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Covers Across the Universe L`enorme rilievo dei Beatles nella storia

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Covers Across the Universe L`enorme rilievo dei Beatles nella storia
Covers Across the Universe
L'enorme rilievo dei Beatles nella storia della musica contemporanea ha oscurato il
ruolo di Lennon-McCartney quali autori di canzoni incise da altri artisti, la cui folta
produzione - nelle prove migliori - merita attenzione e permette un approccio
innovativo ai brani immortalati dai Fab Four. L’esteso catalogo di cover conferma la
validità intrinseca del canzoniere di Paul & John, e la sua straordinaria capacità di
adattamento ai più diversi generi, dal Rhythm & Blues al Jazz. Se fosse possibile
cancellare dalla memoria i Beatles e valutare Lennon-McCartney solo come autori di
brani incisi da altri artisti, si vedrebbe confermato il giudizio del produttore George
Martin, secondo cui Paul e John sono i Cole Porter e i George Gershwin della loro
generazione. Addentriamoci dunque nel camaleontico ambiente delle cover: versioni
pubblicate per competere con l'originale oppure ricalcate sul modello primigenio per
capitalizzarne le potenzialità. In premessa bisogna ricordare che sino a metà 1965 gli
stessi Beatles hanno ricorso alle cover, come d'altronde la generalità dei nuovi gruppi
britannici, mentre da fine 1965, con Rubber Soul, il gruppo inciderà solamente
proprie composizioni.
- Le canzoni più gettonate
Il ruolo di precursore va riconosciuto a Billy J. Kramer, che nella primavera 1963
porta al 2° posto della classifica britannica Do You Want To Know A Secret, in una
versione romanticheggiante scandita da intriganti coretti. Ben più emblematica, pochi
mesi più tardi, la registrazione di I Wanna Be Your Man da parte dei Rolling Stones,
al loro secondo singolo, in un 45 giri salito sino al n. 12 della classifica.
Nel 1963-66 una generazione di musicisti beat si forma sulle cover dei Beatles,
provate e riprovate in garage e cantine. Da quei laboratori artigianali, fucine di futuri
capi-scuola, esce la cover di I Saw Her Standing There pubblicata nel 1963 dal
cantante blues Duffy Power, senza riscontri di pubblico nonostante la validità
dell'interpretazione del tastierista Graham Bond e di due promesse: il bassista Jack
Bruce (poi nei Cream) e il chitarrista John McLaughlin (futuro partner di Miles Davis
e fondatore della Mahavishnu Orchestra). Analogo discorso per gli sconosciuti
Paramounts, che nel 1964 registrano It Won't Be Long; presto cambieranno nome in
Procol Harum.
Il fenomeno delle cover dei Beatles assume dimensioni esorbitanti quando ancora il
gruppo è attivo, tanto è vero che nell'aprile 1968 le versioni dei 10 brani
maggiormente reinterpretati superavano il mezzo migliaio:
Yesterday
Michelle
A Hard Day's night
Can't Buy Me Love
I Want To Hold Your Hand
All My Loving
And I Love Her
She Loves You
Help!
Please Please Me
119
80
57
52
46
43
42
39
32
28
Yesterday – eseguita anche da Elvis Presley – vanta il record mondiale di
interpretazioni, superiori alle cover tremila ma nella quasi totalità insoddisfacenti e
banali; tra le eccezioni svetta il 45 giri lanciato nel novembre 1967 da Ray Charles (n.
25 negli USA e n. 44 nel Regno Unito), con vocalità roca e sofferta. L'approccio di
Marvin Gaye è molto lento, con un sommesso arrangiamento soul che lascia il campo
alla voce solista e valorizza le potenzialità romantiche del pezzo. Stralunata, in stile
voodoo-funk, con cadenze recitate, sullo sfondo di insistenti cori femminili e con
assolo centrale di sax, l'interpretazione del pianista-cantante Dr. John, ritagliata dal
vivo in un night-club di Los Angeles per il 33 giri Hollywood Be Thy Name (1975).
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Altra grande composizione ripresa in una varietà di esecuzioni è With A Little Help
From My Friends, giunta al n. 1 della classifica inglese nel 1968 nella strepitosa
interpretazione di Joe Cocker (che la riproporrà nel live Mad Dogs & Englishmen) e di nuovo, vent'anni più tardi - nel riarrangiamento neo-romantico dagli scozzesi Wet
Wet Wet, piuttosto appiattito sull'originale e col lifting degli arrangiamenti. Bisogna
peraltro ricordare che di questo brano (come di tutti gli altri inclusi nel Sgt. Pepper), i
Fab Four non pubblicano singoli e ciò agevola gli altri interpreti.
Dell'ultima produzione, è Let it Be ad avere incontrato il gusto del maggior numero di
artisti, propensi ad interpretazioni accentuatamente melodiche. Tra le versioni più
interessanti si segnala quella di Joan Baez, nel 45 giri pubblicato alla fine dell'estate
1971; merita un riascolto anche l'impostazione blues di Clarence Carter, chitarrista
cieco dell'Alabama, compresa nel LP del 1970 Patches.
