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Il pentito Messina: entrai nell`organizzazione per vendicare mio padre

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Il pentito Messina: entrai nell`organizzazione per vendicare mio padre
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05/02/2008
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In primo piano
Mercoledì 6 Febbraio 2008
CRONACHE di NAPOLI
CAMORRA
LA RETATA
I DELITTI
La casa della Terracciano
per decidere gli agguati
La moglie
La figlia
Il ras
Giovanna Terracciano
Elvira De Falco
Antonio Mariniello
E' la consorte del defunto
capoclan Ciro De Falco,
assassinato ad Acerra nell'ottobre del 2006. L'omicidio scatenò una serie di
risposte e di agguati contro il clan opposto a cui
erano legati i componenti
della famiglia Tedesco. La
donna aveva un ruolo di
primo piano nel clan
E' la figlia del boss ucciso
De Falco. La giovane partecipava ai summit per ristabilire il nuovo assetto delle
alleanze sul territorio dopo
la morte del padre: "Non è
cambiato nulla, i soldi di
mio padre ce li mangiamo
sempre noi. Acerra è sempre di mio padre, lo devono
capire questa gente”
Il boss Antonio Mariniello
era agli arresti domiciliari
E’ stato ammanettato e
rinchiuso nel carcere di
Poggioreale. Venne beccato dalla polizia nei pressi
di casa sua mentre era in
auto con la moglie: addosso alla donna venne trovata una pistola di cui l’uomo
si attribuì la proprietà
Mala acerrana, gli indagati fanno scena muta
Gli arrestati nel blitz si sono avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande dei gip
di Marco Cesario
ACERRA - Hanno fatto tutti scena muta.
Nessuno ha scelto di rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari
Antonella Terzi della seconda sezione
penale del tribunale di Napoli che li ha fatti
finire in prigione. Nessuno ha voluto replicare a caldo alle contestazioni mosse dal pubblico ministero Vincenzo D’Onofrio della
Direzione distrettuale antimafia di Napoli
nell’ambito dell’inchiesta che ha inferto un
duro colpo al clan Di Fiore-De Falco. Ieri
mattina in 21 hanno affrontato la prima
tappa dell’iter giudiziario scaturito dalla
notifica delle ordinanze di custodia cautelare
in carcere emesse su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli. “Mi
avvalgo della facoltà di non rispondere”, è
stato il coro unanime che si è levato nella
sala colloqui della casa circondariale di Poggioreale. Adesso tutti sperano nei giudici del tribunale del Riesame di
Napoli ai quali, a stretto
giro la difesa (rappresentata, tra gli altri, dagli
avvocati Carlo Ercolino,
Giovanni Bianco e
Ludovico Montano) presenterà un’istanza di scarcerazione nella speranza
di ottenere una lettura
diversa del quadro indiziario. Numerose sono le
accuse formulate dalla
procura: associazione di
stampo mafioso, estorsione (consumata e tentata),
il tentato omicidio di
Antonio Tedesco, e gli
omicidi di Ciro De Falco
(assassinato ad Acerra il
26 ottobre del 2006) e di
Luigi Borzacchiello
(assassinato il 9 dicembre
del 2006). Le indagini,
che poggiano su una serie
di intercettazioni telefoniche ed ambientali e sulle
dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia
Domenico Delli Paoli e Giovanni Messina,
hanno accertato anche che il clan Di FioreDe Falco era pronto a fare una strage. In particolare gli investigatori hanno ascoltato in
diretta Giovanna Terracciano, la vedova di
Ciro De Falco, mentre esortava i sicari ad
uccidere Luigi Borzaccchiello, personaggio
di primo piano del clan rivalere dei Mariniello, colpendolo in faccia, cosa che poi
effettivamente accadde. Ancora: Elvira De
Falco, figlia del boss assassinato, venne sentita mentre ristabiliva il nuovo assetto delle
alleanze sul territorio dopo la morte del
padre: “non è cambiato nulla, i soldi di mio
padre ce li mangiamo sempre noi. Acerra è
sempre di mio padre, lo devono capire questa gente di m...”. L’inchiesta ha fatto luce
su una serie di episodi di contrasto tra i De
Falco-Di Fiore, alleati dal 2004 con i De
Sena nello spartirsi i proventi delle estorsioni sul territorio, e i Mariniello, alleati con i
Tedesco, guerra di camorra cominciata ad
ottobre 2006 proprio con l’agguato al boss.
