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Amare l`altro per renderlo felice ed essere felici. Alle radici bibliche

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Amare l`altro per renderlo felice ed essere felici. Alle radici bibliche
Amare l’altro per renderlo felice ed essere felici.
Alle radici bibliche dell’affettività
Angolo del Paradiso (San Ginesio, MC)
29 Luglio - 5 Agosto 2012
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Domenica 29 Luglio 2012
L’amore.
Così come l’ha pensato Dio
Introduzione
Parlare dell’amore (e dell’amore che porta a donarsi all’altro o all’altra nella coppia) non è impresa semplice perché l’attuale cultura assegna a questo “fatto” umano una molteplicità di significati diversi tra loro. È venuta inoltre meno quella visione unitaria dell’uomo e delle sue caratteristiche
che una volta accomunava i vari tipi di pensiero. Pertanto oggi nel parlare della persona e delle sue
dimensioni può accadere che un’opinione ovvia (e lecita) in una cultura appaia disdicevole e condannata in un altra.
Nel nostro percorso vogliamo parlare dell’amore umano (e in particolare di quello di coppia)
così come ce lo presenta la Bibbia e la Chiesa. E facciamo questo nella consapevolezza che tale insegnamento oggi è visto come un pensiero da bigotti, dal momento che sono presenti molti pregiudizi sulla Chiesa ed anche una cattiva comprensione delle sue parole, spesso accentuata dalla disinformazione che ne fanno i mass media. La visione cristiana sull’amore e sulla sessualità trae la sua
forza dalla Rivelazione divina che disvela all’uomo la sua identità, la sua vocazione e la sua missione. A volte tale prospettiva può apparire troppo alta ed esteriore se paragonata all’esperienza di tutti
i giorni e agli stimoli sensoriali e culturali che riceviamo. A tal riguardo non dobbiamo dimenticare
che il progetto che propone la Rivelazione non può essere realizzato come propria vocazione
all’amore pieno soltanto con gli sforzi personali, ma ha bisogno della grazia di Dio che guarisce e
da’ la forza necessaria per realizzare il disegno che Dio ha su ogni persona.
Non si raggiunge la santità cristiana semplicemente acquisendo informazioni su come si debba
vivere secondo il Vangelo, perché è indispensabile quella vitale e continua assistenza dello Spirito
Santo che accompagna i fedeli ad individuare i contenuti di fede, ad indicare i comportamenti conformi al Vangelo e alla Parola di Dio e a donare la forza per osservarli. Vivere secondo il Vangelo e
gli insegnamenti della Chiesa è dunque frutto di una vita secondo lo Spirito (la vita di grazia che ha
le sue tappe nei sacramenti) la quale sola rinnova la mente e il cuore della persona, rimuove
l’ostacolo posto dal peccato, illumina l’intelligenza a comprendere la Parola di Dio, rafforza la volontà a vivere bene. Se non ci si mette bene in testa che la vita di grazia ha questo ruolo fondamentale, tutto ciò che Gesù e la Chiesa afferma sul vivere bene parrà sempre un’utopica meta riservata a
pochi esaltati. Tutto al più si potranno accettare quelle affermazioni di buon senso che da sole non
rischiano di “confondere” troppo chi vive della mentalità dominante come è l’invito ad amare in
maniera generica il prossimo e quelli che sono in difficoltà che altro non traduce se non un buonismo dettato dal buon senso che è quasi comune ad ogni persona che vive sulla faccia della terra.
A volte, a causa di un’errata informazione o di una cultura che si è svincolata dai quei valori perenni che mettono al centro il bene della persona, gli insegnamenti della Chiesa sono visti come lesivi della libertà umana e della sua realizzazione. Non dobbiamo allora stupirci se su molti punti che
tratteremo proveremo una sentimento di ostilità o superficialità, perché tutto dipende dal nostro grado di unione con Gesù Cristo e lo Spirito Santo che non solo ci insegna come vivere il Vangelo, ma
ci da anche la forza per vivere secondo gli stessi insegnamenti.
Si impara ad amare? O l’amore è qualcosa di innato?
Ogni uomo e ogni donna sono stati fatti ad immagine e somiglianza di Dio (Gn 2) e hanno così
un’intelligenza per conoscere e una volontà per volere, agire e amare liberamente. L’essenza della
persona umana è proprio l’avere una libertà, una conoscenza e una capacità di azione che la contraddistingue da tutti gli altri esseri.
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La persona umana è fatta per conoscere e amare e fin da piccola mostra un’inusuale curiosità a
tutto ciò che la circonda. Basta vedere un bambino per rendersi conto di tale realtà perché il piccolo
dove ha gli occhi ha anche le mani! L’amore è così una realtà che ci portiamo dentro, da sempre, ed
è la molla che fa si che ci apriamo all’altro! Dal momento però che nessuno nasce “imparato”, ognuno di noi perfeziona queste qualità guardando gli altri, specialmente i suoi prossimi e i suoi familiari. Dall’amore che ci dimostrano i nostri genitori, infatti, noi impariamo ad amare. Molti blocchi affettivi dipendono da come sia avvenuto questo primo apprendimento che per qualcuno può risultare limitante. Ci sono papà e mamme che amano i loro figli, ma non lo sanno dimostrare, avendo dei modi bruschi o freddi di relazionarsi nei riguardi dei loro piccoli. Ebbene è dimostrato che vi
è una forte probabilità che i loro figli, a loro volta, nell’amare e nel relazionarsi con gli altri trovino
poi difficile esprimere sanamente il loro amore, semplicemente perché non hanno imparato a farlo:
amano, perché sono persone umane, ma non sanno veicolare rettamente i loro sentimenti. È questo
un aspetto di noi che dobbiamo aver il coraggio di affrontare e conoscere.
Non dobbiamo criticare o accusare i nostri genitori che per quanto ottimi, non sempre sono stati
“perfetti”. Semplicemente dobbiamo prendere atto che la persona umana si è formata in modo complesso e necessita di un percorso fiducioso e lungo per realizzarsi in tutte le sue qualità, rimuovendo
quei condizionamenti che hanno influito su di essa.
Portiamo alcuni esempi. Un genitore che fa l’insegnante potrebbe atteggiarsi, a casa, quasi con
una deformazione professionale, con un comportamento autoritario nei confronti dei figli. Oppure
vi può essere il caso di un genitore che ha avuto a sua volta dei problemi da piccolo con i suoi genitori e non li ha risolti e si porta dentro una certa rigidità nei modi apparendo un po’ freddo
nell’educazione: egli fa così perché, secondo lui, in questo modo evita di illudere la prole; ma può
anche accadere che la stessa persona risulti troppo permissiva per non far passare ai suoi piccini i
malanni che lui stesso ha subito. Pensiamo anche a genitori che hanno subito una violenza (mai
confessata) e che a distanza di anni questa faccia sentire le sue nefaste conseguenze manifestandosi
in una troppa affezione o troppa protezione. Ci sono infine genitori che tutto il giorno vivono impegnati nel lavoro e non vedono l’ora di stare a casa: può capitare che il piccolo che richiede
l’attenzione sia visto come un acerrimo nemico del meritato riposo per cui un rimprovero da niente
diviene l’occasione di sfogo per tutte le ansie e lo stress accumulati durante il giorno! Ovviamente
non mancano i genitori eccezionali che sanno amare bene i loro figli e sono per loro dei maestri di
vita insuperabili.
Il modello dell’amore coniugale: Cristo che ama la sua Chiesa
Il percorso di amore che ci porta ai vertici di una maturità e pienezza è quello cristiano che però
è possibile solo se inserito nella vita di fede e di grazia donataci da Gesù che diviene il motivo delle
nostra scelte, ma anche il modello da seguire nella nostra via ad amare. Così ci ricorda san Paolo la
vita cristiana (Dalla Lettera ai Galati (5,13-27)
Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per
la carne; mediante l'amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua
pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Ma se vi mordete e vi divorate a
vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri! Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri
contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda,
sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose
del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c'è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito. Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e invidiandoci gli uni gli
altri.
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Vi è una vita secondo lo Spirito che ci porta a fare quelle scelte che altrimenti ci sarebbero impossibili. Lo Spirito è la relazione tra noi e Dio ed è sbagliato pensare che non si vive in Dio perché
non lo si sente. Ma la presenza dello Spirito la avvertiamo per i suoi frutti e le sue conseguenze,
perché lo Spirito Santo non è la bacchetta ai miei problemi o l’idea brillante che mi viene quando ho
un problema. Lo Spirito santo agisce se si è in grazia di Dio e nella sua amicizia e lontani dal peccato. Vedere anche Ez 47,1-12 e il simbolismo dell’acqua)
È lo Spirito che ci da la forza di fare scelte impossibili e superare difficoltà: senza o Spirito
Santo non sarai casto, fedele. Chi è nel peccato è influenzato dal peccato e dal maligno.
Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da
noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio - e così già vi comportate -, possiate progredire ancora
di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Questa infatti è
volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall'impurità, che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che
non conoscono Dio; che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito. 1Ts 4,1-8
Così dal momento che il cristiano ricopierà la vita di Gesù nei suoi comportamenti è ovvio che
anche nella vita di coppia si sarà chiamati a fare altrettanto. Il modello e il vertice di ogni amore,
compreso quello di amicizia e di coppia, rimane sempre Gesù: noi dobbiamo amare il prossimo così
come ha fatto Lui. Con un amore che non cerca il proprio interesse o la propria soddisfazione, ma
solo il bene dell’altro. Così la Lettera agli Efesini 5,15
Fate dunque molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate
comprendere qual è la volontà del Signore. E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di
sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e
inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri:
le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così
anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche
Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia
né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le
mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato
la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra
del suo corpo. Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa
verso il marito.
L’amore di Gesù deve essere il motivo e il modello del nostro amore nei riguardi del prossimo
e, tanto più, delle persone che amiamo molto come gli amici o come i fidanzati o le fidanzate.
Che significa avere Gesù come modello di amore?
In primo luogo Gesù ci da un esempio. Il cristiano, il fidanzato o la fidanzata, guarda a Gesù
come esempio e cerca di ricopiare nella sua vita gli stessi sentimenti del suo maestro (cf 1Pt 4,1; Fil
2,5). L’amore comporta un cammino di purificazione e di crescita che dura tutta la vita e trova la
sua piena realizzazione solo nell’eternità quando sarà stabile, perfetto, infinito e pieno. Un cristiano
deve avere la consapevolezza che tale cammino non è sempre facile, anche se tuttavia è possibile,
mentre non può accontentarsi di fermarsi solo agli stadi imperfetti dell’amore, quelli che ci portano
a cercare l’altro solo per un qualsivoglia tornaconto. Il vertice dell’amore lo si trova quando arriviamo ad amare l’altro volendo il suo vero bene il che nell’ottica cristiana non è un mero bene ma4
teriale, ma spirituale: dell’altro vogliamo la sua felicità e salvezza e pertanto eviteremo quei comportamenti che mortificano il nostro essere cristiani e ci immettono nella spirale del peccato. Gesù
con la sua vita e le sue parole ha proprio vissuto quest’attenzione all’altro, guardandolo con occhi
nuovi e condividendo con lui le stesse gioie e le stesse paure.
Vi è però un altro aspetto in cui Gesù è modello di amore. Il cristiano sa che deve imitare Gesù,
ma nello stesso tempo è consapevole che la misura di tale amore eccede le sue forze e la sua natura,
per cui si sente spesso impotente di fronte a quegli stimoli che lo portano lontano da lui. In questo
senso va ribadito che l’amore con cui dobbiamo amare l’altro è un amore che ci viene donato, lo
Spirito Santo, amore in Dio, che rafforza la nostra volontà e ci permette di amare come ha amato
Gesù, perché è lo stesso amore che agisce in lui ed in noi. Questa forza che ci permette di raggiungere la meta che abbiamo configurato in questo nostro cammino che può essere fatto solo in grazia
di Dio e ci è concessa solo se decidiamo di rimanere nella sua amicizia, amicizia non è un semplice
sentimento ma è scandita oggettivamente da aspetti propri della vita cristiana. In particolare si è amici di Dio nella preghiera, nella frequenza ai sacramenti (in particolare l’Eucarestia e la Confessione), nel fare il bene.
Come Cristo ha amato la Chiesa dando tutto se stesso, rinnovandola e senza chiedere nulla in
cambio, i coniugi devono amarsi nella donazione autentica e completa, senza cercarsi per aver un
ritorno personale. Se c’è questo orizzonte non faranno paura né le difficoltà né le malattie perché il
vero amore vede la persona nella sua integrità e non per alcuni aspetti. E se ad esempio, un giorno
per una qualsivoglia causa uno dei due coniugi dovrà rinunciare alla dimensione sessuale del matrimonio, anche l’altro, vivendo la sua rinuncia come un sacrificio, parteciperà a questa sofferenza
volendo condividere in tutto le sorti della persona amata. Se sarà cresciuta nell’amore non cercherà
alternative o soluzioni di ripiego, perché in tal modo direbbe a se stesso e agli altri che può fare a
meno del proprio coniuge. Chi ama davvero è disposto a tutto per l’altro e non lo tradirebbe per nulla: si fa tutto insieme o niente, questa è la regola di un amore che ha fatto di due persone una sola
carne.
Paolo può quindi parlare dell’amore come di un «mistero» che non si muove soltanto dalla passione o dai sentimenti, ma è una realtà che ci inserisce in una dimensione nuova e in definitiva, se
vissuto secondo il progetto di Dio, naturalmente, ci inserisce nella vita stessa di Dio. È un mistero
perché l’uomo da solo non può viverlo in pienezza solo nell’amore di Dio, lo Spirito Santo, il solo
che può guarire i nostri egoismi e aprire il cuore all’altro così come ha fatto Gesù.
Tutti gli uomini e tutte le donne sono nati per amare e fanno esperienza dell’amore. Questa possibilità pure deriva dal fatto che siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, ovvero capaci di
conoscere ed amare: pertanto l’amare non potrà mai avere una dimensione meramente umana senza
alcun riferimento a Dio, perché è già esso una partecipazione alla vita di Dio.
Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio (cf Gen 1,27) che è
Amore (cf 1Gv 4,8; 1Gv 4,16). Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa
un'immagine dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l'uomo. E' cosa buona, molto buona,
agli occhi del Creatore (cf Gen 1,31). E questo amore che Dio benedice è destinato ad essere fecondo
e a realizzarsi nell'opera comune della custodia della creazione: “Dio li benedisse e disse loro: "Siate
fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela"” (Gen 1,28 ). (Catechismo della Chiesa
Cattolica 1604)
Tuttavia sotto il regime del peccato questa esperienza non è totalizzante e completa. Il primo effetto del peccato di Adamo ed Eva fu la consapevolezza di essere nudi. Il peccato ha cambiato per
sempre il modo con cui noi guardiamo l’altro che diviene così non un altro da noi cui donarsi, ma
altro da noi da cui ricevere qualcosa. La nudità provocata dal peccato è la consapevolezza del proprio limite, dell’incapacità di fidarsi di Dio, la vergogna di chi sa che con le sue sole forze non può
desiderare cose alte, il voler fuggire da Dio perché si comprende che si preferisce alla sua amicizia
il proprio piacere e tornaconto. Il peccato produce ostilità, del suolo e nelle relazioni.
Chi però ama con Cristo, nello Spirito Santo, trova l’orizzonte pieno dell’amore che si dona e in
definitiva la felicità che altro non è che uno stato continuo di condivisione e di amore, di uno stare
5
insieme con gli altri e con l’Altro. Chi vive nell’amicizia di Dio sa di poter ritornare con la forza di
Dio a riavere uno sguardo pure, quello dei puri di cuore, che vedono l’altro come lo vede Dio e vincere quelle forze negative che ci sembrano insormontabili.
Ed ecco che l’amore di Gesù in Croce diviene consolazione o scandalo per chi vuole amare.
Scandalo perché è inammissibile che un Dio possa amare fino a tal punto gli uomini, consolazione
perché troviamo che Dio ci ama senza se e senza ma. L’amore allora si gioca su questa duplice domanda: amare qualcuno che non vi ama o essere amati da qualcuno che non amiamo?
Il bambino è ultracoccolato dalla mamma, ma egli stesso la stressa piangendo, cercandola, non
facendola dormire la notte; la mamma ama incondizionatamente il suo bambino pur se questi non
gli da un attimo di respiro. La maturità dell’amore consiste appunto in questo: passerà da uno amore
che cerca ad un amore che si dona, oblativo. È quest’amore che da gioia, che non viene mai deluso.
L’amore per sua natura tende a comunicarsi e non a ricevere e solo amando si cresce nell’amore,
perché esso è l’unica realtà che non diminuisce con il dono. Che te ne fai della vita se non fai felice
nessuno?
Per amare sul serio gratuitamente e oblativamente bisogna fare esperienza dell’amore vero come ha fatto la peccatrice nei riguardi di Gesù (Luca 7,36-48)
Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li
asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: "Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che
lo tocca: è una peccatrice!". Gesù allora gli disse: "Simone, ho da dirti qualcosa". Ed egli rispose:
"Di' pure, maestro". "Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà
di più?". Simone rispose: "Suppongo sia colui al quale ha condonato di più". Gli disse Gesù: "Hai
giudicato bene". E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: "Vedi questa donna? Sono entrato in
casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha
asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha
cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di
profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco". Poi disse a lei: "I tuoi peccati sono perdonati".
Il vero amore nasce proprio da questa consapevolezza che ti porta a dare il sovrappiù e non di
accontentarsi di quello che si ha o può ricevere. Il fariseo si sente giusto perché ama con calcolo e
regola i suoi rapporti in base ad una giustizia, quasi a dire che l’amore va dato solo a chi se lo merita e a chi può darti qualcosa in cambio. La donna, invece, ha fatto esperienza del vero amore che è
gratuito e non cerca nulla in cambio ma è solo dono. Questo tipo di amore l’ha resa felice e adesso
ella non sa fare altro che amare allo stesso modo dandosi agli altri senza misura e senza cercare nulla in cambio.
Il vivere cristianamente – osservare i comandamenti – diviene un’esigenza e non imposizione,
perché il messaggio di Gesù non è una legge «imposta», ma, per l’opera dello Spirito Santo e per la
comunione che si ha con Gesù, è una comandamento che perfezione quella legge fondamentale presente in ogni cuore (legge morale naturale) e che spinge a non far male a nessuno, ma ad amare ogni
uomo ed ogni donna fino in fondo.
È Gesù il vero samaritano e sul suo esempio di amore universale, anche noi siamo chiamati a
«farci prossimi», soprattutto per coloro che hanno bisogno di noi. L’amore incontrato non può restare inattivo, ma deve andare incontro al fratello, dal momento che se Dio ci ha amato per primo, anche noi dobbiamo amarci ed amare gli altri.
L’amore a Dio, allora, passa attraverso l’amore al prossimo, continuo e costante, visto che
l’esperienza ci dice che non si ama una volta per tutte, perché l’amore è un cammino di ogni giorno,
fatto di crescita e maturazione. L’amore va rinnovato, ridetto, rivissuto verso coloro che sono i destinatari del nostro amore, che non possono essere una cerchia limitata di persone, ma ogni uomo e
ogni donna vive in questo mondo. Dal momento che sappiamo che ogni uomo è «immagine» di Dio
e dal momento che Cristo ha dato la sua vita per tutti, allora l’amore non può guardare alla simpatia
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o alla bellezza o al colore della pelle, ma ogni uomo è degno del mio amore, perché amato prima di
me da Dio stesso.
L’amore che si ha per Dio in Gesù sarà vero se sarà anche per ogni uomo, perché quell’amore
che mi lega a Dio non può escludere nessuno, dal momento che il Dio che io amo non esclude nessuno e se io amo davvero Gesù Cristo, amo davvero anche tutti coloro che lui ama! Così l’amore a
Dio passa per l’amore al prossimo.
Dio ama veramente ciò che è fuori di se perché trabocca di amore pieno dentro di sé. Allo stesso modo chi ama ed è pieno dia amore potrà amare gli altri cercando unicamente il loro bene ovvero
cercando di far si che anche loro vivano una pienezza di amore nei riguardi di Dio e dei fratelli e
delle sorelle. L’amore se porta a chiudersi (sessualmente e affettivamente) non è vero amore, ma
una sua storpiatura. L’amore porta ad aprirsi e a diffondersi, a Dio, agli altri e all’altro, a volere donare una vita nuova ai figli perché ci siano altre persone che possano avere la felicità.
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30 Luglio 2012
La passione è l’inizio dell’ «amore».
Ma solo l’inizio
Nella relazione amorosa, come in ogni conoscenza, vi è un primo movimento, quello della passione, che indirizza la nostra attenzione su un lui o una lei, una scintilla che ci fa posare lo sguardo
su una determinata persona. Reazione chimica o caso o colpo di fulmine, vi è comunque qualcosa di
speciale che accende il nostro essere. Un ragazzo o una ragazza soli tra tutti provocano sensazioni
nuove ed esaltanti e quasi ci inducono ad agire perché queste durino il più a lungo possibile. Questo
è quello che avviene all’inizio di una nuova relazione anche se dobbiamo subito aggiungere che è
necessario che si superi questo stadio e non si cerchi l’altro solo perché questo soddisfa dei bisogni
o rechi belle sensazioni. Una vera relazione è fondata sulla conoscenza dell’altro e sull’amore reciproco, nel rispetto della libertà e della sua storia. Se si agisce solo per passione, invece, si diventa
possessivi e violenti, perché si cerca solo di colmare un bisogno, semmai bello, desiderandolo ad
ogni costo e rendendo quella persona un oggetto di desiderio, più che un soggetto di amore.
Queste dinamiche sono presenti nella cotta quando sorgono sentimenti che portano a volere la
persona desiderata tutti costi. Se dopo anni di relazione si vive ancor di passione e si cerca l’altro
non per se stesso, ma con impeto e sbalzi di umore, allora non si è cresciuti nella conoscenza amorosa. Bisogna far sedimentare questi sentimenti iniziali e approfondirli per vedere se si voglia per
davvero bene a quella persona e il suo bene oppure solo il proprio bene. Se per esempio una persona
che ci attira è già impegnata o se non ci ricambia in nulla o se è un amore impossibile allora bisogna
guardare ad altro nella vita. Se infatti non si elabora la passione e la prima conoscenza sensibile si
può andare in fissa e può capitare di passare interi mesi a pensare ad un amore impossibile solo perché è la sensibilità che lo pretende. E può avvenire che si è così dominati dal desiderio e dalla passione che si faccia di tutto per farsi notare e ottenere quello che si vuole, sfiorando lo stalking, ovvero un accollo affettivo.
La Bibbia ci parla di amori passionali che non sono cresciuti consapevolmente e liberamente
nel rispetto reciproco. Quando la passione è l’unico motore che muove la relazione essa rovina anche le persone mature e dal momento che non vede il bene dell’altro ma solo il proprio piacere, se
non soddisfatta, arriva perfino a desiderarne l’annientamento: «Se non mio, di nessuno».
La sensibilità e la passione ovvero il primo gradino dell’amore
Nella vita di un uomo o di una donna sopraggiunge un momento in cui si ha uno spietato bisogno dell’altro o dell’altra. Questo tempo solitamente si manifesta in maniera incontrollabile durante
la pubertà quando il corpo si avvia alla sua perfezione, si sviluppano in modo completo tutti gli organi (in particolare quelli della riproduzione) e vengono attivate quelle sostanze (ormonali) che aggiunte ad altre mettono in movimento il nostro essere (ormone viene dal greco “mettere in movimento”). All’inizio dello sviluppo quest’esplosione di energia appare ingestibile ed è alla base di
sbalzi di umore ed eccitazione, ma poi, man mano, con il crescere dell’età viene sempre meglio gestita e le energie controllate razionalmente. Nell’adolescenza spesso la testa è altrove e non riesce a
concentrarsi su una lettura o su una faccenda da compiere appunto perché, fatti di un corpo e
un’anima (intesa come intelligenza, volontà e libertà) profondamente uniti, vi è un’influenza reciproca e costante tra le sensazioni, le passioni, la chimica del corpo e la parte spirituale. Siamo degli
spiriti incarnati ovvero esseri che conoscono, vogliono e agiscono, ma inseriti in un contesto di materia per mezzo di un corpo.
