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i genitori rispondono del sinistro stradale

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i genitori rispondono del sinistro stradale
Minore circola in moto senza casco: i genitori rispondono del sinistro stradale
Venerdì 24 Luglio 2009 19:27 -
Minore circola in moto senza casco: i genitori rispondono del sinistro stradale
Corte di Cassazione – Sez. III civile – Sentenza 12 marzo 2008-22 aprile 2009, n. 9556
(Presidente Di Nanni; Relatore Uccella; PM – parzialmente difforme – Russo)
La massima
I genitori sono solidalmente responsabili nei confronti dei parenti della vittima di un
sinistro causato dal loro figlio minorenne, quasi prossimo alla maggiore età, mentre era
alla guida di un ciclomotore. Per essere esonerati da responsabilità, i genitori devono
dimostrare di essere esenti da culpa in vigilando e in educando (ex art. 147 c.c.),
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fornendo una prova rigorosa del loro impegno educativo. In assenza di tale prova,
rimane ferma la presunzione di responsabilità dei genitori per il fatto illecito del minore
sancita dall’art. 2048 del codice civile.
Il giudice di merito può correttamente desumere il grado di educazione del figlio dalle
stesse modalità dell’illecito (nel caso di specie il deficit educativo era desumibile dal
fatto che, al momento del sinistro, il minore non indossava il casco).
* * *
I genitori di un minore quasi diciottenne, responsabile di aver determinato un incidente stradale
con esito mortale, impugnano per Cassazione la sentenza di Corte d’Appello, che conferma
quella del giudice di prime cure, con la quale sono stati condannati al risarcimento dei danni
patrimoniali e non patrimoniali per la morte della vittima del sinistro causato dal loro figlio alla
guida di un ciclomotore.
Con il ricorso innanzi al Giudice di legittimità, i genitori denunciano la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2054 c.c., poiché, nei gradi precedenti, non si è tenuto conto della
dichiarazione del teste, terzo trasportato dal figlio e quindi presente al momento del fatto, il
quale aveva dichiarato che il minore procedeva regolarmente sulla destra, né costui era stato
sottoposto a procedimento per falsa testimonianza.
Si dolgono, inoltre, i ricorrenti del fatto che la Corte d’appello abbia dichiarato inammissibili
alcuni capitoli di prova tendenti a dimostrare l’adempimento, da parte loro, degli obblighi ex art.
147 c.c. e quindi la mancata violazione dell’art. 2048 c.c., e che non abbia tenuto altresì in
conto il fatto che il minore, al momento dell’incidente, era prossimo a diventare maggiorenne e
aveva quindi quasi tutti, se non tutti, gli elementi per rispondere da solo.
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Rigetta in toto tali censure la Cassazione, così argomentando: con riferimento al valore
probatorio della testimonianza del terzo, la Corte nota che il rilievo dei ricorrenti propone una
ricostruzione del fatto che, com’è noto, è di competenza del solo giudice del merito e non può
dunque essere soggetta al sindacato di legittimità; ritiene, inoltre, che il giudice d’appello
correttamente abbia dichiarato inammissibili i capitoli di prova, che non erano diretti a
dimostrare qualcosa, ma ad esprimere un giudizio ed erano quindi inidonei a formare la prova
liberatoria ex art. 2048 c.c.
Il fatto, poi, che al momento del sinistro, il minore non indossasse il casco, rende evidente, a
giudizio della Corte, tanto il difetto di vigilanza quanto quello formativo in capo ai genitori, che
avrebbero dovuto dimostrare di avergli impartito un’educazione normalmente sufficiente ad
impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua
personalità (Cass. 7459/97).
Inoltre, essendo esaustiva ed appagante la motivazione del giudice di merito in ordine al
respingimento di detti capitoli di prova, il giudice di legittimità non può estendere il proprio
sindacato a profili sostanziali, che non gli competono (arg. ex Cass. n. 4945/97).