La polizia, ascoltando le conversazioni tra
gli affiliati del clan, ha salvato la vita due
volte ad Antonio Mariniello, responsabile
dell’uccisione di Ciro De Falco e per questo
condannato a morte dal clan rivale. Una
prima volta, a novembre del 2006, quando i
De Falco tentano l’azione, agenti accompagnano Mariniello nella sua abitazione in
auto e i killer non agiscono. Mariniello, a
questo punto, non lascia più il suo appartamento. E in casa De Falco, dove si trattano
partite di droga in presenza dei bambini, si
progetta anche un intervento con il tritolo
nello stabile di Acerra dove Mariniello abita
a pur di ucciderlo. “Gli butto giù 150 metri
quadrati e 10 metri di muro”, spiega
Pasquale Di Fiore, marito di Elvira, alla
suocera Giovanna e al cognato Impero De
Falco. “Vediamo di non fare figure di m...”,
dice la donna. “Come ho progettato la
bomba, non scappa, Giovanna. Gli do Afragola addosso”, è la replica. L’esplosivo,
hanno spiegato il pubblico ministero antimafia Vincenzo D’Onofrio e il responsabile
della Mobile Vittorio Pisani, era già pronto
e proveniva da una cava del napoletano.
Nell’esplosione avrebbero potuto perdere la
vita, oltre a Mariniello, almeno altre 15 persone. Anche in questo caso, agenti di polizia
vengono notati dalle vedette della camorra
nei pressi dello stabile e non si procede. L’ascolto delle conversazini di camorra ha permesso di sventare, oltre la strage, altri due
agguati, mentre in due casi non si sono decifrati i luoghi e le persone obiettivo dei killer.
ACERRA - La morte di
Ciro De Falco rappresenta
la premessa cronologica e
soprattutto la logica della
maggior parte degli atri
delitti sintetizzati nei capi di
imputazione predisposti dal
pm. A questo si intrecciano
gli agguati di Antonio
Tedesco e Luigi Borzacchiello e scaturiscono gli
attuali equilibri del gruppo
di cui era stato incontrastato
leader e, in qualche misura,
le scelte criminali dei suoi
epigoni. Proprio a seguito di
tale delitto che l’abitazione
della moglie della vittima
diventa il fulcro delle attività. L’appartamento di Giovanna Terracciano sembra
infatti diventata, dopo l’omicidio del marito, una sorta di
punto di ritrovo per i familiari - tutti per altro a vario
titolo coinvolti nelle ‘esperienze’ criminali del capofamiglia e pronti ad assumerne
l’eredità - e degli ulteriori
partecipanti, i quali confluiscono per ricevere direttive e
per relazionare sugli incarichi ricevuti. Le conversazioni, quindi, che si svolgono,
finiscono col fornire non
soltanto elementi in ordine
all’omicidio, ma anche col
dare un decisivo contributo
ai fini dell’accertamento dell’esistenza dell’associazione
e dell’appartenenza alla stessa degli interlocutori. Il prosieguo dell’ascolto e l’estensione anche ad utenze
telefoniche in uso agli indagati apre poi insospettabili
scenari anche sui delitti fine
e, in particolare, sugli delitti
che si raccordano all’eliminazione di Di Fiore. I dialoghi, tutti in chiaro e mai
velati da precauzioni, e la
facile identificazione di
coloro che ne prendono
parte, i quali di regola parlano in casa loro, chiamandosi
per nome e le loro voci,
peraltro, sono note agli investigatori, rendono questo
mezzo di apprensione della
prova assolutamente decisivo e di per sé autosufficiente
ai fini rappresentativi cui è
destinatario. Le operazioni
di polizia, come già detto,
concorrono a fugare i pochi
dubbi e dirimere i rari equivoci. A supportare poi i dati
ricavabili dalle intercettazioni, vi sono poi le dichiarazioni di Giovanni Messina,
che da dei fatti una ricostruzione sempre sovrapponibile
a quella che si ricava dai
colloqui e, soprattutto, quelle di Domenico Delli Paoli.
