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Arte e politiche culturali: il caso del quartiere Isola di Milano

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Arte e politiche culturali: il caso del quartiere Isola di Milano
Corso di Laurea magistrale (ordinamento ex
D.M. 270/2004) in Storia delle arti e
conservazione dei beni artistici
Tesi di Laurea
Arte e politiche culturali:
il caso del quartiere Isola di
Milano
Relatore
Ch. ma Prof.ssa Roberta Dreon
Correlatore
Ch. ma Prof.ssa Stefania Portinari
Laureanda
Valentina Negri
Matricola 837882
Anno Accademico
2013 / 2014
A Gloria, mio esempio
Mari, mia forza
Buga, mio eroe
1
INDICE
Introduzione
p. 4
Capitolo I
Il quartiere Isola
I.1
Milano-Isola: il quartiere paese
p. 8
I.2
Progetto Porta Nuova: riqualificazione dell'area
Garibaldi-Repubblica-Isola-Varesine
I.3
p. 11
Dietro al progetto Porta Nuova: riqualificazione
e gentrification
p. 17
I.4
(Ri)progettare lo spazio
p. 25
I.5
Dalla città ideale al diritto alla città
p. 28
Capitolo II
La pratica artistica come opera in atto nel campo sociale
II.1 Uno sguardo all'arte degli anni Sessanta e Settanta
p. 32
II.2 Milano anni '70 e '80: tra occupazioni e collettivi
p. 39
II.3 Un'azione collettiva nell'ex-fabbrica Brown Boveri
p. 47
Storia dell'edificio
2
L'occupazione dell' ex-fabbrica nel 1984
L'esposizione e le opere
SCHEDA: le Officine del gas Bovisa
p. 57
I progetti di riqualificazione dei gasometri
II.4 Dalla Brown Boveri al Condensatore Culturale
p. 61
Il Condensatore culturale o “Stecca 3”
Macao e l'occupazione della Torre Galfa
Capitolo III
L'arte come strategia
III.1 Il campo dell'arte all'interno del campo del potere: l'arte
pubblica nel dibattito politico
p. 69
III.2 La nascita di movimenti in opposizione ai nuovi progetti urbanistici:
l'esempio di Isola Art Center
p. 78
III.3 Cantieri Isola, Comitato I Mille, Out
p. 81
III.4 La nascita di Isola Art Center nel 2005
p. 89
III.5 L'abbattimento della Stecca degli Artigiani nel 2007: Isola Art Center
dal dirty cube al cubo diffuso o centro disperso
p. 98
III.6 Il progetto di Isola Pepe Verde
p. 107
III.7 Isola Arte Center dal 2012 a oggi
p. 109
Bibliografia
p. 113
Sitografia
p. 120
Appendice
p. 121
3
Introduzione
Questo lavoro nasce dall'analisi dei cambiamenti di assetto e di “forma” del tessuto
urbano in particolare della città di Milano, che hanno portato ad avanzare una
lettura più ampia al fine di cogliere le nuove dinamiche di soggettivazione e di
assoggettamento che si svolgono all’interno del tessuto urbanistico e sociale.
In queste dinamiche si è cercato di esaminare la maniera in cui si inseriscono
alcune pratiche che si sviluppano nell'ambito di progetti artistici autonomi con lo
scopo di dare vita a una sperimentazione e progettazione di nuovi modelli di
socialità che vogliono essere collettivi e relazionati con lo spazio (nell'accezione di
luogo portatore di identità e storia) nel quale si trovano ad agire e i problemi a esso
legati.
Nel primo capitolo si è ricostruita brevemente la storia del quartiere Isola non tanto
seguendo una cronologia ma attraverso la narrazione delle sue principali
caratteristiche riunite sotto la metafora del quartiere come 'paese': la delimitazione
del suo perimetro dato dal tracciato dei binari ne ha determinato per molto tempo un
distacco dal resto della città, un'insularità che ha contribuito a plasmarne il carattere
popolare e paesano degli abitanti; dall'inizio del Novecento si caratterizza per la
forte componente operaia derivata dalla presenza di molte fabbriche che si
installano nel territorio, tra le quali la Tecnomasio italiano Brown Boveri, l'Elvetica,
la Pirelli e la Heinemann; con la seconda guerra mondiale Isola diviene roccaforte
antifascista e culla della malavita milanese, la 'ligera', nella quale spicca la figura di
Ezio Barbieri detto il boss dell'Isola.
Architettonicamente anche le abitazioni rispecchiano il carattere operaio dell'Isola e
la sua evoluzione nel tempo: dalle abitazioni con i tipici ballatoi e cortili interni alle
costruzioni del razionalismo architettonico degli anni trenta edificate per mano di
Terragni e Lingeri.
4
Questo riassuntivo profilo del quartiere è essenziale per comprendere poi la seconda
parte del capitolo con la quale si è introdotto in maniera generale, nei suoi tratti
fondamentali, il Progetto Porta Nuova: approvato nel 2000 dal Consiglio Comunale
di Milano, il quale, all'interno del disegno più ampio di inquadramento delle
politiche urbanistiche “Ricostruire le Grande Milano”, individua la zona di IsolaGaribaldi come strategica e come potenziale nuovo centro istituzionale; un piano di
riqualificazione urbana, dunque, che mette in atto cambiamenti sostanziali nella
grammatica del quartiere Isola: a partire dalla demolizione della Stecca degli
Artigiani e dei giardini adiacenti per far posto alle nuove costruzioni che vanno a
comporre lo skyline milanese.
Di fatto la città di Milano, come molte altre città a livello europeo, è entrata ormai
da anni in quel meccanismo di sviluppo urbanistico-economico al fine di rendersi
competitiva nelle nuove gerarchie globali e garantirsi una nuova visibilità, anche
attraverso eventi di risonanza mondiale come l'Expo 2015. Si tratta di cambiamenti
che non coinvolgono solamente la trama urbanistica del luogo ma anche, e
soprattutto, quella sociale della popolazione che vi abita; la crisi dei modelli
urbanistici va posta in relazione con un'elaborazione, ugualmente difficile e
complessa, più ampia in grado di interrogarsi sui nuovi equilibri che si vengono a
formare, che causano esclusioni di fette della popolazione e portano in certi casi a
una sottrazione di risorse alla popolazione locale da parte di multinazionali.
Questo ha portato ad analizzare i concetti di riqualificazione e gentrification che
sottendono a disegni urbanistici di questo tipo, senza pretesa alcuna di esaurire il
discorso qui, ma con il semplice intento di esaminare il progetto non solo dal punto
di vista tecnico ma di integrarlo in un discorso più articolato in un'ottica
sociologica.
Si è considerata la nozione di spazio come risultato dell'intreccio tra economia,
politica e azione sociale, portando a sostegno la lezione di Lefebvre, nel tentativo di
analizzare i nodi sui quali riflettere nell'ottica di un ri-disegnamento dello spazio
stesso basato sulla riflessione di diritto alla città, ovvero di una città che incorpori
nel suo disegno le risposte ai bisogni dei suoi cittadini attraverso un'azione
partecipata e radicata nel concetto del quotidiano, in una considerazione dello
5
spazio stesso più qualitativa che quantitativa.
In questo contesto la pratica artistica svolge un ruolo unificatore tra il luogo fisico,
la città, e coloro che la abitano divenendo opera in atto all'interno del campo
sociale, sviluppando cioè una ricerca pratica e teorica che agisce nel rispetto delle
infrastrutture sociali e culturali. Un'arte che esplora i confini, che si destruttura per
ricostruirsi in processi relazionali inseriti nella dimensione quotidiana e che produce
opere interdisciplinari che sconfinano in linguaggi innovativi al fine di interpretare
la complessa metafora tra arte e vita.
Si sono dunque esplorate le radici di questo sconfinamento dell'arte e della sua
evoluzione iniziata sull'onda delle contestazioni del '68 dove molti artisti, nel
quadro di denuncia del sistema culturale dominante, hanno percepito l'esigenza di
dirigere la propria pratica oltre i confini degli spazi convenzionali dell'arte, quali
gallerie e musei, per contaminare lo spazio sociale e cambiare i rapporti stessi tra
arte e pubblico cercando la corrispondenza tra arte e vita; in particolare nel contesto
specifico della città di Milano che vede nascere e operare sul territorio una serie di
gruppi e collettivi artistici autogestiti e interventi spontanei le cui azioni ruotano
intorno al ruolo politico e sociale dell'arte.
Un modo di operare che, in parte, si è riflesso nell'occupazione della ex-fabbrica
Brown Boveri negli anni '80, qui analizzata, per opera di un gruppo di
artisti/studenti guidati dalla figura di Corrado Levi con l'intento di appropriarsi di
uno spazio in autonomia all'interno della città di Milano che ancora non aveva una
rete di strutture e istituzioni di supporto all'arte contemporanea.
In ultima analisi si è si è preso in considerazione il caso di Isola Art Center, un
esperimento/laboratorio artistico e sociale che, nato dall'occupazione della stessa
ex-fabbrica Brown Boveri divenuta poi Stecca degli Artigiani, sviluppa un legame
con lo spazio pubblico e urbano inserendosi nella lotta a specifiche dinamiche
urbanistiche e cittadine. Il suo spazio d'azione è quello urbano nel quale le pratiche
e gli eventi vengono territorializzati promuovendo una fusione tra arte e vita
quotidiana coinvolgendo direttamente gli abitanti del quartiere e operando nel loro
interesse, in risposta a dei bisogni soffocati dalle dinamiche del progetto urbanistico
in atto citato precedentemente.
6
Si è seguita l'evoluzione e la ricostruzione della storia di questa piattaforma di
sperimentazione per l'arte contemporanea 'no-budget' e autogestita, dalla sua nascita
all'interno dei locali della Stecca degli Artigiani dove nascono i primi eventi e le
prime mostre in una filosofia dell'operare in un dirty-cube, e nella maniera fightspecific, inserendosi nel più ampio dibattito dell'arte contemporanea introdotta negli
spazi pubblici.
La metodologia utilizzata è stata quella di una ricostruzione cronologica degli
eventi, scelti all'interno della folta programmazione sviluppata negli anni, messi in
moto da Isola Art Center soffermandosi su quelli più rilevanti nel percorso del
progetto e relazionandoli di pari passo ai cambiamenti e alle problematiche derivate
dall'avanzare del progetto urbanistico Porta Nuova.
Un evento tra questi molto significativo, che segna un'importante cesura e nodo di
svolta nella natura di Isola Art Center e nel territorio del quartiere, è l'abbattimento
nel 2007 della Stecca degli Artigiani: Isola Art Center si trova senza una sede fissa e
inizia dunque a operare ospitando le proprie azioni all'interno di altri spazi messi a
disposizione dai commercianti all'interno dell'Isola.
Il lavoro di Isola Art Center procede tutt'ora e questa analisi non vuole in nessuna
maniera esaurirne la narrazione ma l'intento principale è stato quello di portare a
conoscenza una realtà attiva da anni con un fare artistico partecipativo e in stretta
relazione al territorio circostante che forse, a mio parere, segnala un ritardo sulla
scena internazionale artistica italiana.
7
Capitolo I
Il quartiere Isola
I.1 Milano-Isola, il quartiere 'paese'
Isola è un quartiere della città di Milano che si colloca nella parte nord del centro
cittadino. Viene così denominato, poiché, all'epoca della sua formazione, a cavallo
tra il XIX e il XX secolo, risultava un territorio morfologicamente separato dal resto
della città dal tracciato dei binari (caratteristica oggi sfumata a causa della
costruzione della ferrovia Garibaldi e della metropolitana, che ha così connesso il
quartiere con il centro1), ma anche per la presenza di 'cascine' che venivano
chiamate 'isole'.
Il confine sud era tracciato dalla ferrovia che percorreva lungo via Guglielmo Pepe,
sul lato est, il quartiere aveva un confine naturale costituito dal naviglio della
Martesana, coperto negli anni sessanta, mentre a ovest correva Via Farini, una
strada a scorrimento veloce. Al nord, invece, Isola finiva in piazzale Lagosta, già
piazzale Zara (sorto sull'antico cimitero della Mojazza che venne chiuso nel 1895 a
seguito dell'apertura del cimitero Monumentale), il quale collegava il quartiere con
Sesto San Giovanni, sede delle principali fabbriche dell'epoca quali la Falck, la
Pirelli, e la Magneti Marelli.
Già dal piano regolatore del 1953 e poi in seguito alle ristrutturazioni avvenute negli
1Nel 1931 viene inaugurata la Stazione Centrale per sostituire quella di Piazza della Repubblica, spostandone
quindi la posizione di un chilometro più distante dal centro città, mentre nel 1963 viene arretrata di un
chilometro la stazione di Porta Nuova (o Varesine) diventando la stazione di Porta Garibaldi.
8
anni del boom economico, sino agli anni ottanta e novanta, Isola ha subito un
radicale cambiamento e i suoi confini sono andati modificandosi: ora l'area è
limitata a nord da grandi strade quali via Gioia, via Farini e via Stelvio, mentre è
possibile accedervi a sud passando da tre punti che attraversano la ferrovia: il
cavalcavia Bussa, via Farini e il sottopasso pedonale (uscita via Pepe) della stazione
Garibaldi.
Per descrivere il carattere del quartiere, oltre all'individuazione 'dell'insularità' di
questo, viene spesso utilizzata anche la metafora di 'paese': la vecchia separatezza
fisica, infatti, non si riferisce solamente a una dimensione territoriale scostata ma
anche al tessuto relazionale che si trova all'interno, a una maniera diversa di vivere
il tempo, gli spazi di quartiere e i legami sociali rispetto al resto della città.
Il concetto di 'paese' è legato a un processo di storicizzazione che ha portato a una
unicità del contesto di vita, frutto di condizioni economiche e sociali che hanno
favorito nel tempo l'emergere di un certo tessuto urbano e di conseguenza di un
certo tipo di socialità e che ne hanno fatto un'area estremamente vitale e fortemente
caratterizzata, di fatto 'l'isolamento fisico' rispetto al resto della città ha portato a
una significativa coesione sociale.
Alla fine dell'Ottocento c'era solo la presenza di qualche cascina in prossimità della
confluenza del Seveso e del Naviglio della Martesana, ma la presenza di molte vie
di comunicazione e l'arrivo della seconda rivoluzione industriale hanno reso il luogo
ideale per la costruzione di fabbriche.
Isola, infatti, assume una connotazione popolare caratterizzata da una forte
componente operaia dovuta alla presenza dal 1899 della Gadda&C, industria di
macchinari elettrici , il cui stabile viene rilevato nel 1906 dai concorrenti del TIBB
(Tecnomasio Italiano Brown Boveri), azienda che ha rappresentato la fonte di
occupazione principale degli abitanti fino alla sua chiusura, nel secondo dopoguerra
(chiude in maniera definitiva nel 1965 per trasferirsi a Vittuone), causando gravi
contraccolpi economici ai lavoratori stessi; tra gli altri stabilimenti presenti nel
quartiere ricordiamo anche quello dell'Elvetica, della Pirelli, Janecke produttrice di
pettini e il saponificio Heinemann, tutti con sedi in via De Castilla.
9
Il carattere popolare del quartiere è riconoscibile anche dalle vecchie architetture,
come le case 'a ballatoio', spazio riservato appunto alle abitazioni operaie, e il
cortile interno, sopravvissute nel tessuto urbano alla prevaricazione del
razionalismo milanese architettonico degli anni Trenta per mano di Giuseppe
Terragni2 e Pietro Lingeri3; questi, con la Casa Ghiringhelli in piazzale Lagosta, la
casa Toninello in via Perasto e la casa Rustici Comolli in via Cola Montano, per
citare alcuni tra gli episodi più singolari, portano le prime forme di edificazioni
tipicamente borghesi nel tessuto urbano del quartiere operaio.
Il passato popolare del quartiere si identifica anche in un'impronta politica radicata
nell'impegno antifascista dei partigiani milanesi che trovarono proprio in questa
zona la loro base. In via Volturno, poi, nel 1964 venne inaugurata da Palmiro
Togliatti e Armando Cossutta la sede del PCI (detta comunemente il “Botteghino”),
punto di riferimento della sinistra per molti anni sino alla sua trasformazione in un
complesso di appartamenti di lusso.
Il carattere popolare si ritrova anche in una particolarità nota della zona, ovvero il
fatto che divenne rifugio, nel secondo dopoguerra, della malavita milanese, la
cosiddetta ligera della quale facevano parte Renato Vallanzasca, Luciano Lutring e
il 'boss dell'Isola' Ezio Barbieri4.
L'Isola inizia però il riscatto di questa suo non troppo felice reputazione negli anni
Ottanta diventando uno dei punti di maggior fermento all'interno del panorama
artistico milanese e italiano.
2Giuseppe Terragni (1904-1943) è stato un architetto italiano, uno dei protagonisti nella definizione del
razionalismo italiano. Tra le sue opere più importanti e manifesto del movimento moderno italiano vi sono la
casa ad appartamenti Novocomum (1927-29) e la Casa del Fascio a Como (1932-36).
3Pietro Lingeri (1894-1968) è stato un architetto italiano, protagonista del razionalismo. Tra le sue opere più
significative vi sono: il monumento ai caduti a Como realizzato con Terragni (1926), condominio della rosa a
Milano (1956).
4Vedi il libro ERBA N., Il bandito dell'Isola, Milieu editore, 2013.
10
I.2 Il progetto Porta Nuova: riqualificazione dell'area Garibaldi- Repubblica-IsolaVaresine.
[…] perché questo disegno, questa purezza assoluta della
forma della città era rovinata da qualcosa di moderno, da
qualche corpo estraneo che non c’entrava con questa forma
della città, con questo profilo della città...5
Pier Paolo Pasolini, La forma della città
La nascita della città, intesa come unità politica, è il risultato di una rivoluzione
radicale nella vita economica, politica e sociale, per questo la città odierna non si
può definire un prodotto finito poiché il suo sviluppo è talmente rapido che ogni
giorno cambia aspetto e il carattere dei suoi abitanti.
Negli ultimi anni il ruolo principale nei processi di trasformazione urbana è stato
assunto dalle logiche di mercato, dalla speculazione edilizia alla privatizzazione dei
servizi per il cittadino, all'interno di dinamiche speculative del libero mercato che
hanno spesso sottomesso gli organi amministrativi delle città alle proprie esigenze e
interessi.
Milano, come molte delle maggiori città europee, è il risultato di stratificazioni
progettuali attuate nel tempo. Il vecchio Piano Regolatore Generale risale al 1980 e
la prassi urbanistica dominante in questi ultimi trent'anni è stata quella di introdurre
continue varianti a quel piano con una serie di accordi di programma e piani
integrati d'intervento, il tutto non accompagnato da un disegno di insieme connesso
a una pianificazione più ampia partendo dalle aree verdi e dai servizi6.
Cito dallo studio pubblicato dall' ISFOL7:
Ad oggi il tessuto di Milano presenta alcuni interventi caratterizzati da edifici spesso non
ultimati a causa della crisi, piuttosto difficili da digerire, non sostenibili e malati di
gigantismo, intorno ai quali sono assenti gli spazi pubblici, nonostante la forte volontà di
trasformazione e di cambiamento sia nei confronti del territorio della regione che di
5PASOLINI P.P., La forma della città, video Rai, durata 15 min, 1973.
6CORONAS G., (a cura di) La riqualificazione sostenibile dei contesti urbani metropolitani. Settori
strategici per lo sviluppo sostenibile: implicazioni occupazionali e formative, ISFOL, Roma 2013, pag.171.
7Ente pubblico di ricerca sui temi della formazione, delle politiche sociali e del lavoro.
11
quello nazionale8.
Da più di dieci anni è in attivo il progetto Porta Nuova, nome complessivo coniato
per indicare un intervento di grande trasformazione urbana che riguarda quella zona
'sospesa' tra Garibaldi, Isola e Varesine, sorta dallo spostamento dell'arretramento
della stazione Porta Nuova (oggi Garibaldi) e dallo spostamento della stazione
Centrale da piazza Repubblica a dove oggi si trova.
Le prime ipotesi progettuali risalgono in realtà agli anni Cinquanta anche se non si
arriva a nessuna proposta concretamente attuabile.
Una prima svolta si ha nel 1991, anno in cui viene indetto dall'amministrazione
comunale un concorso internazionale per progettare la zona Garibaldi-Repubblica,
con l'idea di rendere il nuovo palazzo della Regione Lombardia polo e fulcro
istituzionale.
Vince il progetto dell'architetto Pierlugi Nicolin, professore ordinario di
Composizione architettonica presso la Facoltà di Architettura del Politecnico di
Milano, ma l'amministrazione comunale decide di inquadrare il suo progetto in un
programma urbanistico ampliato, variante che verrà annullata da un ricorso al Tar
presentato dai cittadini stessi.
Bisogna aspettare il 2000, quando, con la giunta del sindaco Gabriele Albertini,
viene presentato il documento “Ricostruire la Grande Milano” che delinea gli
orientamenti di sviluppo della città, collocandone il nuovo centro istituzionale
proprio nella zona di Garibaldi-Repubblica.
Il piano urbanistico da rilanciare è volto a creare una 'Città della Moda' per la quale
nel 2001 viene chiesto allo stesso Nicolin di sviluppare un masterplan per l'area in
questione.
Il progetto comprendeva l'idea di un parco pubblico, una spazio a forma di rombo
cosiddetta 'Campus' circondata da edifici commerciali, della Regione e del Comune;
nel 2002 il Comune di Milano informa le variazioni del progetto ' Città della Moda'
ovvero nel PIR (Piano Integrato di Recupero) Isola è prevista la costruzione di una
strada a scorrimento veloce bipartita a “Y” la quale porterebbe il traffico
8CORONAS G., (a cura di) La riqualificazione sostenibile dei contesti urbani metropolitani. Settori
strategici per lo sviluppo sostenibile: implicazioni occupazionali e formative, ISFOL, Roma 2013, pag.172.
12
proveniente da viale Zara, zona nord, direttamente al centro città attraverso il
prolungamento di via Volturno.
Tuttavia, nel 2003 l'idea della Città della Moda sembra scemare inesorabilmente
ma, dall'altro lato, il Consiglio Comunale delibera il rinnovo di una convenzione
che consente l'edificazione di un immobile di 33 mila mq (per uffici e posti auto)
con un'impresa facente parte del gruppo Ligresti 9 che spartisce i capitali del progetto
con Hines10: Ligresti acquista il 48% della società Garibaldi Scs ripartendo l'area
dell'Isola con Hines, il tutto mediato dell'amministratore di Hines Italia Manfredi
Catella.
Oltre all'entrata nel progetto di nuovi investitori multinazionali, nel frattempo viene
introdotto anche il piano per i “Giardini di Porta Nuova” che il Comune dichiara
essere il cuore del progetto, ovvero un parco di 100.000 mq circondato dal Polo
Istituzionale della Comunicazione e del Design.
Di fatto il progetto si estende con l'acquisizione delle zone Isola e Varesine e viene
assunto, da parte di Hines, l'architetto Stefano Boeri il quale si rivela decisivo per
quanto riguarda la realizzazione del masterplan di Isola. Nel 2006, infatti, il
Consiglio Comunale approva il nuovo PII Isola con un emendamento di Boeri e
Catella con il quale si pronunciano favorevoli alla demolizione della Stecca degli
Artigiani11, storico simbolo della storia industriale del quartiere.
Questa decisione porta alla formazione di una serie di associazioni di quartiere, (tra
i quali il Comitato I Mille, l'Associazione Genitori Confalonieri, Ida Associazione
Isola dell'arte, il Forum Isola e Out) che mettono in atto una serie di strategie
alternative e controproposte per evitare l'abbattimento della Stecca12.
9A capo della società è l'imprenditore Salvatore Ligresti, coinvolto nel 1992 nello scandalo di Tangentopoli,
arrestato per corruzione negli appalti per i lavori riguardanti la metropolitana di Milano; fa parte del consiglio
del Gruppo Unicredit fino al 2011 ed è stato coinvolto negli ultimi più importanti interventi urbanistici della
città di Milano, quali l'Expo, Garibaldi-Repubblica e Fieramilanocity.
10Hines è una multinazionale texana, in primo piano nel business immobiliare a livello mondiale. È attiva a
New York dal 1981, città nella quale ha costruito numerosi edifici, mentre in Italia è presente dal 1999 dove
ha già realizzato dei progetti a Milano.
11Edificio collocato collocato trasversalmente a via Confalonieri e via De Castilla. Era stato edificato tra il
1894 e il 1899 dall'azienda Gaddara&Co., la quale venne poi acquisita nel 1904 dalla Tecnomasio Italiano
Brown Boveri che ne acquista di conseguenza anche l'edificio. Simbolo, dunque del passato industriale del
quartiere, dopo lo smantellamento di alcune parti dell'edificio nel 1996, l'area viene recuperata da Comitato
Isola e Compagnia del Parco con l'obiettivo di utilizzare lo spazio dimesso per fornire alla zona un'area
verde. Ma nel 2007 viene indetto lo sgombero di tutte le associazioni presenti all'interno della Stecca e ne
viene eseguito l'abbattimento dell'edificio.
12Nel 2005 viene organizzato nel quartiere un corteo di protesta dal Comitato dei Mille insieme
all'Associazione Genitori e Isola Dell'Arte con lo slogan “Difendiamoci dallo smog, dal cemento e dai
13
Nel 2007 si procede, non senza impedimenti, come scriverò in seguito, allo
sgombero e all'abbattimento della Stecca degli Artigiani13, privatizzando i giardini
di via Confalonieri adiacenti a essa; a marzo dello stesso anno, infatti, il Comune di
Milano firma insieme a Hines una convenzione per l'attuazione del PII Isola,
procedendo il 7 aprile allo sgombero dell'edificio da parte della Polizia e della
Digos, e il 25 dello mese inizia la demolizione della metà della Stecca sul lato di via
De Castilla.
Il quartiere perde così un punto di riferimento, un pezzo storico e un luogo di
incontro e riflessione lasciando spazio al Bosco Verticale 14, progettato da Boeri:
ovvero due torri, per uffici di classe A, eco-sostenibili rivestite da alberi (550 nella
più alta e 350 nella seconda) che si sviluppano su diverse altezze: il verde viene
apparentemente mantenuto, diventando però privato e verticale.
Il nuovo skyline milanese sorto negli ultimi anni è così composto dalla Torre
Unicredit di César Pelli, dal Palazzo Lombardia di Pei Cobb Freed & Partners, dalla
Torre Isozaki di Araka Isozaki, la Torre Diamante di Kohn Pedersen Fox, le Torri
Solaria dello Studio Arquitectonica, e, come sopra citato, il Bosco verticale di
Boeri Studio. Questa “epopea” di grattacieli è stata recentemente celebrata con la
mostra, promossa dal Politecnico di Milano e dalla Fondazione Riccardo Catella,
Grattanuvole. Un secolo di grattacieli a Milano, curata da Alessandra Coppa,
definita da Marco Biraghi come “soltanto un pretesto, o piuttosto un piacevole
detour turistico-culturale con cui intrattenere i visitatori più curiosi; una vetrina
entro cui far scintillare alcuni gioielli della corona ambrosiana 15”, e conclude “Oggi,
grattacieli” in contestazione alla volontà, da parte del Comune, di voler abbattere il Bosco di Gioia, luogo
prescelto per la costruzione del nuovo edificio della Regione Lombardia previsto nel PII GaribaldiRepubblica. Nonostante le proteste nel dicembre dello stesso anno il Bosco di Gioia viene distrutto,
divenendo un simbolo di una sconfitta significativa per le forze di mobilitazione di Isola.
13Si tratta dell'edificio realizzato all'inizio del '900 quando la Tecnomasio, azienda specializzata in
strumentazione elettrica, decide di fondersi con la Brown Boveri, scegliendo l'area tra via de Castilla e via
Confalonieri per la costruzione del nuovo stabilimento che verrà abbandonato poi negli anni '60 quando la
società realizzerà un nuovo impianto a Vittuone. Negli anni '80 viene acquistato dal Comune di Milano,
ricava due giardini dal parziale abbattimento e affida gli spazi restanti a un gruppo di artigiani.
14L'opera fulcro del progetto urbanistico Porta Nuova viene inaugurata nell'ottobre 2014, “Una casa per gli
alberi che ospita gli umani” è il commento dell'architetto Stefano Boeri, mentre il delegato di Hines italia
Manfredo Catella afferma “Qui all'Isola ci sono le radici del pensiero che ha ispirato Porta Nuova come opera
pensata per ridare lustro e reputazione al Paese, l'ambizione è che diventi un modello di lavoro per il futuro”,
da Il sole 24 Ore online, 18 ottobre 2014.
15Marco Biraghi è professore associato di Storia dell'architettura contemporanea presso la Facoltà di
architettura civile del Politecnico di Milano. Queste parole sono tratte dall'articolo da lui pubblicato, Il
grande gioco dei grattacieli, del 10 novembre 2014, visibile su <www.gizmoweb.org>.
14
sotto il cielo di Milano, il grattacielo viene fatto apparire al più come un altro
mattone nella costruzione di una dilettevole Legoland”.
A novembre Boeri ritira il premio dell' “International Highrise Award”, promosso
dal Museo di Architettura di Francoforte, il cui presidente di giuria Christoph
Ingenhoven dichiara:
Il Bosco Verticale è un progetto meraviglioso! Espressione del bisogno umano di contatto
con la natura. I grattacieli boscosi sono un vivido esempio di simbiosi tra architettura e
natura. Il progetto è un’idea radicale e coraggiosa per le città di domani, rappresenta
sicuramente un modello per lo sviluppo di aree ad alta densità di popolazione in altri
paesi europei16.
E, mentre l'archistar pronuncia il suo discorso di ringraziamento:
Sono molto contento perché il premio che è stato assegnato al Bosco Verticale
rappresenta un riconoscimento all’innovazione nell’ambito dell’architettura. E’ un invito
a pensare all’architettura come un’anticipazione del futuro per ognuno di noi, non solo
come l’affermazione di uno stile o di un linguaggio. Il Bosco Verticale è una nuova idea
di grattacielo, in cui alberi e umani convivono. E’ il primo esempio al mondo di una torre
che arricchisce di biodiversità vegetale e faunistica la città che lo accoglie. Sono felice
per Milano, per Expo, e ringrazio chi ha promosso e sostenuto il nostro progetto, a partire
da Hines Italia e dalle associazioni del quartiere Isola.
l'intero quartiere Isola finisce allagato a causa dell'esondazione del Seveso,
bloccando il normale trascorso quotidiano, bloccando mezzi di trasporto,
paralizzando il traffico, inondando negozi e cortili. Certamente le conseguenze
derivate non sono direttamente collegabili e asservite ai nuovi edifici, o per lo meno
non solo, ma sono da analizzare nel più ampio contesto: scaturiscono, infatti, dure
critiche nei confronti dell'amministrazione comunale, il dito viene puntato contro
l'intervento invasivo messo in atto in loco con il progetto Garibaldi-Porta Nuova,
contro le nuove costruzioni in verticale che hanno alterato il drenaggio orizzontale
di tutta la zona sotto il mantello di affascinanti archistar e scenari ecologici a più
piani.
Perché anche i più babbei tra i cittadini si rendono conto che col cavolo che il bosco
verticale di Boeri serve al territorio come un bravo bosco orizzontale senza cemento,
acciaio e senza specchi. Col cavolo la cartolina con il nuovo skyline stile Manhattan alla
16Corriere della Sera online, 19 novembre 2014.
15
milanese serve agli abitanti per vivere meglio. Serve ai ricchi, serve alla multinazionale
immobiliare, serve all'intreccio tra politica, affari e finanza che ha dotato la città di una
nuova Madonnina delle banche, quella dell'Unicredit che vigila sulla perversione del
tempo. Sull'impoverimento del tessuto sociale, sulla gentrificazione e sulla follia di chi ha
permesso una distruzione culturale e civile del genere 17.
Il fenomeno
fin qui descritto, focalizzato sul quartiere Isola, è in realtà un
intervento, nel suo complesso, che sta avendo e avrà ripercussioni su tutta la città di
Milano, città che ha vissuto un cambiamento lento, progressivo e senza piano
organico, dove si è costruito poco negli ultimi decenni e soltanto riempiendo gli
spazi vuoti.
Come è noto, le radicali e considerevoli trasformazioni urbanistiche moderne che si
verificano in aree metropolitane già urbanizzate, come nel caso di Milano, si
caratterizzano per una debole integrazione con il tessuto sociale preesistente,
confinato in una posizione subalterna nel gioco della trasformazione.
Si tratta di un gioco che assume il territorio come fattore competitivo in grado di
migliorare le performance delle imprese per attirare nuovi clienti, innalzandone così
il valore d'uso e di scambio dell'area; si pensi per esempio all'uso residenziale
dell'area e ai servizi erogati destinati alla riduzione della frammentazione sociale.
17Dall'articolo di CIPRIANI A., Milano allagata: che strano che il Bosco Verticale non assorbe la pioggia,
martedì 18 novembre 2014, su <www.peopleglobalist.it>.
16
I.3 Dietro al progetto Porta Nuova: riqualificazione e gentrification
Quello che sta accadendo al quartiere Isola è un processo di 'riqualificazione
urbana', processo che è per sua natura un atto pianificato, non si tratta cioè di un
avvenimento spontaneo ma è regolato e trova la sua genesi nei precisi scopi che
un'autorità territoriale intende perseguire; di fatto non c'è nulla di “naturale” nelle
dinamiche di trasformazione degli spazi 'umani', che siano essi un quartiere o una
città. Secondo la definizione intendiamo si intende per riqualificazione:
Indirizzo della pianificazione urbanistica, a scala generale e particolareggiata, nonché
intervento concreto, mirante ad un recupero e ad una rivalutazione complessiva , in
termini contemporanei, degli ambienti urbani e degradati ed anche funzionalmente
superati rispetto a sopravvenute esigenze sociali 18.
Il discorso di “riqualificazione” implica dunque il concetto di 'degrado'
(etimologicamente indica un movimento dall'alto verso il basso, il venire a poco a
poco scemando in altezza) come si evince dalla presentazione Porta Nuova:
Porta Nuova accoglie la sfida di riqualificare un'area dismessa e degradata. […] Negli
anni Sessanta, l'arretramento dell'area delle Varesine portò alla realizzazione della
stazione Porta Garibaldi lasciando quest'area strategica per Milano sospesa per oltre
quarant'anni. Si generò così una ferita nel tessuto urbano, che portò la zona a
“disconnettersi” non solo dalla città ma anche dai quartieri circostanti. […] Porta Nuova
rivolge lo sguardo oltre l’Expo 2015, promuovendo il tema della qualità urbana attraverso
una progettazione attenta che contribuisce al miglioramento della vita dei cittadini 19.
Le ragioni espresse qui a favore di un risanamento della zona in questione partono,
da un discorso di vuoto urbano e di un quartiere abbandonato “disconnesso”, che
verrà riqualificato per il miglioramento della vita degli abitanti.
Le trasformazioni che interessano oggi i quartieri o precise zone urbane (in
riferimento a zone occidentali) sono improntate a quella che è la ridefinizione del
ruolo della città stessa nel contesto internazionale, ruolo che viene definito in base
alla capacità di catalizzare il capitale finanziario e dall'ampia gamma di servizi
18BORRI D., Lessico Urbanistico, Bari, Dedalo, 1985.