L'impatto commerciale del fenomeno si può ricostruire dallo spoglio della classifica
britannica, ovvero della situazione di mercato apparentemente più difficile, dato che i
Beatles giocano in casa e collocano ben 17 singoli al primo posto. Ecco dunque la
graduatoria delle vendite di 45 giri dal 1963 a inizio anni '90, per le prime cento
posizioni:
Brano
With A Little Help From My Friends
Yesterday
We Can Work It Out
Michelle
Ob-La-Di, Ob-La-Da
Help!
esecutore
Joe Cocker
posizione
1
data
2 ottobre 1968
Wet Wet Wet
1
14 marzo 1988
Young Idea
10
29 giugno 1967
Joe Brown
32
29 giugno 1967
Matt Monro
8
21 ottobre 1967
Marianne Faithfull
36
4 novembre 1965
Ray Charles
44
20 dicembre 1967
Stevie Wonder
27
15 maggio 1971
Four Seasons
34
27 novembre 1976
Brass Construction
70
16 luglio 1983
Overlanders
1
13 gennaio 1966
David & Jonathan
11
13 gennaio 1966
Marmalade
1
4 dicembre 1968
Bedrocks
20
18 dicembre 1968
Tina Turner
40
25 febbraio 1984
Bananarama
89
25 febbraio 1989
Let It Be
Ferry Aid
1
4 aprile 1987
Do You Want To Know A Secret
Billy Kramer & The Dakotas
2
2 maggio 1963
3
I Wanna Be Your Man
Rolling Stones
2
14 novembre 1963
Strawberry Fields Forever
Candy Flip
3
17 marzo 1990
Lucy In The Sky With Diamonds
Elton John
10
23 novembre 1974
Get Back
Rod Stewart
11
20 novembre 1976
A Hard Day's Night
Peter Sellers
14
23 dicembre 1965
Hey Jude
Wilson Pickett
16
8 gennaio 1969
Please Please Me
David Cassidy
16
27 luglio 1974
If I needed Someone
Hollies
20
9 dicembre 1965
All My Loving
Downlands
33
9 gennaio 1964
Can't Buy Me Love
Ella Fitzgerald
34
30 aprile 1964
Eleanor Rigby
Ray Charles
36
21 luglio 1968
Day Tripper
Otis Redding
43
23 marzo 1967
La tabella evidenzia il «richiamo» esercitato dalle cover, in grado di riportare al
successo una canzone anche dopo vent'anni, con un differente arrangiamento, per un
nuovo pubblico.
- Una manciata di interpretazioni
Il capitolo delle esecuzioni concertiste annovera, tra i primi artisti in ordine di tempo,
Johnny Rivers, intrattenitore di ottimo livello cimentatosi con A Hard Day's Night
quando ancora il 45 giri dei Beatles domina le classifiche; Rivers ha inserito la
canzone nella scaletta del LP Whisky A Go-Go Revisited, uno tra i suoi album più
indovinati; il pubblico partecipa con battimani e incoraggiamenti vari alla riuscita
dell'esecuzione, che documenta l'espansione della Beatlemania tra i giovani
statunitensi bianchi della classe media, a metà anni ‘60.
Anche i maggiori gruppi strumentali si affrettarono a inserire nel loro repertorio
canzoni dei Beatles, affidando alle chitarre la supplenza della voce solista.
Velocissima e scatenata, con due chitarre soliste, I Feel Fine nell'esecuzione degli
americani Ventures (LP The Ventures Knock Me Out! di fine 1964), mentre i loro
rivali britannici, gli Shadows di Hank Marvin, registreranno tardivamente Paperback
Writer, Get Back e Something (nell'album Shades of Rock, dell'ottobre 1970). Anche
Steve Cropper, chitarrista del gruppo Booker T. & The M.G.'s, ha firmato una valida
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versione strumentale di With A Little Help From My Friends, nel LP omonimo
d'inizio anni '70.
George Martin, il produttore di tutti i dischi dei Beatles, ha impresso un contributo
autorevole alle cover strumentali, in veste di direttore d'orchestra e di arrangiatore,
con la pubblicazione di ben nove LP, da Off The Beatles Track del 1964 a Beatles To
Bond and Bach del 1974, passando attraverso Plays Help!, Instrumentally Salutes
The Beatles Girls e And I Love Her, e di una decina di 45 giri.
In ambito dichiaratamente rock svetta Jimi Hendrix, con Day Tripper e Sgt. Pepper.
Il primo brano - incluso nelle Peel Sessions edite nel 1988 - è scatenato e totalmente
giocato su chitarra e voce; l'inizio suona poco originale, poi interviene un notevole
l'assolo centrale, libero e ardito come solo Jimi sapeva ricamare, un assolo che apre la
seconda parte del brano ad atmosfere più creative. Sgt. Pepper compare nel 33 giri
Hendrix In The West, uscito postumo a fine 1971 con registrazioni concertistiche.
I newyorkesi Vanilla Fudge hanno utilizzato come fulcro dell'omonimo 33 giri
d'esordio (agosto 1967) Eleanor Rigby e Ticket To Ride; notevole l'interpretazione del
primo dei due brani, dilatato sino agli otto minuti e virato in arrangiamenti
psichedelici; l'introduzione è affidata alle tastiere elettriche, mentre il tema centrale
viene avvicinato con gradualità e in modo suggestivo. Un'operazione in qualche
modo analoga è stata tentata un quinquennio più tardi da Randy California, il
compianto chitarrista degli Spirit, che ha inserito Day Tripper e Rain nel suo primo
LP solista - lo stralunato Kaptain Kopter & The (Fabolous) Twirly Birds - con
l'ottimizzazione delle potenzialità ritmiche.
