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La comunicazione - Liceo Classico D`Annunzio Pescara

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La comunicazione - Liceo Classico D`Annunzio Pescara
La comunicazione
Comunicare efficacemente significa migliorare le
relazioni e rafforzare la propria leadership
14 aprile 2015
L’interesse per la comunicazione è cresciuto a dismisura
negli ultimi 30 anni: la necessità di ottenere consensi, di
dar peso alle proprie idee, di mettere in comune le
conoscenze e condividerle è diventata sempre più un
BISOGNO
La relazione interpersonale è parte dell’esistenza di ogni
persona, in quanto l’essere umano è un essere sociale.
La comunicazione è un’espressione sociale, un mettere un
valore al servizio di qualcuno
Per comunicare non basta scrivere, disegnare e pronunciare
delle parole
La comunicazione avviene quando l’espressione è compresa
e diventa patrimonio comune per la costruzione di una
discussione, di un sapere, di una cultura.
Siamo nati immersi nella comunicazione, pertanto
per comunicare non basta accontentarsi di aver
trasmesso ciò che volevamo dire, tante volte lo
abbiamo fatto eppure il nostro destinatario non ha
capito o ha travisato le nostre parole.
Apparentemente niente è più semplice del
comunicare. Noi tutti comunichiamo. Basta un cenno
per capire se è sì o è no.
Ma in realtà non c'è cosa più complicata della buona
comunicazione
PARLARE -> dire
qualcosa
a voce per mezzo di
parole
La comunicazione ha una qualità
relazionale che l’informazione non ha!
Lo scopo principale della comunicazione è
proprio l’abilità del mettere in comune, del
partecipare e far partecipare.
Se veramente vogliamo essere efficaci quando
comunichiamo con gli altri dobbiamo mettere il
destinatario in condizione di comprendere ciò
che noi abbiamo trasmesso.
La capacità di comprendere e di farci comprendere è una
capacità complessa frutto di esperienza e competenza
In ambito lavorativo la COMUNICAZIONE è una vera
competenza professionale
Per agire insieme è necessario comunicare, cioè trasferire il
proprio patrimonio di conoscenze, pensieri, aspettative,
sentimenti e progetti da un ambito ristretto e personale ad un
ambito più ampio e condiviso con gli altri
“Il processo di comunicazione è essenziale per far partecipare
il personale e coinvolgerlo nel raggiungimento degli obiettivi
fissati per dare attuazione alla politica aziendale di prevenzione
e tutela”
Linee giuda per un sistema di gestione della salute
e della sicurezza sul lavoro
La comunicazione è un “processo attraverso il quale i
partecipanti creano e condividono
informazioni”.
(Rogers, 1983)
Comunicare significa appunto questo: CONDIVIDERE, METTERE IN
COMUNE QUALCOSA ,la radice del termine risale a termini greci
chiaramente legati al concetto di Comunità
Non si può comunicare allo stesso modo con tutti è quindi
indispensabile cercare sempre nuove tecniche per riuscire a
comunicare al meglio con gli altri.
Riuscire a comunicare non significa solo saper usare le tecniche
giuste ma saper adottare una forma mentis idonea, cioè un
atteggiamento mentale entusiasta e positiva che ci rende delle
persone gradevoli non solo agli occhi degli altri ma anche a noi
stessi.
Come esseri umani siamo portati a creare un’immagine di noi
stessi , un’auto-immagine che generalmente manteniamo ogni
qualvolta ci confrontiamo con gli altri.
L’immagine ideata di noi stessi e degli altri a sua volta influenza
il nostro atteggiamento mentale e spesso cerchiamo di agire e/o
reagire in base a questa: ci comportiamo infatti in modo diverso a
seconda di come percepiamo noi stessi e gli altri.
Esempio: se crediamo che il nostro collega sia superiore a noi, lo
trattiamo in un certo modo, se invece crediamo che sia inferiore
lo trattiamo in un altro modo.
Il punto è che valutiamo queste cose in base al nostro punto di
vista, che non necessariamente rispecchia la realtà.
L’ATTEGGIAMENTO MENTALE
DETERMINA IL MODO IN CUI VEDIAMO
LE COSE
ESERCITAZIONE
Una navicella con 7 posti sta per partire per un altro
pianeta. Intorno alla navicella ci sono 11 persone che
aspirano a partire. Vi ritrovate nella posizione di
dover scegliere le 7 che partiranno e costituiranno il
primo nucleo di una nuova civiltà. Di loro sappiamo
pochissimo, o quasi niente, e tuttavia su queste basi
dovete scegliere chi deve partire e anche rapidamente
Le informazioni a disposizione sono le seguenti:
1 militante nero
2 poliziotto con fucile
3 atleta
4 architetto
5 cuoca
6 falegname cieco
7 dottoressa
8 prostituta
9 ragazza di 16 anni incinta
10 musicista di strada
11 sacerdote
Fra 20 minuti la navicella deve partire!
Quando la navicella con i passeggeri da noi prescelti sta
già viaggiando verso il nuovo mondo, ci arriva un secondo
documento, con informazioni più dettagliate su ognuno dei
partecipanti. Leggiamole
il militante nero è un pacifista, esperto di non violenza e
di gestione creativa dei conflitti.
