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Un`analisi delle Indicazioni nazionali 2012

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Un`analisi delle Indicazioni nazionali 2012
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UN’ANALISI DELLE INDICAZIONI
NAZIONALI 2012
Analisi del titolo e dell’indice
Il Ministero dell’Istruzione ha individuato le
direttrici lungo cui condurre questa sfida nelle
nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo di
istruzione la cui bozza, integrata con le osservazioni dei docenti, è stata resa pubblica sul
sito del Ministero nel settembre 20121. Scopo
del documento è quello di «fissare gli obiettivi
generali, gli obiettivi di apprendimento e i relativi traguardi per lo sviluppo delle competenze
dei bambini e ragazzi per ciascuna disciplina o
campo di esperienza».
Le Indicazioni nazionali rappresentano la revisione delle Indicazioni per il curricolo pubblicate
dal Ministero nel settembre del 2007 e ormai scadute. Pur non trattandosi di un nuovo documento, fin dal titolo le Indicazioni presentano una
novità importante: sono infatti dette “nazionali”,
e l’inserimento di questo aggettivo, che non
compariva nella precedente versione, sottolinea
la prescrittività del testo ministeriale.
Scorrendo l’Indice si coglie una cospicua ripresa della versione 2007 ma con alcune, importantissime, differenze:
• l’inserimento ex novo del secondo capitolo,
intitolato Finalità generali;
• la specificazione dei paragrafi nel capitolo
sull’organizzazione del curricolo, capitolo che
risulta assai diverso grazie a forti richiami
all’interdisciplinarità, all’unitarietà del curricolo (il valore fondante dell’apprendimento
verticale è uno dei tratti essenziali delle In-
dicazioni nazionali 2012) e soprattutto alla
rivalutazione delle singole discipline a scapito
delle aree disciplinari, altro tratto specifico
che analizzeremo più avanti;
proprio in relazione a questa rivalutazione delle
discipline, nel capitolo dedicato alla Scuola del
primo ciclo sono state eliminate le diciture che
facevano riferimento alle aree e ora si procede
per discipline: Italiano, Storia, Geografia ecc.
Cultura Scuola Persona
Il capitolo introduttivo delle nuove Indicazioni
nazionali ha mantenuto il titolo2 e quasi tutti i
suoi contenuti.
Della versione 2007 vengono ribaditi: il legame fra scuola e territorio, inteso nel senso più
ampio e includente possibile; il dovere di attuare
al meglio il dettato costituzionale sul diritto/
dovere all’istruzione; il rischio e il problema
rappresentati dall’analfabetismo e dall’emarginazione culturale; la necessità di un apprendimento
permanente per meglio orientarsi e progredire nel
mondo del lavoro; l’attenzione ai singoli alunni,
ciascuno con la sua storia, la sua personalità, la
sua individualità.
Rispetto alla versione 2007, tuttavia, è stata
aggiornata l’analisi dell’«estrema complessità»
del mondo attuale e non avrebbe potuto essere
altrimenti visto l’inasprirsi degli scenari sociali
e internazionali nell’ultimo quinquennio. Inoltre,
è stata inserita una riflessione sulla difficoltà
1. All’indirizzo http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/istruzione/ prot5559_12 è possibile scaricare il testo completo.
2. Le maiuscole nel titolo servono a sottolineare l’importanza dei tre concetti. Occorre qui ricordare che il significato da attribuire al
termine “Cultura” è quello raccomandato dall’Unione Europea che ingloba ogni tipo di apprendimento, a prescindere dalla modalità,
formale o informale, con cui è stato veicolato; proprio per distinguere e gerarchizzare questa enorme massa di informazioni sono
necessarie quelle competenze, dette non a caso “chiave”, che consentono a ciascuno di orientarsi e progredire.
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Per una didattica delle competenze
crescente che la società mostra nell’individuare e
riconoscere le «funzioni educative» della scuola
pubblica; il rilievo di questa riflessione è confermato dalla sua ripresa sul finale del paragrafo
dove si parla apertamente della non più «scontata [...] intesa tra gli adulti» ammettendo che
è in atto «un’attenuazione della capacità adulta
di presidio delle regole e del senso del limite
[in conseguenza della quale] sono diventati più
faticosi i processi di identificazione e differenziazione da parte di chi cresce e anche i compiti
della scuola in quanto luogo dei diritti di ognuno
e delle regole condivise».
Infine, si fa cenno alle nuove forme di socialità digitale dalle quali la scuola non può limitarsi a chiamarsi fuori, lasciando i ragazzi soli
a gestirle. La velocità incalzante con cui si diffondono le nuove tecnologie (cinque anni sono
un’era geologica in questo senso, lo sappiamo
bene) ha richiesto una nuova formulazione per
la parte relativa alla diffusione dei nuovi media:
mantenendo l’accenno all’ineguale accesso alle
tecnologie che non garantisce, né ai ragazzi né
ai docenti, pari facilità di utilizzo, si dà però
maggior rilievo al fatto che «la scuola non ha
più il monopolio degli insegnamenti e dei modi
di apprendere». Questa presa di coscienza deve
essere il più rapida possibile perché su di essa si
strutturano le risposte che le nuove Indicazioni
cercano di offrire nello scenario attuale.
Secondo il nuovo testo, è necessario che la
scuola assuma un ruolo di guida e individui
senza tentennamenti le nuove tecnologie come
sua «frontiera decisiva». La scuola deve essere
ben conscia che ha di fronte una “rivoluzione
epocale” ineludibile e che, per superarla, deve
reinventare se stessa: è indubbio che non possa
più porgere ai ragazzi insegnamenti in modi tradizionali che presupponevano, lo abbiamo visto,
sistemi di pensiero diversi, atteggiamenti e ruoli
differenti (la “sacralità” del maestro). Questa
“rivoluzione epocale” impone al nostro sistema
educativo di «curare e consolidare le competenze
e i saperi di base, che sono irrinunciabili perché
queste sono le fondamenta dell’uso consapevole
del sapere diffuso e perché rendono precocemente effettiva ogni possibilità di apprendimento nel
corso della vita».
