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Nerone
Nerone Un amico che non dimenticherò mai di Carlo Ruberti L a storia di “Nerone” , un cane lupo maremmano di otto anni, sembra fatta apposta per commuovere i livornesi, i quali, come si sa, sono molto amanti degli animali e specialmente dei cani. Appena nato, “Nerone” fu acquistato per mille lire da un modesto ciclista che ha la sua officina in una delle contrade di Piazza XX Settembre e diventò il fedele amico dei quattro figlioletti di questi che, un po’ per amore dei figli, un po’ perché la bestiola dimostrava una notevole intelligenza, si decise anche a denunciarlo, pagando regolarmente la tassa sui cani, nonostante le sue precarie condizioni economiche. Crescendo, “Nerone” divenne un bel cane, non troppo grande ma robusto. Nel ‘51 le cronache parlarono di lui. Durante una passeggiata, la sua padroncina, Franca R., allora dodicenne, precipitò nel fosso degli Scali degli Olandesi e sarebbe certamente annegata se il cane, dopo aver abbaiato furiosamente richiamando l’attenzione dei passanti, non si fosse gettato in acqua, trattenendola per le vesti, quando già la picco- la aveva perduto i sensi. “Nerone” la trasse a riva e Franca, sottoposta a immediate cure, si riprese ben presto. L’affetto del ciclista e dei suoi figli per “Nerone” divenne, come facile immaginare, ancora più forte. Ma l’anno scorso, il ciclista, in seguito al peggioramento delle condizioni economiche non fu più in grado di pagare la tassa e, vincendo le immaginabili resistenze in famiglia, decise di disfarsene. Conoscendo l’intelligenza e l’affetto del cane, volle abbandonarlo in un modo che avesse impedito alla bestia di tornare a casa e, recatosi alla stazione centrale, chiuse “Nerone” in un gabinetto del direttissimo Roma-Torino, tornando a casa solo dopo essersi accertato che il treno era partito. Da quel giorno è passato un anno e ormai più nessuno pensava a “Nerone”. Forse qualcuno aveva trovato la bestia sul treno e l’aveva presa con sé oppure l’aveva consegnata alla stazione di Roma. Ma ieri alle 15.00 il ciclista, recatosi ad aprire la sua officina, ha trovato “Nerone” tranquillamente accucciato di fronte alla porta. Inutile soffermarsi su quel che ne è seguito. La notizia ha fatto rapidamente il giro di tutto il rione di Piazza XX Settembre e questa volta il ciclista ha solennemente dichiarato che non lascerà più il suo cane neppure per tutto l’oro del mondo. Questo è quanto riportò l’articolo ma la storia non andò proprio così! I l cane non fu mai “denunciato” e, quello che venne descritto come un Lupo Maremmano, altro non era che un meticcio lupoide. “Nerone” spesso veniva preso dall’accalappiacani dell’ufficio sanitario del comune. All’epoca, questo vestiva una divisa scura, con stivali alti sino al ginocchio e cappello con visiera nera, con lo stemma del comune sul davanti. Pertanto questo animale, che spesso sostava nell’officina di mio padre, quando vedeva passare un carabiniere, un pompiere, un agente della forestale (questi avevano in comune stivali alti e cappello con visiera e divisa) si ricordava degli stivali e non ne aveva un buon ricordo. Quando vedeva chi portava questi stivali, schizzava fuori dalla bottega ed iniziava ad abbaiare ferocemente, e, non essendo più un cucciolo, spaventava, tanto che, un giorno, un carabiniere minacciò mio padre che se il cane continuava ad abbaiare, avrebbe estratto la pistola d’ordinanza e gli avrebbe sparato. Trascorse ancora del tempo ma il cane non perse questa abitudine, perciò mio padre lo teneva in bottega, sempre legato ad una catena. Un giorno la catena fu legata ad una sedia e nel frattempo una persona amica di mio padre, non più giovanissima, si sedette su quella sedia. Il caso volle che passasse di lì un agente con i soliti stivaloni e il cappello... il cane schizzò fuori come un razzo a tutta velocità per andare ad abbaiare a questi e scaraventò l’amico di mio padre e la sedia per terra. Passati i primi momenti di sgomento, mio padre, visto e considerato che tante persone spesso venivano a protestare in bottega per questo cane: un giorno il norcino lo accusò di avergli rubato una sfilza di salsicce, poi un pasticcere lamentò che gli aveva svuotato un pancale di paste, una lattaiola che gli andava dietro il banco e gli beveva sempre il latte dalle sue brocche di alluminio (mia madre all’epoca diceva: “ma come mai ha sempre il muso bianco?”). Decise allora di affidarlo ad un amico che faceva il ferroviere, un tal D’Aquino, che veniva spesso in bot- tega da mio padre e che a Roma aveva un amico che gestiva un grande deposito di automezzi. Questo