Il poliziotto con fucile è giovane e atletico leader dei Boy
scouts, uno che userebbe il fucile unicamente per
procurare il cibo con la caccia.
L’atleta è una donna di 70 anni che ha vinto le Olimpiadi
della terza età;
L’architetto mangia solo rape rosse, pianta che non
sembra svilupparsi nel nuovo pianete.
La cuoca ha lavorato unicamente nel carcere di Sing Sing e
ha imparato solo quel tipo di pietanze.
La prostituta è un’ottima cuoca, giovane, allegra e gode di
ottima salute.
La ragazza di 16 anni ha l’aids
Il musicista di strada è uno studente che suona la chitarra.
Il falegname cieco è un famoso maestro delle costruzioni in
legno e sarebbe in grado di insegnare queste abilità a
chiunque.
La dottoressa è una laureata in legge, dirigente della
Pubblica Amministrazione
Il sacerdote è capo di una setta fondamentalista musulmana.
Verificate chi avete deciso di far partire! (Sia individualmente
che in gruppo).
pensare per stereotipi:
incasellando gli altri (e noi stessi) in categorie
preconcette, evitiamo di pensare alla gente in
termini di individui distinti.
Ciò porta a relazioni innaturali, e ci conferisce un
immeritato senso di superiorità o inferiorità,
privandoci inoltre della possibilità di
conoscere e comprendere i lati migliori di
coloro che sono oggetto dei nostri pregiudizi.
siamo tutti esseri umani con
personalità uniche, ciascuno
con i suoi pregi e difetti
Noi esseri umani costruiamo il nostro mondo
comunicando: mettiamo in atto dei comportamenti
che creano atmosfere di qualità o meno.
Qualsiasi interazione umana è ipso facto una forma di
comunicazione.
Di conseguenza, quale che sia l'atteggiamento assunto da un
qualsivoglia individuo, questo diventa immediatamente
portatore di significato, informazioni e messaggi per gli altri e per
sé stessi.
In qualsiasi contesto è assolutamente impossibile sottrarsi al
flusso comunicativo.
Anche senza volerlo esprimiamo sempre e comunque qualcosa su
di noi, sulla situazione che stiamo vivendo o sulla comunicazione
nella quale siamo immersi.
Ogni comportamento è comunicazione:
non si può non comunicare
Anche il silenzio è comunicazione: può
esprimere riflessione, assenso, dissenso,
ostilità…
Il comportamento non ha un suo opposto. Non esiste
qualcosa che sia un
NON COMPORTAMENTO. L’attività o l’inattività,
le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio:
influenzano gli altri e gli altri, a loro volta,
rispondono a questi messaggi COMUNICANDO
Pensiamo per esempio ad un passeggero in treno o in
aereo che siede con gli occhi chiusi o che guarda fuori
dal finestrino: sta comunicando il suo desiderio di essere
lasciato in pace e di non voler partecipare ad alcuna
conversazione.
Ciò implica che noi comunichiamo anche se non
pensiamo di farlo
La comunicazione avviene anche se non è intenzionale o
conscia e il mittente connoterà i messaggi sulla base del
contesto, delle sue esperienze, ecc.
CONTESTO DELLA COMUNICAZIONE
Processo messo in moto da un’azione relazionale
che ci consente di trasmettere e di condividere
con altre persone sia le informazioni sui diversi
aspetti della realtà sociale (elementi oggettivi) sia
gli stati d’animo e le emozioni (elementi
soggettivi).
TANTO PER COMINCIARE….
Quando parliamo di qualcosa, siamo sicuri che
intendiamo tutti lo stesso “qualcosa”????
OGNUNO PERCEPISCE IL MONDO IN CUI VIVE
IN UN MODO UNICO E SOGGETTIVO:
NON COME UNA REALTA’ OGGETTIVA
Chi sa veramente CHE COSA un altro PENSA?
E…COME pensa
Ciascuno pensa di conoscere la “realtà” che però
differisce da persona a persona
Ognuno di noi ha un modo di pensare, parlare e fare le cose
completamente unico.
E questo corrisponde ad un modo di vedere la realtà
completamente differente da persona a persona, come se
avessimo una "mappa", che ci permette di orientarci all'interno
della complessità del mondo.
Ognuno di noi ha la sua Mappa della realtà
Questo è anche uno dei motivi principali per cui spesso
le persone talvolta fraintendono ciò che l'altro dice,
oppure noi stessi parliamo dando per scontato che l'altro
capisca .
Per es. una singola parola come "amicizia" o "amore"
può acquisisce significati e sfumature completamente
diversi da persona a persona.
Vuoi andare a vedere un particolare film, diversi amici
l’hanno già visto e chiedi un parere sul film, alcuni ti
dicono che è un film da non vedere perché brutto e rischi
di buttare solamente soldi, altri, invece, ti fanno venir
voglia di correre al cinema perché te ne parlano in modo
superlativo. Eppure stiamo parlando dello stesso film!