Si noti subito che competenze e saperi di
base sono presentati come concetti complementari, che proprio nella complementarietà
trovano il loro significato più autentico. Poiché
sulla didattica per competenze negli ultimi anni
è stata combattuta una battaglia, nel testo 2012
le competenze si coniugano con il concetto di
“saperi di base”. Si sgombra così il campo da
ogni contrapposizione, vera o presunta, fra essi,
dando per assodato che senza saperi di base non
vi saranno competenze e che impostare l’apprendimento su queste ultime non significa rottamare
– per usare un vocabolo assai in voga – il ruolo
tradizionale dei saperi.
Le successive tre sezioni del capitolo Cultura
Scuola Persona restano invece invariate rispetto
al 2007. Uno dei concetti cardine era ed è quello
dell’importanza dell’apprendimento verticale
che ha maggior risalto; in più punti, infatti, si
insiste sulla necessità che l’apprendimento nella
fascia d’età 3-14 anni sia unitario: un’altra arma
adatta allo scenario attuale.
Altrettanto immutata rimane l’idea che la scuola italiana debba essere il volano per «creare le
condizioni propizie per rivitalizzare gli aspetti
più alti e fecondi della nostra tradizione» in un
nuovo Umanesimo capace di coniugare, esaltandole, l’individualità del singolo e la dimensione
ideale dell’umanità tutta. Di certo, il quinquennio
trascorso non ha visto la realizzazione di questo
auspicio, ma, proprio per la difficilissima crisi
che il sistema socio-economico europeo si trova
ad affrontare, un nuovo Umanesimo diventa, se
possibile, ancora più improcrastinabile.
Un’analisi delle Indicazioni nazionali 2012
Un capitolo tutto nuovo:
le Finalità
Come abbiamo appena visto, le Indicazioni nazionali individuano nelle competenze il concetto
sul quale dovrà essere eretta la “nuova” scuola
capace di raccogliere e rispondere alla sfida del
mondo contemporaneo. Il tema viene ripreso e
ampliato in un capitolo inserito ex novo, suddiviso in due sezioni3, che ha il compito di definire
le finalità generali della scuola e quelle specifiche delle Indicazioni.
La finalità generale della scuola italiana è
definita come lo «sviluppo armonico e integrale
della persona, all’interno dei principi della Costituzione italiana e della tradizione culturale
europea, nella promozione della conoscenza e
nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità
individuali, con il coinvolgimento attivo degli
studenti e delle famiglie».
È evidente il tentativo di far coesistere tutti
gli aspetti fondanti del sistema scolastico in
un’unica frase: l’attenzione per la persona, la
Costituzione e la tradizione culturale europea4,
l’importanza di coinvolgere gli studenti, “distratti” dalle nuove forme di socialità e dalle nuove
tecnologie, e le famiglie, che vanno riavvicinate
alla scuola e al corpo docenti ripristinando il patto interrotto. «Coinvolgimento attivo» significa
che andranno messe in campo strategie nuove sia
da parte dei docenti, nella loro azione didattica,
sia e più incisivamente da parte delle scuole.
Soffermandosi sull’autonomia funzionale degli
istituti, le Indicazioni elencano le norme generali
stabilite dallo Stato a cui tutte le scuole devono
attenersi: la fissazione degli obiettivi generali
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del processo formativo e degli obiettivi specifici
di apprendimento relativi alle competenze degli
studenti, le discipline di insegnamento e gli orari
obbligatori, gli standard relativi alla qualità del
servizio e i sistemi di valutazione e controllo del
servizio stesso.
Le finalità specifiche delle Indicazioni sono
quelle di stabilire in maniera puntuale i traguardi
di competenze per il primo ciclo.
L’unica strategia: le competenze
Fra il sapere scolastico e il sapere reale la
diversità di contenuti e di modi è radicale: per
esempio, a scuola si utilizza il pensiero con il
divieto (almeno parziale) di ricorrere a supporti
esterni, mentre nella vita di tutti i giorni ci si
avvale di strumenti o altri supporti artefatti; a
scuola, almeno nelle prove di valutazione, si deve
lavorare da soli, mentre all’esterno è molto più
consueto collaborare. Colmare questa distanza è
la prima sfida che la scuola deve cogliere e lo può
fare se assume le competenze come suo orizzonte
di riferimento.
Fin da queste prime pagine del nuovo testo
ministeriale, dunque, le competenze emergono
come il perno su cui costruire un nuovo sistema
educativo. La prescrittività dei traguardi di competenza fa sì che alle scuole e ai docenti spetti il
compito di fissare il percorso per giungervi, ma la
meta non è eludibile perché solo le competenze
possono garantire che bambini e giovani adolescenti diventino adulti consapevoli, in grado di
affrontare (o, almeno, riconoscere) le evoluzioni
imprevedibili del mondo complesso che li attende.
3. La prima sezione è dedicata a “Scuola, Costituzione, Europa” e le maiuscole servono, ancora una volta, a sottolinearne l’importanza; la seconda è destinata a precisare il profilo dello studente e quello delle competenze che andranno maturate alla fine del primo
ciclo.
4. Anche il richiamo alla «tradizione culturale europea» rappresenta una novità che non era presente nella versione 2007 delle Indicazioni.
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Per una didattica delle competenze
Le competenze infatti assicurano ai ragazzi un
vero apprendimento permanente: solo avendo
imparato a comunicare nella propria lingua e in
quelle straniere, a ragionare in modo matematico,
a padroneggiare e applicare il metodo scientifico,
a sfruttare con senso critico le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, a imparare a collaborare con gli altri in tutti gli ambiti e a ogni livello,
a essere creativi e al tempo stesso responsabili,
a riconoscere e potenziare l’espressione artistica
si potrà raccogliere la sfida ardua che l’oggi già
ci muove.