19Brochure Porta Nuova consultabile sul sito <www.porta-nuova.com>.
17
specializzati offerti alle imprese: la conseguenza più diretta, al fine quindi di
rendere più appetibile la città da un punto di vista economico è la nascita di un tipo
di commercio focalizzato, che riguarda per lo più negozi di lusso e ristoranti per
esempio, come richiamo per la nuova aristocrazia urbana.
Tiziana Villani20 lo definisce in questo modo:
Lo spazio urbano nelle sue più recenti trasformazioni tende alla privatizzazione delle
funzioni contando sui processi di globalizzazione, che impongono la strutturazione di
città disarticolate e diffuse, ove però si insediano nuove gerarchie, soprattutto finanziarie,
che finiscono con l'essere le vere artefici di questa nuova e rapida colonizzazione del
territorio21.
Come scrive Saskia Sassen22, alla luce dei suoi studi riguardanti le rapide
trasformazioni degli ultimi decenni in tema di spazi urbani, esaminando i flussi
delle classi creative, gli sviluppi e i flussi delle reti finanziarie, «per chi è strategica
la città oggi?23».
Sembra, infatti, che il concetto di riqualificazione implichi dei fenomeni più
complessi e forse non di immediata percepibilità nel suo divenire, i quali non sono
solamente di natura socio-economica ma riguardano conflitti sociali “nascosti dalla
retorica zuccherina della rigenerazione urbana”24.
Questi fenomeni sono stati spiegati e raggruppati sotto il termine più ampio di
gentrificazione: il neologismo, dall'inglese gentrification, è stato coniato in ambito
accademico dalla sociologa britannica Ruth Glass 25 per spiegare un particolare
fenomeno in corso in alcune zone popolari della Londra degli anni sessanta del
20Tiziana Villani è una filosofa e saggista che dal 2005 collabora con Isola Art Center. Dirige le riviste di
filosofia “millepiani” e “millepiani/Urban” e collabora con “Urbanisme”. Tra i suoi ultimi scritti figurano: La
voce del corpo in “Lessico postfordista” (2001) e Il Tempo della Trasformazione (2006).
21VILLANI T., Il restayling di Garibaldi-Isola, in Fight-Specific Isola, p.328.
22Saskia Sassen (1949) è una sociologa ed economista statunitense. La sua ricerca si è da sempre concentrata
sul concetto di globalizzazione nella sua dimensione politica, sociale ed economica, oltre che sui concetti di
immigrazione e sulla 'città globale' concetto da lei teorizzato. Tra i suoi scritti: Losing Control?: Sovereignty
in the Age of Globalization (1996), Globalization and its Discontents: Essays on the New Mobility of People
and Money (1999), A Sociology of Globalization (2006).
23SASSEN S., Le città nell'economia globale, il Mulino, Bologna, 1997, p.208.
24DIAPPI L., Rigenerazione urbana e ricambio sociale. Gentrification in atto nei quartieri storici italiani,
Franco Angeli,Milano, 2009, p.10.
25Ruth Glass (1912-1990) è stata una sociologa tedesca, emigrata in Inghilterra negli anni '30. Attraverso i
suoi studi sull'urbanizzazione, in particolare in riferimento alla città di Londra, è arrivata a coniare il
termine gentrification. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Urban Sociology in Great Britain (1955),
London, Aspect of Change (1964), London's Housing Needs (1965).
18
Novecento.
One by one, many of the working class quarters of London have been invaded by the
middle classes—upper and lower. Shabby, modest mews and cottages—two rooms up and
two down—have been taken over, when their leases have expired, and have become
elegant, expensive residences. Larger Victorian houses, downgraded in an earlier or
recent period—which were used as lodging houses or were otherwise in multiple
occupation—have been upgraded once again. […] The current social status and value of
such dwellings are frequently in inverse relation to their size, and in any case enormously
inflated by comparison with previous levels in their neighbourhoods. Once this process of
‘gentrification’ starts in a district, it goes on rapidly until all or most of the original
working class occupiers are displaced, and the whole social character of the district is
changed. There is very little left of the poorer enclaves of Hampstead and Chelsea: in
those boroughs, the upper-middle class take-over was consolidated some time ago. […].
And this is an inevitable development, in view of the demographic, economic and
political pressures to which London, and especially Central London, has been subjected 26.
Il fenomeno, in breve, riguarda la riqualificazione urbana attraverso l'estetizzazione
di alcuni luoghi con la conseguente sostituzione degli abitanti di quella data parte di
città (distretto o quartiere) in funzioni delle variabili economiche, demografiche ed
etniche: una popolazione composta da lavoratori appartenenti a una classe mediobassa viene sostituita, al seguito di un rinnovo delle unità immobiliari e dunque da
un accrescimento del loro valore, da una classe medio-alta (gentry: la borghesia
inglese), provocando quindi uno sfaldamento del tessuto sociale.
Quindi, secondo la definizione della Glass il processo descritto segnala una
prospettiva multidisciplinare in quanto include in sé, almeno, tre punti di vista:
edilizio, geografico e sociale.
Edilizio in quanto vecchie alloggi, in condizioni di degrado, vengono recuperati e
rinnovati, con conseguenti ripercussioni sul valore immobiliare degli stessi;
geografico poiché quanto descritto sopra si circoscrive e verifica perlopiù in una
grande metropoli, comunque in prossimità del centro città.
Dal punto di vista sociale, invece, emerge il discorso dell'appartenenza a una 'classe'
ovvero si parla di 'middle class' e 'working class'.
Nel corso degli anni '80 si sono sviluppati gli studi in merito ed è nata una vera e
propria gentrification literature, che ha visto la definizione della Grass cambiare nel
tempo, di pari passo con il dibattito sulle cause e conseguenze del processo da lei
26GLASS R., Aspect of change, London: Centre for Urban Studies & McGibbon & Key, 1964, p.18.
19
descritto, e i fenomeni di gentrification, da questo momento, vengono sempre più
individuati in città di medie dimensioni.
Autori come David Ley27, hanno sottolineato il carattere generativo e di
cambiamento nel sistema economico della città indotto dal fenomeno della
gentrification, come risultato del passaggio da una società industriale a una postindustriale.
Una delle analisi più note a riguardo è quella di Neil Smith 28, il quale ne suddivide
l'evoluzione in tre fasi distinte: nella prima fase la gentrification è sporadica e ciò
che la caratterizza è l'arrivo dei cosiddetti 'pionieri' (che può essere inteso come un
gruppo di persone, inizialmente non bene definibili e circoscrivibili a una certa
classe sociale, che giunge nel quartiere per scoprirne le potenzialità dal punto di
vista della produzione estetica, tra cui anche gli 'artisti'); nella seconda fase il
processo già si stabilizza grazie a un progressivo sostegno da parte
dell'amministrazione
pubblica; mentre
nell'ultima
fase
si raggiunge
una
gentrification generalizzata, ovvero definita come “la prua del cambiamento
metropolitano nei centro-città29” che cela, dietro a una apparente accessibilità
democratizzata di un paesaggio percorribile da chiunque, una disuguaglianza nelle
possibilità di consumo.
In riferimento all'elemento dell'esclusione sociale analizzato nel nostro caso di Isola
a Milano, la studiosa delle città globali Saskia Sassen afferma:
L'elevamento sociale di un quartiere portato all'estremo, come mi sembra stia accadendo
con l'intervento urbano in questione, inserisce appunto una certa politica nello spazio
urbano in questione, troppo potere che spinge i più deboli fuori. E questo farà nascere una
reazione altrettanto politica30.
27David Ley è geografo e professore presso la University of British Columbia. La sua ricerca si concentra
nel campo della urban geography, e sul fenomeno della gentrification. Tra i sui scritti: Neighbourhood
Organizations and the Welfare State (1994), The New Middle Class and the Remaking of the Central City
(1996), Community Participation and the Spatial Order of the City (1974).
28Neil Smith (1954-2012) è stato un geografo e professore di geografia e antropogia presso il Graduate
Center della City University di New York. Nella sua opera più conosciuta Uneven Development: Nature,
Capital and the Production of Space (1984) propone la teoria secondo la quale lo sviluppo ineguale dello
spazio dipende dalla logica procedurale dei mercati e che in questa logica sono la società e le economie a
plasmare lo spazio. Tra i suoi scritti: Geography, Social Welfare and Underdevelopment (1977),
Gentrification of the City (1986), The New Urban Frontier: Gentrification and the Revanchist City (1996).
29“...comme la proue du changement métropolitain dans les centres-villes”, SMITH N., La gentrification
généralizée: d'une anomalie locale à la “régénération” urbaine comme stratégie urbaine globale, Descartes
&Cie, Parigi , 2003., p.22.
30La citazione è tratta da un' intervistata realizzata da A.Baudel su «D di Repubblica», 7 luglio 2007.
20
Di fatto “lo sblocco dell'annoso progetto Garibaldi-Repubblica ha incrementato al
visibilità del quartiere Isola sui mezzi di informazione […] si è registrato nel
quartiere il tasso di crescita dei valori immobiliari più alto della città”31.
Tra i dati più recenti riguardo agli sviluppi della crescita del mercato immobiliare
sono del 2007 e indicano che il quartiere Isola nell'intervallo che va dal 2002 al
2006 è stato tra i quartieri di Milano quello che ha registrato l'aumento più
significativo dei valori immobiliari, con un aumento tra gli abitanti di liberi
professionisti e laureati, mentre una scomparsa di persone anziane le quali figurano
invece tra i venditori principali delle abitazioni32.
Questo denota uno degli effetti a lungo andare di un'iniezione di capitali in una
specifica zona che la porta ad avere un carattere attraente che porta a un
insediamento di un tipo di popolazione con un potere d'acquisto più elevato rispetto
a chi già ci vive. Sono i cosiddetti gentrifiers, i 'nuovi' abitanti, i quali, come
sottolinea la sociologa Sharon Zukin33, sono attratti nei quartieri riqualificati nei
quali, il loro arrivo, genera anche il bisogno di nuovi consumi culturali per i quali
giocano un ruolo fondamentale, di attrazione e valorizzazione, le diverse attività
commerciali in loco.
Il meccanismo che è entrato in gioco nel quartiere Isola è stato quello del 'definirlo
come 'quartiere ricreativo', la linea narrativa della creatività, portandolo a una fase
di “emersione” con la stessa forza con cui si era “degradato”, dove però la stessa
caratteristica di 'autenticità' risulta ambigua in quanto può diventare uno strumento
di potere e di ricchezza.
Da un saggio di Davide Caselli34 e Mara Ferreri35 emerge:
Si tratta di una concezione del tutto particolare della creatività. Per esempio è possibile
che negli anni dell'affermazione dell'”Isola creativa”, nel quartiere vengano chiusi quattro
importanti centri sociali e squat che, nati nella fase del presunto “vuoto urbano”, avevano
31DIAPPI L., Rigenerazione urbana, p.126.
32Ibid.
33Sharon Zukin è una sociologa, insegna presso il Brooklyn College. La sua ricerca si concentra sulla
modern urban life, Tra le sue pubblicazioni: Loft Living: Culture and Capital in Urban Change (1982),
Industrial Policy: Business and Politics in the United States and France (1985), Structures of Capital (1990).
34Davide Caselli è un sociologo. Le sue ricerche si focalizzano sulle politiche di inclusione/esclusione
sociale, governance urbana e gentrificazione.
35Mara Ferreri è una ricercatrice che vive a Londra. Collabora dal 2007 con Isola Art Center. In riferimento
al quartiere Isola ha pubblicato il saggio Self-organised critical spatial practices and affects in conflictive
urban developments in “Critical Cities. Ideas, Knowledge and Agitation from Emerging Urbanists” (2009).
21
reso il quartiere un punto di riferimento della cultura alternativa di Milano […] aprono
nel frattempo negozi di artigianato di nicchia, enoteche, bar e pasticcerie. […] La
designazione dell'Isola come “quartiere creativo” produce dunque una normativa urbana
nella quale l'unica possibile “emersione” è data da un'integrazione nei circuiti del mercato
immobiliare, attraverso l'aumento degli affitti e del valore degli immobili e la sparizione
dei principali spazi di cultura alternativa, a cui tutti i quartieri si devo adeguare in maniera
diretta o indiretta secondo sempre nuove frontiere di “sviluppo” 36.
La gentrification appare dunque fenomeno da condannare nel momento in cui
invece che realizzarsi e partecipare alla formazione di una maggiore integrazione
sociale ne favorisce all'opposto le disuguaglianze tra le classi sociali, ovvero tra le
nuove élite e le nuove marginalità (popolazione di reddito medio-basso), poiché
obbliga i ceti popolare ad abbandonare la zona a causa dei prezzi proibitivi.
Viene usato il termine “espulsione” per indicare appunto la conseguenza causata da
processi di trasformazione del territorio urbano o da pressioni di tipo economico
sulle classi sociali.
Come sottolinea anche l'urbanista Peter Marcuse37, questo fenomeno dell'espulsione
non è facilmente leggibile in quanto varia tra un contesto urbano e l'altro ed è
composto da diversi gradi di visibilità/invisibilità. Si può trattare di un abbandono
del quartiere da parte di una fetta della sua popolazione, oppure di un'espulsione
diretta attuata attraverso sfratti e sgomberi, oppure ancora un effetto catena di nuovi
gruppi migratori che spostano le classi meno abbienti verso zone periferiche e infine
la già citata esclusione sociale ed economica che si verifica a causa dell'aumento del
costo degli immobili38.
Nel quartiere Isola, come vedremo in seguito, lo sgombero più visibile è stato
senz'altro quello avvenuto alla Stecca degli Artigiani nel 2007 da parte della Digos,
a cui seguirà la demolizione dell'edificio stesso.
Questi processi di ricomposizione/composizione sociale sono dinamiche complesse
che aprono a un discorso molto più ampio che ingloba il dibattito sul ruolo della
cultura e della cosiddetta “classe creativa” come elemento decisivo nei processi di
36CASELLI D., FERRERI M., Agire nel vuoto emergente, in Fight-Specific Isola, pp. 346-347.
37Peter Marcuse (1928) è un urbanista e avvocato tedesco, è stato professore di pianificazione urbana presso
la Columbia University. Tra le sue pubblicazioni: Of States and Cities: The Partitioning of Urban Space
(2002), Cities For People, Not For Profit: Critical Urban Theory And The Right To The City (2011).
38MARUSE P., Abandonment, Gentrification and Displacement. The Linkages in New York City, London,
1986, p.23.
22
trasformazioni urbanistiche.
Infatti, da parte di alcuni studiosi, la gentrification non sempre è da considerarsi
negativa: si riconoscono, infatti, in alcuni casi gli effetti rigenerativi della
gentrification in termini economici e ambientali che si traducono nella
rivitalizzazione dei quartieri davvero in stato di degrado.
In alcuni casi risulta anche che il ricambio sociale di una determinata zona
gentrificata è meno radicale di quanto si pensi, poiché pare dovuto a dinamiche di
abbandono spontaneo anziché di un'esclusione vera e propria, casi nei quali i ceti
popolari cedono il posto a una popolazione di giovani che apporta al territorio
nuova linfa culturale.
A questo proposito è interessante lo studio condotto da Richard Florida 39, pubblicato
nel volume L'ascesa della nuova classe creativa, ha teorizzato l'ambiente adatto per
lo sviluppo delle attività creative legato al bohemian index, ovvero la presenza in
una certa zona di artisti, attori e scrittori, in pratica quell'indice che misura il grado
di creatività di una città derivato dalla crerative class:
Il suo nucleo centrale comprende le persone impegnate nel campo scientifico,
nell'ingegneria, architettura e design, nell'educazione e nell'arte, musica e spettacolo, la
cui funzione economica è di creare idee, tecnologie e/o contenuti creativi nuovi. Per loro,
tutti gli aspetti e le manifestazioni della creatività – sia essa tecnologica, culturale o
economica – sono interrelazionati e inseparabili 40.
La sostituzione dei ceti sociali è dunque vista in quest'ottica in maniera positiva
nella trasformazione di una città in quanto la creatività, e quindi la classe creativa,
apporta al luogo nuove tecnologie, industrie e ricchezza insieme a una serie di
positive conseguenze economiche.
E' giusto quindi procedere comunque con un'analisi caso per caso, circoscrivendo al
contesto specifico ogni tipo di conclusione.
Vero è che non esiste un metodo standard, strumentale, per la rilevazione dei
processi di gentrification. Per questo motivo per descrivere il processo di
39Richard Florida (1957) è un teorico degli studi urbani e insegna presso la Rotman School of Management
dell'Università di Toronto. Le sue ricerche si focalizzano sulle teorie sociale ed economiche e sulla 'classe
creativa', idea espressa nei suoi scritti The Flight of the Creative Class (2005) , Cities and the Creative Class
(2005) e The Rise of the Creative Class (2002).
40FLORIDA R., L'ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni, Mondadori, Milano,
2003, pp. 28-29.
23
trasformazione di un quartiere risulta significativo analizzare la percezione
soggettiva del mutamento per stabilire l'eventuale stadio di maturazione del
processo, andando a leggere le trasformazioni nelle loro ricadute sul vissuto
quotidiano, privilegiando il ricorso alle testimonianze dirette dei soggetti coinvolti.
Per quanto riguarda il quartiere Isola, qui mi oggetto di studio, è stato istituito
Osservatorio in Opera41, un laboratorio nato per mano degli artisti Piero Almeoni e
Paola Sabatti Bassini, che ha raccolto, a questo proposito, una serie di interviste
condotte ad alcuni abitanti della zona restituendoci un panorama della situazione in
data giugno 2006, sviluppando in questo modo una forma di indagine che attua una
sorta di empatia con il luogo e le persone, con la conoscenza locale diretta di queste
che si oppongono alla trasformazione del proprio quartiere.
OinO(OsseravtorioInOpera)- Avete ancora delle idee da raccontare, dei progetti, dei
sogni, per questi spazi dell' Isola?
T- Se ci sono spazi comuni la gente esce. Io ad esempio vorrei una piscina, ma qualcuno
altro avrà altre esigenze, vorrei si chiedesse loro cosa vogliono per poi ridefinire un
progetto. Vorrei ricreare quello che c'era una volta. Un borgo, un piccolo comune. Piano
piano ci hanno tolto tutto: la bocciofila, le porte da calcio le hanno portate via perché
dicevano che le rubavano...Pensa che da quelli della mia età questo giardino è stato
soprannominato il “campo dei topi” e non il “campo giochi”, perché veramente non c'è
niente.
OinO- Tu che sei un commerciante, come pensi di reagire a questo progetto?
T- C'è poco da fare, più che mobilitarsi come stiamo già facendo...però quella è gente
forte, una volta che partono gli appalti non so che cosa potremmo ancora fare, spero non
ci tocchi di subire e basta. Qui di vita sociale non ce n 'è e io come commerciante, oltre
che come abitante, non sarei comunque contento di queste nuove costruzioni che non
porterebbero più gente al mio negozio, anche perché è previsto un centro commerciale.
Anche un gran traffico di automobili per me non sarebbe il meglio, invece se la zona
fosse ben servita dai tram ci sarebbe più gente in giro a piedi. Il business a Milano
comunque sono i centri commerciali, quindi non so che destino avrà il mio negozio. E
quella è la massima aspirazione della nostra amministrazione. Forse mi andrà meglio con
i palazzi con tanti appartamenti, ad esempio ne stanno facendo uno qui dietro che ha
diciassette
appartamenti
con
200
box.
È
assurdo 42.
41L'Osservatorio era situato inizialmente alla stecca degli Artigiani e nasce sotto la spinta degli artisti di Isola
art Center. Piero Almeoni e Paola Sabattini Bassini sono due artisti il cui incontro porta alla realizzazione di
questo laboratorio di ricerca che a partire dal 2001 dà vita a progetti site-specific collaborando con altri
artisti, realizzando una serie di eventi e di pubblicazioni sempre in relazione al tema del rapporto tra il
linguaggio dell'arte e la realtà, intesa soprattutto come sociale.
42Osservatorio in Opera, pag. 54.
24
I.4 (Ri) progettare lo spazio
Alla base del dibattito sul processo di gentrification e di riqualificazione urbana è
necessario capire cosa intendiamo quando parliamo di spazio ovvero quel luogo
definito e determinato dall'azione politica, economica e sociale in continua
interazione tra di loro.
Per definizione potremmo affermare che lo spazio è politico, in quanto
caratterizzato dai diversi gruppi che lo abitano, e di conseguenza è anche strategico
poiché orientato a un uso economico, sociale, politico.
Lefebvre sostiene che il potere, ovvero lo Stato43, utilizza lo spazio per ridurre le
differenze, per ricondurle sotto il proprio controllo, infatti, l'omogeneità dello spazio
porta agilmente a una garanzia di controllo, sorveglianza e assicurazione delle
condizioni che permettono la riproduzione dei rapporti di dominio.
Basta vedere, negli ultimi anni, l'applicazione di una serie di misure per il “decoro
urbano”, ordinanze municipali attuate in Italia, e anche nel resto d'Europa, che
prevedono una serie di ordinanze restrittive delle libertà individuali tese, in
particolare, a impedire l'uso degli spazi pubblici come luoghi di socialità sotto la
denominazione di “nuova prevenzione” o “sicurezza delle comunità”.
Per uno sguardo d'insieme rimando allo studio pubblicato sul sito dell'ANCI
(Associazione Nazionale Comuni Italiani), Per una città sicura:
Seppur continuando ad occupare un'area “grigia”, dai confini “incerti o in continua
ridefinizione”, nello sviluppo di tali politiche gli enti territoriali sono stati
progressivamente coinvolti, divenendo soprattutto negli ultimi anni, “attori chiavi” nelle
politiche di sicurezza e di prevenzione della criminalità. Proprio a partire da un'idea di
sicurezza urbana, non più intesa esclusivamente come politica di controllo del territorio e
di repressione dei reati e con l'obiettivo comune di migliorare la sicurezza dei cittadini, in
Italia e in Europa, si sono sviluppate soprattutto negli ultimi anni, politiche paternariali
che hanno visto il coinvolgimento e la collaborazione tra più attori, istituzioni e non 44.
Lo spazio in quanto soggetto al cambiamento è strumentale, nel senso che il suo
utilizzo consente al potere di garantire la propria esistenza e di esercitarne la propria
43Per Lefebvre il potere non è riducibile a un'unica identità ma è costituito da una molteplicità di parti che
agiscono simultaneamente.
44GIOVANNETTI M., Introduzione in Per una città sicura, pag. 12.
25
azione di dominazione.
Le classi dominanti si servono oggi dello spazio come di uno strumento. Uno strumento
dai molteplici fini: disperdere la classe operaia, ripartirla in luoghi assegnati […],
subordinare lo spazio al potere, controllare lo spazio e regolare tecnocraticamente la
società, conservando i rapporti di produzione capitalistic i45.
Di fatto ogni atto di pianificazione è un atto politico, in quanto cela in sé
un'ideologia e veicola una serie di valori che vengono inscritti nella comunità che
vive quello spazio.
Ciò che prende rilievo in questa interpretazione è ,dunque, il ruolo della disciplina
urbanistica, il quale compito, dovrebbe essere quello di definire quali operazioni
spaziali siano imprescindibili per raggiungere un certo esito sociale e quali da
evitare per impedire eventuali fratture nel tessuto sociale.
In questo senso è interessante, e applicabile a mio parere alla riflessione sul caso del
quartiere Isola, l'analisi di Lefebvre46 sulle modalità e le forme attraverso le quali il
capitalismo ha, nel corso del Novecento, prodotto un modello di spazio confacente
alle proprie esigenze; di fatto con l'avvio dell'industrializzazione è avvenuta una
sorta di rottura nella storia urbana, con la quale la città è stata orientata sempre più
verso la sottomissione del suo valore d'uso al prodotto:
Il suolo è diventato merce, lo spazio indispensabile per la vita quotidiana si vende e si
acquista. Tutto ciò che fa la vitalità della città come opera è scomparsa davanti alla
generalizzazione del prodotto.
Lefebvre dedica un'attenzione particolare giustappunto all'urbanistica, che secondo
il filosofo francese, è causa di quella omogenizzazione di cui parlavo sopra, di quel
processo per il quale viene soffocata la vera natura differenziale dello spazio sociale
fatta di forme varie, caratteristiche peculiari e contraddizioni irriducibili.
45LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976 , pp.130-132.
46Henri Lefebvre (1901-1991) è stato un filosofo, urbanista e sociologo francese, noto per aver introdotto i
concetti di diritto alla città e produzione dello spazio sociale. Tra i suoi scritti vi sono: Critique de la vie
quotidienne (1947), Le Droit à la ville (1968), La Révolution urbaine (1970), La Production de l'espace
(1974).
26
non sanno che lo spazio cela un'ideologia […]. Ignorano o fingono di ignorare che
l'urbanistica, obiettiva in apparenza è un'urbanistica di classe e cela una strategia di classe
(una logica particolare)47.
Intervenire su grandi aree, infatti, implica necessariamente chiedersi come vengano
percepiti questi spazi, le dinamiche che li attraversano, cercando di comunicare e
mantenere quei valori che vanno oltre i limiti dello spazio stesso.
Il compito della disciplina urbanistica dovrebbe essere quello di cercare di definire
quali operazioni spaziali sono necessarie per raggiungere un certo esito sociale
attraverso uno studio e un riconoscimento della popolazione, tenendo presente che
lo spazio viene creato dalle forze sociali e dai rapporti di produzione.
Una delle opere che senz'altro ha maggiormente contribuito al dibattito
sull'urbanistica contemporanea è la pubblicazione L'immagine delle città di Kevin
Lynch48. Questi, partendo da alcuni principi di base forniti dagli studi della Gestalt
(psicologia della forma) analizza la formazione dell'immagine urbana prendendo in
analisi la percezione che ne hanno di questa i suoi abitanti, attraverso interviste e
chiedendo di rappresentare gli elementi più significativi per loro della città.
Sembra che per ogni città data esista un'immagine pubblica, che è la sovrapposizione di
molte immagini individuali. Tali immagini di gruppo sono indispensabili perché un
individuo possa agire con successo nel suo ambiente e collaborare con gli altri 49.
Il materiale raccolto gli ha permesso di capire come la città possa influenzare la vita
quotidiana dei cittadini che la abitano e quali sono le parti di questa più sentite, più
significative che hanno una maggior presenza urbana al fine di poterle valorizzare.
47LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976 , pp.72.
48Kevin Lynch (1918-1984), è stato un architetto e urbanista statunitense., professore ordinario presso il MIT
(Massachusetts Institute of Technology) di disegno e pianificazione urbana. La sua indagine si focalizzò in
particolare sullo studio della percezione urbana da parte degli abitanti. Tra le sue opere figurano: The Image
of the City (1960), What Time is this Place? (1972), A Theory of Good City Form (1984).
49LYNCH K., L'immagine della città, Marsilio Editori, Padova, 1969, p.65
27
I.5
Dalla città ideale al diritto alla città50
Le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né
l'una né l'altra bastano a tenere su le loro mura.
Italo Calvino, Le città invisibili
51
Di fatto nei primi anni del '900 sopravviveva ancora la possibilità di pensare a una
città organizzata e ordinata, idea che è poi entrata in crisi con l'avvento del
capitalismo disorganizzato, costellato dai processi di globalizzazione, migrazione,
crisi economiche, che hanno visto svanire la possibilità di poter elaborare un piano
regolatore ad hoc.
Nelle città contemporanee non esiste più né un centro né un punto di vista
unificante, la città ideale è un'utopia (dall'etimo greco ou-tópos, non luogo, e eutópos, luogo felice), l'idea di uno spazio estraneo a qualsiasi conflittualità resta
prettamente un'idea rinascimentale, legata alla cultura umanistica, quando ancora si
progettavano le città ideali dalla geometria rigorosa e dall'armonia di moduli e
proporzioni, come la Sforzinda di Filarete.
Nuovi centri urbani sono cresciuti in maniera discontinua, con la presenza di vuoti
urbani significativi tra le zone urbane e quelle industriali, questo è avvenuto
soprattutto dopo la trasformazione del sistema produttivo che ha visto fuoriuscire
l'industria dal tessuto urbano; è divenuto, dunque, necessario capire come questi
processi fondamentali abbiamo provocato ripercussioni sul modo di vivere la città
da parte degli abitanti, sulle modalità attraverso la quale la società riproduce le sue
relazioni e strutture.
Nel '900 nasce un vivo interesse sul tema e vengono considerati, da intellettuali
quali Max Weber, George Simmel52, gli effetti della moderna metropoli sulle
relazioni sociali tra i cittadini e il loro stile di vita, sul nuovo individuo emergente
50LEFEBVRE H., Il diritto alla città, Marsilio Editori, Padova, 1968.
51CALVINO I., Le città invisibili, Mondadori, Milano, 1992, p. 392.
52SIMMEL G., Le metropoli e la vita dello spirito (1903), opera nella quale, il filosofo e sociologo tedesco,
sottolinea lo sviluppo di una vita nervosa da parte degli abitanti di una metropoli e alla spersonalizzazione
delle relazioni umane.
28
da una urbanizzazione così rapida e incontrollata.
Nel 1973 Manfredo Tafuri pubblica Progetto Utopia: architettura e sviluppo
capitalistico, nel quale sferra una dura critica all'ideologia architettonica
esprimendo l'urgenza di trovare delle soluzioni nuove per la progettazione urbana.
In un'ottica di rilettura radicale della città, i Situazionisti sono tra i primi nel
dimostrare interesse per la città come complessa macchina urbana e nel
comprendere l'importanza dello sviluppo di una geografia sociale, documentandone
gli spazi attraverso delle mappature alternative, elaborando le cosiddette
psicogeografie, al fine di ricostruire lo spazio sociale e di sottolineare come le
strutture abbiamo un impatto rilevante sulle persone che le abitano e di come la
qualità estetica dei luoghi influisca sulla vita quotidiana dei cittadini. Per mezzo
dell' “attraversamento” della città, dei suoi spazi, interstizi e ostacoli è possibile
recuperare una conoscenza spazio-temporale dimenticata.
Robert Park, sociologo, esponente della scuola di Chicago, definisce la città come
un mondo da un lato creato dall'uomo in funzione dei suoi desideri e allo stesso
tempo il posto in cui l'uomo stesso è condannato a vivere, costruendo la città ha
quindi costruito se stesso.
La città è piuttosto uno stato d'animo, un corpo di costumi e tradizioni, di atteggiamenti e
di sentimenti...non è semplicemente un meccanismo fisico e una costruzione artificiale:
essa è coinvolta nei processi vitali della gente che la compone; essa è un prodotto della
natura, e in particolare della natura umana 53.
Conseguentemente dunque, la città, una volta formatasi in risposta ai bisogni dei
suoi abitanti, modella e influenza questi ultimi con gli interessi del disegno che essa
incorpora al suo interno.
La città contemporanea misura il suo grado di complessità nella difficoltà di
considerare e gestirei diversi aspetti e le diverse dinamiche, nella sua
organizzazione e nel suo essere in grado di offrire i servizi richiesti in risposta ai
nuovi bisogni di chi la abita.
Le trasformazioni sociali degli ultimi decenni sono difficilmente analizzabili
53PARK R., La città: indicazioni per lo studio del comportamento umano nell'ambiente urbano, p. 5 in La
città, Edizioni di comunità, Treviso, 1999, p.43.
29
attraverso strumenti pianificatori tecnici tradizionali, che non ne comprendono i
caratteri fondamentali urbani, per questo è necessaria un nuovo modo di guardare,
un nuovo orientamento in grado di cogliere le nuove emergenze e,
conseguentemente, nuove tecniche e strumenti di valutazione degli interventi
all'interno della città, partendo per esempio dall'analisi delle ragioni alla base di
pratiche culturali e sociali nati in alcuni spazi della città.
Come riconnettere la città formale a quella informale, i diversi pezzi frammentati
del territorio urbano, attraverso l'azione partecipata dei cittadini stessi?
È questione di assumere nuovamente una visione antropocentrica, ovvero riporre al
centro del discorso l'individuo nello spazio sociale e analizzare il rapporto che
intercorre tra l'architettura e il suo comportamento; ciò che Lefebvre definisce
“produzione dello spazio sociale”54, riconoscendo in essa tre categorie, una
dialettica triplice dello spazio: lo spazio praticato (vissuto), la rappresentazione
dello spazio (concepito) e lo spazio di rappresentanza (percepito).
Sempre negli anni '70 Foucault teorizza alcune aree particolari comprese nel
perimetro della città che chiama eterotopie55, ovvero dei luoghi potenziali punti di
ritrovo tra abitanti e spazio pubblico56.
Queste teorizzazioni spaziali per indicare che l'azione di reinventare la città in base
alle esigenze di chi la vive, di plasmarla in funzione dei propri desideri deve
diventare, per questo, un diritto ad appannaggio di tutta la collettività, il diritto di
partecipare ai processi di urbanizzazione in maniera attiva e alla possibilità, cioè, di
poter definire in maniera comunitaria i tipi di beni che si vogliono consumare, lo
stile di vita e le relazioni sociali che si vogliono sviluppare.
Il diritto alla città, secondo Lefebvre, trova le sue radici nel concetto del quotidiano,
della vita quotidiana, ovvero nella necessaria relazione tra l'uomo e altri uomini, e
tra questi e il mondo, relazioni che vanno a costituire l'essenza della nostra vita, la
nostra “familiarità”, è lo spazio in cui si muove l'essere umano e il terreno sul quale,
54LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976, p.32.
55«spazi differenti […], luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in
cui viviamo», da FOUCAULT M., Eterotopia, a cura di S. Vaccaro, T. Villani e P. Tripodi, Mimesis, Milano
2010,p.13.
56Paul-Michel Foucault (1926-1984) è stato uno storico, filosofo e sociologo francese. Di grande rilevanza
sono i suoi studi sulle organizzazioni sociali della società moderna, sulla sessualità, Tra i suoi scritti: Storia
della follia nell'età classica (1961), Utopie. Eterotopie (1966), Sorveglliare e punire: nascita della prigione
(1975), Storia della sessualità (1976-1984).
30
allo stesso tempo, la forza politica perpetua il suo dominio assicurandosi la
continuazione dei rapporti di produzione.
E dove si manifesta la vita quotidiana nel mondo contemporaneo se non nella cittàprodotto? E cosa costituisce se non un corpo unico,un supporto, differenziato al suo
interno, dove ogni cittadino ritrova un senso di appartenenza e pone fine al senso di
alienazione?
Escludere alcuni cittadini dalla partecipazione ai processi di rigenerazione urbani
significa formalmente escluderli dal processo collettivo di civilizzazione, oltre che
escluderli fisicamente allontanandoli dal cuore della città e relegarli in periferie
dimenticate.
Il senso della cittadinanza urbana e della natura di uno spazio urbano, come lo è un
quartiere, viene dunque espresso non soltanto dall'aspetto estetico architettonico ma
da una serie di fattori intrecciati e combinati tra di loro, quali il disegno urbano, le
diverse variabili morfologiche e sociologiche; anche la presenza o assenza dello
spazio pubblico influisce sulla “personalità” e sulla sostanza dello spazio in
questione;
È da queste riflessioni che hanno preso vita diversi movimenti sociali che affrontano
temi quali lo spazio pubblico, le relazioni tra il centro e le periferie, la cittadinanza
attiva e i suoi diritti, tentando di proporre nuove forme democratiche di gestione e
produzione della vita urbana.