Chiaramente il giudizio che uno ha è estremamente
soggettivo, proprio perché le emozioni che un film
può trasmette sono una rielaborazione attraverso i
filtri sensoriali che il cervello usa per analizzare le
informazioni.
Quindi anche la nostra mappa personale,
che usiamo per interagire con il mondo,
non è la realtà stessa, ma solamente una
rappresentazione filtrata e soggettiva
della realtà!
Ognuno di noi ha una rappresentazione interna e mentale delle
informazioni che i nostri sensi raccolgono dal mondo esterno
I nostri sensi ricevono un numero elevatissimo di stimoli, per
poterli gestire e trasformare in ESPERIENZA dobbiamo
filtrarli eliminando quelli inutili almeno dal punto di vista della
sopravvivenza, cosi da ottenere
modelli del mondo
Il processo di costruzione della mappa inizia con le informazioni che
raccogli attraverso i famosi “cinque sensi”: tatto, udito, vista,
olfatto e gusto.
Nella Programmazione Neuro-Linguistica i cinque sensi sono
raggruppati in tre canali percettivi, denominati VAK, ossia:
V CANALE VISIVO (vista);
A CANALE AUDITIVO (udito);
K CANALE CINESTESICO (gusto, tatto, olfatto ed esperienze
emozionali).
Attraverso i canali percettivi tutti noi “filtriamo” le informazioni che ci
arrivano dall’esterno e costruiamo la nostra MAPPA DEL MONDO.
In ognuno di noi prevalgono uno o due specifici filtri
rappresentazionali rispetto agli altri.
Secondo le nostre tendenze soggettive (tutte le esperienze dirette ed
indirette che si fanno nel corso della vita), usiamo prevalentemente un
canale, sia per organizzare i dati d’elaborazione interna delle percezioni
sia nel comunicare con gli altri.
Un secondo canale è meno forte mentre il terzo, è spesso destinato
(erroneamente) a sparire.
Non è facile capire quale canale percettivo utilizza maggiormente
il Tuo interlocutore, anche se con un po’ di pratica, capacità
d’ascolto e buona volontà, puoi farcela ed utilizzare il suo
stesso“linguaggio” rappresentazionale.
Il visivo è una persona che usa soprattutto il senso della
vista per percepire il mondo e basa le sue decisioni sulle
immagini che riceve.
Supponi che tu sia una persona “visiva” :
al ristorante, rivolgendoti al cameriere dirai: “Ha un menù
cui posso dare un’occhiata?”
Oppure potrai dire ad un amico: "Hai visto cosa è capitato a
Marco?"
L’auditivo è una persona che usa soprattutto il
senso dell’udito per percepire il mondo e che
dipende dalle parole per le informazioni che decidono
il suo comportamento.
Se io fossi un potenziale “auditivo” :
al mio arrivo in stazione, pur avendo il cartello delle
partenze a pochi metri da me, mi rivolgerei al
personale ferroviario e gli domanderei: “Scusi, a che
ora parte il primo treno per Milano?”.
Rivolgendomi ad un amico direi: "Ascolta: ho
saputo una cosa capitata a Marco, tu già la sai?"
Il cinestesico sensoriale è una persona che procede attraverso
le sue esperienze usando l’intuizione. Usa il “sesto senso” nel
prendere decisioni vitali.
Percepisce il mondo attraverso ciò che sente a livello “pelle”. In
questo canale percettivo puoi integrare il senso dell’olfatto, del
tatto e del gusto.
Un cinestesico vive sostanzialmente d’emozioni :
al ristorante, nella scelta di un piatto, dirà al cameriere: “Il solo
nome mi fa venire l’acquolina in bocca…vada per le linguine
tartufate”.
Se dovesse parlare con un amico potrebbe dire: "Sento di doverti
confessare una cosa: ho un brutto presentimento riguardo ciò che
è capitato a Marco. Tu che impressioni hai?"
Secondo la PNL tutto è soggettivo, proprio perché ognuno di noi
ha un suo personalissimo modo di interpretare le sfumature e le
elaborazioni che il cervello fa quando riceve i dati attraverso i tre
canali.
La scelta delle parole della persona che hai davanti è una fonte
importante, che può fornirti indicazioni molto precise. Basta
imparare ad ascoltare con attenzione. Spesso può capitare di vedere
2 persone discutere sempre, anche per motivi futili e banali, il
motivo potrebbe essere solamente l'uso di diversi canali e non il
contenuto del discorso.
Nel momento in cui accetti che la mappa del tuo mondo è la tua
esclusiva elaborazione della realtà, avviene una cosa bellissima:
smetti di giudicare qualcuno per le sue azioni
perchè comprendi che giudicando non tiene conto delle diverse
esperienze passate, convinzioni limitanti, credenze e sistema
rappresentazionale dominante.
Le mappe che formiamo internamente e
utilizziamo rappresentano la nostra
individualità
fatta di scelte, esperienze, interessi
differenziandoci da quelle di ogni altro essere
umano
L’essere umano utilizza costantemente delle mappe per muoversi
nella realtà In ogni momento, nel processo del pensiero, l’uomo
trova risposta alla domanda “cosa significa e cosa farò” e nel farlo
il suo giudizio e la sua decisione sono determinate e determinano le
sue mappe.
