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I percorsi dell`affido familiare

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I percorsi dell`affido familiare
Itinerari Formativi
PROVINCIA DI BERGAMO
Settore Politiche Sociali
I percorsi
dell’affido
familiare
PROVINCIA DI BERGAMO
SETTORE POLITICHE SOCIALI
I percorsi dell’affido
familiare
L’ACCOMPAGNAMENTO DELLA FAMIGLIA AFFIDATARIA.
AVVIARE, GESTIRE E CONCLUDERE
UN BUON AFFIDO
Progetto “Reti familiari, affidi e famiglie risorsa”
giugno 2006
L’INTERVENTO CON LA
FAMIGLIA D’ORIGINE
NEL PROGETTO DI AFFIDO
Progetto “Reti familiari, affidi e famiglie risorsa”
luglio 2007
Coordinamento editoriale:
Silvano Gherardi - Dirigente del Settore
Fiorenza Bandini - Funzionario del Settore
La pubblicazione è a cura di:
Cinzia Bettinaglio - Educatrice
Silvio Marchetti - Psicologo
Componenti dei gruppi di formazione:
Alborghetti M.Grazia, Alborghetti Silvia, Alesi Fabiola, Avanzi
Barbara, Basetti Paola, Bellini Marcella, Betelli Luca, Caligiuri
Marta, Camolese Irene, Carrara Lara, Castelli Ferruccio, Catalano
Giusy, Cremaschi Bianca, Del Rey Granado Sofia, Dominizi R.
Marcello, Evans Michael, Franini Eliana, Leporati Mariangela,
Malanchini Fabrizia, Marella Alison, Marini Gabriella, Marconi
Manuela, Marrazzo Giovanna, Masserini A. Maria, Mazzon
Francesca, Meli M. Grazia, Milani Elena, Riceputi Ornella,
Romele Debora, Roncalli Simonetta, Savoldelli Francesca, Sorini
Loretta, Taddei Chiara, Tasca Giuditta, Trapletti Chiara, Ubiali
Marco, Valenti Rosangela, Zaltieri Manuela
Rete “L’abbraccio”: Canali Paolo, Della Torre Lorella, Marchesi
Roberto
Rete “AEPER”: Castellazzi Cristiano
Associazione “Famigliaperta”: Ravasio Paola, Crotti Gian Battista,
Gotti Pier Giuseppe, Lampugnani Giorgio
Rete famiglia “Il Guado”: Benedetti Tiziana, Lodetti Daniela
Associazione “Famiglie per l’accoglienza”: Colombi Matteo,
Anna Maladosa
Servizio Affidi Bergamo: Bazzi Claudio
Immagine di copertina: Catamo Rosalba (da “La Città sostenibile”)
PRESENTAZIONE
Questi documenti, proposti dagli operatori e dalle famiglie
affidatarie, sono il frutto di un percorso in cui sono state
spese molte energie con l’obiettivo di valorizzare il confronto
tra professionalità diverse e tra i diversi attori coinvolti
nell’affido.
Il risultato ottenuto, possiamo dire, è stato molto utile agli
stessi partecipanti del percorso: ha infatti promosso un dialogo
finora mai sperimentato, sia tra gli operatori del pubblico e
del privato, sia tra i rappresentanti delle varie associazioni e
reti familiari.
Il risultato ottenuto è stato anche presentato dai partecipanti
alle proprie organizzazioni di appartenenza e ha raccolto
buoni consensi ed incoraggiamenti a proseguire in questa
direzione.
I documenti sono stati pensati come uno strumento di
riferimento utile agli operatori e alle famiglie per la gestione
dell’affido.
Questa pubblicazione vuole anche essere uno stimolo per
gli amministratori dei Comuni e degli Ambiti Territoriali per
costruire, a fianco delle famiglie e degli operatori, le migliori
condizioni per promuovere, gestire e sostenere l’esperienza
dell’affido.
Riteniamo significativa questa esperienza ed auspichiamo che
la pubblicazione dei materiali prodotti possa essere utile alla
costruzione di un proficuo dialogo per promuovere il tema
della genitorialità sociale e dell’affido nel nostro contesto
provinciale.
Bianco Speranza
Assessore alle Politiche Sociali
Valerio Bettoni
Presidente
INDICE
presentazione
pag. 3
L’ACCOMPAGNAMENTO DELLA
FAMIGLIA AFFIDATARIA.
AVVIARE, GESTIRE E CONCLUDERE
UN BUON AFFIDO
a cura dei Gruppi di Formazione
e di Cinzia Bettinaglio
introduzione
pag. 11
gli aspetti organizzativi del servizio
affidi e della rete familiare
La composizione e le funzioni dell’équipe
affidataria
pag. 15
la conoscenza della famiglia affidataria e
l’individuazione delle competenze necessarie
La conoscenza e lo sviluppo delle
competenze genitoriali per accogliere
bambini e ragazzi in famiglia
La costruzione di un buon rapporto
di conoscenza, fiducia e collaborazione
reciproca pag. 16
pag. 17
l’avvio dell’affido
La costruzione di un buon contratto
d’affido con la famiglia affidataria
Le ipotesi progettuali dell’affido
pag. 21
pag. 23
la gestione e l’accompagnamento della
famiglia e del minore durante l’affido
La gestione dell’affido I colloqui di sostegno L’équipe progettuale Le visite domiciliari I gruppi di sostegno e di mutuo-aiuto
La formazione permanente
Il lavoro di rete
Il rapporto con la scuola
Alcuni elementi del contratto tra gli
operatori e la famiglia affidataria
- Gli operatori di riferimento
- L’organizzazione del Servizio Affidi - I rapporti con la famiglia d’origine - La gestione del calendario e degli
eventi importanti - La verifica degli aspetti organizzativi
della famiglia
- Il sostegno educativo e/o psicologico
al minore in affido e alla famiglia
affidataria
Note d’attenzione delle famiglie
riguardo alle prestazioni e ai tempi
pag. 26
pag. 27
pag. 27
pag. 28
pag. 28
pag. 29
pag. 30
pag. 30
pag. 32
pag. 32
pag. 33
pag. 34
pag. 34
pag. 34
pag. 35
pag. 37
la conclusione dell’affido
Le fasi della conclusione dell’affido
pag. 39
L’INTERVENTO CON LA FAMIGLIA
D’ORIGINE NEL PROGETTO DI AFFIDO.
CONSIDERAZIONI E IPOTESI DI LAVORO
a cura dei Gruppi di Formazione e di Silvio Marchetti
introduzione
pag. 45
il rapporto tra gli operatori del servizio
sociale, del servizio affido
e della rete familiare
pag. 48
il rapporto tra il servizio sociale e
la famiglia affidataria
pag. 53
il progetto sociale rivolto alla famiglia
di origine: le attese di recuperabilità
dei padri e delle madri
pag. 57
la famiglia d’origine e le sue rappresentazioni
dell’affido e degli affidatari
pag. 67
gli affidatari e la famiglia d’origine
pag. 77
gli affidatari e le istituzioni
pag. 86
il rapporto con il tribunale per i minorenni
pag. 90
l’accompagnamento del bambino in affido
e la doppia appartenenza
conclusioni
pag. 94
pag. 117
L’ACCOMPAGNAMENTO DELLA
FAMIGLIA AFFIDATARIA.
AVVIARE, GESTIRE E CONCLUDERE
UN BUON AFFIDO
Documento dei gruppi di formazione
“Reti familiari e Servizi affido”
e “Famiglie affidatarie”
a cura dei Gruppi di Formazione
e di Cinzia Bettinaglio
Progetto “Reti familiari, affidi, famiglie risorsa”
giugno 2006
Provincia di Bergamo - Settore Politiche Sociali
10
introduzione
A che punto siamo nel rapporto tra istituzioni
e famiglie aperte
a cura di Cinzia Bettinaglio
A partire dal 2004 e, più precisamente, dal convegno “Fare
posto alle relazioni di cura: le famiglie accoglienti interrogano
la comunità”, si è avviato nella provincia di Bergamo un
interessante “esperimento”: le famiglie affidatarie hanno
chiesto e sono state chiamate a posare pubblicamente il loro
sguardo sull’esperienza dell’affido.
Quel primo “balcone” che ha permesso l’affacciarsi palese
delle famiglie in uno spazio di voci che normalmente è
quello dei “tecnici”, degli “operatori”, dei “professionisti”,
ha mostrato innanzi tutto almeno due realtà:
- ciò che le famiglie possono manifestare e hanno da dire
intorno all’accoglienza e al loro essere e fare famiglia
aperta non ha solo a che vedere con lo spazio intimo
che, pudicamente, ogni tanto viene svelato in qualche
iniziativa di sensibilizzazione dove vengono invitate a
raccontare “la loro esperienza”;
- che proprio la loro esperienza così “personale”,
riguardante gli affetti, la casa e il mondo interno
vitale, promuove una consapevolezza che si riferisce
al proprio ruolo sociale, anche a partire da ideologie e
fedi diverse, che spinge queste famiglie nella direzione
della cittadinanza attiva, della “voce pubblica”, che,
di fronte ai bambini e alle bambine accolti, torna a far
nominare parole importanti come giustizia, solidarietà,
condivisione, altruismo, fratellanza…
11
Ormai tre anni fa, le famiglie che avevano portato il loro
contributo al convegno di cui sopra, avevano comunicato
chiaramente che, a partire dalla gratuità del loro gesto, non si
appellavano alla carità e al buon cuore pubblici, ma a politiche
sociali che fossero garanzia di diritti per tutti e quindi anche
per i minori che nelle famiglie affidatarie devono poter essere
accolti con la garanzia di risorse e interventi progettuali.
Da questo sguardo, che ha così familiarità con i dolori e le
sofferenze, nasce una lettura peculiare dei bisogni e delle
necessità dei bambini e dei ragazzi in affido, che interroga
la possibilità di fronteggiarli e di farsene carico, segnala
direzioni possibili, e a volte solleva dubbi…che sospingono
verso il cambiamento.
La Provincia Settore Politiche Sociali ha garantito le
condizioni perché questa voce, questo punto di vista, potesse
continuare ad esistere pubblicamente, ad avere uno spazio e
un tempo dedicato.
Così l’esperienza di provare ad intrecciare i pensieri intorno
al tema dell’affido, tra operatori e famiglie ha avuto un suo
seguito.
Lavorando sugli stessi temi, l’accompagnamento della
famiglia affidataria e il lavoro con la famiglia d’origine
nel progetto di affido, abbiamo prodotto due documenti
congiunti, che hanno la peculiarità di “intrecciare” nel testo
le riflessioni degli operatori dei Servizi pubblici, delle Reti di
famiglie aperte e delle famiglie.
C’è forse da sottolineare, che, indipendentemente dai
contenuti, che possono essere ritenuti più o meno interessanti,
più o meno “illuminanti”, abbiamo ottenuto un duplice
risultato:
- operatori dei Servizi pubblici e operatori delle Reti
di famiglie aperte si presentano concordi rispetto a
12
quanto vanno sottolineando e sottoscrivendo - risultato
apprezzabile in tempi dove la spaccatura tra pubblico e
privato mostra i suoi crepacci;
- le famiglie affidatarie si presentano collettivamente,
indipendentemente dalle appartenenze a diverse
associazioni, cooperative, gruppi…, accanto ai tecnici.
Due documenti congiunti. Il termine è quanto di più esatto
può rappresentare quello che al momento siamo riusciti a fare.
Congiungere, cioè unire in coppia, appaiare, accostare…
Forse non è ancora partnership, perché ciò implicherebbe
un salto culturale, che non consiste solo nel dare dignità,
legittimità e valore ai pensieri che le famiglie formulano
intorno alla loro esperienza di famiglia accogliente, ma
presuppone la capacità di assegnare “pari importanza”
nella diversità di ruoli, linguaggi, motivazioni, contesti
d’intervento…
Però “accostarsi” e tentare, avendo la stessa meta, di non
avviarsi in direzioni diverse, ci sembra già apprezzabile.
Abbiamo seguito due strade parallele: un gruppo di operatori
e un gruppo di famiglie affidatarie che separatamente hanno
pensato, discusso, scritto…
Ne è emersa una partitura non troppo dissonante, che
consegniamo “all’ascolto” di quanti hanno desiderio o dovere
di fare in modo che le esperienze dei bambini e dei ragazzi
in affido siano sostenibili per loro, per la famiglia d’origine e
per la famiglia che accoglie.
Con l’augurio che il metodo di lavoro, forse contrassegnato
da alcune “separazioni” e parzialità, possa condurre a una
declinazione non euclidea dell’agire nel mondo dell’affido (la
quale non escluda che le rette parallele possano incontrarsi).
13
AMBITO TERRITORIALE
DI BERGAMO
COMUNE
DI GORLE
COMUNE
COMUN
DI ORIO AL SERIO
COMUNE
CO
DI PON
PONTERANICA
COMUNE
COM
UNE
DI SOR
SORISOLE
COMUNE
DI TORRE BOLDONE
POSSONO BASTARE POCHE ORE, TANTA DISPONIBILITÀ E UN GRANDE AFFETTO:
ANCHE TU PUOI ACCOGLIERE UN BAMBINO LA CUI FAMIGLIA È IN DIFFICOLTÀ.
CONTATTACI: VEDIAMO INSIEME COME.
COMUNE DI BERGAMO
UNITÀ OPERATIVA MINORI SERVIZIO AFFIDI
via S. Martino della Pigrizia 52 - Bergamo
tel. 035/254650 - www.comune.bergamo.it
UFFICIO MINORI ASSOCIATO - EQUIPE AFFIDI
via Libertà 12 - Ponteranica (BG)
tel. 035/571026 (int. 6 o 8)
Entrambi i servizi sono contattabili
dal lunedì al venerdì dalle ore 9.30 alle ore 12.00
14
gli aspetti organizzativi del servizio affidi e della rete
familiare
La composizione e le funzioni dell’équipe affidataria
L’attuazione dell’affido, per la sua alta complessità, necessita
della presenza di un’équipe psicosociale e pedagogica
qualificata che contempli varie figure professionali: assistente
sociale, psicologo e operatore pedagogico. Diviene infatti
fondamentale l’integrazione tra le diverse competenze
disciplinari al fine di supportare adeguatamente la famiglia
affidataria, il minore e i rapporti con la famiglia naturale.
La formazione dell’operatore dell’affido deve essere specifica
e il lavoro si deve sviluppare all’interno di un’équipe che
possa disporre di una costante e qualificata supervisione.
L’équipe degli operatori dell’affido svolge funzioni di
sensibilizzazione, formazione, selezione, sostegno sociale,
psicologico ed educativo, e di conduzione dei gruppi con
famiglie affidatarie.
Per tale motivo necessita di un discreto numero d’ore
settimanali al fine di svolgere al meglio le varie funzioni
specialistiche. La definizione del monte-ore necessario ad
una équipe affido può essere parametrata in base al numero
degli abitanti del territorio e al numero dei casi d’affido.
Da un confronto tra le équipe del territorio provinciale si evince
un minimo di 1 ora settimanale di un assistente sociale, di uno
psicologo e di educatore ogni 5.000 abitanti
15
Un buon investimento organizzativo, che ricomprenda un
discreto monte-ore professionale, consente un presidio
dell’attività e uno sviluppo delle risorse affidatarie.
Perché l’affido funzioni, anche gli operatori del servizio
sociale di base necessitano di specifici percorsi formativi per
accompagnare adeguatamente il minore all’affido, sostenere
la famiglia di origine, consentire l’adeguato svolgimento
dell’affido e preparare il rientro del minore nella famiglia
d’origine.
la
conoscenza
della
famiglia
affidataria
e
l’individuazione delle competenze necessarie
La conoscenza e lo sviluppo delle competenze genitoriali
per accogliere bambini e ragazzi in famiglia
È necessario approfondire adeguatamente le competenze
e le risorse che la famiglia affidataria dovrebbe possedere
e utilizzare per dare forma a una realtà di accoglienza
autentica.
Citiamo, in particolare, le competenze pedagogiche:
• ascolto, identificazione con il bambino, gestione
degli imprevisti, empatia con il minore e con la sua
sofferenza;
• dialogo e/o tolleranza di fronte alle possibili relazioni o
incursioni della famiglia di origine;
• lavoro e collaborazione con i referenti dell’équipe
dell’affido e della rete;
• critica e autocritica;
• richiesta e offerta di aiuto;
• saper dare un nome ai problemi e saperne parlare;
16
• tollerare le gelosie fraterne tra figli naturali ed affidati;
• flessibilità al cambiamento, apertura verso culture
diverse;
• elaborazione e apprendimento dall’esperienza;
• flessibilità rispetto ai ruoli interni alla coppia;
• disponibilità ai momenti di confronto;
• capacità di condivisione dell’esperienza nei gruppi di
auto-aiuto…
La costruzione di un buon rapporto di conoscenza, di
fiducia e collaborazione reciproca
Al fine di costruire una buona alleanza di lavoro tra operatori
e famiglia affidataria diventano necessarie:
- per gli operatori:
• la conoscenza della famiglia affidataria, della sua storia,
delle sue risorse, delle sue criticità;
• la conoscenza anche dei figli naturali e della possibile
rete parentale di sostegno;
- per le famiglie affidatarie:
• la conoscenza degli operatori diretti e indiretti di
riferimento;
• la vicinanza emotiva ed operativa, la disponibilità e
reperibilità da parte degli operatori di riferimento;
- per tutti:
• la comprensione e la chiarezza di chi fa, che cosa,
come (ruoli, funzioni e metodo) nella gestione di un
percorso affidatario.
Le famiglie affidatarie esprimono la richiesta che gli
operatori del pubblico o del privato sociale abbiano il tempo
sufficiente per conoscere le loro caratteristiche e motivazioni.
17
L’approfondimento delle motivazioni è importante, perché
non bastano la buona volontà e la buona fede per reggere
un’esperienza di affido.
La preoccupazione spesso riportata dalle famiglie è quella
legata alla paura di sentirsi sole quando il bambino sarà in
casa loro. Inoltre esse sperano in un lavoro individualizzato
sia sul piano sociale, psicologico che pedagogico e desiderano
partecipare alla progettazione e alla gestione condivisa
dell’affido.
Le famiglie evidenziano l’importanza di sviluppare una buona
conoscenza che coinvolga esse stesse, la rete e il servizio
sociale. Gli operatori ritengono che la famiglia non sia solo
un contenitore, ma debba avere un suo ruolo nel progetto.
Per questo la rete e il servizio affidi si stanno impegnando ad
attrezzarsi di referenti autorevoli e qualificati che sappiano
interpretare i bisogni e le “posizioni” della famiglia.
La collaborazione delle famiglie, accompagnate o meno dagli
operatori dell’Associazione o della Rete, con gli operatori
dei Servizi è sicuramente un modo efficace per realizzare un
affido meno difficoltoso.
La conoscenza tra organizzazioni è importante al fine di
essere riconosciute anche come organizzazioni di famiglie,
con una propria origine, filosofia e cultura di riferimento, e
di smantellare contemporaneamente la rappresentazione di
agenzie che “procurano” famiglie affidatarie.
