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Insegnare a risolvere problemi verbali: “parolacce”, domande

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Insegnare a risolvere problemi verbali: “parolacce”, domande
per piacere, voglio ‘contare’ - Difficoltà, disturbi di apprendimento e didattica della matematica
GRIMeD 18
Insegnare a risolvere problemi verbali:
“parolacce”, domande, tabelle, …
Daniela FOSSI 1
Riassunto
Nel presente lavoro viene proposto un metodo per la risoluzione dei problemi verbali, del
tipo di quelli contenuti nei libri di testo, a cominciare dalla comprensione del testo con la
ricerca del significato delle parole non conosciute fino alla scrittura dei dati e di tutte le
domande possibili da ordinare in una tabella collegandole poi alle operazioni da eseguire per la costruzione dell’algoritmo risolutivo.
Introduzione
Nell’anno scolastico 2009/2010, nell’ambito del percorso di ricerca/azione di Matematica
della Piana Pistoiese, è stata avviata una sperimentazione sulla risoluzione dei problemi che
è proseguita negli anni ed attualmente riguarda una classe prima e una seconda. Pur consapevoli dell’assoluta importanza di proporre problemi legati alla realtà (ZAN, 1998;
D’AMORE, 2000), abbiamo tuttavia preso atto della necessità che gli alunni sappiano anche
risolvere i problemi verbali dal libro di testo (PISCITELLI et ALII, 2007): basti ricordare che
questa modalità è spesso presente nei test nazionali o internazionali e comunque è considerata parte importante dal bagaglio di competenze scolastiche. Ci siamo allora chiesti se e
come si possa acquisire questa competenza attraverso attività di tipo laboratoriale.
Inizialmente l’attenzione si è focalizzata sulla comprensione e analisi del testo di problemi aritmetici e geometrici del libro, alla ricerca della relazione tra le parole e il loro significato. L’approfondimento della relazione tra dati e tutte le domande possibili ha condotto
gli alunni ad una consapevolezza dei percorsi logici che stanno alla base della risoluzione
di un problema, arrivando quasi ad una “scansione” del percorso che fa la mente di un alunno che sa risolvere problemi. Queste fasi, che riassumeremo brevemente nel seguito,
sono presentate nell’attività “Problemi e parolacce” del Piano Nazionale PQM.
Successivamente, abbiamo realizzato una tabella, come luogo dove organizzare tutto il
lavoro, che ciascun alunno può modificare secondo le proprie esigenze e che si è rivelata
utile anche per alunni con difficoltà.
Quest’anno l’esperienza è iniziata fin dai primi mesi e si protrarrà anche nel secondo
quadrimestre, portando per alunni e docenti l’immancabile entusiasmo che un’attività laboratoriale di ricerca/azione di Matematica regala.
Il metodo sistematico di lavoro è stato una caratteristica della nostra esperienza, alternato
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Istituto Comprensivo Statale “E. Fermi”, Casalguidi (PT)
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a momenti più conviviali e distesi ma non meno importanti che hanno vivacizzato e arricchito di significato le normali attività del curricolo di matematica apportando in più il divertimento e la gratificazione del gioco. La metodologia usata è stata dunque quella laboratoriale e di ricerca. L’insegnante guida l’esplorazione, coordina discussione e verifica,
ponendo domande stimolo e organizzando il lavoro dei diversi gruppi, ma il lavoro principale viene svolto autonomamente dai ragazzi, a scuola o a casa. Si raccomanda infatti di
non fare uso occasionalmente di questa metodologia, ma di richiedere una esercitazione
costante, al fine di permettere a tutti gli alunni (in particolare a quelli più deboli) di trasformarla in un metodo efficace di lavoro.
Alcuni risultati positivi da parte di alunni con difficoltà in matematica o anche solo manifestazioni di consenso e di entusiasmo nel loro coinvolgimento, hanno rappresentato una
verifica positiva dell’attività proposta.
Ha costituito verifica del metodo anche saper usare oralmente in modo corretto le parole
durante le attività in classe; il metodo proposto è stato usato spontaneamente nelle verifiche sia in prima che nella seconda classe: ha aiutato gli alunni bravi ad organizzare il loro
lavoro e per quelli meno bravi è stata importante la rassicurazione che viene dall’avere in
mano un metodo di lavoro.
Ancora una volta il gruppo di Ricerca/azione è stato di fondamentale importanza; infatti,
sebbene inizialmente l’esperienza mostrasse segni di costrizione nell’indagine di classificazione sistematica, proprio con questa e con il confronto e il conforto del gruppo, ho potuto intraprendere un vero e proprio viaggio all’interno dei percorsi metacognitivi prima
personali e poi degli alunni.
