre un certo numero di lavoratori a
salario minimo e di detenuti, e questo implica la creazione di strutture sociali che riproducano questo meccanismo. “La riproduzione sociale è un fenomeno reale”, mi
ha detto Rice, “ma non credo che sia intenzionale. Il sistema tende a produrre le persone che servono per i posti di lavoro che
saranno disponibili. Sentiamo tutti questi
discorsi sulla necessità di insegnare il pensiero critico perché i lavori del futuro si tro-
cento. Molte scuole statunitensi hanno
adottato con successo il modello di Canada, insieme ad altri nuovi modelli che cercano di preparare i ragazzi all’università. Se
queste soluzioni funzionano, perché non
possono essere applicate a tutte le scuole
pubbliche? Perché non possiamo sviluppare nuovi metodi d’insegnamento e ottenere
livelli d’istruzione più alti?
Ho fatto questa domanda a Rice, che a
Baltimora siede anche nel consiglio direttivo di due charter schools (istituti che ricevono denaro pubblico ma hanno maggiore
autonomia rispetto alle altre scuole). “Il
successo di Geofrey Canada è dovuto in
gran parte alla sua capacità di raccogliere
fondi. Canada ha trovato donatori e sostenitori che generalmente non sarebbero disposti a inanziare il sistema scolastico. Non
sono sicuro che questo sia un modo sostenibile di risolvere i problemi più gravi di intere
Non abbiamo a che fare solo con un
sistema scolastico fallimentare o con
milioni di famiglie sfasciate. Siamo
di fronte a un fallimento secolare
veranno nel campo delle scienze, della tecnologia, dell’ingegneria, della matematica
e dell’informatica. In realtà in futuro una
quantità enorme di posti di lavoro sarà nei
fast food, nelle industrie dei servizi e in
molti settori dove lo spirito critico non è richiesto. Non voglio dire che questo meccanismo sia stato pianiicato a tavolino, ma
trovo interessante che continuiamo a produrre masse di persone adatte a questi lavori e che in genere le masse provengano da
questo sistema scolastico”.
Scuole come quelle che abbiamo frequentato Butta e io sono inanziate dalle
tasse sulla proprietà immobiliare versate in
quartieri pieni di case popolari e complessi
sbarrati con assi di legno. In pratica i poveri
pagano per perpetuare la propria miseria.
Questo sistema, insieme al modo in cui viene imposta la legge, raforza il legame tra la
scuola pubblica e il carcere.
Esistono proposte concrete per invertire
questa tendenza. Come quelle di Geofrey
Canada, un esperto di pedagogia di New
York. Canada ha individuato le disparità
nell’accesso all’istruzione degli studenti
afroamericani e ha creato un modello per
afrontarle dal basso, creando scuole che
seguono regole diverse. La sua iniziativa, la
Harlem children’s zone, ha prodotto una
serie di classi di liceali con un tasso di ammissione all’università superiore al 92 per
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
aree urbane. Credo che se vogliamo veramente risolvere il problema dobbiamo prima afrontare questioni legate alla povertà,
al sistema sanitario e all’accesso al mercato
del lavoro”. Rice parla una lingua che ci riporta alle radici di tutti i problemi della pubblica istruzione. L’idea che le comunità
siano strutturate per creare generazioni di
studenti emarginati che a loro volta creano
generazioni di studenti emarginati raforza
l’idea della riproduzione sociale.
Uno stile di vita
Modernizzare il sistema della pubblica
istruzione è solo metà dell’opera, dice Celia
Neustadt, la fondatrice del Baltimore’s inner harbor project, un’organizzazione non
proit che lavora con le scuole e con gli adolescenti in progetti di rinnovamento sociale. Secondo Neustadt, il progetto ha avuto
successo perché è rimasto al di fuori del sistema. “I ragazzi con cui lavoro si confrontano con la realtà di dover mantenere la loro
famiglia e di tenerla al sicuro”, spiega. Per
aiutare adolescenti cresciuti in famiglie povere ad andare bene a scuola e ad arrivare al
college bisogna ricorrere a una serie di strumenti completamente nuovi.
Il fallimento del sistema educativo statunitense è così radicato nella storia che
non riusciamo neanche a vederlo chiaramente, iguriamoci a sradicarlo. Gli afroa-
mericani non sono stupidi. Le nostre conquiste nel campo della scienza, dell’innovazione, dello sport, del commercio e della
politica sono straordinarie, soprattutto se si
considerano gli ostacoli che abbiamo dovuto superare per ottenerle. In effetti, dovremmo essere giudicati in base al nostro
spirito di sopravvivenza. Mi ricordo di
quando, dopo il crollo dei mercati inanziari del 2008, ho chiesto al mio amico Ron,
che vive a Baltimora ovest, cosa pensasse
della recessione. Lui è scoppiato a ridere:
“Recessione? Quale recessione? Da queste
parti è rimasto tutto uguale”. In efetti per
molti neri la crisi è stata una specie di evento riequilibratore: persone che non appartenevano alle nostre comunità hanno cominciato a provare il dolore a cui siamo abituati.
Siamo nati in uno stato di recessione permanente dove far durare venti dollari una
settimana non è un miracolo ma uno stile di
vita. Dove i forni sono usati spesso per riscaldare la casa, tutti lavorano al nero e ogni
giorno bisogna pensare a un nuovo stratagemma per tirare avanti. È un dato di fatto:
gli afroamericani vogliono imparare ed essere brillanti come tutti gli altri. Gli esperti
possono contribuire a colmare il divario nel
rendimento, ma solo se si prenderanno il
tempo di capire la realtà con cui hanno a
che fare molti studenti neri. Il mio rimedio
è la letteratura: voglio che più persone dei
quartieri a basso reddito sviluppino un
amore per la lettura scrivendo storie che
parlino direttamente a persone colpite dalla
povertà e le incoraggino a scrivere.
Ma tutti abbiamo l’obbligo morale di
fare qualcosa per risolvere il problema.
Dobbiamo riformare il sistema in modo
che possa creare un’esperienza di apprendimento dignitosa per tutti gli studenti.
Perché non abbiamo a che fare solo con un
sistema scolastico fallimentare e con milioni di famiglie sfasciate. Abbiamo di
fronte un fallimento di portata storica, che
dura da secoli. Riconoscerlo è il primo passo per produrre un cambiamento reale,
anche se accettare i fallimenti non è mai
stato un nostro punto di forza. Nessuno
può fare tutto da solo, ma se seguiremo il
proverbio etiope “quando i ragni si uniscono possono legare un leone”, avremo più
possibilità di risolvere questi problemi insieme e di creare un paese degno del sogno
dei suoi fondatori: ofrire a tutti una possibilità di successo. u fp
L’AUTORE
D. Watkins è uno scrittore nato a Baltimora.
Scrive anche su Vice, Huington Post e Salon.
Nel 2016 uscirà il suo libro di memorie Cook up.
Libia
Tra gli scaisti
di Zuwara
Patrick Kingsley, The Guardian, Regno Unito. Foto di Lorenzo Meloni
I traicanti di esseri umani attivi sulla costa libica agiscono impunemente.
Comprano le barche dai pescatori, estorcono denaro ai migranti, corrompono le
guardie costiere. E spesso lasciano ad altri il compito di afrontare la traversata
entre cala la notte
sul porto di pescatori di Zuwara, un
barcone di legno
azzurro con una
s ottile stris cia
bianca sullo scafo si stacca silenziosamente dal molo. Lungo almeno 17 metri, non è
molto diverso dalle altre decine di pescherecci lì intorno. Ma un contrabbandiere di
gasolio, che mi passa accanto, capisce subito di cosa si tratta. È un momento strano
per andare a pesca, commenta. Poche ore
fa quella barca potrà pure essere rientrata
in porto carica di pesci, ma questa notte
trasporta centinaia di profughi verso l’Italia. Solo il giorno prima, il 19 aprile, ottocento persone sono annegate in mare. Su
quella stessa rotta ora comincia un nuovo
viaggio.
“Saranno in duecento”, dice il contrabbandiere. “Come minimo”.
Questa scena spiega perché sia praticamente impossibile cercare di risolvere la
crisi dell’immigrazione nel Mediterraneo
prendendo di mira gli scaisti e le loro imbarcazioni. Poco prima che il barcone salpasse dal porto di Zuwara, l’Unione europea aveva minacciato un’operazione militare contro gli scaisti. Ma dalle interviste a
due traicanti di esseri umani e una persona che lo è stata solo temporaneamente
emerge un problema: le imbarcazioni usate per la tratta degli esseri umani sono dei
normali pescherecci. Gli scaisti non hanno un porto dove tengono barche facili da
M
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identiicare e pronte a essere bombardate.
Comprano i barconi dai pescatori pochi
giorni prima delle traversate. Per distruggere il potenziale bacino di rifornimento,
l’Unione europea dovrebbe radere al suolo
interi porti di pescatori.
“In Libia il pesce costa molto perché ci
sono poche barche con cui andare a pescare”, mi spiega un traicante di esseri umani che dice di chiamarsi Hajj. “Le prendono tutte gli scaisti”.
Hajj dovrebbe essere preoccupato. Se
l’Europa decidesse di lanciare un’operazione militare, uno dei primi obiettivi potrebbe essere lui, che a quanto pare gestisce più della metà delle traversate in partenza da Zuwara. Ma Hajj è tranquillo. Si
sdraia su un ianco, appoggia i piedi su un
cuscino e assaggia due pesci. Li manda giù
con una bottiglia di birra analcolica e mangia degli spicchi di mela. Poi si mette ad
ascoltare con alcuni amici la musica ber-
bera che esce a tutto volume dagli altoparlanti di un’auto parcheggiata lì vicino.
“Non sono in pericolo”, dice Hajj, 33
anni, laureato in legge. “Sono anni che ripetono le stesse minacce. Lasceranno perdere anche stavolta. Cosa pensano di fare,
mettere due navi da guerra di guardia al
porto? In acque libiche? Sarebbe un’invasione”.
Hajj e i suoi amici se la ridono. Che tipo
d’intervento militare potrebbe mai fermare un traico tanto complesso e radicato
non solo nell’economia costiera, ma in tutto il Nordafrica? Un traico che ormai non
dipende solo da pochi esperti ma sempre
di più, dopo la rivoluzione libica del 2011,
da una serie di reti informali che nascono e
scompaiono nel giro di una settimana.
“Chi? Dove?”, si chiede un amico di
Hajj. “Nessuno ha scritto ‘scaista’ in fronte. Uno che rimane senza soldi può vendere il suo appartamento, comprare una barca e organizzare un viaggio per i migranti.
Alla seconda traversata avrà già recuperato
metà del prezzo dell’appartamento”.
Hajj fa questo lavoro da dieci anni ed è
uno dei traicanti di esseri umani più famosi di Zuwara. Ma da un po’ di tempo alcuni nuovi arrivati stanno facendo scendere i prezzi e gli fanno concorrenza per l’acquisto delle barche. “Prima era più rischioso buttarsi in un’attività del genere, ora è
un mercato aperto”, conclude Hajj.
Profughi e migranti arrivano agli scaisti per vie diverse, e ognuna è una specie di
moderna odissea che porta le persone a
CONTrASTO
Libia, ottobre 2014. Un migrante morto sulla spiaggia di Zuwara
girovagare per migliaia di chilometri in vari paesi prima di raggiungere la costa libica.
“La Libia è bagnata da due mari”, fa notare
Samer Haddadin, il capo della missione
dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) a Tripoli. “Da una
parte c’è il Mediterraneo, ma a sud si estende il mare di sabbia del Sahara. Parte dei
migranti viene da sud, dal Niger o dal Sudan, e anche quel viaggio è molto rischioso”. Spesso i siriani, che nel 2014 sono stati
il gruppo più numeroso ad attraversare il
mar Mediterraneo, si dirigono a sud verso
la Giordania, passano per l’Egitto e il Sudan e poi tornano a nord. Anche gli eritrei,
il secondo gruppo più numeroso, afrontano il pericoloso viaggio attraversando il
Sudan, dove corrono il rischio di essere rapiti. Invece i migranti dell’Africa occidentale (nigeriani, ghaneani, senegalesi) vanno prima in Niger e in Mali, aidandosi a
diversi intermediari.
Tutti devono attraversare il deserto e
non sempre ce la fanno. I migranti sono
sempre in balia dei traicanti locali, che a
volte li rapiscono per ottenere dalle famiglie un riscatto o per ridurli in schiavitù.
Alcuni vengono abbandonati tra le dune e
muoiono di sete. “Abbiamo soferto molto
nel deserto”, racconta Mohamed Abdallah, un giovane di 21 anni del Darfur, la regione del Sudan. “Ho perso i miei fratelli e
il iglio di mio zio. Anche i miei amici sono
morti. Siamo sopravvissuti solo io e mio
nipote”.
I conti non tornano
Alcuni pagano per arrivare in Libia in un
unico viaggio. Bayin Kelemekal, un’infermiera di trent’anni originaria dell’Eritrea,
ha pagato settemila dollari per raggiungere
la Libia in una settimana, viaggiando a
bordo di alcuni pick-up. Altri fanno delle
tappe: Fatima Bahgar, una studentessa
maliana che di recente è stata soccorsa in
mare dalla guardia costiera libica, dice di
essere rimasta un anno in Algeria prima di
entrare in Libia. Chi ha abbastanza denaro
con sé può andarsene dalla Libia in pochi
giorni, ma molti devono restare lì a lungo
per ripagare i debiti con i traicanti o per
guadagnare i soldi necessari alla traversata. Tutte le mattine in molte città della Libia si vedono persone radunate agli angoli
delle strade in attesa di un lavoro occasionale.
Hajj nega di aver a che fare con i rapimenti dei migranti, ma a quanto pare alcuni traicanti e imprenditori locali rinchiudono i migranti in magazzini o li fanno lavorare in condizioni di schiavitù inché non
hanno pagato i loro debiti. Di recente Jennifer Collins, un’arredatrice nigeriana, è
stata tenuta in ostaggio in Libia mentre suo
marito lavorava in un autolavaggio. “Non
sono mai uscita dalla casa dove mi hanno
tenuta rinchiusa per sei mesi”, dice.
Quello che succede dopo è diicile da
riassumere in un’unica storia. Ogni scaista sostiene che i suoi metodi sono più
umani e professionali di quelli della concorrenza. Ma non c’è un giudizio unanime
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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Libia
fra i trafficanti su quali debbano essere
questi metodi e su quale sia il prezzo da pagare. Hajj e Ahmed, il comandante in seconda di un’altra importante organizzazione attiva più a est, mi descrivono due modi
diversi di mettere in mare i migranti. Hajj
usa pescherecci di legno o gommoni Zodiac per far arrivare i migranti in Italia, e
sostiene che gli Zodiac siano più sicuri.
Una volta, racconta, una famiglia di siriani
ha pagato centomila dollari per avere la garanzia di arrivare in acque italiane e lui le
ha messo a disposizione uno Zodiac intero.
Invece Ahmed (uno pseudonimo) usa gli
Zodiac solo per trasportare le persone ino
ai barconi ancorati al largo: “È impossibile
arrivare a destinazione su un gommone”.
Di solito gli aspiranti passeggeri si mettono in contatto con Ahmed, con Hajj o con
i loro assistenti. A volte lo fanno da soli, altre volte si rivolgono a un intermediario nel
loro paese. Ahmed versa a quest’ultimo
una commissione di circa 380 dollari per
viaggio. Hajj no, ma il risultato è quasi
sempre lo stesso: si concorda un prezzo e si
paga metà in anticipo.
Le tarife variano da persona a persona.
Hajj spiega che dai migranti dell’Africa
subsahariana non ci si può aspettare “più
di ottocento o mille dollari, mentre un siriano è disposto a pagare ino a 2.500 dollari, un marocchino 1.500”. Dato che il mercato è saturo, i prezzi si sono abbassati e gli
scaisti cercano di imbarcare più passeggeri per compensare le perdite.
Organizzare la partenza
L’aumento dei naufragi registrato nel 2015
è quindi anche un efetto della riduzione
del prezzo per salire a bordo. “È ridicolo”,
dice Hajj. “Trecento passeggeri sono il
massimo per una barca di diciassette metri. Ma c’è chi fa partire trecentocinquanta,
settecento, ottocento persone alla volta.
Sovraccaricano i barconi perché il prezzo
del viaggio è sceso”.
Generalmente i siriani, spiega Hajj,
portano con sé tutti i loro risparmi e quindi
possono pagare somme più alte per viaggiare su barche meno afollate. “I siriani ti
chiedono: ‘Quanto costa aittare tutto il
barcone?’. Io glielo dico e loro rispondono:
‘Paghiamo tutto noi, e se non fai salire nessun altro ti diamo il 20 per cento in più’. Chi
viene dall’Africa subsahariana, invece, non
chiede garanzie perché non ha abbastanza
soldi”.
Alla domanda su quanto guadagnano,
Ahmed e Hajj non danno risposte plausibili. Dicono che dipende da vari fattori: dalle
dimensioni delle imbarcazioni, dal nume-
60
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
I siriani, spiega Hajj,
portano con sé tutti i
loro risparmi e quindi
possono pagare
somme più alte per
viaggiare su barche
meno afollate
ro di persone che riescono ad ammassare a
bordo e dalla nazionalità dei passeggeri.
Ma i conti non tornano. Ahmed stima che
la sua organizzazione guadagni 50mila dinari (33mila euro) a viaggio e che in una
settimana movimentata, di almeno una
ventina di traversate, il guadagno totale
possa raggiungere i 680mila euro. Per gli
scaisti l’unica spesa importante,
il costo della barca, quest’anno si
aggira intorno ai 150mila dinari,
circa 97mila euro.
Hajj dice di guadagnare 22mila dinari (14mila euro) per ogni
viaggio, ma solo 90mila dollari all’anno. È
una stima ridicola, molto lontana da quella
che si avrebbe considerando il numero di
viaggi che l’uomo dice di organizzare nello
stesso arco di tempo.
I due trafficanti si sbottonano di più
quando mi spiegano come si organizza la
partenza. “Innanzitutto i migranti ricevono una telefonata”, dice Ahmed, che in
passato lavorava come tecnico su una piattaforma petrolifera. “Vengono fatti riunire
in un luogo concordato e da lì vengono trasportati in una casa nascondiglio. I cellulari sono sequestrati, nessuno deve portare
con sé bagagli, i migranti ricevono cibo e
acqua, e possono usare dei gabinetti”. A
Zuwara alcune di queste case sono magazzini, altre bungalow e altre ville ancora in
costruzione, sulla spiaggia o nelle immediate vicinanze.
Negli ultimi tempi sono venute alla luce
storie terribili su come gli scaisti trattano i
migranti in queste case. Sono circolate notizie su persone picchiate mentre aspettavano al buio per potergli estorcere più denaro. Shady, 34 anni, un commerciante di
stofe siriano, è arrivato in Libia dall’Algeria a gennaio e ha trascorso quattro mesi in
una casa vicino a Zuwara. Non ha subìto
torture, ma altre persone rinchiuse insieme a lui sì. Ora dice: “Riesci a immaginarti
com’è la morte? Diverse volte ci hanno detto: siamo in partenza. Ma non era vero.
Due volte siamo arrivati ino alla spiaggia,
ma ci hanno fatto tornare indietro. Una se-
ra abbiamo raggiunto la barca, ma non
c’era più spazio”. Shady è stato liberato poche settimane fa ed è riuscito a raggiungere l’Italia.
Hajj ammette che una donna siriana è
stata violentata dal guardiano di una di
queste case. Ma oltre a quel crimine, dice, i
suoi clienti non sono trattati male. Nelle
sue case “non si veriicano torture”, aferma. “In linea di principio non si possono
trattare male delle persone che ti hanno
fatto guadagnare un bel po’ di soldi”. Hajj,
però, non permette agli estranei di visitare
le sue case, quindi è impossibile veriicare
le sue afermazioni.
Il modo in cui gli scaisti si procurano
una barca è più chiaro. Gli Zodiac sono stati importati o rubati dai magazzini dell’ex
dittatore Muammar Gheddai. I barconi di
legno si comprano dai pescatori. Per alcune imbarcazioni i prezzi stanno
aumentando. Quello degli Zodiac è stabile: circa 11mila dinari
(circa settemila euro). Invece i
pescherecci stanno diventando
più costosi. Qualche anno fa,
quando i pescatori potevano chiedere un
prestito speciale allo stato per l’acquisto di
una barca, un peschereccio di legno di circa diciassette metri di lunghezza poteva
costare 80mila dinari (51mila euro) al mercato nero. Ma ora che i sussidi sono initi e
le barche sono sempre meno, Hajj paga il
doppio.
Non è che le barche stiano per inire,
spiega il traicante, ma deve comprarle da
pescatori che preferirebbero non essere
coinvolti in questi afari, quindi deve fare
offerte più allettanti. “Quindi diciamo
160mila dinari invece di 80mila”, spiega
Hajj.
Istruzioni per l’uso
Far uscire le barche dal porto è una questione delicata che Ahmed e Hajj afrontano in modo diverso. Ahmed chiede al precedente proprietario di denunciare la
scomparsa della barca, anche se spesso è
ancora ormeggiata in bella vista al porto. A
quel punto il traicante fa cancellare il nome dallo scafo e dà duemila dinari ai guardacoste perché facciano finta di niente
quando il suo equipaggio porta il barcone
in alto mare. “La guardia costiera è molto
debole”, dice Ahmed. “Gli agenti guadagnano poco e ti lasciano fare di tutto”.
Hajj sostiene di pagare 25mila dinari
per lo stesso favore, forse perché lavora in
un altro porto o forse perché il suo metodo
è ancora più sfacciato. Il traicante non si
preoccupa di far denunciare la scomparsa
ContRASto
Tripoli, febbraio 2014. Cittadini somali in attesa d’imbarcarsi per l’Italia
della barca. I suoi uomini chiedono ai guardacoste il permesso di uscire in mare per
una battuta di pesca di tre giorni. Quando
scende la notte gettano l’ancora a distanza
di sicurezza dalla costa. Protetti dal buio, i
migranti escono dalle case e salgono a bordo degli Zodiac.
Dopo un breve tragitto, in centinaia
vengono imbarcati sul peschereccio. Ricevono un telefono satellitare, un localizzatore gps, giubbotti salvagente (al prezzo di
quindici dinari) e un po’ di cibo e acqua.
Poi gli scaisti assegnano i posti ai passeggeri e gli ordinano di restare fermi. “Gli
diamo istruzioni chiare per evitare che si
spostino troppo”, spiega Hajj. “Se proprio
devono sgranchirsi le gambe, devono alzarsi in piedi e risedersi, ma non camminare da un lato all’altro della barca. Se due o
tre persone cominciano a imitarli, si crea
confusione e la barca si rovescia”.