Quindi il poter esercitare il proprio diritto alla città è ciò che differenzia un comune
individuo da un cittadino, ovvero ciò che si deve intendere come cittadinanza
(concetto da ridefinire, riconsiderandone tutte le sfaccettature, le dinamiche e le
complessità, termine costantemente rinegoziato da autorità e poteri economici) è la
partecipazione piena e attiva di un cittadino alla vita urbana, attraverso la quale si
possono misurare i traguardi ottenuti e individuare le mete a cui indirizzarsi e nelle
quali investire in maniera ragionata le energie.
31
Capitolo II
La pratica artistica come opera in atto nel campo sociale
l'arte è l'espressione più sensibile e integrale del pensiero
ed è tempo che l'artista prenda su di sé la responsabilità
di porre in comunicazione ogni altra attività umana,
dall'economia alla politica, dalla scienza alla religione,
dall'educazione al comportamento, in breve tutte le
istanze del tessuto sociale.
Michelangelo Pistoletto, Manifesto Progetto Arte, 1994
II.1 Uno sguardo all'arte degli anni Sessanta e Settanta
La grande sperimentazione in campo artistico negli anni Sessanta e Settanta aveva
creato una certa consapevolezza della mancanza di confini dell'esperienza artistica,
toccando per certi versi un punto di non ritorno.
Si affermano svariati campi d'indagine, una mobilità sperimentativa che inizia a
produrre 'altro', altre proposte, altri modi di fare arte, relegando la pittura nelle
gallerie e negandole così il ruolo di tendenza esclusiva nell'arte.
Dagli anni Sessanta, infatti, si avverte uno svanire della nozioni di avanguardia che
lascia il posto a un progressivo passaggio verso una nuova categoria concettuale,
ovvero quella delle arti plastiche costellata da una miriade di mezzi ed espressioni
32
artistiche nuove che vedono l'arte affrancarsi sempre più dal campo delle belle arti
intese nelle forme di pittura e scultura, e offrono un quadro concettuale di più ampio
respiro.
Giulio Carlo Argan, nella sua critica a questo decennio sottolinea l'importanza
dell'arte di assolvere a una funzione sociale e la necessità dell'individuo di integrarsi
totalmente nella società sincronizzando il proprio ritmo esistenziale con quello del
fare sociale, ed è qui che l'arte sviluppa la sua partecipazione “nell'impresa
collettiva dell'umanità” come lui stesso la definisce.
Il momento di cambiamento, di cesura, si attua quando iniziano a conquistare il
terreno quelle pratiche extra-artistiche, quando con gli happening vengono instaurati
nuovi tipi di rapporti tra arte e pubblico, espandendo il territorio dell'arte mediante il
ricorso a nuovi supporti e ampliando l'uso di materiali e tecniche finora attinenti a
specifici ambiti, come il video o la fotografia.
Ma questo sconfinamento dell'arte non avviene soltanto oltre 'la cornice', cioè per
quanto riguarda le nuove tecniche, ma anche e soprattutto oltre i luoghi e il sistema
dell'arte, sino ad arrivare a un coinvolgimento tale che vede il sovrapporsi e il
coincidere di arte e società, arte e politica.
Un rapporto, per un certo verso, già intimamente connesso che risuona nelle parole
di Althusser :
il compito specifico dell'arte è far vedere, far percepire, far sentire qualcosa che si
riferisca alla realtà. Quello che l'arte ci fa vedere o ci dà in forma di un vedere è
l'ideologia da cui ha origine, nella quale si sprofonda e dalla quale si distacca in quanto
arte, pur continuando a farvi riferimento. Infatti l'ideologia penetra in tutte le attività degli
uomini, ed è identica al 'vissuto' stesso dell'esistenza umana, l'ideologia nell'arte ha per
contenuto il vissuto degli individui. Questo vissuto non è un dato, il dato di una 'realtà
pura' bensì il vissuto spontaneo dell'ideologia nella sua propria relazione con il sociale 57.
Si fa strada un'arte consapevole del suo messaggio e della sua necessità di essere
'sociale', un'arte che scardina quel meccanismo per il quale il fare arte era visto
come vittima del consumismo e dei meccanismi propri della società capitalista.
Uno dei primi eventi di arte contemporanea internazionale che ha cambiato
57ALTHUSSER L. in F.Fedi, Collettivi e gruppi artistici a Milano. Ideologie e percorsi 1968-1985, Edizioni
Endas, Milano 1986, p.17.
33
radicalmente il modo di percepire il lavoro dell'artista e il mutamento della
sensibilità artistica di questi anni è senza dubbio la mostra Live in Your Head. When
Attitudes Become Form, inaugurata il 27 aprile del 1969 alla Kunsthalle di Berna,
curata da Harald Szeemann.
Tra gli artisti presenti ricordiamo gli italiani Mario Merz, Giovanni Anselmo,
Alighiero Boetti, Giuseppe Penone, Jannis Kounellis, Gilberto Zorio; gli americani
Richard Long, Robert Morris, Sol LeWitt, Joseph Beuys, Richard Serra, Dennis
Oppenheim; e i concettuali tedeschi Eva Hesse, Hanse Haacke e Hanne Darboven.
Il sottotitolo della mostra è Opere, concetti, processi, situazioni, informazione.
Le loro opere sono, infatti, letteralmente gesti messi in atto, racchiudono in sé
un'ansia di agire e una tensione che fonde il comportamento dell'artista con la vita
stessa, espressioni di un connubio tra energia manuale e mentale concentrata su un
oggetto che si sviluppa nel tempo, il gesto che azzera l'oggetto rappresentato
annullandone ogni rimando simbolico attraverso la semplice presentazione della
cosa in sé.
Cambia la figura del curatore come quella dell'artista stesso ,in questi anni, il quale
assume innanzitutto il ruolo di cittadino socialmente e politicamente impegnato e
orientato, gli artisti si definiscono e vengono definiti come “operatori estetici e
culturali” o “operatori culturali” con il quale si evidenzia il fare artistico che
sviluppa in una pratica molteplice.
Tra casi di artisti italiani più evidenti possiamo citare come esempi Enzo Mari,
Enrico Castellani e Piero Gilardi, accomunati dalla decisione ferma di operare fuori
dal sistema dell'arte, convinti del forte carattere politico legato all'attività artistica.
In tal senso ci furono artisti che offrirono la la propria manualità alla lotta
rivoluzionaria, altri si dedicarono a temi legati alla società svelandone le
contraddizioni e contestando la natura del linguaggio della comunicazione di massa
(come il Gruppo 7058), altri invece introdussero direttamente la politica nelle loro
opere anche introducendosi fisicamente nei luoghi della contestazione (come il
58Il Gruppo 70 si fonda nel 1964 a opera di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti ai quali si unirono Luciano
Ori, Lucia Marucci, Mirella Bentivoglio, Emilio Isgrò, Giuseppe Chiari e Michele Perfetti. Il gruppo
intendeva denunciare le contraddizioni linguistiche tipiche dei media, sottolineando la maniera nella quale
questi traducevano in un linguaggio codificato le ideologie della cultura politica, economica e sociale.
34
collettivo Artwork59).
Nello stesso anno della mostra di Harald Szseeman si aprivano le porte all'azione
Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana60, a Como nel
settembre 1969, che vedeva coinvolti tra i partecipanti Bruno Munari, Ugo La
Pietra, Enrico Baj, Gianni Colombo, Gianni Pettena, Dadamaino e Ugo Mulas.
L'evento si caratterizza per le pratiche radicali messe in atto dai diversi artisti nel
centro storico di Como, interventi partecipativi che mirano al coinvolgimento degli
spettatori-collettività per portarli a una riflessione in senso lato sull'architettura, la
musica, l'arte, la performance, il design; Bruno Munari, ad esempio, con
Visualizzazione dell'aria di Piazza Duomo, invita i presenti a tagliuzzare pezzi di
carta e lanciarli dalla torre di piazza Duomo.
Così facendo l'azione porta l'artista nella comunità, a diretto contatto con la
collettività e negli spazi in cui questa agisce, si relaziona e vive il suo quotidiano,
nella ricerca di un rapporto reale tra le due parti: l'artista che si insinua e converge
con le abitudini della comunità e quest'ultima che diviene parte integrante di
un'azione evasiva, radicale ma allo stesso tempo effimera.
Di fatto la critica artistica degli anni '70 vede come sfondo e base teorica la filosofia
pragmatista americana, in particolare di John Dewey, secondo la quale non è nel
messaggio che risiede la comunicazione ma nella partecipazione e nello spazio
implicato; nell'opera Arte come esperienza del 1934 Dewey sostiene che la
comunicazione è il risultato derivato dal rapporto che si realizza tra organismo
(l'artista) e l'ambiente (il pubblico), in una continua relazione e interazione tra
l'individuo e l'ambiente in cui si trova.
Anche secondo il filosofo Jean Pierre Cometti, riprendendo il pensiero di Dewey,
afferma che è l'esperienza si è sostituita all'arte realizzandosi nell'esperienza del
quotidiano, un evento che si esaurisce nella produzione di un'azione a contatto con
la vita, rivendicando la dipendenza dell'arte dai contesti socio-culturali nei quali si
definisce
Il Padiglione italiano della Biennale di Venezia del 1976, curato da Germano Celant,
59Artwork è un collettivo nato come strumento di lotta che non aveva uno spazio fisico ma si concretizzava
in iniziative proposte di volta in volta.
60L'evento è curato da Luciano Caramel, Ugo Mulas e Bruno Munari.
35
sviluppa il tema di Ambiente come sociale, dove vengono trattati argomenti quali la
partecipazione spontanea, la crisi del concetto di comunità e di città, la
riappropriazione urbana.
In questo clima di profonda riflessione sul fare arte e sul significato di arte nella
società si percepisce che il termine ultimo della pratica artistica, recuperato dal
pensiero delle avanguardie storiche, deve essere quello di operare un cambiamento
all'interno della società, liberando l'uomo dai condizionamenti imposti dalla società
capitalista.
Nel pensiero filosofico con Derrida, con Bourdieu e Foucault emergono i
meccanismi nascosti del potere e della cultura, mentre nella dimensione artistica si
assiste a una evoluzione delle forme e a una percezione della possibilità di
trasformazione che porta alla cosiddetta 'uscita dalla cornice'. Nel 1967 Guy
Debord, che fu uno dei fondatori dell' 'Internationale Situationniste', pubblica La
société du spectacle, in cui sostiene che «tutta la vita delle società nelle quali
predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa
accumulazione di spettacoli»61. La tesi che sostiene Debord è che la società dello
spettacolo non è tanto un prodotto dello sviluppo tecnologico mediatico ma si
identifica con il sistema economico avanzato capitalistico.
Nel 1968 Enrico Castellani con Enzo Mari, Manfredo Massironi e Davide Boriani
sottoscrivono il manifesto Un rifiuto possibile, prendendo una chiara posizione
critica rispetto al sistema dell'arte, un rifiuto in particolare verso la partecipazione a
manifestazioni quali Biennale di Venezia, Documenta, condannandone l'impronta
prettamente commerciale.
Esplorare le diverse sfaccettature della pratica artistica misurandone l'impatto
sociale, forgiando un linguaggio utile alle trasformazioni in atto nella società, unito
a una radicale critica al sistema e alle istituzioni dell'arte, ne fanno le principali linee
di ricerca di questi anni.
In questa costellazione di nuove attitudini tecniche e linguaggi uno degli aspetti di
maggior impatto sono state le pratiche performative e la cosiddetta body art
61DEBORD G., La società dello spettacolo, SugarCo, Milano, 1990, p.22.
36
(termine introdotto dal sistema dell'arte americano e applicato in riferimento sia alle
esperienze europee sia statunitensi), tendenze che raggruppano esperienze e ricerche
concettualmente tra loro diverse ma accomunate dall'uso del corpo come strumento
linguistico dell'opera d'arte, Il corpo come linguaggio titolo dato da Lea Vergine nel
1974 al suo pionieristico studio sull'argomento.
Ho creato un linguaggio che mi ha dato la possibilità di pensare l'arte in modo nuovo.
Quello dei corpi è il mio gesto radicale: i corpi diventano il materiale e l'oggetto del
discorso (senso, spirito e materia).
Gina Pane
Si tratta di una ricerca artistica dove c'è il coinvolgimento pieno del corpo
dell'artista che assorbe illusoriamente lo spettatore, un 'esserci' fisico che crea una
nuova relazione diretta tra artista e spettatore: istanze di ricerca comuni ad altre
esperienze di poco precedenti o coeve come gli happening, gli artisti Fluxus, alle
operazioni di arte concettuale di Bruce Nauman dove il corpo è il principale oggetto
di indagine. Risulta difficoltoso tracciare dei confini precisi intorno a questa pratica
e definire quali esperienze e artisti rientrino precisamente in questa 'corrente',
infatti, l'interesse sul problema del corpo nasce in un momento storico di crescente
tensione sociale e mediatica nata intorno al movimento femminista, alla liberazione
sessuale e ai movimenti del Sessantotto.
La prima di queste esperienze è da trovarsi nel Wiener Aktionismus, ovvero l'
Azionismo Viennese (nel quale figurano gli artisti Hermann Nitsch, Otto Mühl,
Günter Brus e Rudolf Schwarzkogler, per citarne alcuni), nato agli inizi degli anni
Sessanta proprio in seno a un'Austria conservatrice e repressiva rispetto alle libertà
individuali. Il carattere sovversivo e rivoluzionario di tale movimento costituito da
una crudezza dei gesti , una morbosità e azioni sconcertanti, attira immediatamente
su di se la condanna da parte delle istituzioni e del pubblico, ma anche un eco
internazionale.
Infatti, nella seconda metà degli anni Sessanta diversi artisti si avvicinano al
movimento azionista con azioni incentrate sul corpo, come il lavoro di Valie Export
e Peter Weibel Aus der Mappe der Hundigkeit, 1968, utilizzando il corpo come
37
veicolo per infrangere quei codici sociali imposti dalla società o meglio da processo
di civilizzazione; anche la francese Gina Pane cerca di svelare alcuni tabù sociali
provocandosi svariate ferite e mettendo sempre più alla prova il suo corpo come
luogo e materia d'arte e mettendo al centro della sua ricerca il dolore che si insinua
nella vita quotidiana, nei gesti e nei rapporti interpersonali.
Questo progressivo superamento della concezione tradizionale 'bidimensionale'
dell'opera d'arte porta con sé importanti conseguenze per quel che riguarda il
rapporto con lo spettatore. Il fruitore, in questo caso, è chiamato ad assistere
all'azione da spettatore emotivamente attivo in quanto partecipa con empatia
vivendo su di sé indirettamente il dolore, il disagio e la sofferenza dell'artista, e in
maniera passiva in quanto accetta la sottomissione culturale dell'autorità dell'artista,
ovvero lo spettatore, in nome dell'arte, accetta passivamente che il performer arrivi
a umiliarsi e a infliggersi sofferenze fisiche.
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II.2 Milano negli anni '70 e '80: tra occupazioni e collettivi
La pratica sociale nella forma del gruppo
Dal clima di insoddisfazione e fermento che caratterizza gli anni Settanta nasce, in
contrasto con il concetto di individualismo, il senso della collettività: prendono
forma, sotto la spinta di nuovi fattori culturali, gruppi mossi da una cultura politica
e da un'ideologia che ha alla base l'uso della forma della democrazia diretta,
dell'autogestione e del controllo dal basso.
Il passaggio dall'individualismo al collettivismo è stato evidente anche nel settore
delle arti visive, dove gli 'operatori' (termine che va a sostituire quello di 'artista',
termine elitario per la sua natura che si poneva al di fuori di una realtà contingente)
vogliono entrare nelle fabbriche, operare nel tessuto urbano provocando il pubblico
a una partecipazione attiva contro una cultura organizzata a priori e imposta in
modo passivo all'individuo.
Bruno Munari ha scritto:
si fa sempre più strada la convinzione che l'esperienza individuale può essere anche
formidabile per l'individuo, ma se non ha anche un valore per la collettività, di questa
esperienza non resta niente. Einstein disse: un uomo vale per quello che dà non per quello
che prende. La vita della collettività, intesa come insieme di individui, è, logicamente più
lunga di una singola vita individuale. È la somma delle esperienze individuali utili alla
comunità, è da questa conservata e portata nel futuro. La somma delle esperienze è la
tradizione, finora male intesa, nel senso che invece che costruirla ogni giorno veniva
stancamente ripetuta. […] Io credo che l'artista è individualista, nel senso che gli interessa
solo far vedere quanto è bravo, ma non aiuta gli altri nella crescita culturale, non serve
alla collettività. Lascia gli individui nell'ignoranza, anzi ne sfrutta questo lato negativo a
proprio vantaggio, aiutato da mercanti disonesti 62.
La sperimentazione trova modi operativi nuovi, come la cooperazione della
collettività alla definizione dei progetti; per molti operatori, infatti, il passaggio
obbligato per trovare un modo alternativo è stato quello di lavorare in gruppi,
aprendo il cambiamento nella concezione convenzionale del rapporto artista-società.
Prevale il desiderio di correggere i rapporti tradizionali tra la gente e l'arte attuando
nuove strategie in termini di pratica comunicativa, come riferisce Franco
62MUNARI B., Dall'individualismo al collettivismo, in 'Arte Centro 75' aprile-giugno.
39
Mazzucchelli:
Adesso ci interessiamo esclusivamente dell'operazione che dobbiamo compiere, a più
livelli, in più città […] Ho bisogno soprattutto della messa a punto di un lavoro collettivo,
felice, disincantato, che trascenda dai canoni sclerotizzati dell'operare artistico e faccia
parte anch'esso della vita di tutti i giorni 63.
Il lavoro in gruppo insieme all'autogestione del lavoro, alla riappropriazione, al
decentramento culturale accompagnato dalla nascita della problematica del rapporto
con gli enti pubblici diventano i temi fondamentali alla base dello spirito delle
esperienze artistiche di questi anni.
La prima ricognizione consapevole dei fenomeni legati a questa nuova forma
operativa viene condotta, come già citata in precedenza, dalla Biennale di Venezia
del 1976, la quale ci presenta un'Italia, della prima metà degli anni Settanta, di fatto
costellata di gruppi che tentavano esperienze politiche e sociali.
Crispolti, curatore insieme a Raffaele De Grada, della sezione italiana dedicata
all'Ambiente come sociale avente la sotto-sezione Documentazione Aperta64,
afferma:
un mutamento radicale di prospettive […] in senso di 'cooperazione' culturale, ove
l'operatore assume un ruolo di provocatore e stimolatore, ma subito pronto a dare quanto
a ricevere, disposto cioè subito a partecipare della partecipazione che egli stesso
inizialmente ha sollecitato65.
La modalità d'approccio all'ambiente sociale era, quindi, quella di mettere in atto
una serie di operazioni artistiche dal carattere contestativo che creassero, in maniera
conflittuale, un forte impatto emotivo all'interno del contesto urbano, cercando di
suggerire una diversa consapevolezza della realtà della situazione sociale urbana.
Vennero messe in atto dei veri e propri momenti di 'riappropriazione urbana' e
63Franco Mazzucchelli nasce a Milano nel 1939 e si diploma in scultura all’Accademia di Brera, dove
diviene docente di Tecniche della Scultura. Nella sua produzione artistica analizza il problema dello spazio e
della sua agibilità, attraverso le sue strutture gonfiabili in PVC lasciate in luoghi pubblici, ideate per
interagire con la gente.
64Documentazione Aperta, Padiglione italiano ai Giardini di Castello, Biennale di Venezia 1976, Venezia 18
luglio-10 ottobre 1976. La mostra di Venezia era stata preceduta da alcune manifestazioni significative
connesse con l'ambiente urbano come Al di là della pittura organizzata nel 1969 a San Benedetto del Tronto,
e Campo Urbano dello stesso anno a Como dove alcuni artisti avevano cercato di coinvolgere emotivamente
il centro della città.
65CRISPOLTI E., in Ugo La Pietra, Recupero e reinvenzione 1969-1976, Mariano, 1976.
40
opere di 'partecipazione spontanea' attraverso azioni poetiche piuttosto che politiche
le quali coinvolsero direttamente il pubblico-popolazione, attraverso anche una serie
di interventi in collaborazione e in sostegno di cortei di operai e militanti di sinistra
in particolare nella città di Milano66, che in quanto città industriale italiana per
eccellenza, fece avvertire in maniera più massiccia il conflitto sociale e politico che
altrove67.
Il novembre del 1970 è teatro di azioni di disturbo messe in atto durante il Festival
del Nouveau Réalisme, delle azioni 'disequilibranti' di Ugo La Pietra, che lancia
come motto di ispirazione all'Internazionale situazionista: Abitare è essere ovunque
a casa propria.
Un esponente di rilievo nel panorama milanese di quegli anni è Fernando De
Filippi, noto per la sua invasione di testi strettamente politici per tutta la città, come
il manifesto esposto in occasione della mostra Testuale. Le parole e le immagini
recitava:
La pratica sociale dell'arte è la sola possibilità di lavoro autonomo all'interno del processo
di produzione artistico, in ogni progettazione ideologica si esprimono gli interessi della
classe egemone e si rispecchia attraverso mediazioni il modo di produzione dominante.
All'ideologia dominante ed all'Internazionalismo della mediocrità, la pratica politicosociale dell'arte oppone la destrutturazione del sistema artistico, attraverso la guerriglia
ideologica e l'assunzione del concetto di 'arte come critica dell'arte' e come analisi dei
processi e dei fenomeni sociali che condizionano e determinano il processo di produzione
artistico.
Arte come progettazione avviata da una sola classe, quella subalterna o emarginata (e
quindi creativa) in vista di un diverso modo di produzione e di una diversa
organizzazione dei rapporti sociali. La modificazione di questi rapporti presuppone
l'acquisizione e l'uso (legale o illegale) di strumenti di comunicazione più vasti e
determinati, conquistabili solo attraverso la strategia della pratica politica (prassi e
coscienza o prassi e pensiero)68.
66Vengono documentate anche operazioni artistiche in rapporto con le amministrazioni locali, come 'La
Piazzetta' a Sesto San Giovanni, volta a realizzare interventi estetici nello spazio urbano sulla base di
esigenze formulate dai cittadini.
67Va comunque segnalata la vitalità di questa stagione che coinvolse tutta l'Italia, nel 1978 venne organizzata
la prima Rassegna dei Gruppi autogestiti in Italia organizzata da Il Moro di Firenze e Centro Lavoro Arte di
Milano, manifestazione dalla quale emersero molti gruppi quali: Il Portello di Genova, Ti-Zero di Torino, Il
Brandale di Savona, Magazine di Prato, Inter/Media di Ferrara, Il Cronotopo di Perugia, Associazione AM di
Roma, Spazio alternativo di Roma, Linea Continua di Caserta, Verifica 8+1 di Mestre/Venezia. Da CIONI
C., I Rassegna Gruppi Autogestiti in Italia, Edizione Il Moro, Firenze, 1980, pp.16-17.
68DE FILIPPO F., La pratica politica, manifesto, 1979.
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Il Collettivo Lavoro Uno69 nasce nel 1972, un gruppo eterogeneo il cui scopo è stato
quello di costruire un rapporto alternativo e nuovo tra arte e società identificando
nel lavoro collettivo l'unica maniera di fare arte e ponendosi in netta contraddizione
rispetto al 'mondo dell'arte' istituzionale. Intervengono soprattutto nella periferia di
Milano con varie azioni e manifestazioni, tra le quali a Sesto S.Giovanni con Artisti
nei quartieri e con Piazzetta '75-'76 dove basano il loro lavoro sulla ristrutturazione
di spazi urbani per uso collettivo in un discorso più ampio di modifica del
tradizionale rapporto insito tra arte-società-artista.
Nel 1974 (e avrà il suo atto finale alla Rotonda di via Besana nel 1977) nasce in
corso di Porta Ticinese 87 un nuovo collettivo il Collettivo Autonomo Pittori di
Porta Ticinese70, la cui figura catalizzatrice fu Giovanni Rubino, nella Galleria di
Gigliola Rovasino; un collettivo che si proponeva come un gruppo di artisti
militanti che rifiutava i privilegi “dell'autonomia della cultura” e trasformò la
galleria in un punto di di raccordo e scambio fra gli artisti, i cui interessi ruotavano
intorno al ruolo politico e sociale dell'arte, un laboratorio aperto al confronti delle
ricerche artistiche individuali. Realizzano, inoltre, una serie di murales a sostegno
delle lotte operaie tra i quali quelli in piazza Duomo a Milano per il Cile1974 o per
la Mobilitazione per l'Innocenti e le altre fabbriche in Lotta sempre a Milano nel
1976.
Tra i vari collettivi l'unico che dimostra un'evoluzione da una critica al sistema a
una poetica autonoma è il Laboratorio di Comunicazione Militante 71, che dal 1976
al 1979 occupa come sede la ex chiesa di San Cristoforo a Brera, mentre nel 1976
presenta alla Rotonda della Besana la mostra Strategia d'Informazione, allestita poi
nel 1977 alla Casa del Mantegna a Mantova, ricerca che si focalizza sulle forme e
sulle tecniche di comunicazione dominanti, evidenziando le modalità interpretative
con le quali comprendere i messaggi e i loro contenuti impliciti o occulti. Il gruppo
si scioglierà nel 1978 dopo l'ultima mostra tenutasi a Milano alla Permanente.
Qui viene ideata e organizzata la Fabbrica della comunicazione: un laboratorio
69Il collettivo viene fondato da Giorgio Calvi, Giuseppe Denti ,Tullo Montanari a cui si aggiungeranno
l'anno successivo Fernanda Fedi, Giorgio Cantonetti, Alberto Fornai, Gino Gini, Giuseppe Giunta, Antonio
D'attellis, Gianni Montanaro.
70Nato per opera di Amadori, Corciani, Costa, Borgese, Ricatto, Rubino, Sommariva, Tibaldi, Lanassini.
71Costituitasi a Milano nel 1975 da Tullio Brunone, Claudio Guenzani, Giovanni Columbu, Ettore Pasculli,
Paolo Rosa.
42
interdisciplinare, un workshop aperto a tutti, con concerti e mostre.
Un altro tassello importante nella scrittura di una storia dell'arte sociale milanese è
senz'altro la Casa degli artisti, in corso Garibaldi 89a, occupata nel 1978 (e che
proseguirà la sua attività negli anni '80) da un collettivo di artisti di cui fecero parte
i fondatori, coloro che individuarono il luogo come 'terreno fertile' per un
esperienza laboratoriale, ovvero Jole de Sanna, Luciano Fabro e Hidetoshi
Nagasawa.
C'è spazio anche per ricordare alcuni altri gruppi o interventi spontanei che, anche
se non costituitisi in veri e propri collettivi hanno comunque contribuito a questa
ricerca di orizzontalità nella modalità operativa artistica a sostegno delle lotte in
questo puzzle di esuberanza. La Brigada di Poder Popular, per esempio, nata nel
1975 tra le mura dell'Università Statale di Milano che esegue una ventina di murales
tra i confini dei quartieri popolari della città, scuole, fabbriche; o l'azione
partecipativa messa in atto da De Vecchi e Boriani, due tra i fondatori del Gruppo T
di Milano, all'interno dell'Accademia di Brera dove hanno realizzato dei murales
partendo dall'ambiente stesso dell'accademia stimolando così un rapporto di
integrazione e interazione fra gli studenti e il contesto sociale nel quale questi sono
inseriti.
'A Milano non passeranno' è lo slogan lanciato, invece, agli inizi degli anni Ottanta
da alcuni artisti come polemica nei confronti di quei nomi che rappresentavano la
scena artistica con i lavoro lavori nelle migliori gallerie e musei del mondo.
Sono anni nei quali la distanza tra la città di Milano e il resto del mondo si
ridimensiona, dove le possibilità per una artista di estendere il suo campo visivo e di
farsi conoscere altrove aumentano notevolmente.
Ma nella seconda metà degli anni Ottanta si assiste a un proliferare di nuove gallerie
attente a ciò che stava succedendo non solo localmente ma globalmente: come lo
studio Cannaviello che porta a Milano artisti svizzeri, austriaci e tedeschi, o come
Luciano Inga-Pin, un talent-scout per giovani artisti che esploravano le nuove idee
sui rapporti tra arte e impresa.
Corrado Levi, sicuramente, è stato in questo senso una figura catalizzatrice per quel
43
che riguarda le sue manifestazioni e le sue attività espositive nelle quali ha coinvolti
artisti emergenti alla luce di quanto succedeva nell'East Village 72, sopperendo a
quella mancanza di spazi pubblici, privati e alternativi senza i quali non avrebbe
mai potuto esporre i loro lavori.
Non si arriva comunque a captare e ad afferrare quell'arte che era in auge in quel
momento nel resto delle capitali europee, e gli anni Ottanta a Milano restano legati
in prevalenza ad artisti nazionali senza offrire al pubblico la possibilità di visitare
una mostra significativa dei protagonisti del tempo 73, lasciando tutto circoscritto a
circuiti limitati e di carattere locale.
Il problema sostanziale è costituito dalla mancanza in quel preciso momento a
Milano di una rete di strutture e istituzioni di supporto all'arte contemporanea, una
debolezza della critica ufficiale e anche un inesistente dialogo tra pubblico e
privato, lasciando così un vuoto alimentato anche dall'assenza di una tendenza
artistica forte in loco.
Francesco Bonami sulla Milano di quegli anni scrive:
eravamo la coda di una generazione e pensavamo di essere il naso di un'altra, eravamo in
transizione e credevamo di essere la causa di un passaggio.[...] Ma Milano è proprio
questo; la perenne transizione della città e della società italiana, la voglia di trasformarsi e
la comodità di restare sempre gli stessi, un simbolo di progresso e mai una realtà 74.
A Milano effettivamente non si è mai imposta una tendenza tanto forte da fare
scuola (come l'Arte Povera a Torino)e, anche se da un lato è stata caratterizzata da
una staticità del mercato se paragonato alla scena internazionale, dall'altro si è fatto
della città una base per sperimentazioni inedite; possiamo dire che l'esperienza della
Brown Boveri sia stata una delle più convincenti se non altro per il suo carattere
rinnovatore dovuto a una neonata generazione di artisti.
Per quanto riguarda lo stile e un 'fare nuovo' Renato Barilli ha scritto:
sembrava possibile sganciarsi dal presente per andare a rivisitare il passato, ma senza
72Tra il 1983 e il 1984 nascono a New York decine di gallerie di una sola stanza che accoglievano opere di
artisti create con le tecniche e i materiali più svariati, come Peter Nagy e Gracie Manson, e nuovi giovani
critici come Carlo Mc Cormick.
73Gli anni Ottanta producono un accelerazione del successo, per esempio, di Peter Halley, Mayer Weisman,
Jeff Koons.
74BONAMI f., da Il cucciolo e le ostriche in Due o tre cose che so di loro..., p.35.
44
riproporlo tale e quale (operazione assurda, inutile) bensì saccheggiandone i vari stilemi e
rilanciandoli. Ovvero era forse lecito darsi a una navigazione folle, sottratta alle
coordinate del 'qui e ora', per elaborare uno stato interspaziale, ma anche, per così dire,
intertemporale, dove passato e futuro, scavalcando il presente, si fondessero tra loro 75.
Così definisce la nuova stagione artistica che dominerà la scena artistica per la
prima metà degli anni Ottanta sotto il nome di Transavanguardia, supportata dalle
gallerie private come dal sistema istituzionale, provocando quella grande risonanza
e quel rapido successo che hanno offuscato così tendenze artistiche parallele.
Per quanto riguarda prettamente il fermento artistico presente nel quartiere Isola, già
nel 1976 era nato un gruppo intorno al Centro Culturale L'Isola, che già si muoveva
con azioni contro la speculazione edilizia iniziata in quegli anni, contro lo stato di
degrado al quale erano abbandonate diverse abitazioni del quartiere sviluppando
così il primo seme di proteste (profetiche) contro 'la speculazione, degradazione,
demolizione'. Vengono realizzati dei murales da un gruppo di pittori, quali: Giunta,
Cantonetti, Gini, Fedi, gambino, Roncato, Ronchi, Wagnest, Carminati, Magli,
Contini76, influenzati dai murales creati in Cile all'interno della protesta culturale
contro il governo di Pinochet77.
Le parole di Corrado Levi riassumono il clima diffuso in Italia e in particolare a
Milano in quegli anni:
Gli anni ottanta seguono immediatamente quelli di piombo, per chi non c'era sappia che
la sera a Milano non si poteva uscire, non c'era un bar aperto. Il rapimento di Moro del
1978 e seguente inferocimento delle parti tolse spazio alle infinite manifestazioni delle
nuove forme di partecipazione politica inventate nel decennio
precedente,
l'autodeterminazione, i consigli di fabbrica, le assemblee, la politica dal basso a portata di
ciascuno. Lo stato e i gruppi del piombo riportarono la situazione a una radicalizzazione
arretrata e superata, entrambi solidali e paurosi nei confronti del nuovo che si stava
diffusamente sperimentando, sopravvissero i gruppi di autocoscienza e di analisi del
personale che avevano scelto già a quel tempo la separatezza come pratica politica e
quindi furono meno toccati da quella reazione. Il senso nuovo e liberatorio di quella
somma di esperienze rimase come conquista e speranza nell'aria e nelle coscienze 78.
75BARILLI R., Designer re-designer, in “Ars”, anno V, n.7, Milano, luglio 2001, pp.90-93.
76Cronologia a cura di Antonio Brizioli e Mariette Schiltz, p. 23, in Fight-Specific Isola.
77Nel 1974 la Biennale di Venezia venne dedicata al Cile e ai suoi murales, molti artisti (tra i quali Emilio
Vedova e Sebastian Matta , influenzati da quest'attivismo artistico riempirono alcuni campi veneziani con
murales dedicati alla libertà del popolo cileno, costituendosi nella Brigada Salvador Allende; mentre a
Milano venne organizzata la mostra Mostra incessante per il Cile tra il 1973 e il 1976.
78LEVI C., Gli anni Ottanta,P. 49, in MENEGUZZO M., Due o tre cose che so di loro. Dall'euforia alla
crisi: giovani artisti a Milano negli anni Ottanta, catalogo della mostra al PAC, Electa, Milano 1998.
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In ultima analisi, nonostante la testimonianza di questa effervescenza manifestata
dai diversi collettivi qui ricordati, mossi dalla volontà di condannare varie istanze
del sistema generali e allo stesso tempo portare il loro contributo in una fase di
proposizione alternativa e partecipativa, va segnalato il loro fallimento che si
manifesta nella loro scomparsa dai cui resti si assiste a un ritorno all'individualismo,
al privato e alla ricerca dell'effimero; un fallimento legato alle risposte forse troppo
utopistiche (nella definizione di Marcuse cioè che ciò che viene proclamato utopico
non è più qualcosa di che non accadrà ma qualcosa la cui realizzazione è impedita
dalla forza della società) o nel voler operare nel contesto sociale affrancandosi da
ogni tipo di appoggio istituzionale restando nella forma dell'autogestione (ovvero
autofinanziamento).