Né assurge rilievo, per la Corte, il fatto che il figlio fosse quasi diciottenne al momento del
sinistro, in quanto l’art. 2048, I co., c.c. si riferisce al figlio comunque minorenne, verso il quale i
doveri di cui all’art. 147 c.c. sono di natura inderogabile e finalizzati a correggere comportamenti
non corretti e quindi meritevoli di costante opera educativa, onde realizzare una personalità
equilibrata,consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della
propria e della altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito.
L’art. 2048 c.c. stabilisce che il padre e la madre sono responsabili del danno cagionato dal
fatto illecito dei figli minori che abitano con essi. I genitori sono liberati dalla responsabilità solo
se provano di non averlo potuto.
Occorre, in primis, accertare l’illecito commesso dal minore, la cui prova deve essere fornita dal
danneggiato.
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Provato l’illecito, sorge automaticamente la corresponsabilità dei genitori, ex art. 2055 c.c., per i
danni patrimoniali e non patrimoniali.
Ma che tipo di responsabilità è quella prevista dall’art. 2048 c.c.?
La dottrina prevalente individua nel caso di specie una forma di responsabilità oggettiva o
aggravata indiretta per fatto altrui.
L’orientamento prevalente in giurisprudenza aderisce invece alla tesi della responsabilità dei
genitori per duplice presunzione di colpa (in educando e in vigilando), quindi di una
responsabilità diretta per fatto proprio, consistente in un’omissione colposa delle figure
genitoriali, consistente nel mancato rispetto de doveri di cui all’art. 147 c.c.: in particolare quello
di educare la prole.
La valutazione sul rispetto degli obblighi educativi è rimesso al giudice del merito; è dunque
insindacabile in Cassazione, se assistita da motivazione corretta ed adeguata (Cass., n.
4945/97).
La teoria della colpa presunta comporta un’inversione dell’onere della prova (sono i genitori a
dover provare – probativo diabolica – di non aver potuto impedire il fatto) e richiede, nel caso di
specie, per essere integrata, la necessaria presenza almeno della culpa in educando, potendo
quella in vigilando coesistere con la prima o non esserci affatto.
Secondo un filone giurisprudenziale la culpa in vigilando è correlata a quella in educando:
poiché tanto minore è il livello di educazione tanto più rigorosa deve essere l’attività di
sorveglianza (Cass.,n. 6302/96).
La dottrina che critica il criterio della culpa in eligendo e in vigilando ha notato che, in realtà, si
instaurerebbe un circolo vizioso tra vigilanza ed educazione: se la vigilanza c’è, non basta,
occorre provare di aver impartito anche un buona educazione al minore. Il tutto si risolverebbe,
molto schematicamente, nella seguente alternativa: se i genitori sono presenti al momento
dell’illecito, rispondono per culpa in vigilando; se sono assenti, rispondono, comunque, per
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culpa in educando.
Per risultare esenti da responsabilità, quindi, i genitori devono adempiere gli obblighi di
educazione e vigilanza , che non vanno intesi in senso assoluto. In pratica, i genitori devono
educare il figlio e impartire le direttive per un suo corretto relazionarsi con il prossimo e
l’ambiente sociale, senza divenirne i gendarmi (cfr. Cass. nn. 3088/97; 7242/96; 7459/97).
Questa tesi è stata criticata soprattutto da quella dottrina, che ritiene che questa impostazione
nasconda, di fatto, un’ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché i genitori non solo dovrebbero
dimostrare di non aver potuto impedire il fatto, ma anche la prova di aver adottato, in via
preventiva, le misure idonee ad evitarlo (Cass. n. 15243/2002). Quest’ultima espressione
richiama l’art. 2050 c.c., in tema di responsabilità pericolosa, che, secondo la dottrina
maggioritaria, è una forma di responsabilità oggettiva o aggravata.