Secondo il profugo siriano Shady, però,
sono altri i problemi che potrebbero provocare un disastro, ed è tutta colpa degli sca-
isti. Quando è passato dal gommone al
peschereccio, racconta, sulla barca erano
già salite ottanta persone in più del previsto. Durante il viaggio il motore si è rotto e
nello scafo si è aperta una falla. Se il barcone fosse afondato, lui sarebbe sopravvissuto: come siriano, aveva avuto un posto
sul ponte. I migranti africani, invece, erano
tutti nella stiva. “Una cosa davvero razzista”, dice.
Di solito a guidare le barche non sono i
trafficanti. L’arresto di due persone
dell’equipaggio che il 19 aprile ha fatto annegare ottocento persone è stato accolto
come un fatto importante nella lotta all’immigrazione irregolare. Ma in realtà è probabile che i due fossero solo migranti a cui
era stato assegnato quel compito.
Sugli Zodiac il pilota è spesso uno dei
passeggeri, che ha ricevuto istruzioni basilari per guidarlo. Sui pescherecci, invece,
bisogna avere un po’ più di esperienza. A
volte i traicanti usano dei pescatori, egiziani o tunisini, che vogliono andare in Eu-
ropa. Ma in un gruppo di più di trecento
passeggeri, di solito si trova sempre qualcuno che dice di saper navigare. E, dal momento che il capitano può viaggiare gratis,
c’è un forte incentivo a esagerare la propria
esperienza, spesso con conseguenze disastrose. “A volte i passeggeri mentono”,
spiega Amdiaz Aminzo, pseudonimo di
uno scaista che si è ritirato dagli afari ma
sta pensando di tornare in attività. “Hanno
qualche nozione generale di navigazione e
gli viene aidato il timone, ma in realtà
non sanno come afrontare una situazione
diicile”.
Hajj e Ahmed ammettono che l’obiettivo non è far arrivare le barche in Italia, ma
farle soccorrere. Per questo le indirizzano
verso una piattaforma petrolifera al largo
di Lampedusa. La speranza è che, se la barca non viene avvistata prima, i lavoratori
della piattaforma avvertano la guardia costiera italiana o maltese.
I due traicanti dimostrano di avere solo un’idea vaga di cosa fosse l’operazione
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61
Libia
Mare nostrum, la missione lanciata dalla
marina italiana nel 2013. La loro ignoranza
smentisce l’idea difusa che la cancellazione della missione avrebbe potuto costringere i traicanti a interrompere le loro attività. Pur sapendo a grandi linee in cosa
consistesse Mare nostrum, Hajj ammette
che non aveva capito che era stata sospesa.
Ahmed sostiene che non sapeva neanche
come si chiamasse la missione. “Non ne ho
sentito parlare. Cos’è, una cosa del 2009?”.
Quando lo aggiorno sull’argomento, l’uomo alza le spalle. “Molti si imbarcherebbero anche senza operazioni di salvataggio”,
commenta.
Hajj è d’accordo. Da quando, nell’estate del 2014, la guerra in Libia si è intensiicata, ha notato che la domanda è quadruplicata rispetto all’anno precedente.
Non inirà
C’è poi un altro ostacolo al progetto di attaccare i barconi degli scaisti. Oltre al fatto che le imbarcazioni usate per il traico
di esseri umani sono identiicabili come
tali solo per qualche ora, bisogna considerare che i traicanti non ci salgono quasi
mai. Spesso a guidarle sono i migranti stessi, mentre i capi delle organizzazioni criminali restano a terra.
Ma c’è un punto debole, messo in evidenza dallo stesso Hajj, su cui l’Unione
europea potrebbe concentrarsi per mettere ine a queste attività. Quando i guardacoste soccorrono le navi cariche di migranti, fanno sbarcare i passeggeri, ma poi lasciano andare l’imbarcazione alla deriva.
In molti casi i danni subiti non bastano a
farla afondare. Così i traicanti possono
raggiungere la barca vuota, rimorchiarla
ino alla costa libica e ripararla. La ila di
pescherecci in attesa di manutenzione sul
molo di Zuwara è la dimostrazione tangibile di questa strategia.
“Perché lasciano i barconi intatti?”, si
chiede Hajj. “Così ci aiutano perché noi
non dobbiamo fare altro che recuperarli e
portarli a riva”. In alcuni casi la stessa imbarcazione è usata per quattro viaggi.
Ma a prescindere dalla distruzione delle singole barche, le conversazioni con i
traicanti, i rifugiati e i guardacoste sul litorale occidentale della Libia indicano che
esistono altre strategie per arginare il lusso di persone che attraversano il Mediterraneo. Il messaggio dei profughi è chiaro:
dateci un’alternativa. Molti sono scappati
da una dittatura, da una guerra o dalla fame che li tormentava nel loro paese, e poi
sono initi in luoghi che pensavano essere
più sicuri ma dove invece hanno trovato
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
altri conlitti e altro sfruttamento, come la
Libia. Per questo hanno la sensazione che
afrontare il mar Mediterraneo sia il male
minore.
“Noi non vorremmo attraversare il mare”, dice Kelemekal, che viene dall’Eritrea, una dittatura crudele. “Se ricevessimo aiuto dalla Libia o dall’Unhcr, cercheremmo un’altra soluzione. Ma se nessuno
ci aiuta l’unica opzione che ci resta è rivolgerci agli scaisti”.
Anche il ritorno della Libia a una situazione di stabilità è di fondamentale importanza. La guerra civile che ha diviso il paese tra due governi rivali e decine
di milizie in lotta tra loro ha tolto
alle forze dell’ordine locali qualunque interesse o capacità di
afrontare la situazione. O, addirittura, le ha rese perino parte
del problema. Lungo la vasta costa della
Libia occidentale, da dove partono quasi
tutti i barconi dei migranti, la guardia costiera libica ha solo tre imbarcazioni funzionanti. A Zuwara ce n’è solo una: uno
Zodiac grande come le barche più piccole
degli scaisti. I guardacoste non ricevono
lo stipendio da mesi, e un’altra nave che
potrebbe aiutarli a rendere più eicienti le
loro operazioni è rimasta in Tunisia perché
il governo non ha i soldi per pagare le riparazioni.
In una zona da cui partono decine di
viaggi illegali ogni settimana cercare di resistere sembra assurdo, commenta un
guardacoste di Zuwara che dice di chiamarsi Mostafa.
“Se l’Unione europea vuole davvero
fermare il traico di esseri umani in partenza da Zuwara dovrà darci gli strumenti”, dice Mostafa, aggiungendo che i milioni di dollari stanziati per porti come quello
in cui lavora lui non sono mai arrivati a destinazione, perché erano stati inviati al governo di Tripoli. “Ci servono mezzi eicaci, barche, pattuglie adeguate, una commissione che ci addestri. Non date gli aiuti
a Tripoli, dateli a noi di Zuwara”.
Alcuni abitanti di
Zuwara hanno
manifestato contro la
tratta di esseri umani
dopo che la corrente
aveva trascinato a riva
i cadaveri dei migranti
Gli abitanti della cittadina vorrebbero
anche alternative economiche adeguate. Il
lavoro scarseggia da sempre in questa zona
popolata da una minoranza etnica storicamente emarginata: gli amazigh, o berberi.
Hajj dice di aver cominciato a fare lo scaista perché non trovava lavoro come avvocato.
Alcuni abitanti di Zuwara hanno manifestato contro il traffico di esseri umani
dopo che nel 2014 la corrente aveva trascinato a riva i cadaveri dei migranti. Ma, pur
non apprezzando le attività a cui la città
deve la sua cattiva fama, molti altri chiudono un occhio perché indirettamente ci guadagnano anche
loro.
“Sappiamo che è crudele. Il
mare è insidioso. C’è sempre la
possibilità che le barche naufraghino”, dice un uomo di Zuwara che contrabbanda carburante. “Però dobbiamo
accettarlo perché ci sono persone che da
questo hanno tratto un beneicio economico e non ci sono altre opportunità di lavoro”. Alcuni sostengono che se la popolazione d’origine berbera ricevesse un maggior
riconoscimento il traico di esseri umani
perderebbe la sua attrattiva, quantomeno
a Zuwara. Nel 2011 la caduta di Gheddai
aveva suscitato tra gli amazigh la speranza
che la nuova Libia avrebbe concesso più
diritti ai berberi. Ma i progressi sono stati
pochi e alcune persone del posto che intervisto afermano che l’aumento del traico
di esseri umani è una reazione al fatto che
questo popolo è trascurato. Altri invece
fanno notare che le condizioni di vita degli
amazigh non dovrebbero essere usate come giustiicazione per il dilagare della criminalità organizzata.
Hajj pensa che i due fattori siano collegati. “Ci sono scaisti che lavorano per il
piacere di fare soldi, perino a Zuwara”, dice. “Ma altri, come me, lavorano per il piacere di mettere voi europei sotto pressione”. Che quel che dice sia vero o no, il riconoscimento degli amazigh non fermerà gli
scaisti delle zone arabe della Libia. Questo è il messaggio di Ahmed, che opera a
Gasr Garabulli, una cittadina qualche centinaio di chilometri a est di Zuwara. Finché
il mondo continuerà a ignorare le cause
scatenanti della più grande ondata di migrazione di massa mai osservata dopo la
seconda guerra mondiale, queste attività
continueranno.
“Non inirà”, dice Ahmed. “Semplicemente non inirà. Le frontiere meridionali
della Libia sono aperte e ci sarà sempre
qualcuno pronto ad approittarsene”. u fp
Portfolio
Bambine
madri
In Guatemala milioni di donne si sposano
quando sono ancora minorenni, spesso prima
di compiere 14 anni. Molte rimangono incinte
senza essere isicamente ed emotivamente
pronte. Il reportage di Stephanie Sinclair
Beverly, 16 anni, incinta
di sei mesi, durante una
visita all’ospedale di San
Benito, nel dipartimento
di Petén, in Guatemala
Portfolio
n Guatemala la legge prevede che ci si
possa sposare a 14 anni, con il consenso dei genitori. Ma nei villaggi delle
zone rurali del paese, soprattutto nel
dipartimento settentrionale di Petén,
migliaia di ragazze si sposano anche
prima di averli compiuti. Molte rimangono precocemente incinte, con gravi rischi per la loro
salute e per quella dei igli. La maggior parte di
queste ragazze è costretta a lasciare la scuola, a
volte prima di inire le elementari, e molte subiscono violenze e abusi sessuali.
Secondo le Nazioni Unite, nelle zone rurali
del Guatemala il 53 per cento delle donne tra i 20
e i 25 anni si è sposato prima di compierne 18 (il 13
per cento prima dei 15 anni). Nel dipartimento di
Petén il tasso di mortalità materna è di 172 ogni
centomila parti. I igli delle ragazze molto giovani nascono spesso prematuri perché l’utero non
è ancora sviluppato a suicienza. Per ridurre i
rischi, la legge obbliga le ragazze che non hanno
I
Sopra: la casa di
Carmen, 14 anni,
incinta di tre mesi.
Vive con il marito
di 23 anni in casa
dei suoceri. “Sono
andata a scuola
ino alla quinta
elementare, poi mi
sono sposata.
Quando ho saputo
di essere incinta
ero molto triste.
Non so perché”.
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ancora compiuto 14 anni a sottoporsi al parto cesareo, ma in molti casi gli ospedali non sono facili da raggiungere.
Il Guatemala è uno dei paesi più poveri
dell’America Latina. Più del 50 per cento della
popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Il tasso di mortalità infantile è tra i più alti
della regione e l’aspettativa di vita è tra le più
basse. Gli indigeni rappresentano circa il 40 per
cento della popolazione. u
Stephanie Sinclair è nata a Miami, negli Stati
Uniti, nel 1973. Specializzata in questioni legate ai
diritti umani, è stata premiata tre volte al World
press photo. Queste fotograie fanno parte del progetto Too young to wed, che in collaborazione con
il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione
promuove iniziative a favore delle ragazze. In precedenza la fotografa aveva documentato il matrimonio infantile in altri paesi del mondo, tra cui
Afghanistan, Nepal, Etiopia, India e Yemen.
A sinistra: Tania, 17 anni,
incinta di sette mesi, nella sala
d’attesa dell’ospedale di San
Benito con la suocera. Si è
sposata a 15 anni.
A destra: un bambino nato
prematuro in terapia intensiva
all’ospedale di San Benito. La
madre ha 14 anni. Quando è
nato, il bambino pesava solo 1,3
chilogrammi. “È molto
piccolo”, spiega la pediatra
Jessica Gonzáles, “e dovrà
restare qui per un po’. Non è
ancora in grado di respirare
da solo”.
Sopra: Aracely, 15 anni, con il iglio. Il marito l’ha
lasciata al quarto mese di gravidanza, sostenendo
che il bambino non era suo. “Da allora non mi ha più
dato soldi e non ha mai voluto vedere il bambino.
Speravo di avere una vita migliore, ma non è andata
così. Io cerco di andare avanti, anche per mio iglio.
Sarà dura separarmi da lui quando sarà grande.
Perché è lui che mi dà la forza”.
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Portfolio
Sopra: Carmen, 14 anni, incinta di tre mesi. Secondo le Nazioni
Unite, il matrimonio infantile è difuso in più di cinquanta paesi.
In alto, nella pagina accanto: Manuela, 14 anni, con la iglia Dani
nella sala d’attesa dell’ospedale di San Benito. Ha impiegato più di
due ore per raggiungere l’ospedale. Si è sposata quando aveva
dodici anni.
Qui sopra: Sandra, 14 anni, con il iglio Alexander, di cinque mesi.
Si è sposata quando aveva undici anni. Suo marito ne ha 26. “Non
ho genitori. Mia madre mi ha abbandonata e mio padre è stato
ucciso. Sono cresciuta con i miei zii. Ora mi piacerebbe avere una
femmina. E vorrei che studiasse”.
A sinistra: Saidi, 16 anni, al nono mese di gravidanza, davanti alla
casa dei suoceri. “Mi sono sposata a 15 anni. Mio marito se n’è
andato per lavorare durante la gravidanza e non ho più avuto sue
notizie”.
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Qui sopra, a sinistra: Daylin, 15 anni, e Rubin, 17, osservano il
loro iglio nato prematuro nell’ospedale di San Benito. A destra:
Rosario, 14 anni, nell’ospedale di San Benito. “Il problema è che
le ragazze pensano di essere al mondo solo per fare igli”, spiega
il pediatra Daniel Álvarez. “Dobbiamo mettere in dubbio queste
convinzioni, aiutando le ragazze a fare le scelte giuste”.
A sinistra: Sulmi, 14 anni, al nono mese di gravidanza. “Ho
lasciato la scuola in terza elementare. Ho incontrato mio marito
mentre lavoravamo in un’altra città. Oggi lavoriamo insieme.
Lui fa prodotti in pelle e io li vendo. Ci siamo sposati un anno fa.
La mia famiglia era un po’ triste. Dicevano che prendersi cura di
qualcuno è una grossa responsabilità. Anch’io ero un po’ triste.
Ma sposarsi è bello perché si indossa un bel vestito bianco”.
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Ritratti
Mamoun Eltlib
Una vita per i libri
Alia Gilbert, Brownbook, Emirati Arabi Uniti. Foto di Ala Kheir
Il regime sudanese ha messo
al bando il sindacato degli
scrittori e le librerie.
Il poeta e giornalista Mamoun
Eltlib si batte per far
sopravvivere l’amore per la
cultura nel paese
ono convinto che le parole possano cambiare
la tua mente, il tuo corpo, la tua anima. Le
parole sono l’origine di
tutto il mondo”. Così
parla Mamoun Eltlib, mentre si distende
sulla sedia e sfodera un gran sorriso. Seduto sul suo balcone soleggiato che dà sulle
strade piene di vita di Karthoum, la città
dov’è nato 33 anni fa, il poeta, giornalista e
attivista culturale (come ama deinirsi) fa
una pausa insolita.
La vita professionale e quella privata di
Eltlib – profondamente legate alla sua appassionata difesa della parola scritta – lo
hanno reso una delle più importanti igure
letterarie nel Sudan di oggi. Dirige da poco
The Citizen, un quotidiano in inglese appena lanciato, e ha riportato in vita e diretto il
sindacato degli scrittori sudanesi, bandito
a gennaio dal governo di Omar al Bashir.
Eltlib, inoltre, ha fondato il collettivo di
arte e cultura Gruppo di lavoro culturale, ha
codiretto Barana (una casa editrice per giovani scrittori) ed è molto attivo come commentatore politico e giornalista.
Considerati tutti questi impegni è piuttosto sorprendente che Eltlib – che ha dedicato tutta la vita a rivitalizzare e alimentare
la cultura letteraria in Sudan – da ragazzino
non abbia avuto la possibilità di mettere le
mani su un vero libro.
L’infanzia che Eltlib ricorda è quella di
“S
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
un paese in una fase di transizione politica
e sociale in cui, all’inizio degli anni novanta, tutte le biblioteche della città furono
chiuse e i libri al loro interno distrutti. Dopo
il golpe militare di Bashir, nel 1989, il Sudan
diventò uno stato islamico autoritario e retto da un partito unico in cui regnava la censura. Quando Bashir arrivò al potere, il sindacato degli scrittori fu una delle prime organizzazioni a essere bandite. “Non vogliono riunioni, tutto qui. Non vogliono che le
persone si incontrino”, racconta Eltlib. La
grammatica araba e i manuali di matematica erano le uniche pagine a cui lui e i suoi
coetanei avevano accesso. Non c’era una
sola scuola in tutto il paese che disponesse
di una biblioteca per i suoi studenti. “Nessuno ne parlava o ne scriveva”, spiega
Eltlib. “Ma quando vai all’università cominci a capire molte cose. Cominci a chiederti dove siano andate a inire le biblioteche”.
Eltlib scoprì che non tutti i libri erano
stati distrutti. Nelle stradine secondarie
delle due più grandi città del Sudan, Khartoum e Omdurman, negli angoli più bui
delle librerie o perino sotto polverosi assi
del pavimento resisteva con ostinazione un
mercato sotterraneo di libri usati. Le pagine preziose di autori molto amati come Tayeb Salih, Abbas al Aqqad e Nizar Qabbani
si compravano e vendevano solo tra chi sapeva dove andare e cosa chiedere. Una differenza abissale, racconta Eltlib, con la
Khartoum del passato, che aveva la più
Biograia
◆ 1982 Nasce a Karthoum, in Sudan.
◆ 2001 Pubblica la sua prima raccolta di
poesie.
◆ 2006 Comincia a lavorare come
giornalista e a impegnarsi in diverse attività
culturali.
grande biblioteca del mondo arabo e aveva
ispirato un rinascimento letterario nella
prima metà del novecento.
“Il mercato dei libri usati ci ha salvati”,
dice Eltlib. “Non sono riusciti a impedirlo.
Hanno preso molte misure, hanno costretto quelli che ne facevano parte a spostarsi
da un posto all’altro o a pagare tasse più alte, ma niente ha potuto fermarli”. Chi vendeva libri usati correva molti rischi per i
preziosi libri dalla copertina rigida e quelli
in edizione tascabile.
Mi piaceva Dostoevskij
Il rapporto con i libri di Eltlib è cominciato
quando aveva 18 anni: uno studente più
grande gli diede un libro di poesia egiziana
messo al bando. In seguito il giovane Eltlib
ne volle altri. Dopo aver scoperto un indirizzo, si mise a cercare librai a Omdurman.
Uno di loro (“Non so come abbia fatto a idarsi di me”) gli chiese che lavoro faceva.
“Gli risposi che ero un poeta. E lui mi disse,
‘Ok, quale scrittore ti piace?’. Io risposi che
mi piaceva Dostoevskij, anche se non avevo mai letto niente di suo in tutta la mia vita”, racconta ridendo Eltlib. “Mi diede una
raccolta delle opere di Dostoevskij. Conteneva cinque romanzi, tra cui Memorie dal
sottosuolo. Mi cambiò la vita”. Diventò un
cliente fedele del libraio.
Mentre frequentava la facoltà di scienze
e tecnologia dell’università del Sudan,
Eltlib partecipava attivamente alla vita culturale di Karthoum, sviluppando il suo
amore per la letteratura e la scrittura. Il suo
gruppo di amici più stretti, in molti casi studenti di ingegneria come lui, si incontrava
per scrivere, discutere e condividere i propri lavori. Oggi quasi tutti continuano a
scrivere e a pubblicare.
Anche se Eltlib è più conosciuto come
giornalista e opinionista, il suo primo grande amore è stata la poesia. “Cominciare a
scrivere è una cosa davvero magica”, conida. “Ma quando ero piccolo, in Sudan facevano di tutto per farti odiare lo studio
dell’arabo. Come si fa a studiare una lingua
senza studiarne la letteratura? Prendevo i
voti peggiori proprio nei corsi di arabo”. Veniva bocciato quasi ogni anno. La lingua
che imparava a scuola, secondo lui, era “già
morta”.
Qualcosa di straordinario successe, però, quando Eltlib scrisse la sua prima poesia, che fece leggere solo alla madre. Mentre la leggeva, i suoi occhi si fecero sempre
più grandi per lo stupore. “Mi disse: ‘Non
c’è nemmeno un errore. Come ci sei riuscito? Non sai niente di arabo!’”, racconta lui
ridendo. “Cominciai a sentire la lingua e a
scriverla senza neppure conoscere o comprendere la grammatica. Credo che il rapporto con la propria lingua sia molto antico.
Qualcosa che resta seppellito nell’anima”.
Oggi quella di Eltlib è una voce molto
potente. Lo scrittore è stato in prigione per
un anno a causa del suo attivismo culturale
e della sua capacità di “iniammare” i suoi
coetanei con la poesia. A gennaio il sindacato degli scrittori è stato bandito di nuovo,
come Mafrush, il mercato dei libri usati
animato da Eltlib che si svolge ogni primo
martedì del mese (l’iniziativa, partita nel
2012, è stata vietata a gennaio, è ripresa ad
aprile, prima di essere bloccata di nuovo a
maggio).
Colpo di stato
La prima ondata di repressione è arrivata
nel 1989, quando Bashir conquistò il potere
con un colpo di stato ma senza spargimenti
di sangue. La seconda ondata è arrivata nel
2009, dopo la condanna per crimini di
guerra pronunciata dalla Corte penale internazionale contro il presidente. La terza
nel 2013, quando i servizi di sicurezza hanno fatto chiudere il Forum culturale della
critica letteraria, una rete di scrittori sudanesi.