In passato vi sono state grandi incertezze sulla
precisa individuazione del concetto di competenza, superate nel 2006 con la definizione fornita
dalla Raccomandazione europea del settembre di
quell’anno5. Da allora si è chiarito sempre più
che la competenza non è la semplice somma
di conoscenze e abilità; anzi, non è affatto un
insieme di saperi esterni alla persona mescolati
con le sue capacità e attitudini.
La competenza è, piuttosto, una caratteristica che va sviluppandosi gradualmente in ciascuno, con tempi e modi del tutto personali, ed
è ciò che consente a chi la possiede di inserirsi
in maniera efficace nel tessuto sociale sia esso
famigliare, scolastico, lavorativo, civile perché
essa traduce in atti e scelte autonomi il bagaglio
di saperi e abilità accumulato.
L’esempio classico di espressione di competenza è quello della chiave che si rompe nella serratura: la persona che si trova di fronte a questo
imprevisto si dimostra competente se è immediatamente in grado di valutare le alternative a sua
disposizione e se sa compiere la scelta giusta.
La definizione più valida resta quella di Wiggins6: la competenza è ciò che il soggetto «sa
fare consapevolmente con ciò che sa», con l’unica, fondamentale precauzione di non confondere
tutto questo con un’abilità.
Le competenze non possono essere insegnate:
chiamare il fabbro perché così mi è stato detto di
fare da qualcun altro non è vera competenza. Non
mi si può insegnare a essere competente; devo
apprenderlo per gradi, attraverso un percorso di
sviluppo e crescita che aiuterà le mie competenze a emergere e rafforzarsi.
Dal momento che individua in partenza i traguardi attesi, un approccio per competenze impegna tutti – insegnanti, studenti e famiglie –
verso le mete necessarie a una seria preparazione
dell’allievo. Inoltre, poiché componente essenziale delle competenze è lo spirito d’iniziativa,
esso mette in moto nei discenti partecipazione e
passione riuscendo a superarne la passività e l’atteggiamento annoiato/rinunciatario di fronte ai
saperi che la scuola tradizionale propone. È vero,
infatti, quanto ha scritto Dario Nicoli: «l’approccio per competenze punta in realtà a “mirare in
alto” ed a contrastare la tendenza alla banalizzazione del sapere [...] ma lo fa evitando posizioni
restauratrici che non sono credibili perché non
fanno i conti con la realtà culturale e sociale
del nostro tempo, che non va demonizzata, ma
compresa, prendendo da essa ciò che è buono»7.
Di certo le resistenze incontrate finora dalla
didattica per competenze trovano piena giustificazione nelle modalità confuse e incomplete
con cui questa novità è stata comunicata alla
comunità professionale. Con le Indicazioni na-
5. In essa, come è noto, le competenze sono così definite: «indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità
personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze
sono descritte in termini di responsabilità e autonomia».
6. G. Wiggins, Assessing student performance, 1993.
7. In Dario Nicoli, L’equivoco delle competenze fa male a prof e studenti, in www.ilsussidiario.net (pagina web: http://www.ilsussidiario. net/News/Educazione/2011/4/6/SCUOLA-L-equivoco-delle-competenze-fa-male-a-prof-e-studenti/2/165216/).
Un’analisi delle Indicazioni nazionali 2012
zionali 2012, invece e finalmente, si consolidano
un lessico e un pensiero che trasformano le competenze in dato acquisito. Ancora nella versione
2007 vi si faceva riferimento in modo oscuro; restava difficile capire quali fossero le competenze
da sviluppare nel primo ciclo; anzi, si era giunti
alla conclusione che ogni scuola dovesse temporaneamente supplire alla mancanza di un quadro
di riferimento, un Profilo delle competenze e un
modello di certificazione nazionale. Adesso la
lacuna è stata colmata: nelle nuove Indicazioni
alla trattazione delle competenze è riservato uno
specifico box che ne descrive dodici, tutte quelle
trasversali da sviluppare nel primo ciclo; viene
anche annunciato un modello di certificazione
nazionale cui le scuole dovranno attenersi.
Ciò rende più efficaci e significativi anche gli
altri accenni alle competenze disseminati nel
testo. Per la prima volta, le competenze non
sono più quel miraggio che, nelle precedenti
riforme e indicazioni, si è tentato di realizzare
in vari modi, tutti rivelatisi lontani dalla piena
applicazione del concetto: ciascuna di queste
declinazioni, infatti, contraddiceva l’idea stessa
di sviluppo delle competenze, che è la capacità
di costituire entro le mura della scuola, ossia
in un contesto “artefatto”, le condizioni per un
apprendimento appropriato alla realtà concreta.
Il Profilo delle competenze al termine
del primo ciclo di istruzione
La prescrittività delle competenze comporta
una rivoluzione del rapporto docente-alunno,
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che investe la didattica in ogni suo aspetto,
poiché si dovrà passare da un sistema tradizionalmente centrato sull’insegnamento a uno
completamente finalizzato all’apprendimento.
Le competenze rappresentano la chiave di volta
di questo nuovo sistema dal momento che sono,
per definizione, tarate su chi apprende (lo prova
il fatto che non possono essere insegnate, ma devono essere “aiutate a svilupparsi” e non vengono imparate ma “maturano” e “si conseguono”).
Esse rappresenteranno d’ora in avanti l’“orizzonte
di riferimento” verso il quale il sistema scolastico
italiano dovrà tendere. Il loro conseguimento si
configura come «l’obiettivo generale del sistema
educativo e formativo italiano» e le Indicazioni
nazionali specificano quali sono le competenze
che ogni ragazzo dovrà sviluppare nel corso del
primo ciclo in un Profilo appositamente stilato8.
Tali competenze riprendono evidentemente
le competenze-chiave per l’apprendimento
permanente individuate dall’Europa nel 20069.
