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Diapositiva 1 - Città Metropolitana di Catania

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Diapositiva 1 - Città Metropolitana di Catania
Luigi Sturzo
Fede, società, politica, economia
Storie interrotte Classe V A
Prof. Maria Laura Inzirillo
Indice
La formazione
L’Opera dei Congressi
L’Opera dei Congressi in Sicilia
Il movimento cattolico si riorganizza
Una progressiva maturazione
Il programma del PPI
L’ostracismo
La formazione
Una lettura fondamentale
La svolta
Il soggiorno romano
L’insegnamento al seminario
La formazione del prete
La guida del movimento cattolico-sociale
L’Opera dei Congressi
Le iniziative sociali
Contro il paternalismo
La Democrazia cristiana
La Diffusione della Democrazia cristiana
L’Opera dei Congressi in Sicilia
L’alternativa al socialismo
L’Attività assistenziale
Le Unioni professionali
L’artigianato in Sicilia
Una difficile esperienza
Il settore primario
Dai comitati operai alla cooperazione bancaria
Lezioni di Politica sociale
La politica meridionalista
Lo scioglimento dell’Opera
Il movimento cattolico si riorganizza
La teoria giolittiana delle due parallele
L’unione fa la forza
Le lotte municipali
Sturzo politico
Il caso per caso
Una progressiva maturazione
L’antefatto
Il pericolo della scristianizzazione
L’attenzione al sociale
Verso l’autonomia della politica
Oltre l’intransigentismo
Il discorso di Caltagirone
In attesa di tempi migliori
L’organizzazione politico-elettorale
Il Congresso di Modena
La bufera antimodernista
Il progetto si realizza
Il programma del PPI
Il governo Nitti
L’ultimo Giolitti
Giolitti e Sturzo a confronto
Sulla politica economica del primo dopoguerra
L’azionariato operaio
La fine dello stato liberale
Il Congresso di Torino
La concezione dello Stato
L’ostracismo
Le dimissioni e l’esilio
Oltreoceano
In Florida
Un dialogo tra sordi
L’attività giornalistica
La pace giusta
Contrattempi
Il tramonto dell’era sturziana
Toniolo
Gerbino
Murri
Fasci siciliani
Rerum Novarum
Indagine Scotton
Blandini
Sillabo
Gabellotto
Murri
Modernismo
Formazione
Le ragioni che fanno maturare in Luigi Sturzo (1871-1959) la scelta di
indossare l’abito talare (1894) sono dettate dall’ambiente familiare dove
diversi erano i religiosi e le religiose. Decisiva poi l’ordinazione sacerdotale
del fratello maggiore Mario.
In quegli anni a Noto è forte l’influsso
Frequenta il ginnasio prima al
della poetica di Mario Rapisardi
seminario di Acireale (1883 incentrata sul tema del riscatto delle
1886), poi in quello di Noto (1886
plebi rurali a cui attingono per la
-1888), dove il clima più mite
letteratura Verga, Capuana, De
meglio si adatta alla sua
Roberto e per la politica De Felice
cagionevole salute.
Giuffrida.
… ecco il grido
Anche il giovane Sturzo scrive poesie e alcune di
di plebe oppressa,
ispirazione rapisardiana.
misera
Sempre a Noto stringe un rapporto di sincera e
sonar di lido in
duratura amicizia con il vescovo Giovanni Blandini.
lido.
Nel 1888 si trasferisce al seminario di Caltagirone, cui
ha dato una nuova impronta il vescovo Gerbino, dove
consegue la licenza liceale e studia poi teologia.
Una lettura fondamentale
Costretto in casa per tre giorni da un lutto in famiglia, scopre per
caso nella biblioteca dello zio Taranto un vecchio manuale dell’Opera
dei Congressi.
La lettura gli apre nuovi orizzonti sulle problematiche sociali e
metodologie che il movimento cattolico propone di adottare e,
quindi, sulla possibilità di rendere attivi come nel Nord i pochi e
inoperosi comitati diocesani e parrocchiali istituiti in Sicilia per
iniziativa dell’Opera, nonché le società operaie e le casse rurali.