E per una fortunata coincidenza il ‘pentimento’ di
Delli Paoli interviene immediatamente dopo la sostanziale conclusione dell’attività di indagine.
La storia del sodalizio
Il genitore del collaboratore di giustizia assassinato in un raid per errore. La ‘gola profonda’ divenne il guardaspalle del ras Esposito per farsi giustizia
Il pentito Messina: entrai nell’organizzazione per vendicare mio padre
ACERRA (Mariano Fellico)
- Le dinamiche che hanno
caratterizzato in passato e che
caratterizzano attualmente l’area acerrana, sono racchiuse in
buona parte nelle dichiarazioni del pentito Giovanni Messina e Domenico Delli Paoli. Le
loro versioni descrivono un
panorama criminale di “inarrestabile vivacittà” - come
viene evidezianto dai pm - con
repentini capovolgimenti di
fronte, da amicizie labili e
rancori spesso superficiali, da
fratture che non sono mai
nette, così come non lo sono i
fronti che di volta in volta
nascono in vista della realizzazione di interessi contingenti o per contrastare avversari
comuni e con la stessa rapidità
si disfano, magari, per ricompattarsi
all’improvviso,
mutando solo parzialmente la
loro composizione. Si scopre,
così, che ‘amici’ uccidono gli
‘amici’, dopo averli attirati in
alleanze mistificatorie, che
nemici giurati si ritrovano anche se temporaneamente dalla stessa parte per “complessi giochi di potere criminale”. E’ l’arte della ‘tragedia’, che , anche nell’esperienza di Giovanni Messina,
governa e fa da regia agli
accadimenti criminali del territorio acerrano. “Il 4 dicembre 1989 - afferma il pentito
Messina durante un interrogatorio - è una data indimentica-
bile per me. Una data che ha
segnato per sempre la mia
vita. Mio padre, seppure gravato da un precedente per
furto, era completamente
estraneo ai contesti camorristici di Acerra. La ragione
della sua uccisione - afferma l’ho appresa diversi anni
dopo, nel 1995. In quell’anno
decisi di entrare a far parte di
uno dei clan della zona, per
vendicare mio padre. Quando
venni a sapere chi erano stati
gli autori dell’omicidio di mio
padre e soprattutto che quell’omicidio era presumibilmente frutto di un errore di valutazione, qualcosa scattò in me e
decisi di fare quello che poi
ho fatto. Ricordo ancora - sottolinea Messina - quando mio
fratello mi disse di aver sentito Antonio Capasso parlare
dell’omicidio di mio padre.
Conoscevano Guglielmo
Mayer che, dopo l’arresto di
Mario De Sena e di Francesco Montesarchio, gestiva il
clan. Iniziai a fare l’autista e il
guardaspalle di Giuseppe
Esposito, ex cutoliano. Lo
accompagnavo ed ero armato:
aveva due pistole. Gli ex cutoliani temevano di essere uccisi. L’ottobre del 1995 partecipai ad un agguato a Casalnuovo. Questo - conclude Messina - fu il mio battesimo di
fuoco”. Poi, qualche anno
dopo, nel 1999 iniziò la spaccatura all’interno del cosca
capeggiata da Mariniello. Il
pentito, infatti, era in mezzo a
due ‘fuochi’, doveva scegliere
con chi passare: coi Mariniello o coi De Sena, ma lui optò
per quest’ultimi.
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