“Certo, fa paura. Ma quando sei giovane
e sei uno studente senti che questa è una
cosa che devi fare”, dice Eltlib.
Rispetto ai tanti progetti a cui ha preso
parte nel corso degli anni, oggi è Mafrush –
che significa “diffondere” o “mettere in
mostra” – a rappresentare per lui “un sogno
che si avvera ogni mese”. Mafrush, una celebrazione per i librai che molti anni fa
cambiarono la vita di Eltlib, attira quasi
duemila persone in piazza Eteni. La maggior parte dei trenta librai presenti vende
più in un giorno qui che in un intero mese al
negozio. E agli scrittori sudanesi viene data
la possibilità di presentare i loro nuovi libri.
Mafrush rivitalizza e alimenta la scena letteraria del Sudan.
In occasione della prima edizione di
questo mercato, Eltlib ha invitato gli scrittori a portare in piazza le loro biblioteche
segrete, non per venderle. “Tutti abbiamo
portato i nostri libri preferiti, ma solo per
farli vedere”, racconta. Il libro nero di
Orhan Pamuk, Anni di cani di Günter Grass
e tutti i libri di Herman Hesse erano e sono
ancora i libri più preziosi sugli scafali di
Eltlib, messi in mostra con orgoglio al Mafrush. Tra i suoi preferiti ci sono anche
scrittori sudanesi come Tayeb Salih, Mohamed Alsadig Alhag e la poetessa Naglaa
Osman Altoum. “È stata una cosa sorprendente, perché tutti pensavano che i giovani
sudanesi avessero smesso di leggere. Invece la maggior parte delle persone che partecipano a Mafrush sono studenti e giovani”, racconta Eltlib, appoggiandosi allo
schienale della sua sedia sul balcone. “È
davvero bello”. u gim
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Viaggi
Il Bhutan
visto dall’alto
Martin Fletcher, Financial Times, Regno Unito
Foto di Ken Spence
In mongoliera per sorvolare
la catena himalayana. E una
volta a terra si possono fare gite
in bici, passeggiate nei boschi
e visite nelle fattorie
na iammata di gas e lut­
tiamo verso l’alto, pro­
prio mentre a est il sole
si alza sui monti inneva­
ti. Il viaggio inaugurale
della mongoliera com­
merciale che vola più in alto al mondo è co­
minciato. Per un’ora sorvoliamo la valle
Phobjikha, ammirando il panorama hima­
layano. A nord si vede il monastero Gang­
tey, costruito quattrocento anni fa, che si
erge su un costone dominando la vallata.
Intorno, boschi abitati da leopardi, orsi e
cinghiali. In basso, il iume Nakey Chhu.
Mentre il calore del sole disperde la fo­
schia, sorvoliamo templi dai tetti dorati e
fattorie dalle pareti bianche. Planiamo a
sud passando sopra cavalli, mucche, uno
yak solitario e branchi di cani che abbaiano
furiosamente alla vista della mongoliera
rossa. I bambini issano l’apparizione in cie­
lo. Un contadino guarda sbalordito un og­
getto che forse non ha mai visto.
La valle si stringe facendo alzare il ven­
to. Viaggiamo a una velocità di quattro o
cinque nodi, ma in modo così naturale che
sembra che sia il suolo a muoversi. La jeep
che ci segue da terra è rimasta indietro, la
vediamo sobbalzare su una strada sterrata.
I nostri giovani aiutanti, che indossano i tra­
dizionali gho (vesti lunghe ino alle ginoc­
chia, strette da una cintura), sguazzano in
mezzo alle paludi provando a starci dietro,
tra risate e grida. Alla ine Cary Crawley, un
pilota professionista britannico, atterra su
un prato a metà tra il iume e un campo ara­
to. È stato un breve volo di prova, ma i sei
passeggeri sono euforici, compresi i due
ufficiali dell’aviazione civile incaricati di
U
72
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“ispezionare” un mezzo di trasporto di cui
non sanno assolutamente nulla. “Incredi­
bile!”, grida mia iglia Hannah. Khin Omar
Win, una delle organizzatrici del viaggio, ci
guarda raggiante e dice: “È stato emozio­
nante, vero?”. “Ve l’avevo detto che l’avrem­
mo fatto, e così è stato”, dice con aria trion­
fante Brett Melzer, il marito di Win.
Per i Melzer il volo che si è appena con­
cluso è il coronamento di una scommessa
donchisciottesca fatta dieci anni fa. Win è
nata in Birmania ma è cresciuta a Londra.
Nel 1997 a Rangoon ha conosciuto Brett, un
australiano, e ha lasciato il Programma del­
le Nazioni Unite per lo sviluppo per aiutarlo
a organizzare gite in mongoliera sui templi
della città birmana di Bagan. Mentre Ba­
loons over Bagan prendeva piede, i Melzer
hanno aperto il Malikha lodge, un rifugio di
lusso nella foresta nel nord della Birmania a
cui si accede per via aerea. Ma nel 2009 i
voli sono stati sospesi e la coppia è stata co­
stretta a vendere la struttura a un imprendi­
tore birmano legato al regime militare.
La coppia non si è persa d’animo e ha
deciso di organizzare dei voli in mongolie­
ra in Bhutan, un altro paese esotico e poco
conosciuto. Crawley è stato per sei settima­
ne nel piccolo regno a perlustrare le monta­
gne e le valli. Una mongoliera non avrebbe
mai potuto decollare o atterrare sugli alto­
piani rocciosi e sui campi innevati, né nelle
itte foreste a sud del paese. Phobjikha, a
quasi tremila metri sul livello del mare, era
l’unica valle ampia e aperta. Ma si trova ai
margini del circuito turistico, delimitato da
quella che qui chiamano autostrada; una
tortuosa striscia di asfalto sgretolato a una
sola corsia che parte dall’unico aeroporto
internazionale del Bhutan. La mongoliera
non può sorvolare la zona ino a primavera,
quando le gru dal collo nero fanno ritorno
sull’altopiano del Tibet. Ma Phobjikha era
“l’unica possibilità”, dice Crawley.
I Melzer hanno costruito uno spettaco­
lare albergo da 4 milioni di dollari nella più
improbabile delle posizioni. Il Gangtey Go­
enpa lodge ha aperto nel 2013 e si trova sullo
stesso costone montano del monastero.
Siccome gli ispettori dell’aviazione sono in
ritardo, io e Hannah passeremo più giorni
del previsto in questo lussuoso rifugio, così
potremo esplorare una valle ricca di piace­
voli sorprese.
Il cambiamento
Incontriamo dei giovani monaci con le to­
nache rosse che si sidano a kuru, un gioco
che consiste nel tirare freccette rudimenta­
li lunghe trenta centimetri contro un bersa­
glio lontano. Assistiamo a una sida di tiro
con l’arco, lo sport nazionale, tra due villag­
gi. Gli arcieri colpiscono un palo di legno a
trenta metri di distanza, mentre i compagni
di squadra festeggiano ballando e cantan­
do. Visitiamo i cortili e i templi dell’antico
monastero mentre i monaci eseguono ri­
tuali con corni, tamburi e kangling, una spe­
cie di cornetta dal suono malinconico rica­
vata da un femore umano. Una élite ristret­
ta di giovani monaci chiamati tulku ci spiega
che da piccoli sono stati riconosciuti come
la reincarnazione dei maestri buddisti. Ve­
Bhutan. La mongoliera al monastero Gangtey
Informazioni
pratiche
u Documenti Il visto è obbligatorio, costa 40
dollari e va richiesto prima della partenza
all’uicio del turismo butanese (tourism.gov.bt)
da un’agenzia autorizzata. In aggiunta bisogna
comprare in anticipo dei pacchetti turistici da
250 dollari al giorno, che comprendono, vitto,
alloggio, trasporti e guide.
u Arrivare L’unico aeroporto del paese si
trova nella cittadina di Paro, a un’ora e mezza
dalla capitale Thimpu. Per arrivare in Bhutan
in aereo si può usare solo la compagnia di
bandiera Druk Air (drukair.com.bt), che ofre
collegamenti giornalieri con Delhi, Bangkok e
Kathmandu. Un volo da Delhi a Paro costa
almeno 530 a/r.
u I lettori consigliano Kunzang Choden,
Il viaggio di Tsomo, O barra O edizioni 2009,
19,50 euro.
u La prossima settimana Viaggio in Benin,
nella regione di Atacora. Avete suggerimenti su
tarife, posti dove mangiare nella zona, libri da
leggere? Scrivete a [email protected].
diamo, ma senza entrare, un centro di me­
ditazione circondato dal ilo spinato, dove i
monaci anziani vivono in isolamento per
tre anni, tre mesi e tre giorni. Il cibo gli vie­
ne lasciato fuori dall’ediicio. C’è un altro
posto dove non ci fanno entrare: una came­
ra nel cuore del monastero dove si dice che
si nasconda uno yeti mummiicato. Sicura­
mente c’è qualcosa, ma con ogni probabilità
si tratta del cadavere di un bambino defor­
me. Da queste parti leggende e superstizio­
ni abbondano. Le case sono decorate con
murali raiguranti tigri, leoni delle nevi,
draghi e mitici garuda mangiaserpenti, ol­
tre che da enormi falli eretti traboccanti di
sperma (che celebrano il “Folle divino”, un
santo del quattrocento famoso per i suoi in­
segnamenti poco ortodossi e la sua vita ses­
suale attiva). Le porte hanno le soglie rial­
zate in modo che i morti, che hanno gli arti
rigidi, non possano entrare.
Attraversiamo a piedi boschi di pini pro­
fumati dai rododendri in iore. Raggiungia­
mo in bicicletta la vetta di un colle in fondo
alla valle e mangiamo in un rifugio. Incro­
ciamo una donna del villaggio che sta to­
sando una pecora nera riottosa, e una pa­
stora che sorveglia il gregge dagli attacchi
di leopardi e volpi. Un mandriano porta gli
yak verso i pascoli più alti.
Una notte rinunciamo al lodge e dor­
miamo in casa di una famiglia di contadini,
aiutandoli a mungere le mucche e a fare il
burro. Dividiamo con loro riso, patate e arra
(vino di riso) e ce ne stiamo seduti a gambe
incrociate intorno alla stufa giocando con i
bambini. La valle sta cambiando. Sono arri­
vati l’elettricità, la tv e i telefoni cellulari.
Internet non ancora. Inoltre, il tratto
dell’“autostrada” che parte dalla capitale
Thimphu sarà ampliato con una seconda
corsia. Il Bhutan, una terra isolata dal mon­
do ino agli anni settanta, si sta aprendo. I
ragazzi stanno migrando dai villaggi per
spostarsi a Thimphu. Dal 2009 al 2013 i tu­
risti stranieri sono passati da 23.480 a
116.209. Di fronte a questo cambiamento il
Bhutan si sforza di conservare la sua identi­
tà e il suo paesaggio: nelle scuole e negli
ediici pubblici è obbligatorio l’abito tradi­
zionale, la costituzione impone che il 60
per cento del territorio sia boschivo, sono
vietati il tabacco e le buste di plastica e il ve­
nerdì non si consuma alcol. L’alpinismo è
limitato per legge perché disturba le divini­
tà che vivono sulle cime innevate. Il Gang­
khar Puensum, 7.570 metri, la più alta tra le
montagne del mondo che non sono mai sta­
te scalate. Il Bhutan incoraggia i turisti, ma
non il turismo di massa. Per questo i visita­
tori sono obbligati a spendere almeno 250
dollari al giorno.
Finora gli sforzi hanno dato buoni risul­
tati. Lo stile di vita butanese è ancora domi­
nato dal buddismo e la gente sembra ancora
andare alla ricerca della felicità anziché del
denaro. Il progetto dei Melzer rispetta gli
obiettivi del governo: la mongoliera attra­
versa in silenzio la valle Phobjikha senza
rovinarne la bellezza. E i monaci sembrano
accogliere benevolmente questo corpo
estraneo nel loro antico dominio. Un anzia­
no maestro, Chogyal Zangpo, ha benedetto
la mongoliera prima che partisse per il suo
secondo volo. “È stata un’esperienza mera­
vigliosa”, dice. “Non ero mai stato in aria
prima. Spesso guardo gli uccelli che volano
in alto. Ora so che cosa vedono”. u fas
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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Graphic journalism
A VIENNA MI È SUCCESSA UNA COSA
BUFFA: APPENA SONO SALITO SUL TAXI
IL TASSISTA HA COMINCIATO A
RACCONTARMI LA SUA STORIA. ERA
COME SE ASPETTASSE DA TEMPO DI
POTERSI CONFIDARE CON QUALCUNO...
GUARDANDO LA RICCA ARCHITETTURA
MITTELEUROPEA DAL FINESTRINO LO
ASCOLTAVO PARLARE DEGLI IMMIGRATI
CHE NON SI SENTONO A CASA DA
NESSUNA PARTE. IL PAESE CHE HANNO
LASCIATO, LA JUGOSLAVIA, NON ESISTE
PIÙ, E QUELLO DI ADOZIONE RIMANE
PER LORO UN PAESE STRANIERO...
“MI CHIAMO MOMCILO, SONO SERBO
E SONO NATO IN UN PICCOLO
VILLAGGIO DELLA BOSNIA. DA GIOVANE
MI SONO TRASFERITO IN CROAZIA,
HO TROVATO LAVORO COME
ISPETTORE DI POLIZIA A ZAGABRIA E
HO SPOSATO UNA CROATA. QUANDO È
SCOPPIATA LA GUERRA SIAMO FUGGITI A
VIENNA. TORNEREI DAVVERO VOLENTIERI
IN JUGOSLAVIA, SE FOSSE POSSIBILE. LÌ
AVEVI UN LAVORO STABILE DALLE 6
ALLE 14 E LO PERDEVI SOLO SE
ERI UN IDIOTA. C’ERA UN GRANDE
SENSO DI SICUREZZA, FORSE
NON ERA ABBASTANZA PER QUELLI
CHE ASPIRAVANO A QUALCOSA DI
PIÙ, MA IO IN JUGOSLAVIA CI
STAVO BENE, SAPEVO DI POTER
CONTARE SU TRE COSE:
UN TETTO, IL PANE
E IL SESSO!”.
74
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
“SONO VENTI ANNI CHE VIVO A VIENNA, MENTRE
A ZAGABRIA SONO STATO 16 ANNI. MA MI
SEMBRA DI AVER ABITATO 160 ANNI A ZAGABRIA
E DUE ANNI A VIENNA. ANCHE SE È QUI CHE
VIVO CONTINUO A NON SENTIRMI A CASA. NON
SONO PER NIENTE INTEGRATO IN QUESTA
SOCIETÀ... E NON VOGLIO NEANCHE TORNARE
A ZAGABRIA, MI SPAVENTA L’ECONOMIA. I MIEI
SUOCERI, CHE SONO IN PENSIONE, MI DICONO
CHE LE COSE NON SONO MAI ANDATE COSÌ
MALE. NON POSSONO NEMMENO PERMETTERSI
UNA CAZZO DI LOMBATA! CI SI È PRESENTATA L’OPPORTUNITÀ DI ANDARE A BELGRADO,
MA CI VUOLE FEGATO PER SOPRAVVIVERE
TRA QUEI MAFIOSI”...
“LA MIA VITA QUI È DIFFICILE, MI ALZO ALLE
CINQUE DEL MATTINO E LAVORO FINO ALLE
NOVE DI SERA... A PRANZO MI INFILO IN UNA
MENSA DI RADIO WIEN, GRAZIE A UN CUOCO SERBO
CHE CI LAVORA. GLI IMPIEGATI TOLLERANO LA
PRESENZA DI ALCUNE PERSONE DELL’EX JUGOSLAVIA
PERCHÉ PAGHIAMO IL PREZZO PIENO, MENTRE I
LORO PASTI SONO IN GRAN PARTE SOVVENZIONATI.
I CUOCHI SERVONO IL ‘CIBO SANO’ AGLI AUSTRIACI,
PERCHÉ È QUELLO CHE CHIEDONO, E A NOI
DANNO IL ‘CIBO BUONO’”...
A VIENNA HO UN APPARTAMENTO,
MA NON HO CAPITO CHI È IL
PROPRIETARIO, IO O LA BANCA
CHE MI DÀ IL PRESTITO?
ALMENO QUI SI TIRA A
CAMPARE, IN UN MODO O IN
UN ALTRO. IN EX JUGOSLAVIA
PER SOPRAVVIVERE SERVE
UN QUOZIENTE D’INTELLIGENZA DI 120, IN
OCCIDENTE ANCHE
CON 70 TROVI
UN LAVORO
DA SPAZZINO”...
Aleksandar Zograf è un autore di fumetti nato a Pančevo, in Serbia, nel 1963.
Il suo ultimo libro è Segnali (Coconino press/Fandango 2011).
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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Cultura
Satira
JEromE SESSINI (magNum/CoNTraSTo)
Parigi, place de la République, 7 gennaio 2015
Il premio
della discordia
John Dugale, The Guardian, Regno Unito
L’assegnazione del Pen award a
Charlie Hebdo ha provocato un
acceso dibattito nell’ambiente
letterario angloamericano. E alla
ine 204 scrittori si sono
“dissociati con rispetto”
l Pen american center è in subbuglio.
Tutto è cominciato a marzo quando il
ramo statunitense del Pen international, l’organizzazione che difende gli
scrittori in pericolo e combatte la censura,
ha annunciato che Charlie Hebdo avrebbe
ricevuto il suo premio alla libertà di espressione nel corso dell’evento annuale del 5
maggio a New York.
Il Pen ha ricevuto molte lettere che criticavano questa decisione. Lo scrittore australiano Peter Carey che ha accusato l’organizzazione di non vedere “l’arroganza”
della Francia nei confronti di “una parte
importante della sua popolazione” (ossia i
musulmani), e la statunitense Deborah Eisenberg, hanno sottolineato che le vignette
di Charlie Hebdo sono “anti-islamiche” e
I
c’è una “diferenza fondamentale” tra difendere “un’espressione che supera i limiti
di cos’è accettabile e premiare con entusiasmo questa opinione”.
Pochi giorni prima dell’assegnazione
del premio sei ospiti al tavolo da 1.250 dollari a persona – Carey, Teju Cole, rachel Kushner, michael ondaatje, Francine Prose,
Taiye Selasi – hanno dichiarato che non
avrebbero partecipato all’evento, attirandosi le invettive di Salman rushdie che li ha
deiniti “sei autori in cerca di personalità”.
rushdie ha anche insinuato che Carey e
ondaatje si sono resi “compagni di viaggio”
dell’islam militante.
Un tweet prematuro
Tuttavia il tweet con cui rushdie si rallegrava del fatto che fossero “solo sei femminucce” (un termine per il quale si è in seguito
scusato) è stato afrettato, perché in seguito
il Pen ha ricevuto una lettera in cui altri
scrittori hanno dichiarato di “volersi dissociare con rispetto” dal premio. Tra gli scrittori più noti che si sono uniti a quelli già
menzionati ci sono Junot Díaz, Eve Ensler,
Joyce Carol oates, Kamila Shamsie, Walla-
ce Shawn e rebecca Solnit. alla ine i irmatari sono diventati 204.
andrew Solomon, presidente del Pen
american center e uno dei pochi autori che
si sono schierati pubblicamente con Salman
rushdie, ha dichiarato: “Il premio non è un
riconoscimento ai contenuti di Charlie
Hebdo. ma è un gesto di ammirazione per
l’impegno a favore della libertà di espressione. È un premio al coraggio, non un premio ai contenuti”. Jo glanville, direttore del
ramo britannico del Pen, ha ricordato che
storicamente le opere al centro di “battaglie
per la libertà di opinione” spesso sono state
ofensive o “prive di valore”.
In supericie il dibattito – poco ediicante quando ha preso la forma di tweet o polemiche personali, ma piuttosto signiicativo
quando le persone coinvolte hanno avuto la
possibilità di articolare le proprie opinioni
– contrappone i sostenitori di Voltaire a
quelli più diidenti. I primi sottoscrivono
sia la famosa frase attribuita all’illuminista
(“Disapprovo quello che dici, ma difenderei ino alla morte il tuo diritto a dirlo”) sia le
sue campagne contro i sistemi religiosi oppressivi.
ma le cose non sono così semplici. Cole,
per esempio, si deinisce un “fondamentalista della libertà d’espressione”, mentre
Eisenberg ritiene che la “libertà di espressione debba valere per tutti”. anche se
rushdie e glanville non sembrano disposti
ad accettare la distinzione, fanno comunque una diferenza tra difendere Charlie
Hebdo e (per dirla con Cole) “idolatrarlo” o
“acclamarlo”.
al contrario della chiesa cattolica contro
cui ha combattuto Voltaire – un quasi monopolio di stampo autoritario – Eisenberg e
Carey considerano l’islam nella Francia di
oggi una religione che ofre sostegno a “chi
è assediato, marginalizzato, impoverito e
oppresso”, una popolazione agli occhi della
quale le vignette “saranno apparse come un
modo voluto per inliggere ulteriori umiliazioni e soferenze”.
Dove rushdie vede una “battaglia contro l’islam fanatico” in stile Voltaire, alcuni
dei suoi oppositori avvertono gli echi di
quella guerra delle idee che ha accompagnato le recenti crociate militari dell’occidente in medio oriente, o tracciano paralleli altrettanto inquietanti tra le vignette
pubblicate da Charlie Hebdo e le rappresentazioni antisemite. u gim
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Cultura
Cinema
Italieni
Dalla Francia
I ilm italiani visti da un
corrispondente straniero.
Questa settimana la giornalista israeliana Sivan Kotler.
Tutto bene, grazie
78
Stando alle cifre presentate
dal Cnc, il cinema francese
gode di ottima salute
Con la sua vitalità il cinema
francese è un’eccezione in un
panorama europeo altrimenti
piuttosto dimesso. Nel suo annuale resoconto, che tradizionalmente arriva pochi giorni
prima del festival di Cannes, il
Cnc (Centre national du cinéma e de l’image animée) conferma un certo dinamismo, almeno stando agli indicatori
più importanti (tasso di frequentazione delle sale, numero dei ilm prodotti e distribuiti
o esportati). Sulla frequentazione delle sale, tutte le cifre
Non sposate le mie iglie!
sono precedute dal segno positivo. Nel 2014 il 66,6 per cento
dei francesi (39 milioni di persone) è andato al cinema almeno una volta e le tendenze
sono tutte in crescita. In più la
Francia è di gran lunga il primo
mercato cinematograico del
continente: dei 911 milioni di
biglietti strappati in Europa,
più di 209 milioni sono francesi contro i 122 milioni venduti
in Germania e i cento in Italia.