L'enigmatica e inquietante I Am The Walrus, perla di Magical Mistery Tour, ha
stimolato approcci inusuali, tra i quali merita una particolare menzione
l'ambientazione dark del gruppo londinese Spooky Tooth, dominata dalle tastiere e
dalle percussioni, con la voce cupa di Mike Harrison (nel 33 giri The Last Puff,
dell'estate 1970). Una buona versione dal vivo - al concerto tenuto con i Traffic al
Palasport di Roma il 2 aprile 1974 - figura nel doppio CD bootleg Out Of The
Gridlock (attribuito erroneamente ai soli Traffic).
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I londinesi Yes, alfieri del genere Progressive, hanno ricavato il 45 giri Every Little
Thing dal loro 33 giri d'esordio dell'estate 1969, senza però incontrare l'attenzione che
avrebbero meritato; a fare la parte del leone sono la chitarra solista di Peter Banks e
la voce cristallina di Jon Anderson. Si è trattato comunque di un episodio
occasionale, in quanto i protagonisti della Progressive Music (oltre agli Yes, Genesis,
King Crimson, Gentle Giant...) hanno mostrato un'estrema refrattarietà alle cover e,
più che guardare all'indietro, si sono mossi verso nuovi orizzonti con composizioni di
nuovo conio. (La cantante texana Lou Ann Barton, interprete di blues-rock elettrico,
nel 1986 ha registrato Every Little Thing nel 33 giri Forbidden Tones con
un'impostazione new wawe: la sua potente vocalità si dipana su un tessuto sonoro cui
provvedono i migliori session-men di Los Angeles, dal chitarrista Dean Parks al
tastierista Larry Knechtel).
Un altro gruppo fondamentale del Rock britannico, i Moody Blues, ha infilato in un
album (Procol's Ninth del 1975) Eight Days A Week, valida rivisitazione di un
classico dei Beatles, affidato alla profonda voce di Gary Brooker e al suo tocco
tastieristico.
La palma della peggiore cover è aggiudicata da Lucy In The Sky With Diamonds di
William Shatner (LP Decca The Transformed Man), giunto alla notorietà come attore
nel ruolo del capitano Kirk nel serial fantascientifico Star Trek: versione sdolcinata,
fiacca e addirittura al di sotto del kitch, con l'alternanza tra canto e recitazione
enfatica. Nonostante tutto il brano ha incontrato una sua fortuna ed è stato selezionato
nel CD Golden Throats (edito nel 1988 dalla Rhino Records, con in copertina una
parodia del Sgt. Pepper); inoltre il mensile londinese «Q» ha collocato l'incisione di
Shatner al decimo posto della Essential Playlist compilata dai suoi lettori (n. 232,
novembre 2005).
James Taylor, il cui ingresso sulla scena musicale è avvenuto nel lontano 1968 a
Londra su etichetta Apple, dopo che in patria nessuno aveva preso in seria
considerazione il ventenne aspirante, nella primavera 1979 ha inciso Day Tripper per
l'album Flag; l'inconfondibile timbro vocale minimalista e sconsolato dell'artista di
6
Boston conferisce al brano accenti tristi, con un andamento lento e l'ultima strofa
cantata in falsetto.
Altra star statunitense legata ai Beatles è Melanie, interprete di We Can Work It Out e
di Anytime At All (rispettivamente in Phonogenic e Old Bitch Warrior, 1978 e 1995),
col tipico timbro vocale infantile e un'eco della fonte ispirativa di Melanie Safka,
ricercata in Edith Piaf.
Nel 1976 l'eclettico Todd Rundren, genio dell'elettronica e produttore di successo, ha
registrato il 33 giri Faithfull, tributo alle canzoni determinanti nel suo approccio
musicale: insieme a Good Vibrations dei Beach Boys, a Most Likely You Go Your
Way And I'll Go Mine di Dylan e a If Six Was Nine di Hendrix compaiono Strawberry
Fields Forever e Rain; in questo caso manca volutamente qualsiasi variante
interpretativa, in quanto l'artista ha inteso riprodurre nota per nota i brani originali,
con un'operazione di ricalco concepita come un omaggio a un'epoca.
Assolutamente energico e al tempo stesso liricamente onirico il piglio con cui il
chitarrista statunitense Nils Logfren - già accompagnatore di Neil Young - affronta
Anytime At All, incluso nel doppio CD live Code Of The Road (1986).
La migliore apertura sul nuovo secolo è fornita dall'emozionante resa di In My Life da
parte del vecchio Johnny Cash, in una registrazione del 2002, di poco precedente alla
sua scomparsa; si tratta di una versione molto partecipata, nella quale pare che il
musicista tracci un bilancio della sua travagliata esistenza, con la solita voce ruvida e,
in più, una venatura di rassegnata tristezza accompagnata a una dichiarazione d'amore
per ciò da cui ci si separa con rammarico.
- Gli artisti «più affezionati»
Alcuni cantanti hanno trovato la loro dimensione più consona nella reinterpretazione
delle composizioni di Lennon-McCartney, con esiti originali e piglio personale.
Richie Havens, avvicinatosi ai Beatles con una versione di Eleanor Rigby incisa per
l'LP Mixed Bag d'inizio 1967, ha poi inserito nel suo disco più riuscito - il doppio
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Richie P. Havens, 1983 (genaio 1969) - ben quattro cover beatlesiane: Strawberry
Fields Forever, Lady Madonna (lanciata anche come singolo), She's Leaving Home e
With A Little Help From My Friends; le versioni trasmettono emozione e tensione
interpretativa. Sono poi seguiti i 45 giri Rocky Raccoon (luglio 1969, spesso eseguito
in concerto e incluso in Richie Havens On Stage del settembre 1972) e Here Comes
The Sun (tratto dall'album Alarm Clock del gennaio 1971). A suggello di una
passione è giunto nel 1990 il CD Sings Beatles & Dylan (registrazioni del 1987).