Questa unione di anima e corpo è alla base della conoscenza umana sicché in ogni persona ci
sono vari livelli di percezione e apprendimento della realtà circostante a seconda di come essa viene
elaborata in maniera materiale e spontanea (dai sensi) o in maniera astratta e ragionata (dalla men8
te). Vi è infatti una conoscenza sensibile (quella che abbiamo di primo acchito e che deriva dei sensi
esterni come il tatto, il gusto, l’udito, la vista) e vi è una conoscenza più concettuale ed elaborata
che è quella che avviene nella mente.
Per esperienza sappiamo che di fronte agli eventi della vita si reagisce in maniera istintiva a
causa della conoscenza dei sensi corporali come accade, ad esempio, per un rumore improvviso, un
pericolo imminente, un panorama mozzafiato che si para davanti ai nostri occhi: li per li siamo colti
da una sensazione di gioia o di paura anche se non subito comprendiamo quello che avviene; se però elaboriamo razionalmente l’accaduto tutto cambia e il rumore che ci ha spaventato semmai ci fa
sorridere perché scopriamo che è stato causato dal gatto che giocava con la pallina!
La conoscenza sensibile è il primo grado di conoscenza per l’uomo, anche se non può essere
l’unico e guida della nostra vita. Le informazioni che riceviamo per mezzo dei sensi vanno elaborati razionalmente sennò si vivrebbe «al momento», «a seconda degli stati d’animo o delle paure o dei
piaceri (spesso epidermici)». Questo primo stadio di percezione, fatto di quelle sensazioni che abbiamo a pelle e non sono concettuali e ci scatenano amore o odio, piacere o paura, vengono chiamate dalla tradizione della Chiesa «passioni».
Il termine “passioni” appartiene al patrimonio cristiano. Per sentimenti o passioni si intendono le emozioni o moti della sensibilità, che spingono ad agire o a non agire in vista di ciò che è sentito o
immaginato come buono o come cattivo. Le passioni sono componenti naturali dello psichismo umano; fanno da tramite e assicurano il legame tra la vita sensibile e la vita dello spirito. Nostro Signore
indica il cuore dell'uomo come la sorgente da cui nasce il movimento delle passioni (cf Mc 7,21). Le
passioni sono molte. Quella fondamentale è l'amore provocato dall'attrattiva del bene. L'amore suscita il desiderio del bene che non si ha e la speranza di conseguirlo. Questo movimento ha il suo termine nel piacere e nella gioia del bene posseduto. Il timore del male causa l'odio, l'avversione e lo spavento del male futuro. Questo movimento finisce nella tristezza del male presente o nella collera che
vi si oppone. “Amare è volere del bene a qualcuno” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 26, 4]. Qualsiasi altro affetto ha la sua sorgente in questo moto originario del cuore dell'uomo verso il bene. Non si ama che il bene [Cf Sant'Agostino, De Trinitate, 8, 3, 4]. “Le passioni sono cattive
se l'amore è cattivo, buone se l'amore è buono” [Sant'Agostino, De civitate Dei, 14, 7]. CCC 17611766.
La sensibilità e la «passione» mettono in moto il nostro essere, ma vanno guidate dalla ragione
e vissute in maniera umana, nella libertà e consapevolezza. Gli atti che si fanno sotto passione (per
rabbia o per piacere o per paura) non sono mai pienamente umani perché non sono mai azioni pienamente libere, perché fatte sotto una spinta emotiva molto grande.
Sebbene non dobbiamo aver paura delle passioni che proviamo, dobbiamo elaborarle con la
mente e la volontà perché con la spinta e l’energia che ci vengono da esse possiamo agire nella libertà e consapevolezza. Diversamente saremmo come schiavi di una forza che se non domiamo
prenderà sempre più il sopravvento su di noi. Quante persone attorno a noi agiscono di impulso e
senza riflettere? Ciò è dovuto al fatto che hanno rinunciato a controllare la forza delle loro passioni
per cui queste prendono il sopravvento, non lasciando spazio alla lucidità, alla consapevolezza e alla
libertà: quante cose fatte per impulso, a mente fredda realizziamo in seguito che non le avremmo
mai compiute. Chi agisce passionalmente, prima o poi, sarà portato a non ragionare o riflettere più
sulle sue azioni, ma a perseguire solo quello che “sente” che sia meglio per lui, anche se questo
provoca dolore o lede l’altro. Quando accade un omicidio “passionale”, per esempio, si tende ad attenuare la condanna, perché si riconosce che la persona non agiva in pieno possesso della sua libertà.
Dunque nella persona ci sono vari gradi di conoscenza che ci mettono in relazione con il mondo
esterno e con gli altri. Il primo gradino è dato dalla conoscenza sensibile, corporea, che ci provoca
subito paure, gioie o amore, le passioni. le sensazioni a pelle, il colpo di fulmine, la cotta. È questa
la prima finestra con la quale comunichiamo con gli altri e che deve essere elaborata. Queste sensazioni di per sé non sono cattive, a meno che non siano l’unica ragione per cui agiamo. Non possiamo pensare di stare per sempre con una persona solo perché la prima volta che l’abbiamo vista ha
suscitato in noi una tempesta di sensazione: essa va conosciuta, frequentata e valutata per un progetto a due.
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Susanna e i vecchioni vogliosi (Daniele 13,1ss).
Abitava a Babilonia un uomo chiamato Ioakìm, il quale aveva sposato una donna chiamata Susanna,
figlia di Chelkia, di rara bellezza e timorata di Dio. I suoi genitori, che erano giusti, avevano educato
la figlia secondo la legge di Mosè. Ioakìm era molto ricco e possedeva un giardino vicino a casa, ed
essendo stimato più di ogni altro, i Giudei andavano da lui. In quell'anno erano stati eletti giudici del
popolo due anziani; erano di quelli di cui il Signore ha detto: "L'iniquità è uscita da Babilonia per opera di anziani e di giudici, che solo in apparenza sono guide del popolo". Questi frequentavano la
casa di Ioakìm, e tutti quelli che avevano qualche lite da risolvere si recavano da loro. Quando il popolo, verso il mezzogiorno, se ne andava, Susanna era solita recarsi a passeggiare nel giardino del
marito. I due anziani, che ogni giorno la vedevano andare a passeggiare, furono presi da un'ardente
passione per lei: persero il lume della ragione, distolsero gli occhi per non vedere il Cielo e non ricordare i giusti giudizi. Erano colpiti tutti e due dalla passione per lei, ma l'uno nascondeva all'altro la
sua pena, perché si vergognavano di rivelare la brama che avevano di unirsi a lei. Ogni giorno con
maggior desiderio cercavano di vederla. Un giorno uno disse all'altro: "Andiamo pure a casa: è l'ora
di desinare". E usciti se ne andarono. Ma ritornati indietro, si ritrovarono di nuovo insieme e, domandandosi a vicenda il motivo, confessarono la propria passione. Allora studiarono il momento opportuno di poterla sorprendere da sola. Mentre aspettavano l'occasione favorevole, Susanna entrò, come
al solito, con due sole ancelle, nel giardino per fare il bagno, poiché faceva caldo. Non c'era nessun
altro al di fuori dei due anziani, nascosti a spiarla. Susanna disse alle ancelle: "Portatemi l'unguento e
i profumi, poi chiudete la porta, perché voglio fare il bagno". Esse fecero come aveva ordinato: chiusero le porte del giardino e uscirono dalle porte laterali per portare ciò che Susanna chiedeva, senza
accorgersi degli anziani, poiché si erano nascosti. Appena partite le ancelle, i due anziani uscirono
dal nascondiglio, corsero da lei e le dissero: "Ecco, le porte del giardino sono chiuse, nessuno ci vede
e noi bruciamo di passione per te; acconsenti e concediti a noi. In caso contrario ti accuseremo; diremo che un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle". Susanna, piangendo, esclamò: "Sono in difficoltà da ogni parte. Se cedo, è la morte per me; se rifiuto, non potrò scampare dalle vostre
mani. Meglio però per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!". Susanna gridò a gran voce. Anche i due anziani gridarono contro di lei e uno di loro corse alle porte del
giardino e le aprì. I servi di casa, all'udire tale rumore in giardino, si precipitarono dalla porta laterale
per vedere che cosa le stava accadendo. Quando gli anziani ebbero fatto il loro racconto, i servi si
sentirono molto confusi, perché mai era stata detta una simile cosa di Susanna.
In questo racconto vediamo che la passione o la sensibilità non è legata ad un’età giovanile, ma
è sempre viva in tutte le età dell’uomo e il suo potere cresce tanto più, quanto minore è stata la capacità di controllarla e di coinvogliarne le forze per il bene. I due anziani non sono tali solo per
l’età, ma vengono definiti come saggi e sapienti in Israele, gente che è cresciuta nella vita e ha fatto
esperienza. Tuttavia il loro cuore era guasto perché comandato dalla passione e non dalla libertà di
chi usa la testa: «I due anziani, che ogni giorno la vedevano andare a passeggiare, furono presi da
un'ardente passione per lei: persero il lume della ragione, distolsero gli occhi per non vedere il Cielo
e non ricordare i giusti giudizi. Erano colpiti tutti e due dalla passione per lei, ma l'uno nascondeva
all'altro la sua pena, perché si vergognavano di rivelare la brama che avevano di unirsi a lei.»
Chi si lascia dominare dalla passione passa attraverso vari gradi di accecamento, mettendo a tacere ogni regola di morale umana e divina, pur di poter raggiungere l’oggetto desiderato. E poco
importa se per fare questo deve usare del male nei riguardi dell’altro: si perde il lume della ragione
e si distoglie lo sguardo dal cielo, perché i comandamenti divini costringono a tener conto del bene
proprio e altrui e a rinunciare ad ogni progetto di autosoddisfacimento. In questo atteggiamento troviamo la radice del motivo per cui molte persone «perdono la fede», in quanto sanno che se «non
vanno in Chiesa» non devono tener conto di regole morali alte, ma possono far riferimento solo alla
loro passione.
Vivere secondo “la passione del momento” non è vivere da uomini liberi, ma da schiavi che
non tengono conto degli altri, perché si pensa solo al raggiungimento dei propri desideri immediati
ed egoistici.
Come abbiamo già visto la «passione» da sola non può e non deve dirigere la nostra relazione e
il nostro interesse verso l’altro. Bisogna passare su un piano razionale (di intelligenza e volontà)
perché l’amore sia umano e personale. L’amore può nascere dalla sola passione, ma se si ferma ad
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essa non solo non arriverà a voler il bene dell’altro, ma addirittura prima o poi cercherà di annientarlo se non soddisfa al proprio bisogno.
Giuseppe, un ragazzo figo per la moglie di Potifar (Gen 39,1ss.)
Giuseppe era stato portato in Egitto, e Potifàr, eunuco del faraone e comandante delle guardie, un Egiziano, lo acquistò da quegli Ismaeliti che l'avevano condotto laggiù. Il Signore fu con Giuseppe: a
lui tutto riusciva bene e rimase nella casa dell'Egiziano, suo padrone. Il suo padrone si accorse che il
Signore era con lui e che il Signore faceva riuscire per mano sua quanto egli intraprendeva. Così Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e divenne suo servitore personale; anzi, quello lo nominò suo
maggiordomo e gli diede in mano tutti i suoi averi. Da quando egli lo aveva fatto suo maggiordomo e
incaricato di tutti i suoi averi, il Signore benedisse la casa dell'Egiziano grazie a Giuseppe e la benedizione del Signore fu su quanto aveva, sia in casa sia nella campagna. Così egli lasciò tutti i suoi averi nelle mani di Giuseppe e non si occupava più di nulla, se non del cibo che mangiava. Ora Giuseppe era bello di forma e attraente di aspetto. Dopo questi fatti, la moglie del padrone mise gli occhi
su Giuseppe e gli disse: "Còricati con me!". Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: "Vedi, il mio signore non mi domanda conto di quanto è nella sua casa e mi ha dato in mano tutti i suoi
averi. Lui stesso non conta più di me in questa casa; non mi ha proibito nient'altro, se non te, perché
sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?". E benché giorno
dopo giorno ella parlasse a Giuseppe in tal senso, egli non accettò di coricarsi insieme per unirsi a lei.
Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro, mentre non c'era alcuno dei domestici. Ella lo afferrò per la veste, dicendo: "Còricati con me!". Ma egli le lasciò tra le mani la veste, fuggì e se ne andò fuori. Allora lei, vedendo che egli le aveva lasciato tra le mani la veste ed era fuggito fuori, chiamò i suoi domestici e disse loro: "Guardate, ci ha condotto in casa un Ebreo per divertirsi con noi! Mi
si è accostato per coricarsi con me, ma io ho gridato a gran voce. Egli, appena ha sentito che alzavo
la voce e chiamavo, ha lasciato la veste accanto a me, è fuggito e se ne è andato fuori". Ed ella pose
accanto a sé la veste di lui finché il padrone venne a casa. Allora gli disse le stesse cose: "Quel servo
ebreo, che tu ci hai condotto in casa, mi si è accostato per divertirsi con me. Ma appena io ho gridato
e ho chiamato, ha abbandonato la veste presso di me ed è fuggito fuori". Il padrone, all'udire le parole
che sua moglie gli ripeteva: "Proprio così mi ha fatto il tuo servo!", si accese d'ira. Il padrone prese
Giuseppe e lo mise nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re.
Anche in questo brano ci confrontiamo su una relazione voluta caparbiamente sulla sola passione del momento. La moglie di Potifar vuole insistentemente Giuseppe, perché era un giovane bello
e prestante. Ella non lo ama seriamente, non vuole il suo bene, ma lo vede come un oggetto di piacere possibile, forse perché il marito la trascurava. Dinanzi al rifiuto di chi non vuol tradire né la
legge di Dio né l’amicizia del suo padrone, la donna agisce nella passione e invece di cessare perché
non può ottenere ciò che la sua voglia desidera, insiste nel suo comportamento fino a voler egoisticamente la fine di ciò che non può ottenere. Giuseppe rimane il testimone di quel suo sentimento
sbagliato e pertanto deve in qualche modo essere screditato o scomparire perché è un continuo monito per la coscienza. La persona che agisce passionalmente se non può ottenere ciò che vuole, finisce per voler la fine o la morte dell’oggetto desiderato perché non agisce per amore, ma solo per esaudire le sue voglie.
Ribadiamo che avere «passione» non è sbagliato, perché la passione fa parte del nostro essere
umano e della nostra sensibilità, né tantomeno sentire una passione o essere attratti da qualcosa o
qualcuno sia peccato. La cosa si complica se ci si fa guidare dalla passione o dal sentimento e non
dalla volontà, dalla ragione e dalla libertà. In questo caso amare per passione che oggi è visto come
sinonimo di un amore forte, diviene invece espressione di un amore che cerca l’altro solo per soddisfare le proprie voglie in momento di grande turbolenza ormonale e di rifiutarlo quando vengono a
mancare questi stimoli corporali.
È anche questo sta alla base di tante rotture di coppie che dicono che non sentono più l’amore o
non stanno più bene insieme. In realtà esse si sono unite solo per passione o per sentimenti (che
vanno e vengono a seconda degli umori) e non sulla libertà, la volontà e la ragione. In poche parole
hanno cercato l’altro o l’altra solo per soddisfare se stessi e non perché si volevano bene e volevano
il bene reciproco.
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D’altra parte la passionalità, essendo legata ai movimenti più bassi della persona, tende a soddisfare le esigenze legate alla sessualità o meglio alla genitalità piuttosto che quelle che coinvolgono
tutto l’essere come l’intelligenza, la libertà e la volontà che portano a conoscere l’altro, rispettarlo,
aspettarlo, mettere in conto rinunci, accoglierlo così come è e non come vorremo che fosse.
La passione non controllata porta a voler tutto e subito saltando quegli approcci di conoscenza e
rispetto che vedremo più avanti.
Dalla passione all’amore: i gradi della conoscenza ovvero il corteggiamento
L’amore è una qualità di ogni essere: ogni uomo e ogni donna vuole amare ed essere amato e se
qualcuno dice che sta bene da solo, probabilmente ha in sé qualcosa che non va. In sostanza ogni
uomo e ogni donna, anche se non vuole sposarsi, vuole comunque stare con qualcuno. E quando
questo non avviene subito oppure si incontrano ostacoli, comincia la tristezza. Può avvenire anche
che si sublimi questo desiderio focalizzandolo su altri interessi che in realtà coprono questa esigenza, ma non possono sostituirla.
Ora la prima scuola dove si sperimenta un amore dato e ricambiato è quella dell’ambito familiare: papà e mamma sono coloro che mostrano tutto il loro affetto e noi gli vogliamo bene e ci sentiamo al sicuro con loro (a meno che non ci siano casi patologici). Siamo sicuri che il loro amore nei
nostri riguardi non verrà mai meno, che non ci possono deludere mai. La casa è un nido sicuro in
cui crescere… Ma dal nido si vola via. Ad un certo punto sentiamo il bisogno di un amore diverso
da donare e ricevere che non sia quello esistente tra le mura domestiche. Un amore che riguardi tutto noi stessi, la nostra spiritualità e il nostro corpo. Per avere questo però bisogna uscire dal nido e
scegliere e fidarsi di qualcuno su cui non possiamo contare al cento per cento come nel caso dei nostri genitori.
Ci troviamo così di fronte ad un bivio: scegliere e sentirsi vivi (con tutti i rischi che questo
comporta) oppure restare a dormire a casa, in quella sicurezza che sappiamo essere certa. È questa
la piaga dei mammoni, che decidono di stazionare per lungo tempo sotto il tetto paterno per vari
motivi, anche se non di rado la ragione ultima è una fragilità che impedisce di fare un passo avanti,
di rischiare, di scegliere. Chi decide di stare al calduccio del proprio nido, si sente tranquillo, ma
prima o poi andrà in tilt: non farà una scelta libera e decisiva e chi non sceglie è destinato a vivacchiare.
Chi invece viene educato ad amare sa che deve scegliere e fidarsi e che non può trovare sicurezze nella vita come si trovano le conchiglie sulla spiaggia del mare. Il vero amore è libero ed è
frutto di una scelta che sa mettere in discussione i propri pregiudizi e le proprie paure.
Ora la passione è il motore che ci fa uscire fuori di noi e ci fa desiderare altro, ma bisogna educarsi e imparare a crescere nell’amore si che liberamente ci si possa realizzare nell’incontro con
l’altro. Chi mette da parte le proprie paure e “sceglie” riesce così ad incontrarsi nell’altro e
nell’altro in una conoscenza che rafforzerà la fiducia e l’amore: è questo l’ambito del corteggiamento.
Non il primo che capita! Il corteggiamento
Quando ci piace qualcuno e gli mettiamo gli occhi addosso scattano nella nostra testa intere rassegne cinematografiche le cui trame consistono nel mostrarci i modi e le strategie per conquistare
l’altro: la scusa dei compiti, il farsi trovare “casualmente” sullo stesso tragitto di casa, il cercare di
avere quanti più è possibile amici in comune, fare regalini e così via discorrendo sono tutte macchinazioni che hanno il fine di farsi notare e poter aver grandi chance di conquista. Le tecniche variano
da persona a persona e risentono della timidezza (o sfrontatezza di ciascuno). In un linguaggio più
antropologico e romantico quest’atteggiamento lo chiamiamo «corteggiamento» (presente anche in
altre specie animali) in cui si sceglie il partner o la persona amata con il fine di far sbocciare
l’ardente e sperato desiderio di stare insieme.
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Il corteggiamento è una cosa seria e una tappa fondamentale nell’amore e nella scelta della persona amata. Ha suoi tempi e i modi per essere vissuto serenamente e non deve essere “bruciato” con
scelte e azioni che non appartengono a questo primo stadio dell’amore. Ma come si conquista l’altro
o l’altra? La Bibbia ci regala alcuni esempi di “conquista”.
Isacco si conquista Rebecca (Gen 24)
Nella Bibbia troviamo che Abramo, ad un certo punto, si sente benedetto da Dio e carico di doni. Oramai ha anche un figlio che è il segno della promessa di Dio che si è realizzata. Viene però il
momento in cui desidera trovare una buona moglie per suo figlio Isacco e, come da consuetudine, la
cerca tra quelle che appartengono alla sua stessa tribù. Manda così il suo servo fidato dai suoi parenti.
Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e, portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone,
si mise in viaggio e andò in Aram Naharàim, alla città di Nacor. Fece inginocchiare i cammelli fuori
della città, presso il pozzo d'acqua, nell'ora della sera, quando le donne escono ad attingere. E disse:
"Signore, Dio del mio padrone Abramo, concedimi un felice incontro quest'oggi e usa bontà verso il
mio padrone Abramo! Ecco, io sto presso la fonte dell'acqua, mentre le figlie degli abitanti della città
escono per attingere acqua. Ebbene, la ragazza alla quale dirò: "Abbassa l'anfora e lasciami bere", e
che risponderà: "Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere", sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò che tu hai usato bontà verso il mio padrone". Non aveva ancora finito di parlare, quand'ecco Rebecca, che era figlia di Betuèl, figlio di Milca, moglie di Nacor, fratello
di Abramo, usciva con l'anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d'aspetto, era vergine, nessun uomo si era unito a lei. Ella scese alla sorgente, riempì l'anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: "Fammi bere un po' d'acqua dalla tua anfora". Rispose: "Bevi, mio signore". In fretta
calò l'anfora sul braccio e lo fece bere. Come ebbe finito di dargli da bere, disse: "Anche per i tuoi
cammelli ne attingerò, finché non avranno finito di bere". In fretta vuotò l'anfora nell'abbeveratoio,
corse di nuovo ad attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui. Intanto quell'uomo la contemplava in silenzio, in attesa di sapere se il Signore avesse o no concesso buon esito al suo viaggio.
Il servo è contento perché il Signore lo ha esaudito e può così prendere i contatti con i familiari
di lei per concordare l’incontro con il promesso sposo e ritorna da Abramo con Rebecca.
Poi mangiarono e bevvero lui e i suoi uomini e passarono la notte. Quando si alzarono alla mattina,
egli disse: "Lasciatemi andare dal mio padrone". Ma il fratello e la madre di lei dissero: "Rimanga la
giovinetta con noi qualche tempo, una decina di giorni; dopo, te ne andrai". Rispose loro: "Non trattenetemi, mentre il Signore ha concesso buon esito al mio viaggio. Lasciatemi partire per andare dal
mio padrone!". Dissero allora: "Chiamiamo la giovinetta e domandiamo a lei stessa". Chiamarono
dunque Rebecca e le dissero: "Vuoi partire con quest'uomo?". Ella rispose: "Sì". Allora essi lasciarono partire la loro sorella Rebecca con la nutrice, insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini. Benedissero Rebecca e le dissero: "Tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti le città dei suoi nemici!". Così Rebecca e le sue ancelle si alzarono, salirono sui cammelli e seguirono quell'uomo. Il servo prese con sé Rebecca e partì. Intanto Isacco rientrava dal pozzo di LacaiRoì; abitava infatti nella regione del Negheb. Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campagna
e, alzando gli occhi, vide venire i cammelli. Alzò gli occhi anche Rebecca, vide Isacco e scese subito
dal cammello. E disse al servo: "Chi è quell'uomo che viene attraverso la campagna incontro a noi?".
Il servo rispose: "È il mio padrone". Allora ella prese il velo e si coprì. Il servo raccontò a Isacco tutte
le cose che aveva fatto. Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l'amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre.
In questo antico racconto possiamo vedere alcuni aspetti che possono interessare la nostra riflessione sul corteggiamento e sull’amore. Sono elementi simbolici che però possono darci degli
stimoli per mettere in atto delle tecniche buone e utili quando ci avviciniamo ad una persona (e non
solo per corteggiarla).