La scelta si spiega non solo e non tanto con la
prospettiva maggiormente europea di questa
nuova versione delle Indicazioni quanto, soprattutto, con la necessità di differenziare bene
le competenze che vanno sviluppate durante
il primo ciclo da quelle che vanno raggiunte
(e sono oggetto di certificazione) nel corso
del biennio delle superiori. Come si sa, queste
ultime sono le otto competenze-chiave per la
cittadinanza precisate dal Decreto ministeriale
n. 139 del 200710; esse rappresentano il traguardo dell’istruzione dell’obbligo ed è palese che
non possano essere raggiunte già al termine del
primo ciclo dell’istruzione nel corso del quale,
8. Nel testo delle Indicazioni 2012 questo Profilo è inserito in un box: la scelta di separarlo graficamente rivela l’intenzione di renderlo il più evidente possibile.
9. Per sottolinearne la centralità, il documento ministeriale sceglie di chiudere il secondo capitolo riportando in modo esteso la
definizione ufficiale di ciascuna delle competenze europee.
10. Le ricordiamo per completezza: imparare a imparare, progettare, comunicare, collaborare e partecipare, agire in modo autonomo
e responsabile, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare l’informazione.
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Per una didattica delle competenze
invece, si comincia il percorso di consolidamento verso di esse.
Alla luce di questo, le Indicazioni 2012 individuano dodici competenze che non corrispondono a formulazioni note, né europee né italiane.
Non vi è nulla di strano in questo, perché si
tratta dell’adempimento alla richiesta europea
di declinare in un’ottica nazionale le competenze
europee. La scelta non è spiegata perché non
è necessario spiegarla; essa ha dato ad alcuni
l’impressione di creare confusione – poiché a
competenze già prescrittive (quelle europee)
se ne affiancano di nuove, simili ma differenti
e altrettanto vincolanti – ma tale confusione
non esiste, se si considera che le competenze
europee richiedevano una declinazione e che le
competenze-chiave di cittadinanza non potevano
essere prese a traguardo.
Le dodici competenze “declinate”
Che tutti gli elementi fondamentali delle competenze-chiave europee siano presenti in questo
nuovo Profilo è facile verificarlo esaminando una
per una le dodici parti che lo compongono.
1) Lo studente al termine del primo ciclo, attraverso gli apprendimenti sviluppati a scuola, lo
studio personale, le esperienze educative vissute
in famiglia e nella comunità, è in grado di iniziare
ad affrontare, in autonomia e con responsabilità,
le situazioni di vita tipiche della propria età, riflettendo ed esprimendo la propria personalità in
tutte le sue dimensioni.
Qui si descrive la competenza per la quale
ogni studente, giunto al termine del primo ciclo
di istruzione, dovrà cominciare a esprimere al
meglio la propria personalità senza subire condizionamenti o limitazioni. A sviluppare questa
competenza avranno concorso gli apprendimenti
maturati a scuola, in famiglia e nelle altre situazioni educative che il ragazzo si sarà trovato
a vivere; egli si avvierà su questo percorso di
crescita in maniera indipendente e responsabile.
Così, mentre si ribadisce che la scuola non è più
l’unica depositaria della funzione educativa, si
mettono in grande evidenza i concetti di autonomia e responsabilità che caratterizzano nel
profondo la definizione stessa di competenza
fornita dalla Raccomandazione europea.
2) Ha consapevolezza delle proprie potenzialità e dei propri limiti, utilizza gli strumenti di
conoscenza per comprendere se stesso e gli altri,
per riconoscere ed apprezzare le diverse identità
e tradizioni culturali e religiose, in un’ottica di
dialogo e di rispetto reciproco. Interpreta i sistemi
simbolici e culturali della società, orienta le proprie scelte in modo consapevole, rispetta le regole
condivise, collabora con gli altri per la costruzione
del bene comune esprimendo le proprie personali
opinioni e sensibilità. Si impegna per portare a
compimento il lavoro iniziato da solo o insieme
ad altri.
Questa seconda competenza contiene in nuce
alcune fra le più importanti competenze-chiave
di cittadinanza; in particolare, essa combina le
competenze proprie della relazione con gli altri
(comunicare, collaborare e partecipare, agire
in modo autonomo e responsabile) con quelle
relative al rapporto con il mondo (individuare
collegamenti e relazioni, acquisire e interpretare
l’informazione). Il grande rilievo dato alla capacità di collaborare si spiega anche con il fatto
che questa è l’arma migliore per sconfiggere il
bullismo. Imparare a collaborare fattivamente
con gli altri significa saper costruire gruppi “sani”; nel contempo, saper agire nella piena consapevolezza dei propri diritti e dei propri doveri,
assumendosi le responsabilità di ciò che si fa e
avendo la coscienza delle proprie potenzialità, si-
Un’analisi delle Indicazioni nazionali 2012
gnifica essere meglio muniti rispetto all’illusione
di poter realizzare se stessi appiattendo la propria individualità nella venerazione di un leader.
3) Dimostra una padronanza della lingua italiana tale da consentirgli di comprendere enunciati
e testi di una certa complessità, di esprimere le
proprie idee, di adottare un registro linguistico
appropriato alle diverse situazioni.
Riformula la competenza-chiave europea della
comunicazione nella madrelingua, la competenza-chiave di cittadinanza del “comunicare” e le
competenze della disciplina. Più avanti, laddove
il testo delle Indicazioni 2012 riguarderà le singole discipline, a proposito della competenza
relativa all’italiano verrà detto che lo sviluppo
di competenze linguistiche «ampie e sicure è
una condizione indispensabile per la crescita
della persona e l’esperienza della cittadinanza»:
l’aggettivo “indispensabile” rende ineludibile ciò
che nella versione 2007 ci si limitava a definire
“strategica”, e dunque discrezionale.
4) Nell’incontro con persone di diverse nazionalità è in grado di esprimersi a livello elementare in
lingua inglese e di affrontare una comunicazione
essenziale, in semplici situazioni di vita quotidiana, in una seconda lingua europea.
5) Riesce ad utilizzare una lingua europea
nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della
comunicazione.
Queste due competenze declinano la competenza europea della «comunicazione in lingua
straniera» calandola nella realtà concreta di tutti
i giorni: l’incontro con compagni provenienti da
altri Paesi, la comunicazione di base in lingua
inglese, la fruizione di tecnologie e media che
adottano una lingua europea diversa dall’italiano.