amico aveva bisogno di un cane da guardia e l’avrebbe preso volentieri e tenuto bene. Così fece, lo dette a questo D’Aquino che lo portò con sé su un treno della linea Torino-Roma. Lui poi ci disse di averlo messo nello scomparto del capotreno ed il cane, che aveva fiducia, lo seguì fino a Roma Trastevere, dove fu dato a questo conoscente e poi ripartì per Livorno. Di “Nerone” non si seppe più nulla ma il 15 Febbraio del 1956 alle ore 15.00, un anno e dieci giorni dopo (fu l’anno che venne la neve), “Nerone” riapparve in bottega, si adagiò mezzo dentro e mezzo fuori, quasi come per chiedere il permesso. A mio padre, quando lo vide, vennero le lacrime agli occhi, non vi dico di mia madre e di noi figli e di tutto il vicinato, ormai lo conoscevano tutti, ecco perché il giornale venne a conoscenza della storia e ne fece un articolo. “Nerone” quando ritornò aveva un collare di buona fattura, era in buona salute, anche se con le zampe sanguinanti e molto stanco. Infatti, dormì un giorno intero, anche se in bottega quel giorno si era adunata una folla di amici e conoscenti. Visse con noi per altri quattro anni circa, dopo, ormai vecchio e malato, si allontanò e non si seppe mai dove andò a morire. Secondo chi conosceva quella razza, all’epoca disse, che quel tipo di cane, non muore mai dove è vissuto. Lo cercammo da tutte le parti, Gli Scali Olandesi davanti alle Scuole “A.Benci”: in primo piano lo scivolo anche negli anni successivi, ogni tanto si trovava qualche cane che gli somigliava ma di lui non si seppe più nulla. Per me, quando ero bambino, è stato come un altro fratello, mi veniva a prendere all’uscita della scuola, giocavamo insieme, io lo chiamavo Rin Tin Tin, come il cane della famosa serie televisiva di tanti anni fa. La storia del salvataggio di mia sorella andò in questo modo: nel 1951 mia sorella aveva circa 11 anni e nel periodo estivo aveva preso l’abitudine, dopo aver pranzato (circa alle ore 14.00 -14.30 ), di portare “Nerone” a fare un tuffetto rinfrescante. Andava davanti alle scuole A. Benci all’altezza dello scivolo, sulla destra della facciata della scuola, tirava un sasso nel fosso e “Nerone” si lanciava in acqua (nel 1951 l’acqua del canale dei fossi era pulita, all’epoca, mi ricordo, i ragazzini ci facevano il bagno e non vi era nemmeno una barca attraccata). Quella volta Franca di corsa iniziò a scendere lo scivolo ma mise male il piede sinistro e la caviglia gli fece un brutto scherzo, la fece cadere nel fosso. Franca gridava ma, non sapendo nuotare, andava giù e il cane abbaiava per cercare di attirare l’attenzione di qualche passante che potesse aiutare la sua padroncina ma purtroppo all’epoca passavano pochissime persone e per di più, a quell’ora in giro non c’era un’anima. Allora il cane vedendo che affogava, non ci pensò due volte e si gettò nel fosso, la prese per il vestito e, non si sa bene in che modo, “Nerone” gli tenne la testa fuori dall’acqua, perché Franca aveva perso i sensi e aveva già bevuto un po’. Comunque prima di gettarsi il cane abbaiò in un modo diverso, molto forte, tanto che un vigile urbano (all’epoca l’ufficio del comando dei vigili urbani era all’ultimo piano del mercato centrale e l’ingresso era in via Gherardi Del Testa), sentendo abbaiare, guardò dalla finestra e, vedendo la scena, capì ciò che stava accadendo. Corse giù e fece tutto il giro della sponda del fosso, attraversò il ponte di via Aurelio Saffi e raggiunse lo Franca con “Nerone” tre giorni dopo il salvataggio scivolo, non so se si gettò nel fosso, o allungò le braccia per tirare su Franca (il cane la tratteneva per il vestito vicino alla sponda e cercava di tirarla ma non ci riusciva). Tratta a riva la bimba era proprio agli stremi, tanto che chiamarono l’ambulanza per portarla all’ospedale. Quando arrivò la misero sulla lettiga e “Nerone” era lì accanto a lei. L’ambulanza partì a tutta velocità verso l’ospedale e “Nerone” cosa fece... iniziò a correrle dietro, il percorso fu quello più ovvio: via dei Mulini, piazza XX Settembre e via Mentana. All’epoca mio padre, che aveva prestato servizio volontario alla SVS, aveva l’abitudine, quando era nella sua officina e sentiva la sirena delle ambulanze dirette verso l’ospedale, di dare il via libera all’autista . Così fece anche questa volta, il mezzo passò davanti alla bottega e mio padre vide “Nerone” che le correva dietro. Capì che era successo qualcosa, allora prese la bicicletta e si recò all’ospedale dove trovò Franca che nel frattempo si era ripresa e “Nerone” circondato da infermieri e curiosi che gli facevano le feste. Ciao “Nerone”, non ti dimenticherò mai.