E nonostante una lieve diminuzione del costo del biglietto
anche gli incassi generali sono
aumentati. La quota di mercato del cinema nazionale è pari
al 44 per cento, e anche questo
è un primato francese (al secondo posto l’Italia con il 28
per cento) oltre a essere il valore più alto dal 1984. Inine i tre
ilm più visti del 2014 sono
francesi: Non sposate le mie iglie!, Supercondriaco e Lucy. Insomma il festival di Cannes
può cominciare sotto i migliori
auspici. Le Monde
Massa critica
Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo
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Se dio vuole
Di Edoardo Falcone. Con
Alessandro Gassman e Marco
Giallini. Italia 2015, 87’
● ● ●●●
Carcioi (da pulire) e un iglio
che sogna di diventare un prete, sono solo i primi elementi
di una piacevole, originale e
frizzante sequenza, probabilmente tra le più divertenti che
sono state prodotte di recente
in Italia. Tommaso, un famoso
cardiochirurgo, è disposto a
fare di tutto per salvare suo iglio da don Pietro e dall’istituzione “più oscurantista della
storia”. Vuole portarlo al sicuro, vicino a lui, all’ospedale
dove “le persone vengono salvate realmente”. Su questa base si scatena un brillante duello tra il volere e il non riuscire
a credere, in una commedia
ben scritta e ben recitata sullo
sfondo di una Roma semplice
e genuina capace di andare oltre gli stereotipi. L’eccellente
coppia Giallini e Gassman, coadiuvata da un gruppo di attori
particolarmente capaci e guidati da una sapiente regia arricchita da dialoghi brillanti e
originali, riesce a strappare
autentiche risate in più di
un’occasione. Tra “l’amico immaginario Gesù”, la chiesa e il
catechismo stile scuola serale,
sono varie le situazioni che riescono a dare senso e profondità, senza mai cadere nel banale o nella volgarità. Se dio vuole
è un ilm che non ha paura di
mettere l’essere umano in prima ila, distribuendo dio un
po’ ovunque. Un dio che non si
ofende, anzi collabora dando
un tocco di grazia a un commedia divina.
Media
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Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo
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I consigli
della
redazione
Mia madre
Nanni Moretti
(Italia, 86’)
Forza maggiore
Ruben Östlund
(Svezia/Norvegia/Francia
Danimarca, 114’)
In uscita
Leviathan
Di Andrej Zvjagintsev. Con Alekseï Serebryakov, Roman Madyanov. Russia 2014, 140’
●●●●●
Si potrebbe vedere Leviathan
come la risposta russa e solenne all’umorismo nero dei fratelli Coen. O come una rilettura moderna del biblico Libro di
Giobbe, un uomo ricco e pio
che spogliato dei suoi beni e
colpito dalla malattia si riiuta
di maledire il nome di dio.
In Leviathan Giobbe gestisce
un’oicina, si chiama Kolia, è
un tipo sanguigno e non troppo simpatico. Vive in una bella
casa in legno in un piccolo porto sul mare di Barents, nel
nordovest della Russia, con
suo iglio Roma e la giovane
moglie Lilia. Fin dall’inizio si
unisce a loro Dimitri, un avvocato amico di Kolia venuto apposta da Mosca per aiutarlo a
evitare l’esproprio dei beni ordinato dal sindaco del paesino,
Vadim Sheleviat. Il nuovo ilm
di Andrej Zvjagintsev disegna
un quadro terribile delle forze
deleterie che minano la società
russa. Lo stato viene ridicolizzato: non solo il sindaco è una
specie di maioso, ma anche i
poliziotti e i giudici sono corrotti e attaccati ai loro privilegi.
Inoltre il regista mostra la rinnovata inluenza del clero ortodosso sull’apparato statale.
Anche all’interno di un sistema democratico ritroviamo i
vecchi sintomi del totalitarismo. Qui nessuno può andare
oltre il suo punto di vista ristretto sulle cose. E l’alcolismo
difuso diventa un motivo tragicomico che tiene insieme il
ilm, come se, in ultima istanza, l’unico scopo da raggiungere, l’unico davvero a portata di
mano, fosse l’annientamento.
Didier Péron,
Libération
Leviathan
Cake
Di Daniel Barnz. Con Jennifer
Aniston, Anna Kendrick, Chris
Messina. Stati Uniti 2014, 92’
●●●●●
Anche le più assolate parti di
Los Angeles sono coperte da
una coltre invernale in Cake,
una storia di redenzione scialba e drammaticamente noiosa. Jennifer Aniston interpreta
Claire, una donna gravemente
sigurata che deve afrontare il
dolore cronico, un trauma irrisolto e una morbosa attrazione
verso il suicidio di una sua conoscente (Anna Kendrick).
Anche in circostanze così cupe, Aniston riesce a fare buon
uso del suo talento comico. La
trama è strutturata in modo da
mantenere il mistero sull’origine delle ferite isiche e psicologiche di Claire, ma gli spettatori capiscono tutto in pochi
minuti. Forse sarà per la grande espressività di Aniston, ma
forse è soprattutto colpa del
fatto che lo sceneggiatore Patrick Tobin e il regista Daniel
Barnz hanno dato vita a un rac-
Forza maggiore
conto schematico sull’elaborazione del lutto. La loro storia
risulta fredda e calcolata, anche se presenta alcuni tocchi
di realismo magico. Lo stesso
vale per la serie di incontri che
Claire fa lungo il suo accidentato cammino tra la speranza e
la distruzione, tra la sua gentile
e paziente cameriera (Adriana
Barraza) e un afascinante vedovo (Sam Worthington). La
gestione del resto del cast di
Cake – che comprende Felicity
Hufman, William H. Macy e
Chris Messina – lascia pensare
che questo ilm sia stato soprattutto un veicolo per concedere un ruolo drammatico a
Jennifer Aniston. Che, del resto, merita ruoli come questo,
ma non merita ilm così prevedibili e stucchevoli.
Ann Hornaday,
The Washington Post
Forza maggiore
Di Ruben Östlund. Con Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli.
Svezia/Francia/Norvegia/Danimarca 2014, 118’
●●●●●
Il dramma sottile e profondo
di Ruben Östlund mette a nudo le tensioni e le incomprensioni che scorrono sotto la supericie di un matrimonio apparentemente felice e che
esplodono durante una settimana bianca. Quello che spinge la moglie Ebba (Lisa Loven
Le streghe son tornate
Alex de la Iglesia
(Spagna, 112’)
Kongsli) a mettere in discussione il marito Tomas (Johannes Bah Kuhnke) è il suo comportamento quando i due coniugi insieme ai bambini sembrano destinati a inire sepolti
da una valanga. Invece di restare insieme a loro per tentare
di salvare i bambini, Tomas
fugge, pensando solo a se stesso e al cellulare. Una scena che
dura solo pochi secondi, ma
che bastano a Ebba per riconsiderare tutto ciò che ha mai
pensato del marito. Lui, a sua
volta, comincia ad autocommiserarsi: rimuove completamente l’evento e contemporaneamente è sempre più determinato ad afermare la sua virilità. Lo scrittore e regista
Östlund indaga su come un
singolo episodio possa essere
la causa del disfacimento della
vita di un’intera famiglia e di
come possa anche minare i
rapporti con gli amici. Forza
maggiore è un ilm molto intelligente con un inale graiante.
Geofrey Macnab,
The Independent
The gunman
Di Pierre Morel. Con Sean Penn,
Javier Bardem, Jasmine Trinca.
Francia/Spagna/Stati Uniti
2015, 115’
●●●●●
Il ilm si chiama The gunman
ma poteva chiamarsi A torso
nudo visto che Sean Penn (che
del ilm è la star, il cosceneggiatore e il coproduttore) non
si lascia scappare nessuna occasione per togliersi la maglietta e mostrare i muscoli. Il
isico di Penn è la parte più tonica del ilm, il resto è tutto
fuori forma. La sceneggiatura
è laccida e la regia appesantita. Mark Rylance, Javier Bardem e Ray Winstone aggiungono un po’ di testosterone,
ma alla ine la pistola fa cilecca. Peter Bradshaw,
The Guardian
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
79
Cultura
Libri
Dall’India
Psiche e scienza
Jairam Ramesh è stato ministro dell’ambiente e delle foreste durante il governo guidato
da Manmohan Singh. Il suo
saggio Green signals, oltre a
rendere conto con grande trasparenza dell’operato di Ramesh come ministro, ha il pregio di sollevare un tema che divide la classe dirigente indiana. Si può sostenere un discorso ecologico in un paese emergente come l’India, a scapito
quindi dello sviluppo dell’industria e delle infrastrutture?
Ramesh come ministro è stato
ineccepibile, anche se i militanti ambientalisti lo hanno
apprezzato molto di più dei
DR
Un saggio dell’ex ministro
Jairam Ramesh solleva un
dibattito sulle priorità
dell’India: l’ambiente o la
crescita?
ZhENG hUaNSoNG (XINhUa/CoRBIS/CoNTRaSTo)
Il lusso ecologico
Bengala occidentale, marzo 2015
Irvin D. Yalom
Creatures of a day
Basic Books
Nuova raccolta di storie di pazienti che afrontano le due
grandi side della vita: dare un
senso all’esistenza e fare i conti con la sua inevitabile ine.
Yalom è stato professore di psichiatria a Stanford e ora fa lo
psichiatra a San Francisco.
partigiani della crescita, che in
alcuni casi lo guardavano come un pericolo pubblico. Secondo Ramesh il dibattito non
ha ragione di esistere: è prioritario difendere chi vive nelle
foreste, come in tutte le zone
vulnerabili del paese, dalla minaccia di progetti industriali e
Andrew Scull
Madness in civilization
Princeton University Press
La lunga e complessa storia
della pazzia e dei nostri tentativi di curarla anche attraverso
la religione e il soprannaturale.
Scull insegna sociologia e
scienze a San Diego.
minerari sempre più aggressivi. È anche vero però che sarà
diicile resistere ai grandi movimenti delle popolazioni che
si spostano nelle aree urbane
in cerca di lavoro. Il libro di
Ramesh va letto comunque da
chiunque voglia sviluppare
una coscienza politica. Mint
Il libro Gofredo Foi
Un’esperienza rara
João Guimaraes Rosa
Tutameia
Del Vecchio, 282 pagine, 16 euro
Guimaraes Rosa (1908-1967) è
stato il più grande scrittore
brasiliano del novecento,
autore di capolavori come
Grande sertão – che tutti
dovrebbero aver letto, una
storia di cangaceiros dell’arido
Nordeste che fa pensare
all’Orlando furioso – e il ciclo di
Corpo di ballo, di racconti
formidabili come Miguilim e
La terza sponda del iume.
Inventore spericolato di una
lingua composita ed espressiva
80
che intendeva rendersi
autonoma dal portoghese, è
pubblicato in Italia da
Feltrinelli. Ma ora un editore
coraggioso propone il suo
ultimo lavoro, composto di
una quarantina di racconti
brevi interrotti da quattro
“prefazioni”, una delle quali,
Sullo spazzolino e il dubbio,
chiude con una massima di
Tolstoj sempre valida: “Se
descrivi il mondo tal quale
esso è, nelle tue parole non vi
saranno altro che molte
menzogne e nessuna verità”. Il
mondo di Guimaraes è fatto di
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
vagabondi e contadini, vaccari
e briganti, pazzi e profeti,
dentro una natura ingrata
quanto lo è la storia, violenta
quanto il male di cui l’uomo è
portatore. Visionario, insieme
eccessivo e sintetico, ogni
racconto di Tutameia (una
parola che indica un’arte del
ricamo particolarmente
rainata) non è di facile
lettura, ma se si entra nel
mondo di Guimaraes se ne
esce frastornati e felici, per
un’esperienza di lettura più
unica che rara. Eroici i due
traduttori. u
Michael S. Gazzaniga
Tales from both sides of the
brain Ecco
I due emisferi del nostro cervello sono specializzati in diversi compiti: il lato destro elabora le informazioni spaziali e
temporali, il sinistro controlla
il linguaggio. Ma come comunicano? Gazzaniga insegna
psicologia a Santa Barbara.
Jefrey A. Lieberman
Shrinks Little, Brown and
Company
L’unico modo per capire i progressi fatti dalla psichiatria di
oggi è ripercorrerne la lunga
storia, piena di errori e passi
falsi, aferma Lieberman, professore di psichiatria alla Columbia University.
Maria Sepa
usalibri.blogspot.com
I consigli
della
redazione
Ben Lerner
Nel mondo a venire
(Sellerio)
Il romanzo
João Ricardo Pedro
Il tuo volto sarà l’ultimo
Nutrimenti, 207 pagine,
16 euro
●●●●●
Per qualsiasi scrittore portoghese di un certo spessore è
diicile ignorare la dittatura
di António de Oliveira Salazar che ha dominato il paese
per la maggior parte del novecento. Non è un passaggio
obbligato o un impegno tematico solenne, ma certo
ogni testo che aspiri al genere
di saga o di epopea non può
evitare di confrontarsi con un
vissuto che è penetrato
nell’intimità di tutte le case
portoghesi.
Non è quindi un caso se la
prima scena di Il tuo volto sarà l’ultimo – con il quale João
Pedro Ricardo intende raccogliere il testimone letterario
di due grandi come Antonio
Lobo Antunes e Gonçalo M.
Tavares – è una rievocazione
della “rivoluzione dei garofani”. È un modo per entrare
dalla porta principale nella
casa della famiglia Mendes,
protagonista assoluta del romanzo. Il libro è costruito come una successione non
lineare di quadri in cui si salta
tra personaggi, periodi, momenti, umori, impressioni e
aneddoti. Ma ha comunque
una sorta di centro nel personaggio del giovane Duarte.
Pianista prodigio che ama
poco il suo talento, Duarte si
appassiona alle igure del padre e dei nonni, attraverso i
quali cerca di raccogliere le
memorie della sua famiglia,
inendo spesso al di là della
semplice storia familiare per
afrontare la storia portoghe-
DR
Una famiglia portoghese
João Ricardo Pedro
se. Per esempio la corrispondenza tra il nonno di Duarte
e il suo amico esiliato diventa
un’occasione per sottolineare
l’isolamento soferto dal popolo portoghese nei confronti di tutto il resto del mondo.
Poche righe su un’esplosione
e sul ritorno a casa di Antonio, il padre di Duarte, sono
suicienti per evocare l’assurdità e l’anacronismo della
guerra in Angola.
Evocazione potrebbe essere la parola chiave per affrontare questo romanzo e
bisogna essere virtuosi per
scoprirne ino in fondo tutto
il valore. Non è un test per
uno studente di letteratura
alle prime armi. Potente,
scritto con una vertiginosa
maestria, Il tuo volto sarà l’ultimo è uno di quei romanzi
che a prima vista sembra accessibile, ma la cui complessità si riesce ad apprezzare
solo in un secondo momento.
In poche parole, un capolavoro assoluto.
Adrien Battini,
La Cause Littéraire
Emmanuel Carrère
Il regno
(Adelphi)
Daniel Sada
Il linguaggio del gioco
Del Vecchio, 241 pagine,
15 euro
●●●●●
La morte precoce dello scrittore messicano Daniel Sada ha
privato la letteratura in lingua
spagnola di una delle sue voci
più potenti. Il linguaggio del gioco, romanzo scritto poco prima
della morte dell’autore, è un
buon esempio delle qualità letterarie di questo scrittore. Invece di perdersi nella descrizione di vicende personali,
Daniel Sada sceglie di contemplare un panorama collettivo e
rivela il volto più violento e ruvido del Messico, che in alcuni
punti del romanzo è ribattezzato Mágico: l’emigrazione, le
attività delle bande di narcotraicanti che si appropriano
di una regione, le uccisioni di
massa, le estorsioni subite da
una società indifesa e spaventata. Ma bisogna sottolineare
anche lo stile letterario del romanzo, in cui si mescolano
punti di vista e registri diversi
in una scrittura personalissima. La storia di Valente Montaño, costretto a pericolose
emigrazioni per ottenere un
capitale modesto che gli consenta di aprire una trattoria nel
suo villaggio, è la spina dorsale
del romanzo. Ma ciò che conta
è la consapevolezza che il lavoro e l’onestà sono valori inutili
quando una banda prende il
sopravvento e contamina tutto. Al punto che i giovani, qui
rappresentati da Candelario e
Martina, non hanno altra scelta che sottomettersi, in un modo o nell’altro, al cartello che
ha trasformato la città nel suo
feudo privato. Anche i personaggi secondari sono perfettamente delineati. Il linguaggio
del gioco è un esercizio eccezionale di vera letteratura.
Ricardo Senabre,
El Mundo
Ondjaki
NonnaDiciannove
e il segreto del sovietico
(Il Sirente)
Helen Humpreys
Il canto del crepuscolo
Playground, 205 pagine, 16 euro
●●●●●
Chi si lamenta perché nei romanzi contemporanei gli uccelli servono solo come metafore e non hanno mai un ruolo
nella storia, sarà piacevolmente sorpreso dal libro di Helen
Humphreys. Qui una famiglia
di codirossi fa da protagonista
per quasi cento pagine, inché
un uiciale della Royal air force di nome James Hunter (uno
dei tre personaggi i cui punti di
vista intrecciati compongono il
racconto) decide di studiare gli
uccelli per riempire i lunghi
giorni vuoti in un campo tedesco di prigionia. Le attività di
James attirano presto l’attenzione del Kommandant del
campo, che lo convoca per un
interrogatorio. Dopo aver constatato che James non sta tramando una fuga, il Kommandant si dimostra inaspettatamente accomodante verso
questa nuova passione del prigioniero: ofre a James una
guida agli uccelli tedeschi e, in
seguito, lo accompagna nei
boschi locali a osservare un raro raduno di beccofrusoni dei
cedri. Nelle lettere che spedisce a casa, James tenta di condividere la sua passione per i
codirossi con la moglie Rose.
Ma, ahimè, l’occhio di Rose si
è posato su un uccello di
tutt’altra specie, un uiciale in
congedo di nome Toby. D’altra
parte lei e James si erano appena sposati quando lui è partito.
Ma ora Enid, la sorella di James, la cui casa a Londra è stata distrutta da un bombardamento, chiede di andare a stare con Rose, che è costretta a
interrompere temporaneamente la sua relazione. Rose,
ovviamente, non sopporta l’intrusione. Lentamente, però, le
due donne raggiungono una
sorta di intimità, soprattutto
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
81
Cultura
Libri
quando Rose scopre che Enid
è in una situazione sentimentale simile alla sua. Il problema
è che Rose non può rivelarlo
alla cognata prima di chiedere
il divorzio, e a quel punto Enid
non vorrà avere niente a che
fare con lei. La prosa di Humphreys è elegante e sobria, anche se di tanto in tanto il tema
ornitologico del romanzo le
scappa di mano.
Emily Donaldson,
The Globe and Mail
Marceline Loridan-Ivens
E tu non sei tornato
Bollati Boringhieri, 105 pagine,
12,90 euro
●●●●●
Un testo breve, apparso quasi
di nascosto, che non doveva
neppure essere pubblicato in
coincidenza con le commemorazioni della liberazione dei
campi nazisti. Ma evoca proprio quel periodo ed è stato
scritto da una delle rare sopravvissute dei campi, Marceline Loridan-Ivens, nata Rozenberg. La cineasta francese,
che oggi ha quasi novant’anni,
ne aveva sedici quando fu deportata, nell’aprile del 1944.
Settant’anni dopo pubblica
questo piccolo libro di una rara
intensità, scritto con la complicità della romanziera Judith
Perrignon. Il titolo, E tu non sei
tornato, è rivolto al padre che
non è riuscito a scampare ai
carneici nazisti di AuschwitzBirkenau. La testimonianza è
di una forza straordinaria.
Marceline Loridan-Ivens, malgrado la cupezza degli avvenimenti, evita ogni forma di pathos. Mohammed Aissaoui,
Le Figaro
Yasmina Khadra
Cosa aspettano le scimmie
a diventare uomini
Sellerio, 306 pagine, 16 euro
●●●●●
C’è tutto Yasmina Khadra tra
le righe del suo ultimo romanzo. Lo scrittore talentuoso ed
egotico dalla penna sempre afilata, l’acuto osservatore della
società algerina, l’autore di
thriller tenebrosi e violenti, e
inine il politico apprendista,
eimero candidato alle ultime
elezioni presidenziali. Il romanzo rappresenta il suo grande ritorno all’Algeria contemporanea, tra poliziesco e thriller politico: una giovane studentessa, accuratamente vestita e truccata, trovata morta
e mutilata in una foresta nei
pressi di Algeri; una commissaria bella, ricca e onesta; un
barone della stampa senza
scrupoli; un vecchio onnipotente che governa il paese
nell’ombra; un poliziotto macho e corrotto e un altro impotente, eterno capro espiatorio
del primo. Una parabola
dell’Algeria contemporanea:
un potere corrotto, corruttore
e cinico, un popolo schiacciato
e colpevole della propria rassegnazione, una nazione sull’orlo del precipizio. Il romanzo è
appassionante. Il pamphlet
soggiacente – eccessivamente
cupo e caricaturale – lo è molto
di meno.
Marwane Ben Yahmed,
Jeune Afrique
Non iction Giuliano Milani
Il lenzuolo e il fantasma
Andrea Nicolotti
Sindone. Storia e leggende
di una reliquia controversa
Einaudi, 270 pagine, 32 euro
Fino alla ine del medioevo
nessuna fonte storica nomina
un oggetto dotato delle
caratteristiche della Sindone
di Torino. Si hanno notizie di
tessuti sepolcrali di Gesù
conservati e adorati dai fedeli,
ma è molto diicile, se non
impossibile, ricondurre queste
attestazioni alla Sindone. Poi,
verso il 1355, la Sindone
appare, nel nord della Francia,
ed è subito oggetto di
82
controversie. I canonici che la
custodiscono e la espongono
ai pellegrini sono accusati dal
loro vescovo di ingannare il
popolo. Poco più di seicento
anni dopo, nel 1988, con il
metodo del radiocarbonio si
stabilisce che il lenzuolo risale
a un periodo che va dal 1260 al
1390. Eppure, nonostante
queste premesse, la Sindone è
diventata oggi una delle
reliquie più venerate della
cristianità.