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Il Pozzo ovvero il luogo dell’incontro
Innanzitutto vediamo che l’incontro avviene nei pressi di un pozzo. Il pozzo, nella Bibbia, è un
luogo citato diverse volte e ha un significato tutto particolare. In un paese caldo e desertico come il
Medio-Oriente, i punti di raccolta di acqua sono fondamentali perché garantiscono vita e sopravvivenza. Solitamente si possono trovare sia delle cisterne (che sono fosse costruite per la raccolta
dell’acque piovane) sia dei pozzi (che invece raccolgono l’acqua viva, del sottosuolo). Chi aveva un
pozzo era ricco e fortunato, tanto che potevano nascere delle guerre tra le varie tribù per accaparrarsene uno (cf Gn 26,19), mentre se si voleva compiere un atto ostile nei riguardi di qualcuno era necessario riempire di terra il suo pozzo (Gen 26,15; 2Re 3,19). Il pozzo era costituto da una buca su
cui veniva posta una grande pietra e spesso veniva nascosto perché solo quelli che ne conoscevano
l’esatta ubicazione potessero usufruirne. Erano circondati da abbeveratoi perché anche il bestiame
potesse agilmente bere (Gen 24,11; Es 2,16; Giud 5,11). Il pozzo era così luogo di vita e di incontro
o al mattino presto o al tramonto quando il caldo del giorno era ormai passato. Attorno al pozzo si
incontrano molti personaggi biblici e anche Gesù, almeno in un’occasione, si intrattiene a parlare in
prossimità di esso.
Il pozzo diviene allora il simbolo della possibilità di incontrare l’altro o l’altra. Spesso tante
persone si lamentano che non hanno il «ragazzo» o la «ragazza»! Non conviene forse a quel punto
interrogarsi se si frequentano i pozzi giusti per incontrare qualcuno (feste, comitive, luoghi di ritrovi)? Il servo chiede a Dio di far un felice incontro, mentre spesso noi aspettiamo il principe azzurro
o la donna della vita seduti su una poltrona. È importante invece frequentare i «pozzi» per incontrare le persone, ma attenzione a frequentare i «pozzi» giusti. Perché può capitare che questi pozzi noi
li abbiamo sotterrati oppure non sappiamo più riconoscerli.
Può anche capitare che invece di soffermarci vicino a dei pozzi ci accostiamo alle cisterne che
sono la metafora delle solite amicizie che da una parte possono essere delle belle situazioni esistenziali, d’altra possono impedirci di conoscere ed aprirci a qualcosa di nuovo. Bisogna invece frequentare il pozzo e pozzi nuovi, ovvero aprirsi all’altro e non ammuffirsi nei soliti pettegolezzi che
diventano l’unica cementazione dei rapporti con i nostri pochi e fedeli amici o amiche. E non è “raro” che amicizie di ferro e annose si rompano perché uno o una ha trovato il suo amore: in questo
modo il cuore si apre a nuove esperienze e ai suoi occhi diviene meschino quel giro di amicizie che
prima di allora sembrava vitale e necessario. Se da una parte i gruppetti piccoli di amici si rafforzano spesso nella misura in cui si contrappongono agli altri, d’altra le persone che ne fanno parte vengono danneggiate perché in questo modo vivono una insana alleanza che può impedire ogni tentativo di crescita e apertura che spesso è visto come un attacco alla stessa amicizia o un allontanamento
da essa.
Dunque quali pozzi si frequenta di solito? Sono luoghi di incontro e di crescita o di guerra e di
chiusura agli altri? Si è davvero disposti ad aprirsi e ad accogliere lo straniero, così come ha fatto
Rebecca, con i suoi gesti gentili e gratuiti, sapendo che in quest’atteggiamento può nascondersi la
possibilità di conoscere persone magnifiche? Non lo sapremo mai se non ne facciamo la prova.
Ma non bisogna solo fermarsi al pozzo. Bisogna anche comportarsi nella maniera più opportuna. Rebecca al pozzo ha avuto atteggiamenti di gratuità, bontà e libertà. Si è mostrata matura e responsabile e non ha avuto paura di lasciare la sua famiglia e fidarsi dell’altro aprendosi alla possibilità di raggiungere la sua felicità. Allo stesso modo anche noi, ai pozzi della nostra vita, dobbiamo
avere il coraggio di non presentarci sempre con chiusure e pregiudizi, ma dovremmo cercare di vivere quei momenti nella libertà, nella gratuità e nella fiducia evitando l’ossessione di chi crede di
incontrare solo individui che vogliano usarci o tradirci, e abbracciando la speranza che ci sono ancora persone che vogliono renderci felici perché ci vogliono bene. Per far questo dobbiamo spogliarci di tanti pregiudizi e paure, uscire dalle case delle nostre certezze.
E un po’ come quando si è piccoli e si dipende da quello che dice mamma o papà oppure i propri fedelissimi amici. Se non ci si stacca da questo mondo e non avviene un momento in cui ci stacchiamo dai giudizi degli altri e decidiamo di testa nostra, senza correre dagli altri per ogni cosa, non
si faranno incontri rilevanti.
Solitamente è intorno ai vent’anni che bisogna aver maturato questa indipendenza, in caso contrario la vita non sarà semplice perché si perderanno occasioni di incontri importanti non essendo
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avvenuta la «desatellizzazione» ovvero quell’uscire dall’orbita di affetti, amicizie e parentele di ogni giorno per esplorare il mondo circostante. Quante volte, uomini e donne sposate da tempo, per
ogni piccolo problema ritornano da mamma o papà, ma se è vero che l’affetto dei genitori o degli
amici non deve essere negato, non può nemmeno essere una schiavitù che condiziona le nostre scelte.
Gesù conquista la Samaritana (Gv 4)
In questo brano viene riportato l’incontro di Gesù con una Samaritana che appare una donna
molto difficile da conquistare e piena di pregiudizi (e tra l’altro il tutto si svolge nei pressi di un
pozzo). Come cristiani dobbiamo guardare a Gesù come un modello anche nelle sue relazioni con
gli altri. Anche noi, quando ci avviciniamo a qualcuno, dobbiamo ricordarci che ci avviciniamo alla
sua libertà, per cui dobbiamo tenere presenti tante piccoli indicazioni che sfuggono a chi è egoista e
narcisista.
Di passaggio teniamo presente che i Samaritani agli occhi dei Giudei erano degli eretici, considerati impuri e nemmeno fratelli della fede perché avevano una religione e un tempio tutto loro non
riconoscendo Gerusalemme e pur avendo in comune i libri più importanti della Bibbia.
Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a
Giuseppe suo figlio: qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva
presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice
Gesù: "Dammi da bere".
Se vogliamo conoscere qualcuno dobbiamo fermarci. Sederci. Non basta solo cercarsi i luoghi
di possibili incontri (come i pozzi), ma bisogna anche avere la pazienza di aspettare e ascoltare
l’altro e senza fretta. L’amore va atteso e percepito. Nella vita siamo invece presi da molte - troppe cose che anteponiamo al rapporto con gli altri e quindi all’amore: viene prima lo studio, il lavoro, la
casa, la macchina ecc… per cui convogliamo tutte le forze ad ottenere questi traguardi e a raggiungerli nel modo più veloce possibile, dimenticando le cose più importanti come l’altro, come
l’amore. Nella vita bisogna sedersi. Fermarsi. L’amore non è una cosa scontata, va cercato, atteso,
vissuto. Con calma e serenità. E se tante persone, nonostante abbiano raggiunto molti obbiettivi nella vita, non sono felici, ciò è dovuto al fatto che hanno smarrito la cosa che davvero rende felici.
Vi è un momento o una data o un giorno, «circa mezzogiorno», in cui incontriamo l’altro. È
un’opportunità e un’occasione diversa dalle altre. L’incontro non è mai casuale, ma è frutto di circostanze e coincidenze che solo apparentemente sembrano accidentali. Ognuno di noi ha la sua occasione, dono di Dio. Il problema è saperla cogliere, intercettarla. Non ogni tempo è quello giusto
per incontrare l’altro, tant’è che a volte - con grave danno - vogliamo affrettare l’incontro con
l’altro o l’altra oppure ritardiamo all’infinito (per paura o timidezza) l’incontro perdendo
l’occasione propizia di entrare nella sfera della sua libertà o dei suoi interessi. E bisogna «buttarsi»
talvolta.
I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice:
"Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti
non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui
che ti dice: "Dammi da bere!", tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva".
Come trovare la possibilità dell’incontro? Gesù chiede da bere indicandoci che una via
all’amore è quella che porta a «farsi bisognoso» dell’altro e a creare una scusa perché l’altro si interessi di noi e ci ponga la sua attenzione. Dare all’altro o all’altra la possibilità di farmi del bene: è
questo l’inizio dell’amore, della carità. Talvolta però appariamo autosufficienti, anzi in maniera più
o meno esplicita ostentiamo a gli altri una nostra autosufficienza comunicandogli che non abbiamo
bisogno di loro! In questo modo non entreremo mai in dialogo con le libertà altrui.
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Quando si comincia una relazione non ci devono essere persone che disturbino o diano consigli
saggi e sperimentati (volti spesso a troppa prudenza o sfiducia!). E i discepoli infatti non ci sono in
questa scena. Può capitare che il dialogo a volte inizi tra pregiudizi e superficialità (si inizia con il
piede sbagliato), ma non sono queste motivazioni bastevoli a fermarci. La Samaritana risponde in
modo sgarbato a chi gli chiede un po’ d’acqua! Il pregiudizio nei confronti dell’altro ci chiude le
strade a magnifici incontri.
Stabilito il contatto Gesù può condurre la donna su livelli di conoscenza sempre più profondi e
la invita a chiamare suo marito (ma vedremo che la situazione affettiva della Samaritana è disastrata). Per poter decollare, ogni incontro deve far chiarezza nel proprio intimo, fare verità su quelle situazioni che ci portiamo dentro e che complicano il rapporto con gli altri. Fin tanto non faremo
chiarezza sulle nostre paure e sui nostri pregiudizi, non instaureremo mai relazioni solide: la chiusura e l’isolamento («sto bene da solo»!) è il primo nemico che ci impedisce di conoscere l’altro.
«Gli risponde la donna: "Io non ho marito". Le dice Gesù: "Hai detto bene: "Io non ho marito". Infatti
hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero".».
Quando vediamo o veniamo a conoscenza di cose sgradite che l’altro o l’altra ha fatto, tendiamo subito a giudicare! Gesù non taccia di «bugiarda» la Samaritana, ma è molto delicato nel farle
vedere con occhi diversi la sua situazione.
«Gli replica la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta!». Sei una persona speciale per me!
Non sempre il fine di ogni incontro è stabilire una sana relazione. Non è raro che - specialmente nei
ragazzi - il traguardo d’amore più ambito è portarsi a letto la ragazza e parlare di questa esperienza
con gli altri maschietti come farebbe un cacciatore che racconta dei suoi trofei agli amici. L’uomo e
la donna sono diversi tra loro ed anche la cultura odierna non aiuta a vivere bene le prime relazioni
amorose, mettendo l’esperienza sessuale come una tappa ovvia e precoce nel rapporto con i due. E
non è raro che dopo il primo rapporto le cose cambino (per l’uomo la donna può anche divenire un
usa e getta, per la donna l’esperienza è più profonda e non è raro che dopo un rapporto e uno «sfidanzamento» le ragazze trovino difficile ricominciare una nuova storia). Nelle prime tappe della relazione bisogna fare spazio alla conoscenza e alla frequentazione, perché se entra in gioco il sesso
lo sguardo non sarà più speciale e gli incontri non avranno più quel vento di novità.
Quando si incontra una persona speciale che ti guarda con occhi diversi, tutto cambia. Crollano
i pregiudizi e il cuore assapora una gioia nuova che si deve comunicare agli altri. «La donna intanto
lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto
quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?".»
La donna pagana che conquista Gesù (Mt 15,21-28).
Insistere, insistere, insistere (senza fare stalking)
Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco, una donna cananea, che veniva
da quella regione, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio". Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: "Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!". Egli rispose: "Non sono
stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele". Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: "Signore, aiutami!". Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". "È vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che
cadono dalla tavola dei loro padroni". Allora Gesù le replicò: "Donna, grande è la tua fede! Avvenga
per te come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.
È particolare questo brano che mostra un Gesù molto discostante che addirittura offende la
donna chiamandola «cane» che non è una bella cosa (per un orientale è addirittura un insulto). In
molte storie il corteggiamento deve avere quest’insistenza, senza arrivare allo stalking, e non deve
fermarsi ai primi rifiuti. D’altro canto, non è vero che molti amori nascono verso persone che da
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prima ci davano vibrazioni negative? Quante persone che sulle prime rifiutiamo, poi man mano, conoscendole, addirittura ce ne innamoriamo.
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31 Luglio 2012
Alla caccia del principe azzurro o della principessina
Le regole per cominciare una relazione
Una volta che vi è stato il colpo di fulmine si deve cercare di instaurare una relazione. Ma quali
sono le qualità e le regole perché si cresca in quest’amore? A volte diamo per scontata una nuova
relazione relegandola alle emozioni e ai sentimenti. Ci si lascia trasportare dal classico «colpo di
fulmine» (e questo è normale), ma non si cerca di far maturare le giuste qualità che rendono sincero
un rapporto d’amore. Dopo la prima attrazione, infatti, uno dovrebbe serenamente e cordialmente
farsi alcune domande. Eccole di seguito.
1) È un amore possibile?
Può capitare che si sia affascinati da un uomo o una donna per particolari che ci colpiscono. A
questa prima attenzione, però, dobbiamo far seguire delle riflessioni: è un amore possibile? Perché
può darsi che la persona sia già impegnata (è sposata o è un prete o ha un altro impegno). Se queste
sono le premesse è necessario rinunciarvi a tutti i costi. È dannoso nutrire nella speranza sentimenti
di un eventuale amore che frustrerebbero solo la mente e il cuore.
Un esempio da… internet.
Cara xyz mi vergogno a dirlo ma mi sono iscritta al forum per il tuo stesso motivo anche io come te
vorrei esprimere quello che provo in una canzone ma ancora non ho trovato la canzone giusta che
riesce ad esprimere tutto l'amore che ho per lui e tutto il dolore che ho dentro… non so come fare tra
2 mesi mi sposo e l'unica persona che vorrei vicino a me per sempre celebrerà le mie nozze che
scherzo mi ha fatto la vita… mi sto autodistruggendo ho paura e non so che fare più lo guardo e più
mi rendo conto di quanto lo amo ma questo grande amore non potrà mai essere corrisposto lui ama
Dio e di fronte a Lui io non sono nessuno… l'unica soluzione è quella di sposarmi e nel momento in
cui dovrei dire SI penser a lui, al'unico uomo che mi fa stare bene, mi fa ridere mi completa… ho
sempre cercato lui e ora che l'ho trovato l'ho già perso… io non parole per descrivere il mio dolore e
non so come far a sposare un ragazzo che ho amato tanto ma ora non amo più…ciao a presto.
Queste situazioni frustranti non sono poi tanto rare ed evidenziano proprio l’errore che sta alla
base di un amore egoistico che vuole a tutti costi un amore (impossibile). Se queste sono le premesse bisogna aver il coraggio di smettere subito per non entrare in un circolo di sofferenza interiore ed
inguaribile.
Non dimentichiamo poi anche un'altra situazione possibile ovvero quella dell’amore nonostante
tutto. C’è chi, per lo più ragazze, si innamora di persone che non sono proprio affidabili dal punto di
vista affettivo. Allora non importa a quale prezzo uno sta insieme e se vi siano stati episodi riprovevoli per cui si va a letto anche se si tradisce in maniera nota o nascosta il proprio partner o la propria
partner: l’amore è tale (una volta si diceva «è cieco») da “sopportare” tutto, ma non per questo è un
vero e sano amore. Non parliamo poi di quando si fa di tutto per prendere per sé la persona desiderata mettendola in situazioni di imbarazzo e di intimità (quasi a costringerla a manifestare un amore
che non c’è). Può capitare anche l’inverso ovvero che una persona sposata o già impegnata ne corteggi un’altra affermando di aver trovato in lei il vero amore. Dobbiamo però chiederci: se da impegnato questa si comporta in tal modo, c’è da stupirsi che ripeta lo stesso atteggiamento con il nuovo
amore?
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2) È un amore onesto?
Una situazione simile a quella precedente nasce quando ci si intromette in una storia d’amore
stabile. Non bisognerebbe mai immischiarsi, spontaneamente, anche se la coppia sta passando un
periodo difficile. Peggiore è l’atteggiamento di chi si intromette per rubare il “ragazzo” o la “ragazza”. Non è impossibile infatti che si subisca poi la stessa sorte.
3) Chi deve prendere l’iniziativa? Chi ama di più!
Spesso le «storie» non nascono perché nessuno dei due interessati prende l’iniziativa di “dichiararsi”. Una volta si diceva che era l’uomo che doveva corteggiare, ma per fortuna i tempi sono
cambiati. Se uno si sente il cuore in subbuglio, se comincia a pensare a quella persona perché attratta da lei e se tale attrazione è sana: ci si rimbocchi le maniche! Subito.
4) Essere presente, ma non invadente.
La relazione amorosa fa incontrare due mondi e due libertà, talvolta affini, talvolta opposti (il
che non significa inconciliabili). Bisogna avere la bravura allora di essere presente all’altro, instaurare una calda e tenera amicizia (preludio all’amore di coppia), ma nello stesso tempo mai forzare
l’altro o l’altra nella sua libertà e nelle sue manifestazioni. Perché la reazione a questa forzatura
(quando vogliamo che l’altro o l’altra facciano come diciamo noi) è spesso negativa, e più la si forza più si trova una chiusura.
5) Simboli che ricordino l’amore
Man mano che si cresce nella conoscenza è bello anche scambiarsi piccoli regali che possano
far ricordare, anche nell’assenza, la persona amata. Una penna che si usa spesso, un braccialetto,
ecc… Ogni volta che si vede quell’oggetto o quel regalo si riscalda il cuore. La scelta dei doni sarà
sempre più azzeccata nella misura in cui la conoscenza dell’altro e dei suoi gusti aumenterà. Verrà
poi un momento in cui bisogna crescere anche in quest’aspetto cercando di fare un serio cammino
insieme per verificare se questa tenera amicizia sfocia nell’avere un amicone o un’amicona, o a
qualcosa di più serio.
6) Un amore diverso a seconda dell’età
L’amore non è uguale ad ogni età. Da piccoli si gioca molto di fantasia e immaginazione.
Nell’adolescenza i sentimenti sono impetuosi: “sei la vita mia! mi fai impazzire! Non posso vivere
senza di te!” oppure in negativo “non sei nulla per me! ti odio! non ti sopporto!”. Dopo i vent’anni
(o anche più) non è che si raffredda l’amore, ma emergono meglio quelle qualità fondamentali che
portano ad un rapporto stabile e fedele. Si comincia a guardare l’altro o l’altra con gli occhi
dell’esperienza, della ragione e, perché no, della fede. La si vede come un capolavoro, un mistero,
un fratello o una sorella nella fede, qualcuno per il quale Gesù ha dato la sua vita. Se
nell’adolescenza, per forza di cose, si è attratti per primo dalla bellezza e dalla prestanza, dopo le
cose si invertono e si dovrebbe guardare il proprio amore con occhi nuovi, senza pregiudizi, volgendosi a quelle qualità che fanno bella una persona dentro.
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7) L’amore va imparato
Abbiamo già visto che l’amore è una realtà che costituisce la persona umana. Ognuno di noi, in
quanto è persona, ama. Detto questo però non significa che sappiamo come si ama. Molto influisce
nel nostro modo di relazionarci agli altri gli esempi che abbiamo avuto dinanzi ai nostri occhi nella
nostra crescita a cominciare dal modo con cui i nostri genitori ci hanno mostrato il loro amore. È un
po’ come leggere e scrivere o andare in bicicletta: tutti possono imparare, ma non tutti imparano allo stesso modo. Nella sfera amorosa siamo debitori degli altri e nello stesso tempo educatori. Un
giorno anche noi diventeremo papà o mamme o educatori e avremmo il grave compito di insegnare
ai nostri figli come si ama e ci si relaziona agli altri. L’amore è un’arte, per così dire, e nessuno deve sentirsi maestro o migliore degli altri, perché tutti crescono continuamente in questa meravigliosa realtà umana, talvolta anche sbagliando, nella consapevolezza che non si arriverà mai al colmo
della misura.
8) La paura di ritentare
Specialmente nell’adolescenza gli amori vanno e vengono, ma più si cresce più le relazioni si
caricano di sentimenti e aspettative per cui un’eventuale rottura può avere delle conseguenze inaspettate. In primo luogo si può creare un senso di sfiducia e chiusura nei confronti di tutti (eccetto
degli amici e delle amiche più intime) che rende difficile e sospettoso ogni nuovo approccio; può
anche avvenire che uno si butti immediatamente in una nuova avventura amorosa senza aver elaborata la sua prima esperienza. Che fare? Bisogna aver il coraggio di fermarsi per un po’ e riflettere
sul motivo di un fallimento. Specialmente quando uno vede di avercela messa tutta deve soffermarsi
sugli sbagli commessi e sulle possibilità di una ricucitura. Se in amore ci si brucia spesso, prima o
poi, si perde il sapore delle cose.
9) La differenza sessuale è fondamentale
L’uomo e la donna, sono sessualmente differenti e questa diversità condiziona necessariamente
il modo di vedere le cose: c’è una visione maschile del mondo e una femminile. Tale diversità da
una parte è una ricchezza, perché è un completamento, mentre dall’altra rischia di essere fonte di
sofferenza. Non si può pretendere da una donna di avere le stesse sensazioni di un uomo e viceversa. E spesso quando si pretende che l’uno abbia le stesse concezioni dell’altro si sta facendo una vera e propria violenza. Bisogna venirsi incontro, senza voler cambiare la natura delle persone, ma
questo implica maturità e ascolto. Il maschile e il femminile sono due mondi diversi, che si completano, ma non si annullano. Un errore della cultura odierna, quando parla di parità sessuale, è quello
di volere arrivare ad un mascolinizzazione della donna o peggio ad una neutralità di genere dove il
maschile e il femminile non esistono più.
10) Siamo persone… Anche l’occhio vuole la sua parte
C’è un aspetto nella relazione che non va sottovalutato, ma nello stesso tempo va’ vissuto anche
cristianamente (cosa che vedremo più avanti a proposito delle virtù dell’amore): stiamo parlando
dell’aspetto fisico. Il corpo è la dimensione grazie alla della quale entriamo in contatto con le altre
libertà ed intelligenze. E se è vero che bisogna guardare alla bellezza interiore, è anche vero che
l’occhio vuole la sua parte per così dire. È importante, soprattutto per una donna, anche il vestire
bene e sapersi presentare bene. E non abbiamo paura di dire che deve far emergere la sua femminilità. Oggi, anche a causa dell’abbigliamento casual, si è persa questa dimensione. Ma una gonna, un
trucco leggero non fa male per farsi notare. Ovviamente che non si scada nell’ostentazione della
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carne perché non si deve provocare il maschio nella tentazione, ma semplicemente attrarne
l’attenzione. Nella Bibbia ci sono molti esempi a riguardo.
11) Corteggiare è socializzare: uscire per incontrare
Quando si corteggia una persona si mettono in atto tecniche e modi di fare che non vedrebbero
mai la luce in altre occasioni. Chi si innamora non ha paura di nulla, anche rischiando figuracce,
perché si sente vivo e vuol fare di tutto per agire. Il corteggiamento, che apre al fidanzamento è
un’arte. È un modo per far emergere tutto il meglio che è in noi. L’innamoramento e il corteggiamento ci fa uscire da noi stessi e ci fa capire che abbiamo bisogno di qualcuno, di uno simile a noi
che ci faccia compagnia. Lo abbiamo scolpito nel nostro essere come ci dice la Genesi (2,21-25)
Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo,
una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: "Questa volta è osso dalle mie ossa, carne
dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta". Per questo l'uomo lascerà suo
padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne. Ora tutti e due erano nudi,
l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna.