Joe Cocker esordì ventenne nell'ottobre 1964 con la cover di I'll Cry Instead, incisa
per la Decca e colata a picco impietosamente, nonostante l'interpretazione grintosa e i
cori di The Ivy League; per quel singolo il cantante di Sheffield intascò l'irrisoria
somma di 10 scellini di royalities. Un risultato così frustrante non troncò la passione
per le composizioni di Lennon-McCartney e, come dice il proverbio, chi la dura la
vince: With A Little Help From My Friends, pubblicato su 45 giri nel settembre 1968,
fiondò Cocker al vertice della classifica britannica e lo indusse a ricavarne il titolo
per il suo primo 33 giri, edito nel marzo 1969. Quello stesso brano, eseguito al
festival di Woodstock in una tiratissima versione di 8 minuti, con consensi corali, ha
costituito un punto di forza del film e del disco triplo ricavati dal celeberrimo raduno
di metà agosto 1969. Altra cover utilizzata come singolo e inserita nell'album Joe
Cocker! del novembre 1969 è la grintosa She Came In Through The Bathroom
Window, poi registrata nella tournée statunitense immortalata dal doppio Mad Dogs
& English Men del settembre 1970 (al 2° posto negli USA e al 16° in Inghilterra),
sicuramente il migliore vinile di Coker, sia per la grande resa concertistica sia per
l'ottimo sostegno fornito dai numerosi musicisti diretti dal fido Leon Russell.
Altro aficionado di Lennon-McCartney è il portoricano Jose Feliciano, da noi noto
più che altro per la partecipazione al Festival di San Remo con Che sarà. Egli ha
interpretato in modo personalizzato e in veste strumentale And I Love Her, condotta
dalla sua chitarra acustica spagnoleggiante, sorretta qui e là dagli archi; stessa
formula e medesimi risultati positivi per Here, There And Everywhere (i due brani
sono del 1968). L'abilità virtuosistica alle sei corde emerge appieno in Yesterday, in
8
veste flamenco, senza far rimpiangere l'assenza del canto. L'approccio vocale di In
My Life dimostra sensibilità e senso della misura.
In ambito country-rock si è distinta per delicatezza Mary McCaslin, misconosciuta
cantautrice californiana interprete della musica Western e assai legata alle
composizioni di Lennon-McCartney. Tra le sue prove meglio riuscite, con
strumentazione acustica (inclusi banjo e violino) e con voce nitida e sicura, si
segnalano Rain e I'm Looking Through You, registrate nel luglio 1967 e rimaste a
lungo inedite (sino alla pubblicazione di Rain - The Lost Album, nel 1999), Things
We Said Today e Blackbird (nel suo terzo LP, Old Friends, del 1977) esprimono
maturità artistica e sprizzano musicalità.
- Cover a 33 giri
L'aspetto più curioso delle cover è la rivisitazione di un intero LP, operazione poco
comune per le difficoltà di un approccio complessivo a un corpus compatto, con
l'esigenza di cogliere il dato unitario del messaggio musicale senza trascurare alcun
brano e al contempo la capacità di assicurare un livello artistico che giustifichi le
ambizioni della registrazione. I pochi tentativi effettuati hanno riguardato
prevalentemente la produzione della seconda metà della carriera dei Beatles, in
quanto evidentemente i 33 giri incisi a partire dall'estate 1966 presentano maggiori
spunti e consentono più estesi spazi ad interventi discrezionali.
La cantante statunitense Ann Dyer e il suo gruppo No Good Time Fairies hanno
registrato nel 1999 Revolver: A New Spin in modo assai creativo, con un'operazione
di destrutturazione dei brani e un nuovo assemblaggio con venature iconoclaste e
arrangiamenti orientaleggianti; in primo piano spiccano sax, violini e percussioni
indiane.
Sul pretenzioso esperimento, patrocinato da Robert Stigwood, di far rivivere - su film
e su vinile - Sgt. Pepper, non vale la pena di spendere parole, se non di soddisfazione
9
per il fallimento commerciale dell'improvvida iniziativa, priva del necessario
supporto artistico.
Abbey Road, pubblicato il 26 settembre 1969, è l'album che ha fornito i più
interessanti spunti creativi, forse per il legame a mo' di suite tra i suoi brani. A pochi
mesi di distanza si sono avute ben due interessanti cover del 33 giri, da parte del
tastierista Booker T. e del chitarrista George Benson, virtuosisti del loro strumento in
ambito rispettivamente in ambito rhythm & blues e jazz-blues.
George Benson, negli anni '60 astro nascente della chitarra jazz, ha realizzato la cover
di Abbey Road a tempo di record, un mese dopo l'uscita dell'album originale; il suo
contributo è influenzato dalle tipiche atmosfere fusion del produttore Creed Taylor e
dell'arrangiatore Don Sebesky, factotum dell'etichetta discografica A&M. Mentre gli
album precedenti erano strumentali, stavolta Benson si cimenta al canto, con esiti
apprezzabili, tanto è vero che la seconda parte della sua carriera (con dischi di
successo pubblicati dalla Warner Bros.) lo vedrà più nei panni di vocalist che in
quelli di chitarrista. La chitarra del leader è validamente affiancata, nella parte solista,
dalla tromba di Freddie Hubbard, dal sax di Sonny Fortune e dal flauto di Ronnie
Hubbard, tre personaggi di primo piano del jazz anni '70; inoltre l'abilità del batterista
Idris Muhammad non fa di certo rimpiangere il bravo ma monotono Ringo Starr. Il
brano maggiormente riuscito è Golden Slumber, qui utilizzato come titolo d'apertura
In conclusione, The Other Side of Abbey Road, seppure non riesce a riproporre
l'unitarietà tematica del modello originale, è molto interessante e merita un attento
ascolto.