Si può inserire questa analisi in un contesto più ampio, nel quale, le dinamiche di
questi gruppi e la loro parabola terminata nell'insuccesso è da iscriversi all'interno
del fallimento dei tentativi delle neoavanguardie internazionali nel recuperare la
separazione
arte-vita
Bürger
Teoria
in
e
dunque
dell'avanguardia
arte
del
e
realtà
1974
sociale-politica.
scrive
in
merito:
Una moderna estetica, come non può trascurare i drastici cambiamenti che i movimenti
storici d'avanguardia hanno prodotto in campo artistico, così non può nemmeno restare
indifferente al fatto che l'arte da tempo è entrata in una fase postavanguardistica,
caratterizzata da una restaurazione della categoria di opera e dall'impiego a fini artistici di
procedimenti che le avanguardie avevano escogitato con intenti antiartistici. Questo non
deve essere considerato come «tradimento» degli obiettivi dei movimenti d'avanguardia
(superamento dell'arte come istituzione sociale, unificazione di arte e vita), bensì il
risultato di un processo storico.[...] dopo il fallimento dell'attacco portato dai movimenti
storici d'avanguardia all'istituzione arte, e quindi dopo la mancata conversione dell'arte
nella vita pratica, l'istituzione arte continua a esistere come sfera distinta dalla vita
pratica79.
Si tratta di un'analisi nata dopo le contestazioni del '68, anni nei quali si sviluppano
le neoavanguardie Arte processuale e Arte Povera, nelle quali l'artista non è più
artefice di un oggetto ma l'opera sta nei processi cognitivi-percettivi, ma che finisce
comunque per essere assorbita in una logica generale nella quale viene
istituzionalizzata e commercializzata, logica che non da spazio alle minoranze,
soffocata
da
i
meccanismi
di
controllo.
79BÜRGER P., Teoria dell'avangurdia, a cura di Riccardo Ruschi, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p.67.
46
Inoltre l'obiettivo dell'incidere e modificare la società risulta realizzabile solamente
all'interno dei confini formali propri dell'opera e il limite formale delle
neoavanguardie ricade dunque nell'impossibilità di riconvertire l'arte nella vita
pratica.
Come sostiene Cometti nella sua riflessione sulla fine delle avanguardie:
C'est pourquoi l'art d'après la fin de l'art n'est pas seulement privé de ses anciens ressorts.
Comme la fin annoncée de l'histoire, il ne peut être qu'un art de consensus, même s'il
donne encore l'impression d'une forme d'êlitisme associée à l'une des sources hitoriques
des avant-gardes. […] dans l'arte d'avant-garde, la ropture présente généralement une
double signification artistique et sociale ou politique. La fin presumee de l'art et celle des
avant-gardes, substitue à la rupture et au differend, les seules differences, privees de leur
inscription temporelle et de leur structure d'exclusivitè 80.
80COMETTI J.P., Que signifie la «fin des avant-gardes»?, in Rue Descartes, n.69, 2010/3, pp. 102.
47
II.3 Un'azione collettiva nella ex-fabbrica Brown Boveri
L'innovativa sperimentazione messa in atto negli anni Sessanta e Settanta arriva a
un punto di non ritorno dando vita a una volontà d'azione artistica che cerca di
muoversi al di fuori dei tradizionali luoghi deputati all'arte. Si genera così un
fermento artistico che coinvolge anche la città di Milano, soprattutto a partire dai
primi anni Ottanta, come l'esempio dell'occupazione della ex fabbrica Brown
Boveri che diventa teatro di nuovi incontri ed esperimenti con linguaggi artistici
inediti in una libertà espressiva affrancata dalle logiche di mercato, una propensione
a conquistare uno spazio di autonomia espressiva all'interno della metropoli.
Storia dell'edificio
Come sottolineato in precedenza, Isola nasce come quartiere industriale a partire
dagli anni Ottanta e Novanta dell'Ottocento, quando i campi agricoli vengono
industrializzati e l'espansione delle fabbriche porta alla nascita di una quartierepolis autonomo all'interno della Milano stessa.
La nascita della fabbrica Brown Boveri, una delle presenze industriali più
importanti del quartiere, ha inizio nel 1863 (anche se una parte dello stabilimento
già fu costruito nel 1908) anno nel quale viene fondata a Milano la Tecnomasio
Italiano, un'officina di ottica e meccanica di precisione che diviene intorno al 1871
la
protagonista
dell'industria
elettromeccanica
nazionale,
per
fondersi
successivamente con la società svizzera di Baden, fondata da Charles Brown e
Walter Boveri.
Esigenze di spazio portano successivamente la società ad acquistare degli
stabilimenti nel cuore del quartiere Isola, tra via Confalonieri e via De Castilla.
La produzione della Brown Boveri prosegue per i seguenti cinquant'anni sino agli
inizi degli anni Sessanta quando lo stabilimento, inadeguato alle esigenze aziendali,
viene definitivamente abbandonato e la sede trasferita in piazzale Lodi.
Nel 1984 quindi la Brown Boveri si trova vittima delle trasformazioni della società
48
in atto in una Milano competitiva a livello industriale, e resta un capannone
abbandonato.
Dopo l'occupazione nel 1985 la fabbrica resterà murata sino alla sua definitiva
chiusura e demolizione agli inizi degli anni Novanta, per far posto alle nuovi
costruzioni del progetto in atto nel quartiere Isola.
L'occupazione della ex-fabbrica nel 1984
Nel 1973 l'anatomia dell'edificio della ex fabbrica Brown Boveri aveva già
conosciuto le mani e l'azione di un artista, Gordon Matta Clark 81. Con la sua opera
Infraform l'artista, famoso per i suoi interventi in edifici in abbandono, apre la sua
serie dei cutting tagliano letteralmente il triangolo di parete nel punto di incontro
delle mura due stanze, creando una nuova prospettiva e una visione simultanea dello
spazio.
Mentre, tra l'autunno del 1984 e l'estate del 1985, un gruppo di giovani studenti e
artisti decide di occupare l'edificio, dismesso ormai da più di un ventennio,
consapevoli che il luogo era oggetto di discussione e obiettivo di interesse in
particolar modo da parte del Comune di Milano.
Il gruppo era guidato da Corrado Levi 82, artista, collezionista, che in quegli anni
insegnava Composizione Architettonica al Politecnico di Milano. Originario di
Torino, grande 'movimentatore' ha saputo fare di Milano un terreno fertile per la
sperimentazione, per lo sviluppo di stimoli nuovi per una generazione di artisti e per
il cambiamento di atteggiamento mentale nei confronti della definizione di arte; si è
fatto promotore di un'arte al di fuori dai luoghi accademici a fronte di una
81Arista newyorkese, “anarchitetto”, dopo la laurea in architettura si dedica a interventi effimeri sulle
architetture, in particolare su edifici in demolizione, creando nuove prospettive e fonda il gruppo
Anarchitecture. Arriva a Milano su invito di Salvatore Ala, gallerista. Infraform coincide con il suo primo
viaggio in Italia e studia nello stesso periodo un'azione anche in una fabbrica occupata a Sesto San Giovanni.
82Corrado Levi partecipa in prima persona all'evento, anche se non ne è l'organizzatore. Levi trova
nell'esperienza della Brown Boveri qualcosa che evoca i fermenti che generarono il fenomeno dell' East
Village a New York intorno al 1984. Dai primi anni '80, infatti, Levi è stato influente animatore culturale,
specialmente a Milano, dove ha trasformato il suo studio in Via San Gottardo in uno spazio in cui
sperimentare con i giovani artisti, attraverso una serie di mostre personali e collettive.
49
potenzialità di allargamento della fruizione estetica di un'arte legata all'ambiente
inteso come luogo di creazione fertile.
Levi, inoltre, è stato protagonista della scena della new wave americana esplosa tra
il 1983 e il 1986, dove viene invitato a una mostra nell'East Village in un magazzino
abbandonato, portandosi poi a Milano gli artisti newyorchesi presentandoli per la
prima volta in Europa.
Attraverso l'esperienza di Levi il clima di sperimentazione newyorchese viene
riproposto a Milano nella vicenda della Brown Boveri.
Di fatto, l'area sulla quale sorgeva la ex fabbrica era già dall'inizio degli anni '80 di
complessa risoluzione in quanto identificata come uno dei tanti 'vuoti urbani' (un
edificio dimenticato, ignorato) presenti sul territorio milanese e per questo vincolata
nella vendita dei privati da un interesse retrostante da parte dell'amministrazione
comunale.
Si tratta di un'azione, quella di occupare e conquistare spazi di autonomia espressiva
all'interno della città, che ha un retaggio culturale dagli anni Settanta spinto da
rivendicazioni politiche e sociali come i movimenti di lotta per il diritto alla casa.
Nei capannoni della Brown Boveri il principale intento è stato quello di creare una
realtà artistica alternativa, mettendo il processo di creazione, e il suo frutto finale, al
centro di una connessione tra arte e architettura, mettendo, allo stesso tempo, lo
spettatore difronte, o meglio nel mezzo, di un nuovo tipo di ricezione più
esplorativa e inabituale.
In questo edificio fatiscente il gruppo trova il suo luogo e i suoi materiali come
vettori per una simbolica rinascita dello spazio; ne ritrovano la sacralità
riecheggiante e traducono così il luogo di lavoro in luogo del lavoro artistico.
Le forme sono più associate che costruite e le immagini vengono acquisite per
suggestione, immersi pienamente nella realtà disponibile così da elaborarla e
trasformarla.
Nessun evento e nessuna mostra è riuscito meglio in quegli anni della B.B ad
affrancarsi
dall'arte
ricorrente
(come
Transavanguardia,
Pittura
colta/ipermanierismo, Nuovo Futurismo e altri) nel mercato e per quanto riguarda la
stampa di settore, diventando così un momento unico sulla scena artistica nazionale.
50
Gli occupanti erano: Andrea Andronico, Pietro Aresca, Stefano Arienti, Guglielmo
Emilio Aschieri, Cosimo Barna, Cristina Cary, Umberto Cavenago, Elisa Chierici,
Vittoria Chierici, Libero Concordia, Enzo Contini, Luigi Corte Rappis, Anna
Falcone, Gianni Gangai, Francesco Garibelli, Alexander Garbin, Nicola Gianmaria,
Elena Giorcelli, Danusia Horst, Yochi Yakir, Corrado Levi, Antonio Maniscalco,
Anna Mari, Amedeo Martegani, Marco Mazzucconi, Esther Musatti, Camillo
Pennisi, Paolo Pellegrini, Pier Vincenzo Rinaldi, Giona Rossetti, Milo Sacchi,
Stefano Sevegnani, Michele Sigurani, Pino Spadavecchia, Carlo Spoldi, Antonello
Tagliaferro, Vittorio Valente, Fosco Valentini, Enrico Valli, Paolo Ventriglia,
Francesco Volpe.
Si tratta di persone con un bagaglio culturale diverso, fatto di informazioni raccolte
in luoghi che si pongono al di fuori del campo conoscitivo prettamente artistico e
molti tra loro non hanno seguito dei corsi regolari in Accademia.
In Aformali, mobili, coinvolti83, Giulio Ciavoliello ha scritto:
Oltrepassare l'effetto shock dell'avanguardia, la loro azione di svolge senza l'angoscia
dell'influenza, senza soffrire di mani di opposizione e di distinzione, senza rifiutare a
priori la tradizione, anzi, con la consapevolezza dei tributi inevitabili alla 'tradizione del
nuovo',[...] Quello che si avverte nettamente è un'insofferenza di fondo verso la
proposizione univoca di una forma...Non è decaduto il ruolo del progetto, ma la sua
potenza euforica.
Gli artisti operano, infatti, consapevoli delle spoliazioni e delle rielaborazioni che
attuano nelle loro opere a cui vi si dedicano però con leggerezza e ironia in una
dialettica aperta a tutti i giochi e rimescolamenti possibili che propongono nuovi
linguaggi, sgravati dal peso della razionalità e dalla paura del 'sbagliare' in uno
sguardo però mai innocente.
83G.CIAVOLIELLO, Aformali, mobili, coinvolti, in Flash Art, 158 ottobre/novembre 1990, pp.101-103.
51
L'esposizione e le opere
Le installazioni di quaranta giovani hanno trasformato i
capannoni abbandonati in un singolare e suggestivo
museo84.
Al momento dell'occupazione 'artistica' nel 1984 l'edificio si presentava in 20000
mq di superficie sviluppata e divisa in diversi ambienti articolati tra esterni/interni e
disposti su più piani. Lo stato di degrado in cui vertevano aveva ormai contribuito a
mascherare e rendere invisibile lo scheletro costruttivo industriale originario per far
spazio, al suo posto, a un labirinto destrutturato.
Lo spettatore entrando non veniva a trovarsi in uno spazio unitario e definito e tanto
meno trovava indicazioni in riferimento a un percorso, doveva semplicemente
abbandonarsi al proprio istinto, curiosità e al desiderio di scoperta.
Giulio Ciavoliello scrisse a proposito
Ricordo che la caduta di gocce d'acqua da molti punti del soffitto rendeva suggestivo e
irreale il passaggio nella penombra di quei capannoni decadenti, rovinati dall'abbandono e
dall'azione delle intemperie ma ancora belli nelle strutture disadorne, con le parti in
muratura piene di incrostazioni e ricoperte dal muschio 85.
L'area interessata, che raccoglieva in sé gli interventi, venne denominata dagli artisti
stessi la 'Cattedrale' ispirato alla 'sacralità' del luogo, una sacralità legata sia alla
monumentalità architettonica che ricordava quella di una chiesa sia al passato di
queste mura quale tempio del lavoro e del progresso, divenuto ora emblema del
contrario, ovvero del ritorno del dominio della natura su quello tecnologico.
I lavori realizzati all'interno della fabbrica in occasione dell'occupazione hanno
testimoniato oltretutto la fusione con lo spazio, instaurando un dialogo e un legame
con le sue caratteristiche peculiari e la sua atmosfera estranea ai canoni standard di
spazio espositivo; è proprio nello spazio che le opere hanno trovato un comun
denominatore: solenne, imponente e carico di memorie.
84PASÉRO R., Fra le macerie spunta l'immaginazione, in “Il Giornale”, 31 maggio 1985.
85CIAVOLIELLO G. Brown Boveri, in Flash Art,n.158, 1990, p. 60.
52
L'uso di materiali rinvenuti all'interno della fabbrica ha consentito un mimetismo
quasi naturale delle opere con le pareti in perfetta armonia come se la figura
dell'artista-creatore fosse assente; le opere si svelavano nel cammino, affacciandosi
dalle pareti, o si scoprivano adagiate sui pavimenti, in un lieve romanticismo
sotteso, nel desiderio di fondo, di dar vita all'edificio un'ultima volta.
Francesco Gabanelli installa il suo Altare in fondo alla navata centrale della
'Cattedrale' , una 'scultoparola' emblema di un incontro tra la potenza evocativa
della parola, rappresentata con dei tubi di ferro, e la fisicità del materiale.
Nella parte retrostante all'Altare, invece, Amedeo Mategani e Marco Mazzucconi
realizzano la Sagrestia, una composizione astratta di travi in ferro affiancata a una
serie di pannelli metallici rettangolari disposti uno accanto all'altro in maniera
verticale.
Anche Paolo Pellegrini riprende l'idea del sacro nella sua Installazione, un tempio,
rinchiuso solo in una stanza, dedicato al dio sole dal quale si propagano diversi
raggi intorno e sul suolo; seguono le undici piramidi create da Antonio Maniscalco e
Libero Concordia che agisce, invece, nella cucitura tra due ambienti per mezzo di
una enigmatica figura attorno a una fessura trapassata dalla luce del giorno.
Anche la pittura è protagonista all'interno dell'intervento da parte del gruppo della
B.B, un tipo di rappresentazione lontana dal citazionismo e dallo stile accademico,
gli artisti, difatti, sperimentano tecniche e materiali applicate direttamente sulle
pareti le quali riprendono vita conseguentemente agli effetti naturali provocati dagli
agenti atmosferici, effetti che trasfigurano la fabbrica in un corpo generatore, quasi
fosse lei stessa fautrice-artista delle opere.
Cosimo Barna è stato artefice di Vibrazioni oltre lo spazio, un'azione versata a dare
nuova vita alle pareti attraverso l'uso di terre, ossidi e cobalti; l'azione, di grande
respiro, era costituita da piccoli segni, virgole ingrandite e ripetute con ossessione
sulla superficie.
Anche Stefano Arienti, con l'intervento Muffe, ha operato sulle pareti utilizzando dei
gessetti colorati che, a contatto con le muffe, l'umidità e le polveri hanno innescato
un processo naturale di colorazione tra le 'virgole' dipinte e l'epidermide
dell'edificio; accanto appare l'intervento di Esther Musatti, che colora di rosso una
53
spaccatura nel muro, come un'allegoria
della frattura, di una ferita e della
possibilità di passarci attraverso.
Meno incisivo è stato l'intervento di Corrado Levi, mentore del gruppo Brown
Boveri, con la scritta Uomini di Corrado Levi posta sopra a una porta, quasi a voler
revocare una sorta di paternità dell'azione.
Piero Aresca, Michele Sigurani e Esther Musatti sviluppano il loro lavoro
Installazione, con l'aiuto di due performer i quali simulano un rallentamento del
tempo e dell'azione fisica. Argomento, quello del tempo, ripreso anche da Antonello
Tagliaferro nella sua installazione Il tempo giallo, con la quale, in un gioco di
sospensioni e pennellate, blocca la discesa si una ruota su di un'asse.
La totale libertà d'espressione ha fatto sì che ogni artista creasse una sorta di rituale
personale carico di molteplici contenuti e con l'utilizzo di materiali diversi in un
quadro generale leggibile, in chiave allegorica, come passaggio dalla civiltà
industriale, inscritta nella memoria del luogo, all'era post-industriale.
Conseguentemente alla chiusura della fabbrica nel 1985 e al suo successivo
abbattimento, questi interventi sono stati sigillati all'interno dell'edificio e per la loro
natura precaria, effimera e per il naturale processo di decomposizione, sono rimasti
pochi documenti a testimonianza dell'accaduto.
Di fatto questo tipo di 'creazioni-provocazione', nate in questa occasione all'interno
della fabbrica, si scontrano con il problema della forma museografica inadatta nel
conservare la memoria di queste opere, che in alcuni casi furono gesti; è difficile
poter ricostruire e comunicare in maniera differente senza presupporre
necessariamente l'esposizione dell'oggetto-opera in un ambiente istituzionalmente
riconosciuto come la struttura museale.
Tutto ciò infatti, concorre a sottolineare l'idea di quanto l'istituzione 'museo' sia
mutata nel tempo, divenendo obsoleta e superata, vanificando l'idea dell'opera finita
e compiuta solo attraverso la sua esposizione e installazione.
Quello che è accaduto all'interno della Brown Boveri è stato riportare in superficie il
'sacro' dell'arte (da qui un rimando metaforico alla 'cattedrale' e all'Altare di
Gabanelli e alla Sagrestia di Mantegani e Mazzucconi), un modo di esprimersi
54
nuovo e singolare, in rottura con il pensiero dominante per cui l'eccellenza risiede
solo nella perfezione, nella risposta a certi canoni e nell'imitazione.
Questo gruppo di persone ha espresso una sorta di forma di resistenza artistica, un
tentativo coraggioso ed eroico di cambiare quella struttura interna al campo artistico
nel quale la produzione artistica è ormai sottomessa e dominata dalla legge del
profitto.
Secondo il filosofo Bouridieu il campo dell'arte è per definizione strutturato sulla
lotta tra gli agenti presenti per la ridefinizione dei confini del campo stesso, ovvero
per le norme e i principi che lo definiscono. Entra, dunque, in gioco la questione sul
valore dell'opera d'arte, sul suo riconoscimento o meno in quanto oggetto e del suo
potere simbolico, fornito dal dominio del campo e socialmente legittimo.
Un compito ad appannaggio, sino alla metà del XIX secolo delle Accademie, che
tracciavano il confine tra arte e non arte, decisione che oggi è strettamente legata
alla quantità di capitale specifico in gioco nel campo: l'arte viene oggi utilizzata
sempre più come forma di capitale simbolico, rappresenta uno status sociale, un
habitus, radicalmente dipendente dal mercato, dai mecenati privati e dalla politica.
In tutto ciò i musei sono diventati qui non-luoghi nel quale questa dinamica si
concretizza e prende forma, nella direzione di un annientamento della critica e
dell'espressione più libera e incondizionata dell'artista, con un'impostazione
culturale su scala economica mondiale.
Ed è proprio dagli anni '80 che le opere artistiche hanno iniziato e divenire delle
vere e proprie merci, e hanno iniziato a emergere quelle forme di resistenza artistica
in opposizione alla riduzione della creazione artistica a mera e pura merce. I musei
hanno continuato la loro attività di conservazione priva di una proposta, rivolta
essenzialmente a una idealizzazione dell'arte lontana dalla vita quotidiana,
rispondendo in maniera fallace alla democratizzazione dell'accesso all'arte aprendo
l'era dei musei dell' iperconsumo, e divenendo, i musei, luoghi per l'intrattenimento
culturale e, a partire dagli anni '70, seducenti e simboliche sculture architettoniche.
Ciavoliello definirà, dunque, il gruppo Brown Boveri come privi di etichetta;
effettivamente la manifestazione da vita a una svolta pionieristica degli anni Ottanta
55
a Milano, mettendo in atto un mutamento di direzione rispetto agli orientamenti
soliti del mondo dell'arte e attirando anche l'attenzione dei media: vengono
pubblicati articoli su D'Ars, Flash Art, Corriere della Sera.
Inoltre, data la grande risonanza, verrà organizzata un'esposizione sul gruppo e
sull'occupazione della fabbrica allo Studio Marconi, con la pubblicazione di un
catalogo realizzato da Salvatore Licitra e un film per mano di Giuseppe Baresi.
Da questa esperienza prenderanno poi forma ,negli stessi anni, altre situazioni
alternative simili, sempre rientranti nella dinamica tra comportamenti giovanili e
pratiche artistiche e nel dibattito sui linguaggi dell'arte: si sviluppano in maniera
indipendente dal mondo cosiddetto ufficiale dell'arte sotto forma di collettivi che
anticiperanno poi quelle auto-organizzazione che caratterizzeranno anni '90.
Tra queste possiamo citare lo Spazio Lazzaro Palazzi che nasce principalmente
come luogo di aggregazione, dalla voglia di occupare lo spazio e invaderlo con
icone tangibili e con la loro presenza fisica, proponendo un fare arte che si occupi
prevalentemente del modo in cui viene percepita piuttosto che delle forme o del sé.
i lavori del gruppo coagulatosi attorno allo spazio di via Lazzaro Palazzi, una sede
espositiva autogestita nata a Milano nel'89, hanno in comune il culto per l'immagine e
l'intolleranza rispetto a qualsiasi regola, il rifiuto di un'arte che voglia definirsi
“oggettuale” o “pittorica” o “chissà-che-altro” in riferimento al suo modo di
presentarsi.86.
Questo carattere peculiare del nuovo spazio autogestito, il cui aspetto di sviluppo e
ideologico era curato da Mario Airò, Liliana Moro e Bernhard Rudiger, si rifletterà
pienamente nella mostra del settembre del 1990 Avanblob, nello spazio della
Galleria di Massimo De Carlo: una mostra fatta contro il 'sistema dell'arte' ovvero
che non teneva conto dei problemi professionali o commerciali, con il carattere di
un progetto radicale che si rispecchiava nel rapporto tra opere d'arte e spazio e nella
relazione tra identità del singolo e produzione collettiva.
86VETTESE A., Via Lazzaro Palazzi, in “Flash Art”, 1989.
56
SCHEDA: L' eredità della Brown Boveri: le Officine del Gas di Bovisa
'IN-PRESSIONE-Artisti contemporanei nella memoria industriale' è il titolo della
mostra curata da Mimmo di Marzo 11 ottobre 2001 tenutasi presso gli spazi storici
delle Officine del Gas di Bovisa87 a Milano.
Si è trattato di un altro tentativo di interazione tra la memoria di un luogo
industriale, le officine del Gas di Bovisa, e l'interpretazione in chiave
contemporanea di giovani artisti88 in un percorso visivo integrato nel territorio.
Dopo l'esperienza della Brown Boveri, dunque, è stato scelto un'altra volta un luogo
al di fuori dei posti tradizionali dell'arte anche a distanza di tempo e si è deciso di
esporre tra le 'cattedrali' di mattoni rossi, le officine e i grandi serbatoi, in un altro
dei grandi esempi di archeologia industriale presenti nel territorio milanese.
Le opere esposte sono frutto di un'elaborazione, da parte degli artisti, delle
tematiche legate alla memoria industriale del luogo e di conseguenza all'energia e al
calore; essi, infatti, vengono chiamati al compiti di evocare quegli stati d'animo e
quelle memorie che fanno parte della storia di una collettività.
La costruzione delle Officine del Gas a Bovisa iniziò nel 1905, (si trattava di una
produzione 300.000 metri cubi al giorno) e cambiò per sempre il panorama della
periferia nord-ovest di Milano.
Nel 1931 subentra la più importante società elettrica italiana, la Edison, la quale
dopo aver stipulato un accordo di concessione con il comune di Milano, sposta tutta
la produzione di gas della città nella fabbrica della Bovisa. Nel secondo dopoguerra
si vide dunque necessario un ampliamento e sviluppo degli impianti per soddisfare
l'incremento della domanda di gas.
87La nascita del quartiere Bovisa di Milano è strettamente legato all'insediamento delle prime industrie
intorno al 1882 (con la prima fabbrica di Giuseppe Candiani, primo stabilimento per la produzione di acido
solforico) che trasformarono la zona in uno dei poli chimici più importanti in Italia.
88Gli artisti che vi hanno preso parte sono: Stefano Arienti, Carlo Bernardini, Pietro Bologna, Luigi
Bussolati, Michele Chiossi, Cuoghi-Corsello, Leonida De Filippi, Paola Di Bello, Diamante Faraldo, Barbara
Fassler, Giovanni Frangi, Jonathan Guaitamacchi, Federico Guida, Francesco Jodice, Enzo Lisi, Claudio
Marconi, Annamaria Martena, Davide Nido, Nicola Pellegrini, Simone Racheli, Andrea Simeone, Simona
Uberto.
57
La produzione di gas dal carbone in Bovisa terminerà solo nel 1969, anche se gli
ultimi impianti di produzione e i gasometri verranno disattivati definitivamente nel
1994, lasciando una delle aree ex-industriali più importanti della città di Milano in
attesa di un progetto di riqualificazione.
L'edificio è dunque l'esito di una delle più interessanti esperienze italiane di
costruzione di una Milano 'operosa', un simbolo di progresso e delle nuove
aspettative legate al benessere.
Le opere presentate alla mostra In-Pressione sono state pensate come site-specific
in questa 'galleria contemporanea ideale' e coerentemente a ciò che il luogo aveva
rappresentato per molti anni, con lo scopo di farne rivivere la storia, le mura e gli
ingranaggi.
Molti degli artisti hanno lavorato con la luce, come Cuoghi e Corsello con il loro
Bosco luminoso , evidenziano come l'energia della natura sia l'unica presenza vitale
del luogo; Federico Guida riporta in vita la Sala della Pressione, trasformandone
una delle finestre circolari in un rosone gotico sottolineando la sacralità di una
'cattedrale industriale', Claudio Marconi invece riempie lo spazio del seminterrato
con 150 quintali di sale, evocando un deserto animato da sculture di plastica
scintillanti.
Lettura , pittura, cinema hanno saputo cogliere i contenuti più profondi di questo
vissuto di Bovisa e li hanno assolutizzati e proiettati al di là del tempo aiutando la
riflessione su una nuova estetica. Grazie ad essi, già la prima volta che visitai l'area
dei gasometri ero stato in grado di coglierne la sofisticata bellezza. […] Le garbate
architetture dei piccoli edifici di mattoni e vetro sembravano tese a rafforzare
l'impotenza delle grandi strutture dei gasometri e della rete di tubi che dipartendosi
da quella enclave, racchiusa entro i bastioni delle ferrovie, ne evidenziavano la
stretta appartenenza al più ampio sistema della metropoli 89.
A differenza dell'esperienza della Brown Boveri avvenuta alcuni anni prima, qui
non si tratta di un'occupazione da parte di un 'collettivo' artistico, ma il gesto
riguarda comunque il rapporto sensoriale, mentale con la realtà e con uno spazio
preciso, di un luogo di memoria in termini simbolici, una memoria operaia e
89DI MARZIO M., Inpressione. Artisti contemporanei nella memoria industriale, Cristina Marinotti
Edizioni, Milano, 2001p.5.
58
rivoluzionaria; un gesto in uno spazio che tenta di superare quei paradigmi del
museo-contenitore di opere d'arte per estendere invece il rapporto al di là del
semplice intento espositivo, ma al fine di raggiungere e far percepire una 'memoria
futura'.
I Progetti di riqualificazione dei gasometri:
Con l'apertura dell'Università Politecnico di Milano, a partire dal 1992, il quartiere
Bovisa ha già vissuto cambiamento di largo respiro subendo profonde
trasformazioni, sia dal punto di vista urbano che sociologico, vedendo aumentati i
flussi di persone che lo attraversano ed è cambiata la percezione che le persone
hanno del quartiere.
Nel 1997 viene indetto un concorso internazionale di progettazione per l'area dei
gasometri che si conclude nel 1998 con due vincitori: Ishimoto Architectural and
Engineering Firm di Tokyo e il raggruppamento composto da Serete Italia Spa,
Serete Constructions, Architecture Studio, Studio Associato Brusa Pasquè e Anthea.
Dall'unione delle due proposte vincitrici è dunque stato tratto un progetto di sintesi
che ne frutta la complementarietà.
Nello stesso anno, infatti, il Comune di Milano aveva approvato il progetto della
Serete che prevedeva i nuovi insediamenti del Politecnico, la nuova sede AEM, una
biblioteca comunale, edifici residenziali, un parco pubblico e il Museo del Presente
proprio al fine di proporre un sapiente esempio di recupero di architetture industriali
dismesse che hanno fatto la storia del nostro paese.
Per quanto riguarda i due grandi gasometri si è pensato di destinare questi due spazi
'gemelli' alla sperimentazione artistica contemporanea, ovvero diverranno il fulcro
del progetto più ampio 'Museo del Presente', un museo dedicato a opere d'arte dagli
anni '80 a oggi, riunite in una collezione permanente e in esposizioni temporanee
dedicate ad artisti emergenti.
Nel progetto si prevede che il primo gasometro costituirà l'ingresso principale alla
struttura, sede espositiva; da lì un percorso di rampe lo collegherà al secondo
gasometro, che ospiterà una zona espositiva di enormi dimensioni libera da
59
qualsiasi impedimento.
Prenderà parte del progetto museale anche la Sala Pressione e l'ex Officina
meccanica.
Ma il progetto non è mai stato realizzato, pare essersi bloccato per problemi di
burocrazia e mancanza di risorse finanziarie per la bonifica del territorio.
Tra i più recenti articoli che si possono leggere sull'argomento uno di Artribune
dell'agosto 2012 riporta:
il già alto livello di confusione sul tema non dovrebbe incrementarsi ulteriormente: il
grande appezzamento dei gasometri della Bovisa, intercluso tra il sedime ferroviario,
sarà, semmai bonificato, destinato ad altre funzioni perché nel frattempo la città ha
approvato il suo piano regolatore che non prevede in quest’area l’antica ipotesi del Museo
del Presente. A beneficiarne sarà in primis il Politecnico che potrà così ulteriormente
allargarsi in questo quadrante dove è già sbarcato anni fa 90.
90Sapessi com’è strano, costruire un centro d’arte contemporanea a Milano, in “Artribune”, 24 agosto 2012.
60
II.4 Dalla Brown Boveri al Condensatore Culturale
Il breve episodio di occupazione della Brown Boveri ha richiamato quella pratica di
riutilizzazione e rifunzionalizzazione di ex edifici abbandonati, abitativi o più
spesso industriali, già in auge nella manifestazione artistiche della fine degli anni
Settanta: si trattava di occupazioni che manifestavano un rifiuto della
specializzazione dei centri urbani attorno a funzioni prettamente commerciali con il
conseguente dislocamento delle attività e dello 'spazio' popolare verso le periferie.
Questi casi di 'riconversione funzionale' momentanei, che hanno interessato il
recupero non solo di fabbriche in dismesse ma anche la riqualificazione di intere
zone estese, stanno alla base degli studi dell' archeologia industriale91 e nascono in
risposta al cambiamento e all'evoluzione della società contemporanea, in particolare
dal secondo dopoguerra; quei territori, edifici e intere aree, colpiti dalla
deindustrializzazione, lasciati vacanti, zone interstiziali ai margini o nei centri delle
città.
L'archeologia industriale, in quanto disciplina, si occupa, infatti, dell' industrial
heritage, ovvero di quegli edifici, trasformati dal tempo, che sono ritenuti patrimoni
culturali e storici poiché simboli di un'attività dell'uomo e che hanno avuto un
particolare impatto e interesse nell'area in cui sorgono; l'edificio assume un valore
non solo per la sua struttura fisica, ovvero prettamente di interesse architettonico,
ma anche per tutto ciò che ha 'contenuto' nel corso del tempo.
L'oggetto di studio ha , giust'appunto, una valenza multidisciplinare e costituisce
una sorta di grammatica del territorio in quanto richiede l'analisi del ex luogo di
lavoro, delle trasformazioni sociali avvenute all'interno, delle ripercussioni, delle
dinamiche createsi nell'ambiente circostante e delle modificazioni ambientali
avvenute nel tempo e i rapporti con la società e il territorio.
Attraverso un tipo di analisi tipico della metodologia archeologica (come di tipo
91L'archeologia industriale è una nuova disciplina nata in Inghilterra negli anni Cinquanta del Novecento che
studia i reperti e le testimonianze dell'epoca della rivoluzione industriale in tutti i suoi aspetti e contenuti
(macchine, tecnologie, infrastrutture, tecnologie). Una delle sue criticità sta nell'impossibilità di definirla
propriamente come disciplina in quanto priva di un suo statuto.
61
stratigrafica92), si può procedere a un progetto di valorizzazione e rivitalizzazione
dell'edificio, valorizzandone gli aspetti rilevanti e coniugandone la tradizione alla
contemporaneità.
La struttura diventa in questo modo essa stessa museo, inserito, o meglio, re-inserito
nel suo contesto territoriale d'appartenenza con la possibilità di divenire sede di
nuove attività, luogo polifunzionale e di appartenenza alla comunità intera; parte
attiva, nuovo soggetto nella creazione di dinamiche, rapporti e valori all'interno del
territorio.
Ciò è da tenere in considerazione nell'ottica di un progetto di riqualificazione, come
quello del quartiere Isola, dinamica nella quale viene implicato il coinvolgimento
non soltanto del singolo edificio oggetto di studio ma dell'intero territorio e contesto
sociale e urbano nel quale questo si trova.
Il problema qui è la riconcettualizzazione di un 'vuoto' industriale, di uno spazio
assolutamente differente da tutti gli altri spazi sociali, testimone di un silenzio in
negativo, che porta in maniera fisiologica il dover attuare politiche territoriali più
complesse.