L’uomo non è stato creato per esistere da solo ma per ritrovarsi con qualcuno e a questo fine è
spinto come da una forza più grande di lui. Ora il corteggiamento è conseguenza di una scoperta,
perché si conosce un amore più grande e diverso da quello familiare e per il quale si è disposti a tutti. Ma se non si abbandona (si ridimensiona) il legame e l’amore genitoriale non si potrà mai amare
l’altro in pienezza e sincerità. Vi è la necessità di abbandonare una vita, delle sicurezze per cominciare una nuova avventura, un nuovo rapporto di fiducia. Il corteggiamento è l’inizio di questo percorso di maturità. È il tempo della conoscenza e della frequentazione. Gli amori a distanza in questo
senso non sono proprio la condizione migliore per crescere, perché è necessaria la vicinanza e
l’incontro interpersonale. Quando due si amano e uno deve andare lontano per qualche settimana
non si può non restare insofferenti per questa mancanza che non può essere colmata né da messaggini né da altro.
12) Dal corteggiamento al fidanzamento
Vi è un momento poi in cui si passa dall’amicizia a qualcosa di più serio. Il fidanzamento deve
far uscire dall’ambiguità dell’amicizia profonda perché mira a qualcosa di più profondo, più coinvolgente. Se non si fa questo passo si rischia sempre di vivere una linea d’ombra che non ci fa accedere definitivamente all’altro. Il matrimonio sarà il coronamento totale di questa vicinanza, sia spirituale sia carnale ed esprimerà così quell’unione piena che solo in esso è possibile perché riguarda
tutte le dimensioni della persona, compresa quella fisica.
Quando due persone si scelgono creano un mondo tutto loro con messaggi e codici noti solo ad
essi in uno scambio di emozioni positive e negative. Ora tale legame deve essere mantenuto anche
nelle difficoltà osservando quelle regole che tacitamente si sono costruite, per cui anche lo stesso
litigare se da una parte non va bene, dall’altra diviene un momento di purificazione o confronto: le
coppie peggiori sono quelle che non litigano mai perché non hanno nulla su cui confrontarsi. Inoltre
Alcune coppie legano il mantenimento della loro relazione alla funzione erotica, ma questo legame
è troppo fragile per costituire la cementazione di una relazione.
13) Scegliere uno a cui affidare la propria vita: una persona responsabile
Una cosa che viene poco considerata nel rapporto a due è quella della responsabilità reciproca.
Quando ci si innamora dell’altro raramente ci si chiede se questi saprà essere responsabile
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dell’amata o dell’amato, custode di sé e del partner. L’amore ed una relazione stabile cambiano le
condizioni del rapporto per cui nessuna realtà della vita dell’uno diverrà indifferente all’altro. Questo significa che si deve aver cura dell’altro, ma implica anche il dovere di verificare il grado di responsabilità che il fidanzato o la fidanzata ha nella vita di tutti giorni ovvero come si comporta nel
privato, in famiglia, a scuola, con gli amici. Una persona responsabile la si individua subito perché
vive in maniera piena la sua vita, mentre se è disordinata o facile o sregolata o indisciplinata bisognerà chiedersi seriamente se ci si potrà fidare e affidare la propria vita.
14) Per un rapporto a due bisogna essere pronti e maturi
Un rapporto a due per essere bello deve esigere una maturità di fondo di entrambi. Quando vi è
uno dei due che recrimina o si lamenta dell’altro perché questi non capisce le proprie esigenze o
vuole sempre qualcosa, allora dobbiamo pensare che ci troviamo di fronte ad una personalità immatura. Di fronte a questa situazione c’è il rischio che il partner venga ad avere non più un ruolo per
così dire sponsale, di compagno di viaggio, ma materno o paterno, come quando ci si trova di fronte
ad un bambinone che non vuole crescere ma esige solo attenzioni.
E difatti molte relazioni sono instabili e non si reggono perché le persone che le intraprendono
sono immature. Ora se è vero che la maturità è un percorso di una vita, tuttavia dobbiamo dare per
scontato un minimo di equilibrio affettivo necessario perché si possa vivere serenamente un rapporto. Solo così si può giungere ad un amore maturo, anche se dopo un viaggio interiore, che rimane la
condizione necessaria che porta la persona a cercare l’altro non per egoismo o per colmare semplicemente dei vuoti, ma quando si è consapevoli che amare è donarsi.
15) Un amore maturo è sempre tenero
Espressione di una maturità affettiva è la tenerezza che esprime un affetto responsabile e fa emergere il partner come una persona cara e importante. Anche nella tenerezza si cresce sempre più
in parole e gesti più intimi che trovano il loro culmine nella donazione sessuale propria del matrimonio dove lo scambio è pieno, completo e reciproco. Le coccole, la prossimità, un linguaggio fatto
di codici e riferimenti, i soprannomi sono gradi di conoscenza dell’altro sempre più profondi e intimi. Purtroppo capita che la tappa della tenerezza venga bruciata stravolgendo un po’ il rapporto paritario che dovrebbe consolidarsi nel tempo. Questo è tanto più deleterio nei fidanzamenti tra adolescenti dove non è possibile una vera relazione alla pari dal momento che si dipende ancora dalla
famiglia. Accade così che a 15 anni ci si innamori di una persona pensando che essa sia tutto il proprio mondo. Ma si vive ancora tra mille dipendenze e senza la capacità di prendere decisioni importanti dovendo fare i conti con mamma e papà e compagnia bella. In questa fase di crescita è normale
legarsi per lungo tempo a ragazzi e ragazze che conosciamo da anni, ma in tal caso più che innamoramento questa è una profonda amicizia. Così avviene che sia lui sia lei ad un certo punto allarghi il
proprio orizzonte e veda altre persone belle. Così si continua a stare insieme a tutti i costi aumentando le tenerezze e le attenzioni (anzi spesso in queste situazioni pur di legarsi si ha anche il primo
rapporto pensando che donandosi tutto l’altro diventi una proprietà), ma tale atteggiamento non è di
reciprocità, bensì è di svendita.
In questo caso la tenerezza diviene una forzata possessione per evitare che l’amato fugga altrove. Ora se una persona, specie nell’adolescenza, allarga i suoi orizzonti affettivi, non la si può tenerla legata a tutti i costi, ma si deve crescere nel rapporto paritario e nella maturità. Tanto più se questo avviene in un’età dove la relazione si fonda sostanzialmente su una bella cotta, un’infatuazione
o un’amicizia di lunga data un po’ ambigua.
La tenerezza è così un cammino fondamentale molto delicato e discreto nel fidanzamento il cui
scopo e quello di conoscere l’altro sempre più fino ad accoglierlo ed assecondarlo anche in situazioni che non piacciono all’uno, ma sono gradevoli all’altro. Può capitare, ad esempio, che a lei non
piacciano gli amici di lui; ebbene bisogna che ella esca con i suoi amici per far piacere al suo fidan22
zato. Perché mi è caro. Se non ci si conosce e non si accetta, prima o poi i nodi e i dissapori vengono al pettine e tutto va a monte.
Molte relazioni saltano perché non c’è stato questo cammino di fondo di conoscenza, che è la
tenerezza. Lo stare insieme è una scelta maturata, e non un traguardo da ottenere nonostante tutto o
ogni problema. Non si devono lasciare in sospeso problemi o divergenze perché prima o poi queste
intaccano nel profondo la relazione, come un tarlo che lentamente, ma inesorabilmente rovina il legno. Non basta conquistare una persona e poi pensare che tutto finisca lì! L’amore va alimentato
giorno per giorno.
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1° Agosto 2012
I gradi dell’amore.
Dall’eros alla caritas.
dall’amore come bisogno all’amore come dono di sé:
L’amore di coppia è un’esperienza che riguarda ogni uomo e ogni donna di ogni tempo e può
essere visto anche in ottica cristiana. Attraverso l’amore esclusivo all’altro troviamo una via alla realizzazione di se stessi, cosa che avviene quando si scopre il limite di sé e si “cerca” al di fuori un
completamento.
L’amore fa si che si incontri e ci si apra all’altro, sperimentando una dimensione essenziale
dell’esistenza umana e ci prepara anche alla conoscenza di Dio che è amore, l’Altro per eccellenza.
Perché questo cammino però sia davvero personalizzante e liberante deve avere delle tappe e degli
obbiettivi molto particolari e guardare al suo vertice come ad una meta che si può raggiungere solo
vivendo appieno tutte le dimensione di esso.
Amore come bisogno e comunione
La prima cosa che ogni persona sperimenta venendo a questo mondo è il bisogno dell’altro e la
dipendenza da esso, una dipendenza esistenziale. Il neonato, infatti, dipende in tutto e per tutto dai
suoi genitori e li ama perché sa che essi non lo tradiranno mai, permettendogli inoltre di vivere.
L’adolescente dipende dalle sue amicizie e solo in seguito ha bisogno di un amore che lo completi,
non bastandogli più le relazioni di amici che lo realizzano solo in alcune dimensioni della vita. Negare questo bisogno o peggio non soddisfarlo può portare ad un’illusoria autosufficienza (la sindrome del «single») che è sintomo di una solitudine e non di rado è radice di tristezza. Spesso, poi,
il single è molto aggressivo nei riguardi degli altri, restando chiuso e nelle difensive.
Siamo fatti per stare con altri e guai se fosse diversamente! Strutturalmente noi siamo portati a
cercare l’altro e a completarci nell’altro (questa dipendenza è provvidenziale perché prelude alla dipendenza che abbiamo nei riguardi di Dio). Ed anche la maturità spirituale dipende molto da questa
esperienza dell’altro, perché chi percorre serenamente le dimensioni dell’amore, può fare una vera
esperienza di Dio.
L’amore trova la sua fonte in Dio, amore gratuito ed eterno
Dalla Prima Lettera di S. Giovanni Apostolo (4,1-21)
1
Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se
provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. 2Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da
Dio; 3ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come
avete udito, viene, anzi è già nel mondo. 4Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti,
perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo. 5Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. 6Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi
non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore.
7
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e
conosce Dio. 8Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9In questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la
vita per lui. 10In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato
noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. 11Carissimi, se Dio
ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. 12Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo
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gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi. 13Da questo si conosce che noi
rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito. 14E noi stessi abbiamo veduto e
attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. 15Chiunque riconosce
che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio. 16Noi abbiamo riconosciuto e creduto
all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.
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Per questo l’amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del
giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo. 18Nell’amore non c’è timore, al
contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è
perfetto nell’amore. 19Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. 20Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non
può amare Dio che non vede. 21Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio,
ami anche il suo fratello.
San Giovanni parla del mistero dell’amore umano e cristiano collegandolo all’amore di Dio per
cui, come si vede, l’amore vero non si esaurisce mai in un rapporto terreno a due, ma si deve aprire
all’autore e alla fonte dell’amore, che è Dio, per trovare pieno compimento. L’amore umano diviene
così un riflesso e una partecipazione all’amore di Dio.
Amare Dio e amare il prossimo non sono pertanto due cose che possono essere separate. Se c’è
amore a Dio, c’è anche amore verso il prossimo, ma se manca l’uno, manca anche l’altro, o per lo
meno risulta imperfetto. Aggiungiamo che solo chi fa esperienza di un amore vero, può capire cosa
sia l’amore che Dio ha avuto nei nostri riguardi in Cristo. Ora nella regola cristiana dell’amore al
prossimo è racchiuso anche l’amore di coppia che è una delle sue espressioni più belle e complete.
I modi dell’umano amare
Alla luce della Parola di Dio e della riflessione umana, però, dobbiamo distinguere i vari tipi di
amore. Parlare dell’amore «oggi», infatti, può portare a delle difficoltà particolari, perché la parola
«amore» è spesso fraintesa, in quanto quando si parla di essa si intendono varie cose. Non è stato
così però nel corso della storia quando con la parola amore si intendevano aspetti diversi. In particolare troviamo varie accezioni dell’amore:
1.) l’ «eros» quando ci si riferisce a quel tipo di amore legato alla sessualità, al bisogno dell’altro, alla
fuga dalla solitudine;
2.) «filia» per indicare l’amicizia, quell’amore per cui due o più persone stanno insieme per un motivo in comune (due sono amici perché giocano a bocce)
3.) «storghé» (affetto )parola che significa tenerezza, disposizione affettuosa, amore che si abbandona. Deriva dal verbo stergo, che ha molti usi, sempre riferentesi però all’ambito dell’attenzione, e può
indicare la dedizione, per esempio quella dei genitori per i piccoli, o anche l’amore per la verità. I
due termini non si trovano nei testi cristiani.
4.) «agape» «carità», parola poco usata nell’antichità e forse proprio per questo utilizzata dagli evangelisti per indicare l’amore di Dio. Non si prestava ad equivoci e in essa è indicato quell’amore ablativo, che si dona, disinteressato.
Questa divisione classica dei tipi di amore non può essere facilmente rifiutata e manifesta un
cammino di perfezionamento dell’amore stesso. Vi sono vari gradini che, pur non escludendosi a
vicenda, rappresentano un perfezionamento sempre più alto dell’amore fino a toccare uno stato pieno che altro non è che la felicità stessa.
Secondo la Chiesa e la saggezza degli uomini si ama in primo luogo per un proprio tornaconto
(al bambino serve la madre), tuttavia il vero amore si raggiunge quando ci si relaziona all’altro e lo
si ama per se stesso, lo si vuole bene e si vuole il suo bene. Così si passa da un amore che cerca se
stesso nell’altro (eros) ad uno che cerca l’altro per se stesso (agape).
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L’amore erotico
Per gli antichi, in particolare i greci, l’amore era visto come qualcosa di imperfetto e di indegno
sia per gli dei e sia per gli uomini. Molto più nobile dell’amore di coppia era l’amicizia tra pari, in
particolare tra uomini, che esprimeva fedeltà, solidarietà e abnegazione. Così ce ne parla Platone nel
Simposio:
DISCORSO DI SOCRATE. Quando nacque Venere, banchettarono gl’Iddii: fra gli altri ci era Poro,
o l’Abbondante, il figliuolo di Meti, o della Sapienza. Mangiato ch’ebbero, se ne venne Penia, o la
Povertà, ad accattare, come si è usati fare ai banchetti; e se ne stava alla porta. Avvenne caso che Poro, inebbriato dal nettare (che non ce ne aveva ancora del vino), entratosene negli orti di Giove, gravato com’era, sdraiossi e s’addormentò. La Povertà, pungendola il bisogno, fe’ disegno d’avere un
figliolo da Poro: vassene pian piano, e giace con lui e concepí Amore: e però Amore è compagno e
ministro di Venere; e da poi che fu generato nelle natalizie di lei, ed è per natura amante della bellezza, ama Venere, che è bella. E perciò che Amore è figliuolo di Poro e di Penia, il suo destinato è
questo: primieramente d’essere povero sempre, e tutt’altro che tenerello e bello, quale se lo figurano
molti, è duro, squallido, scalzo, e senza casa; e gittasi in terra, senza copertoio, accosto agli usci o in
mezzo della via, e dorme al sereno; e in ciò ritrae della madre; e compagna sua, che non gli si spicca
mai dal fianco, è l’Inopia. Per padre poi, egli è insidiatore ai belli e ai buoni, forte essendo, audace,
subitaneo e collerico, valente cacciatore, intento sempre a parare lacciuoli, uno curioso di sapere, un
che si tira via d’ogni impiccio, un che il tempo passa a filosofeggiare, incantatore spaventoso, maestro di veleno, sofista. Egli non nacque immortale né mortale, e in uno stesso giorno fiorisce, quando
tutto gli dice bene, e va in rigoglio, muore e rivivisce; perciò che ritrae di suo padre: e le ricchezze
che procura gli scappan via, ché ha le mani forate tanto che Amore né è povero mai, né è ricco.
In questo racconto vediamo che «Eros» (inteso come il sentimento dell’amore non necessariamente sessuale) non ha il volto ed i tratti dell’amato, bensì va cercato dalla parte dell’amante: chi
ama, ama ciò di cui è privo, ciò che ancora non possiede. L’amore è per sua natura segnato dalla
povertà e dalla mancanza e costituisce per ogni uomo lo slancio verso qualcosa estraneo da sé; per
questo Eros ha la figura di un povero lacero e scalzo. Eros non ha bellezza visto che è vero che si
desidera ciò che non si possiede: Eros è sempre amore e desiderio di eterno possesso del Bene coincidente con l’idea del bello. Se l’amore è brama di possedere il bene per sempre, è necessario, come
afferma Diotima, che assieme al bene si desideri anche l’immortalità e che l’amore sia anche amore
di immortalità. Ma per tutto ciò che è mortale l’unico mezzo per ottenerla è la procreazione e la generazione nel bello, sia nel corpo sia nell’anima.
Per gli antichi l’amore è una necessità che spinge l’uomo a cercare fuori di sé ciò di cui sente
mancante. L’Eros è una ricerca di ciò che può appagare e si manifesta, in particolar modo, nella sessualità dove la differenza dell’uomo e della donna fa si che l’uno e l’altro si cerchino per trovare
soddisfazione a ciò che da soli non possono ottenere. L’uomo e la donna sono diversi e solo stando
insieme possono trovare – sessualmente – quell’unità che cercano, per cui l’eros rappresenta una
necessaria tappa.
In passato l’eros (nella sua dimensione sessuale) era molto legato anche al culto divino: basti
pensare ai tanti riti in cui il sesso era onnipresente. In alcuni templi c’era la prostituzione sacra, a
volte con manifestazioni (baccanali) in cui si dava vita ad una grande sfrenatezza sessuale, perché si
pensava che in questo modo «uscendo» da sé, nella libidine più grande, si incontrava Dio. Non di
rado le stesse perversioni sessuali erano al centro di questi culti, riducendo il corpo dell’uomo ad un
mero strumento di piacere.
Ma esiste solo l’eros? Si può superare quest’aspetto dell’amore umano? Quando si parla
dell’amore e dell’uomo bisogna tener conto di una cosa fondamentale: l’uomo è composto di anima
e di corpo e, quindi, né solo di corpo né solo di anima. Quando si vuole accentuare una sola dimensione si perde di vista la ricchezza della persona, i suoi diritti e la sua dignità.
Si guarda al solo corpo? Allora ecco esaltate tutte le dimensioni della sessualità e del materialismo (l’uomo è ciò che mangia). Si guarda alla sola anima? Allora tutto ciò che è corporeo è disprezzato e ritenuto «peccaminoso».
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Il Cristianesimo parlando della persona come «anima» e «corpo» condanna tutte quelle espressioni unilaterali: il solo eros non da ragione di tutto l’uomo. La sola anima nemmeno va bene:
l’uomo è chiamato a vivere con la sua dimensione corporale anche perché nella risurrezione futura
risorgerà con il suo corpo.
Come si fa allora a vivere la dimensione dell’eros che pure fa parte dell’uomo? È necessario un
cammino di purificazione e conversione, che fa vivere in maniera corretta la dimensione corporale
cui l’eros è legato quando tenta, ricercando fuori di sé, di completarsi e appagarsi.
La dimensione erotica dell’amore è essenziale, ma non ultima. Si va verso l’altro perché si ha
bisogno di lui o di lei delle sue coccole, del suo amore. Ma un amore che cerca solo, che mendica,
sarà un amore imperfetto e dannoso. Molte relazioni purtroppo sono relazioni erotiche (spesso solo
di sesso) in cui l’altro o l’altra vengono cercati solo per riempire una mia solitudine o bisogno fisico
o spirituale. E non bisogna meravigliarsi che quando il partner si mostra inadempiente a questa missione (non sempre è nella nostra disponibilità) si acutizzino i contrasti e le litigate, perché si vede
l’amore come un qualcosa di cui uno ha diritto e non come dimensione da donare.
L’amore come agape e donazione
Oltre all’eros ci sono altre dimensioni di amore come quello familiare o tra amici. Essi non sono dei semplici atteggiamenti di cura, ma impegnano la nostra volontà e i nostri affetti in maniera
seria. In tali contesti non si cerca l’altro solo per ricevere qualcosa, ma si è disposti a fare qualcosa
per l’altro anche se tale disposizione non è sempre totale e incondizionata.
Vi è comunque una dimensione ulteriore dell’amore che indica appagamento, disinteresse, amore discendente, gratuità. In quest’aspetto non si è legati alla corporeità, ma essa viene superata:
questo amore è chiamato Agape-caritas.
Eros e agape non sono in contraddizione, ma possono essere vissuti armoniosamente perché sono espressioni proprie dell’umanità, in coerenza con tutta la verità sull’uomo che è «creato» da Dio
e non è solo «spirito», né solamente «carne». La Chiesa condanna l’amore ridotto al solo eros, al solo sesso, perché viene esaltato solo un aspetto della persona (la corporeità), svilendo la libertà, la
dignità. La persona è fatta anche di volontà e amore, non solo «bisogno» e «istinto», piacere e soddisfazione.
L’amore, allora, implicherà anche la parte spirituale che si manifesta nel disinteresse e nella
gratuità, venendo incontro all’altro senza avere di mira solo se stesso. Questo è l’agape-caritas,
l’amore oblativo, gratuito, che comporta anche il sacrificio, la rinuncia di sé per il bene dell’altro.
Eros e Agape: le tappe dell’amore umano
Così nella persona umana troviamo l’Eros, che un amore che la porta fuori di sé in una ricerca
che tenta di mettere a tacere la solitudine. Biblicamente esso trova il suo fondamento nel brano biblico della Genesi riguardante la creazione della donna:
«Poi il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e
li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l’uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutte le bestie selvatiche, ma l’uomo non trovò un aiuto
che gli fosse simile. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull’uomo, che si addormentò; gli
tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che
aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo.» (Gen 2,18-23)
L’Eros fa parte dell’uomo ed è l’inizio dell’amore, non l’amore completo. È amore che brama
(amor concupiscientiae). Ma vi anche un tappa successiva, l’Agape che l’amore che non cerca
nell’altro la propria soddisfazione, ma cerca il bene dell’altro (amor benevolentiae), che non guarda
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ad un aspetto, ma a tutta la persona; che è disposto al sacrifico perché l’altro stia nel bene. È questo
l’amore che Dio mostra verso ciascuno di noi nella creazione e nel donarci il suo amore. Potremmo
dire che l’eros è l’amore del bambino che cerca e vuole la madre; l’agape è l’amore della madre che
si dona tutta al suo bambino.
Nella Bibbia tutto ciò è illuminato dalla verità dell’unicità di Dio. Dio si rivela come l’unico
Dio Creatore del Cielo e della Terra. In questo rapporto vi è come, necessaria conseguenza, il monoteismo religioso che contraddistingue Israele e che denota la relazione tra Dio e il suo popolo anche come il rapporto tra uno Sposo con la sua sposa (i peccati di religione di Israele sono spesso paragonati ai peccati di infedeltà coniugale.) L’eros è fa parte della natura dell’uomo, perché così è
stato creato, ma non è l’unico aspetto, perché la persona umana è chiamata non solo a «dare», ma
anche a ricevere, non solo a soddisfare se stesso, ma anche aiutare l’altro.
Vi è così da parte di Dio, a livello biblico, una progressiva illuminazione a riguardo, e se
nell’Antico Testamento l’amore viene espresso, in maniera sempre approfondita, alla luce
dell’amore di Dio per il suo popolo, nel Nuovo Testamento, e in particolare in Gesù, l’Agape,
l’amore gratuito, che non ricerca la propria soddisfazione, è ancora più chiaro. Gesù è colui che cerca chi è nel bisogno, nel peccato e nella povertà, per donargli il perdono e la misericordia. Gesù si
«offre», per amore, in un sacrificio che è giustificato solo dall’amore: un amore che non vede
nell’altro un «qualcosa» che rechi soddisfazione, ma qualcuno cui dare «qualcosa», se non addirittura se stesso. In tal modo, il sacrificio di Gesù, che si perpetua nell’Eucaristia, diviene offerta sempre attuale e presente di ciò che, avvenuto una volta, viene ripresentato nei secoli perché ad ogni
uomo sia offerto quell’amore che dal Padre proviene per Cristo nello Spirito Santo.