Il servizio sociale e il servizio affidi dovrebbero essere
a conoscenza delle modalità di funzionamento delle
diverse organizzazioni per poter collaborare con le Reti/
Associazioni. In tal senso, queste ultime dovrebbero fornire
documenti descrittivi delle loro prassi e metodologie di
lavoro individuate come migliori.
18
Spesso il rapporto si sviluppa esclusivamente tra operatori
del Servizio pubblico, del privato sociale e delle associazioni,
escludendo il cardine dell’affido ovvero la famiglia.
Invece è bene che questa sia consultata sulle decisioni che
riguardano il progetto di affido poiché il servizio sociale,
non collaborando con la famiglia affidataria, perde una parte
preziosa delle informazioni, che vengono lette e filtrate,
magari unilateralmente, dall’operatore della Rete.
Gli operatori condividono il desiderio espresso dalle
famiglie di andare oltre il ruolo genitoriale e educativo per
assumere la connotazione di soggetto sociale protagonista,
all’insegna della cittadinanza attiva e per costruire legami tra
famiglie, partecipare e farsi partner nelle politiche sociali sul
territorio.
A questo proposito le famiglie affidatarie sostengono che
l’accoglienza debba essere collegata al senso di cittadinanza,
coinvolgendo anche gli Amministratori, sia in termini di
partnership nelle politiche sociali, sia di sensibilizzazione
verso il problema sociale che la famiglia in difficoltà
rappresenta.
Diventa quindi importante trovare forme per raccontare
all’esterno la propria esperienza che altrimenti rischia di
chiudersi in se stessa o anche solo all’interno della Rete o
dell’Associazione. È bene trovare forme nuove, diverse da
quelle fin qui sperimentate che sembrano poco funzionali.
Costruire “casse di risonanza” perché l’affido possa essere
esperienza strutturata e comunicabile.
Fare “pressioni” come cittadini perché gli amministratori
e i tecnici del sociale assumano sempre più compiti e
responsabilità di promozione e sensibilizzazione.
19
AMBITO TERRITORIALE DI DALMINE
per l’attuazione del piano di zona del sistema integrato di interventi e servizi sociali
Comuni di Azzano S.Paolo, Boltiere, Ciserano, Comun Nuovo, Curno, Dalmine, Lallio,
Levate, Mozzo, Osio Sopra, Osio Sotto, Stezzano, Treviolo, Urgnano, Verdellino, Verdello e Zanica
In collaborazione con: Cooperativa Sociale
Comune di Stezzano
Comune di
Comun Nuovo
Comune di Lallio
Comune di Zanica
Un villaggio:
tante famiglie
su cui contare
Sensibilizzazione e promozione
sul tema dell’affido familiare
e dell’accoglienza.
Novembre - Dicembre 2007
20
Comune di Azzano
San Paolo
l’avvio dell’affido
La costruzione di un buon contratto d’affido con la
famiglia affidataria
Si fa sempre più forte la necessità che sia esplicitato, sin
dall’inizio, che cosa è offerto alla famiglia affidataria e cosa
le è chiesto in un percorso affidatario.
Il patto d’alleanza deve essere il più chiaro e trasparente
possibile, viste le variabili fisiologiche e le difficoltà
che si presenteranno nel corso dell’affido. (Cosa offre il
servizio affido, cosa offre la famiglia, quali gli impegni
di partecipazione al gruppo, cosa significa farsi carico del
bambino, quale il rapporto con la famiglia d’origine,…).
Curare bene la fase di avvio è fondamentale anche se le
famiglie, spesso, non chiedono supporto per il timore di
sentirsi non sufficientemente adeguate dichiarando le proprie
difficoltà. Molte sono le novità che un affido introduce, i
cambiamenti negli equilibri familiari, nella coppia, tra i figli
naturali.
È bene superare il rapporto professionista-utente/paziente, per
instaurare quello di professionista-collaboratore al progetto
di affido. E’ auspicabile l’utilizzo di un linguaggio mediato,
meno tecnico, che sia comprensibile alle famiglie. Riuscire a
tradurre sul piano educativo il sostegno offerto e individuare
un lessico comune che sappia far incontrare operatori e
famiglia sono alcuni degli obbiettivi da raggiungere.
Gli operatori devono saper sviluppare un accompagnamento
all’affido senza rinunciare al ruolo pedagogico, psicologico e
sociale, anche se di “correzione” e orientamento all’intervento
educativo della famiglia.
21
Diventa necessario individuare, per la famiglia affidataria,
la giusta vicinanza - distanza da sviluppare con gli operatori
del servizio pubblico e con gli operatori della rete poiché, ad
esempio, l’interpretazione rigida di un ruolo professionale da
parte degli operatori pubblici rischia, a volte, di non tenere
conto di una necessaria co-progettazione e co-gestione
dell’affido. La famiglia affidataria ha quindi la necessità di
sentirsi percepita come partner importante e non come utente
o collaboratore strumentale.
Un altro rischio cui porre attenzione inoltre è l’eccessiva
vicinanza emotiva e l’eccessivo senso di appartenenza alla
stessa organizzazione che può inibire negli operatori, in
particolare della rete, l’attivazione di un’adeguata consulenza
pedagogica, soprattutto per le restituzioni critiche su
comportamenti e atteggiamenti della famiglia.
Per tutti gli operatori è bene costruire una vicinanza empaticoprofessionale che faciliti il rapporto di collaborazione e non
lo inibisca o distorca, perché essere percepiti come operatori
troppo distanti, fa interpretare la distanza come “assenza” o,
in ogni caso, come scarsa apertura alla possibilità chiedere,
mentre la troppa vicinanza rischia di inibire o confondere il
rimando pedagogico dell’operatore.
Il rapporto deve essere giocato nell’ambito della flessibilità,
della continuità, nel rispetto dell’accordo costruito e ridefinito
durante l’affido.
Un buon patto di collaborazione iniziale, verbalizzato e
anche scritto, che definisca bene cosa è offerto e richiesto,
che prefiguri le possibili critiche e le possibili strategie di
intervento delle parti, potrebbe orientare meglio le dinamiche
collaborative nella gestione dell’affido.
Bisogna dotarsi di strumenti per lavorare con la normalità
delle famiglie affidatarie, per evitare che si sentano a
22
volte intimamente invase e ferite, tanto da mettere in atto
meccanismi difensivi fino a sottrarsi alla collaborazione.
Le ipotesi progettuali dell’affido
Le famiglie sottolineano che è necessario che i servizi
sociali abbiano una buona conoscenza dei bambini (non
solo della situazione problematica delle loro famiglie),
relativa anche agli aspetti pratici della vita quotidiana e ai
problemi del bambino o del ragazzo (es. non dorme di notte,
fa uso di sostanze…). Il livello informativo sulle situazioni è
importante: accade che certe informazioni non sempre siano
conosciute dagli operatori stessi, cosicché alcune famiglie
accolgono minori senza avere informazioni su alcuni
“problemi” di cui essi sono portatori.
Un altro aspetto problematico che emerge dalle osservazioni
raccolte, è relativo alla necessità che il progetto sia rivolto
non solo al bambino affidato, ma anche alla sua famiglia
d’origine, che dovrebbe avere con il Servizio sociale momenti
di ricondivisione e comunicazione del lavoro in atto.
In particolare, nel caso dell’affido diurno, gli operatori
sottolineano che è fondamentale differenziare il contratto con
la famiglia affidataria perché “fisiologicamente” dovrebbe
esistere una maggiore prossimità alla famiglia di origine. E’
infatti necessario un adeguato rapporto di fiducia tra le due
famiglie; la doppia appartenenza quotidiana del bambino alle
due famiglie richiede loro una maggiore interazione; il minore
deve saper tollerare la separazione tra i due ambienti.
Nel progetto di affido esiste la difficoltà della definizione
dei tempi dell’accoglienza. Meglio forse dichiararne
23
l’indefinitezza piuttosto che scoprire strada facendo tempi
molto diversi da quelli prefigurati.
Occorre offrire anche un adeguato supporto economico
tenendo conto delle spese straordinarie, delle spese sanitarie
e degli interventi specialistici. Spesso ci si ritrova a fare i
conti con le esigue risorse finanziarie messe a disposizione
dai Comuni.
Diventa fondamentale dare visibilità e motivazione delle
risorse indispensabili per un affido.
Quasi sempre l’ammontare del contributo d’affido è inferiore
a quello di altri interventi. Comunque, la scelta dell’affido
deve avvenire per motivi tecnici, deve essere individuato
come l’intervento più adeguato per quella situazione e non
perché meno costoso.
Allo stesso modo le famiglie considerano che l’aspetto
economico non debba impedire a qualsiasi famiglia che crede
nell’accoglienza di diventare famiglia affidataria. Va però
assicurato un contributo mensile per far fronte alle spese
correnti e a quelle straordinarie che consenta alle famiglie di
gestire l’affido senza dover gravare sul proprio reddito.
Pertanto prendersi cura di chi cura è fondamentale per la
buona gestione dell’affido e per la salute psicofisica del
minore.
Comunque la famiglia, direttamente, non deve gestire e
decidere da sola di quali supporti ha bisogno il bambino oltre
a quelli ordinari e quali cifre economiche corrispondono al
loro soddisfacimento.
Ma qualora questi fossero concordati, vi devono essere le
risorse cui attingere per soddisfarli o disporre dei servizi cui
far riferimento.
Le famiglie affidatarie ipotizzano anche alcune proposte in
questa direzione:
24
• uniformare il contributo alle famiglie affidatarie,
garantendo una base comune, integrando la quota per
bisogni aggiuntivi (bimbi piccoli, adolescenti, ragazzi
con patologie …). Attualmente ci sono ancora molte
disparità rispetto ai contributi che i diversi Ambiti
Territoriali o i Comuni mettono a disposizione;
• prevedere facilitazioni per i minori in (es. ticket,
accesso ai servizi, (rette minime ad esempio per la
scuola dell’infanzia, mensa scolastica, buoni libro…)
altrimenti si mettono a carico delle famiglie oneri
troppo pesanti;
• garantire e rimborsare tutti i servizi di cui il bambino
affidato potrebbe avere bisogno (terapia psicologica,
cure mediche specialistiche, spese scolastiche …);
• offrire eventualmente alle famiglie affidatarie titoli
sociali da spendere su bisogni specifici dell’affidato
(es. terapie specialistiche).
25
la gestione e l’accompagnamento della famiglia e del
minore durante l’affido
La gestione dell’affido
I sostegni alla famiglia affidataria
E’ opinione condivisa sia dagli operatori delle Reti e dei
Servizi affidi, sia dal gruppo delle famiglie affidatarie, che
i nuclei familiari, quando si aprono all’accoglienza, abbiano
bisogno di forme diverse di accompagnamento e supporto.
L’avvio dell’affido richiede uno straordinario investimento
di risorse da parte degli operatori, così come avviene per la
famiglia affidataria ed il minore. La gestione di un affido
necessita, in ogni caso, di un’adeguata manutenzione, poiché
le variabili di un affido sono spesso imprevedibili. Il minore
è in una fase di crescita, di continuo riadattamento al nuovo
sistema famigliare e, al tempo stesso, di ridefinizione del
rapporto con la propria famiglia naturale.
Diventa allora fondamentale adottare i diversi strumenti
che consentano di monitorare le dinamiche relazionali
ed intrapsichiche che si manifestano in ciascuno degli
attori dell’affido. Stabilire quindi una continua, buona
comunicazione con tutti è indispensabile per accompagnare
l’adeguato sviluppo dell’affido. Non secondario è anche il
lavoro con la famiglia naturale che deve impegnarsi in questo
progetto di scambio reciproco.
Tra i vari strumenti utili citiamo: i colloqui di sostegno,
l’équipe progettuale, le visite domiciliari, i gruppi di sostegno
e di mutuo-aiuto, la formazione permanente, il lavoro di rete,
il rapporto con la scuola.
26
I colloqui di sostegno
Gli operatori del Servizio affidi e delle Reti sono chiamati
a stabilire con periodicità colloqui di verifica e valutazione
dell’andamento dell’intervento con tutti gli attori dell’affido
ovvero: con la coppia genitoriale affidataria, con il minore
affidato, con i figli naturali della coppia affidataria; nel caso
di affido diurno sono da prevedere eventuali incontri tra
famiglia affidataria e famiglia d’origine qualora vi sia un
buon livello di collaborazione tra le due famiglie.
La famiglia va sostenuta nella continua elaborazione
della rappresentazione del ragazzo affidato: molte sono
le immagini che possono svilupparsi in modo evolutivo o
regressivo durante l’affido.
Il rischio per la famiglia affidataria è di vivere il ragazzo in
affido con rappresentazioni opposte o tra loro scisse: a volte,
può essere percepito come un figlio proprio, altre, come un
ospite.
Importante, inoltre, è il sostegno alla famiglia affidataria nella
maturazione della rappresentazione di sé, come famiglia
capace di gestire l’affido e consapevole delle proprie fragilità
nel far fronte ad un evento dagli esiti comunque imprevedibili;
situazione questa paragonabile a quella che caratterizza
l’accompagnamento alla crescita dei propri figli naturali.
L’équipe progettuale
È fondamentale che si strutturino équipe di lavoro a più
livelli, tra queste troviamo:
Øéquipe psicopedagogiche e sociali interne al servizio affidi
o rete che svolgono un lavoro di verifica e valutazione
del progetto con la presenza di varie professionalità;
27
Øéquipe di progetto e raccordo con gli operatori della
famiglia naturale, gli operatori dei servizi specialistici
(U.O.N.P.I., Ser.T., …);
Øéquipe di ridefinizione e verifica del progetto con la
partecipazione della famiglia affidataria.
Le visite domiciliari
Sviluppare una buona manutenzione dell’affido anche con
incontri periodici nel contesto di vita dell’affidato è utile
al percorso di accoglienza presso la famiglia affidataria.
Attraverso le visite domiciliari gli operatori sono in grado di
raccogliere ulteriori informazioni e di sviluppare un rapporto
collaborativo con la famiglia affidataria.
I gruppi di sostegno e di mutuo-aiuto
Il gruppo di sostegno e di mutuo-aiuto condotto dagli
operatori è un’esperienza fondamentale per le famiglie
affidatarie. La possibilità di confrontarsi con altre famiglie,
che stanno vivendo la stessa esperienza affidataria, consente
di rileggere e rielaborare le proprie dinamiche relazionali,
le difficoltà e i successi educativi. Il gruppo di mutuo aiuto
permette di prefigurare le difficoltà, di gioire dei progressi, di
sopportare le criticità e i fallimenti.
Le famiglie, quindi, in quanto testimoni educativi risultano
spesso più credibili e convincenti degli esperti, perché
portano elaborazioni e apprendimenti acquisiti attraverso
l’esperienza di accoglienza.
Il gruppo di mutuo-aiuto è anche uno strumento formativo
per le nuove famiglie che intendono candidarsi all’esperienza
28
affidataria poiché le famiglie candidate sottolineano
l’importanza dell’ascolto non giudicante di altre famiglie
che hanno vissuto le stesse esperienze.
Generalmente partecipano al gruppo anche alcune delle
famiglie che hanno terminato l’affido e che si propongono
per offrire un sostegno alle famiglie che hanno intrapreso lo
stesso percorso. Gli operatori osservano che le famiglie non
sempre possiedono la competenza di esprimere e comunicare
le loro difficoltà: spesso diventa difficile dare un nome ai
problemi, dichiarare le proprie fragilità… Diventa quindi
fondamentale consentire agli affidatari di imparare questa
funzione di richiesta di aiuto, anche attraverso il confronto
nei gruppi di mutuo aiuto o nei colloqui con gli operatori.
A questo proposito c’è concordanza rispetto a quello che le
famiglie esprimono come bisogno:
“E’ importante promuovere e sostenere il mutuo aiuto tra
le famiglie, perché nascono reti amicali che si intrecciano e
si alimentano anche oltre il momento mensile dell’incontro.
Le competenze genitoriali sono accresciute dal confronto
con le altre esperienze, aumenta la consapevolezza dei limiti
e delle possibilità delle famiglie e quindi si riesce a mettere
a fuoco maggiormente i propri stili educativi, a capire cosa
è sostenibile per il proprio sistema familiare”.
La formazione permanente
Si tratta di percorsi formativi rivolti al gruppo di famiglie
su tematiche dell’affido, sulle competenze genitoriali, su
aspetti legislativi, sui diritti/doveri degli affidatari, sulla
cittadinanza attiva. La formazione è generalmente articolata
in alcuni incontri su un tema specifico, oltre alle proposte
29
quali convegni, seminari pubblici, ecc… offerti da enti e
organizzazioni del territorio.
La formazione, ci suggeriscono le famiglie, è bene che sia
permanente e che possa riguardare tutti i componenti della
famiglia ovvero la coppia, i figli naturali e i bambini in
affido. Questo deve aiutare le famiglie a rimotivarsi nella
scelta accogliente e a non fidarsi della sola esperienza
genitoriale.
Il lavoro di rete
E’ fondamentale che il servizio sociale monitori il contesto in
cui l’affido è inserito e che siano mantenuti regolari contatti
con scuola, volontariato, agenzie sportive e educative,
amministratori…
Il rapporto con la scuola
L’accompagnamento degli affidatari nel rapporto con la
scuola deve essere ben progettato e realizzato.
Nel percorso scolastico e nelle relazioni con la scuola è
possibile che si verifichino alcune difficoltà potenzialmente
rischiose: atteggiamenti di insofferenza o di esclusione verso
i bambini in affido che hanno e creano difficoltà cui fanno
seguito, di solito, richieste di supporti per la socializzazione
nella classe o nel processo di apprendimento; turn-over degli
insegnanti di sostegno che eventualmente li affiancano;
non riconoscimento del ruolo della famiglia affidataria o, al
contrario, richieste improprie alla loro funzione.
La presenza dell’operatore della rete o dell’affido in alcune
30
situazioni, in alcuni momenti dell’anno scolastico, può
agevolare lo sviluppo di un buon clima di accoglienza e di
supporto anche da parte degli insegnanti e della classe. E’
indispensabile curare alcune transizioni fondamentali, come
il passaggio dalla scuola elementare alla scuola media, per
facilitare l’inserimento del minore nei nuovi ambienti.
Nel primo anno di affido è bene monitorare
l’accompagnamento all’esperienza scolastica: i momenti
“forti” dell’anno, rispetto al ritmo della frequenza scolastica,
introducono variabili non sempre prevedibili (inizio scuola,
chiusura delle scuole, vacanze estive…).
31
Alcuni elementi del contratto tra gli operatori e la
famiglia affidataria
Gli operatori di riferimento
E’ importante anche aiutare gli affidatari a fare riferimento
agli operatori, rispetto ad eventuali difficoltà, alle prese
di decisione, all’elaborazione delle esperienze. Diventare
referenti significa offrire loro un contenitore ed uno specchio
per ridare significato alla propria esperienza e farli uscire
dall’autoreferenzialità che si sviluppa generalmente quando
sono lasciati soli nella gestione dell’affido.