Ma allo stesso tempo questi 'non luoghi' costituiscono una vasta gamma di
possibilità di riconfigurazioni per divenire parti attive di una nuova riappropriazione
e configurazione di relazioni con l'ambiente.
La riflessione scaturisce in seguito all'abbattimento, nei primi anni Novanta,
dell'intera area dell'ex-fabbrica Brown Boveri, della quale resta soltanto la Stecca
accanto, ovvero due edifici che si affacciano su una strada interna.
Già prima dell'occupazione da parte del gruppo di Levi, il Comune di Milano era
diventato il proprietario dell'ex-stabilimento e aveva iniziato ad affittare gli spazi
della Stecca ad alcuni artigiani che trovarono lo spazio ideale per la loro bottega in
attesa delle riqualificazioni dei loro stabili da parte del Comune stesso, cosa mai
avvenuta.
La Stecca diviene così per anni la sede definitiva per circa una ventina di artigiani,
da qui i nome Stecca degli Artigiani, unico l'unico residuo del passato industriale
92Lo studio stratigrafico negli scavi archeologici si occupa di ricostruire la storia degli eventi geologici
studiando gli strati sedimentari delle rocce analizzandone la genesi e le deformazioni subite.
62
del quartiere Isola dopo l'abbattimento della ex-fabbrica.
A questi si aggiungono pittori e associazioni come Apolidia, che lavora con gli
immigrati e Athla, associazione che si occupa di persone disabili, che trovano nella
Stecca la loro base operativa e il loro luogo d'incontro e di scambio.
Un tentativo di riqualificazione e valorizzazione dell'edificio era stato portato avanti
dall'associazione Cantieri Isola, nato nel 2001 in risposta alle trasformazioni
imposte dall'alto relative all'area Garibaldi-Repubblica, con lo scopo di anticipare i
rischi connessi alle trasformazioni pianificate, creando una rete di connessioni tra le
diverse realtà associative, culturali e sociali attive in loco e occuparsi di quegli spazi
abbandonati ma tuttavia vivi quali La Stecca e i giardini di via Confalonieri.
Isabella Inti, architetto, membro di Cantieri Isola e presidente dell'associazione Ada
Stecca (Associazione delle associazioni) in un'intervista afferma:
Nell'arco di qualche anno le associazioni locali che hanno organizzato la propria base
presso gli spazi della Stecca sono aumentate e quindi abbiamo dovuto occuparci di
riqualificare gli spazi e di gestire al meglio la convivenza tra noi. […] Abbiamo cercato di
affrontare tutte queste difficoltà al meglio, impegnandoci a portare avanti tutta una serie
di attività per valorizzare la Stecca e il quartiere, che hanno avuto un forte riscontro anche
a livello cittadino. […] Parallelamente alla costruzione della rete di associazioni abbiamo
portato avanti il dibattito sulle trasformazioni urbane attraverso l'utilizzo di diversi
strumenti, come la stesura delle osservazioni alla Variante consegnate al Comune nel
200293.
Purtroppo a conclusione di una lunga esperienza di resistenza e convivenza
all'interno della Stecca ha fatto seguito l'abbattimento dell'edificio; nonostante la
scomparsa del luogo fisico Cantieri Isola non si è dato per vinto ma ha scelto di far
continuare a vivere questa rete di relazioni passando così da una rete informale a
una rete formalizzata sotto il nome di ADA Stecca94, Associazione delle
Associazioni, nata nel marzo 2007:
93CASTELLANO G., Diari in attesa, nuove geografie urbane: garibaldi-isola-varesine. Milano parte
prima. Officina Libraria, Milano, 2008, p.73.
94L'associazione è composta da: Apolida, Architetti Senza Frontiere, Cantiere Isola, Ciclofficina +bc, GAS
Isola Critica, La compagnia del parco-circolo Legambiente, AIAB, l'associazione di artigiani Controprogetto
e il pittore Francesco Magli.
63
La rete di associazioni ADA Stecca nasce da un’esperienza di autorganizzazione
pluriennale di spazi in abbandono da parte di una decina di associazioni, artigiani, artisti
fermamente motivati alla salvaguardia e valorizzazione di spazi pubblici dedicati
all’associazionismo locale e cittadino ai margini tra lo storico quartiere Isola e una delle
più centrali aree di trasformazione urbana, il Garibaldi-Repubblica 95.
Il Condensatore Culturale o “Stecca3”
All'associazione Ada stecca viene dato in comodato d'udo dal Comune di Milano il
condensatore culturale “Stecca3”, inaugurato nell'aprile 2012 in via della Castilla
26.
All'interno del grande progetto di rinnovamento urbano Porta Nuova, tutt'ora in atto,
è stato previsto, infatti, proprio a fronte dell'abbattimento della Stecca degli
Artigiani e al bisogno di sopperire alla mancanza di uno spazio che potesse divenire
punto di riferimento e rifugio per attività culturali-artigianali, il 'Condensatore
culturale' ovvero un incubatore dell'Arte, detto anche “La nuova Stecca” o
“Stecca3”.
Sorge da un progetto di Boeri Studio (Stefano Boeri, Giovanni La Varra,
Gianandrea Barreca), ai piedi dei 'boschi verticali' (già progetto di Boeri), un
edificio di 760 mq rivestito in lamiera di alluminio stirata, pannelli solari e
fotovoltaici, una struttura architettonica 'dal respiro internazionale', così definito,
che si pone in comunicazione con i nuovi edifici intorno.
L'edificio è strutturato su due piani: al piano terra ci sono tre spazi utilizzabili come
laboratori,
mentre
al
piano
superiore
un
open-space
adibito
a
sala
riunione/esposizioni.
Al momento ospita la Ciclofficina (+bc), magazzino con pezzi di ricambio utili a
costruire da sé la propria bicicletta, e l'associazione BRIChECO 96 che si occupa di
design sostenibile, ovvero con materiale di recupero.
95Dal sito < http://www.lastecca.org.>.
96Per una panoramica più ampia sul progetto vedi <www.bricheco.wordpress.com>.
64
Si tratta di quella promessa stretta dal Comune di Milano con gli artigiani che sono
stati sgomberati, per seguire con i lavori di demolizione, dalla storica Stecca degli
Artigiani. Promessa mantenuta dal Comune, il quale, a cadenza quinquennale aprirà
il bando per l'assegnazione degli spazi, politica, certo, che non favorirà però una
certa continuazione e sviluppo delle attività ospitate.
Macao e l'occupazione della Torre Galfa
Il tema dell'abbondanza di spazi inutilizzati, abbandonati e con un potenziale di
utilizzo alternativo nella città di Milano è riemerso, (dopo quasi trent'anni
dall'occupazione della Brown Boveri e dopo dieci anni dalla demolizione della
Stecca degli Artigiani) anche negli ultimi anni con un'altra occupazione, quella della
Torre Galfa, sempre nel quartiere Isola, da parte del collettivo Macao.
L'edificio è la ex sede della Banca Popolare di Milano e si trova tra via Galvani e
via Fara ed è una torre di 31 piani vuoto da 15 anni, nel 2006 infatti viene venduta
alla Immobiliare Lombarda, società del gruppo Fondiaria SAI S.p.a, lasciandola in
totale stato di abbandono.
Nel mese di maggio del 2012 la torre viene occupata e il primo piano diventa la
sede di Macao, un centro per le arti di Milano nato da un gruppo di lavoratori del
mondo dello spettacolo e delle arti proveniente da tutta Italia che punta alla
sperimentazione di nuove forme di linguaggi culturali, a un nuovo sistema di
gestione degli spazi condivisi e a una idea di cultura intesa come bene comune.
La pratica e la riflessione di Macao, sempre aperte al contributo di tutt*, segnano un
modello radicale di cittadinanza attiva che si esprime nei tavoli, nelle assemblee, nel
lavoro sullo spazio, nella produzione di arte e cultura, nelle relazioni con il movimento,
con le istituzioni del sapere e del potere, coi media, con la cittadinanza tutta. E’ a partire
da questa radicalità che pretendiamo la legittimazione di modelli orizzontali, permeabili e
non verticisti nella gestione dei beni comuni; questa è la forza che immagina forme di
produzione in cui il valore generato venga diversamente redistribuito, e che dichiara
apertamente una sfida verso le tensioni (finanziarizzazione, biocapitalismo, precarietà,…)
che ci attraversano e di cui subiamo la stretta come cittadini, oltre che come operatori
65
della cultura e/o della conoscenza97.
Nelle settimane successive, però, le forze dell'ordine procedono allo sgombero dopo
che il gruppo Ligresti (famiglia che controlla il gruppo assicurativo Fondiaria),
giustamente, ne rivendica la proprietà.
Allo il gruppo di Macao, mosso dalla vitalità e dall'energia di quel gesto, decide per
una seconda occupazione, ovvero quella di Palazzo Citterio, un edificio del '700, in
via Brera, acquistato dallo Stato italiano nel 1972 in quanto edificio ideale per
l'estensione della Pinacoteca Brera, ma da lì abbandonato 98. L'occupazione però ha
vita breve, dopo due giorni i lavoratori dell'arte vengono sgomberati dall'esercito
inviato dal Ministero dei Beni Culturali.
Ma la volontà di Macao non si arresta, e dopo varie assemblee tenutesi in luoghi
sempre differenti, anche nelle officine creative Ansaldo messe a disposizione dal
Comune di Milano dopo un confronto di Macao con il sindaco Pisapia, il gruppo
entra e si stanzia nell'Ex borsa del Macello in Viale Molise, un palazzina degli anni
Venti al centro di una zona un tempo interessata dalla distribuzione delle derrate
alimentari e popolata da industrie che producevano cibo.
Macao chiamato “la primavera di Milano” , ha sollevato molte questioni sin dal suo
apparire, oltre al problema della precarietà dei lavoratori della cultura, al tentativo
di percepire e di costruire un nuovo modello per creare produzioni artistiche e
culturali indipendente, autogestito attraverso un'azione diretta della comunità, ha
sollevato, anche se in maniera circoscritta, un dibattito pubblico su i 'vuoti' della
città, rivelandone una costellazione di edifici, un patrimonio edilizio e territoriale
inutilizzato nonostante, a volte, la rivendicata penuria di spazi dedicati alla
97Dal sito di Macao: <http://www.macaomilano.org/>.
98Nel 2012 sono stati stanziati dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) 23
milioni di euro per la realizzazione del progetto 'Grande Brera': progetto che comprende tre lotti quali
Caserme Magenta e Carroccio in via Mascheroni, Palazzo di Brera e il suddetto Palazzo Citterio al quale è
stata destinata la cifra maggiore dell'operazione in quanto prescelto per l'ampliamento della Pinacoteca di
Brera. Dopo quarant'anni di discussioni, finalmente, nell'aprile 2014 sono stati assegnati in via definitiva i
lavori per il restauro e la rifunzionalizzazione del complesso Citterio che dovranno essere terminati entro 24
mesi dalla consegna. Così nei prossimi due anni il progetto prevede il trasferimento dell'Accademia di Belle
Arti alla caserma di via Mascheroni (in zona Fiera) per procedere con l'ampliamento della Piancoteca,
portando lo spazio espositivo a 6.500 metri quadrati che verranno dedicati all'arte del Novecento. Per
maggiori informazioni sul progetto: http://www.versolagrandebrera.it.
66
cittadinanza, rendendo visibili (come sopra citato) alcuni luoghi simbolo di una
gestione procrastinante da parte dell'amministrazione comunale e statale.
Il caso della Stecca degli Artigiani e di Macao sono solamente due tra gli esempi
,delimitati al territorio urbano della città di Milano e in particolare nel quartiere
Isola, che fanno da monito al tema della disciplina dell'archeologia industriale, ma
la lista potrebbe essere estesa a tutto il territorio nazionale.
Solamente nel territorio della provincia di Milano il progetto Temporiuso, nato nel
2008 con l'intento di “utilizzare il patrimonio edilizio esistente e gli spazi aperti
vuoti, in abbandono o sottoutilizzati di proprietà pubblica o privata, per riattivarli
con progetti legati al mondo della cultura e associazionismo, dell’artigianato e
piccola impresa, dell’accoglienza temporanea per studenti e turismo giovanile, con
contratti a uso temporaneo a canone calmierato”99, ha censito con l'aiuto del
Politecnico e del Comune di Milano 200 luoghi potenzialmente recuperabili, si
parla cioè di quasi 3 milioni e 720 mila metri quadri di spazio abbandonato e
inutilizzato.
Le nuove politiche internazionali ed europee obbligano sempre più a guardare al
paesaggio in maniera sostenibile, puntando al recupero piuttosto che a una politica
di edificazione.
Discorso sensato soprattutto in un territorio come quello italiano, con la storia, il
patrimonio culturale e la diversità e la complessità geografica che racchiude.
L'esercizio della tutela, accompagnato da un'attività di educazione e formazione che
coinvolga l'opinione pubblica, permette di conoscere e valorizzare il paesaggio, da
intendersi come come risorsa d'uso limitata, in tutte le sue caratteristiche,
permettendone la salvaguardia e l'identificazione di un patrimonio identitario,
creando un sentire comune e di conseguenza una maggiore percezione e sensibilità
99 L' associazione culturale Temporiuso (vedi <www.temporiuso.org>) nasce da un'idea di Isabella Inti,
Valeria Inguaggiato, Giulia Cantaluppi e Andrea Graglia; è un progetto di ricerca-azione nato nel 2008 in
collaborazione con Cantieri Isola e Precare.it. Il passo eseguito successivamente alla fase di censimento che
Temporiuso ha fatto è stata la creazione di un data-base nazionale nel quale viene incrociata l'offerta di spazi
in abbandono e inutilizzati con la domanda da parte dei cittadini per poi organizzare una fase di concorsi,
promozioni e bandi per regolamentarne l'accessibilità, il tutto esente da finalità di mercato immobiliare o
speculazione economica.
67
nei suoi confronti.
Solamente interpretando il territorio che viviamo ogni giorno possiamo vedere al di
là di noi stessi, indagando anche le relazioni, le identità, il senso e la rilevanza di un
luogo, così da riscoprirne l'importanza e ri-donarla alle nuove generazioni insieme a
quella memoria collettiva molto spesso negata.
La memoria collettiva accorre alla costruzione dell'identità del singolo, ma affinché
acquisti valore è necessario che sia condivisa e lo diventa nel momento in cui viene
contestualizzata, altrimenti si consuma, si deforma, si perde.
68
Capitolo III
L'arte come strategia
III.1 Campo dell'arte all'interno del campo del potere: l'arte pubblica nel dibattito
politico
La città ha rimpiazzato la fabbrica come teatro del conflitto
sociale, i padroni politici ed economici dovranno gestire lo
spazio urbano contemporaneo insieme a coloro che occupano
gli interstizi in cui si inventa giustamente l'avvenire.
Fabrice Lextrait100
La città contemporanea-globale, come sottolineato in precedenza, è ormai uno
spazio contraddittorio generato da conflitti, tensioni e differenti dinamiche che ne
hanno cambiato la grammatica; uno spazio non più percepibile come un insieme
omogeneo ma come un ecosistema che richiede una nuova comprensione, attenta e
analitica, in grado di captare gli effetti provocati dalla rapida urbanizzazione che
stiamo vivendo, quali, ad esempio, la perdita dei luoghi di socializzazione, gli spazi
pubblici.
André Corboz101 parla di ipercittà per descrivere questa perdita di continuità tra gli
100LEXTRAIT F., Une nouvelle époque de l'action culturelle. Rapport à Michel Duffour, Marsiglia, 2001, p.
32.
101Andé Corboz (1928-2012), nasce a Ginevra dove si laurea in giurisprudenza. Si avvicina poi
all'architettura e dal 1976 insegna storia dell'architettura presso l'Università di Montreal. La sua ricerca si
focalizza sulla riflessione urbanistica e la nuova dimensione della città. Tra i suoi scritti compaiono:
Invention de Carouge 1772-1792 (1968), Ordine sparso. Saggi sull'arte, il metodo, la città e il territorio
69
spazi, costruendo un'analogia tra la morfologia contemporanea della città e
l'ipertesto:
l'ipertesto non è in sé percettibile attraverso i sensi, non ha una struttura percepibile
attraverso i sensi, non ha una struttura univoca e imperativa, si recepisce ad libitum […] il
termine ipercittà avrebbe il vantaggio di non far passare in secondo piano la densità e di
non essere in contraddizione con i nuclei storici, essendo essi stessi parte costituente dell'
ipercittà102.
Già nel 1974 Henri Lefebvre103, nello studio sull'interazione tra spazio e relazioni
sociali individuava tre categorie fondamentali: lo spazio praticato (o spazio
percepito), ovvero la realtà fisica esperita e praticata dalle persone, presentato sia
come mezzo che come risultato dei comportamenti dell'attività umana; le
rappresentazioni dello spazio (o spazio concepito), cioè quella rappresentazione
dello spazio teorizzata dai tecnocrati: urbanistico, architettonico, economico,
connesso alle relazioni della produzione; infine gli spazi di rappresentanza (o
spazio vissuto), che rappresentano quegli spazi che vengono vissuti in maniera
passiva dagli abitanti e da dove dovrebbe prendere forma la lotta per
l'emancipazione e la liberazione dello spazio.
Lo spazio sociale è da sempre il punto cieco nelle progettazioni urbane, ma come
immaginare un progetto per una città che non sia frutto di un'azione tecnica o di
un'utopia ma che contenga e abbracci quegli spazi riconosciuti collettivamente?
In un'ottica di rigenerazione urbana è necessario superare quelle convenzioni
urbanistiche tradizionali e legate a una economia di tipo capitalistico nel tentativo di
sviluppare parallelamente le dinamiche sociali legate allo spazio coinvolto e non
lasciare che l'ambiente sociale svanisca in un processo di mera mercificazione.
Il problema di fondo è la tendenza all'omologazione dei luoghi aggiunto alla
capacità sempre più sfumata e impotente di penetrare la superficie di un ambiente,
leggerne i segni e renderli visibili, luoghi attivi.
E' importante creare una visione allargata che riesca a combinare pratiche
economiche, urbanistiche e sociali
indagandone gli effetti e non tenere in
(1998), Le territoire comme palimpseste et autres essays (2001).
102CORBOZ A., L'ipercittà, in Urbanistica, n. 103, 1995, p.8.
103LEFEBVRE H., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976, pp.139-41.
70
considerazione solamente una progettualità che riguarda solo l'aspetto formale,
della città che è esteriore, ed esterna, alle conseguenze sulle dinamiche collettive e
relazionali.
A partire da questa riflessione, e sulla base delle precedenti riflessioni sul processo
di gentrification inserito in un'ottica più ampia di 'diritto alla città', ci si chiede quali
pratiche possono condurci, o (ri)condurci, a una soggettività al di fuori del
paradigma egemonico, Maurizio Lazzarato104 si chiede «Quali sono gli strumenti
specifici della produzione di soggettività per eludere la sua fabbricazione,
industriale e seriale, organizzata dalle imprese e dallo Stato?» sono domande che
stanno alla base di un conflitto generato dalla città come risultato di una definizione
tecnocratica e la città, invece, come prodotto di pratiche sociali.
Intervenire su spazi di grande scala, come una metropoli, significa porsi delle
domande rispetto alla percezione comune diffusa delle aree in questione e da quali
tensione, problematiche e dinamiche è caratterizzata.
In questo contesto le pratiche artistiche ci possono fornire una nuova chiave di
lettura, una nuova traiettoria necessaria per ridisegnare nuove relazioni tra i soggetti
e i luoghi in questione, come afferma Marco Scotini105,:
le pratiche artistiche, in questo nuovo scenario, molto più delle procedure statistiche e
delle indagini analitiche, riescono a immaginare nuovi segni, a introdurre nuove capacità
di orientamento, a riscrivere le relazioni attuali tra soggetti, identità e luoghi. Il primo
passo è rendere visibile ciò che è poco visibile: cominciare a tracciare, entro la mappa
globale, gli itinerari di una geografia minore106.
L'arte acquista la funzione di irrompere nei territori non propri, in una
collaborazione interdisciplinare oltre i suoi confini, facendo incontrare le diverse
104Maurizio Lazzarato è un sociologo e filosofo la cui ricerca si focalizza sulle trasformazioni del lavoro e le
nuove forme di movimenti sociali. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Lavoro immateriale. Forme di vita e
produzione di soggettività (1997) La politica dell’evento (2004), Il governo dell'uomo indebitato (2013),
Marcel Duchamp e il rifiuto del lavoro (2014). La citazione qui è stata tratta dall'articolo Dopo la fine della
rappresentanza. Disobbedienza e processi di soggettivazione, in Alfabeta2, n.25, dicembre 2012.
105Marco Scotini vive a Milano dove lavora come critico e curatore indipendente. È co-fondatore di Isola
Art Center e direttore del Dipartimento di Arti Visive, Multimediali e Performative presso NABA di Milano
oltre che direttore del Biennio Specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso la stessa istituzione. Dal
2005 cura la mostra itinerante “Disobedience Archive” che è stata esposta a Berlino, Mexico DF, Bucarest,
Riga, Cambridge, Atlanta. I suoi articoli sono stati pubblicati su Falsh Art, Domus, Moscow Art Megazine,
Manifesta Journal, Arte e Critica.
106SCOTINI M., Per una geografia minore, Pratiche artistiche e spazi di democrazia, pubblicato in
<www.undo.net>.
71
discipline e combinandole tra di loro introducendo quesiti, facendo emergere
anomali e offrendo uno sguardo inedito e trasversale.
Il campo d'azione dell'artista diventa, infatti, il territorio concepito come “medium
trandisciplinare” (come lo definisce Scotini) dove egli si muove tra diversi stimoli e
istanze dedotti da altre discipline affini: come la storia, la sociologia, l'antropologia,
l'etnografia, l'urbanistica e l'architettura, arrivando a una sintesi inedita.
Di fatto lo sviluppo del concetto stesso relazionale dell'arte nasce da una
convergenza con un nuovo modo di intendere lo spazio e l'ambiente ma anche con
altre tendenze sviluppatesi in diversi ambiti, come la psico-geografia 107 o la
psicologia relazionale, discipline che concorrono alla creazione di una nuova
mappa, di una 'geografia minore' fatta di nuove reti e nuovi nodi critici.
Doreen Massey108, geografa inglese e pioniera della geografia radicale, afferma che
siamo noi stessi gli inventori e coloro che plasmano il nostro spazio sociale, quello
spazio riflesso nelle nostre relazioni e azioni, intessuto dalle narrazioni che
mettiamo in atto tra persone-attori che agiscono e interagiscono cambiandolo, e
dunque non solo come passivi prodotti del cambiamento.
Lo spazio sociale è divenuto, infatti, quel terreno dimenticato, quell'ambiente dove
prendono forma le identità affettivo-emotive degli individui ma che non ancora
rientra in una categoria di luoghi da preservare.
Come si inserisce, dunque l'arte in questo contesto e quali sono le sue capacità di
intervento e/o di trasformazione?
Di fatto la criticità dei territori sottoposti a particolari traumi e cambiamenti
mettono l'arte nella condizione di esercitare un'azione sulla propria epoca o esserne
un riflesso. Quindi, alla luce dei processi di trasformazione, designati sotto il
termine di gentrificazione, può l'arte essere utilizzata con il solo fine di promuovere
l'elevamento sociale della zona in questione, e dunque concorrere al processo o può
anche divenire mezzo in contrapposizione alla trasformazione in atto costituendo un
mezzo di ribellione e denuncia?
107 William G. Niederland in Maps from the Mind: Readings in Psychogeography,: "Psychogeography is the study of
how issues, experiences, and processes that resultfrom growing up in a male or female body [...] become symbolized and played out
in the wider socialand natural worlds, which serve as 'screens' for these inner dramas”.
108Tra i suoi scritti: For Space (2005), City Worlds: Understanding Cities e Space, Place and Gender.
72
Negli ultimi anni, ha trovato ampio spazio, nel campo dell'arte contemporanea, il
dibattito in riferimento all'arte pubblica intesa come prassi politica, dove per 'arte
pubblica' si intende, richiamando la definizione che ne da Patricia C. Phillips 109, «la
public art non è tale perché è collocata in un qualche spazio aperto, ma perché sa
indicare questioni pubbliche110», mentre per spazio pubblico, parafrasando il
pensiero di Rosalyn Deutsche111, intendiamo quello spazio sociale, arena dell'attività
politica, nel quale il significato e l'unità sociale viene negoziata, si costruisce un
consenso consolidando la comunità e si placano i conflitti.
Jürgen Habermas112, un tra i maggiori teorici della società del '900, definiva il
concetto di 'sfera pubblica' come risultato di quel nuovo assetto della società che ha
le sue radici nell'illuminismo e che rappresenta quella linea di demarcazione tra le
società autoritarie del passato e le democrazie moderne.
Spazio pubblico e spazio sociale finiscono per coincidere ed essere concetti
interdipendenti:
Il nesso dell'arte pubblica come prassi di intervento politico, è declinato in molti odi:
come azione artistica che interviene nelle situazioni sociali concrete in un territorio dato;
come lavoro artistico nei territori urbani di confine e di marginalità; nelle pratiche di
autorganizzazione dal basso che costruiscono spazio pubblico come meccanismo di
partecipazione aperto in un campo di azione micropolitica; come pratica di inclusione
attraverso progetti artistici di soggetti sociali esclusi; come indagine attorno agli spazi
pubblici considerati quali territori incerti e in trasformazione nello sforzo di elaborare
nuovi strumenti descrittivi e di azione in essi; come pratica di condivisione fra artisti e
non artisti in progetti di scambio e messa in comune di esperienze e conoscenze al fine di
creare un patrimonio culturale comune, esempio di una produzione culturale non imposta
ma autoprodotta; come costruzione di socialità non basata sui consumi o sul commercio,
ma sulla gratuità e lo scambio113.
109Patricia Phillips, critica e storica dell'arte. Le sue ricerche si concentrano in particolare sui temi dell'arte
pubblica, dell'architettura, della scultura nel paesaggio. I suoi saggi sono apparsi su riviste internazionali
quali Artforum, Flashart, Art in America e Public Art Review.
110PHILLIPS P.C., Out of Order: the Public Art Machine, in Artforum, dicembre 1988, p.92-96.
111Rosalyn Deutsche è una storica e critica d'arte, insegna arte contemporanea presso il Barnard College and
Columbia University di New York. Le sue ricerche si focalizzano in particolare sull'arte nella sfera pubblica.
I suoi articoli sono stati pubblicati su riviste internazionali quai October, Arforum, Society and Space. Tra i
suoi scritti ricordiamo: Evictions. Art and Spatial Politics (1998).
112Jürgen Habermas (1929) è filosofo, sociologo e storico tedesco. Tra le sue opere più rilevanti spicca
Teoria dell'agire comunicativo (1981) nella quale elabora il concetto di una comunicazione libera dai rapporti
di potere, studiata come modello di azione sociale.
113PERELLI L., L'opera d'arte e il suo spazio, in Public Art,Arte, interazione e progetto urbano, Franco
Angeli, Milano, 2006, p. 64.
73
Come in parte già analizzato in precedenza, è a partire dagli anni '70 che si è data
vita a una nuova forma di fare arte strettamente legata alla dimensione del sociale
che è divenuta relazione e 'pratica politica', ovvero che rifugge dalla logica
dominante nel campo dell'arte cercando di ricucire la dicotomia teoria e pratica
all'interno dell'opera stessa. Un 'arte che prende in considerazione all'interno del suo
raggio d'azione sia lo spazio sia la partecipazione attiva dello spettatore aprendosi al
l'esterno: all'ambiente, al paesaggio, alla città; questi due elementi non sono più
accessori ma sono fattori strutturanti e necessari alla percezione di una specifica
opera che si oggettivizza in quel preciso spazio e in quel preciso istante: nasce il
concetto di 'interattività' legato all'opera, che non è più espressione autonoma,
autoreferenziale ma diviene un evento, un oggetto, un'azione che si lega
profondamente ad altri linguaggi e dimensioni coinvolte nello stesso tempo reale in
cui hanno luogo.
L'arte viene portata fuori dai suoi luoghi deputati, esce dalle gallerie e dai musei ed
entra a far parte del paesaggio inteso come un elemento complesso nel quale lo
spettatore ne è una parte essenziale. Rosalind Krauss 114 definisce ciò nel concetto di
expanded field nella sua opera del 1979 Sculpture in the Expanded Field, nella
quale identifica quell'area, quel luogo nuovo e incerto tra arte e architettura, che si
trova al di fuori delle sedi istituzionali.
Si arriva a un'articolata ed estesa ricerca da parte degli artisti sul significato di
“luogo” e “spazio pubblico” che mostrano una crescente molteplicità: Vito Acconci,
uno tra gli artisti che ha dedicato gran parte del suo lavoro a progetti pubblici,
afferma:
Uno spazio pubblico è creato e non è già nato così... Uno spazio pubblico non è uno
spazio per sé ma una rappresentazione dello spazio. Uno spazio pubblico è il terreno per
accoppiamenti o guerre...115
114Rosalind Epstein Krauss (1941), è una curatrice e critica d'arte statunitense. Insegna Storia dell'Arte
presso la Columbia University di New York. Nel 1975 ha fondato la rivista October pubblicata dalla casa
editrice del MIT (Massachusetts Institute of Technology). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Passages in
Modern Sculpture (1977), The Originality of the Avant-Garde and Other Modernist Myths (1985), A Voyage
on the North Sea: Art in the Age of the Post-Medium Condition (1999). Ha curato numerose e importanti
mostre tra le quali Joan Mirò presso il Solomon R. Guggenheim Museum (1970-73) e Richard Serra al
Museum of Modern Art (1985-86).
115ACCONCI V., Making Public: The Writing and Reading of Public Space, New York, 1993, p.3.
74
E' nel 1995 che viene pubblicato, negli Stati Uniti, Mapping the Terrain. New Genre
Public Art a cura di Suzanne Lacy, che contiene una critica radicale della
definizione di “arte pubblica”:
We might describe this as “new genre public art” to distinguish it in both form and
intention from what has been called “public art”- a term used for the past twenty-five
years to describe sculptur and installations sited in public places. The term “new genre”
has been used since the last sixities to describe art that departs from traditional boundaries
of media.[...]new genre public artist draw on ideas from vanguard forms, but they add a
developed sensibility about audience, social strategy, and effectiveness that is unique to
visual art as we know it today116.
Secondo, dunque, la teoria della New Genre Public Art più che il luogo è il rapporto
costruito che costituisce il fulcro e il vero senso del lavoro dell'artista
rappresentando una sfida verso le strutture e le politiche dominanti, in quanto arriva
a mettere in discussioni temi quali la comunità, i diritti e la coltura partendo da una
rielaborazione del ruolo dell'arte vicina al pragmatismo di Dewey nella nozione di
partecipazione alla coscienza sociale attraverso l'interazione di gruppo.
Già negli anni '80 emerge il lavoro di alcuni artisti che con il loro lavoro
partecipano alla costruzione di un significato dell'arte pubblica, nel quale l'opera
stessa è costruita con lo spettatore: la partecipazione attiva diventa il nucleo della
questione democratica. Per esempio nelle opere di Barbara Kruger 117 lo spettatore è
la condicio sine qua non per il formarsi del significato, come in Untitled (You
delight in the loss of others) 118, la quale rivolge il suo messaggio 'Ti compiaci della
perdita degli altri' direttamente allo spettatore appellandolo in prima persona,
includendolo nel significato dell'opera stessa: è un processo reciproco tra immagine
e osservatore.
Troviamo un altro esempio nel lavoro di Gianni Motti dove si ha una riconciliazione
tra l'elemento della partecipazione imprescindibile del pubblico e il luogo
istituzionale come la galleria d'arte: nell'opera Eclipse Total De Lune l'artista invita
116LACY S., Mapping the Terrain. New Genre Public Art, Bay Press, Seattle, 1995, pp. 19-20.
117Baraba Kruger (1945) è un'artista concettuale e fotografa statunitense. Nel suo lavoro si appropria di
immagini pubblicitarie, estrapolandole dal loro contesto originario, e le riedita con frasi provocatorie contro
le diverse sfaccettature della vita postmoderna. Alcune tra queste sono: Untitled (You invest in the divinity of
the masterpiece) (1982), Power Pleasure Desire Disgust (1997), It's all about me, I mean you, I mean me
(2010).
118All'interno della mostra Public Vision del 1982 tenutasi al White Columns di New York.
75
gli spettatori ad assistere all'ultima eclissi di luna del millennio, (prevista per il
martedì 16 settembre 1997 dalle ore 20.15 alle ore 22.45,) rivendicandone la
paternità sul tetto della Cité Radieuse di Marsiglia. Il cartoncino di invito alla
mostra rappresenta la parte formale dell'opera mentre la presenza del pubblico e il
luogo ne diventano il contenuto stesso legati insieme dall'aspetto performativo che
conduce tutti gli elementi necessari nel hic et nunc creando un momento di
condivisione comunitario. Il rapporto che si instaura tra l'artista e il suo pubblico è
determinato dalle condizioni di realizzazione dell'opera nella collettività e nella
costruzione e condivisione di un linguaggio comune.
A partire dagli anni '90, con l'emergere di una moltitudine di collettivi e
organizzazioni di artisti in una visione d'azione di emancipazione collettiva, l'arte si
lega in un contesto più ampio ai movimenti sociali, e si radicalizza anche il concetto
di opera d'arte che vede al centro il tema del pubblico al centro dell'opera stessa.
L'artista Cesare Pietroiusti afferma:
Molti negli anni '90, e io tra questi, hanno portato l'arte fuori dalla galleria non per ragioni
ideologiche, ma perché hanno pensato che la ricerca stesse assumendo una potenzialità
talmente ampia che richiedeva fra l'altro uno strumentario teorico molto più complesso
rispetto a quello della critica e della storia dell'arte, una competenza che s'intreccia con
l'epistemologia, l'antropologia, la psicologia. […] Se si esce dalle strettoie degli spazi
interdisciplinari singoli e dalle tecniche specifiche, si uscirà pure dagli spazi fisici
organizzativi a loro deputati: viene spontaneo, come usare un nuovo strumento. Non
annulla la galleria, ma la mette in una prospettiva e in un ruolo molto meno centrale,
diventa solo un elemento tra diversi119.
L'idea dello spazio pubblico come luogo da plasmare e da riportare in vita attraverso
la mano dell'artista che tenta di creare un legame, un qualche tipo di connessione
con il destinatario è al centro del lavoro di Alberto Garruti, Luca Vitone, Cesare
Pietroiusti, Laura Morelli e molti altri.
Sulle pratiche artistiche nate dall'interazione tra persone e il contesto sociale risulta
di particolare rilevanza, anche se in parte superato, il testo di Nicolas Bourriaud
Esthétique Relationelle, una raccolta di saggi pubblicata nel 1998.
I testi si concentrano sul tema della relazione che vengono riattivate e create da
particolari pratiche artistiche, Bourriaud porta come esempi alcune opere di Sophie
119Da un'intervista di Anna Detheridge a Cesare Pietroiusti (Roma, 2006).