Già qui si nota un importante richiamo alla competenza digitale, poi ripreso alla competenza 8.
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6) Le sue conoscenze matematiche e scientifico-tecnologiche gli consentono di analizzare dati e
fatti della realtà e di verificare l’attendibilità delle
analisi quantitative e statistiche proposte da altri.
Il possesso di un pensiero razionale gli consente
di affrontare problemi e situazioni sulla base di
elementi certi e di avere consapevolezza dei limiti
delle affermazioni che riguardano questioni complesse che non si prestano a spiegazioni univoche.
In un mondo caotico di indicazioni contraddittorie e contrapposte è sempre più urgente saper
individuare con certezza i reali rapporti fra i
concetti, distinguere le cause dagli effetti,
essere in grado di prevedere che a date premesse
corrispondono dati risultati. Ci si riallaccia qui alla competenza matematica e tecnologica prescritta dall’Europa, ma precisando meglio come essa
si correli alla maturazione della competenza del
problem solving. Attraverso il suo conseguimento,
il ragazzo potrà non sentirsi spaesato di fronte a
un problema mai affrontato prima; avrà infatti la
consapevolezza di possedere strategie utili cui far
ricorso. Ciò ovviamente avrà straordinaria valenza
nel prosieguo degli studi, nella vita lavorativa
e personale. Potremmo forse riassumere tutto
questo con la capacità di ragionare: se i ragazzi,
ormai disabituati al pensiero logico e analitico,
sapessero di poter fare affidamento su questa
competenza, forse avrebbero un atteggiamento
meno passivo che in tanti casi è solo un tentativo di fuga in risposta al senso di impotenza che
li coglie di fronte alla complessità del presente.
7) Si orienta nello spazio e nel tempo dando
espressione a curiosità e ricerca di senso; osserva
e reinterpreta ambienti, fatti, fenomeni e produzioni artistiche.
Qui si coniugano le competenze di base relative alla disciplina della Storia con la consapevolezza ed espressione culturale indicata
dall’Europa. Si noti l’insistenza sulla curiosità
18
Per una didattica delle competenze
e sulla ricerca di senso, quindi su un atteggiamento attivo e propositivo. Tutto questo potrà
prendere forma concreta con una didattica di
tipo laboratoriale, con l’uso di fonti e metodi
didattici che stimolino la partecipazione attiva.
È quella didattica dell’attenzione che sola riesce
a interessare e coinvolgere gli studenti. Come
ogni insegnante sa, per interagire con i ragazzi
è indispensabile fare leva sull’emozione anche
perché è l’emozione, insieme all’interattività,
l’elemento principe della cultura digitale.
8) Ha buone competenze digitali, usa con
consapevolezza le tecnologie della comunicazione
per ricercare e analizzare dati ed informazioni,
per distinguere informazioni attendibili da quelle
che necessitano di approfondimento, di controllo
e di verifica e per interagire con soggetti diversi
nel mondo.
Nell’ottava indicazione si precisa la competenza digitale insistendo sull’importanza del saper
discriminare, in senso totalmente etimologico,
nel vasto mare delle informazioni che le nuove
tecnologie mettono a disposizione. Non è affatto scontato che i ragazzi, subissati da continui
messaggi, siano davvero in grado di capirli e di
distinguerli in tutte le loro parti, di sceverare le
informazioni utili da quelle inutili e di sviluppare
un pensiero critico. Sempre maggiore infatti è
per tutti noi la fatica a ritenere le informazioni
e a distinguerne le diverse implicazioni: sviluppare appieno questa competenza significa che i
ragazzi si trasformeranno da destinatari passivi
di una massa enorme di messaggi a fruitori consapevoli di informazioni e conoscenze. Questa
competenza sarà espressione anche di autonomia
e responsabilità e, nel mondo digitale e virtuale,
rappresenterà una protezione per chi la possiede.
Le nuove Indicazioni nazionali prendono atto
della diffusione delle nuove tecnologie e non si
interrogano più se sia possibile in qualche modo
arginarle; il punto è ormai diventato, correttamente, quello di far sì che i ragazzi le utilizzino
in modo consapevole e proficuo. Si tratta di
un grande salto per la scuola italiana, che sarà
chiamata a coniugare questo dato di fatto con
la vita scolastica quotidiana, confrontandosi con
l’“invadenza” delle nuove tecnologie e con concetti “fuori moda” per i nativi digitali i quali, per
esempio, fanno di certo fatica a capire il senso
del divieto di copiare in un mondo in cui tutto
può e deve essere condiviso.
9) Possiede un patrimonio di conoscenze e
nozioni di base ed è allo stesso tempo capace di
ricercare e di procurarsi velocemente nuove informazioni ed impegnarsi in nuovi apprendimenti
anche in modo autonomo.
Il nono passaggio del Profilo non è solo una
riformulazione di aspetti propri della competenza
digitale: esso infatti parla di capacità di reperire
velocemente nuove informazioni per ampliare il
proprio patrimonio di saperi, alludendo certamente anche a capacità di ricerca più tradizionali.
10) Ha cura e rispetto di sé, come presupposto di un sano e corretto stile di vita. Assimila il
senso e la necessità del rispetto della convivenza
civile. Ha attenzione per le funzioni pubbliche alle
quali partecipa nelle diverse forme in cui questo
può avvenire: momenti educativi informali e non
formali, esposizione pubblica del proprio lavoro,
occasioni rituali nelle comunità che frequenta,
azioni di solidarietà, manifestazioni sportive non
agonistiche, volontariato ecc.
La decima affermazione riformula quelle che,
in seno all’Europa, erano dette «competenze
sociali e civiche» e che le competenze-chiave
di cittadinanza, invece, individuano come due
distinte («collaborare e partecipare» e «agire
Un’analisi delle Indicazioni nazionali 2012
in modo autonomo e responsabile»). Solo maturando una competenza civica sarà possibile
per il ragazzo sviluppare un pensiero critico
autonomo, essere libero di inventare, creare e
prendere l’iniziativa, essere in grado di scegliere
e di decidere, di progettare e di cavarsela gestendo le proprie emozioni e i rapporti con gli
altri nonché gli eventuali conflitti. Sarà parte
cosciente di ogni comunità e la sua competenza
si esplicherà in ambiti diversi (dallo sport al
volontariato).