La rigorosa e onesta
ricostruzione di Andrea
Nicolotti aiuta a capire come
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
questo sviluppo è stato
possibile: prima, nell’età
moderna, grazie alla volontà
della casa di Savoia di rendere
più sacro il proprio nome
incentivando culti e
pellegrinaggi, poi, dal
novecento, con la nascita di
una scienza paradossale, la
“sindonologia”, che smentisce
sistematicamente ogni
spiegazione razionale del
proprio oggetto di studio,
afermando che le evidenti
stranezze della Sindone non
sono altro che la prova della
sua origine soprannaturale. u
Ragazzi
Dieci
anni dopo
Francesco D’Adamo
Dalla parte sbagliata
Giunti, 208 pagine, 12 euro
Il 16 aprile 1995 un piccolo
sindacalista di 13 anni, Iqbal
Masih, venne ucciso in
circostanze mai chiarite. Iqbal
oggi è un simbolo per
chiunque lotti per i propri
diritti. A lui sono state
intitolate scuole, librerie,
circoli. E naturalmente è stata
raccontata la sua storia. In
Italia Francesco D’Adamo gli
ha dedicato un romanzo
struggente, pieno di calore.
Dopo dieci anni lo stesso
autore riprende le ila di quella
storia per raccontare un
seguito, per capire cosa è
cambiato per i bambini in
Pakistan. Ed ecco che a ianco
di Iqbal vediamo apparire due
personaggi di fantasia: Fatima
e Maria. Sono ragazze forti e
con tanta voglia di sconiggere
le ingiustizie del mondo.
Fatima emigra in Italia, impara
la lingua, ma anche qui la sua
storia si intreccia con quella
dei diseredati che raccolgono i
pomodori per pochi spiccioli.
Maria invece rimane in
Pakistan e continua le lotte
dell’amico Iqbal. Ma il paese è
dominato da multinazionali
senza princìpi morali e dai
fondamentalisti religiosi. Le
loro esistenze scorrono
parallele come due corsi
d’acqua gemelli, ma il loro
afetto, nonostante i
chilometri che le separano, è
sempre forte. Un romanzo
dove si piange molto, ma dove
si raforza la consapevolezza
che la lotta non è mai vana,
che il piccolo Iqbal non morirà
mai. Igiaba Scego
Ricevuti
Arundhati Roy
I fantasmi del capitale
Guanda, 172 pagine,
14 euro
Una denuncia degli abusi, degli espropri e della corruzione
della ristretta élite politica ed
economica che governa l’India
capitalista e detiene il monopolio della ricchezza.
A cura di Gofredo Foi
Il racconto onesto
Contrasto, 375 pagine,
24,90 euro
Sessanta scrittori italiani rilettono sul complesso legame
tra letteratura e realtà.
Fumetti
L’orso perduto
Stefano Ricci
La storia dell’orso
Quodlibet, 432 pagine, 28 euro
Pubblicato prima in Francia da
Futuropolis-Gallimard, poi in
Italia dal prestigioso Quodlibet, La storia dell’orso igura tra
i titoli a fumetti più importanti
degli ultimi dieci anni e per
questo ne riparleremo. È un
punto d’arrivo sia del percorso
artistico di Ricci sia del fumetto e delle arti visive in generale, cinema compreso. Prendendo spunto da un fatto di
cronaca – un orso bruno che
deambulava tra Germania e
Norditalia divorando pecore –
l’autore costruisce una delle
più potenti metafore del nostro stato attuale d’incertezza
e d’indeinitezza, con la forza e
l’originalità che solo il fumetto
in questo momento riesce a
trasmettere. Opere come quelle di Andrea Bruno, Giacomo
Nanni, il Gipi di Una storia, e
soprattutto il Lorenzo Mattotti
di Chimera, Hänsel e Gretel, Oltremai. Quando Ricci dipinge
in un clima del tutto onirico i
suoi orsi-panda che sembrano
tanto umani e i suoi conigliuomo che sembrano ben poco
umani, compie un’operazione
di fusione di una parte importante della memoria visivopittorica moderna, in particolare un concentrato densissimo e magmatico di pittura
teutonica, di colata lavica dal
sapore ancestrale: da Alfred
Kubin all’Urlo di Munch. Come con il Mattotti di Oltremai,
qui si esce dal citazionismo
postmoderno per andare “oltre”. L’orso che sembra un
panda deambula infatti con
persistenti occhi vuoti e si
pensa alla bocca ovale dell’urlo munchiano come evocazione (quasi sciamanica) e non
citazione. Sembra perduto come tutti noi, come se andando “oltre”, Disney e Miyazaki
fossero entrati per sempre
nell’ombra, non per essere
statici ma per un viaggio ininito di conoscenza.
Francesco Boille
Giampiero Rossi
La regola
Laterza, 218 pagine, 18 euro
Imprenditori che considerano
il pizzo un normale costo
d’azienda, politici comprati e
ricattati. Un’inchiesta sulla
‘ndrangheta, che è entrata negli uici della classe dirigente
e politica della Lombardia.
Norberto Bobbio
Eravamo ridiventati
uomini
Einaudi, 161 pagine, 12 euro
Una raccolta di scritti dal 1945
al 1995 in cui Bobbio rilette su
uno dei momenti fondanti
della nostra democrazia, la resistenza.
Mario Capello
L’appartamento
Tunué, 95 pagine, 9,90 euro
Angelo, un precario dell’editoria in prestito al settore immobiliare, conosce un misterioso
personaggio che insiste perché legga un suo manoscritto.
Accetta, scoprendo l’oscuro
passato del nostro paese.
Willa Cather
La mia Antonia
Elliot, 229 pagine, 19,50 euro
Dopo che la sua famiglia è stata colpita da una disgrazia e
che il mondo dorato dell’infanzia è perduto, una ragazza
continua a inseguire la felicità
con ostinazione.
Alessandra Arachi
Non più briciole
Longanesi, 203 pagine,
14,90 euro
Loredana ha sedici anni e un
giorno decide di lasciare a
metà il suo piatto di spaghetti.
Il dramma dell’anoressia dal
punto di vista di una madre
che lotta ogni giorno per salvare sua iglia.
Diana Lama
27 ossa
Newton Compton, 381 pagine,
9,90 euro
In giro per Napoli vengono ritrovati degli arti femminili. Le
indagini di Andrea, poliziotta
sospesa dal servizio, la conducono nel sinistro condominio
in cui abita.
Viviano Domenici
Uomini nelle gabbie
Il Saggiatore, 335 pagine, 17 euro
Il fenomeno degli zoo umani
raggiunse l’apice con le grandi
esposizioni universali di inizio
novecento che celebravano il
progresso e la supremazia
dell’uomo bianco. Il turismo
della povertà di moda negli
ultimi anni sembra riproporre
la stessa logica.
Sabino Cassese
Dentro la corte
Il Mulino, 319 pagine, 22 euro
In questo suo “diario di un
giudice costituzionale”, Cassese descrive il funzionamento di un organo centrale della
vita giuridica e politica del
paese e ricostruisce nove anni
incandescenti (dal 2005 al
2014), punteggiati da sentenze storiche.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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Cultura
Musica
Dal Regno Unito
Baths
Milano, 14 maggio,
leoncavallo.org;
Modena, 15 maggio,
facebook.com/laikaparty;
Roma, 16 maggio,
springattitude.it
I Beatles? Roba vecchia
And So I Watch You
From Afar
Milano, 15 maggio,
leoncavallo.org; Roma,
16 maggio, traiclive.org;
Modena, 17 maggio,
comune.modena.it/latenda
Nel 1964 l’arrivo dei Beatles
negli Stati Uniti diede il via
alla cosiddetta British invasion, un momento che secondo gli appassionati ha rivoluzionato la musica pop . Ora
uno studio della scuola di ingegneria elettronica e scienza informatica del Queen
Mary imperial college di
Londra mette questa certezza in discussione: le diferenze con la musica degli anni
precedenti non sarebbero
particolarmente evidenti. La
ricerca ha analizzato tutte le
canzoni entrate in classiica
The Vamps
Milano, 13 maggio,
fabriquemilano.it
Marika Hackman
Segrate (Mi), 13 maggio,
circolomagnolia.it
Agnostic Front
Bologna, 14 maggio,
locomotivclub.it
Spring Attitude
Apparat, Doldrums, Glass
Animals, Godblesscomputers,
Indian Wells, John Talbot,
Kelela, Ninos du Brasil, Portico,
Quiet Ensemble, Redinho,
Robert Henke, SBTRKT,
Scratch Perverts,
Siriusmodeselektor, Yakamoto
Kotzuga, Youarehere e altri
Roma, 14-17 maggio,
springattitude.it
Baths
84
Uno studio analizza
cinquant’anni di canzoni
di successo
GETTy IMaGES
Dal vivo
The Beatles, 1964
negli Stati Uniti dal 1960 al
2010, considerando gli accordi, gli strumenti, la struttura
e gli arrangiamenti di
cinquant’anni di hit.
Secondo Matthias Mauch,
che ha guidato il lavoro, lo
studio permette “per la prima volta di misurare con precisione le caratteristiche di
ogni canzone”. I successi dei
primi anni sessanta sono risultati meno rivoluzionari
del previsto, ma il 1991, con
l’arrivo dell’hip-hop, è il momento in cui il suono è cambiato davvero. Un risultato
che, prevedibilmente, lascia
perplessi molti altri studiosi.
“La musica pop non si misura così”, commenta Mike
Brocken della Hope university di Liverpool. “I Beatles
comunicavano qualcosa
al loro pubblico, e non è importante se lo facevano
con un la maggiore o un la
minore. Gli studi semiotici
portano risultati molto più
interessanti di quelli di un
computer”.
Tim Jonze, The Guardian
Playlist Pier Andrea Canei
Mandolini autoavveranti
Etruschi from Lakota
Poririo Villarosa
Olé olé! C’è fuori un album-tributo al genio di Fred
Buscaglione, e partecipano alcune delle migliori menti e voci del nuovo pop italiano, da
Bugo a Brunori Sas, da Dente
ai Perturbazione. Molti tendono a raschiarne via una certa
patina di istrionismo, per ritrovare la saudade sottostante.
Non così questi Etruschi delle
parti di Pisa, che anzi montano a neve il lato più gagliofo e
scavezzacollo, trascinando
Buscaglione in una rumba da
Robert Rodríguez, e subito il
terrazziere torinese playboy
sfodera un machete da Pulp
iction.
1
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Canzoniere
Grecanico-Salentino
Made in Italy
“Spaghetti, pizza, mandolino”,
una tarantella zufolata, tamburelli e iati popolari a manetta, il testo di Piers Faccini che
gioca con i luoghi comuni, e la
grande formazione salentina
che gioca di ino. Così come altrove nell’imperdibile album
Quaranta (che sono gli anni di
attività) rende giustizia poetica
ai boat people del Mediterraneo, s’attacca ai gasdotti, scava nelle ombre di un mondo
chiuso e nei dì di festa se la
suona e canta con Ludovico
Einaudi e i iati di Fanfara Tirana. Taranta immersiva, e
magistrale musica popolare.
2
Jovine (feat.
La Pankina Crew)
’A musica dô sud
Sono pure qui il mandolino, la
tarantella, funiculì: almeno
sotto forma di name checking
del giovane rapper di scuola
partenopea che si mette in scia
di Clementino (suo ospite nella title track dell’album Parla
più forte) e poi c’è Carosone, ci
sono emozioni contrabbandatate in macchine di cartone,
jeans e magliette, notti passate
alla stazione, e tutto un mondo
di retoriche (speranza, riscatto, crescita) a volte autoavveranti, perché quando ’a musica
è bbona, come qui, almeno per
qualche momento, tutto funziona e ci si sente a casa.
3
Resto
del mondo
Mumford & Sons
Wilder mind
(Gentlemen of the Road)
●●●●●
Quasi tutti i musicisti farebbe­
ro carte false per tenersi stret­
to un successo come quello dei
Mumford & Sons. Il primo e il
secondo album della band
londinese, Sigh no more e
Babel, hanno venduto qualco­
sa come sette milioni di copie.
Il loro vivace stile acustico è
diventato popolarissimo. Ne­
gli Stati Uniti sono entrati rapi­
damente in un giro di vere
leggende del rock, esibendosi
con gente come Bob Dylan e
Paul Simon. Ora Marcus
Mumford presenta questo ter­
zo disco facendosi befe di tut­
to quel che ha reso famosa la
band: i gilet di tweed (“sem­
bravamo degli idioti”), il nome
(“una cazzata”) e perino
il banjo (“ma vafanculo al
banjo, io lo odio quel banjo del
cazzo”). E considera inevitabi­
le perdere qualche fan con la
svolta di Wilder mind, che è
decisamente elettrico. La sto­
ria del rock è piena di voltafac­
cia del genere, ma questo è de­
cisamente insolito: di solito gli
artisti famosi cambiano stile
per lanciarsi su strade nuove e
più sperimentali. I Mumford &
Sons, invece, rischiano di far
saltare i nervi al loro pubblico
per fare musica che è molto
più insigniicante e generica di
quella che li ha resi delle star.
La isarmonica e l’odiato banjo
sono spariti, ma al loro posto
c’è un indie rock da stadio con
grandi cori da cantare tutti in­
sieme e chitarre sommerse da
un’eco in stile U2. È un gruppo
che è diventato troppo grande
per continuare con il sound di
prima, ma non ne ha trovato
uno nuovo per sostituirlo.
Alexis Petridis,
The Guardian
Lila Downs
Balas y chocolate
(Rca)
Mumford & Sons
Lead Belly
The Smithsonian Folkways
collection
(Smithsonian Folkways)
●●●●●
Il 16 luglio del 1933 il musico­
logo Alan Lomax fu inviato
dalla Library of congress a vi­
sitare la prigione di Angola, in
Louisiana, per registrare le
prison songs cantate dai dete­
nuti. Nel carcere conobbe
Huddie Ledbetter, che aveva
45 anni e stava scontando una
condanna per tentato omici­
dio. Colpito dalla sua voce
estremamente espressiva,
quel giorno Lomax registrò
dodici brandi di Ledbetter, tra
cui Irene (Goodnight Irene).
L’importanza di quell’incisio­
ne sarebbe stata evidente solo
in seguito: fu in quel momen­
to, infatti, che si compì il de­
stino della musica statuniten­
se, con il folk e il blues che fe­
cero il loro ingresso nel lin­
guaggio culturale bianco. Con
108 canzoni, 16 delle quali i­
nora inedite, distribuite su
cinque cd e arricchite da un li­
bro di 140 pagine con foto e
note biograiche, questo cofa­
netto è un vero e proprio og­
getto d’arte. Compilata con
materiale preso dalla Library
of congress, dalle incisioni per
la Folkways di Moses “Moe”
Asch, da esibizioni per la radio
newyorchese Wnyc e dalle ul­
time registrazioni del 1948, la
raccolta è anche l’unica che
copre l’intera carriera di Lead
Belly: un lavoro assemblato
meravigliosamente che ci fa
comprendere, come prima
non era mai successo, l’uomo
che ha composto la colonna
sonora per la vita degli afroa­
mericani e ha piantato le radi­
ci su cui è nato il rock’n’roll.
Lois Wilson, Mojo
Django Django
Born under Saturn
(Because)
●●●●●
Il debutto dei Django Django
nel 2012, con il suo miscuglio
sperimentale di rock psiche­
delico ed elettronica, aveva
ottenuto un successo di critica
e di pubblico sorprendente.
Dopo due anni passati tra pre­
mi e concerti in tutto il mondo
ecco il secondo album, che ag­
giorna con attenzione le carat­
teristiche migliori del primo:
basta sentire le tastiere e la
luccicante rainatezza di First
light, un pezzo che fa pensare
ai Beach Boys. Born under
Saturn suona molto sicuro di
DR
Album
Bassekou Kouyaté
& Ngoni Ba
Ba power
(Glitterbeat)
REBECCA MILLER
Scelti da Marco
Boccitto
Django Django
Africa Unite
Il punto di partenza
(africaunite.com)
sé dall’inizio alla ine, ma non
per questo gli mancano tutte
le qualità che rendevano il de­
butto così trascinante. La faci­
lità con cui la band riesce a in­
trecciare elementi tanto di­
versi è sempre stupefacente,
però i Django Django danno il
meglio di sé quando sono di­
retti, e questo rende tutta la
parte centrale dell’album irre­
sistibile. Born under Saturn
non può che renderli ancora
più forti.
Andy Baber, Music Omh
Lorenzo Coppola e
Andreas Staier
Brahms: sonate per clarinetto e piano, Klavierstücke op. 118
Lorenzo Coppola, clarinetto;
Andreas Staier, pianoforte
(Harmonia mundi)
●●●●●
Per questo album Coppola e
Staier hanno scelto un clari­
netto che è la riproduzione di
quello di Richard Mühlfeld, a
cui furono dedicate le sonate,
e un pianoforte Steinway
americano del 1875. I due
strumenti ci costringono ad
abbandonare l’opulento impa­
sto sonoro al quale siamo abi­
tuati in queste sonate per cla­
rinetto. Sono strumenti più
leggeri e, soprattutto, dal tim­
bro più personale. Anche i due
musicisti ci costringono a
cambiare le nostre abitudini,
con un fraseggio più fram­
mentato di quello che cono­
sciamo e tempi più rapidi del
solito. Tutte queste scelte
danno alle sonate un’energia e
un nervosismo che di solito
associamo al Brahms più gio­
vane. Chi ama il Brahms
vecchio saggio troverà il pri­
mo ascolto di questo album
un piccolo trauma. Ma dal
secondo imparerà ad amare
questa lettura sempre intel­
ligente.
Antoine Mignon, Classica
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
85
Cultura
Video
In rete
Global
ofshore
Stop the pounding heart
Venerdì 8 maggio, ore 21.15
Rai5
In un documentario girato in
Texas e centrato su una ragazza e i suoi genitori adottivi, il
regista Roberto Minervini
esplora i temi della famiglia,
dell’adolescenza e della religione nell’America rurale.
Nel paese dei coppoloni
Sabato 9 maggio, ore 22.00
Laefe
Vinicio Capossela ripercorre il
viaggio reale e fantastico nei
luoghi, nelle storie e tra i personaggi del suo nuovo romanzo: Calitri nell’Alta Irpinia è al
centro del racconto, tra sacro
e profano, di un’Italia che rischia di essere dimenticata.
Björk. La natura è musica
Sabato 9 maggio, ore 22.55
Laefe
La popstar islandese esplora il
rapporto tra musica e natura
al centro del suo progetto Biophilia, parlandone con il documentarista britannico David
Attenborough. La voce narrante è di Tilda Swinton.
Femen. L’Ucraina
non è in vendita
Mercoledì 13 maggio, ore 22.00
Laefe
La regista ha seguito per 14
mesi le attiviste del gruppo
Femen. Tra azioni, denunce e
arresti si è fatta raccontare da
loro le origini del movimento
e come nascono le proteste.
Quel che resta della guerra
Venerdì 15 maggio, ore 21.30
Rai Storia
Il “mercato” dei residuati bellici della grande guerra era
stato raccontato da I recuperanti di Ermanno Olmi. Oggi a
questa attività si dedicano ancora in molti, non più per necessità ma per hobby e collezionismo, non senza rischi.
86
Dvd
Felicità interna lorda
La piccola nazione himalayana
del Bhutan ha introdotto l’indice della felicità interna lorda, alternativo al più tradizionale pil, misuratore di crescita
(o declino), ma non di efettiva
qualità della vita. La trovata
della monarchia che guida il
paese rischia però di rivelarsi
poco più di un’astuta mossa di
comunicazione, e il regista
francese Thomas Balmès ha
voluto visitare il paese per raccontare in Happiness, uscito in
dvd nel Regno Unito, la transizione del villaggio di Laya dal
tradizionale stile di vita rurale
a uno segnato dalla tecnologia
e dal progresso: basterà questo
a rendere i butanesi davvero
felici?
thomasbalmes.com
international.ofshore
-interactive.com
La carenza delle risorse energetiche rende sempre più appetibili gli enormi giacimenti
petroliferi protetti dagli oceani. Ma l’estrazione in profondità comporta costi e rischi
ambientali molto alti. Il progetto Global ofshore dei canadesi di Helios Design Labs
prosegue l’inchiesta Ofshore
interactive, raccontando quattro aree calde: il Brasile dove
operano giganti del petrolio
come Petrobras, il Ghana dove la strategia di sfruttamento
dei nuovi giacimenti è stata
fallimentare, l’Alaska dove lo
scioglimento della calotta polare scopre immensi territori
da trivellare e inine il Golfo
del Messico dove sono evidenti le conseguenze del disastro della piattaforma Deepwater Horizon.
Fotograia Christian Caujolle
L’essenza della Biennale
C’è stata un’epoca, diciamo
venticinque anni fa, in cui si
aspettava con curiosità e
impazienza di sapere cosa
sarebbe stato presentato alla
Biennale di Venezia. I
comunicati stampa erano
merce rara e le migliori fonti
d’informazione erano gli
artisti stessi, i ministeri della
cultura dei diversi paesi che
esponevano e qualche critico
d’arte ben inserito e ben
informato.
Oggi tutto è cambiato.
Radicalmente. L’uicio
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
stampa della Biennale
continua a fare il suo lavoro
d’informazione. Ma adesso è
aiancato da un nuovo attore
sulla scena del mondo
dell’arte che ha una potenza
di fuoco superiore e inisce
per essere preponderante. Da
un paio di mesi infatti, e
quindi da molto prima che
tutti quelli che “contano” nel
mondo dell’arte si ritrovino
tra la Laguna di Venezia, il
Canal Grande, i Giardini e
l’Arsenale, le più potenti
gallerie d’arte del mondo
stanno facendo la loro
campagna via email. Ognuna
promuove i suoi artisti che
siano impegnati nei padiglioni
uiciali, nelle esposizioni
collettive, in spazi pubblici, in
fondazioni private o anche in
eventi organizzati dalle stesse
gallerie. La Biennale è sempre
stata un luogo dove si sono
fatti grandi afari. Ma adesso,
prima ancora che si parli di
contenuti e tematiche, il
marketing, la comunicazione
e il business si pongono come
elementi essenziali. u
Cultura
Arte
Vincent Lamouroux, Projection
ELIzABETH DANIELS
Un letto in tour
Londra, Tate Britain, ino a
giugno 2016
Tracey Emin oggi è Cbe (commander of the British Empire,
onoriicenza attribuita anche a
Bill Gates), amica di David Cameron e testimonial di Marks
& Spencer, ma solo vent’anni
fa era tutt’altro che afermata.