Per la complessità dell’affido, può essere utile offrire
alla famiglia affidataria, in caso di grave emergenza, una
reperibilità telefonica aggiuntiva agli orari d’ufficio e, in
caso di necessità, anche una reperibilità fisica. Tale necessità
è un’evenienza che si presenta eccezionalmente ma che, se
trova risposta, rassicura molto gli affidatari.
La costituzione di un buon gruppo di famiglie, che sa
sviluppare relazioni di mutuo aiuto, potrebbe costituire una
buona risorsa anche per affrontare alcune delle situazioni di
emergenza.
L’organizzazione è chiamata, quindi, ad offrire gli strumenti
necessari all’operatore per intervenire adeguatamente sui
bisogni della famiglia in situazione di emergenza: ad es. il
riconoscimento della reperibilità.
Tuttavia è utile “strumentare” preventivamente la famiglia
anche nel sapere affrontare le situazioni di emergenza
con congruo anticipo. In tal modo si riesce ad ovviare
all’eventuale assenza del sostegno dell’operatore e a creare
maggiore sicurezza all’interno dell’ambito familiare.
32
Alcune indicazioni:
• gli orari in cui avere a disposizione il sostegno devono
essere accessibili dalla famiglia senza che debba essere
indotta ad assentarsi dal lavoro;
• è necessario avere tempi a disposizione per gli incontri
anche dopo le ore 17.00;
• è necessario, al tempo stesso, che le organizzazioni
riconoscano agli operatori la flessibilità dell’orario e
l’orario suppletivo.
L’organizzazione del Servizio Affidi
Il gruppo delle famiglie affidatarie, essendo formato
interamente da nuclei familiari che aderiscono alle
Associazioni e alle Reti di famiglie aperte, è dell’opinione
che:
“Il servizio pubblico, in questi ultimi anni di riorganizzazioni
aziendali e in alcune realtà, ha manifestato grosse difficoltà
ad accompagnare il nucleo familiare affidatario ed il minore
accolto.
A livello di dotazione organica i servizi affidi hanno
manifestato un forte turn-over degli operatori e, in alcuni
casi, limitata flessibilità nell’andare incontro alle famiglie
affidatarie”.
Per realizzare adeguatamente gli interventi di affido è
necessaria un’appropriata organizzazione da parte del
servizio pubblico e del privato, che sappia rispondere ai
bisogni e ai tempi delle famiglie. Gli operatori devono essere
messi nelle condizioni di operare con strumenti qualificati:
flessibilità dei tempi, professionalità specializzate, turnover contenuto, risorse di tempo necessarie e, soprattutto, è
necessario che la cura degli operatori vada rivolta sia a tutto
il nucleo familiare che al minore affidato.
33
I rapporti con la famiglia d’origine
E’ fondamentale predisporre il calendario degli incontri e delle
visite e non deve essere delegata alla famiglia affidataria la
gestione diretta dei modi e dei tempi di incontro tra il minore
e la sua famiglia.
Definire, quindi, in ambito progettuale, inizialmente e ad ogni
verifica, i rapporti della famiglia affidataria con la famiglia
di origine.
Pensarli ed agirli in termini evolutivi, se possibile, permette
al minore di contenere gli effetti di una doppia appartenenza
che escluda ogni minima contaminazione tra i due mondi
affettivi.
Nelle esperienze di affido spesso si rileva sia il rischio
della separazione totale tra le due famiglie, sia la vicinanza
eccessiva, senza confrontarsi con gli operatori che seguono
il progetto di affido.
La gestione del calendario e degli eventi importanti
E’ bene porre molta attenzione ad alcuni “appuntamenti”
ordinari e straordinari nella vita di un bambino: i compleanni,
le festività natalizie, pasquali, le esperienze estive presso
i CRE, gli eventi religiosi più significativi (ad esempio
comunione e cresima). Tali momenti sono portatori di
significati simbolici che chiamano in causa l’appartenenza
dei bambini all’una e all’altra famiglia e, in quanto tali,
vanno curati e accompagnati perché vengano adeguatamente
gestiti, prevenendo anche le possibili incomprensioni e i
conflitti.
La verifica degli aspetti organizzativi della famiglia
affidataria
A volte è bene proporre anche aiuti concreti, che possono
essere offerti dalla Rete, dal gruppo delle famiglie o da altre
34
risorse territoriali, al fine di non appesantire eccessivamente
l’organizzazione della famiglia affidataria. Ciò significa
“fare manutenzione” rispetto alle difficoltà organizzative e
logistiche: ad esempio i trasporti per la frequenza scolastica, le
pratiche sportive, le visite e le terapie sanitarie e riabilitative,
il catechismo, gli incontri protetti, l’aiuto nello svolgimento
dei compiti e nell’attività di recupero scolastico,…
Il sostegno educativo e/o psicologico al minore in affido e
alla famiglia affidataria
Gli interventi psicopedagogici possono essere utili in vari
momenti del percorso di affido e, a volte, oltre ad essere
rivolti al minore, devono includere anche i contesti sociali
nei quali è inserito (ad esempio la scuola). E’ fondamentale
una condivisione su alcuni aspetti del progetto sul minore per
cui è necessario pensare che, quasi tutti i bambini e i ragazzi
accolti in affido, abbiano bisogno di un supporto psicologico
e abbiano necessità di avere figure di riferimento costanti,
senza dover mostrare ogni volta le loro ferite ad operatori
diversi che si avvicendano nel turn-over organizzativo.
Gli psicologi di riferimento del minore dovrebbero prestare
attenzione anche al racconto della famiglia affidataria per
non avere dei ragazzi solo una visione parziale. I setting
psicologici, a volte, sono chiusi e rigidi e non prendono in
considerazione le dinamiche relazionali dentro la famiglia. Tra
l’altro non sempre vengono effettuate delle restituzioni alla
famiglia affidataria, col rischio di creare vuoti comunicativi
nella realizzazione progetto.
Operatori e famiglie ritengono importante che il supporto
pedagogico e/o psicologico venga offerto a tutti i componenti
della famiglia affidataria, compresi i figli naturali che spesso
sono determinanti nell’andamento dell’affido per le naturali
35
e fisiologiche competizioni sia con i ragazzi affidati, sia con
i propri genitori.
Le famiglie ritengono auspicabile il sostegno psicologico a
prescindere da forti criticità e lo ritengono indispensabile
quando queste si manifestano. Pongono inoltre l’accento
sul supporto pedagogico di cui individuano sia gli aspetti di
successo, sia le buone pratiche.
Il supporto pedagogico alle famiglie affidatarie è fondamentale
e deve sempre essere presente perché la famiglia, nel suo
complesso (genitori e figli), quando si apre all’accoglienza ha
bisogno di sostegno. Non è tanto possibile discriminare a chi
serve, perché un elemento di “perturbazione” come quello che
introduce l’accoglienza, scuote tutto il sistema (il bambino o
il ragazzo accolto, la coppia genitoriale, i figli naturali).
Il supporto pedagogico ed educativo è importante “…Poiché
è necessario avere cadenze regolari, anche quando pare non
ce ne sia necessità…”.
“…L’educatore può intervenire sia con i bambini accolti,
sia con i nostri figli naturali, che spesso vanno in crisi...
Noi genitori non sempre siamo preparati ad affrontare le
difficoltà in cui si trovano i nostri figli, i comportamenti che
ci sembrano immotivati e contrari ai valori che abbiamo
cercato di trasmettere loro”.
Le famiglie hanno bisogno di tempi di sospensione
dell’azione, per fermarsi a riflettere e a capire in che
direzione si sta andando, anche se al momento sembrano non
esserci difficoltà poiché, quando si presenta il problema o vi
è una situazione di affaticamento, l’intervento deve essere
tempestivo. I momenti di bisogno non sempre rispondono alla
calendarizzazione degli incontri (es. una volta al mese).
36
Gli operatori evidenziano che può essere effettuato un
intervento educativo e formativo nei confronti dei figli naturali
rispetto alla tolleranza e all’ambivalente collaborazione con
l’affidato. La capacità di contenere e gestire i sentimenti
di gelosia nei confronti del nuovo ragazzo in affido è una
competenza fondamentale per il buon andamento del
progetto.
Le famiglie rispetto ai nodi critici e agli elementi di attenzione
che devono caratterizzare questa forma di aiuto sottolineano:
“…E’ necessario avere anche dei sostegni diretti per i
figli naturali cui spesso devono provvedere in solitudine i
genitori”.
Note d’attenzione delle famiglie riguardo alle prestazioni
e ai tempi
Le famiglie affidatarie sottolineano sempre più spesso il
loro ruolo all’interno del progetto dell’affido.
Alcune considerazioni sulle competenze necessarie per fare
una buona accoglienza fanno emergere che:
Øl’importanza del ruolo specifico della famiglia è quello
affettivo, è la capacità di educare attraverso gli affetti.
Questa specificità è quella che le differenzia anche dalle
Comunità: le famiglie garantiscono presenze affettive
stabili e continuative!;
Øla specificità della famiglia è il suo fare ed essere famiglia
e mostrare il suo essere tale, attraverso i ruoli che sono
agiti al suo interno: materni, paterni, filiali. Ciò implica
mettersi a disposizione delle relazioni quotidiane, degli
stili educativi che le sono propri, delle parti accoglienti
e di quelle normative.
Dentro questa normalità, le famiglie che si avvicinano
37
all’affido vengono però chiamate anche ad una
“straordinarietà”; il fatto che i bambini accolti abbiano
storie familiari difficili mette le famiglie accoglienti di fronte a
delle difficoltà: si deve essere disponibili ad:imparare quello
che non si sa ancora, perché non è sufficiente l’esperienza
acquisita educando i propri figli.
Dapprima vi è la necessità della consapevolezza dei propri
stili educativi, delle dinamiche che si agiscono in famiglia,
della capacità di cogliere la differenziazione dei ruoli, del
sapere cosa si è in grado di offrire.
Poi sussiste la necessità della formazione, dell’elaborazione
continua dell’esperienza in corso, la necessità di supporti
pedagogici, psicologici, e, in alcuni momenti, anche di aiuti
che permettano di stare dentro la quotidianità fatta di ritmi,
di riti, di modi di stare insieme.
Sono necessari rassicurazioni e appoggi che non facciano
vivere in affanno la quotidianità, fatta di impegni, di
appuntamenti, di lavoro dentro cui tutti siamo immersi, così
come non vanno sottovalutate le difficoltà educative che le
famiglie incontrano e che siano trattate e accompagnate
affinché evolvano .
Le famiglie mettono a disposizione la loro gratuità, ma
rispondono ad un bisogno sociale e questo va riconosciuto
in senso pubblico con tutti i supporti e gli strumenti di cui
possono aver bisogno.
I sostegni vanno previsti tutti, a 360 gradi, perché le
famiglie hanno bisogno di aiuto e di sostegno, anche
indipendentemente dall’accoglienza.
Le famiglie affidatarie chiedono che il loro ruolo, che nasce
da una scelta valoriale, sia riconosciuto e compartecipato.
Le famiglie vivono la straordinarietà di chi fa una scelta non
facile, dentro un contesto che non la coglie come possibile e
38
praticabile per tutti.
A partire da una volontà che affonda le sue radici nei valori
che sostengono il fare famiglia, credono che tutti i bambini e
le bambine abbiano diritto alla giustizia e all’equità.
Per questo mettono a disposizione la loro genitorialità:
credono fermamente che ci sia la possibilità e la responsabilità
di assumere un ruolo attivo a livello sociale; credono che
il problema di un bambino o di una bambina in difficoltà
sia anche un loro problema, in quanto si sentono parte di
un contesto allargato, come individui, come famiglie, come
cittadini. Per questo chiedono un riconoscimento sociale.
Non vogliono essere considerate solo famiglie di buon cuore,
che si prendono cura di … dentro una spinta generosa, ma
individuale. Vorrebbero accanto le istituzioni e le altre
agenzie educative (i Comuni come le Scuole, gli Oratori
come le Società sportive…) per sostenere e partecipare alla
visione della solidarietà e dell’accoglienza come pratica
della qualità della convivenza, come impegno condiviso con
e per le generazioni future, come realizzazione delle politiche
di inclusione.
la conclusione dell’affido
Le fasi della conclusione dell’affido
Delicata è anche la conclusione del percorso affidatario. E’
bene prepararlo e tematizzarlo per tempo, per consentire una
buona risignificazione dell’esperienza vissuta sia da parte
degli affidatari che del minore. Il processo di separazione va
preparato sin dal primo giorno dell’affido, al fine di consentire
39
la rappresentazione di un’esperienza di transizione da parte
di tutti.
Spesso questo lavoro va fatto in passaggi che si prolungano
nel tempo e che inducono comprensibilmente la famiglia
affidataria a pensarsi sostitutiva a quella di origine, per cui
l’accompagnamento alla conclusione dell’affido va offerto
possibilmente sia sul piano psicologico, sia sul piano
pedagogico e sociale.
Quando la chiusura di un affido diventa impellente e
si verificano urgenze tali che lo rendono necessario in
tempi brevi e brevissimi, è bene intensificare il lavoro di
rielaborazione del processo di separazione. Una buona
separazione consente la salvaguardia del buon attaccamento
sviluppato, di percepirsi “buoni oggetti relazionali”, sia come
affidatari , sia come bambini o adolescenti.
Altro accompagnamento importante è quello che va fatto
quando ad alcune famiglie è chiesto un affido sine die o di
trasformarsi in famiglia adottiva, attraverso la cosiddetta
adozione mite, e, in tal caso, diventano necessari percorsi di
rielaborazione per i ragazzi e per i genitori affidatari.
Le famiglie ribadiscono, soprattutto nella fase di conclusione
dell’affido e nei tempi immediatamente successivi, che:
“..E’ importante essere accompagnati e seguiti
psicologicamente per non vivere tutto in solitudine.
L’affido è un gioco di relazioni e il distacco non è
“sopportato”, “subito”, affrontato solo dal minore accolto,
ma sta dentro il gioco di relazioni che si sono instaurate
nella famiglia”.
Gli operatori pensano sia necessario prefigurare un sostegno
anche per i minori che si fermano in famiglia dopo i 18 anni
d’età o per il prosieguo amministrativo. Esiste la necessità
40
di lavorare anche con gli amministratori per dare continuità
al progetto e per non rischiare di vanificare gli interventi e i
relativi investimenti effettuati.
Alcuni strumenti, in alternativa al rimborso spese assegnato
per l’affido, possono essere le borse di studio, le borse lavoro,
l’individuazione di capitoli di spesa per i giovani adulti, la
continuità del sostegno psicologico e sociale.
La continuazione del rapporto a distanza è una
preoccupazione che anche le famiglie affidatarie condividono
e sottolineano:
“Anche quando “lasciano andare” gli affidati, perché
diventati maggiorenni, si preoccupano, temono per il loro
futuro, sanno che nemmeno i loro figli a 18 anni sarebbero
strumentati per essere autonomi”.
Lavorare per la costituzione di un fondo sociale dei Comuni
a favore dei minori costituisce - e ha costituito nei territori
già operanti in questo modo - una grossa opportunità per
riuscire a far fronte alle necessità progettuali ed economiche
richieste dagli interventi di allontanamento dei minori.
41
42
L’INTERVENTO CON LA FAMIGLIA
D’ORIGINE NEL PROGETTO DI
AFFIDO.
CONSIDERAZIONI E IPOTESI DI
LAVORO
Documento dei gruppi di formazione
“Reti familiari e Servizi affido”
e “Famiglie affidatarie”
a cura dei Gruppi di Formazione
e di Silvio Marchetti
Progetto “Reti familiari, affidi, famiglie risorsa”
luglio 2007
Provincia di Bergamo - Settore Politiche Sociali
43
44
introduzione
Legami per crescere tra famiglie naturali,
affidatarie e istituzionali
a cura di Silvio Marchetti
I gruppi degli operatori dell’affido e delle famiglie affidatarie
- dopo aver lavorato con soddisfazione al documento
sull’accompagnamento della famiglia affidataria - hanno
avvertito la necessità di confrontarsi e approfondire il tema
dell’intervento con la famiglia naturale del bambino in
affido.
“Il minore ha il diritto di crescere ed essere educato
nell’ambito della propria famiglia” recita l’articolo 1 della
legge n. 149/2001 sull’affido.
Le famiglie affidatarie e gli operatori avvertono quanto
sia importante per il bambino potersi pacificare con la sua
famiglia di origine e non sentirla antagonista della famiglia
affidataria.
Le famiglie affidatarie sanno che la legge prevede la
temporaneità del loro supporto educativo e affettivo ma spesso,
in realtà, si chiede loro un’accoglienza talmente prolungata
che sperimentano sentimenti ambivalenti. Accanto al senso di
colpa derivato dal “portare via” il bambino alla sua famiglia,
strutturano una profonda genitorialità. Accanto al bisogno di
tutelare il bambino dalle inconsapevoli inadeguatezze della
famiglia di origine, sperimentano il timore che questi perda
definitivamente i suoi genitori e la sua appartenenza.
45
Il documento, predisposto in modo congiunto da famiglie
e operatori, allora, vuole essere il tentativo di elaborare
alcune riflessioni sull’importanza di costruire sempre un
progetto sociale ed educativo per la famiglia di origine
congiuntamente a quello rivolto al bambino.
Il bambino ha il diritto di ritrovare qualcosa di buono nella
sua famiglia, ha il diritto di non sentirsi diviso emotivamente
tra le due famiglie, ha il bisogno di poter appartenere in modi
diversi alle stesse e di trovare un senso e una continuità nella
“staffetta educativa” tra gli adulti che lo circondano.
Le difficoltà che le famiglie affidatarie e gli operatori
“attraversano” nel prendersi cura di questi bambini e di
queste famiglie, li hanno sospinti verso la ricerca congiunta
di alcune piste di lavoro con la famiglia di origine, che hanno
voluto raccontare in questo documento.
Lo sforzo compiuto è stato quello di provare a mettersi nei
panni di tutti gli attori dell’affido, tentando di dare voce ai
sentimenti, ai bisogni, alle richieste di ciascuno.
Le famiglie affidatarie si sono immaginate nei panni della
famiglia di origine, del bambino, degli operatori. Gli operatori
hanno provato a vestire i panni del bambino, della famiglia
affidataria, della famiglia di origine. Sono risultati spesso
“panni stretti”, poco confortevoli, scomodi, ma che hanno
provocato nuove suggestioni, amplificato la comprensione
dei problemi, la consapevolezza dei bisogni, la ricerca di
buone risorse e buone prassi possedute ed attivate da ciascuno
degli interlocutori.
Destinatari di queste riflessioni sono le famiglie, gli operatori,
gli amministratori, la comunità degli adulti disponibili a fare
spazio e a dare risposte alle fatiche dei bambini. Il documento
si rivolge a tutti gli Adulti che hanno il mandato, il compito,
il piacere di essere buoni compagni di viaggio dei bambini e
delle famiglie fragili che, se ascoltate, hanno da regalare e
46
restituire a tutti il senso profondo del bisogno di legami tra
le persone e tra le famiglie di questo pezzo di terra che ci è
affidato.