“quando una persona affronta un problema, il problema non è
nella realtà stessa, ma nella mappa della persona. C’è quindi
sempre una soluzione. La mappa deve arricchirsi di quelle
scelte che permetteranno alla persona di trovare la soluzione”.
Quando una mappa è impoverita, perchè mancano
particolari importanti, può essere dannosa, e non utile al
suo scopo.
Se, ad esempio, nella mappa mentale di una persona
manca la comprensione che a volte anche le altre persone
soffrono, penserà che “sono dei gran antipatici, perché
non mi hanno salutato con un sorriso”.
Per comunicare al meglio con i tuoi interlocutori è
fondamentale entrare nella mappa dell’altra persona e capire
cosa ci sia nel mondo dell’altro.
Solo così puoi avere un atteggiamento mentale di elasticità e
apertura per comprendere il tuo interlocutore ed avere la
miglior comunicazione possibile con esso.
Ma provate a pensare ai rapporti interpersonali:
un gesto casuale ci può spingere a classificare questo soggetto in
una categoria da cui poi facciamo fatica a spostarlo, anzi da quel
momento in poi cerchiamo di confermare la nostra visione.
Perché?
Perché la nostra mappa non è abbastanza elastica da accettare
nuovi e contrastanti dati di realtà
Spesso più che a conoscere le nostre mappe rigide ci portano a
riconoscere e catalogare in categorie preesistenti e
RASSICURANTI il mondo che percepiamo
NON ESISTONO MAPPE GIUSTE O
SBAGLIATE, VERE O FALSE, MA SOLO
MAPPE FUNZIONALI O DISFUNZIONALI
RISPETTO A CERTI OBIETTIVI, UTILI O
INUTILI PER CERTI INDIVIDUI IN CERTI
LUOGHI E TEMPI
Non si può dire che esista una comunicazione giusta,
efficace, se non in relazione ad un obiettivo.
“Il significato della tua comunicazione è dato dalla
risposta che ottieni”.
Il processo comunicativo è infatti legato ai risultati che se
ne vogliono ricavare, ossia agli obiettivi
Il significato del nostro messaggio non può essere trovato in ciò
che pensiamo di esprimere ma solo nel modo in cui il nostro
interlocutore ci risponde perché è in quel momento che ci
rivela come la sua mappa ha elaborato il nostro messaggio,
indipendentemente dalle nostre intenzioni
È il feedback che ci permette di calibrare quello che
stiamo dicendo per migliorare la comunicazione, è
grazie ad esso che la comunicazione diventa un
processo attivo.
..il
significato di qualsiasi
comunicazione non sta in ciò che
noi pensiamo che significhi: sta
nella reazione che provoca. Se
cercate di fare un complimento a
qualcuno e lui si sente offeso, il
significato della vostra
comunicazione è un insulto…
Bandler e Grindler
Per parlare con una persona è importante si
conoscere la sua mappa ma lo è altrettanto l’ascolto
attivo e l'empatia
Quando si comunica con un’altra persona ci sono
due vie principali attraverso le quali cercare di
comprendere quanto ci sta raccontando.
La prima forma è la comprensione intellettuale,
tipica di chi vuole comprendere i fatti. Chi ascolta è
quindi concentrato sui fatti accaduti e su come si siano
avvicendati.
Il focus è sul cosa l’altro sta raccontando.
La seconda è la comprensione empatica che invece è
centrata sul come il nostro interlocutore stia
raccontando. Il focus è quindi sulle sfumature
emotive che colorano la narrazione è che forniscono
informazioni sullo stato d’animo del narratore
Spesso ci si sente compresi solo quando chi ci
ascolta comprende quello che stiamo vivendo e
non come si sia svolta la vicenda
I tre elementi chiave della comunicazione empatica
La comunicazione empatica che porta a questo tipo di
comprensione si basa su tre elementi principali:
1. trasparenza: evitare di mascherare le proprie reazioni emotive.
Si può non essere d’accordo con qualcuno e glielo si può dire, ma
mentire blocca la comunicazione;
2. autocontrollo: non confondere le proprie reazioni con quelle
dell’altro, né far prevalere i propri bisogni. Non sempre si è a
caccia di consigli;
3. accettazione incondizionata: evitare di giudicare il
comportamento dell’altro, ma focalizzarsi su cosa sente.
Che fare allora per favorire la comunicazione
empatica?
Se lo scopo è quello di comprendere l’altro
innanzitutto bisogna partire dal presupposto che non è
detto che si riesca a comprendere tutto e subito. È utile
chiedere chiarimenti, ad
esempio parafrasando quanto è stato raccontato.
Questo dà modo all’interlocutore di verificare la
nostra comprensione.
L’EMPATIA comincia dall'ascolto e dall'osservazione.
L'atto comunicativo è uno scambio, un continuo palleggio.
Ma per creare un clima empatico dobbiamo prima mostrarci
disponibili ad accedere al suo mondo, con le sue stesse
modalità.