11) Dimostra originalità e spirito di iniziativa.
Si assume le proprie responsabilità e chiede aiuto
quando si trova in difficoltà e sa fornire aiuto a
chi lo chiede.
Si sintetizza quello che nella Raccomandazione
europea era detto «senso di iniziativa» e «imprenditorialità» e che si esprime con il saper risolvere problemi, valutare rischi e opportunità,
saper operare scelte proficue decidendo e agendo
con flessibilità. A tutto questo si aggiunge il
fondamentale aspetto di saper riconoscere sia
le proprie potenzialità sia i propri limiti chiedendo l’aiuto degli altri e sapendo ascoltare e
intervenire se altri chiedono aiuto. Tutto ciò,
al di là dell’ambito scolastico, vuol dire porsi
obiettivi realistici e compiere i passi più adatti
per raggiungerli. Aiuta i ragazzi a preparare le
basi per le competenze-chiave di cittadinanza
«progettare» e «collaborare e partecipare».
12) In relazione alle proprie potenzialità e al
proprio talento si impegna in campi espressivi,
motori ed artistici che gli sono congeniali. È disposto ad analizzare se stesso e a misurarsi con
le novità e gli imprevisti.
Il Profilo si chiude con una competenza analoga a quella con cui si chiudono le competenzechiave europee ma formulata in modo da contenere in nuce anche le competenze di cittadinanza
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relative alla costruzione del sé, cioè quelle che
investono il soggetto in prima persona e lo aiutano a costruirsi come individuo adulto, autonomo e responsabile.
L’organizzazione del curricolo
Il capitolo sull’organizzazione del curricolo,
già presente nella versione 2007, presenta alcune sostanziali novità. Prima di esaminarle, è
bene però ricordare che cosa s’intenda con la
parola “curricolo” all’interno di una didattica
per competenze: non si tratta infatti solo di
un termine, diciamo così, “più in voga” che
ha sostituito la parola “programma”, bensì di
una descrizione puntuale e minuziosa di tutte
le competenze (disciplinari e di cittadinanza),
che lo studente dovrà maturare nel corso di
ogni ciclo scolastico, e dell’elenco dei contributi che ciascuna materia darà al conseguimento
dell’insieme delle competenze. Ancora una volta,
l’attenzione si sposta da qualcosa di esterno (un
“programma” predefinito scandito nei tempi e
nei contenuti) alla persona che apprende (il
curricolo è riferito al discente).
La prima differenza fra la precedente versione
e l’attuale è l’inserimento di un paragrafo intitolato Dalle Indicazioni al curricolo, nel quale ci
si sofferma sull’aspetto “aperto” del testo 2012:
spetterà infatti ai docenti e alle autorità scolastiche contestualizzare quanto le Indicazioni si
limitano, per l’appunto, a indicare. Non si tratta
di un mero richiamo all’autonomia scolastica,
bensì di un elemento portante della didattica
per competenze: se gli insegnamenti non sono
più standardizzati a priori, ma vanno calibrati
sui singoli studenti, ne consegue che è compito
dell’insieme della comunità professionale (i docenti delle diverse aree disciplinari ma anche i
consigli di classe) individuare il percorso miglio-
20
Per una didattica delle competenze
re, più adatto ai ragazzi con cui hanno a che fare
per strutturare l’offerta formativa.
Anche l’interdisciplinarità11 è diretta conseguenza dell’impianto per competenze: se lo
scopo è lavorare affinché gli studenti sviluppino
capacità che saranno loro utili nel mondo reale,
non potrà esistere alcuna paratia fittizia fra i saperi, perché sarebbe una palese contraddizione. A
differenza della scuola primaria, che deve mirare
all’acquisizione degli apprendimenti di base,
quella secondaria di primo grado deve realizzare
l’accesso alle discipline come punti di vista sulla
realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione, rappresentazione del mondo: valorizzare
al massimo le varie discipline evita da un lato la
frammentazione di saperi e dall’altro un’impostazione esclusivamente trasmissiva.
Rispetto all’edizione 2007, passano in secondo
piano le aree disciplinari. La ragione è nella necessità di non vincolare i docenti12 perché possa
emergere, nel modo più ampio possibile, la specificità di ogni disciplina e al tempo stesso ogni
aggancio fra le discipline sia libero. L’aggregazione disciplinare non è eliminata bensì affidata alle
istituzioni scolastiche; ciò era detto anche nella
versione 2007 ma, per il contesto più stringato
in cui era inserito, finiva per suonare in maniera
più sfumata. Ora, invece, si prescrive che i docenti collaborino strettamente e che le discipline
si intreccino superando quei confini stabiliti
dalla consuetudine ma inesistenti nella realtà. I
contenuti proposti agli studenti dovranno avere
significativi agganci con la loro esperienza; in
questo modo si potrà avere maggior garanzia di
catturarne l’attenzione.
Inoltre, si specifica che la competenza nella
lingua madre andrà sviluppata da tutti i docenti
e non solo dal docente di italiano poiché si tratta
di una competenza sovradisciplinare: la comunicazione nella lingua madre, infatti, consente
l’effettivo sviluppo, e il relativo accertamento,
delle competenze di qualsiasi altra disciplina
nonché di quelle di cittadinanza.
Nella riscrittura del paragrafo dedicato ai traguardi delle competenze, l’inserimento di un
aggettivo riassume la differenza maggiore fra
l’edizione 2007 e la presente: infatti, ora le
competenze sono dette «riferimenti ineludibili», mentre nella versione 2007 l’aggettivo
mancava. Il significato di questo inserimento è
enorme: è ciò che rende prescrittive le competenze. La nuova versione dice, a chiare lettere,
che le competenze sono la bussola dell’intero
percorso scolastico del primo ciclo, il quale deve
passare gradualmente dall’esperienza personale
dell’alunno alle conoscenze disciplinari attraverso la ricerca di connessioni fra le discipline. I
traguardi servono a scandire la programmazione
indirizzandola verso il suo scopo specifico che è
quello di far conseguire competenze a ciascun
allievo.