47
il rapporto tra gli operatori del servizio sociale, del
servizio affido e della rete familiare
considerazioni
La scarsa presenza di protocolli operativi e di formazione
alla coprogettualità
Ad oggi, nel territorio provinciale la gestione degli affidi
vede attivati in generale i servizi affidi e le reti famigliari
che si occupano prevalentemente della famiglia affidataria,
mentre le équipe socio-sanitarie dei punti erogativi del
servizio sociale si occupano prevalentemente della famiglia
d’origine.
Questa separazione funzionale nella gestione degli affidi
richiede un efficiente comunicazione e dialogo tra le équipe,
anche per contenere alcune fatiche degli operatori dell’affido
nel rapportarsi con gli operatori della famiglia naturale e
viceversa.
L’affido quale intervento d’emergenza
Gli interventi d’affido si realizzano talvolta sulla base
dell’emergenza, senza poter effettuare un’adeguata
valutazione del bisogno e delle precondizioni dell’affido,
mettendo a forte repentaglio l’appropriatezza e la riuscita
dell’intervento.
48
La tempestività nelle comunicazioni
I tempi dell’interlocuzione tra operatori, a volte, sono troppo
rallentati rispetto alla necessaria tempestività comunicativa
che è richiesta nel lavoro con la famiglia affidataria.
L’idoneità del minore all’affido
Accade che l’affido venga avviato senza aver effettuato
una specifica valutazione pedagogica e psicologica della
situazione del minore rispetto alla sua idoneità all’affido,
cioè alla sua capacità o possibilità di allontanarsi dal proprio
nucleo familiare, di potersi fidare e affidare ad altre figure
genitoriali e di reggere il confronto tra le due esperienze.
ipotesi di lavoro
I buoni protocolli
Al fine di attivare, gestire un buon progetto socio-educativo
e garantire una proficua intesa nell’accompagnamento
dell’esperienza sono necessari buone prassi e protocolli
operativi tra i diversi soggetti coinvolti nell’affido.
In ogni Ambito Territoriale sarebbe auspicabile che venissero
concordate le prassi operative anche attraverso protocolli
d’intesa tra il servizio sociale di base, il servizio affidi, là
dove esiste, la rete di famiglie e le famiglie affidatarie.
A livello di territorio si evidenzia inoltre la necessità di una
formazione permanente degli operatori che si occupano della
famiglia d’origine e di quella affidataria da prevedersi nell’
49
organizzazione dell’attività del servizio sociale.
In particolare risultano indispensabili il sostegno e
l’accompagnamento ai nuovi operatori da realizzare anche
attraverso qualificati interventi di supervisione.
La gestione di un affido richiede professionalità e che sia
assicurata continuità e stabilità del personale coinvolto. Per
lavorare con le famiglie bisogna poter costruire un rapporto
fiduciario adeguato che l’eccessivo turn-over degli operatori
mette ogni volta in discussione.
Un’accoglienza ben progettata
Gli affidi richiedono un progetto articolato a partire da
un’ accoglienza ben progettata. L’affido non può essere
avviato sulla base dell’emergenza . Meglio pensare ad un
intervento di pronta accoglienza in comunità o con famiglie
specializzate nel pronto intervento anche se, in questo caso,
rimane il problema di una seconda separazione.
Il collocamento di pronto intervento in famiglia implica
la costruzione di un accordo chiaro, perché l’accoglienza
temporanea non si trasformi in affido creando disorientamento
al minore e alla famiglia stessa.
Quando viene attivato un intervento di affido è sempre
importante predisporre un progetto sociale nel quale l’affido
rappresenta uno degli interventi del progetto che ha come
protagonista la famiglia naturale.
E’ di fondamentale importanza il progetto complessivo
relativo alla famiglia d’origine e al minore poiché, a volte,
l’affido viene interpretato esclusivamente come intervento di
protezione del minore.
E’ necessario pensare all’affido come intervento preventivo
oltrechè riparativo, o come l’ “ultima spiaggia”.
50
Oltre il riparo
E’ importante “mettere al riparo” il bambino perché possa
rientrare nella sua famiglia, ma il rischio è che l’intervento
con la famiglia naturale diventi un intervento eccezionale.
I processi di comunicazione
Nella gestione dell’affido sono fondamentali i processi di
comunicazione. Serve una buona progettualità per lavorare
sulle migliori interlocuzioni possibili tra famiglia d’origine e
affidataria, che spesso avvengono con periodicità settimanale,
se non quotidiana.
• La comunicazione tra gli operatori dell’affido e gli
operatori della famiglia d’origine deve avvenire con
regolarità e, se necessario, con tempestività.
• È necessaria la trasparenza del contesto - circolazione
delle informazioni - senza evocare il segreto professionale
tra operatori che lavorano sul medesimo progetto. La
trasparenza aiuta a gestire le situazioni problematiche e
a prevenire l’alleanza con l’uno o con l’altro genitore.
Si rileva ancora la fatica a costruire reti sinergiche tra servizi
specialistici, servizi di base, servizi affidi e reti famigliari.
51
L’ idoneità del minore all’affido
Le informazioni sul bambino devono essere le più articolate
possibili, in particolare riguardo all’idoneità all’affido, alla
sua modalità relazionale e alle possibilità d’attaccamento. La
valutazione dei suoi disagi psichici e fisici è fondamentale
per potersi prendere cura di lui.
52
il rapporto tra il servizio sociale e la famiglia
affidataria
considerazioni
Un patto credibile tra le parti
La famiglia affidataria s’interroga spesso su quale sia il
lavoro che si sta conducendo con la famiglia naturale perché
interpreta se stessa, famiglia affidataria, quale strumento
dei vari interventi sociali e educativi prescritti dalla legge a
favore del minore e della sua famiglia.
Tra l’altro l’efficienza di un servizio sociale nei confronti
della famiglia affidataria e degli altri partner è valutata anche
per la capacità di attivare, accanto all’intervento d’affido,
un percorso sociale e pedagogico che coinvolga la famiglia
naturale.
Le informazioni sulla famiglia d’origine
L’ingaggio della famiglia affidataria deve essere il più chiaro
e obiettivo possibile rispetto alla situazione della famiglia
d’origine.
E’ bene chiedersi: “Di quali informazioni gli affidatari
dispongono e di quali dovrebbero disporre?”.
Uno dei punti fondamentali, affermano le famiglie, è la
conoscenza della famiglia d’origine che dovrebbe essere di
competenza dei servizi sociali, quale parte del progetto che
ricomprende anche la famiglia affidataria.
Talvolta però ruoli e informazioni non sono così definiti:
53
spesso la famiglia affidataria scopre fragilità o problemi
dell’altra famiglia di cui gli operatori non sono a conoscenza,
e deve almeno provare a gestire tali elementi con estrema
cautela e sensibilità.
I progetti inoltre contengono spesso indicazioni prescrittive
degli operatori finalizzate a tenere separate le due famiglie
ma, se non si prefigura una qualche forma di vicinanza
non è possibile nemmeno intervenire o darsi spiegazioni
di eventuali comportamenti problematici e sofferenze del
bambino.
E’ altresì vero che possono esserci differenze culturali che
impediscono la collaborazione tra le due famiglie perché
sono diversi gli stili educativi e i modi di proporre le
situazioni di vita. Comunque si osserva che, quando si riesce
a coinvolgere la famiglia naturale nelle decisioni importanti
che riguardano il figlio, questa non vive la famiglia affidataria
come antagonista e questo fatto migliora le possibilità di
incontro.
Ancora, dentro gli eventi, spesso si snodano percorsi e
cambiamenti a volte inattesi.
Oppure in molte situazioni sembra non sia possibile delineare
un progetto e ci si trova costretti a seguire l’andamento
degli eventi per come si propongono, per poi tentare
successivamente di governarli, ordinarli, inserirli dentro un
quadro di contesto e di senso rispetto alla permanenza dei
bambini nelle famiglie affidatarie.
54
ipotesi di lavoro
Accorgimenti specifici nel coinvolgimento della famiglia
affidataria nella rete dei servizi
• Gli operatori sociali dovrebbero poter effettuare un
monitoraggio molto accurato della situazione della
famiglia naturale e curare adeguatamente le relazioni con
gli affidatari. Questi ultimi vorrebbero sentirsi affiancati
dagli operatori per la realizzazione del progetto che
riguarda sia il bambino che la sua famiglia (presidio
della titolarità). Si acquista affidabilità, quando si riesce
ad “esserci”; se c’è il vuoto, può più facilmente essere
occupato lo spazio che è invece di competenza degli
operatori psicosociali.
• Le informazioni sulla famiglia d’origine fornite alla
famiglia affidataria non sono finalizzate a “entrare nei
dettagli” senza scopo, non violano la privacy, ma servono
per conoscere e comprendere le scelte progettuali, sono
utili alla famiglia affidataria per offrire rimandi coerenti
al bambino.
• Gli operatori del servizio sociale possono chiedere
alla famiglia affidataria informazioni, cercando però di
declinare e commisurare la “lettura interpretativa” alla
gestione pedagogica del caso.
Lo scambio d’informazioni sulla famiglia d’origine tra
gli operatori e la famiglia affidataria è più diffuso in
relazione alle competenze genitoriali
Gli operatori, dopo un’adeguata valutazione, dovrebbero
informare le famiglie affidatarie rispetto a situazioni dove
55
si ravvisano difficoltà circa il cambiamento delle relazioni
e delle capacità genitoriali delle famiglie naturali. Esse, a
volte, sembrano disporre infatti di poche risorse e possibilità
per ri-assumersi alcune competenze educative e di cura verso
i figli.
In tal senso, è bene supportare la famiglia affidataria nella
capacità di cogliere e valorizzare i sia pur minimi cambiamenti
delle competenze genitoriali manifestati dai membri della
famiglia naturale.
La famiglia affidataria a volte si esprime con pregiudizio sul
lavoro “non fatto” dal servizio sociale, che è così valutato anche
per il punto di vista peculiare da cui questa guarda, orientato
prevalentemente al bambino. E’ necessario pertanto assicurare
momenti d’informazione e conoscenza dell’intervento svolto
dal servizio sociale a favore delle famiglie d’origine dei
bambini affidati, sapendo ridimensionare e mettere a sistema
le aspettative delle famiglie accoglienti, a volte idealizzate,
orientate alla “cura e guarigione” dell’altra famiglia.
56
il progetto sociale rivolto alla famiglia d’origine:
quali attese di recuperabilità dei padri e delle madri
considerazioni
Secondo le famiglie affidatarie, le famiglie multiproblematiche
fanno spesso riferimento a servizi diversi che si interessano e
intervengono solo su una parte del problema: sembra mancare
la regia che ricomponga la situazione nella sua interezza.
Nelle famiglie fragili, esse osservano, la parte critica del
sistema è costituita spesso dai papà i quali sono sempre
più deboli dentro un sistema già vulnerabile. La famiglia è
sostenuta invece dalle mamme ed è a loro che, quando la
famiglia è in difficoltà, sono fatte richieste d’adeguatezza.
I padri, più fragili, sono dati per “spacciati” e, in virtù delle
loro difficoltà, non sono nemmeno chiamati in causa.
Sembra mancare il lavoro educativo con le famiglie d’origine
che non è compito delle famiglie affidatarie, perchè spesso
scattano sentimenti di difficoltà reciproca e competizione.
Per tutte le famiglie d’origine dovrebbe esistere la possibilità
di essere accompagnate dentro un percorso di riappropriazione
di alcuni compiti genitoriali, anche relativamente ad aspetti
semplici e concreti.
“La valutazione della recuperabilità della famiglia
multiproblematica in molti territori non sembra ancora
divenuta una prassi”.
Dopo la necessaria protezione offerta al bambino con l’affido,
il rischio è quello di non riuscire o non volere del tutto
occuparsi delle condizioni per il buon andamento dell’affido,
della recuperabilità della famiglia naturale, del percorso di
rientro del bambino in famiglia.
57
Anche gli operatori ritengono importante divenire consapevoli
delle proprie rappresentazioni sulla famiglia naturale.
E’ vero che, a volte, le famiglie tendono a nascondere i
problemi per sottrarsi al giudizio degli operatori.
Altre volte sono gli operatori che rischiano di rilevare
soprattutto i limiti e i rischi e poco le competenze residue di
genitorialità.
Altra criticità è costituita dalla difficoltà di definire per
ciascuna situazione le precondizioni per un rientro in famiglia
del minore.
In un percorso d’affido alcuni nodi critici nel lavoro
con le famiglie multiproblematiche sembrano quindi
prevalentemente costituiti da:
• assenza dell’alleanza di lavoro tra famiglia naturale e
operatore;
• coesistenza tra contesto di controllo (giudiziario) e
contesto di cura (psico-sociale) che genera l’ambivalenza
delle famiglie problematiche nei rapporti con i servizi:
“Vi chiedo aiuto, ma vi temo”. Anche gli operatori
possono essere ambivalenti verso le situazioni: a volte
questi utenti fanno arrabbiare, fanno sentire impotenti e
inducono sentimenti di fallimento;
• gravità e varietà dei problemi del nucleo famigliare non
sempre conosciuti nell’immediato: una buona diagnosi
dei disagi e delle cause che li sottendono è formulabile
solo dopo l’attivazione di alcuni interventi;
• insufficiente competenza rielaborativa della famiglia
d’origine sul senso e sulle motivazioni che hanno
portato ad un progetto d’affido, in particolare quando
l’allontanamento è attivato in una situazione d’emergenza
o di scarsa conoscenza della situazione familiare e
individuale.
58
Le riorganizzazioni familiari conseguenti all’allontanamento
a volte si strutturano a partire da modalità difensive di
risposta, che possono rendere più difficoltoso il percorso
affidatario.
L’allontanamento modifica anche le dinamiche familiari della
famiglia d’origine dalla quale è stato allontanato un figlio.
Alcune dinamiche che si possono individuare sono:
• i sentimenti di colpa auto-diretti o etero-diretti, anche
verso il bambino che ha tradito il patto familiare;
• la vittimizzazione: “Siamo delle vittime, ce l’hanno con
noi, con la nostra famiglia…”;
• il ricompattamento del nucleo: il persecutore comune
motiva una nuova alleanza;
• la fuga fisica o il sottrarsi al confronto: ad esempio è
ritenuto inutile presentarsi alle convocazioni del servizio
sociale e del Tribunale;
• la sostituzione del bambino allontanato con un nuovo
figlio o altri interessi: non è infrequente una nuova
gravidanza che sostituisce il figlio allontanato;
• la riorganizzazione escludente: il bambino allontanato
non ha più posto in questa riorganizzazione familiare:
“Se sceglie l’altra famiglia per noi non esiste più…”. Il
bambino in questa riorganizzazione rischia di non avere
più un posto.
59
ipotesi di lavoro
Gli operatori ritengono importante poter effettuare
un’adeguata valutazione delle capacità genitoriali per
elaborare un possibile piano di recupero.
Si tratta di individuare le risorse della famiglia per poterle
supportare e incrementare, di valorizzare i fattori positivi che
è possibile individuare e cambiare la prospettiva del lavoro:
non si spinge la famiglia d’origine a diventare consapevole
dei propri problemi prima di procedere con gli interventi ma
lo si fa successivamente, a partire dall’esperienza che si apre
ad un cambiamento possibile.
Fondamentale è il lavoro di preparazione all’affido della
famiglia naturale, fondato su un processo d’aiuto e non
punitivo a fronte dell’inadeguatezza rilevata. In tal senso
è fondamentale concepire l’affido quale elemento della
costruzione di una relazione all’aiuto.
Le esperienze degli operatori suggeriscono di lavorare
sulla motivazione al trattamento, centrato sul legame con il
figlio e sui suoi bisogni per evitare il rischio di diventare gli
operatori dei soli genitori e di realizzare affidi costruiti sui
bisogni degli adulti, non su quelli dei bambini.
La deriva opposta conduce a trasformarsi negli operatori dei
bambini, trascurando il sistema familiare.
Sarebbe auspicabile che, prima dell’affido, venisse proposto
ed effettuato un percorso di sostegno e d’aiuto alla famiglia.
Sembra contare molto, ad esempio, il rapporto di sufficiente
fiducia tra la famiglia e l’assistente sociale.
Laddove debba subentrare un nuovo operatore, ad esempio
quello del servizio affidi, andrebbe costruito il necessario
rapporto di fiducia con la famiglia per stabilire un minimo
60
legame che sappia coniugare aiuto alla famiglia e tutela
del minore. Il legame, il patto con l’operatore sociale, è
fortemente determinato dall’andamento della variabile aiutocontrollo del periodo precedente.
Il tempo che precede l’intervento dell’affido è utile per la
conoscenza, possibilmente approfondita, della famiglia a
livello clinico, relazionale, genitoriale, sociale e prefigurare
la capacità di questa di tollerare che il proprio figlio venga
allontanato.
La casistica e la letteratura sull’affido pongono l’accento
sull’importanza delle precondizioni dell’intervento di affido.
La necessità, come già detto precedentemente, è quella di
non rispondere sempre in termini emergenziali, ma di riuscire
a sviluppare interventi preparatori all’allontanamento e
all’intervento d’affido.
L’affido, a volte interpretato come buono in sé, come il male
minore, la “medicina” meno devastante della cura, rischia di
dimenticare le “controindicazioni” corrispondenti.
Ad esempio: il bambino è in grado di tollerare un’eventuale
contrarietà dei genitori all’affido? L’affido come ambiente
emotivamente ricco sarà tollerato da un bimbo che in
questo momento necessita di una vicinanza affettiva meno
intensa?…
La valutazione delle capacità genitoriali richiede l’intervento
dello psicologo integrato dagli interventi dell’assistente
sociale e dell’educatore.
La presenza di famiglie straniere nel territorio e in carico
ai servizi rappresenta una variabile nuova che complessifica
anche la valutazione delle capacità genitoriali.
Il contesto multiculturale sta richiedendo la capacità di
riadattare parametri di riferimento culturale sviluppati nel
61
contesto italiano per poterli utilizzare con i bambini stranieri.
Ad oggi si conosce poco l’operatività dei Servizi Affidi e
delle Reti familiari su questi temi.
A tale riguardo sarebbe utile un confronto tra gli operatori
degli Ambiti Territoriali, dell’ASL e delle Reti familiari sugli
interventi di valutazione delle capacità genitoriali attuati
così da dare forma ad un approfondimento, che preveda
il coinvolgimento del Tribunale per i Minorenni e che sia
finalizzato alla definizione di un orientamento condiviso
riguardo alla predisposizione della relazione da inviare al
Tribunale.
Tra l’altro, pare aumentata ultimamente la richiesta del
Tribunale ai servizi sociali, attraverso i decreti, di relazioni
di valutazione delle capacità genitoriali, forse motivata
dall’orientamento al tema della recuperabilità delle famiglie
d’origine.
Nel gruppo di formazione, dal confronto tra gli operatori
riguardo alle modalità d’intervento per effettuare la
valutazione delle capacità genitoriali, si rilevano alcune
modalità strutturate che prevedono:
• il colloquio di assistente sociale e psicologo con i genitori
per la presentazione del lavoro;
• la raccolta dell’anamnesi familiare e del bambino;
• la somministrazione di test rivolti al bambino;
• l’osservazione della relazione genitori- bambino a casa e
presso il servizio;
• la visita domiciliare dell’assistente sociale;
• gli incontri con altre istituzioni e servizi (Scuola , U.O.