Solo così è possibile incidere nella relazione.
Innanzitutto Cerchiamo di identificare i sistemi
rappresentazionali dell'individuo, ossia le modalità sensoriali
che questi usa per dare un significato tutto suo alle esperienze
vissute.
Poi osserveremo i suoi toni, il suo non verbale, quindi la
postura, la gestualità, i movimenti degli occhi.
In ogni caso occorre fare molta attenzione perché non tutto quello che viene
comunicato arriva al ricevente.
Anzi, di solito:
SI VUOL DIRE
100
SI DICE
70
L’ALTRO ASCOLTA
40
CAPISCE
20
SI E’ INTERESSATO AL
15
ACCETTA
10
CREDE
5
RICORDA
2
25
Il RICALCO è uno strumento sempre affidabile per
rendere la nostra comunicazione più efficace:
RICALCARE significa entrare in rapporto con il destinatario
usando il suo stesso modello del mondo, quindi riproducendo,
in modo naturale e non artificioso, sia la sua postura (corpo
respiro) che il suo tono (emotività) e il suo linguaggio (mente,
pensiero).
Per essere efficace una comunicazione dev'essere
chiara, ovvero non ambigua, e responsabile, ovvero
consapevole e rispettosa dell'altro, delle sue esigenze.
Saper leggere l'altro significa anche sapere cosa non
dire in quello scambio comunicativo, cosa evitare, e
soprattutto quali comportamenti o stili comunicativi
sono inappropriati per il contesto e/o il destinatario
in questione
È fondamentale conoscere strumenti e strategie per comunicare
bene, ma lo è altrettanto conoscere i modi che bloccano la
comunicazione.
All'interno di un atto comunicativo, sia semplice che complesso,
possono entrare elementi verbali e non verbali che interferiscono
con la comunicazione, dando luogo ai cosiddetti blocchi
comunicativi.
Esempi di atteggiamenti non verbali inibitori possono essere
l'utilizzo di una postura chiusa e rigida, guardare
l'interlocutore con uno sguardo troppo fisso, dare segni di
impazienza, distrarsi mentre l'altro parla o mostrarsi
incongruenti tra piano verbale e non verbale.
Provate ad immaginare il fastidio di una persona che dice di
ascoltarvi ma tamburella con le mani mentre fissa l'orologio!
Comportamenti come dare ordini, fare la morale,
giudicare, approvare senza motivo, ridicolizzare o
minimizzare possono sovente inibire l'altro e la sua libertà
di decisione, bloccando la comunicazione e inducendo
l'interlocutore alla "fuga".
Si tratta comunque di indicazioni di massima, poichè
ciascuno ha le proprie modalità più consone e familiari. Un
cinestesico, ad esempio, può infastidire un visivo se vi si
rivolge con le proprie modalità cinestesiche.
Vediamo altre caratteristiche di questi blocchi:
• atteggiamento indagatore più attento ai particolari di ciò che
è accaduto;
• imposizione di soluzioni in base alla propria esperienza. Chi
offre facili soluzioni ai problemi altrui spesso poi si offende
se non viene ascoltato;
• frasi consolatorie generiche che non tengono conto della
specificità della situazione;
• espressione di giudizi personali su cosa sia accaduto.
“Parlare è un BISOGNO,
ascoltare è un TALENTO”
Johann Wolfgang Goethe
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Per fare in modo che l’altro si apra e ci dia l’opportunità di
comprenderlo è necessario dare dimostrazione di
saper ascoltare
Ascoltare non significa stare fermi e non interrompere, è un
comportamento proattivo attraverso cui dimostrare di essere in
grado di comprendere l’altro.
Ascoltare vuol dire prestare attenzione non
solo alle parole ma anche alle emozioni che
l’interlocutore trasmette al di là delle stesse
parole.
Del resto, le parole sono uno strumento creato
dagli uomini per esprimere il proprio mondo
interiore, ma la parola ha valore soltanto nel
momento in cui assume un significato
autentico in chi la ascolta.
“Abbiamo due orecchie e una
sola bocca proprio perché
dovremmo ascoltare il doppio e
parlare la metà”.
Esiste una grande differenza fra sentire ed
ascoltare. Sentire è solo l’atto del percepire le
parole, mediato dall’udito, mentre ascoltare ha un
significato più vasto, oltre a percepire le parole, le
dobbiamo interpretare, comprendere in modo da
fornire una risposta consona alla discussione.
Capita a tutti di disapprovare qualcosa o qualcuno
Ricordiamoci di immettere nel discorso frasi che rafforzino
l’autostima del destinatario, cioè feedback costruttivi
ESEMPIO:
Luigi è un lavoratore che ultimamente è disattento nel suo
lavoro, questa sua mancanza genera delle non conformità che si
ripercuotono negativamente sui colleghi.