Gli obiettivi del primo ciclo, che verranno diffusamente analizzati nel resto del documento,
hanno come finalità i traguardi delle competenze, sono definiti per periodi lunghi (nel caso
della scuola secondaria di primo grado coprono
l’intero triennio) e sono organizzati in nuclei tematici, che i docenti sono chiamati a individuare
in ciascuna disciplina identificando gli elementi
essenziali.
A proposito di valutazione, il testo afferma che
le competenze devono essere rilevate anche indipendentemente dalle occasioni di valutazione,
quando si palesano nella vita scolastica di tutti
11. Pare più opportuno riassumere quanto riportato dalle Indicazioni sotto il termine di “interdisciplinarità” piuttosto che sotto
quello di “multidisciplinarità” perché nel documento si mette in particolare luce il concetto di interconnessione fra le discipline.
12. Nella scelta di attenuare la prescrittività delle aree disciplinari deve aver contato anche l’osservazione, fatta in passato da molti
docenti, che non vi era continuità fra le aree disciplinari della secondaria di primo grado e quelle del biennio delle superiori.
Un’analisi delle Indicazioni nazionali 2012
i giorni dando dimostrazione della maturità del
ragazzo. Ciò è logico in una prospettiva per competenze in cui l’insegnante non solo trasferisce
conoscenze, ma attiva competenze; in questo
senso, i “prodotti” dell’attività dei ragazzi costituiranno altrettante prove per una valutazione
attendibile. Ovviamente, poiché la competenza
è data dalla coscienza e dalla padronanza delle
proprie risorse e si attua solo in situazione (la
quale può essere reale o simulata), per valutare
le competenze non si potrà fare semplicemente
la somma di prove differenti su conoscenze e
abilità, ma bisognerà strutturare prove efficaci
che sollecitino le competenze personali.
La certificazione, invece, verrà effettuata al
termine dell’ultimo anno della scuola secondaria
di primo grado attraverso un modello nazionale
che descriva e attesti le dodici competenze sopra
esaminate. La certificazione non dovrà essere un
unicum bensì il risultato di un percorso di sviluppo e di valutazioni in itinere, le quali avranno
un peso anche nell’aiutare i ragazzi nella scelta
delle scuole superiori di secondo grado.
La parte finale del nuovo capitolo auspica
che la scuola diventi un luogo aperto: aperto
ai ragazzi, alle famiglie, alle comunità del
territorio. Si tratta di una necessità fortissima
che può contribuire a rimarginare la rottura
del patto tra insegnanti e famiglie, tra scuola
e società e che servirà a ribadire l’importanza
determinante del ruolo e della funzione dei
docenti nella crescita non solo dei ragazzi ma
dell’intera cittadinanza.
La scuola del primo ciclo
Come già nella versione 2007, le Indicazioni
nazionali proseguono con le sezioni specifiche
dedicate alla scuola dell’infanzia e alla scuola del
primo ciclo. La trattazione è molto approfondita
21
e noi qui ci occuperemo soltanto delle parti che
riguardano la disciplina della Storia nella scuola
secondaria di primo grado.
Tuttavia, riteniamo importante evidenziare che
la sezione dedicata alla scuola del primo ciclo si
apre con considerazioni generali sulla funzione e
sulle finalità della scuola primaria e secondaria di
primo grado, la più importante nella vita di ciascun alunno perché è quella che lo accompagna
nella fase di crescita più intensa e pone le basi
per l’orientamento scolastico successivo.
Nello specifico, se la scuola primaria mira
all’«acquisizione degli apprendimenti di base»,
la scuola secondaria di primo grado propone le
differenti discipline come tante chiavi di accesso diverse alla conoscenza del reale. Grande è il
risalto dato all’interdisciplinarità, con particolare attenzione a quelle che nel testo vengono
indicate come zone “di cerniera” o “di confine”
(per esempio, la geografia); altrettanto netto è
il rifiuto di ogni trasmissione inerte dei saperi.
Inoltre si ribadisce che è la scuola secondaria di
primo grado quella nella quale vengono poste le
basi per una cittadinanza attiva.
Le Indicazioni nazionali recano anche un paragrafo dedicato all’ambiente di apprendimento
che vuole ricordare come non solo l’aula scolastica ma anche la biblioteca della scuola e i
laboratori (compatibilmente con le pochissime
risorse a disposizione del sistema scolastico italiano, verrebbe da dire) rappresentano altrettanti
luoghi privilegiati in cui deve realizzarsi l’apprendimento. Ciò è tanto più vero in presenza di una
didattica per competenze.
La trattazione della disciplina “Storia”
La parte introduttiva alla disciplina è piuttosto
differente nella nuova versione delle Indicazioni
nazionali. Mentre nel 2007 il discorso era gene-
22
Per una didattica delle competenze
rale, ora si fa puntuale e scandito per momenti
separati: il senso dell’insegnamento della Storia;
i metodi didattici della Storia; la Storia come
campo disciplinare; identità, memoria e cultura
storica; la Storia generale a scuola; la ripartizione delle conoscenze storiche per livelli scolastici;
gli intrecci disciplinari; educazione al patrimonio
culturale e alla cittadinanza attiva.
L’avvio è un profondo richiamo all’importanza
della conoscenza della storia nel nostro Paese
per poter comprendere quanto ci circonda:
l’esperienza di ogni cittadino italiano infatti
è, di per se stessa e continuamente, avvolta,
inserita e a contatto con testimonianze storiche
le più diverse. Se lo studio della Storia è ciò
che «contribuisce a formare la coscienza storica
dei cittadini e li motiva al senso di responsabilità nei confronti del patrimonio e dei beni
comuni», la Storia finirà per coincidere con la
Cittadinanza.