N.P.I. , eventualmente Comunità Alloggio);
• la stesura della relazione;
• la restituzione dei contenuti della relazione ai genitori
prima della trasmissione della stessa al Tribunale.
62
S’incontrano molto spesso situazioni problematiche in
famiglie per le quali è difficile porsi quale obiettivo la
recuperabilità delle competenze genitoriali.
Il tema della recuperabilità richiederebbe uno specifico
approfondimento e un confronto tra gli operatori dei diversi
servizi e organizzazioni del territorio.
Per quanto è dato conoscere, gli interventi relativi alla
“recuperabilità” sono piuttosto complessi, estremamente
differenziati, di esito incerto.
Alcune famiglie, a seguito dell’allontanamento, sviluppano
delle difese che rendono difficile il lavoro di recuperabilità
delle competenze.
Anche gli operatori sviluppano difese che possono condurre
alla “rimozione” della presenza della famiglia naturale.
Ad esempio, nella situazione in cui i genitori si rendono
irreperibili, gli operatori sono portati a pensare che quel
genitore non ci sia più e rischiano di interagire con il bambino
come se il genitore non ci fosse mai stato.
Quali obiettivi minimi o sufficienti si possono individuare
per un lavoro con la famiglia d’origine?
Gli operatori ritengono che sia necessario, a seconda delle
famiglie, individuare gli strumenti e le risorse per poter
lavorare con loro (rientri a casa del bambino e della bambina
affidati, incontri protetti, gruppi di sostegno e auto-mutuoaiuto tra famiglie problematiche, affiancamento di educatori,
comunità diurne, terapie familiari o di coppia…).
E’ importante individuare e sperimentare quali possano essere
le richieste sostenibili per le famiglie d’origine così come
saper narrare il lavoro che si fa con la famiglia d’origine ed i
cambiamenti minimi che la famiglia è riuscita ad introdurre.
63
Il lavoro con la famiglia d’origine ha bisogno di un gruppo
pluridisciplinare di operatori e l’intervento non può limitarsi
a quello effettuato dall’assistente sociale.
Il metodo della coprogettazione è ritenuto indispensabile
dagli operatori per condividere le informazioni utili e
necessarie tra i vari operatori che lavorano sulla stessa
situazione familiare, così come per ridefinire il significato
degli interventi.
L’attenta ricostruzione e la documentazione degli interventi
effettuati evita di dover ricominciare sempre da capo.
Il lavoro indiretto con il minore, il lavoro con la famiglia
affidataria, il lavoro della rete sono strumenti possibili e utili
nell’esperienza di affido.
In particolare vengono segnalati:
• il lavoro d’équipe con l’operatore sociale del Comune
di residenza della famiglia d’origine per la realizzazione
di alcuni interventi quali la ricerca di un’occupazione
lavorativa - anche tramite il NIL - , di un alloggio,
l’assegnazione di un contributo economico, la
concessione di microcrediti,…;
• la collaborazione con i servizi specialistici (Centro
PsicoSociale, Unità di Neuropsichiatria infantile,
Servizio Tossicodipendenze) per progettare e monitorare
la situazione;
• il coinvolgimento di gruppi di volontari che possono
divenire punti di riferimento;
• il coinvolgimento della scuola e di altre agenzie
educative;
• l’offerta di percorsi formativi, in particolare di incontri
di gruppi di famiglie utili per il confronto con altri
genitori.
64
Gli operatori concordano nel sottolineare che ciascuno di
questi interventi a sé stante non funziona.
A volte l’affido “funziona” bene quando la famiglia naturale
riesce, per alcuni aspetti, a fidarsi ed affidarsi, a sua volta,
alla famiglia affidataria del figlio.
Il rientro del minore nella famiglia d’origine presuppone, a
titolo orientativo e sulla base delle esperienze conosciute, un
miglioramento:
• delle capacità dei genitori di relazionarsi con il figlio, di
saperlo proteggere e di offrire le cure necessarie;
• delle capacità di relazionarsi tra adulti;
• della consapevolezza di sé e quindi una maggiore capacità
di vedere in modo realistico la propria situazione.
Si rilevano infine nuove esperienze d’affido che coinvolgono
diversamente la famiglia d’origine :
• l’affido mamma-bambino, piuttosto diffuso nella regione
Emilia Romagna e rivolto a madri giovani o straniere
sole;
• l’affido a domicilio, il bambino resta a casa sua. E’ la
famiglia affidataria che trascorre alcuni tempi a casa
del bambino, cercando di condividere esperienze e di
proporsi per un aiuto e un esempio concreto.
Alcuni accorgimenti sperimentati per gestire i nodi
critici
Il provvedimento del Tribunale per i Minorenni che decreta
l’intervento può rappresentare, se ben utilizzato, “una
sponda”, un riferimento importante per costruire e articolare
il progetto d’affido.
65
Nei territori dove intervengono servizi diversi per seguire gli
affidi, ad esempio nelle fasi di valutazione e trattamento, la
presenza dell’assistente sociale di territorio - del Comune,
dell’Ambito territoriale - per svolgere una funzione di
raccordo può rivelarsi essenziale.
66
la famiglia d’origine e le sue rappresentazioni dell’affido
e degli affidatari
considerazioni
Quali possono essere gli interventi essenziali per sostenere
la famiglia d’origine a “tollerare” l’affido?
Quale potrebbe essere il coinvolgimento della famiglia
d’origine nella costruzione del progetto d’affido prima
dell’avvio? Quali i fantasmi della famiglia d’origine nei
confronti della famiglia affidataria? Chi “tiene a bada” le
fantasie della famiglia d’origine rispetto ad un possibile
definitivo allontanamento o decadenza della potestà?
Al riguardo gli affidatari del gruppo di formazione
affermano:
“E’ molto difficile immaginare come le famiglie d’origine
percepiscano le famiglie affidatarie perché le famiglie
d’origine hanno modi di vivere, di affrontare la vita e di
viverla così diversi dai nostri, che è complicato capire il loro
punto di vista. Spesso le famiglie affidatarie sembrano vissute
come uno strumento del servizio sociale, dell’ente pubblico,
non come un’altra famiglia cui guardare: la diversità
culturale è talvolta così profonda che è improponibile l’essere
percepite come un’altra famiglia a fianco e a supporto di
una difficoltà.
Succede anche che sia “rimosso” il mandato sociale e si
venga percepiti come “i bambinai”, quelli messi lì per loro,
ma non perché c’è una fragilità, un bisogno di cambiamento,
un’inadeguatezza…
67
Talvolta sembra esserci opportunismo, una “situazione di
comodo” di cui si approfitta… anche se viene percepito il
valore di poter contare su un’altra famiglia, diversa dalla
loro, che li supporta.
Lo sguardo con cui si è percepiti dipende anche dalle diverse
caratteristiche delle famiglie d’origine: in quelle dove c’è
un problema psichiatrico, capita spesso che inizialmente
ci sia un atteggiamento diffidente che però, con il tempo,
nonostante le difficoltà dettate dalla malattia, si stempera
perché è riconosciuto il valore del benessere del figlio e
quanto fa per lui la famiglia affidataria.
Dove c’è consapevolezza di un’inadeguatezza, di
un’incapacità è più facile che la famiglia d’origine
riconosca come “buona” la famiglia affidataria. Nei
genitori dove non c’è questa consapevolezza, accade che
non ci sia una “revisione” della propria posizione contraria
e che questa sia mantenuta per tutto il tempo dell’affido e
anche successivamente, fino a che dura l’affido e anche dopo
perdura un atteggiamento di rivendicazione.
La famiglia affidataria viene vissuta in questi casi come
un’antagonista, un nemico…
E’ difficile che la famiglia affidataria venga percepita come
aiuto e risorsa: il fatto che ci sia di mezzo una famiglia
affidataria significa che, dall’altra parte, c’è una famiglia
che non funziona, lo rende evidente e quindi è difficile da
accettare.
Se gli affidi sono consensuali diventa ovvio che le famiglie
d’origine sono maggiormente consenzienti, ma non sempre
da questo deriva un atteggiamento diverso delle famiglie
d’origine…Il loro tentativo è sempre quello di nominare
come se fosse “normale” il rapporto: le mamme affidatarie
vengono chiamate “balie” e le famiglie affidatarie “quelle
che mi tengono il bambino”.
68
Le famiglie d’origine negano le famiglie affidatarie come
“altre famiglie”: al massimo sono degli adulti che si
occupano del loro figlio, ma non che fanno famiglia e offrono
familiarità.
Le famiglie consenzienti perlopiù non osteggiano l’affido, a
volte virano verso l’opportunismo ma, anche nel migliore
dei casi, avere appoggi e aiuti non sembra stimolarle al
cambiamento.
Le famiglie che invece non sono d’accordo con il
provvedimento non ammettono nemmeno di avere una
difficoltà, di aver fatto fare fatica ai propri figli…
Quando c’è consensualità almeno c’è consapevolezza di ciò
che può essere buono per i bambini.
Negli altri casi c’è un limite (emotivo, che ha a che fare con
la storia di questi genitori…) così potente che impedisce
anche di vedere la sofferenza di tutti i componenti del nucleo
familiare.
Anche la consensualità, a volte, non è indicatore di
consapevolezza, ma di altri meccanismi di rappresentazione
degli eventi: ad esempio l’affido sembra offrire e presentarsi
come una sorta di “sollievo” rispetto al doversi occupare
dei bambini e non come intervento di aiuto più “radicale”.
In realtà la “preparazione all’affido” dei bambini e delle
famiglie d’origine sembrerebbe il modo per rendere possibile
l’affido, ma solo a livello tecnico, rispetto a quanto ha a
che fare con gli aspetti giuridico-amministrativi di gestione
dell’affido.
Le famiglie d’origine sembrano vivere spesso una situazione
contraddittoria: gli adulti colgono l’opportunità di occuparsi
solo di se stessi, anche quando riescono a comprendere il
valore che gli viene offerto dalla famiglia affidataria.
La famiglia affidataria sembra così “funzionale” a mantenere
69
inalterato il proprio comportamento problematico, perché
qualcuno si occupa intanto dei figli. Tuttavia, pur dentro
questo sentimento, si colgono a volte altre sfumature: nella
loro semplicità e nel loro limite è possibile cogliere altresì
un impeto desiderante che mostra che “vorrebbero” essere
diversi.
Qualche appiglio perché questi desideri di cambiamento non
vengano “buttati a mare” s’intravede sempre: ma i sistemi
d’aiuto quali sono? Spesso le organizzazioni, le prassi,
dei servizi preposti non permettono di cogliere i segnali in
tempo.
Anche le famiglie affidatarie, rispetto alla fatica che le
famiglie d’origine mostrano e impongono, si “chiudono”
e pensano che non ci sia niente da fare, oppure sono in
qualche modo giudicanti, laddove pensino che ci siano
cose “orribili” che la famiglia d’origine ha agito verso i
bambini. Di conseguenza, la famiglia d’origine si sente
“guardata e valutata, ma non certo sempre benevolmente” e
questo è un dato che viene percepito.
ipotesi di lavoro
Diventa importante fare un lavoro con la famiglia d’origine
perché possa mantenere un sufficiente livello di collaborazione
al progetto d’affido. Va aiutata ad accettare questo supporto
come un’opportunità per il bambino e per sé.
Un altro aiuto va offerto nella direzione di agevolare e
supportare il mantenimento del legame tra figlio e famiglia,
aiutandoli a mantenere un sufficiente esame di realtà.
Per affrontare questa fase di transizione e costruire programmi
che consentano di tenere vivo il legame e migliorare, laddove
70
possibile, le competenze genitoriali si rivelano proficui i
supporti familiari o di gruppo alle famiglie d’origine.
L’affido anziché intervento “punitivo e squalificante” nei
confronti della famiglia dovrebbe pertanto divenire sempre
più uno strumento, un’opportunità, per la riorganizzazione
familiare.
Il rischio che altrimenti si corre è quello di pensare che
l’affido riguardi esclusivamente l’intervento con la famiglia
affidataria: la “variabile” famiglia d’origine viene pensata
come incontrollabile, e quindi come elemento che può
portare “brutto o cattivo tempo”, secondo la “stagione”
dell’affido.
Si rivela sempre più urgente ed indispensabile un lavoro
congiunto con la famiglia d’origine oltre che con il bambino
e la famiglia affidataria: non si può solo confidare nel fatto
che la famiglia “problematica” non disturbi o perturbi le fasi
di svolgimento dell’affido e le relazioni in corso.
Spesso si assiste ad un atteggiamento di delega da parte della
famiglia naturale nei confronti delle famiglia affidataria, in
particolare riguardo a tutti gli aspetti che hanno a che fare
con la crescita del bambino.
Oppure si possono rilevare atteggiamenti rivendicativi della
famiglia naturale su aspetti di “proprietà” del bambino, senza
però che questo la porti a mettersi in relazione col figlio o ad
assumersi funzioni d’accudimento.
L’affido “comunica” alla famiglia naturale la sua
inadeguatezza, ma chiede paradossalmente al genitore di
migliorare le sue capacità genitoriali senza avere il figlio
presso di sé.
Nonostante tutti questi rilievi, ad oggi, putroppo, sembrano
esserci ancora pochi strumenti e poche risorse per fare un
lavoro con le famiglie d’origine.
A volte, in alcune condizioni felici, è la famiglia affidataria
71
che riesce a “lavorare” di più con la famiglia naturale
attraverso l’esempio e la testimonianza.
Questo tipo di rapporto però non sempre può instaurarsi per
difficoltà della famiglia naturale o della famiglia affidataria
nella reciprocità della relazione.
Così si avverte la necessità di individuare altre forme
d’intervento che vadano oltre questa rara e fruttuosa
collaborazione tra famiglie.
L’operatore sociale spesso viene visto dalla famiglia naturale
come colui che l’ha giudicata inadeguata e le ha portato via
il bambino,
E’ paradossale anche per l’operatore che allontana gestire
contemporaneamente la funzione di cura.
La famiglia naturale è spesso combattuta e ambivalente nel
dare la sua consensualità all’affido; anche quando il consenso
viene dichiarato, non può essere dato per scontato: il conflitto
interno circa le ripercussioni emotive derivanti dall’affidare
ad altri il figlio è sempre presente.
L’allontanamento chiede all’operatore di attivare interventi
che si accompagnano e implicano sentimenti di sofferenza
e d’invasività, dispiegati solo dopo aver realizzato una serie
d’altri interventi di minore impatto.
In molti contesti, la diagnosi delle risorse genitoriali sembra
poco sviluppata e si fa molta fatica ad acquisire elementi
conoscitivi fondati sulle competenze genitoriali della
famiglia d’origine.
Si rileva molta diversità nella gestione di affidi consensuali
e di affidi giudiziali: le resistenze della famiglia d’origine in
quest’ultimo caso sono generalmente molto più elevate .
Molte delle energie degli operatori nei confronti della famiglia
d’origine sembrano spese nel lavoro di “manutenzione”
dell’affido, perchè non salti il delicato equilibrio raggiunto.
72
Altre energie vengono spese dagli operatori per effettuare
alcuni interventi con la famiglia naturale: ad esempio per
sostenere l’autonomia lavorativa, abitativa; sembra più
difficile disporre di risorse specifiche da dedicare alla
riabilitazione delle capacità genitoriali.
In alcuni territori le molteplici riorganizzazioni dei servizi
sociali hanno contenuto lo sviluppo articolato dell’intervento
di affido.
Nel frattempo, gli affidi a parenti di bambini e ragazzi
stranieri costituiscono per i servizi una realtà da conoscere
e monitorare.
Gli operatori che attraversano la riorganizzazione dei servizi
rivolti ai minori e alle loro famiglie e, in particolare, i servizi
affidi, sottolineano l’importanza della definizione di ruoli e
funzioni che il progetto di affido richiede.
Quando la famiglia d’origine è multiproblematica diventa
difficile coordinare tra loro i vari servizi; in alcuni casi
si sono riscontrati interventi che hanno coinvolto ben
undici servizi diversi che potenziano il rischio di un’elevata
frammentazione.
Altro problema aperto sono gli affidi a parenti che può far
emergere una conflittualità latente tra le due famiglie.
L’affido a parenti sembra a volte avere la funzione di evitare
il coinvolgimento del Tribunale per i Minorenni, ma presenta
diverse fragilità.
Nell’intervento di affido non sembra essere ancora
ampiamente diffuso lo strumento di un progetto scritto
che riguardi il minore e la sua famiglia così da poter essere
aggiornato, verificato, monitorato, ridefinito.
Introdurre il supporto della documentazione scritta nel lavoro
con la famiglia d’origine si rivela una opportunità oltremodo
significativa che conferisce anche visibilità, maggiore
concretezza al lavoro progettuale e operativo svolto.
73
L’affido dovrebbe poter contare su una maggiore continuità
degli operatori, sul consolidamento di modalità d’intervento
e su alcune necessarie sperimentazioni a fronte dei bisogni
nuovi e complessi delle famiglie multiproblematiche.
Altro rischio è che le difese, legittime, che vengono utilizzate da
parte degli operatori, siano poco consapevoli e poco elaborate,
anche a causa di un debole contenitore organizzativo, il quale
non consente sufficiente protezione ed elaborazione di nuove
strategie di intervento, la cui acquisizione può essere offerta
sia dalle buone prassi che dalla valutazione degli esiti relativi
agli interventi con le famiglie.
E’ necessario poter effettuare un buon lavoro diagnostico
(sociale, educativo, psicologico…) per orientare
l’investimento delle risorse riabilitative e di quelle finalizzate
alla riduzione del danno.
Dovrebbe esserci la possibilità di pensare all’affido non
come “estrema ratio”, ma come intervento preventivo, anche
in alleanza con il Tribunale per i Minorenni.
Gli operatori possono contare oggi su una maggiore cultura
della progettazione rivolta ai minori, ma sembra esserci ancora
molto da fare riguardo alle famiglie multiproblematiche,
anche se la realtà provinciale presenta esperienze nuove e
interessanti al riguardo: comunità diurne, gruppi di automutuo-aiuto, assistenza domiciliare familiare....
Le famiglie affidatarie pongono l’accento sul fatto che:
nel percorso dell’affido dovrebbe trovare posto l’intervento
che si prende cura dei problemi dei genitori che hanno
“subito” l’affido.
Questo intervento sembra possibile quando si è un
“passo indietro” rispetto all’affido, perché quando
c’è l’allontanamento ormai viene decretata la “morte
genitoriale” di questi adulti.
74
Quando c’è l’affido “il danno è fatto” e, anche se quest’ultimo
può essere riparato in modi diversi, si è ormai in fase di
cura: l’affido è a tutela del minore, non della sua famiglia, e
qui si verifica un paradosso perché non si può “salvare” il
bambino se si “sotterra” la sua famiglia.
La possibilità di un rapporto di collaborazione tra famiglia
affidataria e famiglia d’origine che quando esiste dà buoni
frutti, sembra esigere alcune precondizioni: la territorialità e
una famiglia d’origine non “pericolosa” per i suoi bambini.