“sei il solito incapace, se continui così dovrò prendere seri
provvedimenti nei tuoi confronti”
Feedback puntato sull’identità
“Luigi ritengo che hai sempre svolto al
meglio il tuo lavoro, ma ultimamente
abbiamo ricevuto delle non conformità
relative ad una scarsa attenzione. A mio
parere sei una persona d’esperienza, non
dovrebbe essere un problema per te risolvere
questa situazione…”
In questo modo non attacchiamo la sua identità,
né la sua autostima, ma restringiamo la critica
alla sola area interessata, quella che vogliamo
migliorare.
Un feedback proficuo CONTESTUALIZZA
LA CRITICA COSTRUTTIVA E’ COME UN SANDWICK:
1° STRATO: lode sull’identità (sei una brava persona)
2°STRATO: critica sull’effettiva area di miglioramento (stavolta
ti sei comportato male)
3°STRATO: ritorna una lode (la prossima volta farai meglio)
Ricordiamoci che non sono le persone ad essere
negative, ma lo potrebbero essere alcuni loro
comportamenti, può per questo essere utile dare un
feedback che al suo interno contenga una direzione
verso il miglioramento piuttosto che una critica che
contesti l’identità.
La percezione del
rischio negli
adolescenti
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un incremento di
comportamenti a rischio da parte degli adolescenti
fenomeni quali lancio dei sassi dai cavalcavia, l’incremento
nell’uso di sostanze stupefacenti, le baby band, le stragi del
sabato sera, il bullismo, ecc. sono solo alcuni esempi di
come la percezione dei rischi si evolva e generi
comportamenti dannosi sia per chi li mette in atto sia per gli
altri.
Il concetto di rischio si è evoluto in corrispondenza dei
mutamenti sociali.
Alcuni autori sostengono che l’assumersi dei rischi è insito
nello sviluppo adolescenziale, ma questo può comportare dei
problemi se tali rischi sono socialmente dannosi.
Gli adolescenti e la percezione del rischio
Alcuni autori considerano l’adolescenza come l’età a
rischio per eccellenza in quanto essa è caratterizzata da
inesperienza ed impulsività e quindi i soggetti in questa fase
sono portati a rischiare di più e a non pensare alle
conseguenze delle loro azioni.
L’adolescenza è definita come un periodo di transizione in cui il
soggetto da una parte, si lascia alle spalle l’età infantile e
dall’altra, si proietta nel mondo degli adulti.
Il passaggio di cui si parla non è quasi mai lineare.
In questo periodo gli adolescenti cercano un’identità, una
personalità, delle caratteristiche proprie e delle spiegazioni al
senso della vita.
Inoltre a rendere particolarmente complessa questa fase ci sono
anche i cambiamenti fisiologici del corpo che possono condurre a
crisi d’identità.
L’adolescenza resta in ogni caso l’epoca della vita in cui si
definisce l’identità sessuale, in cui avviene la
trasformazione del rapporto con i genitori, l’inserimento
nei gruppi dei pari, l’avvio di relazioni sentimentali e
sessuali.
Durante questo periodo l’adolescente deve costruire
un’identità autonoma elaborando sul piano emotivo nuove
modalità di relazione con i genitori e con altre figure
significative, integrando nell’immagine di sé il proprio ruolo
sessuale.
Sul piano evolutivo, questa riorganizzazione del sé e delle
proprie relazioni significative comporta rischi di
disorganizzazione, ma è anche accompagnata dall’aumento
di abilità nella regolazione del mondo interno e delle
relazioni sociali e dalla capacità di sintonizzarsi con
l’ambiente sociale e con i coetanei.
Agli adolescenti è richiesto di superare compiti di sviluppo,
termine diffuso da Havighurst (1952), il quale esplicita che, nel
caso in cui tali compiti siano portati a termine in modo costruttivo
e positivo, questo conduce ad una condizione di benessere,
aumento dell’autostima, sviluppo armonioso con il contesto ed
infine pone le basi per il successo del superamento dei compiti di
sviluppo delle fasi successive.
I compiti di sviluppo riferiti all’età adolescenziale riguardano la
sfera personale, la sfera socio-istituzionale, dove si richiede di
fare scelte come la scuola da frequentare, il lavoro, lo sport, di
affrontare il tema accettazione del sé e del raggiungimento
dell’autonomia
E’ un tempo di verifica delle capacità innate e acquisite, dei bisogni
e dei desideri di ogni adolescente
che si prepara ad affrontare le scelte, i distacchi che il passaggio al
mondo degli adulti comporta.
In famiglia, a scuola e con i coetanei l’adolescente, infatti, vive una
rete di rapporti, di esperienze, non solo psicologiche e affettive ma
culturali e sociali, che sono i nodi essenziali per lo sviluppo futuro
della sua persona.
Gli adolescenti rappresentano quindi una fondamentale risorsa
per il futuro di una società e in tal senso è importante promuovere
la loro capacità di fare scelte di salute, di tutelare la propria
integrità fisica e mentale e lo sviluppo di opportunità di
autonomia.
A differenza di quelli che caratterizzano lo sviluppo del neonatobambino, questo periodo è caratterizzato da cambiamenti
coscienti, ed è considerato un periodo universale che tutti gli
individui affrontano.