Il quartetto Booker T. & The M.G.'s - Booker T. Jones all'organo, Steve Cropper alla
chitarra, Donald Dunn al basso e Al Jackson alla batteria - ha intitolato l'ellepì col
nome della via dello studio di registrazione Stax a Memphis: McLenmore Avenue,
ovviamente la foto di copertina ritrae gli artisti mentre attraversano la strada a
imitazione dei Fab Four. La ricetta funky funziona al meglio in Come Together e The
End, mentre qua e là affiorano momenti di scarsa originalità; il 33 giri non ha
10
incontrato grande successo commerciale, ma è stato comunque riedito in CD nel
1988.
In ambito jazz l'operazione di Benson e di Booker T. è stata varata dopo una ventina
d'anni da Mike Westbrook - figura carismatica dell'avanguardia jazz britannica - con
Off Abbey Road, nel sapiente arrangiamento di chi, appresa la lezione di Duke
Ellington, dilata la struttura rock e colloca le canzoni del classico album dei Beatles
in un jazz sinfonico che coniuga la tradizione alla più ardita sperimentazione. Nella
big band si mettono in luce Phil Minton e Kate Westbrook (voce), il chitarrista Brian
Godding e ovviamente Mike Westbrook al piano. A complemento dell'album, lòa
big-band ha allestito una tournée con l'esecuzione live di Abbey Road.
Il doppio White Album è stato reinterpretato da vari artisti d'estrazione blues,
nell'ambizioso progetto varato nel 2001 dalla Telarc The Blues White Album, con la
scelta di una decisa di brani e con esiti altalenanti a seconda della statura degli
interpreti e della loro capacità di adattare composizioni rock a moduli stilistici blues.
Mentre ad esempio l'armonicista Charlie Musselwhite espande Dear Prudence in 8
minuti di fruttuoso intreccio tra armonica a bocca e chitarra (suonata da Colin
Linden) senza necessità di accompagnamento vocale, Maria Muldaur annaspa in ObLa-Di, Ob-La-Da, peraltro poco adatto al blues.
Tra i tributi a 33 giri merita almeno una segnalazione Songs Of The Beatles di Sarah
Vaughan (1981), tredici interpretazioni di alto livello, con un gruppo di
accompagnatori di vaglia, nel quale si ascolta con piacere l'armonicista Toots
Thielemans.
- Rhythm & Blues
A dispetto degli sforzi profusi dai gruppi rock, le più valide interpretazioni di canzoni
dei Beatles sono realizzate da musicisti neri. La prima cover che balza alla mente, per
potenza e inventività, appartiene a Ray Charles: Eleanor Rigby, incisa nella
primavera 1968 (n. 35 negli USA e n. 36 nel Regno Unito). La voce dell'alloa
11
trentottenne cantante ha reso al meglio - con una comunicativa profonda - la
disperazione di tante esistenze trascinatesi nella solitudine del microcosmo urbano,
nella quieta disperazione rappresentata da Lennon-McCartney con il funerale di una
vecchia signora inglese. La medesima canzone è stata interpretata in arrangiamento
blues dal violinista Don "Sugarcane" Harris, nel LP Fiddle On The Rock (1971), ed è
un peccato che pochi se ne siano accorti.
Una ritmatissima Day Tripper si ascolta nel 33 giri Otis Redding's Dictionary of Soul
del novembre 1966; il brano venne pubblicato sei mesi più tardi come singolo;
un'energica esecuzione concertistica del marzo 1967 è raccolta in Live in Europe,
ultimo ellepì di Redding prima del tragico schianto aereo del 10 dicembre 1967;
anche di A Hard Day's Night lo sfortunato cantante georgiano ha fornito convincenti
registrazioni dal vivo. L'altro re del Rhythm & Blues, Wilson Pickett, il 27 novembre
1968 ha registrato Hey Jude per un 45 giri premiato da buone vendite, e ha intitolato
a questa canzone il suo successivo ellepì; l'ottima resa vocale di Pickett è sorretta da
accompagnatori di lusso quali il chitarrista Duane Allman e il batterista Ronnie
Hawkins, oltre ai sax dei session-men del rinomato studio di Muscle Shoals,
Alabama. Stessi accompagnatori d'eccezione per il cantante Arthur Conley in Ob-LaDi, Ob-La-Da (apertura del 33 giri More Sweet Soul, d'inizio 1969), canzone tra le
più banali dei Beatles, qui cucinata in salsa soul, con spezie giamaicane.
Per restare nello stesso ambito, anche Aretha Franklin si è cimentata col repertorio di
Lennon-McCartney: Eleanor Rigby e Let It Be sono due singoli dell'autunno 1969 e
'70; il primo brano si può ascoltare anche in versione concertistica nel 33 giri Live At
Fillmore West del maggio 1971.
L'estate 1970 il ventenne Stevie Wonder ha ritagliò We Can Work It Out dall'album
Signed, Sealed & Delivered per ricavarne un 45 giri spigliato e affascinante,
corredato da un bell'assolo di armonica a bocca; il singolo è salito sino al 13° posto
della classifica americana.