Fase 1: Analisi del testo: “le parolacce”
L’insegnante sceglie nel libro di testo una serie di pagine con i problemi e ciascun alunno,
dopo averli letti, scrive i termini a lui sconosciuti o poco chiari oppure frasi difficili. Il lavoro di scelta delle parole si può dare come compito a casa, senza però ricorrere all’aiuto
di genitori, amici o del vocabolario, oppure a scuola, ciascuno per conto proprio senza
l’aiuto dell’insegnante o del vocabolario o altre consultazioni. A scuola, tutti insieme, le
parole vengono messe in ordine alfabetico e ne viene dato il significato dagli alunni stessi, oppure con l’uso del vocabolario o la consultazione di internet.
Si crea così la lista delle “Parolacce” all’interno della quale abbiamo evidenziato le parole
che non trovano alcuna spiegazione tra gli alunni, quelle che in realtà “nascondono” nel
loro significato l’applicazione di una operazione o un numero e quelle (”le Parolacce
doppie”) che nascondono un’operazione e un numero.
Le liste vengono attaccate sia su cartelloni in classe, sia sul proprio diario di bordo o quaderno, facilmente consultabili al bisogno e tenute aggiornate costantemente con eventuali
nuove parole.
In tutta questa prima fase l’intervento dell’insegnante è limitato a quello di moderatore,
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cercando cioè di non interferire con i loro processi di apprendimento ma lasciare che siano loro a scoprire le cose.
Fase 2: Comprensione del testo: la riscrittura dei problemi
Una volta definito il corretto significato delle parole e la comprensione dei problemi si fa
più immediata, si può passare alla riscrittura dei problemi in versione “difficile” e “facile”
sostituendo cioè le “parolacce” con il significato che gli alunni hanno dato loro (Fig. 1),
scoprendo che alcune parole se sostituite con altre non cambiano il senso della frase, altre
invece non possono essere cambiate, ma solo sostituite con sinonimi o frasi che hanno il
medesimo significato.
Figura 1
Gli alunni sono invitati a divertirsi a inventare problemi con più “parolacce”, risolverli
per verificare il lavoro svolto e consegnare il testo e la soluzione del problema all’insegnante, il quale procederà a scambiare i problemi fra i gruppi: saranno loro stessi a correggere i problemi e l’insegnante farà da supervisore. Si abituano così a fare attenzione e
a riflettere sul significato delle parole del testo e imparare anche attraverso l’errore: sbagliando una parola cambia tutto!
Naturalmente il lavoro prima individuale, poi in gruppo e infine lo scambio tra gruppi,
offre numerose opportunità di riflessione e quindi di miglioramento sia per gli alunni che
per i docenti.
Fase 3. Relazioni tra dati e domande: Farsi le domande
La stesura della risoluzione di un problema prosegue con la successiva scrittura dei dati e
delle richieste cui fanno seguito i vari passaggi logici, che possono seguire strategie più o
meno diverse. Sui libri di testo si trovano vari metodi: tradizionale, con espressioni, grafico, top down e bottom up, diagrammi di flusso; sono tutte strategie valide che vengono
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usate normalmente a scuola per insegnare agli alunni come risolvere problemi. Molto
spesso si tratta di addestramento ad eseguire quel particolare metodo, poiché niente è detto sulla logica delle operazioni da fare, sull’algoritmo del problema.
Perciò ci è sembrato necessario andare a scoprire meglio il senso della relazione tra dati e
domande proseguendo il lavoro secondo questa scaletta, da proporre agli alunni:
a) Farsi tutte le domande
Fatti tutte le domande possibili sul testo del problema, scoprile in ogni angolo del problema, anche le più banali, e scrivile.
b) Scelta e sequenza delle domande:
Metti in ordine le domande, in sequenza, partendo da quella “più vicina” ai
dati o alle richieste del problema (chiediamoci: a quale domanda puoi rispondere con questi dati?);
• da questa poi passa ad un’altra domanda (chiediamoci: e ora con questi nuovi
dati a quale domanda puoi rispondere?) e così via fino ad arrivare alla fine;
• contemporaneamente cancella quelle domande che non interessano, perché
magari non pertinenti al testo, mantenendo ben evidente e distinta la richiesta finale del problema;
• scegli un percorso, se ne trovi diversi, ma mantieni la rotta!
•
c) Sequenza delle operazioni:
L’ordine delle domande dà la sequenza dei passaggi logici e quindi delle operazioni da
eseguire; dai dati iniziali si trovano così risultati che saranno nuovi dati (dati intermedi)
per trovarne altri fino a raggiungere la soluzione finale.