La sua arte forte e iera ha contribuito a scuotere quella soffocante élite maschile che dominava il mondo dell’arte. Ha
afascinato e diviso pubblico e
critica con alcune installazioni
dolorosamente personali, come My bed, e altre sfacciatamente narcisistiche. Dopo
aver vinto il Turner prize nel
1999, la sala dove era esposto
il famoso letto è stata chiusa
diverse volte per sovrafollamento. Si trattava del letto
dell’artista messo in mostra
dopo la rottura traumatica di
una relazione, completo di lenzuola stropicciate, preservativi, mutandoni e bottiglie di alcolici. Emin aveva attinto alla
storia dell’arte, non solo alla
vita privata, per scrivere l’ultimo capitolo della tradizione
dell’autoritratto e della natura
morta. Oggi l’opera è stata acquisita dalla Tate Britain ed è
esposta nella collezione permanente. Ormai il letto di
Emin, con le lenzuola un po’
ingiallite, ha perso il suo potere scioccante diventando
un’icona protetta da potenti sistemi di allarme. Che ci piacesse o no il lavoro di Emin era
lo specchio del Regno Unito
degli anni novanta, della cultura confessionale contaminata dal grande fratello. Il paese
è andato avanti e oggi la giusta
collocazione dell’opera è tra i
capolavori dell’arte britannica
dall’epoca dei Tudor in poi. My
bed sarà esposto alla Tate ino
al 2016, poi partirà in tour prima di tornarsene a casa.
The Guardian
Los Angeles
Ridipingere Los Angeles
Vincent Lamouroux
Bates Motel, Los Angeles
Una città portuale del nord,
potrebbe essere Genova, uno
scenario triste dove la nebbia
non si dissolve mai. È quella
parte di Deserto rosso, il ilm di
Michelangelo Antonioni, dove
Giuliana, Corrado e un marinaio senza nome, vagano in
un inverno perpetuo. Il paesaggio rispecchia la loro vita
interiore. Cambiamo scenario. Los Angeles in una bella
giornata di primavera, nel
quartiere alla moda di Silver
Lake. La luce è talmente accecante che il Bates Motel, un
ediicio un po’ sinistro, sembra addirittura bianco. Lo è
davvero, come le palme e i
cartelloni pubblicitari che lo
circondano. Il 20 aprile Vincent Lamouroux lo ha dipinto
a calce per protestare contro
la gentriicazione del quartiere. Mentre ristoranti e alberghi di lusso vengono ristrutturati, l’ediicio cadente rischia
di essere demolito. Entro tre
settimane dall’imbiancatura,
la vernice si dissolverà ino a
sparire del tutto anticipando
la condanna a morte dell’ediicio. Nel 2010 Lamouroux
aveva già imbiancato un bo-
schetto sulla Mosa e due anni
dopo era stato fermato mentre
stava per sbiancare un bosco
del parco di Buttes-Chaumont
per la Biennale di Belleville.
Anche Mondrian, la cui avversione per il verde e tutto ciò
che richiamava le forme della
natura era leggendaria, aveva
fatto dipingere di bianco un
iore di plastica che era nel suo
studio parigino. Tra land art e
street art, la pratica del monocromo ruba un pezzo di realtà
lasciando un vuoto, come direbbe Smithson, pioniere della land art.
Les Inrockuptibles
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La fame
Martín Caparrós
rano tre donne: una nonna, una madre, per fare le frittelle da vendere al mercato e così più o
una zia. Da tempo le guardavo muoversi meno me la caverei”.
attorno a quella branda d’ospedale per
“Intendevo che il mago può darti qualunque cosa,
mettere insieme, lentamente, i due piatti tutto quello che gli chiedi”.
di plastica, i tre cucchiai, la pentolina an“Qualunque cosa davvero?”.
nerita, il secchio verde e darli alla nonna.
“Sì, tutto quello che gli chiedi”.
E continuai a guardarle quando la madre e la zia raccol“Due vacche?”.
sero la coperta, due o tre magliettine, gli stracci in un
Me lo disse in un sussurro, e mi spiegò:
fagotto che legarono perché la zia se lo mettesse sopra
“Con due sì che non avrei fame mai più”.
la testa. Ma ebbi un cedimento quando vidi che la zia si
Era così poco, pensai come prima cosa.
chinava sulla branda, sollevava il piccolo, lo teneva a
Ed era tanto.
mezz’aria, lo guardava con una faccia strana, come stuConosciamo la fame, siamo abituati alla fame: abpita, come incredula, lo appoggiava sulla schiena della biamo fame due, tre volte al giorno. Nelle nostre vite
madre come in Africa si appoggiano i piccoli sulle schie- non esiste niente che sia più frequente, più costante, più
ne delle loro madri – con le gambe e le braccia divarica- presente della fame e, al tempo stesso, per la maggior
te, il petto del bambino contro la schiena
parte di noi, niente che sia più lontano
della madre, la faccia girata di lato – e la Nelle nostre vite non dalla fame vera.
madre lo legava con un pezzo di stofa, esiste niente che sia
Conosciamo la fame, siamo abituati
come in Africa si legano i piccoli al corpo più frequente, più
alla fame: abbiamo fame due, tre volte al
delle loro madri. Il piccolo era al suo po- costante, più
giorno. Ma tra la fame ripetuta, quotidiasto, pronto per andare a casa, come sem- presente della fame na, saziata ripetutamente e quotidianapre, morto.
mente che viviamo noi, e la fame dispee, al tempo stesso,
Non faceva più caldo del solito.
per la maggior parte rante di chi non può soddisfarla, c’è tutto
Credo che il mio libro La fame sia codi noi, niente che sia un mondo. La fame è, da sempre, motore
minciato qui, in un paese molto vicino a
di cambiamenti sociali, progressi tecnici,
più lontano dalla
qui, nel profondo del Niger, qualche anrivoluzioni, controrivoluzioni. Nulla ha
no fa, seduto con Aisha su una stuoia di fame vera
inluito di più sulla storia dell’umanità.
fronte alla porta della sua capanna, sudoNessuna malattia, nessuna guerra ha ucre di mezzogiorno, terra secca, ombra di un albero rado, ciso più gente. Ancora oggi nessuna piaga è tanto letale
urla di bambini che correvano tutto attorno, quando lei e, al tempo stesso, tanto evitabile quanto la fame.
mi raccontava della palla fatta con la farina di miglio
Io non sapevo.
che mangiava tutti i giorni della sua vita e io le domanLa fame è, nelle mie immagini più lontane nel temdai se mangiava davvero quella palla di miglio tutti i po, un bambino con la pancia gonia e le gambe sottili in
giorni della sua vita e ci fu uno shock culturale:
un posto sconosciuto che allora si chiamava Biafra. Al“Be’, tutti i giorni che posso”.
lora, alla ine degli anni sessanta, udii per la prima volta
Mi disse così e abbassò gli occhi con vergogna e io la parola che esprime la fame nella sua versione più brumi sentii un verme, e continuammo a parlare del suo tale: carestia. Il Biafra fu un paese eimero: dichiarò la
cibo e della mancanza di quel suo cibo e io, povero propria indipendenza dalla Nigeria il giorno in cui io
sprovveduto, mi confrontavo per la prima volta con compivo dieci anni. Prima che ne avessi tredici era già
l’espressione più estrema della fame e dopo un paio di scomparso. In quella guerra un milione di persone moore piene di sorprese le domandai – per la prima volta, rirono di fame. La fame, sugli schermi di quei televisori
la domanda che in seguito avrei fatto così tanto – se in bianco e nero, erano i bambini, circondati di mosche,
avesse potuto chiedere quello che voleva, qualunque con un rictus d’agonia.
cosa, a un mago capace di dargliela, che cosa gli avrebNei decenni successivi l’immagine sarebbe divenbe chiesto. Aisha esitò per un po’, come chi si confronta tata più o meno consueta: ripetuta, insistente. Per quecon qualcosa di inconcepibile. Aisha aveva trenta o sto ho sempre pensato che avrei cominciato questo litrentacinque anni, il naso da rapace, gli occhi di tristez- bro con il racconto crudo, scarno, terribile di una careza, la stofa lilla a coprire tutto il resto.
stia. Sarei arrivato con una squadra d’emergenza in un
“Voglio una vacca che mi dia molto latte, così se luogo desolato, probabilmente africano, dove migliaia
vendo un po’ di latte posso comprare quello che serve di persone stavano morendo di fame. Lo avrei raccon-
E
MARTÍN
CAPARRÓS
è un giornalista e
scrittore argentino.
Sarà ospite a
Encuentro, festa
delle letterature in
lingua spagnola di
Perugia, dall’8 al
10 maggio. Questo
racconto è il primo
capitolo del suo libro
La fame, che uscirà il
15 maggio per
Einaudi. Titolo
originale El hambre,
© 2014 Martín
Caparrós, Casanovas
& Lynch Agencia
Literaria S.L. © 2015
Giulio Einaudi
editore s.p.a., Torino
CAPARRÓS LA FAME
ame: abbiamo
vite non esiste
, piú presente
or parte di noi,
n Caparrós ha
Niger, il Kenya,
niti, la Spagna.
gioni – siccità,
rono la fame.
torie di coloro
per mitigarla e
o tanta gente.
eccanismi che
non mangino
bile dell’ordine
arretratezza?
di soluzione?
Pop
MARTÍN CAPARRÓS
LA FAME
ca che ri ette
denuncia una
per eliminarla
a Parigi, ha vissuto
viaggiato in mezzo
o il Premio Planeta,
tore di una trentina
mio Herralde. Il suo
plauso della critica.
Non è un cambio di
F come Fame.
La crisi mortale del nostro tempo.
Un saggio, un reportage,
una denuncia spietata
del nostro silenzio.
90
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CHRISTIAN DELLAVEDOVA
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91
Pop
Storie vere
Rachel Austin, 40
anni, continuava a
molestare un cliente
in un bar di Naples, in
Florida, così un
barista l’ha buttata
fuori dal locale e ha
chiamato la polizia.
Quando gli agenti
sono arrivati la donna
gli ha spiegato che lei
“stava solo ballando
con Jim Carrey
vestito in costume da
Batman”. Poi,
protestando per
essere stata cacciata
via, si è avviata verso
la sua macchina.
Quando un poliziotto
le ha fatto notare che
era troppo ubriaca per
guidare, lei gli ha
buttato una sigaretta
accesa in faccia e
ha cominciato
a picchiarlo
avvertendolo che era
una maiosa ed era
sposata con un agente
dell’Fbi di New York.
I poliziotti non si sono
spaventati: ora
Rachel Austin è
accusata di
aggressione a un
pubblico uiciale e
resistenza all’arresto.
92
tato con particolari brutali e a quel punto, dopo aver
rappresentato il peggiore degli orrori, avrei detto che
non bisogna ingannarsi, o lasciarsi ingannare: situazioni del genere rappresentano soltanto la punta dell’iceberg e la realtà reale è molto diversa.
Avevo pensato, progettato tutto alla perfezione ma
negli anni che ho passato a lavorare su questo libro non
ci sono state carestie fuori controllo, solo le solite: la
penuria estrema nel Sahel, i rifugiati somali o sudanesi,
le inondazioni nel Bengala. Tutto questo, da un lato, è
una grande notizia. Ma dall’altro, non meno importante, è un problema: le ecatombi sono le uniche occasioni
che la fame aveva di presentarsi – immagini sugli schermi delle case – a chi non la sofre. La fame come catastrofe puntuale e spietata compare soltanto in occasione di una guerra o di un disastro naturale. Tutto il resto,
invece, è molto più diicile da mostrare: i miliardi di
persone che non mangiano quanto dovrebbero e soffrono per questo, e muoiono a poco a poco per questo.
L’iceberg, ciò che questo libro cerca di raccontare e di
pensare.
Eppure non dico nulla che non sappiamo già. Tutti
sappiamo che c’è la fame nel mondo. Tutti sappiamo
che ci sono ottocento, novecento milioni di persone – le
cifre oscillano – che ogni giorno patiscono la fame. Tutti abbiamo letto o udito queste stime, e non sappiamo o
non vogliamo agire di conseguenza. Se c’è stato un momento in cui la testimonianza – il racconto crudo – serviva, si direbbe che adesso non serva più.
Allora cosa rimane, il silenzio?
Aisha, che mi diceva quanto sarebbe stata diversa la
sua vita con due vacche. Se proprio devo spiegarlo – non
so se devo spiegarlo – niente mi ha colpito di più che
capire come la povertà più crudele, la più estrema, sia
quella che ti ruba anche la possibilità di pensarti diverso. Quella che ti lascia senza prospettive, senza neanche desideri: condannato per sempre alla stessa situazione inevitabile.
Dico, voglio dire, ma non so come dirlo: voi, gentili
lettori, così pieni di buone intenzioni, un po’ smemorati, riuscite a immaginare che cosa signiichi non sapere
se domani potrete mangiare? E, ancora, riuscite a immaginare come possa essere una vita fatta di giorni che
si susseguono ad altri giorni senza sapere se domani
potrete mangiare? Una vita che consiste soprattutto in
questa incertezza, nell’angoscia di questa incertezza e
nello sforzo d’immaginare come alleviarla, non potendo pensare a nient’altro perché ogni pensiero si tinge di
questa mancanza? Una vita così limitata, così breve, a
volte così dolorosa, così combattuta?
Tante forme di silenzio.
Il mio libro ha molti problemi. Come raccontare l’altro, ciò che è più lontano? È molto probabile che voi,
lettori, lettrici, conosciate qualcuno che è morto di cancro, che ha subìto un’aggressione, che ha perduto un
amore un lavoro l’orgoglio. È molto improbabile che
conosciate qualcuno che vive con la fame, che vive il
rischio di morire di fame. Molti milioni di persone che
sono qualcosa di lontano: qualcosa che non sappiamo
– né vogliamo – immaginare.
Come raccontare una simile miseria senza cadere
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
nel pietismo, nell’uso lacrimevole del dolore altrui? O
prima ancora: perché raccontare una simile miseria?
Molto spesso raccontare la miseria è un modo di usarla.
La disgrazia altrui interessa a molti disgraziati che vogliono convincersi di non stare così male o che vogliono, semplicemente, provare un certo brivido. La disgrazia altrui – la miseria – serve a vendere, a nascondere, a
confondere le acque: a presupporre, per esempio, che il
destino individuale sia un problema individuale.
E, soprattutto, come combattere contro la degradazione delle parole? Le parole “milioni-di-persone-patiscono-la-fame” dovrebbero signiicare qualcosa, provocare qualcosa, produrre determinate reazioni. Ma, di
solito, le parole non fanno più cose del genere. Qualcosa accadrebbe, forse, se potessimo restituire alle parole
il loro signiicato.
Il mio libro è un fallimento. Prima di tutto, perché
ogni libro lo è. Ma soprattutto perché un’esplorazione
del maggior fallimento vissuto dal genere umano non
poteva che fallire.
Al fallimento, naturalmente, hanno contribuito le
mie mancanze, i miei dubbi, la mia incapacità. Ma, anche così, questo è un fallimento del quale non mi vergogno: avrei dovuto conoscere più storie, meditare su più
questioni, capire qualcosa di più. Ma a volte fallire vale
la pena.
E fallire di nuovo, e fallire meglio.
“L’eliminazione, ogni anno, di decine di milioni di
uomini, donne e bambini a opera della fame è lo scandalo del nostro secolo. Ogni cinque secondi un bambino sotto i dieci anni muore di fame, in un pianeta che,
pure, straripa di ricchezze. Allo stato attuale, in efetti,
l’agricoltura mondiale potrebbe nutrire senza problemi
12 miliardi di esseri umani, quasi il doppio della popolazione attuale. Dunque non si tratta di una fatalità. Un
bambino che muore di fame è un bambino assassinato”, scrisse, in Destruction massive, l’ex relatore speciale
delle Nazioni Unite sul diritto all’alimentazione Jean
Ziegler.
Migliaia e migliaia di fallimenti. Ogni giorno nel
mondo muoiono – in questo mondo – 25mila persone
per ragioni che hanno a che vedere con la fame. Se voi,
lettori, lettrici, vi prendete il disturbo di leggere questo
libro, se vi entusiasmate e lo leggete in – diciamo – otto
ore, in quel lasso di tempo saranno morte di fame circa
ottomila persone: ottomila persone sono molte. Se non
vi prendete il disturbo di farlo saranno morte lo stesso,
ma voi avrete la fortuna di non averlo saputo. Quindi,
probabilmente, preferirete non leggere questo libro.
Forse io farei la stessa cosa. È meglio, in genere, non
sapere chi sono, né come né perché (ma avete letto questo breve paragrafo in mezzo minuto. Sappiate che in
questo lasso di tempo nel mondo sono morte di fame
soltanto da otto a dieci persone. Tirate un sospiro di sollievo).
E se magari, allora, decidete di non leggerlo, forse
continuerà a girarvi in testa la domanda. Tra tante domande che mi faccio, che questo libro si fa, ce n’è una
che spicca, che risuona, che mi assilla senza sosta: come cazzo riusciamo a vivere sapendo che succedono
queste cose? u fn
Il tiranno
cineilo
Antonio Muñoz Molina
I
AntonIo
Muñoz MolInA
è uno scrittore e
giornalista spagnolo.
Il suo ultimo lavoro
pubblicato in Italia è
Il vento della luna
(Mondadori 2008).
Questo articolo è
uscito sul País con
il titolo El tirano
cinéilo.
CHIARA DAttoLA
dittatori sono propensi alla cineilia. Lenin, che
detestava la musica perché era irritato dal fatto
che lo faceva diventare sentimentale, considerava che tra tutte le arti il cinema poteva essere
la più utile alla causa del proletariato. Hitler
vedeva quasi tutte le sere in una sala cinematografica perfettamente attrezzata operette viennesi
d’epoca e musical americani, e regalò a Eva Braun una
cinepresa per girare a colori scene che ancora oggi ci
gelano il sangue, un misto di ridenti immagini domestiche e igure genocide che prendono il sole sulle terrazze con vista sulle Alpi. Anche a Stalin piacevano i
musical americani e i ilm western e, dato che sofriva
d’insonnia come Hitler e si divertiva a tenere svegli i
suoi cortigiani ino a notte fonda, a volte prolungava la
sessione cinematograica con una festa alcolica, durante la quale osservava in silenzio adulatori e future
vittime come se stesse inventando per ognuno un copione sinistro dall’epilogo ignoto a tutti tranne che a
lui. Il generale Franco non andava a letto tardi e non
beveva, ma la sua passione per il cinema era altrettanto forte, al punto che scrisse la sceneggiatura di un
ilm, Raza, che era una patetica fantasia ricamata sulla
sua biograia, e una dimostrazione del fatto che il cinema può rovinare l’immaginazione di chiunque.
Forse ai dittatori piacciono tanto i ilm perché hanno pochissime opportunità di uscire la sera e perché
sono costantemente circondati da persone servili di
cui non sanno più che fare.
A eccezione di Franco – che a quanto pare andava a
letto presto dopo aver recitato il rosario con doña
Carmen ai piedi del letto – i dittatori dormono male,
hanno il sonno agitato, si alzano tardissimo, fanno le
cose a orari strampalati. Di tutti i satrapi dell’età moderna forse il più appassionato di cinema fu Kim
Jong-il, il caro leader della Repubblica popolare democratica di Corea, iglio ed erede di Kim Il-sung, grande
leader e poi leader eterno da quando dopo la sua morte
e la sua imbalsamazione fu decretato che avrebbe continuato a guidare la repubblica della Corea e il Partito
dei lavoratori dall’oltretomba.
A 25 anni il caro leader e glorioso camerata Kim
Jong-il si fece carico dell’uicio di agitazione e propaganda del partito, che aveva la missione di raforzare
la coscienza rivoluzionaria e antimperialista del popolo. Promuovere la cinematograia della Corea del Nord
era il suo compito principale.
A Kim Jong-il non mancavano i meriti, in dalla nascita. Quando uscì dal ventre di sua madre si placò la
tempesta, il cielo si schiarì e apparvero un doppio arcobaleno e una stella ino a quel momento sconosciuta
agli astronomi. Una rondine aveva profetizzato la sua
nascita. La notizia giunse telepaticamente ai guerri-
glieri che lottavano contro gli invasori giapponesi: dopo essersi abbracciati con gioia, si lanciarono con rinnovato ardore contro il nemico. A otto settimane di
vita Kim Jong-il parlava correttamente, impartendo
ordini rivoluzionari. A tre anni intinse un dito nel calamaio e segnalò le posizioni delle basi nemiche da attaccare.
A vent’anni era già cineilo e anche dopo non smise
mai di coltivare questa passione. La biblioteca nazionale di Pyongyang, oltre alle opere complete di Kim
Il-sung, custodiva uno studio sul linguaggio cinematograico scritto dal iglio del leader supremo e camerata. In un ediicio sottoposto a vigilanza militare permanente, il caro leader conservava la sua collezione
segreta di ventimila ilm, tutti proibiti nel paese: le
opere migliori o più famose girate in qualsiasi lingua
in dalle origini del cinema. C’erano agenti speciali
che trovavano i ilm per lui a New York, Parigi, Mosca
e Stoccolma, ancora prima dell’uscita nei cinema. Il
caro leader organizzava feste in cui erano serviti piatti
prelibati da tutto il mondo e liquori di prima qualità (il
suo preferito era il cognac Hennessy, di cui importava
ogni anno casse per un valore di 700mila dollari) ma
dove il divertimento principale, oltre ai servizi sessuali di ragazzine sottomesse alla disciplina militare e inquadrate in una “brigata dell’allegria”, consisteva nella proiezione di ilm, a volte due o tre di seguito. Kim
Jong-il era appassionato di western, di cui sapeva quasi tutto, e poi dei ilm di James Bond, soprattutto quelli
interpretati da Sean Connery, che era il suo attore preferito.
Vedeva quei ilm e pensava con malinconia che in
confronto il cinema della Corea del Nord era deplorevole. Mancavano i mezzi, chiaramente, mancavano gli
attori, ma soprattutto mancavano capacità tecniche,
ispirazione, quel miracolo del linguaggio cinematograico che lui stesso aveva studiato nei dettagli. Come
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93
Pop
GARY J.
WHITEHEAD
è un poeta e autore
di cruciverba
statunitense. Questa
poesia è uscita sul
New Yorker nel
marzo del 2014.
Traduzione di
Francesca Spinelli.
fare un cinema in grado di elevare la coscienza rivoluzionaria del popolo e allo stesso tempo di competere
con quello imperialista?