76
Calle, Félix Gonzàlez-Torres, Philippe Parreno e Rirkrit Tiravanija cercando di
capire in che modo la dimensione estetica possa agire nelle relazioni con gli altri:
L'arte occupa un posto particolare nel processo di produzione collettiva, dato che è fatta
dello stesso materiale usato per gli scambi sociali. Un'opera d'arte possiede una qualità
che la distingue dagli altri prodotti delle attività umane: la (relativa) trasparenza sociale.
Quando è riuscita, un'opera d'arte mira sempre al di là della sua semplice presenza nello
spazio; si apre al dialogo, alla discussione, a quella forma di negoziazione interumana che
Marchel Duchamp chiamava “coefficiente d'arte”, un processo temporale che si gioca qui
e ora120.
Il limite con il quale la riflessione di Bourriaud si scontra può essere, a mio avviso,
quello di riferirsi solamente a pratiche artistiche avvenute sempre in contesti
istituzionali dell'arte quali gallerie e musei, escludendo invece quelle esperienze a
cui accennavo sopra, ovvero quegli artisti che hanno sconfinato con le loro opere in
un campo in cui arte e vita si intersecano e si rimescolano.
120BOURRIAUD N., Estetica Relazionale, Postmedia Books, Milano, 2010, p.43.
77
III.2
La nascita di movimenti in opposizione ai nuovi progetti urbanistici:
l'esempio di Isola Art Center
Il fattore T, il fattore territorializzante, dev'essere cercato altrove:
precisamente nel divenir-espressivo del ritmo o della melodia,
cioè nell'emergenza delle qualità proprie (colore, odore, suono,
figura...).
Possiamo
chiamare
Arte
questo
divenire,
quest'emergenza? Il territorio sarebbe l'effetto dell'arte. L'artista,
il
primo
uomo
delimitazione...Ne
che
fissa
deriva
la
un
confine
proprietà,
o
di
effettua
un
una
gruppo
o
individuale, anche se destinata alla guerra e all'oppressione.
Deluze-Guattari121
Alla luce del discorso fatto sull'accezione dell'arte contemporanea oggi che
individua nell'operato degli artisti un'adesione alla realtà e un intervento attivo nella
sfera pubblica intesa come campo sociale, mi sembra doveroso, in questo contesto
portare il caso-esempio dei movimenti sviluppatisi nel quartiere Isola e in
particolare del caso di Isola Art Center.
Negli anni '60-'70 nel quartiere Isola già era si era attivata una mobilitazione contro
il progetto urbanistico, descritto precedentemente, riguardante il 'vuoto urbano'
Garibaldi-Repubblica che prevedeva lo sventramento di quasi metà del rione,
attraverso la nascita di un Comitato di Quartiere creato da alcune forze sociali del
territorio con l'appoggio di altri gruppi esterni, come il Movimento Studentesco.
A sostegno del movimento si schiera l'arte con la precisa funzione di mobilitare e
smuovere l'opinione pubblica e di fare pressioni all'amministrazione comunale.
Viene occupato un ex convento nel quale prende vita il Centro Sociale Isola il quale
organizza diverse attività collettive e di svago, tra le quali parteciperanno anche
Dario Fo e Franca Rame mettendo in scena lo spettacolo Mistero Buffo, innescando
così una produzione artistica dal carattere sociale e politico (da ricordare, infatti,
che nello stesso periodo ha luogo l'occupazione della ex fabbrica Brown Boveri).
121DELUZE G., GUATTARI F., Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Cooper Castelvecchi, Roma, 2003,
pp. 445-446.
78
Nel 2000 emerge Isola Art Center, un gruppo eterogeneo di persone unite nel fine
unico di opporsi all'ultima versione presentata del progetto Garibaldi-Repubblica, e
quindi come alternativa alle politiche neoliberiste in atto nel quartiere.
La relazione con il quest'ultimo è la parte principale del percorso artistico che si
sviluppa, dove l'unione tra le varie associazioni e movimenti costituisce la
costruzione di una “scultura sociale”122: ovvero si cerca di proporre un progetto
alternativo a quello comunale, dove la relazione al contesto urbano e sociale viene
integrata a un'attenzione estetica per alcuni luoghi (ex-convento, fabbrica Brown
Boveri) stimolando una produzione artistica con l'utilizzo di materiali non
convenzionali, in linea con ciò che stava accadendo nel panorama artistico generale
degli stessi anni.
Si tratta di una creazione in itinere che presuppone un lavorare 'per' ma 'con', ovvero
potenziare le opportunità di scambio e stabilire delle relazioni solide con il territorio
e con la collettività che lo vive, innescando innovazioni e processi sociali e un
metodo di lavoro basato su un'elaborazione comune di significato, in un'ottica in
cui, come scrive Certeau123, «non è l'arte che si fonde con la vita ma è la Vita che si
fa Arte»: le pratiche si rivelano come una forma dell'agire collettivo, dove la
coesione locale è frutto di processi elaborati collettivamente che risentono di un
intreccio di storie individuali con il fine ultimo di rendere disponibili risorse e beni
comuni e riscoprire e ricostruire l'identità del luogo.
Ed è proprio in questa dimensione locale, molecolare ovvero delle soggettività e
desideri, nella quale questo agire dell'artista nella collettività può essere più
valorizzato e produrre degli effetti concreti di pressione sui modelli dominanti.
All'ingresso della Stecca degli artigiani Isola Art Center scrive:
“Immagina un sistema di ordine sociale decentralizzato in cui a tutte le persone
colpite da decisioni politiche si permetta di prendere decisioni in maniera
122Concetto mutuato da Joseph Beuys, artista tedesco, inventa il concetto di “scultura sociale”, nel 1972
durante Documenta V di Kassel afferma: «questa moderna disciplina artistica giungerà a fruizione quando
ogni persona vivente diventerà creatore, scultore, architetto dell'organismo sociale[...]Soltanto un concetto di
arte rivoluzionato fino a questo grado può diventare una forza produttiva politica attraversando ogni persona
e formando la storia». Da DE DOMIZIO DURINI L., Il cappello di Feltro. Joseph Beuys. Una vita
raccontata, Carte Segrete, Roma, 1991.
123 Michel de Certau (1925-1986), è stato uno storico francese. Tra le sue opere ricordiamo: L’Absent de
l’histoire (1973), L’invention du quotidien (1980) , L’ordinaire de la communication,(1983).
79
democratica dal basso, in base al principio del consenso”124.
La strategia messa in atto da Isola Art Center è quella di pensare a un centro per
l'arte costantemente in costruzione, aperto e flessibile, che si sviluppi nella relazione
con la comunità in cui si trova e con lo spazio urbano, producendo situazioni e
immagini funzionali alla “lotta” che porta avanti con le altre associazioni presenti
nel territorio, utilizzando l'arte, appunto, come strumento trasversale in una
concezione relazionale della pratica artistica. Difficile risulta il definire il termine
“comunità”, in quanto considerandolo da un punto di vista sociologico non è
possibile definirla in maniera astratta e identificarne le necessità e i bisogni, in
quanto ognuno di noi appartiene nello stesso momento a diverse comunità, quindi
anche la posizione dell'artista va costruendosi man mano all'interno e corre il rischio
di cadere in un tipo di socialità illusoria priva di un vero dialogo tra le parti.
Certo non risulta facile arrivare all'obiettivo, può rivelarsi utopico e frustrante,
soprattutto faticoso il fatto di lavorare ai margini, fuori dai luoghi del consenso, ma
comunque a prescindere da ciò credo che ogni tipo di progetto che cerchi come in
questo caso di difendere la dignità e l'identità di una comunità con la quale
costruisce, lavora e cresce non possa essere un fallimento totale anche soltanto per il
tipo di relazione instaurata e il tipo di impegno nel mettersi in gioco e l'onestà.
124La frase è mutuata da un lavoro di Oliver Ressler dal titolo Alternative Economics, Alterantive Societies,
composto da una serie di cartelloni che sono stati esposti in diversi spazi pubblici nelle città dal Sud America
all'Europa. I testi che riportano sono degli appelli rivolti ai rapporti di potere dominanti contro il sistema
capitalistico dei governi mutuando alcuni concetti come 'democrazia inclusiva' da Takis Fotopoulos e
'economia partecipativa' di Michael Albert.
80
III.3
Cantieri Isola, Comitato i Mille, out
Cogliere le diverse vocazioni del quartiere. Per pensare a uno sviluppo “qualitativo” del
quartiere, è necessario innanzitutto riuscire a capire le particolarità dei tessuti sociali,
economici e territoriali che lo caratterizzano come luogo con una storia a sé 125.
Questo è uno tra gli obiettivi che si propone il gruppo Cantieri Isola, associazione
nata nel 2001 da un gruppo di architetti del Politecnico di Milano in opposizione ai
progetti urbanistici previsti dal progetto Garibaldi-Repubblica.
Lo scopo è quello di creare una rete di contatto tra le diverse realtà culturali e
associative attive nel quartiere Isola per dar forma a una proposta di progetto
urbanistico 'qualitativo', basato in primis su uno studio del territorio dal punto di
vista economico, sociale, storico e una forma partecipativa diretta dei cittadini, a un
loro coinvolgimento.
A questi si affianca un piccolo gruppo formato da alcuni artisti, già da tempo
residenti in Isola, come Bert Theis126, Stefano Boccalini127, Mariette Schiltz128, il
gruppo di architetti-artisti A12129 e alcuni tra critici d'arte e curatori quali Roberto
Pinto130 e Marco Scotini, che decidono di mettere in moto un progetto d'arte
indipendente.
Questo progetto, con il tempo, prenderà il nome di Isola Art Project, proprio come
125Dal volantino di Cantieri Isola, Laboratorio di quartiere, 2001.
126Bert Theis nasce in Lussemburgo nel 1952, è artista, curatore e attivista stabilitosi a Milano, nel quartiere
Isola. I suoi lavori sono concepiti principalmente per spazi urbani cercando in particolare di relazionarli ai
contesti sociali. Ha partecipato a diverse manifestazioni artistiche internazionali quali la Biennale di Venezia
(1995), Skulptur Projekte di Münster (1997), Manifesta 2 in Lussemburgo (1998), Biennale di Istanbul
(2007) e numerose altre mostre in città quali Bruxelles, Parigi, Milano, Tirana, Busan. Nel 2003 è stata
pubblicata la sua prima monografia Some Works, edita da Hatje Cantz, mentre la seconda Building
Philosophy è del 2010, pubblicata da Domaine départemental de Chamarande. É co-fondatore di Isola art
Center e membro attivo di out (Office for Urban Transformation).
127Stefano Boccalini è un artista tra i fondatori di Isola art Center, nato a Milano, dove vive e lavora, nel
1963.é docente di arte pubblica e Urban design presso la NABA di Milano. Ha partecipato con i suoi lavori a
molte mostre collettive e personali e collabora con gallerie private in Italia e all'estero. Nel suo lavoro pone
al centro il rapporto con lo spazio, le relazioni con l'architettura e fattori sociali.
128Mariette Schiltz nasce in Lussemburgo nel 1955, ora vive e lavora a Milano. É artista e videomaker, ha
infatti realizzato diversi video riguardanti il quartiere Isola e sulla storia del suo conflitto, che sono stati
esposti al Mamco di Ginevra (2003), alla 10a Biennale di Istanbul (2009) e alla Biennale di Tirana (2009). É
co-fondatore di Isola art Center e membro attivo di out (Office for Urban Transformation).
129Il Gruppo A12 è un collettivo di architetti formatosi a Genova nel 1993 con sede a Milano. I componenti
sono: Nicoletta Artuso, Andrea Balestrero, Gianandrea Barreca , Antonella Bruzzese, Maddalena De Ferrari,
Fabrizio Gallanti, Massimiliano Marchica. A12 lavora nel campo dell'architettura, dell'urbanistica e dell'arte
contemporanea, concentrandosi in particolare sulle trasformazioni delle città e sui diversi modi di abitare gli
spazi, sperimentando in diversi ambiti di intervento. Ha esposto a numerose biennali di arte e architettura in
tutto il mondo, tra le quali la Biennale di Venezia (2003), Biennnale di Shanghai (2001), Fondazione
Pistoletto a Biella (2003). <http://www.gruppoa12.org/>.
130Roberto Pinto è curatore e professore e docente presso il dipartimento di arte dell'Università di Bologna.
81
una prima serie di interventi da loro realizzati nel giugno 2001, attuati nei giardini
di via Confalonieri, curato da Bert Theis all'interno dell'evento più ampio “La
strada rovescia la città” organizzato da Cantieri Isola, dove egli realizza l'opera
Untitled/Untilted che consiste in una simbolica barriera, costituita da una palizzata
di legno bianco contro la strada che avrebbe distrutto il quartiere dividendolo in
due. Stefano Boccalini, invece, con la sua Sleepy Island, colloca tre amache in una
zona in ombra e nascosta dei giardini di via Confalonieri, introducendo il sonno
come possibile tema all'interno della configurazione di uno spazio pubblico,
funzione
e servizio che normalmente non viene contemplato in un giardino
pubblico.
Il gruppo A12 sviluppa un intervento in diversi punti del quartiere, nei quali
vengono disposti dei quadrati di calce su cui vengono impressi i segni del passaggio
di persone e mezzi sino a disperdersi totalmente. Il tutto viene documentato dalla
videocamera di Mariette Schiltz.
Parallelamente il Comune di Milano prosegue con il progetto di riqualificazione del
quartiere, annunciando nel 2002 la volontà di realizzare la Città della Moda
attraverso il nuovo Piano Integrato di Recupero che prevede notevoli interventi
invasivi nel tessuto urbano del quartiere.
A seguito di ciò Cantieri in Isola, negli spazi del Teatro Verdi di via Pastrengo,
organizza un incontro informativo “Il Garibaldi-Repubblica visto dall'Isola” rivolto
agli abitanti dell'Isola, e poco dopo decide di occupare uno degli spazi rimasti vuoti
nell'edificio della Stecca, dove già sono in affitto le associazioni apolidia, Athla e
alcuni artigiani, affermando:
Se nuove pratiche e attività temporanee catalizzano nuove popolazioni, flussi di merci,
prodotti e servizi, possiamo allora parlare del riuso temporaneo come un'altra economia
sussidiaria, ma non sostitutiva alle politiche di riqualificazione urbana 131.
Ad affiancare la lotta di Cantieri Isola, nasce un nuovo gruppo che si costituisce nel
maggio dello stesso anno: il Comitato I Mille 132, il quale inizia una raccolta firme
131Dalla locandina di “Dispositivi Riuso Temporaneo” seminario tenuto presso il Politecnico di Milano, 9
settembre 2009.
132Dal documento di Costituzione del Comitato I Mille, del 15 maggio 2002 si legge: Il Comitato agirà
affinchè venga garantito alla collettività il verde pubblico e la sua fruibilità, opponendosi alla cessione a
82
contro i progetti che minacciano il quartiere.
Su iniziativa di Bert Theis, insieme a Mariette Shiltz, Alessandro di Giampietro,
Marco Velieri e l'architetto messicano Lorenzo Rocha Cito, nasce e si installa al
primo piano della Stecca, il gruppo out (Office for Urban Transformation), un
“servizio collettivo a scala urbana” ovvero un ufficio per la trasformazione urbana i
cui principali focus sono l'analisi urbana e sociale e il rilevare le diverse esigenze
dei cittadini cercando di darne una realizzazione pratica. Il campo di intervento di
out non si limita solamente a quello artistico ma abbraccia molte discipline e si
estende a tutti i settori che riguardano la società; out si pone più come un metodo di
lavoro, uno strumento utile al fine di tentare uno sviluppo urbanistico alternativo dal
basso.
L'ufficio permette la collaborazione con altri artisti, no-artisti e associazioni in una
struttura più flessibile di quello che può essere un gruppo fisso e costituito. [...]La priorità
è quella di operare in un modo auto-organizzato, democratico, sociale ed ecologico nel
campo della trasformazione urbana. I risultati ricercati non sono dei risultati estetici ma
dei risultati efficienti nella comunicazione133.
Il punto centrale della riflessione di queste realtà è il bisogno di procedere nel
colmare il vuoto creatosi tra gli abitanti e gli artisti in mobilitazione, la scommessa
sta nell'attivare un progetto sul territorio che riesca a definire una nuovo senso di
appartenenza.
Muovendosi in questa direzione Boccalini, con il sostegno di Cantieri Isola, mette
in moto la realizzazione di Wild Island134, ovvero un orto comunitario all'interno del
terreno destinato a scomparire; l'artista coinvolge il circolo di Legambiente,
l'associazione per l'agricoltura biologica AIAB oltre agli abitanti invitandoli a
donare le piante per la realizzazione dell'orto:
privati di terreni comunali attualmente a verde e promuovendone l'estensione. Il Comitato promuove tutte le
istanze necessarie a garantire la vivibilità del quartiere Isola e a proporre soluzioni alternative al progetto
Garibaldi-Repubblica e al PII (Programma Integrato di Intervento) sulle aree Isola Lunetta.
133THEIS B., in Partecipazione: Pensiero incompiuto, intervista a Bert Theis di Marco Scotini.
134Dalla pagina web di Isola Art Center, Stefano Boccalini: “volevo che”Wild Island” crescesse come cresce
la città contemporanea,dove la coabitazione tra culture diverse si sviluppa in maniera esponenziale.
Così nell’orto-giardino le persone che vivono nel quartiere piantano qualcosa che appartiene alla loro cultura
e al loro desiderio e lo mettono in comune con gli altri:l’albero di fichi cresce vicino a un pianta esotica e un
cespuglio di lavanda cresce vicino ad una paulonia”.
83
Il territorio non si definisce solo attraverso una serie di volumi, ma attraverso una serie di
relazioni, di vissuti e di desideri, perché chi abita tale luogo deve essere un soggetto
attivo nella trasformazione dello spazio pubblico135.
Il primo mercato biologico, nato dall'iniziativa, ha luogo nel novembre 2002, grazie
anche al finanziamento derivato da un bando della Fondazione Cariplo, in
concomitanza con Isola Art Project 4 : viene proiettato il video 'Arte, città, natura' a
cura di Mario Gorni e del suo archivio di C/O careof 136, e si inaugura l'apertura di
out con l'incontro-dibattito “Park Fiction137, Amburgo e Isola Art Project, Milano,
due esperienze a confronto” a cui partecipano Giacinto Di Pietrantonio, Roberto
Pinto, Francesca Pasini, Marco Scotini, Angela Vettese, Gruppo A12, Stefano
Boccalini, Andrea Sala e Bert Theis. L'incontro di rivela un buon punto d'inizio per
far conoscere la situazione urbanistica, sociale e artistica del quartiere a critici,
curatori e artisti, dove la Stecca sembra poter essere quel laboratorio milanese per
l'arte contemporanea ancora non presente in città.
Tra il 2003 e il 2004 la mobilitazione da parte di Cantieri Isola, insieme con il
Comitato I Mille, contro i progetti imposti dall'amministrazione, si intensifica e
diversifica a fronte dell'approvazione da parte della regione Lombardia del PII
Garibaldi-Repubblica che stabilisce il permesso a edificare su una superficie di
230.238 mq e segue l'introduzione della multinazionale texana Hines nella vicenda.
Contro l'approvazione dei progetti (PIR Isola e PII Isola) i cittadini ricorrono al
TAR Lombardia. Nel frattempo il Comitato I Mille avanza una serie di proposte per
controbattere al progetto di urbanizzazione imposto, in un documento firmato da più
di tremila cittadini del quartiere e da istituzioni locali: vorrebbero che non si
costruisse sui giardini di Via Confalonieri e propongono la ristrutturazione della
135BOCCALINI S., testo per Forum mondial-Villes et qualité de vie. Enjeux globaux, solutions locales,
Ginevra 2006.
136Careof nasce a Cusano Milanino nel 1987 come organizzazione no-profit per la ricerca nel campo
dell'arte contemporanea, ponendosi come interlocutore fra giovani artisti, curatori e pubblico non
specializzato. I fondatori sono Mario Gorni e Zefferina Castoldi i quali danno vita a DOCVA, un centro di
documentazione e archiviazione di materiali d'artista che nel 2006 è stato inserito dal Ministero dei Beni e le
Attività Culturali tra gli archivi storici di rilevanza nazionale.
137Park Fiction è un progetto nato da un gruppo di artisti nel 1994 in opposizione alla costruzione di un
complesso abitativo in un quartiere povero di Amburgo, cercando di proporne una pianificazione collettiva
alternativa.
84
Stecca al fine di destinarla a centro per l'arte, cultura e artigianato138.
La proposta viene raffigurata da out realizzando una sagoma vuota della Stecca e
dei giardini di via Confalonieri che vengono distribuiti a cittadini e associazioni del
quartiere: l'idea è quella di far completare a loro tutti con le proprie idee, desideri e
proposte. Il risultato è un grande telo appeso proprio sulla facciata della Stecca, dal
titolo “Giardini di via Confalonieri...e se fossero così?”.
Per quanto riguarda, invece, Isola Art Project si assiste a una seconda tappa
importante del progetto nel febbraio 2003: dopo aver avuto notevole visibilità per il
suo operato, e avendo avuto una notevole partecipazione da parte del mondo
dell'arte locale, il gruppo decide di trasformarsi nell'associazione Isola dell'arte
(IdA) con Grazia Toderi alla presidenza 139, dando forma all'ambiziosa idea di
costituirsi in un centro d'arte con sede alla Stecca perseguendo nell'obiettivo di
salvare gli spazi comuni, i giardini, minacciati dal progetto urbanistico in corso,
attraverso il dialogo tra istituzioni e cittadinanza operando attraverso l'arte.
Prende vita da qui il video della Toderi 'Shining Garden', la performance 'No' di
Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini140 nel quale la coppia si ammanetta legandosi
simbolicamente alle pareti della Stecca.
L'impossibilità di arrestare il progetto Garibaldi è tangibile, quello in cui però le
varie associazioni continuano a perseguire è quanto meno una vittoria sul piano
culturale, IdA in particolare articola la sua strategia di azione in alcuni punti
fondamentali quali: occupare con una serie di opere permanenti l'edificio della
Stecca, attuare una vendita delle opere d'arte donate dagli artisti stessi al fine di
investire il denaro del ricavo in ricorsi in tribunale, infine, riuscire a dare al gruppo
138La proposta viene inoltrata al Consiglio di zona e a tutti i consiglieri comunali. I firmatari del documento
sono: Comitato I Mille, Istituto Comprensivo Confalonieri, Associazione Genitori Confalonieri,
Commercianti Quartiere Isola, Cooperativa Mercato Comunale Zara, Compagnia del Parco, Isola dell’Arte e
Cantieri Isola.
139Tutti i soci fondatori di IdA sono: Mario Airò, Stefano Arienti, Stefano Boccalini, Marco Brugnara,
Antonella Bruzzese (A12), Cecilia Casorati, Giulio Ciavoliello, Laura Cherubini, Emanuela De Cecco, Anna
Daneri, Gabriele Di Matteo, Giacinto Di Pietrantonio, Stefano Dugnani, Eva Marisaldi, Liliana Moro, Adrian
Paci, Luca Pancrazzi, Francesca Pasini, Roberto Pinto, Gianni Romano, Marco Scotini, Bert Theis, Grazia
Toderi, Vincenzo Chiarandà e Anna Stuart (Undo.Net), Giorgio Verzotti, Angela Vettese, Francesco Vezzoli,
Cesare Viel, Luca Vitone. Presidente: Grazia Toderi. Vicepresidente: Bert Theis.
140Ottonella Mocellin (1966) e Nicola Pellegrini (1962) sono nati in Italia, ora vivono e lavorano a Berlino.
Si specializzano in architettura e arte pubblica presso la Chelsea School of Art e la Architectural Association
negli anni '80. Al loro rientro in Italia iniziano a sperimentare una serie di differenti linguaggi visivi, dalla
fotografia al video alla performance, partecipando a numerose esposizioni in gallerie e musei sia in Italia che
all'estero.
85
un carattere nazionale e internazionale.
Da qui partono una serie di eventi inizialmente concentrati in un solo giorno, il
giorno de 'Le Mille e una Notte', metaforicamente come racconto dello spazio e del
futuro di Isola con il riferimento ai racconti orientali da un'idea della critica d'arte
veneziana Francesca Pasini. In questo primo evento avvenuto in aprile partecipano
attivamente molti artisti e curatori anche internazionali vicini ai circuiti d'arte della
città; alcuni tra gli interventi proposti sono di natura permanente, definibili come
site specific in quanto creati nei giardini o sulle pareti stesse della Stecca come
Viaggio sulla luna di Gabriele di Matteo, disegni tratti dell'opera di Meliés realizzati
ad affresco sulle pareti interne dell'edificio; Stefano Arienti ripropone la sua opera
realizzata anni prima nella ex fabbrica Brown Boveri durante l'occupazione: il titolo
Muffe designa dei segni ripetuti con dei gessetti, delle virgole che ricoprono le mira
esterne e interne che interagiscono con la pelle della Stecca. Il gruppo A12
contribuisce invece realizzando un'opera di convivialità ovvero un tavolo e il banco
per il bar del centro d'arte; Liliana Moro141 insieme a Stefano Dugnani realizza
Casedagioco, delle piccole costruzioni-abitazioni in cemento collocate nei giardini
della Stecca al servizio dei bambini.
Aderisce alla programmazione anche il gruppo di Park Fiction di Amburgo
proponendo il video, in versione italiana, I sogni lasciano le case e scendono in
piazza presentato dagli stessi a Documenta 11, per la stessa giornata viene
organizzato anche il convegno Quali spazi per l'arte oggi?142 al fine di discutere sul
problema della mancanza di un' autentico polo dedicato all'arte contemporanea nella
città di Milano e su quali tipi di spazio meglio si potrebbero adattare al tema. Nel
dibattito Christian Bernard, direttore del Mamco di Ginevra, presenta la mostra
Fragments d'un Discours Italien che contiene una sintesi dei lavori e delle azioni
messe in atto all'Isola fino a quel momento, mentre Mariette Schiltz presenta il film
da lei realizzato Ondanomala dove racconta i primi tre anni di lotta e di arte nel
141Liliana Moro nasce a Milano nel 1961. Allieva di Luciano Fabro all'Accademia di Belle Arti di Brera
inizia la sua carriera artistica partecipando lo Spazio di Via Lazzaro Palazzi tra il 1989 e il 1993. La sua
ricerca artistica si focalizza sul tema della fragilità e della ricerca di equilibrio che esprime attraverso
sculture, oggetti, suoni e video.
142Al convegno partecipano personalità sia nazionali che internazionali quali: Christian Bernard
(Mamco,Ginevra), Claire Burrus, Michelangelo Pistoletto, Christoph Schäfer (Park Fiction), Giulio
Ciavoliello, Cecilia Casorati, Giacinto Di Pietrantonio, Francesca Pasini, Roberto Pinto, Gianni Romano,
Marco Scotini, Giorgio Verzotti, Angela Vettese.
86
quartiere.
DE-ABC, formato da Steve Piccolo143, Luca Pancrazzi144 e Gak Sato145 presentano
invece L' acchiapparumori, una scatola che convoglia i rumori della città come un'
imbuto, ne amplificano le sensazioni e regalano una percezione diversa della strada,
del quartiere a cui i suoni appartengono dato dalla mancanza del rapporto visivo con
ciò che sta al di fuori.
La programmazione si fa sempre più fitta e ricca di eventi che non si limitano più a
una sola giornata: inizia un ciclo di conferenze Selfurbanization nelle quali sono
previsti degli incontri incentrati su tematiche legate al quartiere Isola come “Storie e
memorie: come l’arte può raccontare l’identità dei luoghi” e “Dalla Brown Boveri a
oggi. Arte a Milano tra anni Ottanta e Novanta. La storia della fabbrica del quartiere
Isola occupata dagli artisti nel 1985. Un racconto dell’arte in città da questa
esperienza a oggi” organizzati da Marco Scotini e Alessandra Pioselli.
Per proseguire poi con la strategia iniziale decisa da IdA nel dicembre del 2004
viene organizzata, al secondo piano della Stecca 146, la mostra Arte per l'isola, curata
da Lino Baldini e Giacinto di Pietrantonio, accompagnata da un'asta con le opere
d'arte donate dagli artisti di IdA e altri sostenitori del progetto 147, la vendita infatti è
finalizzata unicamente alla raccolta di fondi per ripianare i debiti dovuti ai ricorsi al
TAR riguardanti il progetto Garibaldi-Repubblica.
Segue a ciò un manifesto redatto da IdA per lanciare un petizione internazionale e
far conoscere il progetto al di fuori del quartiere
143Steve Piccolo è un musicista, artista e curatore nato a New York ma stabilitosi da tempo a Milano. Ha
curato vari progetti sonori per performance/installazioni in collaborazione con Adrian Paci, Luca Pancrazzi e
altri artisti. Cura le pagine di sound art per il sito UnDo.Net.
144Luca Pancrazzi è un artista che vive e lavora a Milano. Dopo aver frequentato l'Accademia di Belle art di
Firenze sviluppa il suo lavoro basato in prevalenza sui 'vuoti' urbani, su quegli spazi interstiziali urbani
abbandonati.
145Gak Sato nasce a Tokyo e nel 1996 si trasferisce a Milano. Nel 2002 diventa professore di Tecniche del
Suono presso l'Accademia Carrara delle Belle Arti di Bergamo.
146IdA inizia a occupare il secondo piano dell'edificio mettendo da parte qualsiasi tipo di rivendicazione
riguardante gli altri spazi in seguito a contrasti con Cantieri Isola, questi ultimi, infatti, arrivano a concepire
la Stecca come un'associazione che venda e offra servizi agli abitanti quando invece IdA, out e il Comitato I
Mille lottano per ottenere un'associazione socio-culturale formata da artigiani, spazi di aggregazione per
varie attività legate al quartiere e al progetto di centro per l'arte contemporanea.
147Alcuni tra gli artisti simpatizzanti sono: Alberto Garutti, Loris Cecchini, Massimo Bartolini,
Michelangelo Consani, Marcello Maloberti, Maurizio Nannucci, Enzo Umbaca, Patrick Tuttofuoco, Italo
Zuffi.
87
[...]Proponiamo di ristrutturare questa fabbrica e di trasformare l’ultimo piano in un
Centro per l’Arte Contemporanea, preservando e sviluppando la ricchezza attuale delle
funzioni sociali, economiche e culturali presenti nell’edificio. […] Nonostante il
dinamismo di gallerie e istituzioni private, la presenza di riviste specializzate, di molti
artisti, di critici, di collezionisti importanti —dato il livello delle mostre pubbliche e la
scarsa rete di spazi per l’arte contemporanea —oggi Milano è una realtà provinciale. […]
L’associazione si propone di convincere il Comune di Milano a ripensare e a modificare
questa parte del progetto “Garibaldi Repubblica”,: si eviterebbe così di distruggere un
campione storico importante dello sviluppo produttivo e urbanistico della città
contribuendo, invece, alla creazione del Centro d’Arte Contemporanea 148.
Il manifesto solleva attenzione nel mondo della cultura e dei media, su La
Repubblica esce un articolo dal titolo 'L'isola del futuro. Festa per il nuovo museo
alla Stecca degli artigiani':
La stecca degli artigiani, la pittoresca , scalcinata ma vivacissima ex fabbrica della
siemens nel cuore del quartiere dell'Isola, laboratorio di creatività e incubatrice di
conflitto sociale minacciata di demolizione nel quadro del piano urbanistico GaribaldiRepubblica, potrebbe essere salvata e trasformata in un Centro per l'arte contemporanea.
[…] L'Isola dell'arte è una lobby forte e influente, ne fanno parte artisti e critici con
robusti legami nazionali e internazionali. […] Il progetto è credibile149.
148Appello internazionale di IdA, tra i firmatari si trovano harald Szeemann, Hans Ulrich Obrist, Hou
Hanur; galleristi quali Giò Marconi, Francesca Minini e Raffaella Cortese; artisti quali Maurizio Cattelan,
Marina Abremović, Olaf Nicolai e Richard Nonas; imprenditori del mondo della moda quali Miuccia Prada,
Angela Missoni, Alessia Bulgari e Antonio Marras.
149Armando Besio, L'Isola del futuro, in “La Repubblica”, ed. Milano, 4 febbraio 2004.
88
III.4
La nascita di Isola Art Center nel 2005
Completati i lavori di sistemazione del secondo piano della Stecca, circa 1500 m² di
spazio che ne fanno il fulcro e il terreno di sperimentazione per numerosi eventi e la
tessitura di una rete di persone solida, l'8 aprile 2005 avviene l'inaugurazione
ufficiale di Isola Art Center primo centro d'arte indipendente e autogestito a Milano,
presieduta dall'Assessore alla cultura della Provincia di Milano Daniela Benelli 150 in
compagnia delle altre associazioni 'satelliti' del quartiere.
Il fine è quello di dar vita a un progetto alternativo che dia voce ai cittadini,
all'identità del quartiere, rinforzandone la posizione all'interno dell'urbanistica e
portando alla luce il problema della mancanza di spazi pubblici e il rischio
dell'eliminazione degli stessi dai quartieri storici.
Sin dall’inizio la sfida per Isola Art Center è stata quella di creare una piattaforma di
sperimentazione aperta e dinamica, che combinasse l’arte contemporanea di livello
internazionale, l’arte giovane emergente, la ricerca teorica, i bisogni e desideri degli
abitanti di un quartiere popolare e misto, e incidesse sulla trasformazione di questo
quartiere. Un progetto precario e ultralocale in una situazione di trasformazioni globali e
conflittuali. Isola Art Center ha scelto di non ripetere modelli istituzionali prestabiliti,
sull’esempio di New York, Berlino o Parigi, ma di creare un nuovo modello di Centro
d’Arte per una situazione di crisi culturale, sociale, economica e politica prolungata 151.
L'idea è quella di inserire l'arte all'interno delle problematiche del quartiere al fine
di utilizzarla come strumento per il cambiamento del progetto urbanistico, come
monito che dia voce ai reali bisogni del quartiere.
Quello che è determinante è che Isola Art Center è un progetto d’arte contemporanea
inserito in un contesto di conflitto urbano, dove interviene a fianco degli abitanti in
mobilitazione. E dunque il progetto non è soltanto specifico al sito, in una connotazione
strettamente spaziale, o relazionale in una connotazione sociale, ma specifico alla lotta di
chi lavora e vive in quel sito152.
Isola Art Center si muove senza un budget, la scelta infatti è quella di non dipendere
da alcun legame istituzionale stabile ma di basarsi solamente su finanziamenti
150Daniela Benelli nasce a Milano nel 1952e ricopre attualmente la carica di Assessore all'Area
metropolitana, Casa, Demanio nella giunta del sindaco Pisapia.
151Berth Theis, vedi: <www.isolartcenter.org>.
152 Antonio Brizioli e Bert Theis, Isola, la storia di una trasformazione urbana, in AAVV, Fight-Specific
Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
89
pubblici (esterni al Comune di Milano, come per esempio il Comune di Firenze e la
Regione Toscana) o privati quali Open Care e Frigoriferi Milanesi 153, reperendo i
mezzi, materiali e le finanze necessarie di volta in volta a seconda del progetto in
corso, e affidandosi all'energia individuale e collettiva dei partecipanti.