Il gruppo strumentale Booker T. & The M.G.'s, dominato dalle tastiere di Booker T.
Jones, non poteva certo ignorare i Beatles, e difatti ha inciso Eleanor Rigby
12
nell'album Soul-Limbo del luglio 1968 e, un anno più tardi, Lady Madonna in The
Booker T. Set, antipasto per la riproposizione integrale di Abbey Road (cui si è
accennato nel paragrafo precedente).
A fine 1969 Ike & Tina Turner hanno registrato Come Together, 45 giri di moderato
successo negli USA; ovviamente il pregio della registrazione consiste nella sensuale
vocalità di Tina Turner più che nell'accompagnamento pianistico del suo irrequieto
partner.
La definizione di cover risulta inadeguata a indicare il trattamento praticato da Isaac
Hayes a Something (in The Isaac Hayes Movement, aprile 1970, n. 8 USA), nella
dozzina di magici minuti nei quali il tema viene avvicinato nota dopo nota e quindi
sviluppato in dimensioni inedite, ai confini del rap.
Molto realistica la resa di Why Don't We Do It In The Road da parte di Lowell
Fulson, precursore del R&B, con un'accentuazione delle implicazioni sessuali del
brano scritto da McCartney dopo l'inatteso spettacolo della copulazione di due
scimmie durante la vacanza mistica nell'India del santone Maharishi.
Si può dire che tutte le stelle del Rhythm & Blues abbiano inserito nel loro repertorio
almeno un brano di Lennon-McCartney. In particolare, si sono distinti in questa
operazione solisti e gruppi del cosiddetto genere Motown: da Martha Reves & The
Vandellas (Something, con raffinato accompagnamento orchestrale e il punto di forza
nei cori) a Smokey Robinson & the Miracles (And I Love Her, in atmosfera soffusa),
dai Four Tops (Michelle, con esiti alquanto monotoni, nel 33 giri Four Tops on Top
dell'agosto 1966) ai Temptations (Hey Jude, in una varietà di toni vocali dal falsetto
al basso, nel loro LP di maggiore successo: Puzzle People dell'ottobre 1969), da
Gladys Knight & The Pips (Let It Be, in godibile arrangiamento gospel).
Le Supremes di Diana Ross hanno saccheggiato il repertorio dei Beatles, tanto è vero
che nel novembre 1964 realizzarono il 33 giri A Bit of Liverpool, con brani come A
Hard Day's Night, You Can't Do That, Can't Buy My Love e I Want To Hold Your
Hand; (per l'edizione inglese il titolo originale fu ritenuto eccessivamente provinciale
e venne mutato, con un gioco di parole, in With Love - From Us To You). Il gruppo
13
vocale di Detroit mantenne l'attenzione al repertorio di Lennon-McCartney,
registrando Yesterday (nel LP I Hear A Symphony, marzo 1966), Michelle e
Yesterday (Live At London's Talk Of The Town, settembre 1968), Hey Jude (Cream
Of The Crop, novembre 1969); attenzione confermata anche dopo l'uscita di Diana
Ross, con brani quali Come Together (New Ways But Love Stays, ottobre 1970).
- The Beatles go jazz (and beyond)
La riprova dell'intrinseca validità del repertorio di Lennon-McCartney si ha nella
quantità di interpretazioni da parte di musicisti jazz, che spesso hanno utilizzato il
tema-base per introdurvi numerose variazioni e assoli ignoti alla dimensione rock. Il
fenomeno si è manifestato a partire dalla metà degli anni '60 ed è proseguito in modo
rigoglioso per più di un un ventennio. L'impatto dei Beatles sul jazz è stato decisivo
nella transizione dalla strumentazione tradizionale (sax, trombe, contrabbasso ecc.) a
quella elettrica, con la valorizzazione delle chitarre e delle tastiere elettrificate. La
nuova leva di jazzisti, cresciuta con la musica dei Fab Four, ha portato dentro di sé
quell'imprinting e ha affrontato le cover con piglio creativo, mentre i veterani si sono
limitati a rifare nel loro stile le più popolari canzoni del momento e non sempre con
risultati interessanti.
Nel gennaio 1965 Duke Ellington, al culmine di una lunga carriera finalmente
coronata da un lusinghiero successo, ha registrato con la sua orchestra All My Loving
in arrangiamento latino-americano, con assoli dei sassofonisti Paul Gonsalves (sax
tenore) e Johnny Hodges (sax alto), e I Want To Hold Your Hand, guidata dal
trombone di Lawrence Brown. L'operazione, probabilmente suggerita dalla casa
discografica per fare breccia nel pubblico giovanile, si è risolta più che altro in
un'operazione commerciale di facciata, senza esiti artistici significativi. Stesso
discorso per un altro grande pianista, compositore e direttore d'orchestra: Count
Basie, che nel 1966 ha inciso per l'etichetta Verve Basie's Beatle Bag, un LP
interamente dedicato a composizioni di Lennon-McCartney tra le più note (da A Hard
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Day's Night a I Wanna Be Your Man); la critica jazz ha arriccia il naso e quelle
registrazioni sono liquidate impietosamente dall'autorevole The Pinguin Guide to
Jazz (ed. 2004): «We think that the less said about Basie's Beatle Bag, the better»,
ovvero «meno se ne parla, meglio è». La fotografia di copertina ritrae Basie attorniato
da tre o quattro bimbi, a simboleggiare il rapporto esistente tra vecchie glorie del jazz
e nuovi adepti del rock. Nonostante il buco nell'acqua, il prolifico pianista ha insistito
nel dicembre 1969 con un secondo 33 giri-tributo ai Fab Four: Basie On The Beatles,
con arrangiamenti di Bob Florence e il supporto di musicisti quali il trombettista Luis
Gasca (collaboratore di Carlos Santana), il sassofonista Eddie "Lockjaw" Davis e il
chitarrista Freddie Green; stavolta gli spunti originali non mancano e l'esperimento
può ritenersi riuscito; tra i pezzi migliori svetta Something, seguito da Penny Lane e
Get Back.