La soluzione escogitata nel 1978 dal caro leader è
alla base di un libro rigoroso e irrimediabilmente stravagante di Paul Fischer, A Kim Jong-il production, una
di quelle storie in cui ci s’imbatte per caso curiosando
in libreria e che non si riesce a smettere di leggere, pur
avendo obblighi più seri. Per migliorare l’industria cinematograica nordcoreana, Kim Jong-il ordinò il sequestro del regista sudcoreano più conosciuto all’epoca, Shin Sang-ok, e della moglie Choi Eun-Hee, l’attrice più popolare e più bella, la star assoluta del cinema
sudcoreano. Li sequestrarono uno alla volta. Per cinque anni li tennero nascosti e in prigionia. Quando
Kim Jong-il si trovò per la prima volta davanti a quella
donna dalla bellezza radiosa che aveva ammirato in
solitudine in moltissimi ilm si complimentò, con una
timidezza aggressiva, per i pantaloni stretti che indossava e che le stavano molto bene, e di se stesso disse,
scoppiando in una risata confusa, che era piccolo
quanto la cacca di un nano. Lei poi raccontò di aver
dovuto partecipare a feste in luoghi di lusso che sembravano un incrocio tra Las Vegas e Vladivostok. Suo
marito, Shin Sang-ok, ebbe meno fortuna: passò anni
nei campi di concentramento e nelle celle di rigore, poi
cedette.
Kim Jong-il ottenne quello che voleva: il prigioniero Shin Sang-ok diresse una superproduzione nordcoreana che al caro leader parve un’opera maestra e che
probabilmente è uno dei peggiori ilm mai realizzati al
mondo, Pulgasari, la storia di un Godzilla rivoluzionario che si nutre di ferro e difende i contadini dalle iniquità dei governatori e dei proprietari terrieri nella
Corea medievale. Ma la gioia di Kim Jong-il fu breve:
con un’inspiegabile slealtà, il suo regista preferito fuggì nel mondo capitalista non appena gli si presentò
l’occasione.
Poesia
Facendo l’amore
in cucina
Lo facciamo con i coltelli in mano,
lingue azzurre lungo fondi di tegami,
alle inestre il vapore dei cuori
di carciofo che schiacciamo.
I cuori sono fatti per essere incisi
e strappati, cotti e inteneriti, spalmati
di burro, traitti e portati alla bocca
aperta dell’altro. Ci diciamo afamati,
quasi che a farlo fossimo soli
come una cipolla nella sua buccia,
diciamo ho fame ma è per dire
che vorremmo rimandare
l’inevitabile, che è immangiabile,
comunque lo si afetti,
e così facciamo – mentre ci consuma –
questo amore chiamato pasto.
Gary J. Whitehead
La cineilia è contagiosa: confesso di aver cercato
Pulgasari e di averlo visto per intero su YouTube,
immaginando Kim Jong-il assorto in quelle stesse immagini, a notte fonda, con un bicchiere di cognac
Hennessy in mano, nell’insonnia di Pyongyang. u fr
Scuole Tullio De Mauro
Guerra mondiale all’istruzione
Il 30 aprile un tribunale pachistano ha condannato dieci terroristi
coinvolti nell’attentato del 2012
contro Malala Yousafzai, allora
quindicenne. Il caso di Yousafzai
o la strage nella scuola pubblica di
Peshawar nel dicembre 2014 o le
imprese del gruppo Boko haram
in Nigeria hanno avuto grande
eco nell’informazione e si lasciano facilmente inquadrare nel diffuso stereotipo antislamico. Ma la
cosa è più complicata. Dall’islam
stesso, anche da gruppi fondamentalisti, arrivano condanne e
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sconfessioni. E soprattutto si osserva che le aggressioni terroristiche ad alunni e alunne, insegnanti, ediici scolastici, non rare dagli
anni settanta del novecento, si sono ormai difuse e intensiicate in
molte parti del mondo.
Nel 2014 un rapporto del National consortium for the study of
terrorism ha elencato 110 paesi in
cui tra il 1970 e il 2013 ci sono stati
3.400 attacchi a scuole. I numeri
di alcuni paesi, dalla Colombia alla Russia, sono impressionanti. Il
fenomeno è globale. Censirlo e
capirlo è dal 2010 la missione della Global coalition to protect education from attack (Gcpea). È giusto individuare le diferenti cause
prossime che armano la mano di
terroristi, dai narcotraicanti alle
minoranze oppresse o ai fondamentalisti. Ma una causa prima e
comune forse c’è. L’istruzione dà
comunque strumenti di libertà,
incrina equilibri tradizionali. Proprio questo la rende invisa a chi
campa su diseguaglianze, servitù,
ignoranza. E forse non si tratta solo dei terroristi. u
Scienza
tarietà. Uno studio recente ha dimostrato
che è possibile eliminare le mutazioni dei
mitocondri trasmessi da un topo femmina
ai igli. I mitocondri producono l’energia
delle cellule, hanno un loro dna, diverso da
quello del nucleo, e le loro mutazioni possono causare malattie per cui non esiste cura.
ANGELo MoNNE
La questione etica
Le nuove frontiere
dell’ingegneria genetica
P. Sarchet e M. Le Page, New Scientist, Regno Unito
Curare e prevenire l’anemia
falciforme, fermare l’hiv e la
trasmissione di malattie
ereditarie: la delicata ricerca
sul cosiddetto editing genetico
umano è cominciata
editing genetico è una realtà. Il
primo tentativo di manipolare il
genoma di embrioni umani ha
fatto notizia ad aprile e un altro
studio ha dimostrato che le tecniche di editing potrebbero evitare alcune malattie ereditarie. Probabilmente ci vorranno decenni
prima che si possano rimuovere e sostituire
tratti di dna per modiicare i geni dei nascituri in modo sicuro. E non è detto che la pratica sarà ritenuta eticamente accettabile.
Ma intanto la sperimentazione per curare
gli adulti è in corso.
Nei prossimi mesi quattro centri statunitensi recluteranno volontari sieropositivi
all’hiv per sperimentare una terapia basata
sull’editing genetico. L’hiv distrugge le cellule del sistema immunitario chiamate linfociti T sfruttando il recettore Ccr5 presente
sulla membrana delle stesse cellule. Disat-
L’
96
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
tivando il gene che codiica per il recettore
Ccr5 si può fermare l’infezione.
L’anno scorso alcuni ricercatori hanno
distrutto questo gene nei linfociti T di 12
persone afette da hiv usando delle proteine
artiiciali chiamate nucleasi a dito di zinco.
L’intervento ha aumentato la resistenza al
virus. Il nuovo esperimento va oltre: mettendo fuori uso il gene presente nelle cellule staminali da cui hanno origine i linfociti
T si ottiene un efetto duraturo e non serve
ripetere la terapia. “L’obiettivo è una cura
funzionale”, dice John Zaia dell’ospedale
City of hope di Duarte, in California.
La sperimentazione spiana la strada alla
cura di altre malattie. Un esperimento che
comincerà tra poco, per esempio, si concentrerà sull’anemia falciforme, una malattia del sangue in cui le molecole di emoglobina nei globuli rossi, deputate al trasporto
dell’ossigeno, sono anomale. La tecnica
prevede il ricorso a una proteina che si può
usare al posto dell’emoglobina. Tuttavia ci
sono dei rischi. Secondo David Liu, di Harvard, quasi tutte le tecniche di editing rischiano di alterare per sbaglio anche sequenze di dna che non si volevano toccare.
Alcuni gruppi di ricerca stanno usando
l’editing genetico per intervenire sull’eredi-
A marzo alcuni scienziati avevano chiesto
la sospensione delle ricerche sull’editing
genetico delle cellule che possono dare origine a unembrione. Il gruppo che ha lanciato l’appello lavora su cellule adulte e teme
che la manipolazione dell’embrione umano possa avere efetti imprevedibili sulle
generazioni future e alimentare la diidenza dell’opinione pubblica.
Tuttavia ad aprile un’équipe cinese ha
annunciato di aver editato il dna del nucleo
di embrioni umani, usando una tecnica
chiamata Crispr/Cas9, sviluppata negli ultimi anni e molto più veloce dei metodi tradizionali di ingegneria genetica.
Malgrado il clamore suscitato dalla notizia, ci vorrà ancora molto tempo prima
che la Crispr possa essere usata per eliminare le malattie genetiche dal dna delle generazioni future. Dallo studio cinese sono
infatti emersi molti problemi. Degli 86 ovuli trattati se ne sono modiicati davvero solo
quattro e gli embrioni prodotti erano un
mosaico di cellule modiicate e non.
Potrebbe essere a causa degli embrioni
usati: si trattava di embrioni anomali, non
vitali, che si creano quando due spermatozoi fecondano lo stesso ovulo. I ricercatori
spiegano di averli usati perché per motivi
etici non si possono manipolare embrioni
umani normali, ma il loro lavoro è stato comunque criticato. La preoccupazione è che
questo sia solo il primo passo verso l’alterazione del genoma degli embrioni umani da
impiantare, dice George Annas della Boston university: “È nell’ambito di questo
progetto più ampio che la manipolazione di
embrioni umani non vitali diventa potenzialmente pericolosa sia per i bambini e i
loro igli sia per la società in generale”.
Nonostante le polemiche, sembra che
almeno un gruppo di ricercatori statunitensi e molte équipe cinesi stiano lavorando sugli embrioni umani.
Anche se nel prossimo futuro i metodi
più promettenti per curare le malattie sono
quelli applicati alle cellule adulte, una cosa
è certa: il genio dell’editing genetico è uscito dalla lampada. u sdf
Farmaci
made in africa
In Africa il 70 per cento dei medicinali è importato. Una produzione locale, scrive il British
Medical Journal, garantirebbe
una disponibilità immediata dei
farmaci e aiuterebbe l’economia
dei paesi africani produttori.
L’onu e diverse ong lavorano in
questa direzione, ma gli ostacoli
non mancano. da un lato la fornitura di elettricità e acqua è
spesso inaidabile e le strade
dissestate rendono diicile il
trasporto. Sono più economici e
veloci i collegamenti tra l’India
e il kenya che quelli all’interno
dei conini keniani. dall’altro la
concorrenza globale frena lo
sviluppo di aziende africane.
L’India, che è uno dei concorrenti principali, produce l’80 per
cento degli antiretrovirali per
l’hiv acquistati con i fondi dei
donatori e destinati ai paesi a
basso e medio reddito.
ambiente
Coperti
di elettroriiuti
I riiuti elettronici nel mondo,
milioni di tonnellate, stime
foNte: tHe LANcet
Africa
1,9 (1,7 chilogrammi pro capite)
11,7 (12,2)
Americhe
Asia
16,0 (3,7)
europa
oceania
11,6 (15,6)
0,6 (15,2)
la scienza parla cinese
Nature, Regno Unito
Negli ultimi anni la cina è diventata il
secondo paese al mondo per
investimenti in ricerca e sviluppo, e
vanta la seconda maggiore
produzione di articoli scientiici. Nel
2013 il gigante asiatico ha speso per la
ricerca scientiica 1.184,7 miliardi di
yuan, pari a più di 189 miliardi di
dollari. In dettaglio, 1.002,3 miliardi
di yuan sono andati allo sviluppo tecnologico, 126,9
miliardi alla ricerca applicata e 55,5 alla ricerca di base.
Quasi il 75 per cento dei inanziamenti è arrivato
dall’industria, mentre i fondi pubblici hanno superato
appena il 20 per cento. dopo aver perso una generazione
di scienziati durante la rivoluzione culturale, il paese ha
formato il personale per la ricerca secondo standard
internazionali. tuttavia, rispetto ai paesi occidentali
manca un quadro istituzionale favorevole alla ricerca,
scrive Nature, che dedica uno speciale alla cina. Lo
scienziato Zheng Wan lamenta soprattutto la scarsa
circolazione dei dati scientiici, per esempio quelli di tipo
ambientale come le rilevazioni sulla qualità dell’aria. Le
amministrazioni pubbliche sono in possesso di questi dati,
ma tendono a non divulgarli. Anche l’impossibilità di
avere accesso al motore di ricerca per la letteratura
scientiica google scholar è un ostacolo per i ricercatori. u
in breve
Astronomia La missione di
Messenger si è conclusa con lo
schianto programmato della
sonda su Mercurio. Si suppone
che l’impatto abbia creato un
nuovo cratere sul pianeta. Nelle
ultime fasi del volo la sonda della Nasa ha inviato i dati su Mercurio raccolti a distanza ravvicinata, misure di anomalie magnetiche e informazioni sui depositi di ghiaccio d’acqua presenti nei crateri polari.
Salute Ha avuto un efetto positivo, ma temporaneo, la terapia
genica per l’amaurosi congenita
di Leber, una malattia ereditaria
della retina che causa la cecità o
una grave riduzione della vista.
Nei due studi pubblicati su
Nejm è stata iniettata sotto la retina la copia corretta del gene
rpe65. In uno studio con tre pazienti c’è stato un miglioramento nei primi tre anni e una successiva perdita della vista dopo
cinque o sei anni. Nel secondo,
che ha usato una tecnica diversa, cinque persone su 12 hanno
avuto un miglioramento entro
un anno, perso dopo tre anni.
ambiente
Salute
Stop alla rosolia
nelle americhe
la luce artiiciale altera i mari
La prima ricerca sul campo condotta nelle acque buie dello stretto
gallese di Menai ha rivelato che l’inquinamento luminoso, come
quello prodotto dalle zone portuali, altera la composizione delle comunità marine: accelera lo sviluppo di alcuni invertebrati e interrompe quello di altri, scrive Biology Letters. Molti dei piccoli animali che si moltiplicano si ancorano su moli, scai e impianti di acquacoltura causando ingenti danni economici. tra quelli che diminuiscono, alcuni contribuiscono alla pulizia delle acque. u
Le Americhe sono la prima regione del pianeta ad aver eliminato la rosolia, ha annunciato
l’organizzazione mondiale della sanità. L’eliminazione di questa infezione virale, che può
causare gravi danni al feto, è
stata raggiunta grazie alla difusione capillare del vaccino nelle
zone più remote. La rosolia si
aggiunge alle altre due malattie
eliminate nelle Americhe grazie
alla vaccinazione di massa, il vaiolo nel 1971 e la polio nel 1994.
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97
NASA/JoHNS HopkINS UNIverSIty AppLIed pHySIcS LAborAtory/cArNegIe INStItUtIoN of WASHINgtoN
Su 41,8 milioni di tonnellate di
riiuti elettrici ed elettronici generati nel 2014 nel mondo, quasi
il 60 per cento era un misto di
elettrodomestici per la cucina,
per il bagno e per il bucato. Secondo il rapporto dell’università
delle Nazioni Unite a bonn, circa il 7 per cento è invece formato da computer e altri piccoli dispositivi tecnologici. globalmente sono stati prodotti 5,9
chili di riiuti elettronici pro capite e nel 2018 dovrebbero diventare 6,7.
ricerca
toM dAvIeS (UNIverSItà dI exeter)
Salute
Russia
Nepal
Cuba
Giappone
Il diario della Terra
Ethical living
Germania
Messico
5,5 M
Giappone
Francia
47,2°C
Sibi,
Pakistan
Cuba
Giappone
5,7 M
Papua
Nuova Guinea
7,4 M
Gestione
energetica
Australia
Il televisore lasciato in standby si spegne da solo, l’acqua
Panamá
calda della doccia non scorre
Quang
per più di dieci minuti, la lavaEcuador
5,3 M
trice si accende nel cuore della
Brasile
notte, quando l’energia elettriAustralia
ca costa meno: sono le possibi-71,7°C
lità offerte dalle tecnologie per
Vostok,
Nuova Zelanda
il controllo della domanda,
Antartide
6,1 M
che grazie ai dispositivi integrati, ai contatori intelligenti e
allo scambio di dati con le
aziende di fornitura promettoraggiunto la costa occidentale
Vulcani Il vulcano Turrialno grandi benefici. Nel Regno
ba, in Costa Rica, ha proiettato di Panamá.
Unito si sta riflettendo se incenere ino alla capitale San
trodurre queste tecnologie. I
José. u Si è risvegliato il vulcaCicloni La tempesta
cittadini cederebbero il conno Hakone, in Giappone.
tropicale Quang ha raggiunto
trollo sui propri apparecchi alil nordovest dell’Australia.
le aziende di distribuzione
Tempeste Tre persone
dell’elettricità, che potrebbero
Ucraina, regione di Kiev sono morte a causa di una
Lupi L’abbattimento dei
accendere e spegnere i dispotempesta all’Avana, a Cuba.
lupi è stato autorizzato per Papua Nuova
Guinea
domestici, e in questo
Decine di case sono state
due mesi in 15 località rurali 7,5sitivi
Incendi I pompieri ucraini
M
modo gestire l’assorbimento
danneggiate. u Un uomo è
del dipartimento delle
hanno spento un incendio che
Indonesia di energia dalla rete. Si potrebmorto durante una tempesta
Alpes-Maritimes, nel sudest
aveva distrutto 320 ettari di
Mozambico
bero limitare i picchi di doad Amburgo, in Germania.
della Francia, dopo una serie
vegetazione vicino all’ex cenmanda, evitare i blackout prodi attacchi contro le pecore
trale nucleare di Cernobyl, in Angola
grammati e aumentare la sicuUcraina, suscitando l’allarme
Onde Una persona è morta (ne sono morte 510 dall’inizio
rezza. Inoltre, si potrebbe didell’anno).
per un possibile aumento della travolta dalle onde che hanno
minuire la necessità di costruiradioattività nella regione.
re nuove centrali, ridurre le
emissioni di gas serra nell’atTerremoti Un sisma di mamosfera e risparmiare.
gnitudo 7,4 sulla scala Richter
Ma i cittadini sono pronti a
è stato registrato al largo della
cedere un po’ di controllo sui
Papua Nuova Guinea e ha proloro apparecchi? Per capirlo è
vocato un’allerta tsunami.
stata condotta un’indagine tra
Scosse più lievi sono state repiù di 2.400 britannici, che è
gistrate in Nuova Zelanda, in
stata pubblicata su Nature
Giappone, in Ecuador e nel
Climate Change. È emerso
sud del Messico. u Il bilancio
che il 58 per cento delle persodel terremoto in Nepal è salito
ne è pronto a ridurre i consumi
a 7.557 vittime.
domestici e a condividere i dati sui propri consumi con gli
Alluvioni Cinque persone
Biodiversità A causa del cambiamento climatico potrebbe
sono morte nelle alluvioni
estinguersi il 7,9 per cento delle specie viventi del pianeta. L’ana- enti che dovrebbero regolarli.
Ma un quinto degli intervistati
causate dalle forti piogge nel
lisi di 131 studi sulla riduzione di biodiversità dovuta all’innalzaè contrario alla condivisione.
Queensland, in Australia.
mento delle temperature mostra che, continuando a emettere
Si tratta soprattutto di persone
gas serra al ritmo attuale, con un aumento di temperatura di 4,3
dei ceti disagiati che si sentoFrane Tredici persone sono gradi, una specie su sei sarà a rischio di estinzione. In Europa
no più esposte a possibili aue Nordamerica l’impatto sarebbe minimo, mentre Australia,
morte travolte da alcune frane
menti dei costi o a pratiche
Nuova Zelanda e Sudamerica perderebbero il maggior numero
a Salvador de Bahía, nel norcommerciali scorrette.
di specie, scrive Science.
dest del Brasile.
MARK URBAN
Costa Rica
A. KRAvCHENKo (PooL/REUTERS/CoNTRASTo)
Ucraina
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Il pianeta visto dallo spazio 10.04.2015
I rilessi del Sole sul mare di Florianópolis, in Brasile
10 aprile 2015
Nord
2 km
Aeroporto
10 aprile 2015
earthoBServatory/NaSa
Aeroporto
Nord
2 km
u Gli astronauti della Stazione
spaziale internazionale hanno
scattato queste foto mentre sorvolavano i promontori della città portuale di Florianópolis, nel
Brasile del sud. La parte orientale (in alto) e quella occidentale sono collegate da due ponti
che attraversano un braccio di
mare largo 400 metri.
La foto in alto è illuminata
dal parziale rilesso del Sole. La
luce dovuta a questo fenomeno
di rilessione speculare rivela
molti dettagli della supericie
marina, in particolare le striature causate dal vento e le scie
delle imbarcazioni. L’acqua a
sud della città è molto più lucente di quella a nord, forse
perché le colline la proteggono
dal vento. Il giorno in cui è stata
scattata la foto il vento soiava
da nord (in alto a sinistra), quindi l’acqua era più calma a sud e
il rilesso era maggiore.
Gli astronauti imparano a
sfruttare i rilessi del Sole sulla
supericie del pianeta. Queste
immagini dimostrano la loro
Queste due foto sono state
scattate a 31 secondi di distanza l’una dall’altra. Le
diverse angolazioni dei rilessi del Sole valorizzano
elementi diversi.
u
abilità: la foto sotto è stata scattata appena 31 secondi dopo
che è cambiato il punto di rilessione e mostra elementi piuttosto diversi, in particolare il delusso scuro e torbido di un piccolo corso d’acqua che sfocia
nella baia vicino all’aeroporto
internazionale.
Lungo il litorale il mare presenta sfumature di un marrone
chiaro dovute all’azione delle
onde che sollevano il fango e
all’inquinamento della città.
–M. Justin Wilkinson (Nasa)
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Annunci
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
Tecnologia
I cartograi della rete aiutano
il Nepal dopo il terremoto
Robinson Meyer, The Atlantic, Stati Uniti
a notte dopo il terremoto in Nepal gli abitanti avevano paura di
dormire nelle loro case perché
temevano altre scosse che avrebbero potuto far crollare i pochi ediici rimasti in piedi. Così hanno dormito nelle tende,
nelle strade e nei parchi delle città. Intanto
continuava a piovere ininterrottamente ed
era impossibile vedere Kathmandu dall’alto, e questo era un problema più grave di
quanto si possa immaginare.
Ormai è diventata una consuetudine:
ogni volta che avviene una catastrofe naturale, in tutto il mondo si attiva una squadra
di “cartograi della crisi”. Si tratta di volontari che usano strumenti basati sul crowdsourcing per trasformare i dati satellitari in
mappe digitali utili per prendere decisioni
sul posto. Quando il tifone Haiyan ha colpito la città di Tacloban nelle Filippine, per
esempio, i volontari dello Humanitarian
OpenStreetMap team (Hot) si sono dati da
fare per inserire nella mappa le strade e gli
ediici distrutti dal ciclone. Per mesi quello
stesso gruppo ha segnato sulle mappe le
infrastrutture rurali della Guinea e di altri
paesi colpiti dall’epidemia di ebola.