La posizione “intransigente” assunta dall’Opera viene accolta da
Sturzo positivamente come unica condizione per organizzare le
plebi rurali e contadine. Tuttavia non sposa appieno le tesi del
neoguelfismo sul tema dei diritti politici del Papa, fermamente
convinto del valore del Risorgimento, anche se era stato realizzato
un sistema politico unitario ancora da migliorare.
La svolta…
Gli interessi del giovane seminarista sono essenzialmente rivolti alla poesia
e alla filosofia.
Ma di lì a pochi anni la passione per la Sociologia, senz’altro sollecitata
dall’enciclica Rerum Novarum, e l’adesione all’Azione Cattolica, danno una
svolta significativa e durevole alla vita di Sturzo nel frattempo ordinato
sacerdote e trasferitosi a Roma per specializzarsi in Teologia presso la
Pontificia Università Gregoriana (1898).
“Fu a Roma che in mezzo ai miei studi fui realmente attirato verso le
attività sociali cattoliche […]. Ciò che mi impressionò di più fu la
scoperta di miserie ignote nel quartiere operaio (dove si trovava
l’antico ghetto), che io percorsi tutto, il sabato santo del 1895 per
benedire le case. Per più giorni mi sentii ammalato e incapace di
prendere cibo. Tosto mi procurai della letteratura sociale, cercai di
sapere quel che facevano socialisti e umanitari, di bene informarmi
di leghe e cooperative. […] La commemorazione del quarto
anniversario della Rerum Novarum fatta dall’Artistico-operaia di
Roma mi trovò presente fra i più entusiasti”.
Il soggiorno romano
Il soggiorno a Roma contribuisce a far maturare in Sturzo una
concezione nuova della missione sacerdotale del tutto inedita nel Sud.
Sogna un prete attivo, inserito nell’ambiente, ma intransigente.
Allo studio della Teologia egli unisce quello dei problemi sociali che
lo avvicinano alla vita concreta e alla storia. La Teologia e la
Sociologia sono fondamentali per un prete che non deve svolgere la
sua attività solo tra la sacrestia e l’altare, né ridursi a politicante
“maneggione” o intellettuale da salotto, come apprendiamo da una
lettera che indirizza all’amico Luigi Caruso nel 1895: “Caro, io sono
qui, felice, per studiare teologia e sociologia: quella per elevarmi a
Dio e alle cose divine, questa per prepararmi a svolgere proficua
missione a pro del popolo […]”.
È a Roma, inoltre, che incontra i maggiori esponenti del movimento
cattolico nazionale in particolare il prof. Giuseppe Toniolo e don
Romolo Murri.
L’insegnamento al seminario
Una delle preoccupazioni principali di Sturzo è la formazione culturale e
morale del clero. Essere insegnante nel seminario di Caltagirone gli offre
importanti opportunità per influire sulla preparazione dei nuovi sacerdoti.
La cultura che intende trasmettere ai suoi alunni non è libresca e
astratta, ma aderente all’ambiente in cui essi devono svolgere il loro
ministero, orientata all’azione sociale e ispirata alla dottrina cattolica.
Per evitare che gli studenti e i lavoratori si allontanino dalla chiesa
attirati dal laicismo massonico e dai miraggi socialisti, Sturzo sostiene
che il prete deve scendere dal pulpito e andare per le strade e per i
circoli. Ma è un ideale che cozza con la situazione reale del clero
meridionale reso servile verso il potere dal regalismo borbonico e spinto
alla “lotta per la sopravvivenza” fatta di mille espedienti, dalla politica
ecclesiastica dei governi liberali post-unitari.
Un clero per la maggior parte di umili origini, legato ai circoli
borghesi, ai notabili del paese, ai municipi (in mano ai liberali e
ai massoni) dai quali spera, in cambio dell’appoggio elettorale,
protezione per ottenere benefici ecclesiastici.