Per la famiglia affidataria avere un rapporto con la famiglia
d’origine è possibile e perseguibile se l’obiettivo è il
benessere del minore, perché assumersi la responsabilità del
benessere della sua famiglia non è sostenibile.
Una collaborazione tra le due famiglie deve prevedere una
riflessione sui metodi educativi e sui modelli genitoriali: i
“metodi educativi” sbagliati e fuorvianti delle famiglie in
difficoltà producono nei bambini movimenti d’autonomia
in contrasto feroce con quelli promossi grazie alla cura e
all’accompagnamento dei figli delle cosiddette famiglie
“normali”: a volte si rintracciano metodi o impronte
educativo-culturali che i nostri nonni praticavano nel loro
contesto socioculturale e che oggi risultano inappropriati,
come l’eccesso di autorità, l’uso delle punizioni fisiche, la
richiesta di autonomie precoci… Questi elementi vanno
rintracciati come possibilità, per tutti, di ripensare alla
cultura della cura e della protezione a fronte della cultura
della responsabilità e dell’impegno, che altrimenti sembrano
escludersi.
Questa riflessione può far da perno ad una piccola e invisibile
risorsa, ma necessita di un sistema diverso d’intervento
rispetto a quello esistente, necessita di risorse, di attenzioni
e investimenti.
75
76
gli affidatari e la famiglia d’origine
considerazioni
Gli affidatari dispongono di molte informazioni su cosa
sta accadendo nella famiglia naturale sia per i contatti in
concomitanza dei rientri in famiglia, sia per i racconti dei
bambini e dei ragazzi a loro affidati.
La famiglia affidataria ha una relazione intensa con il
bambino e il ragazzo e può osservare ciò che da lui traspare
della sua cultura familiare. A volte osserva l’interazione
diretta del bambino con la sua famiglia d’origine e per tale
motivo spesso gli affidatari hanno informazioni prima ancora
degli operatori.
È necessario che queste vengano raccolte dagli operatori ed
eventualmente utilizzate per la costruzione del progetto con
il minore e la sua famiglia.
Gli affidatari vanno aiutati a superare la percezione di
sentirsi dei “delatori” quando riferiscono tali informazioni
agli operatori sociali ed a rappresentarsi, invece, nel ruolo di
co-costruttori del progetto.
Non sempre gli affidatari sanno individuare ciò che è
importante comunicare con tempestività, anche perché
talvolta temono di compromettere ulteriormente la situazione
della famiglia d’origine.
In altri casi, le informazioni non vengono riferite perché non
se ne percepisce l’importanza.
Nel caso di affidi di fratelli, ad esempio, succede che le
diverse famiglie affidatarie si scambino informazioni tra loro
e l’effetto “saturante” di questa comunicazione può attribuire
una minore importanza ai contatti con gli operatori sociali
che stanno seguendo la situazione.
77
Altra criticità è determinata dalla modalità con la quale
vengono trattate le informazioni tra famiglia affidataria e
operatore sociale: è necessario un buon rapporto fiduciario per
restituire la percezione che le informazioni siano finalizzate
alla buona costruzione del percorso.
Le informazioni delle famiglie inoltre possono essere
integrate e correlate con quelle ricevute, ad esempio, dal
pediatra o dalla scuola.
Tra le criticità è da annotare, oltre a quelle già citate, la
difficoltà per le famiglie affidatarie ad ottenere informazioni
su come stia proseguendo il progetto sociale e riabilitativo
della famiglia d’origine dei bambini e ragazzi da loro
accolti.
ipotesi di lavoro
La gestione delle relazioni
Il rapporto tra famiglia affidataria e famiglia naturale va
accompagnato e supervisionato dagli operatori sociali. È
importante che la relazione tra le due famiglie divenga
oggetto di comunicazione e di continua rielaborazione.
E’ fondamentale per gli operatori saper lavorare sulle
rappresentazioni che la famiglia affidataria ha della famiglia
d’origine.
La famiglia affidataria va aiutata a tollerare alcuni agiti e
attacchi difensivi della famiglia d’origine, che rivendica la
propria genitorialità e mostra fatica ad accettare che il proprio
figlio manifesti attaccamento ad un altro nucleo.
Il coinvolgimento della famiglia affidataria nel lavoro con
la famiglia d’origine richiede agli operatori delle attenzioni
78
specifiche nel linguaggio, nei tempi, nei modi, poiché è in
gioco la capacità di avvalersi della collaborazione di persone
non professioniste che hanno il ruolo delicato di prendersi
cura del bambino.
La stipula del contratto, la verifica del percorso e la
ridefinizione del contratto
In particolare, nelle situazioni d’affido consensuale è
fondamentale curare la stipula di un contratto tra famiglia
affidataria e naturale. Riuscire a condividere la storia del
ragazzo, i suoi interessi, i suoi gusti, i suoi bisogni, le sue
aspirazioni può aiutare a co-costruire il progetto educativo e
a percepirsi parti che cooperano allo sviluppo del bambino,
anziché parti che competono e si contendono la funzione
genitoriale.
Sono necessari percorsi di verifica all’interno dei quali diventa
importante consentire alle due famiglie di condividere i passi
ed i cambiamenti sviluppati, valorizzando quelli positivi,
ridefinendo tempi e modi per gli obiettivi da raggiungere.
Ridefinire il contratto può aiutare la costruzione dell’alleanza
educativa tra le famiglie .
E’ legittimo che il grado di collaborazione possa essere buono
in una famiglia che “sa chiedere” e complesso in una famiglia
che subisce l’allontanamento, ma si ritiene opportuno,
che, sempre, siano ricercate forme di collaborazione e
compartecipazione alla crescita evolutiva del ragazzo .
79
La gestione delle fantasie, dei fantasmi, dei giudizi, delle
rappresentazioni distorte, delle percezioni svalutanti
Gli affidatari sono le persone che più di tutte sentono la
sofferenza del bambino e spesso vi s’identificano; è possibile
quindi che sviluppino “insofferenza” verso i genitori
naturali.
Sono molteplici i fantasmi ed i meccanismi difensivi che
possono scattare nella famiglia affidataria verso l’altra
famiglia: minore è la conoscenza tra i due nuclei, maggiori
sono le fantasie.
L’affido, inoltre, come tutti i percorsi educativi, sviluppa
incertezze emotive rispetto agli esiti e alle competenze
possedute, non facili da riconoscere.
Dobbiamo mettere in conto che il “contenitore” nel quale
si sviluppa l’esperienza affidataria a volte è influenzato da
cambiamenti istituzionali non sempre protettivi; la forte
flessibilità che è costantemente richiesta non sempre è
comprensibile e tollerabile da parte della famiglia affidataria:
i timori, le incertezze, i pregiudizi, possono fortemente
svilupparsi su quest’instabile terreno.
La nostra esperienza conferma che quanto più le famiglie
affidatarie non sono tenute all’oscuro del lavoro svolto con la
famiglia d’origine, tanto più le interazioni con queste ultime
sono gestibili. Le fantasie distorte diventano più contenibili
e vengono ridimensionate.
Creare occasioni di contatto e d’interazione facilita quindi il
superamento dei “fantasmi”.
In ogni caso però le informazioni scambiate e ricevute vanno
rielaborate attraverso una pluralità di chiavi interpretative che
non siano solo quelle morali. Servono approcci diversificati
che sappiano legittimare le difese, le resistenze, le culture
educative di cui sono portatrici le famiglie naturali.
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Altra percezione “distorta” avvertita dalle famiglie affidatarie
è a volte quella di sentirsi usate come delle “balie” in modo
strumentale dalle famiglie naturali.
È fondamentale saper lavorare con una qualificata
appropriatezza sulle rappresentazioni che evolvono nella
famiglia affidataria rispetto al proprio percorso affidatario e
al rapporto con la famiglia d’origine.
Nel lavoro sulle rappresentazioni si ritiene importante:
• facilitare la costruzione da parte della famiglia
affidataria di un atteggiamento di comprensione nei
confronti della famiglia d’origine; di fiducia nella
possibilità di piccoli cambiamenti da parte dei genitori
naturali.
Le rappresentazioni reciproche tra le due famiglie
sono fondamentali perché vengono trasmesse
inconsapevolmente o meno al bambino in affido, che,
in conseguenza di ciò, farà poi sempre più fatica ad
integrare le due famiglie nella sua vita e nella sua
mente;
• aiutare la famiglia affidataria ad avere una visione
“compassionevole” della famiglia d'origine, nel
senso di chi compartecipa alla sofferenza dell’altro.
Non si vogliono nascondere le reali difficoltà della
famiglia naturale, ma è importante aiutare la famiglia
affidataria ad immaginare “quali bambini siano mai
stati questi genitori” e che, ciò che hanno offerto ai
loro figli, è espressione di quanto hanno ricevuto da
piccoli e conseguentemente hanno potuto offrire da
adulti.
Questo non esime l’operatore sociale dal predisporre un
progetto e attivare tutti gli strumenti utili per una maggiore
responsabilizzazione genitoriale della famiglia d’origine.
81
L’atteggiamento proattivo della famiglia affidataria
Le famiglie e gli operatori s’interrogano sul possibile
ruolo della famiglia affidataria nei confronti della famiglia
d’origine.
Atteggiamenti fortemente difensivi si alternano ad altri più
proattivi.
Quando la famiglia affidataria riesce a rielaborare il senso
di questo atteggiamento proattivo, a volte, riesce a dirimere
i conflitti interni che l’esperienza affidataria suscita. Nasce
allora un sentimento di maggiore vicinanza verso la famiglia
naturale ed il desiderio di promuovere cambiamenti positivi
anche nella famiglia del bambino di cui si sono presi e si
prendono cura.
Alla conclusione dell’affido il timore delle famiglie
accoglienti è, a volte, quello di restituire un “prezioso pacco”
anziché una storia di relazioni, un percorso affettivo, un
progetto evolutivo, come desidererebbero, secondo quanto
è stato per loro. Saper restituire alla famiglia d’origine le
cose buone viste maturare in quel ragazzo e le eventuali
preoccupazioni, sembra configurare un processo e un esito
della storia d’accompagnamento più adeguato ed integrato,
all’insegna della continuità della storia dell’affidato e delle
storie di tutti.
La restituzione può essere fatta considerando sia la
quotidianità, sia i cambiamenti, alla presenza dell’operatore.
E’ importante che i passaggi evolutivi non rimangano
esclusivamente un vissuto del minore, ma che siano
riconosciuti come utili dal suo nucleo famigliare e da tutte le
parti che hanno collaborato alla loro estrinsecazione.
82
L’affido diurno
Si tratta di un intervento che si sta diffondendo ed ha
caratteristiche particolari, di maggiore vicinanza alla famiglia
d’origine. Le dinamiche sono più veloci, le interazioni tra
famiglie più intense. Se ne avverte tutta la complessità, ma
per alcune situazioni specifiche rappresenta una preziosa
opportunità.
E’ un importante strumento preventivo, che merita
un’adeguata ricognizione e un approfondimento a livello
provinciale.
Il passaggio da affido consensuale ad affido disposto dal
Tribunale per i Minorenni
Con l’affido disposto dal Tribunale per i Minorenni, la
famiglia affidataria si sente direttamente e maggiormente
investita del suo ruolo/funzione, anche se il servizio sociale
è sempre incaricato di seguire l’affido.
Un problema che si è verificato relativamente ai casi
conosciuti è rappresentato dal fatto che è stata convocata
dal Tribunale per i Minorenni esclusivamente la famiglia,
titolare dell’affido nominale, e non il servizio sociale, titolare
del progetto.
Gli operatori in proposito si sono interrogati: è andato in
crisi il rapporto fiduciario tra operatori sociali e Tribunale
per i Minorenni?
Sono entrati in scena in modo più massiccio gli avvocati,
sviluppando maggiori rigidità?
Il carico di lavoro del Tribunale è tale da non disporre di
tempo per convocare gli operatori?
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Le famiglie accoglienti riguardo al loro rapporto con le
famiglie d’origine dei minori in affido sottolineano che:
“La famiglia affidataria può avere rapporti con la famiglia
del bambino quando l’affido è consensuale… quando i
genitori sono d’accordo con il provvedimento e capaci di
chiedere aiuto.
La possibilità della relazione tra le due famiglie dipende
anche dal tipo di problemi che ha la famiglia d’origine,
che non devono essere troppo gravi (ad esempio l’abuso, la
violenza fisica…).
Perché in quest’ultimo caso, come famiglie, è difficile
pensare di poter entrare in relazione con un adulto che
ha fatto male al bambino: d’istinto viene difficile pensare
d’avere qualcosa in comune.
Spesso ci si trova a misurarsi con un pezzo di famiglia
del bambino “sana”, anche se in difficoltà, e un pezzo
“insano”…
Dalla parte della famiglia che si percepisce patologica viene
naturale prendere le distanze, mentre ci sono maggiori
possibilità di collaborazione con le parti che si percepiscono
fragili ma buone. Se una famiglia è povera interiormente
ed economicamente è possibile sostenerla, ma quando i
minori vengono usati in modo ricattatorio, strumentale… è
difficile instaurare rapporti e non si ha voglia di lavorarci,
né, dall’altra parte, si viene facilmente accettati.
Sembra difficile accettare l’altra famiglia quando antepone
i suoi problemi di adulti ai bisogni dei bambini, quando
invece di esserci “riconoscimento” della situazione, delle
difficoltà di tutti, dei bisogni e delle possibilità… sono messe
in campo difese, resistenze…
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Sarebbe interessante capire chi sono le famiglie
problematiche: ma sembrerebbe necessario per tutte,
chiunque siano e comunque siano fatte, poter stare loro
accanto, in un rapporto di rispetto.
Bisognerebbe mettere in campo la possibilità di recupero,
anche se non di soluzione, in modo progettuale. Con i servizi
bisogna individuare quali possono essere le possibilità e
assumersi le responsabilità conseguenti, ognuno per quel
che gli compete. Le istituzioni non devono mettere in campo
solo aiuti specialistici ma devono creare cultura intorno alle
famiglie in difficoltà… E’ imprescindibile fare un lavoro di
prevenzione nei confronti delle famiglie che manifestano i
primi disagi. Bisogna darsi degli obiettivi e dei tempi.
Non in tutte le situazioni è possibile ma, là dove è possibile,
bisogna farlo”.
85
gli affidatari e le istituzioni
considerazioni
Le famiglie affidatarie vogliono rivolgersi alle
Amministrazioni Pubbliche e alle Istituzioni per richiamare
l’attenzione ai diritti del cittadino, in particolare dei bambinicittadini, troppo spesso “figli di nessuno”, nonché delle loro
famiglie naturali.
“Il progetto dell’affido ha senso perché la famiglia
d’origine torni a riappropriarsi del ruolo genitoriale: se
non c’è un lavoro che va in questa direzione, cade l’obiettivo
dell’accoglienza. Se non può essere previsto un rientro, non
è possibile parlare d’affido.
Le logiche che hanno gli amministratori non garantiscono la
presa in carico delle situazioni a partire dal significato che
hanno per le persone che ne sono coinvolte, ma sembrano
prevalere le logiche organizzative e meramente economiche.
Il rischio è che non venga messa al centro la persona.
Questo fatto genera difficoltà e sofferenze a catena.
Sembrano mancare i presupposti: il riconoscimento del fatto
che le famiglie affidatarie svolgono un servizio d’aiuto
rivolto alla collettività.
I bambini spesso non vengono considerati cittadini, sono
“figli di nessuno”, che talune Amministrazioni si rimpallano
senza assumersene la paternità.
Nei luoghi della programmazione e dello sviluppo delle
politiche sociali nei Comuni singoli e associati, negli Ambiti
Territoriali è necessario investire e comprendere in che
direzioni orientare le risorse.
86
Quello degli investimenti è un problema di visibilità che i
Comuni devono avere anche per convenienze elettorali, ma
devono emergere altre culture di riferimento perché c’è la
necessità impellente di farsi carico della famiglia sulla base
di nuove politiche sociali.
Le famiglie chiedono cambiamento e attenzione alla persona,
processi che investano più sugli aspetti valoriali e di senso e
meno su quelli di tipo economico.”
ipotesi di lavoro
Da questi commenti delle famiglie affidatarie, risulta evidente
come sia difficile per le famiglie comprendere la situazione
istituzionale nella quale si ritrovano gli operatori sociali
oggi. Prendiamo ad esempio le situazioni in cui il Tribunale
prescrive rientri o incontri frequenti del bambino in affido
con la famiglia di origine, senza consultarsi con gli operatori
sociali: il rischio è l’esposizione ad un sovraccarico di lavoro
e ad esiti incerti degli interventi.
Esiste la necessità di porre alcune attenzioni sia al ruolo
sociale svolto, sia alle buone pratiche da sviluppare in favore
delle famiglie affidatarie e delle famiglie d’origine .
Alle istituzioni e alle amministrazioni pubbliche si
richiedono:
• il riconoscimento sociale della famiglia affidataria
per il lavoro svolto al servizio della collettività, cioè
il passaggio dalla definizione di queste famiglie come
“volontari dal buon cuore” al riconoscimento del loro
ruolo sociale;
87
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
88
la realizzazione di misure a sostegno delle famiglie
accoglienti anche di tipo economico: riduzioni ICI,
detrazioni, facilitazioni nell’inserimento al nido, ecc…;
la garanzia del sostegno sociale ed economico anche
agli ultradiciottenni in affido che non hanno ottenuto il
prosieguo amministrativo;
la realizzazione del lavoro preventivo e tempestivo
nei confronti delle famiglie naturali, che preceda gli
interventi d’allontanamento e di protezione;
il sostegno allo sviluppo di politiche di sostegno tra
famiglie a carattere mutualistico;
lo sviluppo di prassi operative che coinvolgano la
famiglia anche nella fase progettuale e di verifica del
lavoro affidatario insieme ai vari servizi;
la salvaguardia e la diffusione delle pratiche collaborative
tra i vari operatori impegnati negli affidi per pervenire
alla condivisione e a buone esperienze progettuali;
il riconoscimento dell’importanza dei processi formativi
e di supervisione rivolti agli operatori e finanziarli, al
fine di garantire la qualità degli interventi;
modalità di assunzione degli operatori sociali che
garantiscano continuità e professionalità, per contenere
il turn-over elevato registrato in questi anni, che ostacola
la strutturazione professionalizzata del servizio;
le necessarie connessioni tra il livello dei decisori politici,
gli amministratori, e quello tecnico, degli operatori
sociali, per garantire la necessaria progettualità sociale
orientata al bene comune;
il coinvolgimento dei destinatari nel processo di
valutazione partecipata del progetto e la promozione di
competenze nella gestione degli aspetti emotivi della
famiglia affidataria, al fine di collocare restituzioni e
criticità in una dimensione strutturale e progettuale.
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il rapporto con il tribunale per i minorenni
considerazioni
Riguardo a questo tema le famiglie accoglienti affermano che:
“I Tribunali sono percepiti lontani dai problemi dei
bambini e delle famiglie d’origine. Spesso le decisioni o
le indecisioni dentro cui si dibattono i Tribunali, lasciano
stagnare le situazioni.