L’Eucaristia è così il momento in cui ogni cristiano si unisce al suo «Dio», per mezzo di Gesù,
in un vincolo concreto. In questo senso, se non ci fosse amore, il fare la «comunione» non avrebbe
senso. Inoltre la stessa «Comunione» fa si che i cristiani siano uniti fra loro, perché se se si è uniti a
Cristo, questi vive in noi, a tal punto che per chi si dice davvero cristiano non dovrebbe esserci alcuna separazione tra la fede e la vita, l’ortodossia e l’ortoprassi, il dogma e la morale.
Alla luce di queste riflessioni possiamo meglio comprendere che l’amore deve per forza di cose
esprimersi non solo nella ricerca di ciò che è bene per me (amore di concupiscenza, amo l’altro per
me), ma anche amare l’altro per se stesso (amore di benevolenza: voglio il bene dell’altro). Se non
si arriva a questa dimensione ad amare come voler bene anzi volere il bene dell’altro, la relazione è
sempre sotto il pericolo di sfaldarsi e di spaccarsi nel momento in cui emergono gli egoismi, la routine e altro.
L’amore erotico è di per sé un buon valore. La ricerca dell’altro non è negativa, ma ci fa uscire
dal nostro egoismo e ci proietta verso l’altro. Vi sono però, in questo bisogno dell’amore, delle riduzioni che falsificano tale amore rendendoci egoisti ed incapaci di amare sul serio. L’amore erotico diventa dannoso quando si limite alla sola sfera sessuale o peggio genitale.
Eros e Caritas nella maturazione della persona
Abbiamo visto che vi è un percorso umano che porta dall’amore di sé all’amore per l’altro e,
parallelamente, partire dal cercare l’altro come strumento che soddisfi un bisogno a come fine di
amore. Si parte dall’amare sé al volere il bene dell’altro.
Questo cammino fa parte dell’evoluzione dell’uomo e la psicologia ha tratteggiato vari stadi di
questa maturità affettiva. Quando non si va oltre o peggio si regredisce ci si trova di fronte a dei
blocchi che portano anche a quegli atteggiamenti che non realizzano la persona.
Primo stadio o autoerotismo. Vi è un primo stadio di autoerotismo in cui il bambino è concentrato su se stesso e prova piacere dal mondo che lo circonda. Così il bambino che scopre il dito e il
piede e se li mette in bocca ne prova piacere. In età successiva la masturbazione è una regressione a
questo stato, perché con essa si tende a rifugiarsi in un comportamento di piacere per sfuggire alle
pressioni esterne o ai fallimenti o alle difficoltà relazionali. Quando gli altri ci deludono tendiamo a
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chiuderci in noi stessi, anche sessualmente, cercando una stabile autosufficienza che non ci porti al
confronto con l’altro.
Secondo stadio o omoerotismo. Il ragazzo o la ragazza trovano gioia nello stare con persone
dello stesso sesso. Si comincia ad uscire da se stessi per andare incontro all’altro che è dello stesso
sesso perché si conosce meglio quel mondo. Il mondo dell’altro sesso è un mondo ignoto, sebbene
affascinante. C’è chi ha paura di affrontarlo, forse perché non ha solidi riferimenti sessuali nella sua
infanzia oppure non è stato educato a confrontarsi con esso.
Terzo stadio o dell’eteroerotismo: ad un certo punto si sente con forza la voglia di andare da
qualcuno dell’altro sesso. Questo processo è molto particolare e non è uguale in tutti. Per arrivare ad
una scelta certa si passa spesso per un periodo di ambivalenza che può far sentire in sé sentimenti di
stati precedenti come situazioni omoerotiche o autoerotiche. In questo periodo non si può fare un
giudizio morale certo sugli atteggiamenti interiori ed affettivi della persona. Tuttavia c’è da dire che
se questi atteggiamenti si prolungano o persistono anche in un’età più avanzata allora non vanno
bene perché sono dei freni all’amore. Per esempio la presenza della masturbazione in quest’età indica una regressione e va affrontata con le figure adatte, visto che sarebbe sbagliato parlarne alla fidanzata, perché certe cose vanno capite e comprese da altre figure, in particolari paterne. D’altra
parte anche se ad uno piace una donna, non è detto che ha superati gli stati affettivi precedenti.
Quando ci fermiamo a riflettere sui nostri percorsi affettivi, dobbiamo spesso costatare un fatto curioso, cioè che, alla fine, dopo aver compiuti giri immensi, esplorando le più diverse personalità di partner disponibili, nell’uomo o nella donna che abbiamo scelto ritroviamo, per affinità o contrasto, un
riferimento alle matrici affettive del nostro contesto familiare. In alcuni casi accade proprio che il
partner assuma un ruolo simile a quello che in passato aveva avuto nostro padre, o che la nostra donna abbia modi di fare che ricordano incredibilmente quelli di nostra madre. Insomma si finisce per arrivare al punto da cui si era partiti, o comunque per doverci ripassare per lasciarlo (M. Pensavalli).
In realtà se partiamo dal fatto che un amore maturo si realizza pienamente dal punto di vista
della sessualità solo nel matrimonio, dobbiamo riflettere anche su quegli atteggiamenti sessuali fuori dal matrimonio. Non basta bollarli come peccati per dire che sono «sbagliati», ma dobbiamo pure
pensarli come un segno di immaturità della persona che li compie con leggerezza. È vero che non
tutti sono fatti allo stesso modo, ma anche vero che bisogna aver il coraggio di non prendere come
oro colato il massiccio bombardamento della cultura moderna che esalta il libertinaggio sessuale
(ognuno con il suo corpo fa quello che vuole), dimenticando che naturalmente e strutturalmente nella persona umana ci sono meccanismi e dinamismi che non possono essere negati.
Gli atteggiamenti affettivi e di coppia non maturi possono essere etichettati così anche come regressioni ovvero atteggiamenti tipici di chi non vuole crescere o di chi vuole sfuggire una realtà che
lo mette sotto pressione o ansia o paura. Di fronte alle difficoltà ci si rifugia, psicologicamente, in
atteggiamenti e situazioni che ricordano una certa tranquillità e sicurezza, luoghi fisici o psichici in
cui uno non si deve caricare di responsabilità e colpe per quello che fa.
A partire dall’attaccamento del bambino nei confronti della madre e delle figure principali di accudimento si strutturano quelle sfumature affettive che influenzeranno il nostro modo di leggere la vita
(M. Pensavalli)
Così una naturale maturazione affettiva in cui i genitori sono presenti al bambino con la loro attenzione e cura, fa si che questi esplori il mondo circostante con la consapevolezza di sapere di avere un rifugio in caso di pericoli. I primi traumi ci sono quando mancano le figure genitoriali e il
bambino ha paura di perderle o quando sono troppo oppressive a tal punto che il piccolo non esce
fuori dal suo mondo. E tutto questo si ripercuote nella vita affettiva. Un bambino che nella sua infanzia ha vissuto episodi in cui gli sembrava di aver perso la mamma (perché non era presente per
lavoro o altro), da grande si mostrerà molto geloso nei suoi rapporti per la stessa paura di ri-perdere
i suoi amori. Lo stesso vale in età più grande quando una mamma o un papà ha una grave malattia o
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atro. Si tenderà a rafforzare, patologicamente, il rapporto con il partner per l’inconscia paura di perderlo come gli affetti più cari.
I genitori iperprotettivi limitano il figlio convincendolo della propria fragilità, piuttosto che esprimergli le proprie paure su ciò che li circonda. I genitori evitanti, invece, tendendo a sbilanciare coercitivamente la relazione su se stessi e i propri problemi (depressioni, particolari sofferenze o malattie
simulate), non riescono a costituire, per il proprio bimbo, una base certa da cui partire verso l’ignoto
(M. Pensavalli)
Quando il meccanismo di crescita si inceppa: le regressioni
Può avvenire che i percorso di crescita e maturazione non sempre fili liscio. Condizionamenti
interiori o esteriori, figure educative manchevoli e altre vicissitudini possono frenare o bloccare
questo processo. Accade allora che non solo non passi negli stadi successivi (dall’eros all’agape),
ma addirittura si regredisca in stadi precedenti assumendo comportamenti non coerenti all’età in cui
si vive e che moralmente si configurano come peccati: non realizzano la persona secondo Dio e secondo cui essa è stata creata.
Regressione alla primissima infanzia. Vi è un ritorno alla modalità orale (mordere, succhiare,
toccare) e si manifesta con atti di autoerotismo e narcisismo. Esprimono questo disagio quelle persone che esigono continuamente assistenza, attenzione e cura. Si vuole prendere tutto su tutti senza
dare nulla in cambio (come fanno i bambini). E anche nel cibo questo disagio può manifestarsi come l’abulimia o l’anoressia.
Regressione alla prima infanzia. E il rifugiarsi nella fase anale per cui si cerca in tutti i modi
di controllare e dominare gli altri, affermandosi con prestigio e con più autonomia (macchine di lusso, spese eccessive, mania nella pulizia). In questa fase si è competitivi, aggressivi, dommatici e
non si accetta nessun confronto. Si respingono le sfumature della realtà che sarà sempre bianca o
nera. Chi vive questo stadio ha una sessualità immatura, un erotismo superficiale, ricerca un fascino
irresistibile, vuole dominare, si vanta di una vita (anche sessuale) che va al massimo.
Regressione alla fase genitale. È la fase che porta dal bambino all’adulto dove non si è governati più dal piacere, ma dalla ragione. Perché il bambino prende, gli amici scambiano e l’adulto dona. Nell’adolescenza la sessualità garantisce l’apertura all’altro perché stimola un bisogno dell’altro
cercato come completamento. Quest’apertura, tuttavia, deve essere sana e naturale, per evitare distorsioni e regressioni. Chi non vuole assumersi responsabilità si rifugia in un perenne giovanilismo
e si atteggia, anche a sessant’anni, come un adolescente che non ha voluto crescere. Si crede giovane, ma in realtà è rimasto semplicemente un ragazzino immaturo e insicuro che non accoglierà mai
l’altro come un dono.
Il desiderio sessuale apre nuove strade relazionali per cercare conforto e ridurre l’attivazione emotiva. Mentre ci distacca dal contesto familiare, si crea un ponte che traghetta l’affetto e la conferma affettiva verso una persona che è anche oggetto di desiderio sessuale. Sono «prove tecniche» di relazione, nelle quali si impara e si sperimenta. Si cominciano ad esercitare i muscoli affettivi necessari
ad una relazione adulta. Molti adolescenti, però, sono impreparati a riconoscere o a regolare il desiderio sessuale. Sono soprattutto le persone con minori soddisfazioni in altre sfere della vita quelle a
maggior rischio di utilizzare la sessualità in modalità distorte. Per alcuni adolescenti l’attrazione sessuale fornisce una forte motivazione a migliorarsi, altri, invece, confondono la soddisfazione sessuale
con la ricerca di conforto e mettono in atto comportamenti sessuali al fine di ridurre l’ansia che vivono. Altri ancora scoprono che la sessualità rende possibile interrompere l’isolamento della loro infanzia, oppure accondiscendono alle richieste sessuali degli altri per sentirsi accettati ed amati. Oltre a
capitare che nella dimensione sessuale si vivano in maniera confusa desiderio sessuale e ricerca di
conforto (sessualità e competizione). Scambiata per amore, l’aggressività può così essere espressa
sessualmente da entrambi i partner, che utilizzano la rabbia e la lotta come canale di espressione per
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l’amore e il sesso. Non sorprende che queste due distorsione, legando le coppie in relazioni ambigue,
che si autoalimentano, in un continuo alternarsi di amore/odio. Il reclutamento della sessualità al servizio dei bisogni disfunzionali di attaccamento rappresenta un’ampia categoria che comprende molte
manifestazioni diverse, come ad esempio la dedizione patologica al sesso, le ossessioni sessuali e le
compulsioni sessuali. In queste esperienze si utilizza la sessualità come via attraverso la quale raggiungere una sensazione di benessere, di autoprotezione e di sollievo dal senso di solitudine. La relazione sessuale diviene così un modo per soddisfare in realtà bisogni di attaccamento, divenuti invisibili e percepiti solo in termini di disagio da acquietare (M. Pensavalli).
Sesso e peccato: come capirli?
Nell’orizzonte che vede il passaggio dall’eros all’agape per gli stadi di crescita affettiva, si inserisce l’insegnamento morale cristiano che individua in alcuni comportamenti una deviazione o perversione che non esprimono il vero amore, ma un disagio o un egoismo. Tali atti sono moralmente
peccaminosi nella misura in cui vi sia consapevolezza e libertà nel compierli. Così, moralmente parlando, si può vedere la sessualità vissuta come regressione e al di fuori della sua nativa espressione
di donazione anche come un peccato, perché Dio ha un disegno originario sull’uomo e sulla donna
che nessuna cultura può cambiare perché scritto nello stesso essere della persona umana.
Ma cosa significa che un atto è peccato? Significa che sto decidendo io cosa sia bene o male per
me a prescindere da quel progetto scritto nella mia carne e nel mio cuore e rivelato da Dio.
Un peccato è una parola, un fatto o un’intenzione con cui un uomo trasgredisce consapevolmente e volontariamente l’ordine delle cose previsto da Dio. Peccare significa molto più che trasgredire una delle regole concordate dagli uomini; il peccato è rivolto liberamente e consapevolmente
contro l’amore di Dio e lo ignora. Il peccato è quindi «l’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio»
(Agostino), e nel caso estremo la creatura peccatrice sostiene di voler essere come Dio (Gen 3,5).
Come il peccato mi addossa una colpa, mi ferisce e mi distrugge con le sue conseguenze, allo stesso
modo avvelena e danneggia il mio ambiente. Il peccato e la sua gravità si fanno riconoscibili al cospetto di Dio. YOUCAT 315.
Dunque vi sono degli atteggiamenti che non ci fanno crescere nell’amore verso Dio e verso il
prossimo, anche se sembrano darci gioia. In realtà il peccato al massimo può produrre un piacere
superficiale, ma non porta alla felicità che è legata alla realizzazione di sé secondo il progetto di Dio. Così sebbene la sessualità sia voluta da Dio e sia un luogo eccellente di crescita e santificazione,
se non è vissuta secondo la sua finalità di unione e apertura alla vita diviene distorsione e peccato.
La tradizione cristiana così chiama questi atteggiamenti. In generale il non controllo delle proprie
pulsioni sessuali si chiama lussuria
I peccati che mortificano l’amore
La lussuria è un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere
sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione CCC 2351.
La masturbazione. Un altro atteggiamento moralmente sbagliato che non porta ad una maturazione affettiva, ma ne è una sua regressione è la masturbazione. Nello sviluppo preadolescenziale
essa può essere presente in quanto il corpo va incontro a repentine trasformazioni e talvolta è normale che le pulsioni sia inaspettate e forti. Ma man mano che si cresce, e specialmente nell’età adulta, la masturbazione rappresenta un ostacolo alla realizzazione dell’amore perché è indice di una
personalità che si sta richiudendo su stessa evitando di cercare l’altro. Essa è pertanto anche una regressione della psiche, un’affermazione secondo la quale la persona dice a se stessa che non si bisogno dell’altro in quanto da sola è autosufficiente per raggiungere il piacere. L’autoerotismo maschera una solitudine interiore e mina fortemente la capacità di donarsi all’altro, chiudendo sempre più il
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cuore ad una donazione fiduciosa e piena. E spesso molti rapporti sessuali, in particolare quando si
cerca l’altro in un momento di passione, non sono altro che masturbazioni reciproche e non luoghi
di donazione e di amore.
Per masturbazione si deve intendere l'eccitazione volontaria degli organi genitali, al fine di trarne un
piacere venereo. “Sia il magistero della Chiesa - nella linea di una tradizione costante - sia il senso
morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto intrinsecamente e
gravemente disordinato”. “Qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale al di
fuori dei rapporti coniugali normali contraddice essenzialmente la sua finalità”. Il godimento sessuale
vi è ricercato al di fuori della “relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, in
un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 9]. Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l'azione pastorale, si terrà conto dell'immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d'angoscia o degli altri fattori psichici
o sociali che possono attenuare se non addirittura ridurre al minimo la colpevolezza morale. CCC
2352.
Vi è poi la convivenza e o rapporti fuori dal matrimonio o come si dice tecnicamente «fornicazione» che è l'unione carnale tra un uomo e una donna liberi, al di fuori del matrimonio. Essa è
gravemente contraria alla dignità delle persone e della sessualità umana naturalmente ordinata sia al
bene degli sposi, sia alla generazione e all'educazione dei figli. Inoltre è un grave scandalo quando
vi sia corruzione dei giovani. CCC 2353.
Una menzione speciale vale per la pornografia, soprattutto oggi che con i mezzi a disposizione
è di facile accesso per tutti. «La pornografia consiste nel sottrarre all'intimità dei partner gli atti sessuali, reali o simulati, per esibirli deliberatamente a terze persone. Offende la castità perché snatura
l'atto coniugale, dono intimo degli sposi l'uno all'altro. Lede gravemente la dignità di coloro che vi
si prestano (attori, commercianti, pubblico), poiché l'uno diventa per l'altro l'oggetto di un piacere
rudimentale e di un illecito guadagno. Immerge gli uni e gli altri nell'illusione di un mondo irreale.
E' una colpa grave. Le autorità civili devono impedire la produzione e la diffusione di materiali pornografici.» (CCC2354). Chi non sa regolare le sue pulsioni non di rado per soddisfare fruisce della
prostituzione.
Dalla pornografia si passa alla prostituzione e allo stupro dove l’altro, che di solito è una donna,
è ridotta ad un mero oggetto acquistabile per denaro o ottenibile per mezzo di violenza che può
soddisfare i bisogno primari e passionali.
Questi comportamenti spesso diventano continuativi (vizi) creando una dipendenza frutto di
una mancata educazione delle passioni. Il soggetto si sente impotente a uscire fuori da queste pulsioni per cui entra in un circolo vizioso che lo rende sempre meno capace di un amore alto.
È vero che non siamo mai in pieno controllo di noi stessi e delle nostre energie, perché
l’inconscio gioco un ruolo fondamentale, ma questo non significa che non siamo essenzialmente liberi, ma ci dice che siamo complessi.
Oggi si giustificano comportamenti sessuali che frenano la crescita nell’amore donante perché
si fa diventare sinonimi il piacere e la felicità, mentre non è così. Il piacere è la soddisfazione di un
bisogno, mentre la felicità è uno stato duraturo di appagamento che non può essere relegato alla
soddisfazione del bisogno che come tale non è uno stato. La persona si realizza solo se cresce
nell’amore, ovvero nel cercare nell’altro una compagnia, una comunione e una condivisione e rendendosi sempre più capace di dominarsi per donarsi in pienezza. Perso di vista questo obbiettivo,
l’unica cosa plausibile e accessibile è il piacere che a questo può e deve essere raggiunto ad ogni
costo, a prescindere dai mezzi. E così il sesso che è una realtà che prende, lo si vive a prescindere
dall’amore e dalle sue regole. Molti ragazzi e ragazze non vanno in Chiesa perché non vogliono
sentire la verità su questo aspetto della loro vita perché ormai è diventata un’abitudine, una droga.
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2 Agosto 2012
Insidie e trappole nel rapporto a due
Finora abbiamo visto che il cammino di conoscenza e di relazione con l’altro è una cosa seria
che va affrontato conoscendo meglio se stessi e la persona con la quale si vuole costruire una relazione. Il comandamento dell’amore di Gesù ci dice infatti di amare il prossimo come se stessi, per
cui è fondamentale non chiudere gli occhi su di sé, ma accogliersi onde evitare di pretendere che
l’altro sia semplicemente una risposta ai propri bisogni e alle proprie paure.
In questo senso ci sono determinati rapporti di amicizia o di coppia che rischiano di essere «patologici» perché pur esprimendo una vicinanza fisica hanno in sé dei virus che possono gustare la
relazione.
Rapporto non paritario
Parliamo di rapporto non paritario quando uno dei due partner prevarica e vuole dominare
sull’altro. Di solito la donna è psichicamente più strutturata, mentre l’uomo è un po’ più debole, anche se tuttavia può accadere il contrario. Ora, nel rapporto a due bisogna sostenersi a vicenda senza
che uno soverchi l’altro. Così ci insegna Gesù (dal Vangelo secondo Matteo 23, 8).
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E
non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E
non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato.
Avere un equilibrio perfetto nella coppia è quasi, perché le persone sono diverse, tuttavia possono presentarsi delle situazioni che bisogna tenere sotto controllo. Nella coppia, a volte bisogna
«aspettarsi» permettendo all’altro o all’altra di arrivare, con un proprio cammino, agli stessi livelli
di comprensione della realtà. L’affermazione di sé sull’altro o sulle sue idee («deve pensarla come
me o far come dico io») se da una parte reca una certa soddisfazione, dall’altra porta alla morte della coppia, perché umilia e sottomette l’altro. Per esempio accade che ad alcuni uomini pesa il matrimonio perché vedono in esso la figura di una donna come mamma e si sentono inadeguati e impotenti di fronte alla donna che vuole gestire. In una coppia non ci può essere chi detiene lo scettro,
chi comanda e chi obbedisce.
Rapporto simbiotico
È detto quell’atteggiamento di chi, preso da un amore profondo per l’altro, non discute le sue
decisioni, né pensa con la propria testa dal momento che gli va bene tutto quello che fa. Questo modo di fare può sembrare che sia un comportamento bello, ma se uno si «annienta» nell’altro (per
forza o per amore) non fa mai una cosa buona. È necessario che vi sia un sano confronto, perché
l’uomo e la donna vedono il mondo in maniera diversa.
Mancata desatellizzazione
È chiamata così quella situazione che emerge quando la famiglia influisce nel rapporto d’amore
e cerca di richiamare a sé i figli che invece devono pensare al progetto della loro vita. Non di rado
la madre o il padre rimprovera ai figli: «che figlia sei, dopo tutti i sacrifici che ho fatto…» oppure
«quel ragazzo non fa per te lascialo». Oppure può capitare che mamma sia maltrattata da papà o da
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lui tradita ecc… e il figlio o la figlia pensa che per questo motivo sia obbligato a sostenerla e così
rimane in famiglia per anni… In realtà non si deve obbedire sempre ai genitori, perché il Quarto
Comandamento ci dice di onorarli, per cui viene un momento nella vita che i figli prendano le loro
decisioni e facciano le loro scelte. I genitori devono mettere in conto che uno a vent’anni debba
scegliere la sua vita e pensare con la propria testa.
Può anche succedere che il ragazzo o la ragazza faccia pesare molto la sua famiglia nella coppia
(anche dopo anni di matrimonio) o quando c’è un litigio o una difficoltà, avviene, che si torni da
mamma o papà a sfogarsi e a chiedere aiuto, senza affrontare gli ostacoli della vita a due.
Egoismo di coppia
È la classica situazione che si presenta quando per amore di coppia vengono sacrificate tutte le
altre relazioni facendo si che spariscono amici e parenti. Già nel fidanzamento avviene non di rado
che si mettano da parte gli amici. Ora, questo atteggiamento di per sé comune, diviene patologico se
si costringe l’altro a mettere da parte tutti gli altri perché si è convinti che da soli si è autosufficienti.
All’inizio tale situazione va avanti, ma senza tessuto umano e senza relazioni, prima o poi si muore.