Ma la mobilitazione in Nepal è stata la
più eicace di tutte. I volontari hanno avuto
accesso in tempi rapidi a molte immagini di
buona qualità, e al progetto hanno collaborato molte più persone del solito. Prima del
terremoto Kathmandu era già ben cartografata, ma nell’ultima settimana i volontari hanno triplicato la quantità di informazioni cartograiche sul Nepal su OpenStreetMap. Le mappe prodotte dallo Hot permettono ai soccorritori di distribuire cibo,
tende e rifornimenti nelle zone dove ce n’è
più bisogno. È quasi certo che queste attivi-
L
ATHIT PErAWONGMETHA (rEUTErS/CONTrASTO)
Un gruppo di volontari ha
realizzato delle mappe accurate
del Nepal basandosi sulle
immagini satellitari, per aiutare
i soccorsi a prendere decisioni
sul posto
Sirdibas, Nepal, il 2 maggio 2015
tà contribuiscono in misura notevole ad
alleviare le soferenze, ed è molto probabile
che salvino vite umane. Ma per capire davvero come mai questa operazione sia andata meglio delle altre, è il caso di tornare a
quelle nubi cariche di pioggia.
Visti dal satellite
Ai volontari servono foto del Nepal scattate
dall’alto su cui ricalcare le mappe. L’operazione funziona così: una persona seduta
davanti al suo computer vede l’immagine
satellitare di una strada e ci trascina sopra
una versione digitale di quella strada. Poi si
aggiunge la strada a un database online
chiamato OpenStreetMap (Osm), dove può
essere calcolata come un dato o stampata
come una mappa. Ma per tracciare le mappe servono immagini del territorio, e per
procurarsele servono i satelliti.
Uno dei satelliti privati a più alta risoluzione si chiama WorldView-3. La società
statunitense a cui appartiene, la DigitalGlobe, fornisce immagini a molti governi.
A causa del maltempo, WorldView-3 non
ha potuto visualizzare chiaramente il Nepal
quando è passato sopra il paese il 26 aprile.
Ma successivamente, mentre era in orbita
sopra il Bangladesh e stava per passare
sull’oceano Indiano, il satellite si è inclinato all’indietro, ha visto Kathmandu attraverso le nuvole e ha scattato una foto.
Quella è stata la prima immagine del
Nepal distrutto dal terremoto, e la DigitalGlobe l’ha rilasciata con una licenza open
source. Quella sera stessa in Nordamerica i
volontari hanno cominciato a inserire le
informazioni su Osm. Da allora molti importanti fornitori di foto satellitari hanno
diffuso immagini della zona colpita. La
squadra umanitaria di OpenStreetMap incarna il potere dell’osservazione associata
all’attenzione. Anche se alcuni elementi
del suo lavoro sono tecnicamente complessi, nessuno è particolarmente diicile da
capire. C’è una lotta di satelliti, di obiettivi
puntati giù verso la Terra. C’è OpenStreetMap, che sarà pure una grande impresa dal
punto di vista della programmazione dei
database, ma è anche una semplice mappa.
C’è il software per ricalcare le mappe che
permette a chiunque di tradurre le immagini in punti. E poi c’è internet, che malgrado
tutte le sue pecche collega queste reti di
persone e strumenti e gli permette di aiutare altre persone che a volte si trovano nel
loro stesso quartiere, e a volte all’altro capo
del mondo. u fp
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101
Economia e lavoro
PEtRoS GIANNAkoURIS (AP/LAPRESSE)
Atene, Grecia, 29 aprile 2015
La Grecia viene spinta
verso il fallimento
Paul De Grauwe, Ivory Tower, Regno Unito
Atene ha bisogno di liquidità per
evitare l’insolvenza. I suoi
creditori gliela concederanno
solo se accetterà più austerità e
riforme. Ma le loro condizioni
sono irragionevoli
l dramma greco ha raggiunto la sua
fase inale. Nelle prossime settimane
Atene dovrà rimborsare le ultime rate
del prestito concesso nel 2012 dal
Fondo monetario internazionale (Fmi),
dalla Commissione europea e dalla Banca
centrale europea (Bce), ma non ha i soldi
per farlo. I creditori riiutano di ofrire altra
liquidità inché il governo greco non accetterà le loro condizioni. In questo periodo i
ministri delle inanze dell’eurozona ripetono che Atene è irragionevole perché non
accetta di realizzare ino in fondo le politiche d’austerità e le riforme strutturali. Ma
queste condizioni sono ragionevoli?
L’austerità ha avuto efetti devastanti
sull’economia greca, impoverendo milioni
di persone e producendo instabilità politica. Insistere su questa strada non sembra
ragionevole. La cosa incredibile è che i mi-
I
102
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
nistri delle inanze continuano a ergersi a
guardiani della morale e a fare la predica ai
greci dicendogli che dovrebbero essere più
ragionevoli. Essere ragionevoli signiicherebbe accettare le condizioni dei creditori
anche se inora non hanno prodotto risultati positivi. È ancora più incredibile che quasi tutti i mezzi d’informazione abbiano ormai accettato questa versione della storia.
genza dei creditori e delle pretese irragionevoli che impongono al paese.
C’è una grande contraddizione in questa intransigenza. Com’è noto, la Grecia è
stata avvantaggiata dalla rinegoziazione
del debito decisa nel 2012. I termini di scadenza dei suoi titoli sono stati estesi e i tassi
d’interesse abbassati. Secondo l’istituto di
ricerca Bruegel di Bruxelles, il debito pubblico efettivo della Grecia corrisponde solo
al 60 per cento del pil nazionale. Sembra
una situazione sostenibile, a condizione
che l’economia greca possa funzionare normalmente. In altri termini, si può dire che la
Grecia è solvibile ma non ha liquidità. I creditori, però, tengono chiusi i rubinetti. Di
conseguenza, ora i mercati inanziari stanno speculando sul fatto che lo stato greco
non riesca a restituire la prossima rata del
debito entro i termini previsti e sia costretto
a dichiarare insolvenza. I tassi d’interesse
sui titoli di stato greci si sono impennati a
livelli che rendono la restituzione del debito
insostenibile e impediscono ad Atene di riinanziarsi sul mercato: ormai la speculazione si è trasformata in un circolo vizioso
che sta costringendo lo stato greco all’insolvenza. Ma questo è il risultato della decisione dei creditori di non fornire liquidità alla
Grecia. La Bce ha una grande responsabilità. Fornendo liquidità al paese, potrebbe
sbloccare l’impasse in cui si trova il governo
greco. Riiutandosi di farlo, sarebbe invece
la prima responsabile dell’insolvenza e
dell’eventuale uscita della Grecia dall’eurozona. u fp
Paul De Grauwe è un economista belga.
Insegna alla London school of economics.
Liquidazione forzata
Alcune riforme strutturali su cui insistono i
creditori sono assolutamente necessarie.
Per esempio quella iscale, che farebbe pagare le tasse ai ricchi. Altre, invece, sono
palesemente irragionevoli. Il programma
di privatizzazione concordato con il precedente esecutivo non ha senso. Un paese
non dovrebbe essere costretto a disfarsi
delle sue attività più preziose in una liquidazione forzata. Il risultato sarebbe un guadagno limitato per lo stato greco e grandi
vantaggi per i compratori, tra cui ci sono alcune aziende dei paesi creditori.
Ci stanno raccontando che la responsabilità del fallimento è tutta del governo greco, perché continua a essere irragionevole e
inaidabile, ma in realtà è vero il contrario:
la colpa del dramma in corso è dell’intransi-
Da sapere
La posizione dell’Fmi
u Secondo il Fondo monetario internazionale
(Fmi) è necessario che i creditori cancellino
parte del debito della Grecia. I conti pubblici di
Atene stanno peggiorando: nel 2015 l’avanzo
primario dovrebbe essere pari all’1,5 per cento
del pil, non al 3 per cento come previsto dagli
obiettivi del piano di salvataggio. In questo
caso, sostiene l’Fmi, bisognerà imporre più
austerità o costringere i creditori a cancellare
parte del debito per renderlo sostenibile.
L’avvertimento ha fatto crescere i timori che
l’Fmi trattenga la sua quota dei 7,2 miliardi di
euro che restano del piano di salvataggio del
2012 e che servono alla Grecia per evitare
l’insolvenza. Financial Times
Sport
MESSICO
AkIO kON (BLOOMBerG/GeTTy)
Il leader supremo della Fifa
Bloomberg Businessweek, Stati Uniti
GIAPPONE
Macchine
troppo vecchie
Il Giappone non ha solo la popolazione più anziana del mondo,
ma anche le macchine industriali più datate. Come spiega
Bloomberg Businessweek,
“molte aziende giapponesi esitano a investire in nuovi macchinari. Secondo l’istituto di ricerca Dai-ichi Life research,
l’età media delle macchine usate nelle imprese è di 15 anni, la
più alta degli ultimi trent’anni.
Gli impianti produttivi giapponesi invecchiano più di quelli tedeschi e statunitensi”. Il problema è che “l’invecchiamento delle fabbriche e quello delle persone che ci lavorano potrebbe accelerare il declino delle aziende
manifatturiere giapponesi”.
“Può essere diicile descrivere un
personaggio come Joseph ‘Sepp’
Blatter, il presidente della Fifa, la
federazione calcistica mondiale. Il
quotidiano britannico The Guardian
l’ha deinito ‘il dittatore non omicida
che ha avuto più successo nel
novecento’. Ma c’è anche chi lo adora,
come Osiris Guzman, il capo della
federazione calcistica dominicana, che lo ha paragonato a
Gesù Cristo, Nelson Mandela e Winston Churchill”. Dopo
17 anni caratterizzati da scandali di corruzione, scrive
Bloomberg Businessweek, Blatter ha deciso di
candidarsi per un nuovo mandato. Alle elezioni del 29
maggio sarà sidato dal principe Ali bin al Hussein, fratello
del re di Giordania, dal capo del calcio olandese Michael
van Praag e dall’ex campione portoghese Luís Figo. In
palio c’è un gigante che negli ultimi quattro anni, tra diritti
televisivi e sponsorizzazioni, ha incassato 5,72 miliardi di
dollari. Di questi, 358 milioni sono andati alle squadre,
mentre 2,2 miliardi sono stati spesi per i Mondiali del 2014
in Brasile. “Non è molto chiaro dove sono initi gli altri
soldi. Il personale della Fifa costa 397 milioni all’anno, ma
nessuno sa qual è lo stipendio di Blatter”. ◆
TECNOLOGIA
COMMERCIO
Nuove regole
per il Ttip
La commissaria europea per il
commercio Cecilia Malmström
ha proposto nuove regole per la
protezione degli investitori nel
Transatlantic trade and investment partnership (Ttip),
l’accordo di libero scambio tra
l’Unione europea e gli Stati Uniti. La clausola attualmente in discussione, scrive Die Welt, è
oggetto di dure critiche perché
prevede il ricorso a un tribunale
arbitrale privato statunitense.
Malmström, invece, propone la
creazione di una corte permanente che garantisca tutte le
parti in causa.
Consulenti
digitali
Finora nella inanza si erano visti solo potenti computer che investono automaticamente i soldi di grandi fondi. Oggi, spiega
la Frankfurter Allgemeine
Zeitung, si stanno difondendo
programmi che elaborano consigli per i risparmiatori. La banca statunitense Charles Schwab,
per esempio, ha lanciato un
software di robo-advice, che offre consulenza per la gestione
patrimoniale e per gli investimenti. Negli anni scorsi questi
software erano stati sviluppati
da piccole startup. “La Charles
Schwab è il primo peso massimo
di Wall street a puntare su questo genere di innovazione. Il suo
esempio è stato seguito dal fondo d’investimento Vanguard”. I
software di robo-advice “scelgono investimenti in base agli
obiettivi e ai limiti di rischiosità
indicati dai clienti. Per quelli più
avventurosi propongono investimenti internazionali, con i più
prudenti, invece, di solito si concentrano sui fondi d’investimento locali. I criteri di scelta,
comunque, sono modiicati
quando cambiano le condizioni
di mercato”. Tra i vantaggi c’è il
fatto che i software chiedono
commissioni più basse rispetto
ai consulenti in carne e ossa. Invece del classico 1 per cento, i
robo-advice incassano tra lo 0,25
e lo 0,75 per cento. Per ora questi software gestiscono una piccola parte del mercato statunitense, ma già nel 2015 arriveranno a 60 miliardi di dollari.
Investimento
secolare
“All’inizio di aprile”, scrive
l’Economist, “un gruppo di investitori internazionali ha fatto
due scommesse davvero audaci,
sottoscrivendo la prima obbligazione mai emessa in euro con la
scadenza di cento anni. La prima scommessa è che tra un secolo esista ancora la moneta
unica europea; la seconda è che
in questo lungo periodo il creditore, il Messico, un paese che
nei decenni scorsi ha sperimentato profonde crisi economiche,
continui a restare solvibile”. Attraverso diverse obbligazioni a
cento anni emesse in euro, dollari e sterline, spiega il settimanale, il governo messicano riceverà l’equivalente di circa cinque miliardi di dollari. Per i titoli
in euro il tasso d’interesse sarà
del 4,2 per cento.
IN BREVE
Eurozona Secondo la Commissione europea, quest’anno l’economia dell’eurozona andrà meglio del previsto. Il pil crescerà
dell’1,5 per cento, invece dell’1,3
per cento previsto a febbraio.
Merito del basso prezzo del petrolio, dell’euro debole e delle
misure di stimolo, ha sottolineato il commissario all’economia e
agli afari inanziari Pierre Moscovici. Nel 2016 l’eurozona crescerà dell’1,9 per cento. La ripresa sarà favorita dalla Germania, ma anche dalla Spagna, il
cui pil quest’anno aumenterà
del 2,8 per cento e nel 2016 del
2,6 per cento.
Variazione del pil, %
5
4
2014
2015
2016
3
2
1
0
Germania
Spagna
Grecia
Irlanda
Fonte: The Wall Street Journal
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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L’oroscopo
Rob Brezsny
Una delle cose migliori che puoi fare per la tua salute
isica e mentale è distogliere l’attenzione dalla tua vita
precedente e guardare con entusiasmo a quella che hai
davanti. Dimentica il passato e usa tutta la tua fantasia per immaginare l’afascinante futuro che ti creerai. Perdona tutti quelli
che ti hanno ofeso e comincia a fantasticare sulle divertenti avventure che ti aspettano, gli stimolanti progetti che realizzerai e
tutte le cose che potrai imparare.
ARIETE
Laborare est orare è un motto latino che viene dai monaci benedettini. Maurus Wolter,
un abate dell’ottocento, lo interpretò come “lavorare è pregare”,
per far capire ai suoi monaci che le
attività che svolgevano non erano
una distrazione dal servizio di Dio
ma la prova stessa della loro devozione. Portare a termine i loro
compiti con amore era un modo
per esprimere gratitudine per il
dono della vita. Nelle prossime
settimane ti consiglio di sperimentare questo approccio, anche in
una versione più laica. Come pensi
che sarebbe provare gioia e gratitudine per i compiti che ti sono stati assegnati?
ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI
GEMELLI
Nel libro per bambini The
little engine that could, una
piccola locomotiva azzurra si ofre
volontaria per trainare una lunga
ila di carrozze su per una ripida
collina, anche se non è sicura di
potercela fare. Mentre si sforza di
trascinare quell’enorme peso, per
darsi coraggio continua a ripetere:
“Penso di farcela, penso di farcela,
penso di farcela”. La storia inisce
bene: la locomotiva raggiunge la
cima della collina con tutte le carrozze e poi scivola tranquillamente
di nuovo a valle. Quando dovrai affrontare la tua prossima sida, Gemelli, ti consiglio di usare una formula ancora più magica: “So che
posso farcela, so che posso farcela,
so che posso farcela”.
CANCRO
Ti confesso una cosa: ho
giurato di promuovere la
bellezza, la verità, l’amore, la giustizia, l’uguaglianza, la tolleranza,
la creatività, l’allegria e la speranza. È uno degli scopi della mia vita.
Lo inseguo con la dedizione di un
monaco e il rigore di un guerriero.
Signiica che ignoro le diicoltà, la
soferenza e la crudeltà? Ovviamente no. Ma sto puntando tutto
sulla redenzione. Preferisco non
descrivere nel dettaglio i mali del
mondo e trovare piuttosto un antidoto a quei veleni. Anche se di solito non condividi il mio approccio
alla vita, nelle prossime due settimane ti invito a provarci.
LEONE
La collina dove vado a passeggiare il pomeriggio è
piena di quei iori di campo viola
che i botanici chiamano brodiaea
elegans. Sono centinaia, tutti piegati verso il sole che tramonta. Dovrei accusarli di conformismo perché seguono la legge del branco? O
sarebbe più sensato pensare che è
il loro istinto a spingerli a gravitare
verso quella fonte di vita? Preferisco la seconda teoria. In questo
spirito, Leone, ti invito a ignorare
le opinioni degli altri e a rivolgerti
verso le fonti che ti forniscono il
tuo nutrimento essenziale.
vittime di una grande illusione:
quella che pensiamo essere la vita
reale è solo una soisticata simulazione al computer. Delle macchine intelligenti hanno creato questo mondo di sogno per tenerci in
uno stato comatoso mentre si alimentano della nostra energia. Secondo me le cose non stanno proprio così. Ma è comunque una
buona metafora della condizione
in cui vivono molti di noi, persi
nella dipendenza dal mondo simulato creato dalla tecnologia. Te
lo sto dicendo, Bilancia, perché
questo è un buon momento per allentare la presa che questa Matrix
metaforica ha su di te. Cosa puoi
fare per sfuggire almeno in parte a
questa schiavitù? Forse basterebbe un maggior contatto con la natura.
SCORPIONE
Nelle prossime settimane
forse sarai ancora afascinante, seducente e intrigante come da molto tempo a questa parte.
Ti consiglio di sfruttare questo
vantaggio. Comportati come se
avessi veramente il potere di attirare la ricchezza emotiva che desideri. Parti dal presupposto che sei
destinato a scoprire nuovi segreti
sull’arte dell’intimità e che questi
segreti ti renderanno più intelligente e profondo di quanto non
sei già. Coltiva la tua capacità di
essere questo tipo di alleato e di
amante fantasioso che stabilisce
rapporti meravigliosi.
SAGITTARIO
VERGINE
Sto leggendo bene i presagi
astrali? Spero di sì. Da quello che vedo, ultimamente hai volato sotto il radar e sopra l’arcobaleno. Hai sfruttato le scappatoie del
sistema e ti sei goduta la tua libertà
facendo qualche esperimento coraggioso. Ora forse temi che il tuo
momento fortunato non possa durare ancora a lungo. Ma non è così.
Prevedo che la tua intelligenza così
attenta ai dettagli paradossalmente ti porterà a espandere ulteriormente le tue possibilità.
BILANCIA
Nei ilm della trilogia Matrix noi esseri umani siamo
Nel 2004 il isico Frank
Wilczek ha vinto il premio
Nobel per la sua ricerca sui quark,
le minuscole particelle che compongono i protoni e i neutroni.
Wilczek è un uomo estremamente
intelligente. Uno dei suoi princìpi
fondamentali è: “Se non commetti errori, signiica che non stai affrontando un problema abbastanza diicile. E questo è un grande
errore”. Medita su questa afermazione, Sagittario. Penso che tu sia
abbastanza forte e coraggioso da
andare a caccia di nuovi complicatissimi dilemmi. Può darsi che ti
portino a commettere qualche
passo falso, ma allargheranno i
conini della tua intelligenza.
CAPRICORNO
Nel 1934 Dizzy Dean, un
giocatore di baseball statunitense del capricorno, diventò il
primo lanciatore a vincere trenta
partite in una stagione, e poco dopo fu nominato miglior giocatore
del mondo. Nessun lanciatore ha
mai ripetuto questa impresa. Dean
non si è mai vergognato di riconoscere la sua bravura e ha sempre
detto: “Se puoi farlo sul serio, non
sei un presuntuoso”. È con questo
spirito che la prossima settimana
dovresti sbandierare i tuoi talenti.
Non sembrerai presuntuoso. Starai
semplicemente dando un’informazione. E di conseguenza ti verrà
oferta qualche nuova e interessante opportunità.
ACQUARIO
Non c’è mai stato un momento migliore di questo
per ainare l’arte di essere la madre o il padre di te stesso. Sei inalmente pronto a sostituire le voci
autoritarie che hai nella testa e ad
assumerti la responsabilità della
tua educazione. Cosa vorresti essere da grande? Probabilmente
questo senso di libertà ti darà il capogiro, ma ormai è chiaro che
l’unica persona che ha il diritto di
rispondere alla domanda sei tu.
PESCI
L’universo ti ha sempre fatto qualche scherzetto. Alcuni sono stati così sconcertanti che
non li hai neanche capiti del tutto.
Altri sono stati divertenti ma non
particolarmente istruttivi. Ora ho
la sensazione che stia cominciando una nuova fase. Ho idea che gli
scherzi dell’universo stiano diventando più comprensibili. Forse
contengono già un tocco di gentilezza. Cosa signiica questo piacevole cambiamento? Può darsi che
tu abbia inalmente inito di pagare
un vecchio debito karmico. Ed è
comprensibile che il tuo senso
dell’umorismo sia maturato così
tanto che riesci a ridere di alcune
delle svolte più folli nella trama
della tua vita. Un’altra possibilità è
che tu stia cominciando a raccogliere i frutti della saggezza che sei
stato costretto ad accumulare negli anni per afrontare gli scherzi
dell’universo.
Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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TORO
COMPITI PER TUTTI
Nessuno può farti provare un’emozione se non
accetti di provarla. Sei tu il padrone di quello che
succede dentro di te. Prova a spiegare perché.
chaPPaTTe, The InTernaTIonaLe new york TImeS, STaTI unITI
L’ultima
Il regno unito al voto.
aLbaIh, SuDan
makkox
caj
Lacombe, urTIkan, francIa
Il gioco della sedia a baghdad.
francia, i deputati votano una legge sui servizi segreti.
“all’improvviso ho un dubbio. credi che mi potranno beccare
quando gioco a candy crush durante le sedute?”.
“c’è scritto: ‘ci sono persone che aspettano
il vostro tavolo’”.
Le regole Essere igienisti
1 Se vuoi goderti il ilm, spalma sulla poltrona del cinema generose pennellate di gel antibatterico. 2 Tieniti
a debita distanza dai bambini: sono i più adorabili e micidiali veicoli di virus sulla faccia della Terra. 3 Dopo
aver letto i dati sulla pornograia online non toccherai più la tastiera di un computer altrui senza guanti di
lattice. 4 L’unico gabinetto su cui ti puoi appoggiare è quello di casa tua. 5 Per giudicare l’igiene di qualcuno
non idarti della cucina: controlla la sua borsa della palestra. [email protected]
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Internazionale 1101 | 8 maggio 2015
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