Per quanto riguarda lo spazio, ovvero l'ex edificio industriale della Stecca, Isola Art
Center decide di operare in un dirty cube, ovvero di non trasformarlo e di non
nascondere il suo passato industriale in opposizione alla concezione modernista del
white cube, una definizione dello spazio espositivo coniata da Brian O’Doherty 154,
(in una raccolta di saggi usciti tra il 1976 e il 1981 su Artforum 155) secondo il quale
il bianco assoluto delle pareti, la sterilità da qualsiasi elemento di disturbo
proveniente dalla realtà esterna, l'opera viene a-contestualizzata così da sfidare,
illusoriamente, lo scorrere del tempo e delle mode in un'idea di assolutezza oltre i
legami effimeri di temporalità.
Per gran parte del Novecento, infatti, è stata la pratica dominante e in parte lo è
tutt'ora , Bert Theis afferma:
Il luogo industriale che abbiamo reso accessibile è stato lasciato volutamente in
questo stato. Non per una ragione nostalgica, ma piuttosto per la scelta di non
cancellare le tracce del passato e far in modo che le opere d'arte e le attività
interagissero con questa situazione. […] Il concetto di dirty cube è strettamente
collegato a quello di piattaforma, come forma aperta di organizzazione che
permette ad artisti, attivisti, curatori, teorici, collettivi o singole persone di diversa
provenienza, di portare liberamente a termine proposte e progetti all'interno di un
contesto fight-specific156.
Certamente questo concetto del dirty cube, non è, a mio parere, da vincolare
necessariamente solo alla dimensione estetica dello spazio artistico/espositivo ma in
senso lato soggiace a una questione legata a una ricerca dei modi e delle forme di
153“I Frigoriferi Milanesi sono un luogo di incontro e di scambio dedicato all’arte e alla cultura”, nati nel
1899 come magazzini refrigeranti hanno riconvertito la propria attività in un contenitore culturale. Open
Care, invece, nasce all'interno di Frigoriferi Milanesi nel 2003 e si occupa della logistica, conservazione,
valorizzazione delle opere d'arte. Vedi: www.frigoriferimilanesi.it.
154Brian O’Doherty, nato nel 1928 in Irlanda è artista (le sue opere sono state esposte alla Biennale di
Venezia e a Documenta) e scrittore: tra le sue opere ricordiamo American Masters: The Voice and the Myth,
The Deposition of Father McGreevy, Christo’s Running Fence.
155Brian O’Doherty, Inside the White Cube. L’ideologia dello spazio espositivo (traduzione italiana di I.
Inserra e M. Mancini), Johan and Levi editore, Milano 2012.
156CHARLES E., Dal white cube al dirty cube in Fight-specific Isola, p. 273.
90
resistenza; si tratta di rimanere legati, per quanto possibile, a una dimensione
'territorializzata' dello spazio. L'edificio della Stecca viene ripopolato con opere
d'arte senza snaturarlo ma al fine di salvaguardarlo (nonostante si sia rivelato, come
vedremo, un meccanismo fallimentare). É una scelta che per altro lega,
inconsapevolmente, Isola art Center con l'esperienza della Brown Boveri degli anni
'80, oltre al fatto che si sta parlando di un' edificio appartenente al Comune di
Milano occupato da un gruppo di artisti-curatori i quali, come detto
precedentemente, non ricevono alcun tipo di sovvenzione economica.
Come afferma Gerald Raunig157:
Il cube è dirty, precisamente perché non è guardato come un incubatore che porta insieme
l'arte e l'economia capitalista, ma perché permette il concatenamento trasversale di
pratiche e di gruppi che non avevano mai cooperato prima gli uni con gli altri […] Invece
delle promesse luccicanti dell'Isola creativa sorge qui, nella mischia, la trasversalità
selvaggia dell'industria Isola che rifiuta l'obbedienza, la cooperazione e l'autoaddomesticamento negli incubatori dell'industria creativa 158.
Il principio del dirty cube, infatti, è anche funzionale al fine di differenziare lo
spazio della Stecca da un luogo d'arte istituzionale come può essere il Palais de
Tokyo159 di Parigi, più volte citato come termine di paragone e allo stesso tempo di
contrasto: in occasione della sua apertura nel 2002 sono stati investiti quasi 5
milioni di euro per trasformare ma bensì rinvigorire l'originaria struttura
dell'edificio del 1937 in un contenitore per l'arte contemporanea.
Come scrive Claire Bishop160:
157Gerald Raunig è un filosofo e teorico dell'arte. Insegna alla Zürcher Hochschule der Künste. Tra le sue
pubblicazioni ricordiamo Art and Revolution. Transversal Activism in the Long Twentieth Century (Los
Angeles, 2007), Art and Contemporary Critical Practice. Reinventing Institutional Critique (MayFlay, 2009)
e Fabbriche del sapere, industrie della creatività (Verona, 2013).
158RAUNING G., Industria Isola, in AAVV, Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro
della Città, Archivebooks, Berlino, 2012, p. 309.
159 Il palazzo venne costruito per l'Esposizione Universale del 1937 nel XVI arrondissement di Parigi. Il
Centro Arte contemporanea è stato creato nel 2002 per volontà di Nicolas Bourriaud e Jérôme Sans che lo
hanno diretto sino al 2006.
160Claire Bishop (1971) è una critica e storica dell'arte. E' stata professoressa associata nel Dipartimento di
storia dell'arte dell'Università di Warwick e presso il Royal College of Art di Londra. I suoi scritti sono
pubblicati su riviste quali Artforum, Flesh Art e October. Tra i suoi scritti ricordiamo Participation (2006),
Installation Art: A Critical History (2005), Radical Museology, or, What's Contemporary in Museums of
Contemporary Art? (2013).
91
Instead of clean white walls, discretely installed lighting, and wooden floors, the interior
was left bare and unfinished. […] The Palais the Tokyo' s improvised relationship to its
sorroundings has subsequently become paradigmatic of a visible tendency among
European art venues to reconceptualize the “white cube” model of displaying
contemporary art as a studio or experimental 'laboratory' 161.
In questo modo la scelta stessa degli artisti e delle tematiche si riflette nel sistema di
allestimento:
Non era più concepito come semplice white cube - uno sfondo neutro su sui possano
risaltare, senza interferenze, gli oggetti esposti – quanto, piuttosto, come luogo con una
specifica identità in cui far rinascere, appunto, delle relazioni. La trasandatezza,
intenzionalmente lasciata tale, dei muri o dei pavimenti non perfettamente lisci e puliti,
non disturbavano le possibilità espressive dei lavori concepiti, per la maggior parte, come
work in progress; anzi le caratteristiche dello spazio erano frequentemente usate dagli
artisti come ulteriore elemento da cui partire nella progettazione del lavoro 162.
Sfuggire al white cube non significa necessariamente sfuggire alla dimensione
estetica del campo artistico in quanto, che si parli di un'istituzione affermata o di un
collettivo auto-organizzato, si tratta comunque di situazioni profondamente immerse
nel meccanismo capitalistico che sfrutta qualsiasi dettaglio al fine di trarne profitto.
In questo caso quello che differenzia Isola Art Center sta nella sua volontà di di 'riterritorializzare' uno spazio all'interno di un progetto ampio che coinvolge il
cambiamento urbanistico di un quartiere.
Un altro concetto che introduce l'artista Bert Theis, e che conia lui stesso in
relazione alla natura di Isola Art Center, è quello del fight-specific.
Per capirne il significato bisogna prima definire il concetto, entrato ormai a far parte
del linguaggio artistico comune, del site-specific dal quale il neologismo di Theis
deriva. Per site-specific (espressione inglese composta da site 'luogo' e specific
'specifico') si intende il principio per cui un'opera d'arte non solo viene concepita
per uno spazio non originariamente destinato all'arte ma pensata e plasmata in
maniera tale che crei dei legami spaziali specifici con il luogo nel quale viene
destinata, ricostruendo l'esperienza percettiva locale dello spettatore.
161BISHOP C., Antagonism and Relational Aesthetics in October, 2004, p.51.
162PINTO R., Il dibattito sull'arte degli anni Novanta, in Estetica relazionale di BOURRIAUD N., pp. 112113.
92
Secondo la definizione di Miwon Kwon163:
Site specificity used to imply something grounded, bound to the laws of physics. […]
Whether inside the white cube or out in the Nevada desert, whether architectural or
landscape-oriented, site-specific art initially took the "site" as an actual location, a
tangible reality, its identity composed of a unique combination of constitutive physical
elements: length, depth, height, texture, and shape of walls and rooms; scale and
proportion of plazas, buildings, or parks; existing conditions of lighting, ventilation,
traffic patterns; distinctive topographical features 164.
L'opera intesa come site-specific emerge per la prima volta sulla scia del
Minimalismo, ovvero dalla seconda metà degli anni Sessanta e inizio Settanta, e poi
con la creazione di quei tableaux effimeri o manipolazioni permanenti del territorio
e del paesaggio creati da quel movimento di artisti racchiusi sotto la dicitura di land
art, (tra i quali: Walter De Maria, Christo, Robert Smithson, Richard Long)e da altri
come l' arte concettuale, performance/body art, arte processuale: si crea una
relazione indivisibile tra l'opera e lo spazio, questo non viene più percepito come
una tabula rasa ma come uno spazio reale dove l'oggetto artistico o l'evento viene
fruito 'nel qui e ora' attraverso la presenza fisica dello spettatore necessaria al suo
stesso completamento e compimento.
Robert Barry dichiarava nel 1969 in un'intervista in riferimento alle sue installazioni
«made to suit the place in which it was installed. They cannot be moved without
being destroyed165», questo perché l'opera, le cui caratteristiche sono direttamente
determinate dalla topografia dello spazio, che sia questo urbano, paesaggistico o
parte di un'architettura, diventa parte di esso modificandone la percezione e
l'organizzazione.
Nella nozione di fight-specific ( letteralmente 'lotta-specifica'), invece, non è tanto
lo spazio l'elemento prioritario e caratteristico dell'opera o dell'atto artistico quanto
la lotta intrapresa, attraverso l'arte, per la salvaguardia di quello spazio in
particolare, in questo caso il quartiere Isola.
163Miwon Kwon (Corea del sud, 1961) è una curatrice e critica d'arte e d'architettura. Le sue ricerche e i suoi
scritti riguradano principalmente l'arte contemporanea, l'architettura, l'arte pubblica. Ha co-curato, con
Philipp Kaiser la mostra Ends of the Earth: Land Art to 1974 tenutasi al Museum of Contemporary Art in Los
Angeles nel 2012.
164KWON M., One Place After Another: Notes on Site Specificity in October, Vol. 80, 1997, p.85.
165Ivi., p.86.
93
Qui gli artisti si trovano in un terreno di conflitto, agiscono politicamente attraverso
un'arte che si mette al servizio e si relaziona con una collettività, affrancandosi dal
campo neutrale della rappresentazione e da un sistema di “arte per l'arte”.
Abbiamo originariamente coniato il termine fight-specific art per descrivere le forme
d'arte legate alla lotta urbana. Il nostro lavoro, focalizzato sula quartiere Isola, è stato
indubbiamente site-specific. La decisione però di affiancare il movimento, e sostenere le
alternative suggerite dai cittadini, di lottare contro le politiche neoliberiste promosse
dall'amministrazione pubblica e dagli investitori privati, ha fatto in modo che fosse
necessario estendere il concetto di site-specific a quello di fight-specific. Per noi gli
elementi decisivi del site (luogo) sono le persone che vivono e lavorano dentro il luogo
stesso. L'arte fight-specific diventa possibile solo se le persone iniziano ad organizzarsi e
ad agire, cioè se esiste una situazione “calda”, una condizione di conflitto e di lotta 166.
L'attività di Isola Art Center è costretta a mutare tanto nella forma quanto nella
strategia della produzione estetica nella quale gli artisti coinvolti sono chiamati a
identificarsi con la comunità e a rappresentarla, divenendo parte attiva di quella che
può essere definita (ma non riducibile a) come community art, attraverso un fare
artistico politico e determinando un legame diretto tra produttore e utenza
determinando, in alcuni casi, uno scambio dei ruoli data la sua specificità alla lotta e
a chi vi lavora e vive in loco.
L'evento inaugurale dello spazio è Architecture of change, curato da Marco Scotini,
a cui partecipano una ventina tra artisti e collettivi italiani e non 167. L'obiettivo,
contenuto nel titolo stesso, è quello di focalizzare il dibattito sul rapporto tra
pratiche artistiche all'interno di uno specifico contesto urbano e politico che
implicano uno spazio pubblico rispondendo alle necessità e richieste di chi quello
spazio lo vive, partendo però dal presupposto che non esiste una soluzione unica al
problema urbano ma diverse che si intrecciano. L'analisi parte dal semplice spazio
166Bert Theis da Dal site-specific alla fight-specific art in Fight Specific Isola, p.266.
167Tra i partecipanti alla mostra: Massimo Bartolini, Cantieri Isola, Loris Cecchini, Alexandre da Cunha,
Vincenzo De Cotis, Brice Dellastrada, Paola di Bello, Carlos Garaicoa, Alberto Garutti, Bernardo Giorgi,
Gruppo A12, Isabella Inti, Deborah Ligorio, Love Difference, Francesco Jodice, out, Luca Pancrazzi, Olaf
Nicolai, Marietica Potrc, Andrea Sala, Paola Salerno, Antonio Scarponi, Bert Theis, Florin Tudor e Mona
Vatamanu, Ultra-Red, vedovamazzei, Italo Zuffi.
94
positivo e dalle relazioni che sviluppa in relazione all'edificio, come centro di arte,
sino a una scala più grande relativa alle dinamiche del quartiere e della rete urbana.
In questa cornice vengono dunque presentati interventi di varia natura che vertono
sulla produzione dello spazio in chiave 'lefebvriana', dalle installazioni permanenti
di out e Wurmkos a progetti di proposte di riutilizzo di vuoti urbani, alla proiezione
di mappe politiche ai dibattiti.
Inizia così una nuova fase, Isola Art Center si presenta come un' evoluzione
dell'organizzazione iniziale IdA, un movimento mosso dalla condivisione della
battaglia per lo spazio pubblico, e nel quale vengono integrati mano a mano i
diversi collettivi quali Stazione Isola168, UnDo.Net169, Forum Isola, Werkstatt170,
Sugoe171, millepiani172 e Love difference173.
Il tema dello spazio, incentrato più su una riflessione per quanto riguarda lo
sviluppo e la costruzione ragionata di un centro per l'arte contemporanea, viene
ripreso anche nella mostra del marzo 2006 The People's Choice/ La scelta della
Gente174, sempre a cura di Marco Scotini. Nel percorso si snodano i progetti, le idee
e le proposte di una quarantina tra artisti, curatori, economisti e politici che si
confrontano nel tentativo di plasmare uno spazio per l'arte aperto, flessibile e
168Nasce da un'idea di stefano Boccalini e Katia Anguelova e si propone come raccoglitore di archivio di
informazioni utili per proporre una progettazione urbanistica ragionata del quartiere Isola.
169Network nato nel 1995 con l'obiettivo di sperimentare le potenzialità della rete nel campo della
produzione di arte e cultura contemporanea. Ne fanno parte Anna Stuart Tovini, Vincenzo Chiarandà ed
Emanuele Vecchia. Vedi la pagina web: www.undo.net.it.
170Si tratta di un laboratorio di fotografia che inizia la sua collaborazione con Isola Art Center nel 2006.
Composto da Simona Barbagallo, Tiziano Doria, Antonietta Foschini e Jacopo De Gennaro con lo scopo di
creare un'officina per il quartiere ovvero un luogo di incontro e di scambio per giovani artisti.
171Sugoe è un laboratorio che si occupa di produzione e allestimento di opere per collaborazioni con altri
enti ma elabora anche progetti in autonomia. Ne fanno parte alice Pintus, Fabrizio Stipari, Manuel Scano,
Matteo Rubbi, Luca Pozzi, Alek O., Matteo Mascheroni e altri.
172Millepiani è un progetto editoriale nato da Tiziana Villani e collaborano con Isola Art Center per
l'organizzazione di conferenze e seminari. Ne fanno parte anche Ubaldo fadini, Francesco Galluzzi e Stefano
Vailati.
173Nasce nel 2002 all'interno di Cittadellarte Fondazione Pistoletto come “movimento artistico per una
politica Intermediterranea” ovvero un laboratorio artistico che parte dal concetto di arte come impegno
politico e sociale. Tra i membri ci sono Alberto Mazza, Arianna Panarella, Chiara Piraccini e Noemi Satta.
174Il titolo richiama volutamente una mostra del Group Material del 1980 “The People's Choice (Arroz con
Mango)”allestita a New York nell'East End nella quale veniva coinvolta la comunità ispanica del quartiere
chidendo alle persone di portare con loro in galleria degli oggetti significativi per loro, per la loro famiglia,
per i loro amici. Qui invece vi partecipano: Gruppo A12, Doug Ashford (Group Material), Stefano Boccalini,
Gea Casolaro, Josef Dabernig, José Davila, Pablo Leon de la Barra, Paola Di Bello, Etcétera, Alberto Garutti,
Bernardo Giorgi, Isabella Inti, Rem Koolhaas and Alain Fouraux, Armando Lulaj, Marcello Maloberti,
Alessandro Nassiri Tabibzadeh, Network Nomadic Architecture, OUT, Adrian Paci, Maria Papadimitriou,
Steve Piccolo, Cesare Pietroiusti, Post-Programmed City-Territory, Marietjca Potrc, Oda Projesi, Radek
Community, Renshi.org, Oliver Ressler, Pedro Reyes, Mariette Schiltz, Chemi Rosado Seijo, Stalker, Bert
Theis, Tercerunquinto, Ian Tweedy, Enzo Umbaca, Luca Vitone
95
accessibile agli abitanti del quartiere, riconoscendo in questo processo l'arte come
una funzione trasversale ai diversi gruppi sociali e come filo rosso.
Il comunicato stampa recita:
la sfida del progetto è quella di pensare ad un centro d'arte sotto permanente costruzione
all'interno di una comunità che negozia, di giorno in giorno, i propri parametri di
rappresentazione e di relazione con e nello spazio urbano. […] 'La scelta della gente'
vuole immaginare non solo uno spazio aperto e flessibile, ma, letteralmente, attraversato
dalla vita dei gruppi e delle persone175.
Un delle opere esposte, ad esempio, Framing the Comunity di Paola Di Bello176: una
serie di fotografie che ritraggono gli abitanti dell'Isola davanti a una finestra aperta
sul quartiere stesso, a sottolinearne la natura comunitaria e di appartenenza di quel
frammento di città, quasi una autorappresentazione comunitaria per immagini.
Isola Art Project entra sempre più nel circuito internazionale, tant'è che inizia a
ospitare mostre ed eventi al di fuori del circuito circoscritto alla sola città di Milano,
spinti dalla volontà di sperimentare nuove logiche espositive e di lavoro intessendo
legami e relazioni con altre realtà.
Nell'ottobre 2006 ospita Women shi gaibian ( La rivoluzione siamo noi ), a cura di
Martina Köppel-Yang177, dove protagonisti sono un gruppo di artisti cantonesi
riunitisi sotto l'appellativo di Canton Express 178 i quali arrivano appunto da una
regione della Cina (Guangzhou) confinate con il Pearl River Delta (Delta del Fiume
delle Perle) una delle zone più densamente urbanizzate nel mondo e caratterizzata
da un inarrestabile sviluppo economico, dinamica nella quale l'arte si inserisce con
il doveroso e responsabile compito di salvaguardare e mantenere le tradizioni
affrancate dal puro meccanismo economico attraverso la sua potenzialità di generare
175Comunicato stampa The People's Choice/ La scelta della Gente. Attrezzi per un art and Community
Center a cura di Marco Scotini, 27 marzo – 14 maggio 2006.
176Paola Di Bello nasce a Napoli nel 1961, vive e lavora a Milano. Il suo lavoro si svolge attraverso la
macchina fotografica con la quale interroga la realtà conoscibile e indaga l'ambito stesso della percezione.
Insegna fotografia presso l'Accademia di Belle Arti di Brera.
177Martina Köppel-Yang storica dell'arte con base a Parigi. Ha curato molte mostre in materia di arte
contemporanea cinese come ad esempio Leased Legacy. Hong Kong (Francoforte , 1997), Black Extreme
Vigorous Figurative (Schenzhen Fine Arts Institute, 2005) Surplus Value e Accumulation: Canton Express –
The next stop (Pechino, 2006).
178 Formato da: Xu Tan, Jiang Zhi, Zhou Tao, Liang Juhui, Duan Jianyu, Lin Yilin, Yang Jiechang, Huang
Xiaopeng, Yang Yong. Il collettivo aveva già esposto alla Biennale di Venezia nel 2003 all'interno del
progetto Z.O.U. - Zone of Urgency.
96
nuove idee preservando valori culturali e sociali.
Le opere presentate hanno natura diversa, dalla pittura alla performance al video,
come quello di Xu Tan Keyword – Survive, una installazione accompagnata da un
video che riflette sul ruolo della figura dell'artista e del suo operato in una
situazione di catastrofe naturale o guerra, figurato attraverso l'esposizione di una
casa-rifugio portatile per artisti utilizzabile in qualsiasi situazione così da poter
fuggire dal 'mercato dell'arte', ovvero salvarsi dall'epoca di repressione della libertà
d'espressione.
Seguono altre mostre rilevanti che chiudono un intenso anno di lavoro di Isola Art
Center, l'ultimo prima che la Stecca venga definitivamente abbattuta: Collegare in
parallelo con New Museum e alla presentazione della rivista Millepiani
'Caosmos'179.
Collegare180 è curata da Gianni Romano che vede indagare una decina di giovani
artisti il tema della connessione nel suo senso più ampio.
New Museum, invece, è un segnale luminoso al neon realizzato da Daniele
Innamorato e Federica Pedrazzoli181 posizionato sopra l'edificio della Stecca per
rivendicarne l'esistenza e la presenza del centro di arte contemporanea al cui interno
ospita un loro lavoro fotografico.
L'ultimo grosso progetto presentato con sede nell'edificio della Stecca è stato
SituazionIsola. A new Urbanism182 nell'aprile 2007, curata da Marco Biraghi183, Bert
Theis e Maurizio Bertolotto184. Più che una mostra è una dimostrazione del lungo
percorso svolto da Isola Art Center, dalla sua esperienza riletta in chiave
179A cura di G.SIMONDON-D.LYON, Caosmos. Filosofia e tecnica nelle società di controllo, Millepiani,
2006.
180Vi partecipano dalla Germania René Arbeithuber e Daniel Lange/Malun, (gruppo DFM), Benjamin
Wittner, Sascha Thoma/CASTO, Julie Djohan, Philippe Werhahn . Dalla Serbia Nino Maljevic; dal Messico
Marco Villaseñor; dall’Italia Davide Farabegoli e dalla Svezia Linda Hörnquist.
181Sono due artisti che vivono e lavorano a Milano, dove hanno fondato insieme nel 2000 il duo Kings, il
cui lavoro si basa prevalentemente sull'utilizzo di neon, del mezzo fotografico uniti in installazioni. Vedi la
loro pagina: www.kingsart.it.
182Vi hanno preso parte: Tomas Saraceno, FlyingCity, Corea (progetto a cura di Marco Scotini), Paola Di
Bello, King’s (Daniele Inamorato e Federica Perazzoli), Marco Colombaioni e Bert Theis, Steve Piccolo con
Xabier Iriondo, Donata Clovis e Manuel Scano, Luciana Andreani, Christophe Bouvet, Brice Dellastrada e
Giovanni Giaretta, Mara Ferreri, Alek O., Alice Pintus, Luca Pozzi, Anja Puntari, Collettivo 3.2.1, Love
Difference, Osservatorio inOpera, ufficio out, Forum Isola, Corso Graphic Design & Art Direction della
Nuova Accademia di Belli Arti in collaborazione con l’Associazione Genitori F. Confalonieri (“Piedibus”).
183Marco Biraghi è professore presso la facoltà di architettura civile del Politecnico di Milano. Fa parte del
comitato di redazione di 'Casabella' e collabora con diverse riviste di architettura.
184Maurizio Bertolotto è critico d'arte e curatore. Curatore di Art Experience per Domus Academy e
colabora con diverse riviste d'arte e d'architettura internazionali.
97
'situazionista' alla luce di una nuova urbanizzazione ponderata fondata su un
modello che pensa lo spazio sociale come una rete di legami sociali e non solamente
come mera urbanistica.
Molto significativa è l'opera presentata in questa occasione da Tomas Saraceno 185
Museo aero solar186 per il progetto Think global, act local curato da Maurizio
Bertolotto. L'opera viene eseguita in collaborazione con alcuni abitanti del quartiere
e giovani artisti i quali raccolgono, ritagliano e assemblano sacchetti di plastica
raccolti all'Isola e il risultato è un'enorme superficie volante ovvero il più grande
pallone a energia solare mai realizzato. É un museo volante la cui forma evolve in
base a quante persone partecipano alla sua costruzione e al materiale di riciclo
reperito in loco.
III.5
L'abbattimento della Stecca degli Artigiani nel 2007: Isola Art Center dal
dirty cube al cubo diffuso o centro disperso
Nel 2007 i piani urbanistici previsti per le aree Garibaldi-Repubblica, Varesine e
Isola sono ormai consolidati dagli accordi siglati tra multinazionale Hines, Boeri
Studio e il Comune di Milano. Nel marzo dello stesso anno, infatti, viene
sottoscritta l'attuazione del PII Isola che prevede l'eliminazione dei giardini di via
Confalonieri e la demolizione in toto dell'edificio della Stecca, da sempre
considerata da Hines come un ostacolo al piano generale di rinnovamento urbano
della zona.
All'interno della Stecca la programmazione continua (è in atto la mostra
185Tomas Saraceno nasce in Argentina nel 1973, vive e lavora a Francoforte. E' artista e architetto
conosciuto per le sue installazioni, strutture aeree praticabili ed esperibili dal pubblico in grado di modificare
la percezione degli spazi architettonici. Tra le ultime esposizioni ci sono On Space Time foam (Hangar
Bicocca, 2012), On the roof: cloud city (Metropolitan Museum di New York, 2012).
186Questo museo volante viene realizzato interamente per la prima volta in questa occasione e
successivamente in Colombia, Francia, Svizzera, Albania e Stati Uniti.
98
SituazionIsola) ma il movimento è indebolito dal fatto che alcuni gruppi all'interno
di Cantiere Isola (simbolo, come detto in precedenza, dell'unione iniziale del fronte
delle associazioni contro il piano urbanistico) decidono di costituirsi come ADA 187
(Associazione delle Associazioni, presieduta da Isabella Inti) e di dialogare
direttamente con Hines accentando la soluzione avanzata da quest'ultima ovvero la
promessa della costruzione a breve di una Nuova Stecca/Incubatore dell'arte per
mano dell'architetto Boeri188 a prezzo della definitiva rinuncia dell'edificio in
questione.
Le parole di Isabella Inti:
Il nuovo progetto è la rivendicazione di uno spazio per l'associazionismo e l'incubazione
di attività micro-imprenditoriali a costi sociali su un'area di altissimo valore immobiliare.
Sulla base di questa difficile decisione abbiamo affrontato un'altra scelta importante:
passare da rete informale a rete formalizzata e da qui è nata ADA Stecca 189.
Si può parlare di un compromesso accettato da ADA verso la decisione guidata dai
privati in cambio della propria sopravvivenza e tradendo in parte la base ideologica
sul quale si era fondata la nascita del movimento generatore di Isola Art Center.
Il Forum Isola, dissociandosi pienamente dalla decisione di ADA, non si da per
vinto e continua la sua resistenza con una lettera aperta alla stampa “Il Forum non
trasloca” ma il Comune inizia a fare leva sul concetto di “insicurezza” e “degrado”
ormai diffuso all'interno della Stecca derivato da alcuni eventi legati a situazioni di
spaccio nella zona, così da convincere facilmente l'opinione pubblica a sposare la
causa, legittima, della 'riqualificazione' della zona e procedere dunque allo
smantellamento del 'fortino dello spaccio' , come venne definito.
Il 25 aprile le ruspe iniziano la demolizione, da parte della Digos e Polizia, di una
metà della Stecca, quella affacciata sul lato di via De Castilla noncuranti delle opere
esposte e degli eventi in corso all'interno, motivo per il quale Isola Art Center lancia
187All'associazione ADA aderisco: Architetti Senza Frontiere, Cantieri Isola, Apolida, Ciclofficina +bc, Gas
Isola Critica, La compagnia del Parco-circolo di Legambiente, Controprogetto e AIAB (Associazione Italiana
per l'agricoltura Biologica).
188Stefano Boeri si era dichiarato infatti concorde all'abbattimento della Stecca: “Abbiamo provato a lungo a
mantenere l'edificio della Stecca degli Artigiani, ma in seguito, dopo non pochi ripensamenti, ci siamo
convinti che mantenerlo avrebbe compromesso proprio quell'idea di apertura verso il parco che rappresentava
il punto di forza del nostro progetto”; da Diari in attesa...,p. 92.
189INTI I., Diari in attesa..., p.74.
99
un appello rivolto al Comune di Milano “Isola Art Center deve vivere!” , presentato
anche alla mostra inContemporanea1 alla Triennale di Milano, con il quale riesce a
ottenere la sospensione delle operazioni di sgombero e demolizione.
Chiediamo al Comune di Milano di non cancellare un progetto d'arte contemporanea
inedito in Italia, e di non cancellare i due piccoli giardini adiacenti all’edificio, nel quale è
stato costruito il Centro. Appoggiamo le richieste delle associazioni del quartiere che
chiedono di riqualificare questi spazi pubblici invece di privatizzarli per edificare 90.000
metri cubi di costruzioni come prevede un contratto tra il comune di Milano e la
multinazionale texana Hines.
Oggi, nel 2007, Isola Art Center rischia di perdere gli spazi dove lavora dal 2003 senza
avere a disposizione uno spazio alternativo dove continuare la sua attività in modo
adeguato. Il Centro disponeva di una superficie espositiva di 1.500 metri quadri al
secondo piano dell'edificio industriale chiamato "Stecca degli Artigiani" di proprietà
comunale, che secondo i piani del comune di Milano dovrebbe essere raso al suolo in
tempi brevi. Lo spazio ospita una collezione permanente di opere d'arte inserite
nell'architettura dell’edificio di artisti internazionali […]190.
Il provvedimento si rivela però momentaneo tant'è che, dopo alcune proroghe, il 5
ottobre viene definitivamente evacuata la parte sopravvissuta dell'edificio, che
ancora ospitava la sede di Rifondazione Comunista e parte della sede di Isola art
Center al secondo piano, e la demolizione della Stecca viene portata a termine.
A guardare la Stecca, si vede che le ruspe distruggono qua e là lasciando in piedi pezzi di
fabbrica. E dai buchi si intravedono i resti del «New Museum» creato da Bert Theis,
animatore di out e dell'Art Center. La sua si è rivelata un'utopia a Milano; cioè quella di
chiedere all'amministrazione di utilizzare la grande area che va da via Confalonieri a via
de Castilla per un progetto pubblico, come succede in molte città europee 191.
Isola art Center non si neutralizza ma viene a trovarsi in una fase di metamorfosi
dove l'assenza di una base fissa la porta a una scissione e al dover attuarsi in una
moltitudine di spazi per poter continuare con il progetto e sperimentare nuove forme
di linguaggio.
L'idea e il principio perseguito resta sempre quello di creare un centro di arte
contemporanea per la città con uno spazio verde per tutti ma in un'identità di
dispersed center ovvero di centro disperso che si basa sull'utilizzo di infrastrutture
preesistenti, il concetto viene mutuato da quello del dispersed museum coniato da
190Appello Isola Art Center deve vivere! , testo completo e nomi dei firmatari su <www.isolartcenter.org>.
191BERTASI N., Isola Art Center non ha più una sede, in “Il Manifesto”, 3 maggio 2007.
100
Charles Esche192 in riferimento al Van abbemuseum:
In many ways I think we are using up the symbolic capital of the museum. The core
audience still comes for what the museum represented in the past rather than what it does
now, so at some point they will give up, I imagine, as will many modernist-trained critics.
We are working hard on building different routes to a public, however, I think the art
world by and large has failed to address new publics. For our museum, the Van
Abbemuseum, I’m desperately trying to find ways out of this impasse, mostly by leaving
the building, or at least dispersing the art across the city and perhaps the world. The art
audience in general is probably one of the least interesting audiences for an art (or an
institution) that seeks a different relationship with the world and its people. It is the
audience least likely to be transformed by an artwork, because it already has a rather strict
view of what art can do in the world193.
Si articola così una nuova programmazione per Isola Art Center basata su tre livelli:
internazionale, per far conoscere sempre più il progetto e ciò che sta succedendo al
quartiere Isola anche all'estero, cittadino, coinvolgere sempre più la partecipazione
degli abitanti nelle pratiche artistiche, e infine di quartiere, ovvero agire
letteralmente all'interno di altri spazi del quartiere in mancanza di un propria sede
stabile. Si crea un gioco di relazioni tra Isola art Center e altre associazioni, negozi e
spazi pubblici che iniziano a ospitare nei loro spazi alcune mostre.
Come scrive Marco Scotini:
Se si può riscontrare una radicale differenza dopo il 2007 (come di fatto c’è stata)
nell’efficacia delle strategie perseguite dal centro, questo è dovuto non alla perdita della
sede come zona franca, ma al mutamento di contesto: economico, sociale, culturale. Nel
2007 questo spazio d’azione trasversale è stato catturato, ricanalizzato tanto dall’industria
creativa che dalla speculazione immobiliare, ormai sotto regime securitario e finanziario.
Oggi la difesa della libertà dell’arte come bene comune dimostra la propria insufficienza
politica: c’è bisogno di una nuova indagine delle forme della produzione e della
composizione sociale piuttosto che d’immaginazione194.
Pochi giorni dopo viene presentata alla Triennale di Milano il progetto di Isola art
Center all'interno di inContemporanea1195 che ha lo scopo di presentare la rete di
192Charles Esche (Inghilterra, 1962) è un curatore e critico d'arte. Dal 2004 è stato direttore del Van
Abbemuseum di Eindhoven. Ha inoltre curatore numero mostre internazionali tra le quali: co-curatore della
IX Biennale di Istanbul insieme a Vasif Kortun (2005), It Doesn't have to be Beautiful Unless it's Beautiful at
National Gallery of Kosovo, Prishtinë (2012), An Idea for Living, U3 Slovene Triennale, Moderna Galerija,
Ljubljana (2011).
193ESCHE C., Destroy de Museum in Kaleidoscope, anno 3, Numero 10, primavera 2011.
194 Marco Scotini, Ceci n’est pas une exposition. Dai collettivi artistici al governo dei pubblici, in AAVV,
Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città, ArchiveBooks, Berlino, 2012.
195Su progetto di Gabi Scardi sono presenti una quindicina di associazioni: aMAZElab, artandgallery,
101
realtà associative indipendenti presenti nella città di Milano e nel suo hinterland
mettendone a confronto i progetti, i metodi e gli obiettivi.