Rapporti prematrimoniali
Ci sono degli aspetti e delle esperienze, nella vita di relazione, da cui non si può tornare indietro
e che influiscono nel modo di rapportarsi all’altro una volta vissute. Una di queste esperienze «forti» è costituita dai rapporti sessuali prematrimoniali i quali lasciano un segno indelebile nella crescita affettiva delle persone. Il rapporto sessuale, per quanto possa essere vissuto superficialmente,
modifica per sempre il modo di guardare l’altro e non può rimanere racchiuso in un momento in cui
la relazione non è ancora stabile e definitiva. È un’esperienza che cambia perché implica il coinvolgimento di tutta la persona. Vissuta nel fidanzamento non esprime però tutta questa carica e la pienezza del suo significato, per cui modifica la percezione dello stare insieme. Specialmente la donna
vive questa relazione in modo più sentito, come una donazione vera, per cui se poi ci si lascia ella si
porterà dentro una sensazione di tradimento avendo donato qualcosa di sé che non avrà mai più indietro ad uno che nel tempo diverrà uno sconosciuto. Non ci si può atteggiare da marito e moglie,
quando non si è né marito né moglie visto che la donazione del corpo è veritiera solo nel matrimonio.
Doppio legame
Si chiama doppio legame quel modo di comportarsi ch fa si che con il corpo si dice una cosa,
mentre con le parole si afferma altro. Non si può dire di voler bene a una e venire in ritardo agli appuntamenti; oppure vivere un’esperienza di sofferenza e pretendere di dire che è stata bella. Sebbene in cose anche piccole non si può dire con le parole una cosa e con gli atteggiamenti si fa diversamente.
Amore paterno-materno
Ogni ragazza e ogni ragazzo ha in sé una potenzialità materna e paterna a seconda del sesso. I
maschi si sentono un po’ papà da sempre e le femmine un po’ mamme. Ora può avvenire, in un
rapporto, che con un ragazzo un po’ sfasato la ragazza non solo si apra ad un rapporto sponsale e di
partner, ma anche ad uno materno (gli fa, per così dire, da mammina). Nessuno però vuol essere,
per lungo tempo, «partner» e «figlio» allo stesso tempo. Accade anche che ci siano ragazzi che affermano di «essersi cresciute» le proprie fidanzate: gli han fatto da padre e non ci si meraviglia se
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vanno da altre donne. Bisogna essere attenti perché un ragazzo che si lamenta della sua famiglia o
dei suoi problemi con la sua ragazza gli sta chiedendo di far da mamma, ma così si mostra infantile.: una donna, però, non ha bisogno di fare la crocerossina. Questo modo di vivere spiega la presenza dei «papà periferici» e delle «donne» che la fanno da padrona nella coppia mortificando sempre più l’amore.
Sapersi amare
Se una persona non sa amarsi, non si accoglie e non si accetta per quello che è, non può instaurare buone relazioni con gli altri. Dice Gesù: «Ama il prossimo tuo come te stesso»! Non si ama
l’altro di più o di meno, ma allo stesso modo. Bisogna stare attenti, dunque, a quei complessi di inferiorità di ogni livello che inquinano e danneggiano la nostra relazione. Da questi complessi, paragoni e giudizi nascono le frustrazioni, le aggressività e il sentirsi inadeguati. In questo senso, la virtù cristiana, dell’umiltà (il riconoscersi per come si è davanti a Dio e agli uomini nella verità) è un
buon toccasana. Attenzione anche al moderno «culto del corpo» perfetto e in forma, che fa sentire
imperfetti e brutti rispetto agli standard di bellezza della società di oggi.
Non avvenuta elaborazione del fantasma dell’«ex»
Quando termina una relazione, non sempre ci si lascia in modo sereno. Succede qualche volta
che non si riesca a chiudere in modo pieno con la «ex» o l’«ex», diventando difficile ricominciare
una storia nuova perché si vive quasi con la presenza del fantasma di lui o di lei, di un’ingombrante
presenza nei ricordi e nell’affetto. Bisogna avere il coraggio di elaborare la perdita e capire se non si
cerca nella nuova storia quello che si è perduto precedentemente.
Sindrome di onnipotenza
Ci sono coppie in cui per lui o per lei le situazioni, le opinioni o il modo di pensare sono così
chiari che se l’altro non si adegua ciò è dovuto alla sua stupidità o cattiveria. Ci si sente depositari,
in tal modo, della verità e non si cerca l’altro se non perché deve accettarla. Bisogna invece ascoltarsi e confrontarsi, senza imporre il proprio punto di vista.
Stato abbandonico
A volte sono dei traumi vissuti o pensati e non elaborati in cui è stato vissuto un abbandono da
parte di una persona cara come la madre o il padre per una malattia, la morte o la separazione, o anche un trauma di abbandono all’asilo. Allora avviene che lui o lei, visto che è stato abbandonato dai
suoi genitori o dal migliore amico di cui si è fidato, deve mettere alla prova continuamente il suo
ragazzo o la sua ragazza per evitare lo stesso trauma ed essere sicuro del suo amore. Questo lo si
può chiedere però solo a Dio o alla mamma.
Il troppo lavoro o studio
Il troppo lavoro e il troppo studio influiscono pesantemente sulle energie affettive portando ad
una morte della relazione o esasperandola vivendola solo in alcuni momenti. Se nella coppia si dedica troppo tempo ad altre realtà che non siano il confronto o la relazione, accade che ci si allontani
e si recrimini a vicenda la poca attenzione che ne consegue.
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Il complesso di consacrazione
«Mi faccio suora o frate o prete». Se si ha la vocazione e la si vuole realizzare, in poco tempo si
conoscerà la volontà di Dio, altrimenti essa diventa un pretesto e uno spauracchio per non affrontare
le proprie paure e limiti nel confronto con l’altro.
La gelosia e attaccamento
Sono questi dei sentimenti spesso finalizzati a tener un legame affettivo. La gelosia è di per sé
un sentimento naturale che altera, anche fisicamente, il nostro organismo (rossore, battito cardiaco,
contrattura del volto). Tuttavia vi può essere una degenerazione di questo stato per cui la gelosia diviene ossessiva generando immagini o fantasie che divengono indomabili e che obbligano la ragione a cedere il posto alle sensazioni. Si è certi dell’infedeltà dell’altro e si vive solo per trovare conferme. Chi si comporta così ha vissuto un attaccamento preoccupato e timoroso verso i propri genitori, non si è sentito apprezzato o amato da piccolo così da sospettare di tutti da grande. Queste persone hanno una scarsa considerazione di sé, anche se esternamente sembrano forti e possessive.
L’amore fobico
È l’amore di chi ha paura di mettersi in discussione, ad esporsi e vuole lasciarsi una via di fuga
in una relazione stabile. Non vuole farsi male e ha paura di soffrire. In realtà un tale atteggiamento
deriva da un’infanzia in cui una madre apprensiva ha trasmesso un’immagine di un mondo pericoloso per una persona fragile. È stato iperprotetto perché evitasse esperienze di socializzazione forse
per la paura di incorrere in qualcosa di male. Chi non ha passato questo trauma, nelle relazioni penserà sempre che l’altro o l’altra è troppo per lui o lei, troppo bella, troppo buona, troppo impegnativa.
Come si esce da queste trappole della relazione?
Un primo passo che va fatto per superare questi intoppi consiste nel non strumentalizzare il partner ai propri bisogni sia interiori che esteriori. Bisogna permettergli di essere il soggetto e non
l’oggetto del nostro amore. Bisogna arrivare ad un amore paritario, e talvolta bisogna aspettarsi, e
sempre bisogna puntare all’amore che si dona e non solo a quello che si riceve. È necessario maturare attraverso tutte le fasi affettive (autoerotica, omoerotica e eteroerotica) arrivando
all’accoglienza dell’altro senza regredire sia psichicamente che sessualmente a quegli stadi che
bloccano la nostra capacità di amare. L’amore accogliente e donativo si pone di fronte all’altro in
un atteggiamento di contemplazione, partecipando a quella gratuità di amore propria di Dio. È necessario così conoscere l’altro e nello stesso tempo conoscere se stessi e i propri limiti e le proprie
paure per vivere una storia di amore appagante (o forse anche troncarla se non è sana) senza buttarsi
a capofitto rimproverandosi poi, a rottura consumata, di aver perso del tempo ed energie.
L’amore immaturo dirà sempre «sarei (più) felice se l’altro cambiasse», ma questo è uno scarico di responsabilità perché si è responsabili, nella coppia, l’uno dell’altro. Bisogna amare il prossimo come se stessi, ci dice Gesù, e quel se stessi implica che uno si accolga e si accetti così come è
senza se e senza ma. Solo chi è contento di sé (non dei suoi limiti peccaminosi però) potrà accettare
l’altro.
È necessario inoltre aver anche un controllo delle proprie emozioni e pulsioni che ci portano a
relazionarci con il partner in maniera non persole ma istintiva e superficiale, cercandolo, nei momenti di eccitazione come strumento per soddisfare un proprio bisogno. Questo percorso di autocontrollo è chiaramente quello della castità del cuore e del corpo che può essere raggiunta grazie
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all’amore di Dio, ai sacramenti e alla preghiera. Siamo troppo deboli per vivere questa dimensione
con serenità e non come una costrizione esterna. D’altra parte la stessa castità è essa stessa fatica e
dono.
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3 Agosto 2012
Amare volendo il bene dell’altro.
Il cammino dell’amore integrale aiutati da Dio
Dopo aver riflettuto sulle condizioni e sulle regole necessarie per instaurare un rapporto sano e
appagante di amore, dobbiamo chiederci se sia possibile giungere ad amare in modo vero e, in definitiva, raggiungere la felicità. È possibile per un uomo e una donna uscire fuori dai propri egoismi
ed assaporare la bellezza di una comunione di vita che riempi per davvero? E, soprattutto, qual è il
vertice dell’amore? In questo passaggio cercheremo di dare una risposta ai nostri dubbi circa la possibilità di maturare nell’amore nonostante i limiti e i condizionamenti che ci portiamo appresso.
Premettiamo, inoltre, che vi è un amore che realizza il progetto che Dio ha su ciascuno di noi
fin dall’eternità e che il peccato rischia di rovinare: tale progetto non è qualcosa riservato a pochi
eletti m è una meta alla portata di tutti.
Se però parliamo di amore e di un amore vero, incondizionato, totale, che vede il bene dell’altro
e che rende felice dobbiamo rivolgerci a chi ci ha dimostrato, nelle parole e nelle opere, la possibilità di vedere l’altro con occhi nuovi e di uscire da quella sottile tentazione che ci porta costantemente a strumentalizzare ogni cosa per soddisfare il nostro egoismo. Questa persona, cui dobbiamo
guardare, è Gesù. Egli per primo ha amato gli altri in modo nuovo e ci dice che solo nel suo amore,
che è divino, trovano la loro origine e motivazione tutti gli amori umani. Ora la meta che Gesù ci
propone non è raggiungibile con il solo sforzo umano, ma è possibile grazie all’aiuto dello Spirito
Santo e la libera collaborazione nostra.
E così dobbiamo metterci in cammino verso il vero e totale amore, un cammino che dura tutta
la vita e che mira ad eliminare ogni egoismo. Un cammino che non ci fa amare l’altro per un tornaconto, qualsiasi esso sia, ma per se stesso, regalandoci la felicità che è uno stato di amore condiviso,
stabile e perpetuo. Un cammino che coincide con la stessa vita cristiana perché solo chi si abbandona a Dio, combatte il peccato, si fortifica con i sacramenti e si mette in discussione può ottenere
questa maturazione umana e spirituale, così come avviene per i santi. Per chi dubita di Dio credendo
che Egli voglia limitare i nostri piaceri con leggi ed editti inosservabili, questa meta sarà sempre
lontana e disprezzabile.
Tobia e Sara: icona di un amore puro nonostante il male
Per introdurci a questa tappa meditiamo sulla vicenda di Tobia e Sara, due personaggi
dell’Antico Testamento che si incontrano dopo molte difficoltà e decidono di costruire il loro amore
nell’amicizia di Dio.
Dal Libro di Tobia (6,10-19)
Erano entrati nella Media e già erano vicini a Ecbàtana, quando Raffaele disse al ragazzo: "Fratello
Tobia!". Gli rispose: "Eccomi". Riprese: "Questa notte dobbiamo alloggiare presso Raguele, che è
tuo parente. Egli ha una figlia chiamata Sara e all'infuori di Sara non ha altro figlio o figlia. A te, come parente più stretto, spetta il diritto di sposarla più di qualunque altro uomo e di avere in eredità i
beni di suo padre. È una ragazza saggia, coraggiosa, molto graziosa e suo padre è una brava persona".
E aggiunse: "Tu hai il diritto di sposarla. Ascoltami, fratello: io parlerò della fanciulla al padre questa
sera, per serbartela come fidanzata. Quando torneremo dalla città di Rage, celebreremo le sue nozze.
So che Raguele non potrà rifiutarla a te o prometterla ad altri; egli incorrerebbe nella morte secondo
la prescrizione della legge di Mosè, poiché egli sa che prima di ogni altro spetta a te avere sua figlia.
Ascoltami, dunque, fratello. Questa sera parleremo della fanciulla e ne domanderemo la mano. Al
nostro ritorno dalla città di Rage la prenderemo e la condurremo con noi a casa tua". Allora Tobia rispose a Raffaele: "Fratello Azaria, ho sentito dire che ella è già stata data in moglie a sette uomini ed
essi sono morti nella stanza nuziale la notte stessa in cui dovevano unirsi a lei. Inoltre ho sentito dire
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che un demonio le uccide i mariti. Per questo ho paura; il demonio a lei non fa del male, ma se qualcuno le si vuole accostare, egli lo uccide. Io sono l'unico figlio di mio padre. Ho paura di morire e di
condurre così alla tomba la vita di mio padre e di mia madre per l'angoscia della mia perdita. Non
hanno un altro figlio che possa seppellirli". Ma quello gli disse: "Hai forse dimenticato i moniti di tuo
padre, che ti ha raccomandato di prendere in moglie una donna del tuo casato? Ascoltami, dunque, o
fratello: non preoccuparti di questo demonio e sposala. Sono certo che questa sera ti verrà data in
moglie. Quando però entri nella camera nuziale, prendi il cuore e il fegato del pesce e mettine un poco sulla brace degli incensi. L'odore si spanderà, il demonio lo dovrà annusare e fuggirà per non farsi
più vedere in eterno intorno a lei. Poi, prima di unirti con lei, alzatevi tutti e due a pregare. Supplicate
il Signore del cielo perché venga su di voi la sua grazia e la sua salvezza. Non temere: ella ti è stata
destinata fin dall'eternità. Sarai tu a salvarla. Ella verrà con te e penso che da lei avrai figli che saranno per te come fratelli. Non stare in pensiero". Quando Tobia sentì le parole di Raffaele e seppe che
Sara era sua parente, della stirpe della famiglia di suo padre, l'amò molto senza poter più distogliere il
suo cuore da lei.
Come si vede sia Tobia sia Sara, pur destinati a stare insieme trovano sul loro cammino delle
difficoltà. Addirittura Sara vive continui lutti causati dalla malvagità di un demone, che la tradizione chiama Asmodeo, detto «demone della concupiscenza» (quello che ci tenta a soddisfare subito i
desideri e le passioni). La loro storia diviene così simbolo di un cammino che porta alla purezza del
cuore e alla sua riverginizzazione, laddove il peccato ha lasciato le sue conseguenze. D’altra parte
bisogna ricordarsi che se l’uomo è «impuro», lo è non per le cose esterne, ma per quello che partorisce il suo cuore, sicché è necessario purificare l’intenzione di quello che si fa e lo sguardo con cui si
vede l’altro.
I riti che Tobia e Sara mettono in atto prima di unirsi simbolizzano il cammino di fede e di impegno richiesto per giungere al vertice di un amore che si dona e che non cerca. Bisogna abituarsi,
giorno per giorno e con l’aiuto di Dio, ad acquisire in sé questi atteggiamenti che sono le virtù, ovvero un’abitudine a scegliere sempre le cose migliori.
A questo aggiungiamo che agli atti, sia buoni e cattivi, si arriva dopo un percorso che passa per
l’immaginazione e la fantasia. Per spezzare l’incantesimo diabolico Tobia e Sara pregano prima di
unirsi perché anche la sessualità entra in un disegno divino e non è una cosa sporca da cui nascondersi se la si vive secondo Dio. Se pensiamo ad Adamo ed Eva notiamo che essi si accorsero di essere nudi dopo il peccato, perché è la mancanza di Dio e il costituirsi legge a se stessi che ci fa deviare dalla meta cui siamo chiamati.
Ma come si arriva ad un amore integro e totalizzante? Non certamente con le nostre sole forze.
Sono necessari uno sguardo e una forza superiore che aiutino a vivere l’integrità del dono di sé, nella continuità della vita e nelle tentazioni del maligno, e ad essere puri di cuore. La purezza del cuore
indica infatti la buona intenzione di amare senza altre mire. Nell’uomo questo sguardo verso l’altro
viene guastato dal peccato pian piano, come quando si comincia a fantasticare in maniera molto
spinta di una donna o di un uomo e li si vede con degli occhi molto particolari, quelli del possesso e
della soddisfazione del proprio bisogno.
Il cammino verso il dono della purezza del cuore che ci porta ad amare integralmente e totalmente gli altri è il cammino della castità che non è la semplice assenza dell’uso della genitalità, ma
è una dimensione che coinvolge tutto l’essere in uno sforzo benefico di educazione all’amore pieno.
La castità è così quel dominio di sé, sia interiormente che esteriormente, sia della sensibilità sia della razionalità, che dona la purezza di questo sguardo e che ti fa vedere lui o lei con occhi nuovi, con
gli occhi di Cristo. La persona casta non è una che ha paura del sesso, al contrario essa lo accoglie
come dono e possibilità di donazione all’altro secondo il progetto di Dio.
Il cammino verso l’amore casto necessita, però, di mezzi particolari come la preghiera, la confessione che bombarda il male, la fiducia in Dio, i sacramenti, perché essa è un dono che solo chi lo
desidera può ricevere. Se si prescinde da questo aspetto questo percorso sarà solo una frustrante negazione dell’identità intima e personale della persona.
Il cammino di castità verso l’amore integrale e donante conosce alti e bassi, a volte anche cadute, ma chi lo percorre sa che la misericordia di Dio è più grande dei limiti umani ed è sempre vicina
per guarire quelle ferite che ci portiamo dietro e ci frenano nella nostra crescita interiore.
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E tra la tante ferite che la grazia risana vi è quella che riguarda la memoria ovvero il nostro passato. Come abbiamo visto, molto influisce, nel nostro modo di relazionarci, la memoria di ciò che
abbiamo vissuto. Può accadere che una donna che da piccola sia stata violentata, per esempio e può
aver rimosso la violenza, ma crescendo ha rovinato parecchi uomini perché era il suo modo di riequilibrare quella violenza. Vi sono però eventi meno drammatici, esperienze negative o influenze
familiari non sane che fanno si che il nostro rapporto con l’altro ne paghi le conseguenze. Ebbene la
grazia di Dio ci riconcilia con il nostro passato dandoci la forza di perdonare e di annullare il male
ingiustamente ricevuto.
Peccato e senso del peccato: la bellezza di sentirsi amati e redenti
Una delle difficoltà degli uomini e delle donne di oggi deriva dal fatto che non hanno più il senso del peccato. Per essere ancor più precisi notiamo che manca persino, specialmente nei piccoli,
un’ elaborazione sana del senso di colpa, per cui ci sono genitori che mai sgridano o rimproverano i
figli. Una persona che non riflette sui suoi sbagli e non è educata a farlo da piccola, difficilmente
maturerà nell’amore, non sapendo distinguere il bene dal male né ponendosi di fronte all’altro in un
atteggiamento di ascolto e accoglienza, riconoscendo serenamente i propri limiti. Mancando il senso
del peccato e un senso di colpa, la crescita morale risulta compromessa perché non solo non c’è la
consapevolezza di poter crescere nonostante gli sbagli, ma vi è anche la negazione, in definitiva,
della libertà stessa alla persona, visto che si sta affermando che un’azione sbagliata è ininfluente e
non imputabile più di tanto al soggetto che la fa.
L’aver coscienza di aver sbagliato invece è fonte di crescita e maturazione perché il prendere
atto del male compiuto, unito alla volontà di evitarlo in futuro, fa si che non ci si fermi solo
all’azione, ma si possa capire che può esservi un perdono, una redenzione e una possibilità di vita
nuova più consolidata nel bene e aliena dal male appunto perché vissuta dopo l’esperienza penosa
del male commesso.
Ci aiuta in questa riflessione sul senso del peccato l’esperienza del Re Davide (2 Sam 11)
All'inizio dell'anno successivo, al tempo in cui i re sono soliti andare in guerra, Davide mandò Ioab
con i suoi servitori e con tutto Israele a compiere devastazioni contro gli Ammoniti; posero l'assedio
a Rabbà, mentre Davide rimaneva a Gerusalemme. Un tardo pomeriggio Davide, alzatosi dal letto, si
mise a passeggiare sulla terrazza della reggia. Dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno: la
donna era molto bella d'aspetto. Davide mandò a informarsi sulla donna. Gli fu detto: "È Betsabea,
figlia di Eliàm, moglie di Uria l'Ittita". Allora Davide mandò messaggeri a prenderla. Ella andò da lui
ed egli giacque con lei, che si era appena purificata dalla sua impurità. Poi ella tornò a casa. La donna
concepì e mandò ad annunciare a Davide: "Sono incinta". Allora Davide mandò a dire a Ioab: "Mandami Uria l'Ittita". Ioab mandò Uria da Davide. Arrivato Uria, Davide gli chiese come stessero Ioab e
la truppa e come andasse la guerra. Poi Davide disse a Uria: "Scendi a casa tua e làvati i piedi". Uria
uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una porzione delle vivande del re. Ma Uria dormì alla porta
della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. La cosa fu riferita a Davide: "Uria
non è sceso a casa sua". Allora Davide disse a Uria: "Non vieni forse da un viaggio? Perché dunque
non sei sceso a casa tua?". Uria rispose a Davide: "L'arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioab
mio signore e i servi del mio signore sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa
mia per mangiare e bere e per giacere con mia moglie? Per la tua vita, per la vita della tua persona,
non farò mai cosa simile!". Davide disse a Uria: "Rimani qui anche oggi e domani ti lascerò partire".
Così Uria rimase a Gerusalemme quel giorno e il seguente. Davide lo invitò a mangiare e a bere con
sé e lo fece ubriacare; la sera Uria uscì per andarsene a dormire sul suo giaciglio con i servi del suo
signore e non scese a casa sua. La mattina dopo Davide scrisse una lettera a Ioab e gliela mandò per
mano di Uria. Nella lettera aveva scritto così: "Ponete Uria sul fronte della battaglia più dura; poi ritiratevi da lui perché resti colpito e muoia". Allora Ioab, che assediava la città, pose Uria nel luogo dove sapeva che c'erano uomini valorosi. Gli uomini della città fecero una sortita e attaccarono Ioab;
caddero parecchi della truppa e dei servi di Davide e perì anche Uria l'Ittita. Ioab mandò ad annunciare a Davide tutte le cose che erano avvenute nella battaglia e diede al messaggero quest'ordine:
"Quando avrai finito di raccontare al re quanto è successo nella battaglia, se il re andasse in collera e
ti dicesse: "Perché vi siete avvicinati così alla città per dar battaglia? Non sapevate che avrebbero ti40
rato dall'alto delle mura? Chi ha ucciso Abimèlec figlio di Ierub-Baal? Non fu forse una donna che
gli gettò addosso il pezzo superiore di una macina dalle mura, così che egli morì a Tebes? Perché vi
siete avvicinati così alle mura?", tu digli allora: "Anche il tuo servo Uria l'Ittita è morto"". Il messaggero dunque partì e, quando fu arrivato, annunciò a Davide quanto Ioab lo aveva incaricato di dire. E
il messaggero disse a Davide: "Poiché i nemici avevano avuto vantaggio su di noi e avevano fatto
una sortita contro di noi nella campagna, noi fummo loro addosso fino alla porta della città; allora gli
arcieri tirarono sui tuoi servi dall'alto delle mura e parecchi dei servi del re perirono. Anche il tuo
servo Uria l'Ittita è morto". Allora Davide disse al messaggero: "Riferirai a Ioab: "Non sia male ai
tuoi occhi questo fatto, perché la spada divora ora in un modo ora in un altro; rinforza la tua battaglia
contro la città e distruggila". E tu stesso fagli coraggio". La moglie di Uria, saputo che Uria, suo marito, era morto, fece il lamento per il suo signore. Passati i giorni del lutto, Davide la mandò a prendere e l'aggregò alla sua casa. Ella diventò sua moglie e gli partorì un figlio. Ma ciò che Davide aveva
fatto era male agli occhi del Signore. Il Signore mandò il profeta Natan a Davide, e Natan andò da lui
e gli disse: "Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e l'altro povero. Il ricco aveva bestiame
minuto e grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non una sola pecorella piccina,
che egli aveva comprato. Essa era vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del suo
pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall'uomo ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso quanto era da
servire al viaggiatore che era venuto da lui, prese la pecorella di quell'uomo povero e la servì all'uomo che era venuto da lui". Davide si adirò contro quell'uomo e disse a Natan: "Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver fatto
una tal cosa e non averla evitata". Allora Natan disse a Davide: "Tu sei quell'uomo!”.