I bambini stanno per lunghissimi anni “in attesa” che
le loro mamme e i loro papà si adeguino, migliorino,
“guariscano”…
In molte situazioni sembrano attenuati - forse per eccessivi
carichi di lavoro e/o turn over - la collaborazione, il rapporto
di fiducia e la co-costruzione progettuale tra Giudici e
operatori sociali.
I decreti, a volte, paiono l’esito della documentazione
degli atti inoltrati, senza che sia avvenuto alcun incontro
progettuale tra giudici e operatori dei servizi.
L’approccio giuridico sembra piuttosto distante da quello
psico-sociale e diviene necessaria una adeguata mediazione
tra i diversi linguaggi.
Anche la maggiore presenza degli avvocati a fianco delle
famiglie d’origine dei bambini affidati può aver orientato le
decisioni dei giudici su un “taglio” prevalente di tipo giuridico,
più distante dai bisogni psicoaffettivi del bambino.
Alcune nuove segnalazioni non vengono prese in
considerazione per l’apertura del caso, altre volte i casi
vengono archiviati senza la condivisione con gli operatori.
90
Altre difficoltà incontrate sono state quelle organizzative
e di comunicazione con la Cancelleria del Tribunale per i
Minorenni che, spesso, non è nelle condizioni di passare la
comunicazione telefonica al giudice.
La reperibilità telefonica dei giudici è, in molti casi
impossibile; viene indicato di chiamare telefonicamente la
mattina dalle ore 11.00 alle ore 13.00 ma la comunicazione
in quelle due ore non è accessibile e quindi è necessario
provare a richiamare la settimana successiva nel giorno di
presenza del giudice. Vi è così un’elevata probabilità che il
contatto telefonico venga differito di diverse settimane con
le conseguenze immaginabili.
In questi casi è particolarmente difficile e rischioso gestire
interventi psicosociali, può voler dire assumere decisioni in
autonomia per evitare il peggio, in mancanza dei necessari
confronti.
I prosegui amministrativi concessi ai minori in affido sono
sempre più rari. Sugli affidatari ricade il peso del mancato
sostegno di un neomaggiorenne che, come i suoi coetanei,
non è in grado di costruirsi una vita autonoma a 18-20 anni
di età.
La conseguenza è quella di concludere l’affido con la
maggiore età o proseguire senza alcuna tutela giuridica e
senza alcun sostegno economico, psicologico, sociale ed
educativo.
Le convocazioni in Tribunale di tutte le parti coinvolte
nell’affido - famiglia d’origine e avvocati, minori accolti,
famiglia affidataria senza i servizi sociali o senza gli operatori
della rete - hanno luogo nello stesso giorno e alla stessa ora,
con il comprensibile imbarazzo per tutti.
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In alcuni decreti le disposizioni relative alle modalità delle
visite o dei rientri del minore in famiglia non sono state
concordate con gli operatori, mettendo a volte a repentaglio
l’affido e l’organizzazione del servizio.
Gli operatori dispongono, in genere, di maggiori conoscenze
sulle modalità più opportune dei rientri e delle visite e, quindi,
maggiore competenza nel definire modalità, tempi e orari.
ipotesi di lavoro
Agli operatori sembra necessario migliorare i processi di
comunicazione sia nella costruzione progettuale che nella
tempestività.
Un’ipotesi potrebbe essere quella di effettuare incontri
periodici a livello provinciale tra operatori sociali e giudice
finalizzati a conoscere gli orientamenti condivisi tra i
giudici dello stesso Tribunale sulle questioni che emergono
dall’operatività.
Si ritiene necessario approfondire l’uso della relazione
come strumento di lavoro. La stesura delle relazioni e le
collaborazioni tra giudici ed operatori vanno concordate: è
importante sapere oggi cosa i giudici si aspettano di trovare
in tale tipo di documentazione. Come le vogliono scritte?
Come andrebbero strutturate?
Sarebbe inoltre opportuno conoscere in modo approfondito
le varie tipologie di segnalazione.
Gli operatori ritengono significativo evidenziare il
miglioramento, a loro parere, della modalità di intervento
del Tribunale registrato in questi anni.
92
In particolare è sempre più frequente la richiesta da parte dei
giudici di valutazioni specialistiche della capacità genitoriali
e del grado di recuperabilità della famiglia d’origine e sono
convocati più frequentemente i minori e le famiglie affidatarie.
Sarebbe auspicabile, oltre a ciò, come già sottolineato, la
presenza anche degli operatori sociali e delle reti famigliari.
93
l’accompagnamento del bambino in affido e la doppia
appartenenza
considerazioni
I bambini con disagio psico-affettivo
Il bambino collocato in affido è un bambino che spesso:
• non ha potuto fruire di una adeguata relazione
d’attaccamento;
• ha scarsamente goduto di atteggiamenti consolatori da
parte dei genitori;
• è stato fortemente condizionato dalla sensazione di sentirsi
poco investito di un significativo valore affettivo;
• ha interiorizzato distorte modalità comportamentali, in
conseguenza sia delle carenti cure genitoriali ricevute,
sia delle esperienze traumatiche vissute.
I bambini divisi tra protezione, cura e allontanamento
I bambini in affido sono spesso bambini “divisi” tra due
famiglie e questa situazione può minare il loro sviluppo:
l’opportunità dell’affido rischia di trasformarsi, a volte, in
una sofferenza intollerabile.
Qual è il livello di comprensione di un bambino rispetto
all’allontanamento dalla sua famiglia, ai motivi in base ai
quali è stata scelta la strada dell’affido? Qual è la verità per
lui sostenibile rispetto alla propria famiglia naturale?
94
Come riesce ad integrare la cultura della famiglia d’origine
con quella proposta dalla famiglia affidataria?
Quando i bambini non riescono a conciliare le due famiglie,
l’affido rimane l’unico intervento proponibile?
Questi sono alcuni dei buoni interrogativi che dovrebbero
accompagnare il lavoro degli operatori e delle famiglie.
Famiglie distanti, famiglie vicine
Le famiglie affermano:
“Nella definizione della distanza/vicinanza tra famiglia
affidataria e naturale, vengono indicate delle adeguate
distanze tra le due famiglie. C’è giustamente un movimento
protettivo nei confronti della famiglia affidataria e dell’affido
ma è anche necessario accogliere il bisogno del minore di
tenere insieme le due esperienze famigliari. I bambini e i
ragazzi hanno sempre piacere di vedere le due famiglie che
si parlano, che non sono in contrasto tra loro… e questo ha
delle ricadute positive anche rispetto al modo in cui i ragazzi
riescono a vivere l’esperienza d’affido.
C’è anche un’esigenza della famiglia affidataria di
vedere chi è la famiglia d’origine: perché questo permette
di collocare alcuni dei racconti dei ragazzini (che a volte
“calcano la mano”… che si lamentano per quella che
ritengono una frustrazione subita…), oltre a non farsi dei
“fantasmi”, immaginandosi famiglie più “mostruose” di
quanto non siano in realtà.
Quando i genitori dell’affidato sono coinvolti in procedimenti
penali per comportamenti agiti contro i bambini, risultano
meno avvicinabili per le famiglie accoglienti.
95
E’ complicato scontrarsi con i “limiti” delle famiglie
d’origine, in particolare, quando viene ostacolato l’affido o
la famiglia dispone di così poche risorse da non rispondere
adeguatamente alle richieste di interazione .
I rapporti tra le due famiglie sono ulteriormente complicati
laddove la cultura dell’altra famiglia è molto lontana da
quella del sistema di valori sui quali si attesta la nostra.
Il percorso di chiusura: aspetti di continuità
“Concludere gli affidi, non chiudere le relazioni”
Da un punto di vista affettivo le famiglie affidatarie auspicano
sempre di poter mantenere un legame con il ragazzo, ma
devono essere pronte anche a saper “stare dentro” chiusure
più definitive.
Anche se l’affido è concluso, possono essere e rappresentare
comunque punti d’appoggio e di riferimento stabili nel
tempo, pure quando i ragazzi sono reinseriti nella loro
famiglia d’origine.
Nel gruppo di formazione di famiglie affidatarie impegnato
in questa riflessione, tra cui è stata compiuta una breve
“ricognizione”, non risultano attualmente bambini piccoli in
affido per i quali sembra previsto un rientro nella famiglia
d’origine.
Sembra che i ragazzi accolti “ce la facciano di più”, abbiano
cioè maggiore possibilità di riscatto e di riuscita nella vita
adulta, quando accettano i limiti dei loro genitori, non
riversando più su di loro grosse speranze e aspettative, e
quando riescono ad appoggiarsi alle persone che realmente
possono aiutarli ed accoglierli in quel momento.
96
E’ giusto che, nella fase in cui i ragazzi idealizzano ancora la
famiglia, facciano dei rientri a casa, perché solo così possono
affrontare un buon esame di realtà, che la famiglia affidataria
non può offrire se non attraverso il racconto.
Solo da grandi, adulti davvero, i ragazzi e le ragazze potranno
decidere cosa fare del rapporto con la famiglia d’origine.
Nel frattempo le famiglie affidatarie devono lasciare aperte
le strade: capita, a volte, di vedere delle “ricomposizioni
positive”, dentro le quali i ragazzi mostrano di accettare
i limiti che hanno avuto i loro genitori, “perdonandoli”,
altre volte invece si incontrano “separazioni autonome”
perchè decidono di recidere il legame, rifiutandolo e
distanziandosene.
Quando è il momento opportuno e la conclusione dell’affido
si avvicina, anche perché il ragazzo è ormai maggiorenne e
decide per il rientro, è fondamentale per le famiglie affidatarie
riuscire a lasciarlo andare, anche se si sta male… soprattutto
se egli rientra in famiglie ancora problematiche e sofferenti.
La conclusione dell’affido coinvolge tutta la famiglia sia la
coppia affidataria, sia i figli naturali che, insieme, devono
affrontare la separazione e l’allentamento del legame.
Riabilitare le risorse delle famiglie naturali: tra realtà e
utopia
Un possibile ruolo della famiglia affidataria
Il percorso di cura delle famiglie d’origine
“Le famiglie d’origine degli affidati spesso non fanno un
percorso di cura parallelo: mentre i ragazzi evolvono e
crescono, il più delle volte, le loro famiglie restano ferme.
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Frequentemente non si manifesta nessun avvicinamento,
nemmeno nella fase di chiusura dell’affido e non vi è
possibilità di incrocio tra le due famiglie per confrontarsi
sul passaggio che il ragazzo sta facendo. Spesso ci si chiede:
“Come riuscire a consegnare una storia, un ragazzo e non
un “pacco”?”.
Se durante l’affido non vengono richiesti né prefigurati
contatti tra le due famiglie, risulta artificioso introdurli nel
momento della sua conclusione, durante il quale potrebbero
esserci maggiori attriti e motivi di contrasto tra le famiglie.
La chiusura è un momento delicato, dove è facile che il
ragazzo, ormai maggiorenne e più capace di elaborare ed
esprimere una sua lettura della realtà e degli eventi, cominci
ad esplicitare la sua posizione ai genitori, a far notare loro
le mancanze; evenienze queste che aumentano le difficoltà di
contatto tra le due famiglie.
Quando i ragazzi rientrano, a volte, le famiglie d’origine
si sentono sollevate dal fatto che la famiglia affidataria
“sparisca” e che, quindi indirettamente, non venga più
veicolata l’idea della propria incapacità genitoriale. Le
famiglie d’origine che invece non percepiscono le proprie
difficoltà genitoriali , vivono gli affidatari come degli “zii”,
disconoscono con leggerezza il loro ruolo genitoriale: in
questo caso, spesso, non rivolgono agli affidatari alcuna domanda, né durante il percorso di affido né alla sua
chiusura.
Può sorgere anche il dubbio che, quasi tutte le famiglie
d’origine dei bambini che attraversano l’esperienza
dell’affido, siano famiglie senza risorse sufficienti per
affrontare dei percorsi di recupero: l’affido si risolve spesso,
rispetto al suo significato originario di riparo temporaneo
nell’attesa di rientrare nella propria famiglia, come un
98
“aiuto” dato ai ragazzi, che sono più attrezzati rispetto a
prima, hanno respirato dei valori… ma l’istituto dell’affido
non sembra oggi dare speranze alla famiglia naturale.
La conclusione dell’affido, per quanto riguarda le nostre
esperienze e conoscenze, non corrisponde all’evoluzione
della famiglia d’origine, ma al raggiungimento della
maggiore età dei ragazzi, o ad una situazione della famiglia
d’origine che, nella sua cronicità , non viene più considerata
a rischio per i ragazzi.
Bisognerebbe lavorare su progetti minimi… che sappiano
mettere in relazione la famiglia affidataria, il bambino e la sua
famiglia. Oggi si arriva all’affido e quindi all’allontanamento
quasi sempre su difficoltà gravi: le famiglie dei bambini non
sono in grado di reggere nemmeno obiettivi ritenuti molto
semplici, alcune non accettano i percorsi progettati per il
recupero di parti della loro genitorialità.
Rimane solo il fatto che l’affido dà la possibilità al bambino
di vedere che c’è un altro modo di vivere la relazione tra
adulti e bambini: se gli hai mostrato l’accudimento, poi
gli mancherà, ma almeno sarà più consapevole di cosa gli
manca, lo conosce…
Noi viviamo un paradosso, continuiamo a dire che l’affido
è un progetto temporaneo perché nel frattempo la famiglia
d’origine possa superare le sue difficoltà; in realtà è sottrarre
un minore alla sua famiglia per un tempo lungo, senza che
nel frattempo, in quest’ultima ci siano cambiamenti.
Purtroppo, quando l’affido viene messo in atto, è come se
la famiglia d’origine venisse dichiarata “genitorialmente
morta”. L’allontanamento è realizzato come “estrema
ratio”, in situazioni ormai gravissime, precedute da passaggi
e interventi diversificati. Difficilmente si tratta di famiglie
effettivamente recuperabili.
99
Spesso i genitori in causa non sono consapevoli delle loro
difficoltà e sono contrari al provvedimento d’allontanamento,
che avviene perciò in modo coatto. Per tale ragione è evidente
che non esistono i presupposti perché ci siano rapporti distesi
tra le due famiglie”.
La famiglie affidatarie e gli affidati alla conclusione
dell’affido: i sentimenti ambivalenti
“Quando i bambini diventano grandi e sono ormai ragazzi
o giovani adulti, le famiglie d’origine spesso reclamano il
rientro in famiglia e mettono in atto pressioni anche molti
forti, che i figli rientrino definitivamente nel nucleo d’origine.
In questa situazione, i ragazzi si sentono “tra l’incudine e
il martello” ed è importante, come famiglie affidatarie, non
mettersi nella veste di chi “spinge” verso una scelta che,
se pur sembri buona per il futuro (ad esempio un percorso
d’autonomia) possa mettere emotivamente gli affidati in uno
stato di tensione poco sostenibile.
Si può proporre, soprattutto ai ragazzi più grandi, un
progetto di vita, ma il principio da rispettare è quello di
non contrapporsi come famiglia affidataria alla famiglia
d’origine.
Questo rende la conclusione dell’affido, quando avviene,
meno straziante per entrambe le parti; permette di mantenere
collegamenti e di essere disponibili a conservare legami
affettivi che si sono instaurati nel tempo; lascia aperte le
“porte”, perché i ragazzi vi possano accedere se ne sentono
il bisogno.
Quando i ragazzi maggiorenni rientrano nelle famiglia
d’origine in situazione di disagio, sapendo che potrebbero
aderire al modello negativo proposto dai genitori, per le
100
famiglie affidatarie è difficile recidere il legame da un punto
di vista emotivo e negare la disponibilità, anche laddove
ci si dovesse rendere conto che può essere usata in modo
strumentale.
Manca una struttura sociale che permetta l’accompagnamento
di questi giovani adulti, per i quali permangono a volte
difficoltà emotive, comportamentali, relazionali ma che,
in quanto maggiorenni, sono chiamati ad assumersi
responsabilità e doveri a tutti gli effetti.
Bisogna pensare a strumenti flessibili: ad esempio si potrebbe
trasformare parte della retta destinata all’affido in borselavoro”.
ipotesi di lavoro
Un bambino in affido deve sempre fare i conti con la
sofferenza per il distacco dalla propria famiglia e per la
sostenibilità dell’appartenenza alle due famiglie.
I bambini dispongono di patrimoni psico-affettivi molto
differenziati e per affrontare l’esperienza di affido si ritengono
necessari:
• la valutazione psicodiagnostica;
• l’accompagnamento sociale per dare senso e motivazione
al progetto sociale, interpretando il mandato del Giudice
“dei bambini”. È necessario tradurre adeguatamente
il decreto di affido nel linguaggio dei bambini e dare
significato a tutti i successivi cambiamenti che
avverranno nel suo contesto socio-famigliare;
• l’accompagnamento psicologico per sostenere la ripresa
del suo percorso di crescita e seguirlo nel percorso
evolutivo dell’affido;
101
• l’accompagnamento educativo per risignificare
relazionalmente tutte le vicende che i bambini
attraversano e aiutarli a costruire le possibilità e il senso
rispetto alle esperienze difficili, faticose e frustranti che
devono o dovranno sostenere.
E’ importante individuare nella équipe orientata alla tutela
l’operatore che conosce il bambino e che dispone della
competenza necessaria per preparare il bambino all’affido.
La conoscenza del bambino
L’approfondimento conoscitivo - a livello psicologico e
socio educativo - del bambino va calibrato a seconda della
situazione.
Oggi la casistica è sempre più complessa e chiede un adeguato
approfondimento su vari aspetti e nelle diverse discipline .
Vi è la necessità di focalizzare meglio alcune buone prassi da
parte di tutte le professionalità che operano intorno al minore
(assistente sociale, educatore, psicologo).
Alcune domande possono orientare l’intervento:
“Il bambino o la bambina, è in grado di reggere
l’allontanamento? Saprà legarsi affettivamente alla nuova
famiglia? Saprà gestire l’appartenenza alle due famiglie?
Saprà investire nelle nuove relazioni e nel nuovo contesto
socioambientale?”.
102
103
La preparazione adeguata del bambino all’allontanamento
e all’affido per consentire al bambino di comprendere
cosa gli sta accadendo
La comunicazione dell’affido al bambino è un momento
cruciale tanto quanto l’allontanamento. Essa andrebbe gestita
tenendo conto di questi elementi:
• la regola della trasparenza - dire la verità - vale anche
qui, così come il bisogno della presenza di un operatore
significativo per il bambino che assuma in toto la
responsabilità del progetto, in modo da decolpevolizzare
il bambino che ha un patto di lealtà con la propria famiglia
d’origine;
• usare sempre un linguaggio e dei riferimenti adeguati
all’età del bambino;
• è opportuno chiarire quale rapporto avrà con la propria
famiglia: continuerà a incontrare, telefonare o ad avere
notizie dei suoi genitori secondo quanto previsto dal
progetto;
• garantire un tempo sufficiente per elaborare la
proposta d’affido. Utilizzare le strategie di coping,
per favorire l’identificazione con altri bambini che, in
quanto più avanti nel progetto, hanno già sperimentato il
collocamento in famiglia;
• procedere gradualmente alla promozione di conoscenza
tra il bambino e gli affidatari. Egli deve essere aiutato a
riconoscere le sue paure, rassicurato su ciò che troverà. In
tal senso, si può predisporre un programma d’abbinamento
e conoscenza e, dopo il primo incontro, raccogliere le sue
impressioni, i timori, le paure, rinfrancandolo se sono
eccessivi;
• quando il rapporto del bambino con gli affidatari si è
sufficientemente stabilizzato, fare sintesi e spiegare gli
104
eventi che hanno portato all’allontanamento e illustrare
le prospettive future per lui e per i suoi genitori (progetto)
alla presenza degli affidatari, così da consentire a questi
ultimi di poter diventare referenti per il bambino.