L'approccio dei vecchi leoni del jazz ai Beatles è rimasto comunque condizionato da
una diversità generazionale e culturale incolmabile, che ha impedito la realizzazione
di un incontro per davvero significativo. Diverso è il discorso per la generazione nata
negli anni '30, desiderosa di aprire nuovi sentieri e di impegnarsi in sperimentazioni
di «fusion» con quanto di meglio maturava nel campo rock. Caposcuola, in questo
settore, si è rivelato l'arrangiatore Quincy Jones, che il 15 settembre 1964 ha
registrato A Hard Day's Night (per il 33 giri Golden Boy) con artisti del calibro del
trombettista Freddie Hubbard, dei sassofonisti Phil Wood (autore di un notevole
assolo) e Eddie Davis, del chitarrista Jim Hall e del batterista Grady Tate. L'esito è
...lussurioso, con contrappunti e l'emulazione dei componenti dell'orchestra. Quel
pezzo è rimasto tra i classici arrangiamenti di Quincy Jones, tanto è vero che è stato
incluso nell'antologia Talkin' Verve, che raccoglie il meglio della produzione anni '60
del direttore d'orchestra giunto alla notorietà come compositore di colonne sonore; le
note di copertina aprono un'interessante squarcio d'epoca «Nel 1964 tutti volevano
registrare un pezzo dei Beatles, ritenendoli l'equivalente contemporaneo di Irving
Berlin. Artisti come Ray Charles o Ray Coniff salivano sul vagone liverpooliano per
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galvanizzare i giovani. Quincy ha contribuito alla legalizzazione jazz dei Fantastici
Quattro».
Il multistrumentista Roland Kirk, una tra le figure più interessanti dei jazzisti che
hanno lambito la demensione rock (al suo modo di suonare il flauto si è tra l'altro
ispirato il leader dei Jethro Tull, Jan Anderson), ha inciso a New York il 16 novembre
1965 And I Love Her, con il clarinetto e tromba in primo piano; tra gli
accompagnatori, si mette in luce il pianista Horace Parlan.
Il grande chitarrista Wes Montgomery ha eseguito nel giugno 1967 A Day In The Life
(inserito nel LP omonimo), pochi giorni dopo la pubblicazione del Sgt. Pepper; tra gli
accompagnatori figuravano al piano Herbie Hancock e al basso Ron Carter; l'esito
non è peraltro eccelso, a causa del discutibile arrangiamento di Don Sebesky. Un
anno più tardi il medesimo brano è stato riadattato in chiave jazz dal tastierista Brian
Auger e dal suo gruppo The Trinity, nella versione strumentale inserita
nell'altalenante LP Definitely What! del 1968; la linea solista è affidata all'organo
Hammond; l'esito è accettabile, a condizione, beninteso, di non azzardare paragoni
con l'originale.
Il sassofonista-flautista Yuseef Lateef ha registrato una versione di Hey Jude lunga
oltre 9 minuti nel LP The Gentle Giant (1972), con una partenza lentissima e a
volume appena percettibile, tanto è vero che le note di copertina preavvisano: «Non
manipolate il livello del giradischi, ma riaggiustate la vostra mente!»; una graduale
progressione di accordi porta l'ascoltatore nel bel mezzo del tema, e a un certo punto
si aggiunge agli strumenti l'accompagnamento corale del gruppo The Sweet
Inspirations. L'esperimento si caratterizza per eccentricità e può ritenersi
complessivamente riuscito.
Tra i jazzisti bianchi il ruolo di apripista è stato adempiuto dal vibrafonista Gary
Burton, che il 7 aprile 1966 ha inciso una valida cover di Norwegian Wood (LP The
Time Machine), in un'atmosfera rarefatta e in dimensione autarchica, registrando da
solo - su piste diverse - le parti per vibrafono, piano e basso marimba; il suono è
cristallino e il tema originale è variato e arricchito dall'improvvisazione
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dell'esecutore. Burton, orgoglioso di quell'interpretazione, l'ha inserita nell'antologia
Artist's Choice, pubblicata nel 1987 dalla RCA su compact disc.
L'eretico sassofonista Lol Coxill, esperto in contaminazioni tra generi diversi e autore
di alcuni dei più originali esperimenti del jazz britannico d'avanguardia, ha registrato
per Ear of Beholder, nel 1970-71 (ora ristampato in CD dall'etichetta See For Miles),
I Am The Walrus, eseguito da un coro di bambini; Coxill ha in questo modo riportato
il brano alla dimensione gioiosa dello scherzo e alla dimensione infantile, in un paese
delle meraviglia; all'epoca il vinile venne pubblicato dall'etichetta Dandelion del
talent-scout John Peel, entusiasta di come il pezzo dei Beatles era tornato a nuova
vita.