La seconda sezione della parte introduttiva dedicata alla Storia riguarda i metodi didattici. Inserire quasi subito nella trattazione la didattica è
una novità importante della versione 2012: nella
precedente, infatti, ci si limitava a raccomandare
che il metodo didattico fosse il più coinvolgente
possibile. Ora, invece, si sollecitano i docenti a
«usufruire di ogni opportunità di studio della
Storia, a scuola e nel territorio circostante».
Partendo dagli infiniti tesori artistici e culturali,
scegliendo quelli che i ragazzi vedono ogni giorno recandosi a scuola, l’insegnante può trarre
spunto per “raccontare la storia”, che prenderà
vita agganciandosi in modo concreto all’esperienza quotidiana dello studente. Ridare centralità alla narrazione del passato è fondamentale
nell’insegnamento della Storia perché, come ha
scritto altrove Vittoria Calvani, «il momento del
racconto dei fatti del passato è il momento fondamentale e rivitalizzante di questa disciplina
che non deve mai ridursi a una arida sequenza
di date e di eventi. Oltre ad analisi, statistiche
e fonti, una vera lezione di Storia dovrà possedere quella percentuale di storie avvincenti e
di analisi dal sapore giallistico, di scoperta che
sono proprie della Storia stessa». La narrazione
infatti è una delle migliori armi per fare della
lezione un momento niente affatto “noioso”;
essa risulterà assai più vicina alla forma mentis
dei ragazzi, avvezzi alla cultura orale e digitale,
mobilitandone l’intelligenza emotiva: scopriranno
così che i contenuti dello studio non sono aridi e
inutili perché lontani dal loro mondo. È questo,
ovviamente, un sistema didattico già ampiamente sperimentato da molti docenti italiani e
rappresenta quella didattica dell’attenzione che
sola può procedere ad attivare e sollecitare le
competenze dei ragazzi.
Della terza sezione l’aspetto più importante
consiste nell’individuazione dei quattro snodi
periodizzanti della vicenda umana: il processo di ominazione, la rivoluzione neolitica,
la rivoluzione industriale e i processi di mondializzazione e globalizzazione. Le Indicazioni
nazionali 2012 non aggiungono altro in merito
a questi quattro momenti; tuttavia è indubbio
che intorno a essi debba ruotare la scansione
della disciplina.
A proposito di storia generale, invece, si dice
che è necessario «aggiornare gli argomenti di
studio adeguandoli alle nuove prospettive» in
modo che la Storia risulti per i ragazzi un «intreccio significativo di persone, cultura, economia, religione, avvenimenti che hanno costituito
processi di grande rilevanza per la comprensione
del mondo attuale».
Il testo prosegue elencando alcuni momenti
fondamentali; di particolare novità e importanza
è l’accenno all’emancipazione femminile, che
lascerebbe presagire un principio di prospettiva
di genere in un ciclo di scuola dove questo approccio non è mai stato recepito.
Un’analisi delle Indicazioni nazionali 2012
I traguardi per lo sviluppo
delle competenze al termine
della scuola secondaria di primo grado
e gli obiettivi di apprendimento
L’elenco dei traguardi relativi alla disciplina
della Storia è leggermente variato nella versione
2012. In particolare, è stato inserito un riferimento alle fonti digitali che il ragazzo deve
saper usare ed è stata specificata la necessità
del confronto con il mondo antico a proposito
della storia europea medievale, moderna e contemporanea.
Quanto agli obiettivi di apprendimento,
possiamo notare che nell’organizzazione delle
informazioni è stata inserita l’indicazione che
il ragazzo sappia «selezionare e organizzare le
informazioni con mappe, schemi, tabelle, grafici
e risorse digitali» e che, oltre a formulare ipotesi,
le sappia anche verificare. Possiamo intendere
questa precisazione come una espressione di
competenza.
Altrettanto nuova è l’ultima indicazione sul
fatto che i ragazzi sappiano utilizzare il linguaggio specifico della disciplina.
La Storia in una didattica
per competenze
Se questo è, come è, uno dei documenti ministeriali più sbilanciati di sempre a favore delle
competenze, attuarlo nella vita scolastica di tutti
i giorni vorrà dire assumere davvero le competenze come propria stella polare. È giusto parlare
di “rivoluzione” perché far sì che, attraverso lo
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studio della Storia, i ragazzi sviluppino competenze vorrà dire adottare modalità del tutto
nuove: ogni singolo docente saprà individuare,
e in molti casi dovrà essere disposto a inventare,
sistemi didattici nuovi che mettano al centro non
più i contenuti da trasmettere ma la sollecitazione delle competenze di ogni singolo studente.
Per impostare un vero lavoro sulle competenze
bisogna che i docenti siano disposti a ripensare
tutto il loro lavoro a tutti i livelli (programmazione, stile didattico, modalità quotidiane).
È una sfida ardua, che anche solo a scriverla
in queste righe suona insuperabile; invece, i già
molti progetti avviati in tante scuole italiane e
le esperienze dei docenti che si sono messi in
rete (in tutti i sensi) in Internet dimostrano che
è possibile affrontarla, ottenendo spesso grande
riscontro da parte degli studenti e delle famiglie.
Sicuramente la lezione frontale che verte su uno
specifico argomento non risulterà utile a una didattica per competenze, ma lo saranno le attività
di tipo laboratoriale e addirittura “drammaturgiche”: tutto ciò che coinvolge in prima persona
gli studenti avrà il duplice vantaggio di catturarne l’attenzione e sollecitarne le competenze.
In quest’ottica, gli strumenti di lavoro più
consueti, come i libri di testo o le verifiche,
assumeranno un ruolo nuovo accompagnandosi
a molti altri strumenti fra i quali avranno, inevitabilmente, grande spazio le nuove tecnologie
che così potranno essere mostrate ai ragazzi
sotto una nuova luce, rivelandosi veri strumenti
di conoscenza e non solo oggetti ludici. Tutto
questo avrà lo scopo non di portare gli studenti
per mano, ma di insegnare loro un’autonomia
feconda e duttile.
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