La giurisprudenza ha desunto il mancato rispetto dell’obbligo educativo dalle stesse modalità
dell’illecito, che possono rivelare lo stato di maturità, il temperamento, e, in genere, l’educazione
del minore (Cass. 2995/84 e n. 20322/05).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha desunto tali caratteri del fatto che il minore non
indossasse il casco al momento del sinistro. La Cassazione ha ribadito espressamente la
necessità di una prova decisiva e rigorosa dell’impegno educativo genitoriale, che un filone
ancora più rigooso della giurisprudenza sposta più incisamente sull’illecito, richiedendo cioè la
prova liberatoria, non solo di aver offerto un’educazione in generale, ma un’educazione
specificamente finalizzata a prevenire che il minore possa commettere proprio quel tipo di
illecito. Ecco che la probatio diventa, effettivamente,diabolica.
Minoritaria è la giurisprudenza che, specie nelle attività ricreative e sportive, ritiene sufficiente
per escludere la responsabilità dei genitori, la prova del buon curriculum scolastico del figlio, il
fatto che sia tranquillo e maturo per la sua età, nonché disciplinato e prudente nell’ambiente di
svago che frequenta (Cass. n. 5751/88 e 831/2006).
Secondo la dottrina prevalente sarebbe meglio riconoscere la natura oggettiva o aggravata
della responsabilità dei genitori, con la conseguenza che la prova liberatoria coinciderebbe col
fortuito, analogamente a quanto previsto dagli artt. 2051 c.c. (danni da cose in custodia) e 2052
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c.c. (danni cagionati da animali).
La giurisprudenza, tuttavia, non può travalicare il dato letterale del 2048 cc, che non fa
riferimento al fortuito, anzi, ammette espressamente la prova di non aver potuto impedire il
fatto. Ammettere una responsabilità oggettiva significa, in sostanza, negare la prova liberatoria
(Cass., 6741/98).
E’ stato notato, a questo proposito, da Paolo Pirruccio che: “Le possibilità di un ripensamento
della giurisprudenza, attraverso l’abbandono del criterio della colpa in educando, appaiono del
tutto remote, specie alla luce dell’attuale contesto sociale, che vede i minori molto
frequentemente protagonisti di deprecabili episodi di bullismo perpetrati nelle scuole, che a
volte sfociano in veri e propri atti criminali. Questo fenomeno, anzi, spingerà sempre più i giudici
a rafforzare gli obblighi educativi dei genitori, i quali, se non sussistesse la colpa in educando,
non potrebbero essere chiamati a rispondere dei fatti illeciti commessi dai loro figli quando sono
a scuola e, in genere, quando sono affidati alla vigilanza di terzi” [1] . Il che, nota l’Autore,
malcela un’ipotesi di responsabilità oggettiva, quale meccanismo sostitutivo di un’assicurazione
obbligatoria posto a garanzia del patrimonio del danneggiato.
I minori e la circolazione stradale
In rari casi di sinistri stradali causati da minori, la giurisprudenza ha attenuato la propria
tradizionale severità nei confronti dei genitori, dichiarandoli esenti da responsabilità (Cass., n.
4481/01).
La giurisprudenza prevalente, invece, non ritiene sufficiente la circostanza che un minore lavori
presso terzi (il che, se sposta su questi la culpa in vigilando, non esime, come abbiamo già
visto, i genitori dalla prova di essere esenti da culpa in educando).
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Non assume rilievo neppure che il minore abbia conseguito l’abilitazione alla guida richiesta dal
codice della strada (cfr. Cass. 6144/84).
Inoltre, l’assenza, fino al 1° ottobre 1993, di obbligo di assicurazione per i danni da
responsabilità civile, con riferimento ai ciclomotori, ha certamente inciso sull’orientamento della
giurisprudenza, che ha inteso accordare comunque una tutela patrimoniale al danneggiato.
Oggi che l’assicurazione è stata resa obbligatoria anche per questi (art. 237 d.lgs. 285/92), i
genitori sono meno esposti al rischio di dover rispondere per i sinistri stradali causati dai figli,
ma non lo elimina se i danni sono provocati da un minore, che utilizza la bicicletta.
Paola Marino
[1] Paolo Pirruccio, Non riduce l’impegno educativo della famiglia il fatto che il minore sia quasi
maggiorenne
, in Guida al Diritto, 6 giugno 2009, anno XVI, numero 23, p.
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