Oggi viene sottolineato come la cultura di appartenenza, la
società, il sesso, il rapporto con i genitori e le condizioni
economiche rappresentano fattori che plasmano lo sviluppo e che
stanno alla base delle diverse modalità con cui viene affrontato lo
sviluppo adolescenziale.
L’attuazione dei comportamenti a rischio negli
adolescenti è considerata come un mezzo per affermare
la propria identità, per essere rispettati e considerati
dagli adulti.
In particolare, Bonino (2003) sostiene che proprio per
questi motivi alcuni adolescenti passano attraverso
comportamenti ritenuti maturi come sostenere le proprie
idee in pubblico o impegnarsi in progetti di vita, mentre
altri adolescenti hanno bisogno di assumere
comportamenti rischiosi per dimostrare la propria
maturità.
Dietro i comportamenti adolescenziali si nasconde il
bisogno sentirsi adulti ed essere accettati dal mondo
degli adulti.
gli adolescenti ritengono di essere capaci di autocontrollarsi, considerandosi in grado di gestire le
situazioni di rischio. Questo modo di comportarsi può
consolidarsi in cattive abitudini come ad esempio il bere e
l’assumere cannabis, contribuendo così a distogliere
l’attenzione dai reali compiti di sviluppo.
gli adolescenti ritengono di essere immuni dal subire le
conseguenze da fonti di rischio.
Questo fattore è definito anche come ottimismo
ingiustificato.
Nella percezione del rischio, gli adolescenti non sono
giudici accurati dei rischi in cui s’imbattono. La tendenza
è quella di pensare di essere relativamente invulnerabili
e di supporre che solo gli altri siano esposti alle
conseguenze indesiderate dell’esperienza negativa.
Ad esempio chi supera un rischio attribuisce ciò
alla bravura personale, al coraggio e all’abilità. Se
il rischio ha come risultato una delusione o finisce
in tragedia, il fatto verrà spesso ascritto dal
protagonista alla sfortuna o a fattori esterni,
mentre altri ricondurranno tali incidenti e
fallimenti a incompetenze, scarsa capacità di
giudizio e ad altri difetti personali.
Il timore è che l’ottimismo irrealistico possa indurre a
sottostimare la vulnerabilità personale, riducendo la motivazione
ad adottare precauzioni per proteggere la propria salute.
L’invulnerabilità percepita dagli adolescenti, è stata anche definita
da Elkind (1967) come la fiaba personale. La costruzione della
fiaba personale in adolescenza deriva, sia dal sentimento di
invulnerabilità, sia dall’egocentrismo, definito come la tendenza a
proporre se stesso al centro di ogni evento, inoltre, è un sentimento
che fa sentire gli adolescenti come unici, al centro dell’attenzione,
immortali e onnipotenti.
Un fattore che influenzata la propensione verso il rischio è la
curiosità, tipica negli adolescenti.
La curiosità può essere accentuata da fattori sociali e culturali
tra cui, la pressione dei pari e i mass media
Le identità proposte dai media in un certo senso riempiono i
vuoti delle istituzioni sociali e degli
individui stessi offrendo modelli stereotipati di massa cui, tutti
possono fare riferimento per colmare il proprio
vuoto; la problematica individuale è pertanto affrontata con
ricette per la massa.
Come ultimo fattore di riferimento, sembra che gli adolescenti
che ascoltano un tipo di musica dalla quale traggono forti
emozioni, come hard rock e heavy metal, siano coloro che
assumono una varietà maggiore di comportamenti a rischio
rispetto a coloro che ascoltano musica classica o musica
leggera
Un costrutto ritenuto importante per comprendere i meccanismi
attraverso i quali le persone prendono coscienza di sé e che
contribuisce attivamente a determinare le condizioni del proprio
sviluppo positivo è denominato autoefficacia percepita
(Bandura, 1997)
L’autoefficacia è la fiducia che ogni persona ha sulle proprie
capacità di ottenere gli effetti voluti con la propria azione
Non si tratta di una generica fiducia in se stessi, ma della
convinzione di poter affrontare efficacemente determinate
prove, di essere all’altezza di determinati eventi, di essere in
grado di cimentarsi in alcune attività o di affrontare specifici
compiti.
“L’autoefficacia, non è dunque una misura delle
competenze possedute, ma la credenza che la persona ha
in ciò che è in grado di fare in diverse situazioni con le
capacità che possiede” (Borgogni,2001).
La nostra vita è guidata dal nostro Senso di Autoefficacia
che costituisce un importante fondamento per l’azione
In genere le persone con un basso senso di autoefficacia percepita, evitano i
compiti impegnativi i quali vengono percepiti come elementi di minaccia.
Generalmente hanno bassi livelli di aspirazione e si impiegano moderatamente nel
perseguimento degli scopi, in situazioni problematiche tendono a focalizzare sulle
proprie debolezze, sugli ostacoli delle situazioni, sull’avversità degli esiti.
Accade invece il contrario negli individui che hanno un alto livello di autoefficacia
percepita. Queste sono generalmente attratte da compiti difficili che sono
rappresentati come occasioni per mettere alla prova le proprie capacità. In queste
personalità riscontriamo alti livelli di aspirazione e impegno nelle attività volte al
raggiungimento degli scopi prefissati.