Questa fase viene inizialmente affrontata a classe intera, dove ogni ragazzo dà il proprio
contributo e l’insegnante indirizza e incoraggia gli alunni a farsi domande: diventa ben
presto un vero e proprio metodo di lavoro, adottato spesso spontaneamente nella risoluzione dei problemi sia a casa che nelle verifiche, da alunni bravi e meno bravi. Gli alunni
con difficoltà logiche, in particolare, sono rassicurati dall’aver un metodo di lavoro.
Sono scandite tutte le tappe metacognitive (“è come far andare a rallentatore il pensiero
logico”, secondo l’efficace sintesi di un’alunna) che saranno fissate poi con la scrittura: c’è
chi queste tappe le percorre velocemente (quelli che sono bravi a fare i problemi), chi le
confonde e chi le mette in disordine (quelli che sono meno bravi), c’è chi le fa lentamente ...
Allenandosi, i buoni risultati non tardano a venire.
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La Fig. 2 riassume lo schema del percorso.
Figura 2
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Durante questa delicata fase ci sono dei punti di crisi:
• Quando inizialmente vanno fatte tutte le domande possibili, anche a costo di
chiederci “a che ora passa l’autobus 14?” si può rischiare la noia, il disinteresse, la stanchezza: farsi le domande può anche stancare perché costringe
gli alunni a pensare. É necessario che l’insegnante resista (un pizzico di ironia e gioco aiuta…): con la pratica impareranno a scrivere solo domande
“sensate” e le altre non le scriveranno più, anzi diventa questo per loro il
momento più interessante.
• È necessario che l’insegnante indirizzi gli alunni nel mettere in sequenza le
domande, almeno le prime volte (qual è la prima domanda a cui puoi rispondere con questi dati?), dando un ordine numerico partendo da quella più vicina ai dati del problema e così via fino alle richieste del problema o viceversa.
• In questo modo (come si notava sopra) si impara in concreto a operare anche
una scelta nelle domande, lasciando solo quelle BUONE.
• Con la sequenza delle domande il problema è quasi risolto, lo sforzo è già stato fatto, infatti la sequenza stessa detta il ritmo delle operazioni necessarie.
Ovviamente occorre che gli alunni abbiano chiaro quale operazione sia da collegare a una particolare azione da eseguire sui dati… questo potrà essere oggetto di attività introduttive o di recupero.
• Il sistema di scrivere tutte le domande è abbastanza oneroso ma snellire il
procedimento è possibile con l’uso di abbreviazioni o simboli matematici,
uso che può essere applicato anche ai dati (Fig. 3, pagina seguente)
L’insegnante può pensare che gli alunni che sanno fare i problemi si annoino; molto spesso invece serve anche a loro per mettere ordine nei loro percorsi logici, trasformando in
percorso esplicito e razionale quella che in molti casi è solo una intuizione (come confermato dalle ricerche sui risultati deludenti alle domande aperte nei quesiti INVALSI 2).
Quelli con difficoltà logiche si impossessano presto e volentieri di questo nuovo modo:
anche se i risultati non saranno subito esaltanti, quantomeno non fuggiranno più dai problemi e avremo una drastica riduzione dei “compiti in bianco”!
Fase 4 La tabella, ovvero … Il “Mettiapposto”
Nella consapevolezza che la risoluzione dei problemi trae grande giovamento dal “farsi
domande”, ci si rende conto che il procedimento richiede comunque uno snellimento.
L’idea del cambiamento è venuta proprio in una classe con alunni con difficoltà diverse:
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Il sito dell’Invalsi permette di consultare tutti i documenti relativi alle valutazioni predisposte dall’Istituto
(quadri di riferimento, domande rilasciate, analisi e rapporti) nonché di accedere alla documentazione relativa alle principali analisi internazionali (WEBgrafia, 2).
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Figura 3
DSA, sindrome di Asperger, extracomunitari con scarsa padronanza della lingua italiana.
I problemi sono stati affrontati fin dalla prima classe seguendo il nostro percorso fino a
farsi le domande e a metterle in sequenza; questo passaggio è stato snellito scrivendo le
domande subito con i simboli matematici.
Questo accorgimento però non è stato sufficiente a velocizzare il metodo: finché erano
problemi aritmetici semplici tutto è andato abbastanza bene ma quando siamo arrivati alla
frazione come operatore, oltre alle difficoltà del resto della classe, si sono fatte sentire so-
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prattutto quelle degli alunni più svantaggiati. Tutto l’itinerario richiedeva per loro troppa
attenzione; anche gli altri, pur riconoscendo l’utilità del metodo, lo ritenevano ancora
troppo lungo. Quindi era necessario un aggiustamento radicale.
Guardando lo schema di “Anatomia di un problema” mi sono resa conto che potevo usarlo direttamente e non lasciarlo appeso in aula: la tabella poteva diventare il cantiere di lavoro dei problemi!