Come Davide, anche il credente, di fronte al peccato, sa che Dio è coinvolto in qualche maniera
mettendosi per di più a difesa dell’offeso. Il peccato è una conseguenza di una passione o una convinzione ferma che porta la persona ad ignorare Dio e gli uomini e a ergersi essa stessa a legge universale. Il peccato è l’atteggiamento di chi, costituendosi legislatore di se stesso, decide cosa sia bene e cosa sia male, a prescindere dal fatto che questa distinzione l’ha già compiuta chi le cose le ha
create, Dio. Il peccato è una rottura dell’amicizia con Dio per cui, in buona sostanza, solo chi crede
in Dio e lo ama per davvero, sa cosa sia il peccato. All’indifferente o alla persona tiepida poco importa sapere che con il suo peccato si allontana da una persona amata, Gesù, amplificandone le sofferenze.
Ora Davide commette il peccato dopo essere stato preso da una passione e aver acconsentito ad
una tentazione. Inoltre egli non si ferma alla consumazione di esso, ma commette anche altri delitti.
Dal momento che la nascita del figlio, frutto dell’unione illegittima, può richiamare alla sua coscienza il male commesso, si mobilita in tutti i modi per nascondere a se stesso e agli altri il suo errore arrivando ad uccidere pur di far tacere il senso di colpa. Solo grazie ad un intervento di Dio,
per mezzo del profeta Natan, Davide rientra in se stesso e comprende la gravità di ciò che ha fatto
alla luce dell’amicizia di Dio e del suo amore. Solo allora può capire che ciò che ha fatto è male e
che ha bisogno di un aiuto speciale per ritornare ad avere una vita nuova.
Allo stesso modo quando scegliamo comportamenti sessuali che ci allontanano dal disegno di
Dio, noi escludiamo la Parola di Dio e come Adamo ed Eva stabiliamo noi cosa è bene e male. Dio
è morto.
Beati i puri di cuore: il cammino verso l’amore pieno
(quando la castità non è solo qualcosa da preti o da suore)
Di fronte alle regressioni, alle deviazioni o ai peccati che ci separano da Dio e ci portano a cercare il proprio interesse, egoismo e tornaconto, si impone allora un cammino di crescita e di controllo di sé, che cristianamente è il cammino della castità.
Dobbiamo stare attenti però quando parliamo di castità a non pensare che essa obblighi ad atteggiamenti che reprimono ogni effusione affettiva o emotiva. In realtà la castità è una virtù o una
dimensione della persona che abilita il cuore ad amare in una modalità inaspettata e con orizzonti
sempre più vasti. La castità è educazione dell’amore e all’amore perché porta a dominare pian piano
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gli istinti della sensibilità e ci fa vedere sempre più l’altro come uno cui volere bene, anzi ci stimola
a voler il bene dell’altro. La castità è un cammino che conduce ad avere un’integrità personale e,
nonostante il peccato ma grazie all’amore di Dio, a ri-verginizzare se stessi laddove il peccato ha
portato degrado, frantumazione e malizia.
La castità esprime la positiva integrazione della sessualità nella persona e conseguentemente l'unità
interiore dell'uomo nel suo essere corporeo e spirituale. La sessualità, nella quale si manifesta l'appartenenza dell'uomo al mondo materiale e biologico, diventa personale e veramente umana allorché è
integrata nella relazione da persona a persona, nel dono reciproco, totale e illimitato nel tempo,
dell'uomo e della donna. La virtù della castità, quindi, comporta l'integrità della persona e l'integralità
del dono. La persona casta conserva l'integrità delle forze di vita e di amore che sono in lei. Tale integrità assicura l'unità della persona e si oppone a ogni comportamento che la ferirebbe. Non tollera
né doppiezza di vita, né doppiezza di linguaggio (cf Mt 5,37). CCC 2337-2338
Come si vede la castità non agisce solo sulla sessualità o sulla genitalità, ma su tutta la persona
umana, sulla sensibilità come sulla razionalità (sia l’azione sia l’intenzione con cui si fanno le cose).
Il cristiano è chiamato allora ad essere casto nel corpo, nel linguaggio, nello spirito, nel senso che
non può scegliere le mezze misure, ma deve crescere nell’amore di Dio, di sé e degli altri:
Colui che vuole restar fedele alle promesse del suo Battesimo e resistere alle tentazioni, avrà cura di
valersi dei mezzi corrispondenti: la conoscenza di sé, la pratica di un'ascesi adatta alle situazioni in
cui viene a trovarsi, l'obbedienza ai divini comandamenti, l'esercizio delle virtù morali e la fedeltà alla preghiera. “La continenza in verità ci raccoglie e ci riconduce a quell'unità, che abbiamo perduto
disperdendoci nel molteplice” (Sant'Agostino, Confessiones, 10, 29, 40). La virtù della castità è strettamente dipendente dalla virtù cardinale della temperanza, che mira a far condurre dalla ragione le
passioni e gli appetiti della sensibilità umana. CCC 2340-2341.
Alcuni pensano che la castità sia qualcosa di altri tempi e che non sia possibile proporla oggi
dove vi è una parvenza di libertà diffusa di costumi e di pensiero. Si dice che vi è l’emancipazione
ovvero una libertà sessuale e di modi che in realtà non segue nessuna regola, se non quelle della
soddisfazione del proprio piacere e bisogno. Dobbiamo invece prendere atto che la castità, grazie
all’aiuto dello Spirito Santo, porta a quel dominio di sé e dei propri istinti perché uno possa agire
con piena coscienza e volontà. In una parola la castità porta la persona a disporre di sé in piena libertà e coscienza, limitando le condizioni e i limiti che provengono dalle passioni e dai sentimenti
del momento.
Il dominio di sé è un' opera di lungo respiro. Non lo si potrà mai ritenere acquisito una volta per tutte.
Suppone un impegno da ricominciare ad ogni età della vita (cf Tt 2,1-6). Lo sforzo richiesto può essere maggiore in certi periodi, quelli, per esempio, in cui si forma la personalità, l'infanzia e l'adolescenza. La castità conosce leggi di crescita, la quale passa attraverso tappe segnate dall'imperfezione
e assai spesso dal peccato. L'uomo virtuoso e casto “si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita”
[Giovanni Paolo II, Esort. ap. Familiaris consortio, 34]. La castità rappresenta un impegno eminentemente personale; implica anche uno sforzo culturale, poiché “il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società” sono “tra loro interdipendenti” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 25]. La castità suppone il rispetto dei diritti della persona, in particolare quello di ricevere un'informazione ed un'educazione che rispettino le dimensioni morali e spirituali della vita umana. La castità è una virtù morale. Essa è anche un dono di Dio, una grazia, un frutto dello Spirito (cf
Gal 5,22). Lo Spirito Santo dona di imitare la purezza di Cristo (cf 1Gv 3,3) a colui che è stato rigenerato dall'acqua del Battesimo. CCC 2342-2345.
Il cammino di castità non è un dono di pochi, ma una conquista che si raggiunge giorno dopo
giorno e che non arriva alla sua meta se non nella pienezza della vita eterna. Per compiere tale
cammino bisogna mettersi in discussione, essere umili, accettare se stessi e le cadute che possono
pure esserci, ma sempre confidando nell’amore di Dio, senza scoraggiarsi. La vita di castità ha le
sue regole e i suoi punti fermi:
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Il Battesimo conferisce a colui che lo riceve la grazia della purificazione da tutti i peccati. Ma il battezzato deve continuare a lottare contro la concupiscenza della carne e i desideri disordinati. Con la
grazia di Dio giunge alla purezza del cuore: - mediante la virtù e il dono della castità, perché la castità permette di amare con un cuore retto e indiviso; - mediante la purezza d'intenzione che consiste nel
tener sempre presente il vero fine dell'uomo: con un occhio semplice, il battezzato cerca di trovare e
di compiere in tutto la volontà di Dio; (cf Rm 12,2; Col 1,10); mediante la purezza dello sguardo, esteriore ed interiore; mediante la disciplina dei sentimenti e dell'immaginazione; mediante il rifiuto di
ogni compiacenza nei pensieri impuri, che inducono ad allontanarsi dalla via dei divini comandamenti: “La vista provoca negli stolti il desiderio” (Sap 15,5 ); mediante la preghiera: Pensavo che la continenza si ottiene con le proprie forze e delle mie non ero sicuro. A tal segno ero stolto da ignorare
che, come sta scritto, nessuno può essere continente, se Tu non lo concedi. E Tu l'avresti concesso, se
avessi bussato alle tue orecchie col gemito del mio cuore e lanciato in Te la mia pena con fede salda
[Sant'Agostino, Confessiones, 6, 11, 20].
La persona casta ha il dominio di sé e può relazionarsi con l’altro in tutta serenità e integrità
perché vede il prossimo con un occhio nuovo, puro, così come lo vede Dio: degno di amore. La persona casta vorrà sempre e solo il bene dell’altro perché ha rinunciato a cercare nel prossimo il soddisfacimento dei suoi bisogni, sia materiali sia spirituali sia psichici. Così la castità deve essere vissuta da tutti, sebbene in forme diverse.
Ci sono tre forme della virtù di castità: quella degli sposi, quella della vedovanza, infine quella della
verginità. Non lodiamo l'una escludendo le altre. Sotto questo aspetto, la disciplina della Chiesa è
ricca [Sant'Ambrogio, De viduis, 23: PL 153, 225A]. I fidanzati sono chiamati a vivere la castità nella continenza. Messi così alla prova, scopriranno il reciproco rispetto, si alleneranno alla fedeltà e alla
speranza di riceversi l'un l'altro da Dio. Riserveranno al tempo del matrimonio le manifestazioni di
tenerezza proprie dell'amore coniugale. Si aiuteranno vicendevolmente a crescere nella castità. CCC
2350.
Il dominio di sé e la castità non sono aspetti vissuti intimisticamente, ma portano anche a modificare gli atteggiamenti esterni che saranno orientati al rispetto di sé e degli altri, del proprio corpo e
quello altrui sapendo che esso è tempio dello Spirito Santo e destinato alla gloria eterna nella risurrezione finale. Questo religioso rispetto si qualifica nel pudore, visto oggi, purtroppo, come un atteggiamento da vergognosi, timidi o persone non emancipate.
La purezza esige il pudore. Esso è una parte integrante della temperanza. Il pudore preserva l'intimità
della persona. Consiste nel rifiuto di svelare ciò che deve rimanere nascosto. E' ordinato alla castità,
di cui esprime la delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle persone e
della loro unione. Il pudore custodisce il mistero delle persone e del loro amore. Suggerisce la pazienza e la moderazione nella relazione amorosa; richiede che siano rispettate le condizioni del dono
e dell'impegno definitivo dell'uomo e della donna tra loro. Il pudore è modestia. Ispira la scelta
dell'abbigliamento. Conserva il silenzio o il riserbo là dove trasparisse il rischio di una curiosità morbosa. Diventa discrezione. Esiste non soltanto un pudore dei sentimenti, ma anche del corpo. Insorge,
per esempio, contro l'esposizione del corpo umano in funzione di una curiosità morbosa in certe pubblicità, o contro la sollecitazione di certi mass-media a spingersi troppo in là nella rivelazione di confidenze intime. Il pudore detta un modo di vivere che consente di resistere alle suggestioni della moda e alle pressioni delle ideologie dominanti. CCC 2521-2523
La perdita del senso del pudore e la conseguente perdita dell’intimità personale tendono a rendere esteriore, superficiale, impersonale ogni tipo di rapporto con altri. La dissoluzione dell’intimità dell’io
[...] ha spesso fra i suoi esiti finali anche l’ateismo (teorico e pratico): “Se, infatti, si elimina
l’intimità personale, non c’è più posto per la relazione con Dio, dato che l’incontro con Lui può avvenire soltanto nel centro più intimo della persona” [Giambattista Torellò, Dalle mura di Gerico]».
Dunque la meta verso un amore pieno può risentire di condizionamenti psicologici che ci portiamo dall’infanzia e che hanno la loro causa ultima nel peccato, sia in quello originale che ci pone
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in uno stato di debolezza e attrazione al male; sia in quello dei nostri familiari che non sempre sono
stati santi; sia di quello nostro che commesso ci inclina e ci lega sempre più ad esso. Se si vuole maturare seriamente è impensabile un percorso che escluda l’influsso della grazia e dell’aiuto di Dio,
specialmente quando ci sono dei legami negativi che sembrano più grandi di noi.
D’altra parte un cammino che si fermi ad un’analisi di sé ci metterebbe solamente di fronte ai
nostri limiti e al senso di colpa di atti che hanno ben poco di maturità affettiva. Per uscirne a testa
alta abbiamo bisogno di un aiuto vero, quello della grazia e del perdono, quello che ci ri-verginizza
perché cancella il peccato e le sue conseguenze. In una parola abbiamo bisogna del perdono e
dell’amore di Dio, il solo che può ridarci un cuore puro e capace di amare seriamente, lo stesso amore che ha cambiato la Maddalena donandole una capacità di amare nuova. Il passato non si può
cancellare, ma noi siamo tali ed unici grazie al nostro passato. La grazia di Dio fa si che possiamo
superare i pantani del peccato e diventare nuove creature. Grazie all’aiuto di Dio noi possiamo perdonare e così rivestire il nostro passato di una luce nuova, riconciliarci con esso: come è accaduto a
Sant’Agostino, San Francesco, Santa Margerita da Cortona…
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4 Agosto 2012
La sessualità come linguaggio nel dialogo tra i coniugi
alla luce della santità del matrimonio
Per comprendere appieno le esigenze della morale cristiana a riguardo della vita affettiva e sessuale dobbiamo tener conto dell’idea fondamentale che sorregge la sua visione dell’amore di coppia. Se la Chiesa ci tiene a determinate “regole”, ciò è dovuto al fatto che il matrimonio ha un posto
di grande onore e importanza nella vita di relazione degli uomini. La vita affettiva, spirituale e corporale a due si realizza in pienezza solo nel matrimonio perché, secondo la Rivelazione, solo in esso
vi è la totalità del dono e si è sicuri della propria moglie e del proprio marito, ovvero che si sta con
una persona che ha impegnato la propria vita per amore dell’altro.
Già dalle prime pagine della Bibbia, nella Genesi, viene chiarito in modo netto e preciso il disegno di Dio sull’uomo e sulla donna. In questo libro, infatti, Dio ci dice che l’uomo lascerà suo padre
e sua madre per diventare un’unica cosa con la sua donna. L’amore implica proprio questo allontanamento da un amore genitoriale o amicale per andare verso un altro tipo di amore, più esclusivo e
totale. Il lasciare il padre e la madre non significa solo abbandonare un contesto familiare, ma è segno di quel distacco da quei legami affettivi che anche se riguardano cose e persone, tuttavia entrano in una sfera di amore erotico o di concupiscenza (amici, familiari), un amore che guarda ancora
ai propri bisogni e alle proprie paure. La maturità dell’amore oblativo che nel matrimonio trova una
delle sue espressioni più belle sarà perciò un legarsi senza legare, amare senza cambiare, rischiare
di essere felici.
Un pregiudizio ricorrente sull’insegnamento della Chiesa circa la sessualità ci dice che per la
Chiesa si può fare sesso «solo» in vista della procreazione, dell’avere figli. Se è vero che l’atto sessuale è per sua natura un atto che è aperto alla vita, non per questo esso si limita solo a questo aspetto. L’atto sessuale porta anche ad essere una sola realtà con l’altro per cui vivere la sessualità unicamente per avere figli significa andare contro il disegno originario di Dio come lo è il viverla solo
per provare piacere o per unirsi all’altro.
Il matrimonio come «vocazione»
Il matrimonio non è un semplice patto con cui ci si impegna a stare con una persona divenuta
cara ed amata. Il matrimonio è una vocazione che Dio fa, una chiamata, alla quale l’uomo e la donna rispondono per realizzare se stessi e collaborare all’opera della creazione. Solo Dio può rendere
felici e solo Lui indica a ciascuno la via per la quale raggiungere questa felicità. Per il novantanove
per cento della popolazione mondiale tale via passa per il matrimonio, quel progetto di vita di coppia che Dio ha pensato per l’umanità e che è riflesso dell’amore divino perché porta alla gioia della
comunione e alla procreazione della vita che rende concreta la relazione.
“L'intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale. . . Dio stesso è l'autore del matrimonio”. La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell'uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore.
Il matrimonio non è un'istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto
subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità
non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non
traspaia ovunque con la stessa chiarezza, esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell'unione matrimoniale, poiché “la salvezza della persona e della società umana e cristiana è
strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare”. CCC 1603.
Questa vocazione è donata ed espressa nella creazione dell’uomo e della donna ed è una legge
di natura che li condiziona e li porta ad incontrarsi e a completarsi. L'uomo e la donna sono stati
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creati l'uno per l'altro (“Non è bene che l'uomo sia solo”) e la donna, nella simbologia del racconto
antico, è “carne della carne dell’uomo”, sua eguale, del tutto prossima a lui, donata da Dio come un
“aiuto”.
La vita dell’uno e dell’altra è poi caratterizzata da una scelta esistenziale: “Per questo l'uomo
abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gen
2,24) che li porta ad essere un’unica realtà, un'unità indefettibile delle loro due esistenze. Gesù stesso lo mostra ricordando quale sia stato, “all'origine”, il disegno del Creatore: “Così che non sono
più due, ma una carne sola” (Mt 19,6 ).
Questo iniziale progetto e disegno che vale per tutti gli uomini e le donne è stato disturbato, però, dal peccato che ha immesso in quest’incontro ombre che rischiano di farlo crollare. Così nelle
relazioni fra l'uomo e la donna da sempre vi è la minaccia della discordia, dello spirito di dominio,
dell'infedeltà, della gelosia e dei conflitti che possono arrivare fino all'odio e alla rottura.
Dopo il peccato originale il matrimonio ha trovato comunque nuovi significati alla luce del rapporto tra Dio e Israele e così vedendo l'Alleanza di Dio con Israele sotto l'immagine di un amore
coniugale esclusivo e fedele, (cf Os 1-3; Is 54; Is 62; Ger 2-3; Ez 16; Ez 23) i profeti hanno preparato la coscienza del Popolo eletto ad una intelligenza approfondita dell'unicità e dell'indissolubilità
del matrimonio (cf Ml 2,13-17). I libri di Rut e di Tobia offrono testimonianze commoventi di un
alto senso del matrimonio, della fedeltà e della tenerezza degli sposi. La Tradizione ha sempre visto
nel Cantico dei Cantici un'espressione unica dell'amore umano, in quanto è riflesso dell'amore di
Dio, amore “forte come la morte” che “le grandi acque non possono spegnere” (Ct 8,6-7 ). L'alleanza nuziale tra Dio e il suo popolo Israele aveva preparato l'Alleanza Nuova ed eterna nella quale il
Figlio di Dio, incarnandosi e offrendo la propria vita, in certo modo si è unito tutta l'umanità da lui
salvata, preparando così “le nozze dell'Agnello” (Ap 19,7; Ap 19,9).
Nella sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell'unione dell'uomo e della donna, quale il Creatore l'ha voluta all'origine: il permesso, dato da Mosè, di ripudiare la
propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del cuore; (cf Mt 19,8) l'unione matrimoniale dell'uomo e della donna è indissolubile: Dio stesso l'ha conclusa. “Quello dunque che Dio
ha congiunto, l'uomo non lo separi” (Mt 19,6 ). Questa inequivocabile insistenza sull'indissolubilità
del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare perplessi e apparire come un'esigenza irrealizzabile (cf
Mt 19,10). Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo
gravoso, (cf Mt 11,29-30) più pesante della Legge di Mosè. Venendo a ristabilire l'ordine iniziale
della creazione sconvolto dal peccato, egli stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio
nella nuova dimensione del Regno di Dio. Seguendo Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di
sé la propria croce (cf Mc 8,34) gli sposi potranno “capire” (cf Mt 19,11) il senso originale del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana. È ciò che l'Apostolo Paolo lascia intendere quando dice:
“Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per
renderla santa” (Ef 5,25-26 ), e aggiunge subito: “Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e
si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,31-32 ).
Come si vede il matrimonio è una cosa troppo seria per essere visto come una realtà accessoria
nella relazione di coppia. In verità esso è il fine del rapporto a due e il luogo dove un uomo e una
donna che si amano divengono marito e moglie, due identità fuse insieme grazie a quell’amore che
non li porta a cercarsi per soddisfare un atavico bisogno di solitudine, ma a desiderare il bene di ciascuno nella realizzazione piena di sé. I figli nati nel matrimonio rendono visibile questo amore e lo
prolungano nel tempo, laddove la morte e la sofferenza minacciano continuamente qualsiasi aspirazione di eternità della persona.
La sessualità è una delle espressioni più alte dell’amore matrimoniale
Perché il sesso “solo” nel matrimonio? Cosa succede se lo si fa un mese prima o un giorno prima? Spesso si sente dire dalla ragazzina o dal ragazzo di turno: “se uno si ama, che male c’è?”
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Se il matrimonio è visto come una semplice tappa facoltativa dell’amore, è ovvio che sorgano
queste domande. Ma se il matrimonio è la consacrazione dell’amore tra un uomo e una donna e il
coronamento del progetto che Dio ha su quasi tutta l’umanità, chi vuole amare pienamente e sul serio l’altro (non che non si ami al di fuori del matrimonio), può farlo solo nel matrimonio. È per questo motivo che l’insegnamento di Gesù e della Chiesa è irremovibile su quelle affermazioni che pretendono di rendere quegli aspetti propri dell’unione coniugale normali anche in altre circostanze
della vita. Cerchiamo di vedere cosa insegna la Chiesa.
Nella visione della Chiesa circa il matrimonio vi è stato un approfondimento che non ha negato
ciò che si era detto in precedenza, ma lo ha chiarito per i tempi nostri onde evitare delle distorsioni.
Oggi si parla in particolar modo del linguaggio dell’atto coniugale. È stato Paolo VI che con la sua
Enciclica Humanae Vitae nel 1968 ha aperto la strada ad una nuova via. Così il Papa parla
dell’amore coniugale come
«di un amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di
istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a
mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli
sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana. È poi
amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé. È ancora amore fedele ed esclusivo fino alla morte. Così infatti lo concepiscono lo sposo e
la sposa nel giorno in cui assumono liberamente e in piena consapevolezza l’impegno del vincolo
matrimoniale.»
Come si vede è nel matrimonio che si completa un amore che è totale e totalizzante. Gli atti
sessuali nel matrimonio non sono un tabù anzi «sono "onesti e degni", e non cessano di essere legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione».