L’accompagnamento del bambino nella gestione
dell’affido da parte degli operatori a fianco della famiglia
affidataria
Le esperienze e il confronto tra gli operatori hanno evidenziato
l’importanza di:
1) stabilire una relazione di fiducia col bambino
caratterizzata da:
• trasparenza;
• credibilità;
• sincerità;
• autorevolezza;
2) contribuire a riordinare il mondo esterno del bambino,
attraverso:
• la spiegazione di avvenimenti;
• il chiarimento di significato e finalità dell’intervento
dell’affido;
3) collaborare a riordinare il mondo interno del bambino,
mediante:
• la ricostruzione delle vicende relazionali, dando
spazio alle emozioni provate;
• la spiegazione delle ragioni dei comportamenti dei
genitori;
• l’attribuzione di coerenza ai possibili sentimenti
contrastanti da lui provati e/o alle contraddizioni tra
affermazioni e comportamenti dei genitori;
105
• il lavoro per la pacificazione delle ambivalenze e dei
conflitti.
L’accompagnamento alla conclusione dell’affido
La conclusione dell’affido è teoricamente riferita agli effetti
del lavoro di riabilitazione con la famiglia d’origine.
In alcuni casi d’affido, che si concludono prima della
maggiore età, l’intervento è stato intrapreso e si sono
verificati alcuni cambiamenti nel modo di porsi dei genitori,
anche se, complessivamente, la situazione non si è rivelata
sempre ottimale.
Soprattutto negli affidi giudiziari, talvolta, è il Tribunale per
i Minorenni che decide il rientro del minore nella famiglia
d’origine per ragioni non sempre condivise e comunque non
controllate dagli operatori.
La conclusione “imprevista” dell’affido richiede anch’essa di
preparare, per quanto possibile, opportunamente il bambino,
la famiglia d’origine e quell’affidataria alla conclusione
dell’esperienza di affido.
Tale intervento è opportuno che sia calibrato in relazione
alla cornice contestuale in cui l’affido si conclude.
Il Centro Ausiliario Minorile (CAM) di Milano ha proposto,
nell’ambito di un percorso formativo, svoltosi nell’ottobre
del 2005, quali possibili “cornici contestuali”:
a) la famiglia d’origine “recuperata”;
b) la famiglia d’origine “ambivalente”;
c) la famiglia d’origine “non recuperata”.
106
a) Nel caso della famiglia d’origine “recuperata”, i criteri
per il rientro del bambino sono rappresentati da:
• incremento delle capacità di relazionarsi con il
figlio;
• incremento delle capacità di relazionarsi tra adulti;
• incremento della consapevolezza di sé e quindi
maggiore capacità di vedere in modo realistico la
propria situazione.
b) Nella famiglia d’origine “ambivalente”:
• coesistono miglioramenti con lacune ancora
evidenti;
• è stato mantenuto il legame genitori-figli;
• il rientro è condizionato dall’attivazione di specifici
supporti al bambino e ai genitori.
c) Nel caso della famiglia d’origine “non recuperata” è
importante:
• non occultare le ragioni del fallimento genitoriale;
• lavorare con il bambino perché acquisisca
consapevolezza dei limiti dei suoi genitori ed elabori
la realtà;
• favorire l’accettazione della propria storia;
• lavorare per lo svincolo dalla famiglia d’origine;
• garantire l’espressione della massima capacità
genitoriale possibile;
• contenere eventuali “ inversioni di ruolo”.
Riguardo ad alcuni criteri orientativi per il rientro del
bambino nella propria famiglia in seguito all’esperienza
d’affido si evidenzia:
• l’assenza di strumentalità nella motivazione ad essere
reintegrati nelle funzioni genitoriali (“lo rivoglio per
ottenere un riscatto personale…”);
107
• la capacità di svolgere una funzione elaborativa;
• la capacità di riconoscere la sofferenza del bambino e i
traumi vissuti;
• l’atteggiamento riparativo nei confronti del figlio
danneggiato;
• la capacità di rileggere al bambino la storia avvenuta: i
genitori come racconteranno al bambino rientrato la sua
storia? Si auspica che sappiano rispettare i suoi vissuti
nei confronti della famiglia affidataria, considerata
l’importanza di queste persone per il bambino.
All’inizio con gli affidatari viene fatto lo stesso lavoro,
perché accettino il passato del bambino e tutto il suo “prima”
dell’affido.
Le famiglie affidatarie propongono: vicinanze
famiglia affidataria e la famiglia d’origine
tra la
“Le famiglie affidatarie cercano di mantenere sempre un
atteggiamento di disponibilità e d’apertura verso la famiglia
d’origine. Anche laddove i rapporti non sono troppo
ravvicinati, si cerca d’essere amichevoli.
Non si aprono conflitti, anche se capita che i rapporti siano
freddi o distanti.
La famiglia affidataria è comunque “centrata” sul bambino...
con la famiglia d’origine spesso non si hanno rapporti, ad
esempio per motivi di distanza geografica o perché il progetto
non prevede contatti ravvicinati o frequenti.
Si è però coscienti che rifiutare di “averci a che fare” tout
court alimenta nelle famiglie d’origine fantasie minacciose:
bisogna sempre mandare il messaggio che non siamo rivali,
che non siamo in competizione per ottenere l’affetto del loro
bambino: “Tutti siamo a fianco del bambino”.
108
109
Vicinanze possibili
“Nei piccoli paesi, forse l’estrazione sociale delle famiglie,
anche di quelle in difficoltà, è simile a quella delle famiglie
affidatarie. Anche se le famiglie in difficoltà hanno
visualizzato e praticato un altro percorso esistenziale
e valoriale, è possibile sentirle vicine socialmente, è
possibile comprenderle, capirle, si può lavorare dentro una
prossimità… Il pensiero è: “E’ una famiglia come la mia,
come io avrei potuto essere se avessi vissuto le difficoltà
ambientali e relazionali come ha incontrato lei”.
E’ anche una possibilità di vicinanze geografiche: “Quando
si è molto distanti territorialmente, anche se ci si riconosce,
rispecchiandosi in alcuni elementi, non ci sono possibilità di
sostegno e incontro”.
La vicinanza territoriale e la rete come strumenti possibili
per il lavoro con la famiglia naturale
“Gli operatori hanno difficoltà a lavorare con le famiglia
d’origine. Forse, se avessero la disponibilità di famiglie e di
Reti maggiormente inserite nei territori, sarebbe possibile
intervenire e coinvolgere anche le famiglie d’origine.
E’ vero che le vicinanze mettono anche in difficoltà perché, in
base ai momenti, ci sono “azioni” disturbanti che le famiglie
in difficoltà mettono in atto. La vicinanza ha vantaggi e
svantaggi.
Quello che va tenuto al centro è che il rapporto tra le due
famiglie deve sempre e solo riguardare il rapporto con il
bambino”.
110
Il progetto scritto come guida e orientamento per la
gestione dell’affido
“Quello che non deve fare mai la famiglia affidataria, è tutto
quello che non è previsto nel progetto concordato con gli
operatori psico-sociali. Dentro il progetto le azioni, i ruoli,
gli obiettivi sono concordati e sono anche definite quali sono
le forme dell’incontro.
Quando c’è un progetto bisogna presidiare anche il fatto
che le famiglie d’origine non lo usino per i loro bisogni, per
alleviare alcune fatiche senza attivarsi e senza partecipare.
A volte è possibile coinvolgere la famiglia d’origine su
alcune piccole cose concrete e “obbligarla”, richiamarla ad
ottemperarle: questo aiuta a star meglio anche il bambino, è
una molla per rinforzarlo rispetto al fatto che i suoi genitori
si stanno occupando e preoccupando di lui concretamente.
Sono cose semplici e pratiche: andare a scuola a prendere la
pagella, parlare con gli insegnanti, comprare uno zaino per
la scuola…”.
Verso la conclusione
“…Come i ragazzini che devono avere consapevolezza dei
limiti e delle difficoltà dei propri genitori, anche la famiglia
affidataria deve decidere autonomamente che tipo di rapporti
tenere con gli ex affidati. Se porre o no dei vincoli, se tenere
la porta aperta per loro sempre e comunque…”.
Sarebbe auspicabile un sostegno che aiuti la famiglia
affidataria a capire come, quando e a quali condizioni
mantenere alcuni rapporti…Crediamo siano importanti i
111
sentimenti che vengono messi in campo, a fronte di un ruolo
che è sempre educativo.
Ai ragazzi che sono in affido, proprio perché non sono
nostri, non è automatico trasmettere che noi possiamo
restare come riferimento, che si è comunque disponibili
anche se l’affido è finito. Con i figli naturali si dà per scontato
- a volte a torto - che ci sia un rapporto all’interno del quale
le condizioni vengono dettate dall’affetto e dalla voglia di
vederli finalmente grandi, adulti, in grado di potersela cavare
nel mondo. Con i ragazzi in affido questo va continuamente
spiegato e riaffermato.
I sentimenti ambivalenti della famiglia affidataria nella
fase di conclusione
“I sentimenti verso famiglie d’origine inadeguate, che
continuano a richiamare i ragazzi a casa per offrire un
“destino fallimentare”, sono difficili da gestire… vanno tenuti
sotto controllo, perché gli affidati hanno sempre bisogno che
la famiglia affidataria voglia bene a quella d’origine, e non
si può far finta, perché se ne accorgono.
Nella fase conclusiva, capita che i genitori d’origine cambino
atteggiamento verso la famiglia affidataria e passino da
rapporti distesi a rapporti più freddi. Anche qui, bisogna
sempre affrontare con serenità la situazione e gestire il
rapporto cercando di tranquillizzare i ragazzi.
Spesso sono famiglie da cui non ci si può aspettare niente,
che non sono in grado, per quello che hanno avuto e per
le possibilità o impossibilità che hanno incontrato… La
famiglia affidataria deve sapere che è normale che si creino
situazioni di difficoltà, senza che questo la faccia troppo
112
arrabbiare: deve sempre avere la consapevolezza delle
fatiche e dei problemi dell’altra famiglia…”.
Come immaginiamo una “buona conclusione”
“Per concludere “bene”, ogni famiglia d’origine dovrebbe
essere accompagnata verso un progetto minimo di
collaborazione, che potrebbe essere anche tratteggiato
da piccole azioni, ad esempio quelle che non ostacolano
l’affido.
Ci sono famiglie che accetterebbero l’aiuto e una vicinanza
educativa ma anche famiglie così in difficoltà, da non potersi
nemmeno concedere di percepirsi fragili o inadeguate.
La chiusura non lascia tranquille le famiglie affidatarie
rispetto alla possibilità che hanno offerto perché, in età in
cui i nostri figli non sono ancora adulti - a 18 anni -, gli
affidati vengono invece considerati in grado di badare a se
stessi. In realtà, sono ragazzi più fragili degli altri a causa
della difficile storia che hanno alle spalle e in più ritornano
in situazioni che non sono pacificate, che rischiano di
fagocitarli.
Noi chiediamo alle famiglie in difficoltà di mettersi in
discussione, ma è una cosa difficile anche nelle famiglie
normali: è una richiesta alta”.
Una “buona conclusione”
“Dipende da quale rientro attende questi bambini. Quando i
bambini rientrano a casa loro, dopo il tempo necessario del
distacco e della sua elaborazione, sarebbe ideale riuscire a
113
mantenere un legame, una possibilità di sentirsi ogni tanto
con la famiglia affidataria.
Ma se un bambino è piccolo, il legame che deve tenere
con la famiglia affidataria lo decide la famiglia d’origine:
istintivamente quest’ultima, con tutta probabilità, reciderà il
legame perché la famiglia affidataria rappresenta per lei il
problema che c’è stato nel proprio nucleo.
Forse è ancora utopistico pensare che le due famiglie
abbiano un vissuto di vicinanza “solidale”, che offra la
possibilità di lasciare la porta aperta e mantenere rapporti
che non siano preclusi a priori…
Però ci sembra che, per i bambini, mantenere il filo, non
recidere i legami potrebbe offrire la possibilità di stare dentro
la continuità di una storia che ha riguardato e riguarda la
loro vita.
Succede spesso che l’affido duri molti anni e che il
bambino, collocato ancora molto piccolo, cresca in un
contesto allargato ai parenti della famiglia affidataria. La
conclusione dell’affido rischia di coincidere con l’apertura
di un mondo sconosciuto quale è diventato quello della
famiglia naturale.
Il vantaggio che, ancora giovani, alcuni ragazzi percepiscono
nel ritornare alla propria famiglia, è il ritorno ad una
situazione con richieste molto più basse rispetto ad esempio
all’impegno, alla responsabilità o ai vincoli e quindi meno
faticose…”.
Conclusione o rientro in famiglia
“Se il bambino deve vivere un’esperienza che non è “a tenuta
stagna” deve avere la possibilità di tenere insieme e trovare
114
i nessi tra le due famiglie: allora qualcuno deve proteggere
e garantire questa possibilità.
C’è il rischio che, alla conclusione dell’affido, la famiglia
affidataria non riesca ad ottenere il “diritto” di sentire il
bambino che ha cresciuto negli anni: sarebbe necessario un
filtro che faccia da specchio e offra mediazione per consentire
di mantenere un minimo legame.
La conclusione dell’affido dovrebbe essere una festa per la
comunità territoriale dove il bambino abita, per sostenere
e supportare il rientro nella famiglia naturale e il distacco
dalla famiglia affidataria .
La conclusione dell’affido è un momento di grande intensità
e fragilità emotiva per gli affidatari. Il distacco è comunque
un passaggio difficile, anche quando il bambino rientra in
una situazione non particolarmente critica. Una delle fasi
dell’affido da curare maggiormente è proprio quella della
conclusione, perché è delicata, non è semplice rinunciare
alla relazione affettiva che si è instaurata, su cui si è investito,
che muove emozioni forti…
La conclusione ideale è immaginata come lo scambio di ruoli
tra la famiglia d’origine e quell’affidataria: c’è il desiderio
di esserci ancora per qualche “rientro”, anche se la famiglia
prevalente torna ad essere la sua.
Sarebbe ideale riuscire a passare alla famiglia d’origine
le “consegne”, non solo “passare il bambino”, ma la sua
storia, quello che sai di lui, mostrarlo per come l’abbiamo
visto, per quello che ci ha dato…
Questo è un passaggio che dovrebbe essere fatto non
solo alla conclusione dell’affido, ma costruito in itinere,
durante l’affido, come momento di restituzione e d’incontro
rituale”.
115
116
conclusioni
Al termine dei percorsi formativi dei gruppi di operatori e di
famiglie affidatarie si conclude il confronto sul percorso di
affido con la convergenza ideale su questa affermazione: “E’
l’ente locale che dovrebbe prendere “in affido” le famiglie
d’origine e che attraverso i servizi sociali può operare per
il benessere di queste famiglie e dei loro figli”.
Le esperienze e i dati disponibili relativi alla realtà provinciale
possono indurre a pensare che, oggi, il collocamento in affido
sia prevalentemente di lunga durata, sine die, e, in misura
minore, un’esperienza transitoria.
La proposta di lavoro con le famiglie naturali arriva troppo
tardi, rivolta a famiglie ormai molto compromesse, con
strumenti inadeguati ai bisogni delle famiglie d’oggi.
Le proposte di lavoro con le famiglie d’origine devono essere
più articolate, vanno sostenuti gli affidi diurni, esplorate le
possibilità d’affido di bambini piccoli come supporti transitori
alle loro famiglie in difficoltà, di affidi rivolti all’accoglienza
di madri giovani con bambini piccoli.
Il territorio provinciale è ricco di esperienze anche innovative
rivolte alle famiglie fragili; probabilmente lo sforzo che è
necessario compiere riguarda la promozione di una cultura
che valorizzi il ruolo sociale delle famiglie e l’accoglienza
diffusa nella normalità, un’accoglienza che intercetta
l’ordinaria fatica e la fragilità delle famiglie.
117
COLLANA “ITINERARI FORMATIVI”
1) Emarginazione grave:
come intervenire, risultati e fatiche.
Atti del Corso di formazione, maggio 2002
2002
2) Affido familiare
tra legge ed operatività.
Atti del Convegno, Bergamo 23 novembre 2001
2002
3) Alzheimer.
La ricerca di nuove letture.
Atti del Convegno, Bergamo 12 aprile 2002
2002
4) A.I.D.S.
2002
Il punto della situazione.
Atti del Convegno nazionale, Bergamo 19 giugno
2002
5) Laboratori di solidarietà giovanile.
Materiali sul rapporto tra handicap e volontariato
2003
giovanile in provincia di Bergamo.
Atti del Convegno, Bergamo 12 ottobre 2002
6) I Servizi Formativi all’Autonomia
in provincia di Bergamo.
Atti del Convegno, Bergamo 7 dicembre 2002
7) I processi di lavoro quotidiano con le famiglie.
Atti del Corso di formazione, 2001-2003
2003
2004
8) La qualità dei servizi integrativi per l’infanzia e 2004
la famiglia.
Atti del Corso di formazione, 2000-2003
118
9) Droga:
come parlare e intervenire con i nostri giovani.
Atti del Convegno, Bergamo 15 aprile 2003
2004
10) Pena Carcere Lavoro.
La giustizia in-divenire.
Atti del Convegno, Bergamo 9 giugno 2003
2004
11) Conoscere per ascoltare.
Indagine sulla Genitorialità Sociale.
Ricerca-Azione multifocale e multilocale
2004
12) Fare posto alle relazioni di cura:
le famiglie accoglienti interrogano la comunità.
Atti del Convegno, Bergamo 26 marzo 2004
2005
13) Comunità Alloggio:
2005
un’indagine sui minori accolti
Ricerca-Azione a cura dell’Osservatorio Disagio
minorile
14) Lavoro di cura:
2005
aspetti critici, significati e vissuti
Atti delle giornate seminariali, aprile-maggio 2003
15) Costruire la qualità:
i nidi famiglia in provincia di Bergamo
Report 2003-2006
2006
16) Progetti extrascuola. Laboratorio di esperienze e 2007
apprendimenti fra sucola, famiglia e territorio
a cura di Floris F., Majer E., Reggio P., Testa B.
119
120
Provincia di bergamo
Settore Politiche Sociali
24121 BERGAMO
via Camozzi, 95
[email protected]
www.provincia.bergamo.it
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