La proposta è stata fatta all’intera classe
presentandola come un modo per mettere
in ordine tutto il problema: dati, richieste
finali, domande e operazioni. Ho così preparato una tabella a doppia entrata dove i
titoli delle colonne sono chi è, cosa è, che
frazione è, quanto è (Fig. 4) .
I titoli delle colonne possono naturalmente
cambiare in base al tipo di problema da risolvere: per es: la voce “cos’è” è adatta per
i problemi di geometria e può essere saltata
quando sono di aritmetica; è spesso omessa
Figura 4
dagli alunni più bravi.
I “titoli” delle righe sono i dati, le richieste e tutte le domande possibili anche non in sequenza. Dopo averli inseriti si creano così dei vuoti che gli alunni devono riempire con
quello che hanno a disposizione: essi hanno tutto lì, davanti a loro, in uno schema “ordinato” che a sua volta richiede “ordine” e completamento.
Disegnando la tabella sul quaderno, gli alunni si abituano ad uno schema, e si aiutano da
soli a mettere nero su bianco il percorso da fare, adattandolo quindi al pensiero di ciascuno.
Davanti all’uso della tabella ci sono stati diversi tipi di comportamento:
• Un alunno con DSA ha espresso notevole apprezzamento, perché ora riesce a
fare i problemi, in questo modo tutto è a posto: era solo un problema di ordine ;
l’altro alunno diagnosticato con DSA (ma che mostra anche alcuni problemi cognitivi) non ha gradito molto perché non rientra nella sua forma mentale ma di
fatto è migliorato.
• L’alunno con sindrome di Asperger ha capito come si fanno i problemi: la collaborazione con l’insegnante di sostegno è stata, come sempre, determinante;
dopo aver assistito alla spiegazione dell’uso della tabella, l’alunno è stato invitato, con successo, dall’insegnante di sostegno a risolvere problemi in questo
modo. Ora l’uso della tabella è limitato agli approcci iniziali di problemi di
nuova tipologia (Fig. 5, pagina seguente).
• Altri alunni rifiutano la tabella perché credono che sia solo per quelli meno
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Figura 5
bravi o semplicemente perché è troppo faticoso disegnarla. Però anche
l’alunna più brava, in una verifica con problemi inversi, si è avvalsa dell’uso
della tabella prendendo al volo il consiglio dell’insegnante: quando vi trovate
al perso utilizzate la tabella e fatevi le domande… Detto e fatto!
• Di solito agli alunni non piace fare la tabella perché sembra una perdita di
tempo anche se capiscono che può servire: per questo ne abbiamo allestito una
standard stampata e fotocopiabile. Altri ne limitano l’uso ai primi approcci
oppure basta loro semplicemente vederla costruire una volta alla lavagna
dall’insegnante o da un compagno. Ma dopo i risultati dell’ultima verifica
molti si sono ricreduti sul suo uso: il bisogno di mettere ordine è una necessità
per tutti! Per evitare l’uso della fotocopia che può sembrare troppo da piccoli,
la cosa più semplice è disegnare una tabella a lapis che poi può anche essere
cancellata e dare al problema l’aspetto consueto.
• Una extracomunitaria che parla male l’italiano, è riuscita finalmente a fare
semplici problemi perché la tabella è meno legata alla lingua.
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• Naturalmente ognuno può usare il sistema che è più congeniale per lui o per
lei (Fig. 6). Il fatto che sia vista come un ambiente di lavoro rigido è nello
stesso tempo una sicurezza per ciascuno.
Figura 6
Questo modo di fare problemi è stato da poco proposto anche alla classe prima di
quest’anno: una metà non ha gradito (troppo faticoso …), ma l’altra metà, anche ragazzi
bravi in matematica, l’ha fatta subito propria; l’alunno con DSA l’ha adottata, ma non è
ancora arrivato al suo pieno utilizzo perché deve ancora recuperare tanto del suo disordine interno ed esterno ...
Il progetto di Continuità di quest’anno prevede come argomento proprio la risoluzione dei
problemi e vista anche la presenza di alunni con DSA nella classe 5a , il lavoro si fa anche
più interessante: quando ci faranno visita, potremo far vedere loro quello che gli alunni
della prima media sono riusciti a fare: scrivere per loro problemi in versione sia difficile
con le parolacce, sia facile, mette in moto l’entusiasmo e la voglia di fare. Quando poi
renderemo la visita, troveranno un’altra sorpresa: proveremo a risolvere i problemi con il
metodo di farsi le domande dentro la tabella …
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Bibliografia
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http://risorsedocentipon.indire.it/offerta_formativa/e/index.php?action=materiali&lms_id=85&profilo=attivita&area=a
2) INVALSI, sul sito:
http://www.invalsi.it/areadati/swdati.php?page=generale
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