L’autoefficacia percepita non agisce solo sulle proprie autopercezioni, ma anche
sul sistema immunitario; per un verso aumenta la tolleranza della sofferenza per
l’altro, attiva difese nei confronti dell’insorgere della malattia, pone riparo agli
agenti patogeni, infine favorisce l’abbandono di condotte patogene.
Un fattore indagato è la qualità delle relazioni con i
genitori, che, se risulta essere positiva rafforza
l’autoefficacia percepita, così da favorire anche i rapporti
prosociali.
Il background familiare come, la separazione dei genitori,
l’adozione e l’essere un figlio illegittimo sembrano essere dei
fattori che influenzano l’assunzione dei comportamenti a
rischio
un ambiente familiare positivo (ad es. relazioni positive tra
genitori e figli, supervisione e coerenza nell’educazione,
comunicazione aperta) sembra essere una condizione
essenziale perché non si manifestino comportamenti
delinquenziali o pericolosi
il supporto genitoriale è il maggiore fattore di protezione
nel favorire la progettualità negli adolescenti e nel
promuovere obiettivi positivi per la propria vita
Queste acquisizioni suggeriscono la necessità di
implementare interventi a livello familiare che sappiano
prevenire problemi tra loro interrelati
La teoria dell’autoefficacia di Bandura trova applicazioni in
vari ambiti, tra cui quello scolastico.
La scuola ha come obiettivo quello di fornire alle persone i
mezzi per adattarsi all’ambiente sociale.
Bandura, analizzando il ritmo incalzante con cui la società si è
modificata nel giro di poco tempo, sottolinea l’importanza di
possedere la capacità di gestire autonomamente la propria
istruzione, per poter restare al passo con i tempi e affrontare le
richieste che la società impone; egli, pertanto, conferisce alla
scuola l’importante ruolo di fornire agli studenti, non solo le
competenze intellettuali, ma anche le convinzioni di efficacia e
la motivazione intrinseca necessarie per continuare a educare se
stessi lungo tutto l’arco della propria vita.
Nell’analizzare il senso di autoefficacia nell’ambito
scolastico, Bandura prende in considerazione non solo
l’influenza che l’autoefficacia degli studenti ha sulle loro
prestazioni, ma anche il ruolo degli insegnanti nel motivare e
promuovere l’apprendimento degli alunni
Numerose ricerche hanno evidenziato come non sia tanto la
capacità di un soggetto a determinarne le prestazioni, ma il
suo senso di autoefficacia, che consente all’individuo di
utilizzare al meglio le proprie abilità
L’obiettivo principale della scuola è di educare gli studenti ad
essere aperti alla conoscenza, responsabili, socialmente ben
adattati e cittadini partecipi.
formare studenti ben preparati nelle materie scolastiche non può
prescindere dall’insegnare ad interagire nelle situazioni sociali in
modo competente e rispettoso, a mettere in atto comportamenti
positivi e sicuri, a fornire un contributo responsabile nel gruppo
dei pari, nella famiglia, nella scuola, nella comunità
sviluppare le competenze necessarie alla costruzione della loro
posizione lavorativa e sociale
I progetti dovrebbero mirano ad incrementare il coinvolgimento
degli studenti nelle attività della scuola ed a sviluppare le
principali abilità psico-sociali degli studenti:
-riconoscere e gestire le loro emozioni,
-apprezzare la prospettiva degli altri,
- stabilire obiettivi positivi,
- responsabilizzarli
-affrontare in modo efficace le relazioni interpersonali
Lo sviluppo di tali competenze mira a ridurre i fattori di rischio
e a sostenere i fattori di protezione
L’ essere coinvolti in azioni prosociali incoraggia i giovani a
prendere parte ad attività di aiuto e solidarietà.
Durante l’adolescenza, assume particolare importanza per i
giovani avere l’opportunità di interagire con coetanei ben
adattati e di rivestire ruoli nei quali possano dare un
contributo al gruppo (la scuola, il quartiere, il gruppo dei pari o
la comunità più ampia )
I programmi che promuovono norme prosociali e che devono
incoraggiare i giovani ad assumere credenze positive devono
avvenire attraverso:
1. approccio informativo fornisce ai giovani dati che rivelano
l’esiguità dei loro coetanei che fanno uso di sostanze illegali, in
modo da indurli a capire che essi non è necessario di far uso di
droghe per sentirsi “normali”.
approccio partecipativo, incoraggiare i giovani a prendere
l’impegno esplicito, in presenza del gruppo dei pari o dei loro
insegnanti; coinvolgono i ragazzi più grandi nel mostrare buoni
standard di comportamento ai ragazzi più piccoli; (Promuovere
l’utilizzo del tutoring fra pari, in cui studenti più grandi che
possiedono maggiori conoscenze insegnano a quelli più giovani.
Nell’assumere il ruolo di insegnante, i tutor acquisiscono una
maggiore padronanza nelle materie scolastiche, sviluppano abilità
sociali e di comunicazione );
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