Un altro grande rinnovatore del jazz Britannico, il pianista e direttore d'orchestra
Bobby McFerrin ha fatto della sua voce lo strumento duttile e proteiforme in grado di
ricreare in perfetta solitudine brani rock e jazz; la sua Blackbird (in The Voice, del
1982), registrata dal vivo, senza sovraincisioni né interpolazioni sonore, è
strabiliante: McFerrin, canta la parte solista, fischietta, si fa da sé il controcanto e
utilizza persino il respiro come mezzo musicale; l'ascoltatore immagina il piccolo
merlo ferito, ne percepisce il tentativo di spiccare il volo...
Degli stessi mezzi naturali - voci e suoni prodotti dal battito delle mani e dalle
percussioni sul corpo - si è avvalso il quartetto californiano The Bobs nel luglio 1979
per registrare una scatenata You Can't Do That e una liricheggiante Come Together,
nel LP The Bobs Sing The Songs of..., coraggiosa e curiosa cavalcata attraverso una
dozzina di classici della musica rock, senza alcun supporto elettrico, con la
compenetrazione di voci utilizzate come strumenti, il che è un bel paradosso per il
genere che ha fondato la sua fortuna sulle chitarre iperamplificate. Il bello è che, in
queste esecuzioni, non si avverte alcun bisogno di accompagnamento strumentale.
Incasellabile la reinvenzione di Across The Universe da parte di Roberto
Cacciapaglia, quattro minuti e mezzo di percussioni orientali sopra le quali si libra
un'eterea voce femminile, aleggiante in un'aura atemporale e in arrangiamenti
fantascientifici (in Angelus Rock. A tribute to ten rock angels, del 1992).
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La cantante sperimentale Cathy Berberian (1925-1983), che ha esteso i confini della
vocalità con reinterpretazioni sconvolgenti del repertorio classico e d'avanguardia, nel
1969 ha registrato negli studi radiotelevisivi della Svizzera italiana di Lugano alcune
canzoni di Lennon-McCartney, arrangiate e accompagnate al pianoforte da Louis
Andriessen; le versioni più stimolanti sono la lenta Michelle e, soprattutto, la
movimentatissima Ticket To Ride.
Nel 1988 è stato varato il progetto affidato all'ensemble L.A. Workshop da
committenti nipponici dell'etichetta Denon, per Norwegian Wood, omaggio ai Beatles
con una decina di brani presentati in arrangiamenti jazz e in versione strumentale
(tranne cori soffusi in Hey Jude e The Fool On The Hill). Il risultato è gradevole, in
termini di musica da sottofondo per situazioni rilassanti, grazie all'apporto del
sassofonista Tom Scott e del percussionista Paulinho Da Costa. Ben altrimenti
impegnativo e convincente, comunque il doppio tributo chitarristico Mike Mainieri
presents Come Together (NYK Records, 1995), con una formula azzeccata e il
coinvolgimento - fra gli altri - di maestri riconosciuti del calibro di John
Abercrombie, Adrian Belew, Larry Coryell, Allan Holdsworth, Steve Khan, Terje
Rypdal e Ralph Towner.
- Versioni post-punk
Nella seconda metà degli anni '70 il Punk ha scosso alle fondamenta il Rock, con
furore iconoclasta. Dopo l'irruzione sulla scena di Ramones, Sex Pistols, Clash...
nulla più poteva suonare come prima; travolti i castelli del Progressive Rock, l'onda
sismica è ricaduta sui reperti del passato e ne ha tratto pepite per l'edificazione di
nuovi edifici sonori. Tra i miti contestati dalla nuova corrente musicale vi erano
inevitabilmente i Beatles, emblema del rock accademico. Tuttavia il rapporto col
lascito musicale dei «baronetti» si è rivelato ben più complesso, considerato che
alcuni brani di Lennon-McCartney delineavano scenari proto-punk: Helter Skelter su
tutti. Fatto sta che dagli anni '80 il canzoniere dei Beatles ha ritrovato una nuova
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stagione, da parte di interpreti finalmente svincolati da timori reverenziali e
determinati a sviluppare nei brani nuovamente interpretati sonorità avveniristiche.
Anche in questo caso ogni pretesa di completezza è utopica e ci si deve limitare a una
selezione rappresentativa di artisti e di stili.
Il disco che può fungere da strumento conoscitivo attraverso il baratro generazionale
è l'opera collettiva Sgt. Pepper Knew My Father, nel quale spicca l'interpretazione di
A Day In The Life da parte dei Fall (quintetto di Manchester costituitosi sul finire
degli anni '70 e impostosi come rinnovatore del Punk), con un arrangiamento
personalizzato culminante in un vorticoso finale e in una significativa prova del
cantante Mark E. Smith. Helter Skelter figura nel primo LP di Siouxie & The
Banshees, del 1978 (The Scream), con inflessioni apocalittiche nel canto della
ventunenne Susan Janet Dallion, alias Siouxsie Sioux; un decennio più tardi i
celeberrimi U 2 avrebbero inciso il brano nel loro Rattle And Hum.
Billy Bragg, il bardo della nuova canzone politica inglese, ha registrato in duo con
Clara Tivey al piano e nei cori She's Leaving Home, che nel maggio 1988 - ha
raggiunto il vertice della classifica dei singoli, in un'edizione i cui proventi sono stati
devoluti all'aiuto di bimbi con situazioni familiari problematiche; Bragg ha restituito
freschezza alla canzone, riscoprendo il lato drammatico dell'allontanamento da casa
da parte della giovane protagonista (sull'altro lato del disco spiccava la cover di With
A Little Help From My Friends, eseguita dai già citati Wet Wet Wet). Altra
dirompente cover di Bragg è Revolution (nel mini-CD Accident Waiting To Happen
del 1992), in tono con le vedute ideologiche del musicista inglese.
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