Giustamente infatti si avverte che un atto coniugale imposto al coniuge senza nessun riguardo alle
sue condizioni ed ai suoi giusti desideri non è un vero atto di amore e nega pertanto un’esigenza del
retto ordine morale nei rapporti tra gli sposi. Così, chi ben riflette dovrà anche riconoscere che un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le
cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino, a norma
del quale è costituito il coniugio, sia con il volere dell’Autore della vita umana. Usare di questo dono
divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla
natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà. Usufruire invece del dono dell’amore coniugale rispettando le leggi del processo generativo, significa riconoscersi non arbitri delle sorgenti della vita umana, ma piuttosto ministri del disegno stabilito dal creatore. Infatti, come sul suo corpo in generale
l’uomo non ha un dominio illimitato, così non lo ha, con particolare ragione, sulle sue facoltà generative in quanto tali, a motivo della loro ordinazione intrinseca a suscitare la vita, di cui Dio è principio.
"La vita umana è sacra, ricordava Giovanni XXIII; fin dal suo affiorare impegna direttamente
l’azione creatrice di Dio ".
A questo punto Paolo VI invita a vedere l’atto sessuale sotto un’ottica nuova. Prima di lui si
parlava di fini del matrimonio che erano così organizzati: fine primario era la procreazione; fine secondario l’unione dei coniugi. Da questo momento in poi si cerca di capire l’atto sessuale nel matrimonio in modo unitari:
«Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile,
che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi
aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e
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vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità. Noi pensiamo che
gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto questa dottrina sia consentanea alla ragione umana.»
Praticamente il Pontefice parla di un linguaggio dell’amore legato alla corporeità delle persone.
Come nel linguaggio verbale le parole hanno significati ben precisi, così nel linguaggio sessuale i
gesti hanno un loro preciso significato che non può essere separato dall’atto stesso. Ora la Chiesa,
rispettando appunto il linguaggio del corpo, ci dice che vi è un linguaggio proprio di esso che è valido solo nel matrimonio e questo è quello sessuale. Ogni cosa di noi ha un suo preciso significato:
gli occhi per vedere, le mani per toccare, la bocca per parlare. Ora anche il sesso ha un suo originario significato: di piacere, di amore e di generare la vita. Ma il significato più profondo del sesso è
la mutua e reciproca appartenenza di due persone l’una all’altra: in parole povere due persone con il
sesso esprimono questa proprietà reciproca, mettono un sigillo sul loro amore. Tutto questo avviene
veramente solo nel matrimonio. E a queste conclusioni non ci si arriva solo per fede. Anche la moderna psicologia ha vari esponenti che la pensano allo stesso modo.
L’atto sessuale ha pertanto due significati strutturalmente inscindibili quello unitivo e quello
procreativo. L’uomo non può separare questi due significati naturali dell’atto (perché appunto fanno
parte della natura) né dargli altri significati perché non sono “gesti” convenzionali, come può esserlo una stretta di mano che può avere diverse interpretazioni. Ogni volta che nel matrimonio l’uomo
incontra la donna viene detta un’unione e un’apertura alla vita, perché l’atto sessuale dice questo e
non altro. Separare questo significato ovvero vivere solo per l’unione o il piacere o per fare i figli
vuol dire mentire e mentirsi in quello che si fa. E se non sempre c’è la vita questo non pregiudica
tale visione perché
«come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita. Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla
sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi: atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita.»
E poi l’atto sessuale ha potenzialmente un effetto sociale, perché può portare al concepimento
di una persona il che fa si che quell’atto non sia qualcosa di intimistico come un bacio, ma qualcosa
di diverso: «Per sua indole naturale, l'istituto stesso del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento”: [Conc.
Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 48]» CCC 1652
“Secondo il pensiero biblico due esseri umani che hanno condiviso l’atto sessuale non sono mai uguali dopo. Non possono agire l’uno verso l’altro come se non avessero fatto quest’esperienza. Questa esperienza fa sì che i diretti interessati diventino una coppia legata indissolubilmente. Il rapporto
sessuale crea un legame carnale con tutte le sue implicazioni.” Walter Trobisch
Il linguaggio sessuale è proprio del matrimonio
Ma quali sono le ragioni che giustificano il criterio dell'inscindibilità dei due significati dell'atto
coniugale? Paolo VI fa leva sull'«intima» struttura dell'atto coniugale stesso e se si parla «significati» nell'atto coniugale ciò implica la concezione della sessualità come forma di linguaggio, o di comunicazione tra persone. Anzi l'atto coniugale è l'espressione, o linguaggio, specificamente proprio
dell'amore coniugale. Perciò la sua «intima struttura» è tale da poterne esprimere sia la singolare
forza unitiva, sia l'interiore tensione verso la generazione. Sono questi i due significati essenziali
dell'atto coniugale. La loro inseparabilità, o esigenza morale di non sopprimerne nessuno, è dunque
un'esigenza di verità, propria di ogni linguaggio. Solo così l'amore coniugale viene espresso quale
realmente è. Mentre ogni scissione, cioè ogni soppressione di uno dei due significati, costituisce
un'inammissibile sua falsificazione.
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È opportuno sottolineare che il significato procreativo è tale solo potenzialmente: l'atto cioè pone, e non può che porre, solo alcune tra le condizioni di una possibile procreazione. L'effettiva procreazione seguirà o no, a seconda che quando l'atto viene posto si verifichino oppure no altre condizioni, che non è l'atto a porre ma «leggi inscritte nell'essere stesso dell'uomo e della donna» (HV
12). Particolarmente importante tra queste leggi è il ritmico susseguirsi mensilmente nella donna di
un breve periodo di fecondabilità e di periodi infecondi.
Un'altra ragione a sostegno dell'inscindibilità dei due significati dell'atto coniugale riguarda l'esistenza di limiti morali invalicabili nei comportamenti che coinvolgono l'attuazione della sessualità
genitale, e quindi nell'atto coniugale. È quell'attuazione che rende l'uomo e la donna potenziali collaboratori di Dio Creatore nella procreazione. E in quella sessualità il Creatore ha inscritto chiare
indicazioni circa le modalità essenziali in cui tale collaborazione va posta. Ogni manipolazione sostanziale di essa implica la pretesa di farsi «arbitri delle sorgenti della vita umana».
Visto che per sua natura l’atto sessuale indica unione e apertura alla vita, ogni intrusione in
questo linguaggio lo snatura e va contro il progetto originale di Dio per cui sono illeciti tutti quegli
mezzi (dai contraccettivi all’aborto) che separano l’aspetto unitivo da quello procreativo. Vivere
questo linguaggio che esprime completa e definitiva donazione in un contesto di non stabilità (fuori
dal matrimonio) o viverlo solo per procreare o solo per provare piacere crea una ferita.
Oggi esistono tanti metodi e precauzioni per fare sesso sicuro, ma esse mortificano l’atto stesso
coniugale perché separano il significato profondo che porta in sé di unione e apertura alla vita. Tale
atto dovrebbe essere vissuto nella gioia e nella completezza, e non nella paura di rimanere incinte o
avere complicazioni. E poi anche sulla pillola si dovrebbe parlare un po’ diffusamente per le conseguenze negative accertate che ha sul sistema endocrino femminile.
Il corpo umano non è soltanto il campo di reazioni di carattere sessuale, ma è, al tempo stesso, il
mezzo di espressione dell’uomo integrale, della persona, che rivela se stessa attraverso il “linguaggio
del corpo”. Questo “linguaggio” ha un importante significato interpersonale, specialmente quando si
tratta dei rapporti reciproci tra l’uomo e la donna. Per di più, le nostre analisi precedenti mostrano
che in questo caso il “linguaggio del corpo” deve esprimere, a un determinato livello, la verità del sacramento. Partecipando all’eterno piano d’amore “Sacramentum absconditum in Deo” il “linguaggio
del corpo” diventa infatti quasi un “profetismo del corpo”. Si può dire che l’enciclica Humanae Vitae porta alle estreme conseguenze, non soltanto logiche e morali, ma anche pratiche e pastorali, questa verità sul corpo umano nella sua mascolinità e femminilità. L’unità dei due aspetti del problema della dimensione sacramentale (ossia teologica) e di quella personalistica - corrisponde alla globale
“rivelazione del corpo”. Da qui deriva anche la connessione della visione strettamente teologica con
quella etica, che si richiama alla “legge naturale”.
Il soggetto della legge naturale è infatti l’uomo non soltanto nell’aspetto “naturale” della sua esistenza, ma anche nella verità integrale della sua soggettività personale. Egli ci si manifesta, nella rivelazione, come maschio e femmina, nella sua piena vocazione temporale ed escatologica. Egli è chiamato da Dio ad essere testimone e interprete dell’eterno disegno dell’amore, divenendo ministro del sacramento, che “da principio” è costituito nel segno dell’“unione della carne”. Come ministri di un sacramento che si costituisce attraverso il consenso e si perfeziona attraverso l’unione coniugale,
l’uomo e la donna sono chiamati ad esprimere quel misterioso “linguaggio” dei loro corpi in tutta la
verità che gli è propria. Per mezzo dei gesti e delle reazioni, per mezzo di tutto il dinamismo, reciprocamente condizionato, della tensione e del godimento - la cui diretta sorgente è il corpo nella sua
mascolinità e femminilità, il corpo nella sua azione e interazione - attraverso tutto questo “parla”
l’uomo, la persona. L’uomo e la donna svolgono nel “linguaggio del corpo” quel dialogo che - secondo la Genesi (Gen 2, 24-25) - ebbe inizio nel giorno della creazione. È appunto a livello di questo
“linguaggio del corpo” - che è qualcosa di più della sola reattività sessuale e che, come autentico linguaggio delle persone, è sottoposto alle esigenze della verità, cioè a norme morali obiettive - l’uomo
e la donna esprimono reciprocamente se stessi nel modo più pieno e più profondo, in quanto è loro
consentito dalla stessa dimensione somatica . . . mascolinità e femminilità: l’uomo e la donna esprimono se stessi nella misura di tutta la verità della loro persona. L’uomo è appunto persona perché è
padrone di sé e domina se stesso. In quanto infatti è padrone di se stesso può “donarsi” all’altro. Ed è
questa dimensione della libertà del dono - che diventa essenziale e decisiva per quel “linguaggio del
corpo”, in cui l’uomo e la donna si esprimono reciprocamente nell’unione coniugale. Dato che questa
è comunione di persone, il “linguaggio del corpo” deve essere giudicato secondo il criterio della veri49
tà. Proprio tale criterio richiama l’enciclica Humanae Vitae, come è confermato dai passi citati in
precedenza. Secondo il criterio di questa verità, che deve esprimersi nel “linguaggio del corpo”, l’atto
coniugale “significa” non soltanto l’amore, ma anche la potenziale fecondità, e perciò non può essere
privato del suo pieno e adeguato significato mediante interventi artificiali. Nell’atto coniugale non è
lecito separare artificialmente il significato unitivo dal significato procreativo, perché l’uno e l’altro
appartengono alla verità intima dell’atto coniugale: l’uno si attua insieme all’altro e in certo senso
l’uno attraverso l’altro. Così insegna l’enciclica (cf. Humanae Vitae, 12). Quindi in tal caso l’atto coniugale privo della sua verità interiore, perché privato artificialmente della sua capacità procreativa,
cessa anche di essere atto di amore.
Si può dire che nel caso di un’artificiale separazione di questi due significati, nell’atto coniugale si
compie una reale unione corporea, ma essa non corrisponde alla verità interiore e alla dignità della
comunione personale: “communio personarum”. Tale comunione esige infatti che il “linguaggio del
corpo” sia espresso reciprocamente nell’integrale verità del suo significato. Se manca questa verità,
non si può parlare ne della verità del reciproco dono e della reciproca accettazione di sé da parte della
persona. Tale violazione dell’ordine interiore della comunione coniugale, che affonda le sue radici
nell’ordine stesso della persona, costituisce il male essenziale dell’atto contraccettivo. La suddetta interpretazione della dottrina morale, esposta nell’enciclica Humanae Vitae, si situa sul vasto sfondo
delle riflessioni connesse con la teologia del corpo. Specialmente valide per questa interpretazione
sono le riflessioni sul “segno” in connessione col matrimonio, inteso come sacramento. E l’assenza
della violazione che turba l’ordine interiore dell’atto coniugale non può essere intesa in modo teologicamente adeguato, senza le riflessioni sul tema della “concupiscenza della carne”. (Giovanni Paolo
II)
In sintesi per la Chiesa il corpo parla e il suo linguaggio è il mezzo con cui la persona entra in
relazione con gli altri. Non si può dunque ignorare quest’aspetto e sminuire il valore della gestualità
e della corporeità. Vi sono gesti che possono assumere diversi significati e gesti che per loro natura
ne indicano uno solo. Dal vedere, dall’udire, dal toccare fino all’unirsi sessualmente ogni azione esprime qualcosa. Con l’atto sessuale un uomo e una donna entrano in dialogo tra loro, ma tale dialogo deve essere fatto nella totalità e verità, per cui non si può dire una cosa con la carne e negarla
nella vita. La mutua, totale e reciproca donazione che il linguaggio sessuale esprime trova la sua
conferma solo nella relazione stabile e completa del matrimonio.
Vivere una sessualità senza impegni… il peccato di Amnon (2Sam 13,1-22)
Anche la Bibbia ci parla della tentazione dell’uomo e della donna di vivere la sessualità in modo slegato dal suo significato originale di unione, stabilità e completezza. Leggiamo la storia di
Amnon figlio di Davide molto illuminante a riguardo.
Dopo questo, accadde che, avendo Assalonne, figlio di Davide, una sorella molto bella, chiamata
Tamar, Amnon figlio di Davide si innamorò di lei. Amnon ne ebbe una tale passione da cadere malato a causa di Tamar, sua sorella; poiché ella era vergine, pareva impossibile ad Amnon di poterle fare
qualcosa. Ora Amnon aveva un amico, chiamato Ionadàb, figlio di Simeà, fratello di Davide, e Ionadàb era un uomo molto esperto. Egli disse: "Perché tu, figlio del re, diventi sempre più magro di
giorno in giorno? Non me lo vuoi dire?". Amnon gli rispose: "Sono innamorato di Tamar, sorella di
mio fratello Assalonne". Ionadàb gli disse: "Mettiti a letto e fa' l'ammalato; quando tuo padre verrà a
vederti, gli dirai: "Mia sorella Tamar venga a darmi il cibo da preparare sotto i miei occhi, perché io
possa vedere e prendere il cibo dalle sue mani"". Amnon si mise a letto e fece l'ammalato; quando il
re venne a vederlo, Amnon gli disse: "Mia sorella Tamar venga e faccia un paio di frittelle sotto i
miei occhi e allora prenderò il cibo dalle sue mani". Allora Davide mandò a dire a Tamar, in casa:
"Va' a casa di Amnon tuo fratello e prepara una vivanda per lui". Tamar andò a casa di Amnon suo
fratello, che giaceva a letto. Ella prese la farina, la impastò, ne fece frittelle sotto i suoi occhi e le fece
cuocere. Poi prese la padella e le versò davanti a lui; ma egli rifiutò di mangiare e disse: "Escano tutti
di qui". Tutti uscirono di là. Allora Amnon disse a Tamar: "Portami la vivanda in camera e prenderò
il cibo dalle tue mani". Tamar prese le frittelle che aveva fatto e le portò in camera ad Amnon suo
fratello. Ma mentre gli porgeva il cibo, egli l'afferrò e le disse: "Vieni, giaci con me, sorella mia". Ella gli rispose: "No, fratello mio, non farmi violenza. Questo non si fa in Israele: non commettere
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quest'infamia! E io, dove andrei a finire col mio disonore? Quanto a te, tu diverresti uno dei più infami in Israele. Parlane piuttosto al re: egli non mi rifiuterà a te". Ma egli non volle ascoltarla: fu più
forte di lei e la violentò giacendo con lei. Poi Amnon concepì verso di lei un odio grandissimo: l'odio
verso di lei fu più grande dell'amore con cui l'aveva amata prima. Le disse: "Àlzati, vattene!". Gli rispose: "O no! Questo male, che mi fai cacciandomi, è peggiore dell'altro che mi hai già fatto". Ma egli non volle ascoltarla. Anzi, chiamato il domestico che lo serviva, gli disse: "Caccia fuori di qui costei e sprangale dietro la porta". Ella vestiva una tunica con le maniche lunghe, perché le figlie del re
ancora vergini indossavano tali vesti. Il servo di Amnon dunque la mise fuori e le sprangò dietro la
porta. Tamar si sparse polvere sulla testa, si stracciò la tunica con le maniche lunghe che aveva indosso, si mise le mani sulla testa e se ne andava gridando. Assalonne suo fratello le disse: "Forse
Amnon tuo fratello è stato con te? Per ora taci, sorella mia: è tuo fratello. Non fissare il tuo cuore su
questo fatto". Tamar desolata rimase in casa di Assalonne, suo fratello. Il re Davide venne a sapere
tutte queste cose e ne fu molto irritato, ma non volle urtare suo figlio Amnon, perché aveva per lui
molto affetto: era infatti il suo primogenito. Assalonne non disse una parola ad Amnon né in bene né
in male, ma odiava Amnon perché aveva fatto violenza a Tamar, sua sorella.
In questo brano c’è un uomo, Amnon, che desidera una donna perché innamorato e la stessa
donna che, pur non contraria, chiede di sposarlo per rendere stabile questo amore. Ma Amnon, come molti giovani di oggi, non vuole la responsabilità del matrimonio e cerca di soddisfare la sua
passione giocando sporco. Per quello che in psicologia si chiama la “formazione reattiva” c’è un
gioco di sentimenti per cui un grande amore (o passione meglio) si cambia in odio e viceversa.
Ora Amnon voleva Tamar per soddisfare la sua passione, ma Tamar gli ricorda che ciò è peccato: la Parola di Dio è così in contrasto con la mente (questo ci fa capire, che uno pur che sia di parrocchia o un pagano, se non ci crede davvero va contro l’amore e lo finisce). E anche Davide protegge Amnon perché anche lui essendo maschio, rappresenta questa visione che ci si porta dentro.
Se uno si mostra all’avanguardia e al passo con i tempi e dichiara che il sesso deve essere libero e
senza legami né responsabilità, non si deve lamentare se dopo dieci anni di matrimonio o convivenza lui o lei si fanno l’amante. Alla Chiesa che diciamo essere in torto oggi per le sue posizione troppo «vecchie», domani le daremo ragione perché essa non fa altro che invitarci a maturare in una relazione in modo stabile e pieno. Ricordiamo poi che tra l’uomo e la donna solitamente tocca alla
donna verginiizzare il marito (perché solitamente il maschietto ha come un disco rotto in testa, solo
sesso e per fare questo è disposto a tutto!) e camminare con lui per renderlo fedele.
Dio ci ha rivelato dei comandamenti e delle leggi perché ci ha creati e sa come siamo fatti, ma
sa anche che da soli non sempre possiamo arrivare a comprendere il suo disegno di salvezza per noi.
Un cammino di fede e di grazia illuminano la mente a comprendere la bontà della Legge di Dio, ma
bisogna cominciare il cammino di amicizia con Lui fidandosi della sua parola, specialmente quando
si muovono i primi passi e il peccato ha indebolito la nostra intelligenza e volontà.
Il cammino di castità fa si che tutte le energie confluiscano nell’amore, perché se invece si disperdono in perversioni o distorsioni si arriva a vivere prima o poi senza sentimenti e in grande solitudine. Castità e fedeltà richiedono spesso un grande sforzo, ma è scontato se i vuole raggiungere un
amore intergo ed integrale.
La castità anche nel matrimonio insegna ad aspettare e a non soddisfare subito una pulsione o
un bisogno perché, anche per le differenze sessuali, l’uomo e la donna non hanno le stesse esigenze:
mentre per l’uomo la sessualità è concentrata solo in un punto, per la donna il piacere è più diffuso,
in parti del corpo, per cui una donna desidera un contesto di coccole e un tempo di tenerezza a più
largo respiro rispetto all’uomo che ha un piacere più circoscritto, limitato ed impetuoso. Un uomo
raramente sa contenersi, se non è stato educato alla castità, e pur di sfogarsi non ha problemi ad andare da una prostituta di cui non conosce il nome e poi ritorna dalla moglie. E se per lui vi sono dei
picchi di piacere improvvisi, per la donna sono più lenti sia quando l’eccitazione cresce sia quando
decresce. Ora la castità è educazione anche in questo campo perché si trovi un’armonia inaspettata e
condivisa.
Walter Trobish, pastore protestante, in risposta a una ragazza che gli faceva delle domante sulla affettività e sulla sessualità: «La tua sessualità è sempre presente in te, che tu vegli o che tu dorma. Quando lavori o quando ti diverti, essa contribuisce a determinarti; nei tuoi sentimenti più sacri e nelle
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preghiere più pure essa è presente. Cristo vuol renderti capace di vivere con la tua sessualità. "Chi
crede deve fuggire l’amore?" mi chiedi. So che molti cristiani si ritirano, vivono ripiegati su se stessi,
evitano l’altro sesso e pensano in tal modo di essere cristiani particolarmente maturi e liberi. Si sbagliano: chi crede non fugge. Non puoi sfuggire alla tua sessualità perché essa è un tutt’uno con te, ti
appartiene. Ti racconterò una storia: c’era una volta una tigre, l’avevano catturata e messa in gabbia.
Un guardiano fu incaricato di nutrirla e di sorvegliarla. Il guardiano voleva farsela amica e le faceva
dei bei discorsi avvicinandosi alla gabbia. Ma la tigre lo osservava con ostilità con i suoi occhi verdi
e ardenti. Seguiva ogni movimento del guardiano pronta a balzare. Allora il guardiano ebbe paura e
pregò Dio di ammansire la tigre. Una sera, il guardiano era già andato a dormire, una bambina si avvicinò troppo alle sbarre della gabbia, la tigre la raggiunse con i suoi artigli. Un colpo. Un grido.
Quando sopraggiunse, il guardiano non trovò che un corpo dilaniato e sangue. Il guardiano seppe così che Dio non aveva ammansito la tigre e la sua paura crebbe. Egli spinse la tigre in una tana oscura,
in cui non arrivava nessuno, ma ora la tigre ruggiva notte e giorno. Il suo ruggito non lasciava più riposo al guardiano, gli ricordava la sua colpa. In sogno vedeva sempre la bambina dilaniata e, in preda
all'angoscia, levò un grido. Pregò Dio che facesse morire la tigre. Dio rispose, ma la sua risposta fu
diversa da quella che il guardiano si aspettava. Dio disse: «Fa' entrare la tigre nella tua casa, nella tua
abitazione, nella tua stanza più bella». Il guardiano non aveva più paura della morte, avrebbe preferito morire, piuttosto che continuare a sentire i ruggiti della tigre. Quindi obbedì: aprì la porta e pregò:
«Sia fatta la tua volontà». La tigre entrò e rimase tranquilla. A lungo si guardarono negli occhi.
Quando la tigre si avvide che il guardiano non aveva paura e che la sua respirazione era regolare, gli
si sdraiò ai piedi. Cominciò così. Ma la notte, la tigre ruggì di nuovo e il guardiano ebbe paura. Dovette aprire di nuovo la porta, farle fronte. Di nuovo dovette guardarla negli occhi. Così sempre, ogni
giorno, mai la poté domare per sempre, una volta per tutte: doveva sempre vincerla di nuovo. Ogni
giorno la prova di coraggio si ripeteva. Dopo anni, la tigre e il guardiano divennero buoni amici. Il
guardiano poteva accarezzare la tigre, metterle la mano fra i denti, ma non doveva abbandonarla con
gli occhi. Quando si guardavano si riconoscevano e sapevano di essere inseparabili, di aver bisogno
l’uno dell’altro per una vita più completa. E ne erano grati. Francesca, devi imparare a vivere con la
tigre coraggiosamente, guardandola negli occhi. Cristo ti vuol rendere libera per questo».
L’amore è la relazione tra due persone sia in Dio, lo Spirito Santo sia tra gli umani. Quando si
vuol bene a qualcuno si deve creare una relazione. Si possono fare mille prediche ad un drogato, ma
non lo convincerai. Potrai dare mille consigli ad una persona innamorata di uno sbagliato, ma non
cambierà mai idea.
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