Lo stand che viene presentato però è spoglio e privo di opere, un comunicato
spiegava ai visitatori:
Ci scusiamo con i visitatori del fatto che il nostro stand rimanga quasi del tutto vuoto e
non possa presentare il materiale informativo previsto. Dal 17 aprile 2007, data dello
sgombero della Stecca degli Artigiani, Isola Art Center è infatti senza sede. Il Comune di
Milano e la multinazionale americana Hines, tengono sotto sequestro una ventina di opere
d’arte e tutto il nostro materiale rimasto a Isola Art Center 196.
Lo stesso anno viene invitato Bert Theis e l'ufficio di out alla X Biennale di
Istanbul, curata da Hou Hanru 197, per presentare il progetto e le vicende di Isola Art
Center che viene illustrato con la proiezione del video-documentario Isola Nostra198
di Mariette Schiltz.
Seguono poi una serie di mostre le prime ospitate in maniera capillare in altri
contesti di Milano, come ad esempio Made In curata da Katia Anguelova, prevista
inizialmente per gli spazi della Stecca, viene ospitata dallo spazio no-profit Assab
One199, dove i due artisti bulgari invitati Daniela Kostova e Plamen Dejanoff
presentano i progetti Planets of Comparison che vede una serie di edifici acquistati
a Veliko Tarnovo, ristrutturati e posti al servizio di musei, gallerie e istituzioni con
finalità culturali; e il video Body-without-organs centrato sul problema
dell'emigrazione raccontando la storia e le vicende del Bar Bulgaro di New York.
A ottobre, invece, prende forma il progetto Isola Rosta Poject200: le saracinesche
dell'associazione culturale Punto Rosso201 diventano spazio espositivo, la tela per
AssabOne,Atelier Spazio Xpò, C/O careof, esterni (Aprile), FreeUndo, Isola Art Center, Museo
Teo,Neon,O’Artoteca, Reporting System, Viafarini, Wurmkos, Xing.
196Testo completo su <www.isolartcenter.org>.
197Hou Hanru, nato nel 1963 a Guangzhou, Cina, è critico e curatore d'arte. Collabora con riviste
internazionali d'arte come “Flash Art International”, “Art in America”, “Art Asia Pacific”, “Yishu”. Ha curato
numerose mostre e Biennali in tutto il mondo tra cui il Padiglione Francese nel 1999 alla Biennale di
Venezia, la mostra Z.O.U – Zone of Urgency nel 2003 e il Padiglione Cinese nel 2007; la Biennale di
Shangai nel 2000, quella di Tirana nel 2005, quella di Istanbul nel 2007 e quella di Lione nel 2009. Da
dicembre 2013 è Direttore artistico del MAXXI di Roma.
198Il video racconta tutti gli eventi della Stecca tra il 2001 e il 2007, è diviso in 6 capitoli nei quali narra le
vicende delle rivendicazioni degli abitanti del quartiere.
199Assab One è uno spazio espositivo nato a Milano nel 2002 da un'idea di Elena Quarestani con sede in un
edificio industriale (era sede dell'azienda grafica Gea) ospita mostre, eventi e promuove progetti culturali.
200Vi partecipano Marco Colombaioni, Dan Perjovschi, Andreas Siekmann, Marco Vaglieri.
201Punto Rosso è un'associazione fondata per la promozione della ricerca culturale e il dibattito. Promuove
102
raffigurazioni di artisti italiani e internazionali che narrano le ultime vicende di Isola
con temi come la gentrification dei quartieri popolari. Il titolo Rosta, infatti,
richiama l'agenzia di telegrafia russa che dal 1919 fece illustrare le sue vetrine dai
manifesti creati da artisti come Vladimir Majakowski, alludendo a un utilizzo
politico dell'atto artistico; qui viene utilizzato lo stesso metodo come segno di
protesta contro il tentativo di cancellare un progetto artistico e sociale e per
rivendicare i disegni sulle pareti della Stecca eliminati con la sua demolizione.
Nel marzo del 2008 il negozio di abbigliamento Tantrika Shop, in via del Pollaiuolo
2, si offre per ospitare una mostra fotografica realizzata da Paola Di Bello negli anni
di collaborazione con Isola Art Center e comprende: Framing the Community, Strip
(2006), L'isola-che-non-c'è (2007).
A novembre, nello stesso posto e in collaborazione con l'Osterialnove in via Thaon
De Revel 9, viene ospitata Taipei-Beirut-Madrid-Berlino-Isola una rassegna di
video realizzati da Kuang-Yu Tsui, Ziad Antar, Democracia, Nevin Aladag, Manuel
Scano, Matteo Rubbi i quali si confrontano sul tema della vita di città attraverso la
narrazione di particolari vicende: a Beirut si parla intimamente della vita nelle mura
di casa, a Madrid si mostra lo sgombero di un campo rom nella periferia.
All'Osteriadelnove si tiene invece una tavola rotonda per discutere le tematiche
trattate nei video con la partecipazione di Anna Daneri (critica e curatrice),
Fondazione Antonio Ratti, Mario Gorni (curatore dell’archivio video del C/O),
Marco Scotini, Anna Stuart e Vincenzo Chiarandá, UnDo.Net, network per l’arte
contemporanea, Tiziana Villani (direttrice di millepiani).
In collaborazione con NABA (Nuova Accademia di Belle Art di Milano) Isola Art
Center presenta Public Turbulence/ Disordine pubblico202 promosso dalla provincia
di Milano e a cura di Alberto Pasavento e Bert Theis.
La programmazione si estende su quattro giorni di attività e si moltiplicano sempre
più i luoghi nel quartiere disposti a ospitare gli eventi dell'associazione (tra i quali:
convegni, conferenze e iniziative pubbliche e non ha scopo di lucro.
202Vi partecipano per Isola art Center: Agenzia X, Stefano Boccalini, Park Fiction, Stina Fisch, Gaia
Fugazza, Angelo Sarleti, Sašo Sedla?ek, HR Stamenov, Urbonas, Fani Zguro, Isola Art’s Club Band. Mentre
per NABA artisti e curatori del Biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali: Valentina Angeleri,
Paolo Caffoni, Arianna Carcano, Igor Muroni, Michele D’Aurizio, Anita Gazzani, Luca Puglia, Matteo
Lucchetti, Valentina Maggi, Sofia Scarano, Giulia Paciello, Mila Popdimitrova, Beto Shwafaty, Lorenzo
Tamai.
103
Soundmetak, Piazzale Segrino 1; Tantrika Shop, Via Pollaiuolo 2 ; Puerto de Libros,
Via Pollaiuolo 5; Osterialnove, Via Thaon de Revel 9; Punto Rosso, Via Pepe 14;
Naba, via Darwin 20). Vengono presentate performance come Complaints Choir –
Il coro delle lamentele a Milano, un infopoint sui progetti di out-ufficio per la
trasformazione urbana; la tavola rotonda Out to the fiction of protest – Arte e
attivismo politico203, il tutto ha come il fine quello di stimolare e approfondire il
ruolo e la funzionalità dell'arte, che non si limiti ad avere un ruolo passivo anche e
soprattutto nella relazione con lo spettatore.
Nel 2009 c'è un altro importante evento a livello internazionale nel quale viene
invitata Isola Art Center: si tratta della IV Biennale di Tirana (T.I.C.A.B – Tirana
International Contemporary Art Biennal) che ha sede in quell'anno nell'Hotel Dajti,
edificio frutto dell'architettura fascista italiana degli anni '30, che ora giace
abbandonato e in rovina proprio nel centro della città, fa da cornice perfetta a questa
edizione della Biennale che si concentra sullo sviluppo urbanistico e architettonico
delle città all'interno dell'orizzonte neo-liberista caratterizzato da un'urbanizzazione
'selvaggia' degli spazi.
In questo contesto Isola Art Center presenta il video Isola, a neo-liberal italian tale
(Isola, una storia neo-liberale italiana), ovvero una summa degli eventi artistici e
politici avvenuti nel quartiere, dai progetti artistici creati in contrapposizione alla
gentrification in atto, l'elaborazione di controproposte ai piani urbani imposti
dall'amministrazione sino alla creazione di un nuovo tipo di museo 'senza sede'
ospitato da associazioni private, negozi e ristoranti.
Altra proposta di riflessione sul quartiere ormai da anni divenuto un campo di forze,
uno spazio politico oggetto di progetti speculativi, è la mostra WE DO IT. Il
quartiere di Isola in due inadeguati sistemi descrittivi 204, curata da Marco Scotini
con Matteo Lucchetti e tenutasi presso il Kunstraum Lakeside di Klangenfurt in
Austria con la quale, come descrive il sottotitolo, ripreso per altro dal lavoro di
203Prendono parte: Park Fiction, Urbonas, out, osservatorio in opera, Wurmkos, Undo.net, Millepiani/urban,
PartiColAzioni, AR.RI.VI, Marcella Anglani, Katia Anguelova, Andris Brinkmanis, Paola di Bello, otherehto,
Jacopo Muzio, Marco Scotini, Beto Shwafaty, Marcella Stefanoni, Elvira Vannini, moderatori Matteo
Lucchetti e Paolo Caffoni.
204Con : Adrian Paci, Andrea Sala, Bert Theis, Christoph Schäfer, Danilo Correale, Enzo Umbaca, Yang
Jiechang, Maria Papadimitriou, Mariette Schiltz, Millepiani magazine, Museo aero solar (Tomas Saraceno),
OUT (Office for Urban Transformation), Paola Di Bello, Stefano Boccalini, Undo.net, Wurmkos.
104
Martha Rosler nel quartiere di Bowery a New York tra il 1974 e il 1975 205, intende
presentare e confrontare parallelamente i progetti urbanisti ufficiali del Comune di
Milano e Hines con i controprogetti realizzati da Out e Isola Art Center.
Continua anche il sodalizio con l'accademia NABA di Milano che presenta,
nell'aprile 2010, Horror Vacui – Occupare il presente, curata da Aria Spinelli206 e
Valerio Del Baglivo207, a sottolineare la volontà incontrollata di edificare e saturare
ogni spazio urbano ancora vergine con nuove e imponenti costruzioni mettendo in
dubbio la qualità della vivibilità dell'area urbana oggetto della trasformazione.
Vengono presentate opere di Fabrizio Bellomo208, il video Senza Titolo (2010)
video-documentario di una performance svoltasi alla Stecca degli artigiani prima
della sua demolizione che vede la creazione di un orto temporaneo in nome della
rivendicazione del verde ormai non più esistente; Maria Pecchioli 209 e Mirko
Smerdel210 lavorano insieme su ZQR (2010), una serie di diapositive che hanno
come soggetto, e bersaglio della critica, i nuovi edifici in costruzione e quelli
simbolo della città: dai Boschi Verticali alla Torre Velasca, accompagnati da scritte
quali “I vostri grattacieli sono macerie prima ancora di essere costruiti”.
Nel 2011 Isola art Center insieme a Fuori Dal Vaso 211 mette in atto una serie di
laboratori e incontri coinvolgendo abitanti, artisti e ricercatori del titolo G come
205Martha Rosler (1943) è un'artista americana la cui opera si focalizza sulla scrittura di testi di natura
saggistica, fotomontaggi fotografici installazioni e performance che hanno come soggetto argomenti quali gli
stereotipi legati al corpo femminile, emarginati e condizioni di disagio. Il lavoro The Bowery in Two
Inadequate Descriptive Systems (1974-1975) è un progetto fotografico realizzato nel quartiere sud di
Manhattan, Bowery, al tempo rifugio di alcolisti ed emarginati. Le foto vengono accompagnate da un
apparato descrittivo composto da parole e frasi derivate dallo slang utilizzato legato all'alcolismo e al suo
gergo con il fine ultimo di denunciare l'impossibilità di descrivere e rappresentare il fenomeno in maniera
adeguata.
206Aria Spinelli (1981) ha conseguito al laurea in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università La
Sapienza di Roma e un Master in Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA. Dal 2009 fa parte del
collettivo Radical Intention; attualmente svolge una ricerca sui rapporti tra arte e politica in Iran.
207Valerio Del Baglivo (1979) vive e lavora a Milano dove continua la collaborazione con Bert Theis e Isola
Art Center. Ha collaborato anche con l'associazione no-profit Connecting Cultures di Milano.
208Fabrizio Bellomo (Bari, 1982) è un artista che vive e lavora a Milano. Nel suo lavoro predilige l'uso del
mezzo fotografico e del video focalizzandosi sulla denuncia sociale.
209Maria Pecchioli (Firenze, 1977) lavora attraverso tecniche diverse quali la fotografia, la pittura, la
performance, il video. “Attraverso visioni futuribili e percorsi mnemonici applico un utilizzo libero dei
materiali che rielaborati e mutati nel loro contesto originale creano delle visioni inaspettate e consentono una
presa di posizione e e coscienza fuori da logiche cognitive lineari. Utilizzo un linguaggio radicale, diretto e
sporco che proviene da uno scontro non filtrato con la storia”. Da <www.isolartcenter.org>.
210Mirko Smerdel (Prato, 1978) vive e lavora a Milano. Il suo lavoro si concentra su temi quali l'archeologia
urbana, la memoria pubblica e le relazioni tra passato e presente.
211Fuori dal Vaso è un gruppo di giovani artisti e curatori interdisciplinare nato dalla collaborazione con
Isola Art Center per appoggiare la rivendicazione dello spazio di Pepe Verde.
105
Gentrificazione – La trasformazione del quartiere Isola 212, un percorso pensato
appunto per indagare il concetto di gentrification e delle sue conseguenze più
visibili analizzando la situazione nel suo complesso e consapevolizzare i cittadini
sulle trasformazioni che stanno prendendo piede all'interno del quartiere.
A maggio dello stesso anno viene presentata la mostra LOASI (anagramma della
parola Isola) curata da un giovane gruppo di artisti e curatori del biennio
specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali della NABA213 creano delle piccole
'oasi' intervenendo all'interno di luoghi estranei al circuito dell'arte, in linea con il
principio del 'cubo disperso', dove vetrine di negozi, strade, aiuole ospitano gli
interventi degli artisti mimetizzati e integrati all'interno del quartiere: dalle medicine
Homeopanic contro gli effetti della gentrificazione esposte in farmacia, alla
definizione stessa, il lemma, di 'gentrification' affisso sui muri del quartiere.
Il 2011 si chiude con la mostra Green Desire/Desiderio Verde214 curata da Camilla
Pin, Elena Mantoni e Valeria Mancinelli presso l'Associazione Sassetti Cultura 215,
incentrata sulla questione ambientale, sull'emergenza della mancanza di verde che
riversa le ripercussioni nel vivere sociale, e quindi sulla discussione e sul rapporto
tra ambiente-territorio-società.
Viene riproposta Isola Project Milano realizzata da Bert Theis nel 2003, una
documentazione fotografia che mostra gli edifici della zona Garibaldi circondati da
una folta e tropicale vegetazione; Fuori dal Vaso invece propone un laboratorio nel
quale realizzare degli Ecobox giardini istantanei costruito con dei bancali, già
sviluppato a Parigi dall'Atelier d'architecture autogérée, da poter utilizzare per
creare un giardino provvisorio.
212Agli incontri-laboratori interviene Marta Ferreri (Milano, 1983), ricercatrice che si occupa di politiche
dello spazio e di arte contemporanea come possibile azione politica e sociale. Collabora con Isola Art Center
dal 2007.
213Il gruppo è composto da: Federica Annoni, Martina Antonioni, Zeynep Arinc, Valentina Brenna, Alessia
Brizi, Naima Faraò, Jung Kyunghwa, Elena Mantoni, Maria Adele Molica, Pierfabrizio Paradiso, Martina
Pelacchi, Camilla Pin, Claudia Sabbatini, Sara Saini, Daniela Silvestrin, Fernanda Uribe, Davide Zanutta.
214Vi prendono parte: Emanuela Ascari, Atelier d’architecture autogérée, Massimo Bartolini, Stefano
Boccalini, Danilo Borelli, Fuori dal Vaso, out, Pierfabrizio Paradiso, Park Fiction, Public Works, Mirko
Smerdel, Bert Theis.
215“Sassetti Cultura promuove iniziative e opere di giovani artisti sconosciuti, scoprendone talento e
capacità soprattutto nei confronti di un pubblico curioso e assetato di novità. E' questo l'obiettivo
dell'Associazione Sassetti Cultura, all'interno dello storico quartiere "Isola" di Milano, con l'intento di fornire
spunti di riflessione e momenti di confronto sull'eredità culturale del Novecento. Sin da subito è stato
impostato un approccio all'arte e alla cultura basato sulla proposta di mostre collettive basate sulla ricerca e la
sperimentazione artistica” da <www.sassetticultura.it>.
106
III.6
Il progetto di Isola Pepe Verde
Dopo l'abbattimento dell'edificio la Stecca abbiamo visto di come Isola art Center si
sia adattata e sia riuscita a sviluppare la sua programmazione nella modalità di
lavoro del 'museo disperso' inserendosi sempre più nel tessuto urbano; non è stato
così per le altre associazioni e movimenti che si erano sviluppati e che,
nell'allontanamento della possibilità di creare uno spazio autogestito e nella
mancanza fisica dello stesso e di uno spazio verde pubblico da rivendicare hanno
disperso le loro energie. Va sottolineato, infatti, che in conseguenza alla distruzione
del 2007 vennero sottratti agli abitanti, e agli artisti che li utilizzavano come spazio
per la sperimentazione, anche i due giardini presenti nel quartiere, ovvero quello in
via Confalonieri e quello più piccolo in via De Castilla. Così un gruppo di cittadini
dell'Isola insieme al Comitato I Mille, Associazione Genitori Confalonieri e alcuni
attivisti di Isola Art Center, mossi dal desiderio di restituire uno spazio di verde
pubblico agli abitanti si costituiscono nell'Associazione Isola Pepe Verde e
individuano un'area dismessa, di proprietà del Demanio compresa tra via Borsieri e
via Pepe, formata da un parcheggio, un ex-deposito di materiale edile, e un piccolo
prato.
Nel 2010 iniziano così la rivendicazione di questo spazio abbandonato e ritenuto
strategico al fine del progetto proprio perché pienamente inserito nell'area del
quartiere: accanto sono presenti due scuole, la parrocchia e la piazza principale.
Vengono organizzati diversi eventi e azioni per le strade e le piazze del quartiere
nelle quali interviene anche Isola Art Center con progetti specifici realizzati dagli
artisti e dai collettivi come out e Fuori Dal Vaso già sopra citati; viene inoltre
avanzata la richiesta al Comune per inserire il progetto di realizzazione di un
giardino comune con un'osservazione al PGT (Piano di Governo del Territorio):
Siamo un gruppo di abitanti del quartiere Isola, in procinto di formalizzare la costituzione
di una Associazione. […] Da alcuni mesi stiamo riflettendo sulla ipotesi di trasformare
l'area adiacente a Via Pepe, Via Borsieri, cavalcavia Bussa, meglio indicata nelle piante
allegate, in un'area a Parco. […] Il parco in progetto nell'ambito dell'operazione
immobiliare Porta Nuova, sarà vicino ma esterno al quartiere, separato da esso da
numerosi grandi edifici e, soprattutto, disponibile non prima di altri 4 o 5 anni. Noi ci
107
proponiamo anche di seguire la realizzazione e la gestione del nuovo spazio verde, di
promuoverlo nel quartiere e farlo diventare un momento di partecipazione e socialità 216.
L'appello viene allegata una simulazione grafica della possibile configurazione dei
giardini realizzata da out che ricorda la Stecca con i suoi giardini qui però viene
aggiunto un campo sportivo, un'area gioco e l'edificio atto a divenire padiglione per
l'arte contemporanea; la proposta viene respinta dal Comune ma approvata dal
Consiglio di Zona, dove al punto 9 dal titolo Proposta di realizzazione di un'area
verde nel quartiere Isola scrivono:
le Commissioni “Per la Città Sostenibile” e “Per la Città dei Giovani e dei Bambini”,
riunitesi congiuntamente il giorno 11 gennaio 2011, hanno considerato favorevolmente la
richiesta dell’Associazione “Isola Pepe Verde” di trasformare l'area tra Via Pepe e Via
Borsieri, all’altezza del Cavalcavia Bussa (cfr. planimetria allegata), in uno spazio verde
di quartiere.[…] Le Commissioni riunite hanno approvato, a maggioranza, la richiesta di
riqualificare a verde l’area e di coinvolgere i proponenti, i cittadini e il CDZ 9 nella
ricerca della soluzione progettuale più rispondente alle esigenze del quartiere 217.
Isola Pepe Verde, che nel frattempo si è costituita come associazione, inizia a
organizzare feste ed eventi pubblici nello spazio oggetto della rivendicazione che
attirano la visibilità mediatica e danno nuove energie al quartiere; tra questi la
performance collettiva Seed Bombs ideata da Public Works218: bombe di semi per la
nascita di vegetazione 'clandestina', si tratta di 'bombe' verdi fabbricate utilizzando
materiale locale (come semi trovati sul posto) e utilizzate poi per un'azione
simbolica rivolta alla diffusione di un verde spontaneo.Alcuni membri della Giunta
Comunale di dimostrano disponibili al dialogo: l'Assessore all'Urbanistica Ada
Lucia De Cesaris propone un contratto di comodato d'uso per l'area, con il sostegno
dell'Assessore al Demanio Lucia Castellano. Isola Pepe Verde accetta la
convenzione che viene approvata dalla Commissione Ambiente e decentramento del
Consiglio di Zona 9 nel gennaio 2013.
216 Relazione descrittiva: oggetto e contenuti dell'osservazione, Osservazione per GPT, da
<www.isolartcenter.org>.
217 Delibera del CDZ9 e Relazione della Commissione “Per la Città Sostenibile”, seduta consigliare del
27/01/2011.
218 Public Works è un gruppo no-profit con base a Londra che si definisce come “una pratica di arte e
architettura all'interno e attraverso lo spazio pubblico”, il loro obiettivo è la produzione ed estensione dello
spazio pubblico attraverso al collaborazione e la partecipazione. <www.publicworksgroup.net>.
108
III.7 Isola Art Center dal 2012 a oggi
Nell'ottobre 2012 viene inaugurata la mostra Fight-Specific Isola219 in suddivisa
negli spazi di Frigoriferi Milanesi, Libreria Isola Libri e Macao: si tratta della prima
retrospettiva dedicata alla storia di Isola Art Center in chiave analitica di questa
esperienza, dell'esperimento di alleanza tra arte e istanze attiviste configuratosi
come uno spazio d'arte contemporanea, una community-based sviluppatasi in
antagonismo, e la fine di contrastare, le trasformazioni urbanistiche e sociali
imposte
dalla
governance
finanziaria.
La mostra viene articolata su diversi livelli di analisi del percorso di Isola Art
Center: uno di natura documentaria derivato dall'archivio del Politecnico di Milano
di Daniele Vitale affiancato dalle foto aeree realizzate da Stefano Topuntoli che
mostrano l'evoluzione dell'assetto urbanistico della città a partire dagli anni
Settanta; la parte legata all'attività e alla produzione artistica è simboleggiata da una
serie di opere realizzate all'interno del quartiere e per il quartiere, mentre nell'ultima
parte si evidenziano la nascita e gli sviluppi di Isola Pepe Verde, nata come
esperienza
di
progettazione
di
uno
spazio
verde
comunitario.
Con quest'ultima continua una stretta collaborazione: nel 2013 viene presentata
Occupare Orizzonti/Occupying Horizons, un'esposizione a cura di Camilla Pin e
Bert Theis, una festa dedicata alla riconquista dello spazio verde da parte di Isola
Pepe Verde nella quale Isola Art Center interviene con una serie di opere fightspecific: Jacopo Rinaldi riflette sui concetti di spazio pubblico e privato attraverso
le luci dei nuovi grattacieli dell'orizzonte milanese mentre Chiara Balsamo
immagine le sorti urbane della stessa città partendo dal plastico del progetto Porta
Nuova elaborato da Hines; segue un'esposizione fotografica che sottolinea e mostra
la trasformazione in atto nel quartiere realizzata dagli artisti Emil Andersson,
219 Vi partecipano: AAA (Atelier d’Architecture Autogérée), Paola Di Bello, Stefano Boccalini, Dafne
Boggeri, Danilo Borelli, Emanuele Braga, Antonio Brizioli, Daria Carmi, Angelo Castucci, Loris Cecchini,
Marco Colombaioni, Gabriele Di Matteo, Grupo Etcetera, Giuseppe Fanizza e Andrea Kunkl, Maddalena
Fragnito, Elena Mantoni e Naima Faraò, David Michel Fayek, Kings, Fuori Dal Vaso, Valentina Maggi, outOffice for Urban Transformation, Luca Pancrazzi, Maria Papadimitriou, Park Fiction, Pierfabrizio Paradiso,
Camilla Pin, Edith Poirier, Rha Ze, Andrea Sala, Mariette Schiltz, Marco Scotini, Mirko Smerdel, Bert Theis,
Stefano Topuntoli, Elvira Vannini, Daniele Vitale, Fani Zguro.
109
Stefano Serretta, Marco Ornella, Daniele Rossi, Camilla Topuntoli, Leah
Messersmith.
Negli ultimi anni il lavoro di Isola Art Center diventa sempre più internazionale,
supera i confini del quartiere e nazionali facendo conoscere la sua pratica istituente
diffusa e 'no-budget' all'estero, al fine di proporsi come un possibile di metodo di
codificazione di un'arte fight-specific adattabile ad altri contesti di mobilitazioni
urbane locali; 1:1 Stopover220 è un laboratorio-mostra che ha luogo al Museum of
Contemporary Art Metelkova (+MSUM) di Ljubljana, all'interno del quale vengono
ripercorsi i 13 anni del lavoro di Isola Art Center attraverso la presentazione della
pubblicazione “Fight-Specific Isola” e altri lavori prodotti collettivamente dal
gruppo negli anni; segue Ongoing Fight-Specific Isola221 nel gennaio 2014 ospitato
da S.a.L.E. (Signs And Lyrics Emporium) Docks222 di Venezia, uno spazio
indipendente dedicato alle arti visive nato nel 2007 occupando I Magazzini del Sale,
spazio in disuso nel cuore dell'isola. Condividono, infatti, con Isola Art Center,
l'idea di « una ricerca artistica che si fa risposta concreta alla costante pressione
esercitata dalle politiche neoliberiste e dai fenomeni di gentrificazione, dall’altro
vuole essere un momento di riflessione e di confronto tra due realtà territorialmente
differenti che
riescono a
esprimere
un modus
operandi comune»223.
Nel giugno 2014 ha luogo The Indipendent presso il museo MAXXI di Roma, un
progetto dedicato alla promozione e presentazione di quei gruppi indipendenti di
220 Mostra curata da Bert Theis e Camilla Pin. Vi partecipano: Antonio Brizioli, Tania Bruguera, Angelo
Castucci, Edna Gee, Grupo Etcetera, Maddalena Fragnito, out-Office for Urban Transformation, Maria
Papadimitriou, Dan Perjovschi, Steve Piccolo, Camilla Pin, Edith Poirier, Christoph Schäfer, Mariette
Schiltz, Sašo Sedlaček, Bert Theis, Camilla Topuntoli, Nikola Uzunovski, Daniele Rossi, Wei-Ning Yang.
221A cura di Valeria Mancinelli e Camilla Pin. Vi prendono parte: Emanuel Balbinot, Dafne Boggeri,
Emanuele Braga, Antonio Brizioli, Tania Bruguera, Angelo Castucci, Walter Donaldson, Naima Faraò,
Giuseppe Fanizza, Maddalena Fragnito, Igor Francia, Fuori Dal Vaso, Edna Gee, Isola Art's Club Band,
KINGS, Andrea Kunkl, Valeria Muledda, Denis C. Novello, Walter Novello, Vincenzo Onida, out, Maria
Papadimitriou, Dan Perjovschi, Steve Piccolo, Edith Poirier, Rhaze, Daniele Rossi, Gak Sato, Christoph
Schäfer, Mariette Schiltz, Mirko Smerdel, Bert Theis, Camilla Topuntoli, Stefano Topuntoli, Flora Vannini,
Daniele Vitale, Wei-Ning Yang
222«Ci siamo riappropriati di uno spazio (i Magazzini del Sale) da tempo in disuso nel cuore di Venezia. Lo
abbiamo fatto perché vogliamo rovesciare quei processi che privatizzano il bene comune artistico e lo
abbiamo fatto partendo da alcune domande. Perché a grandi capitali investiti nella cultura corrisponde una
precarietà endemica? Perché ad una radicalità sempre più spesso rappresentata non consegue alcuna
trasformazione reale? Perché arte, finanza e rendita immobiliare sono così fortemente intrecciate? Il S.a.L.E.
è un laboratorio aperto di produzione culturale e inchiesta. Il S.a.L.E. è fatto da lavoratori dell’arte e dello
spettacolo, da artisti e studenti. Il nostro programma (mostre, laboratori, spettacoli,pubblicazioni, seminari,
occupazioni e azioni dirette) è in continua evoluzione.». Dalla pagina <www.saledocks.org>.
223Dal comunicato stampa della mostra Ongoing Fight-Specific Isola consultabile integralmente su
<www.isolartcenter.org>.
110
sperimentazione contemporanea distribuiti sul territorio nazionale e internazionale,
ideato da Hou Hanru, Giulia Ferracci e Elena Motisi. In questa prima tappa viene
ospitato il lavoro CURA224, un progetto curatoriale con base a Roma, Dreams That
Money Can’t Buy, e una panoramica dei lavori di Isola Art Center su una grande
parete nella hall del museo, che vedono le fotografia di Paola Di Bello che presenta
lo spazio di Isola Pepe Verde, le serigrafie Lab Fight-Specific Isola e i video Isola,
Lab Fight-Specific Isola e Slideshow Isola, che raccontano le fasi della 'lottaspecifica' e i cambiamenti urbanistici del quartiere tra il 1986 e il 2011.
Nell'estate prende vita Isola Utopia (Frammenti e momenti per nuove utopie
Mostre, voli, presentazioni, dibattiti, performance e musica), un progetto presentato
da Isola Art Center con la collaborazione di Creative Olive, a San Mauro Cilento
(Salerno): una mostra itinerante sviluppato in una serie di laboratori, incontri,
mostre, che gioca sul termine di utopia, dal greco “ou-topos” vale a dire 'in nessun
luogo' , con un richiamo al contesto particolare in cui opera Isola Art Center (del
museo diffuso, itinerante), Gerald Raunig scrive per l'occasione:
Allo stesso tempo, l'utopia come tempo ora ci suggerisce di pensare al non asservimento
in una concezione nuova e meccanica. Non asservimento meccanico, non compiacenza.
Una mostruosità selvaggia contraria all'asservimento, che non emerge in forma di rottura
eroica con un tempo pieno, provvista di caratteristiche limitate e una forma bella, ma
piuttosto come una perdurante, ripetuta e ricorrente breccia nella sovrabbondanza del
tempo misurabile e incommensurabile. Questa è la questione della disobbedienza nel
capitalismo meccanico225.
Segue la presentazione dello stesso progetto al Survival Kit International
Contemporary Art Festival di Riga, accompagnata dal dibattito Urban Utopia: Art
and Culture as a Tool for Exploring and Researching a City a cui partecipa Bert
Theis, e infine al Palazzo della Secessione di Vienna con il titolo Utopian Pulse224«CURA. Fondato nel 2009 da Ilaria Marotta e Andrea Baccin, CURA. è una piattaforma mobile e
propulsiva, dedicata allo scambio e al dialogo tra voci critiche, attività di produzione artistica contemporanea
e alla collaborazione con realtà istituzionali e indipendenti. Le sezioni dedicate agli approcci curatoriali e
all’esplorazione delle pratiche artistiche, sono le sfaccettature di un unico e organico progetto di ricerca,
condotto attraverso le pagine della rivista e sviluppato anche in altri contesti. Le attività curatoriali
caratterizzate dal nomadismo dei progetti e alternate alle mostre nel basement di cura., si presentano come lo
sviluppo concreto dei contenuti elaborati in campo editoriale nonché di una visione più ampia, che si avvale
di una pluralità di supporti».
225RAUNIG G., Utopia is now/L'utpia è ora, 2014. Testo scritto per Isola Utopia. Consultabile
integralmente su <www.isolartcenter.org>.
111
Flares
in
the
Darkroom.
L' ultima mostra che ha visto nel 2014 Isola Art Center protagonista è LOS
TRABAJADORES DE LA LUNA / I Lavoratori della Luna 226 tenutasi al MAC,
Museo de Arte Contemporaneo Facultad de Artes di Santiago del Cile: un progetto
internazionale a cura del Grupo Etcetera che ha coinvolto una trentina di artisti
provenienti da dieci paesi, incentrata sui processi contemporanei messi in atto oggi
per quanto riguarda l'appropriazione e lo sfruttamento delle risorse naturali in
relazione ai cambiamenti politici e culturali all'interno della nuova economia
globale.
226Il titolo fa riferimento ai protagonisti delle onde migratorie che si sono verificati nel nord del Cile alla
fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo.
112
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Murale in via De Castilla, 1976
Murale in via De Castilla, 1976
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Interno dell'ex-fabbrica, 1984
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Locandina-invito per l'inaugurazione Brown Boveri, 18-19
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Francesco Gabelli, 'Altare', 1985
Cosimo Barna, 'Vibrazioni oltre lo spazio', 1985
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Stefano Boccalini, Sleepy Island, 2001
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Out ( Office for Urban Transformation)
Proposta di Out per il quartiere Isola
Proposta per la Stecca degli Artigiani, Out
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Le mille e una notte, 2003
Le Mille e una notte, mappa delle opere
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'Isola' sul tetto della Stecca degli Artigiani
DE-ABC, 'L'Acchiapparumori', 2003
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L'Arte per l'Isola, 2004
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Arte per l'Isola, 2004
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Isola Art Center, 2005
Art-chitecture of change
Logo di Isola art Center
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The People's Choice/ La scelta della Gente, 2006
Oliver Ressler, 'Economie alternative, società alternative', 2006
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Maria Papadimitriou, 'Hotel Isola'
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L'abbattimento della Stecca degli Artigiani, 2007
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Isola Rosta Project 2007
Marco Vaglieri, Isola Rosta Project, 2007
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King, 'Permanent Green', 2008
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Marco Vaglieri, 'Permanent Green', 2008
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Osservetorio inOpera, 'Permanent Green', 2008
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Peter Kogler, 'Permanent Green', 2008
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Horror Vacui, Occupare il presente, 2010
Locandina di Horror Vacui, Occupare il Presente di Lorenzo Tamai e Maria
Pecchioli.
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Mirko Smerdel, 'I vostri grattacieli', 2010
146
Maria Pecchioli, 'Milanodaricordare', 2010
147
Maddalena Fragnito, 'SGentrification', disegno su carta, 2011
148
Maddalena Fragnito, 'SGentrification', 2011
149
Maddalena Fragnito, 'Sgentrification', disegno su carta, 2011
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Occupare orizzonti, 2013
Occupare Orizzonti, Nikola Uzunovski con Isola Art Center per Apriti Isola Pepe
Verde, 2013
Edna Gee, 'Unclaimed Grass', 2013
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Isola Art Center, 2014
Foto e opere per gentile concessione di Isola Art Center.
152
Ringraziamenti
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello
che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando
insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a
molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non
vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e
apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in
mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino, Le città invisibili.
153
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