La formazione del prete
Per operare una profonda riforma di costume e di mentalità bisogna
cominciare, dunque, dai preti che tra l’altro hanno il maggiore
ascendente sulle masse. L’importanza della cultura moderna e dello
studio dei problemi sociali nella formazione dei nuovi sacerdoti è messa
in rilievo, e in questo sente l’influenza delle Lettere sulla cultura del
clero pubblicate da Romolo Murri, in alcuni articoli e discorsi del 1902
dove tra l’altro afferma che i seminaristi devono mettersi in contatto
con la vita concreta della gente anche con la lettura dei giornali.
La novità portata da Sturzo in Sicilia non è tanto di far impegnare il
prete in politica o nelle lotte amministrative, cosa abbastanza comune
ai suoi tempi, ma di liberare il clero dal servilismo nei confronti dei
partiti paesani retti dai notabili locali e, quindi, farlo impegnare in una
lotta politica di moralizzazione della vita pubblica.
Sotto i Borbone il clero siciliano sedeva in Parlamento e
costituiva una forza politica autonoma, per cui non meraviglia
se alcuni preti partecipano alla politica per il gusto della lotta
al potere.
La guida del movimento cattolicosociale
Ritiene che il ruolo del leader del movimento cattolico-sociale non può
essere affidato ai laici, ancora pochi e non all’altezza (anche per la
politica repressiva di Crispi e di Rudinì).
Pur consapevole delle conseguenze che possono derivare in campo
religioso dal socialismo, si distanzia dall’antisocialismo conservatore
e reazionario dei cattolici che vogliono conservare i loro privilegi
sociali mantenendo intatta una struttura economica di tipo feudale.
Il suo intento è di inserire il prete in un contesto sociale con una
struttura economica moderna il cui perno devono essere le piccole
classi medie di contadini e artigiani. Questi con le tradizioni
religiose tipiche del mondo rurale impediscono gli effetti
dirompenti della proletarizzazione. Egli, insomma, vuole un prete
aggiornato culturalmente, ubbidiente al Papa, di stampo
intransigente, ma impegnato socialmente.
L’Opera dei Congressi
Nel 1866 ad opera di Giovanni Acquaderni e di Mario Fari sorge
la Società della Gioventù Cattolica che tra gli altri scopi si
ripromette: la raccolta dell’obolo del papa, la diffusione della
buona stampa e la formazione di giovani cattolici assolutamente
devoti alla Santa Sede.
Nel 1874 la Società d’accordo con il veneziano G. B. Paganuzzi,
promuove un primo congresso cattolico a Venezia.
L’anno successivo nasce l’Opera dei Congressi e dei Comitati
Cattolici.
I cattolici riuniti nell’Opera, che fanno proprio il dettato del
Sillabo, prendono il nome di “intransigenti”, perché appunto
rifiutano ogni accordo con lo stato liberale e la sua classe
dirigente, colpevole ai loro occhi di avere usurpato i beni e il
dominio della Chiesa.
Le iniziative sociali
In un primo momento i cattolici in seno all’Opera si preoccupano di
organizzare comitati parrocchiali per la difesa dell’istruzione
religiosa, per la promozione di pellegrinaggi alla sede del papato,
per la diffusione di congregazioni mariane, ecc.
Fondamentale a proposito l’opera dei prelati Giovanni Bosco,
Antonio Farina e Giacomo Cusmano che adottando lo strumento
delle costituzioni salesiane, realizzano istituzioni e scuole
educative popolari non solo di arti e mestieri ma anche umanistiche
che rendono possibile, in epoca di gravi crisi sociale, una
formazione culturale cristianamente ispirata.
Contro il paternalismo
Dinanzi alle numerose problematiche sociali ed economiche sorte
all’indomani dell’unificazione i cattolici intransigenti iniziano a
sostenere iniziative di carattere popolare contro la politica
conservatrice delle classi dirigenti liberali.
Avversi al principio delle lotta di classe e al socialismo scientifico
preferiscono agire concretamente nel campo dell’organizzazione
sociale, delle società di mutuo soccorso, delle cooperative e casse
rurali.
Sostenitori di un movimento sociale che parta dalla parrocchia
vogliono proteggere moralmente e materialmente il mondo
contadino che la legge del liberismo ha abbandonato a se stesso.
Ma queste formule appaiono ben presto inefficaci e senza presa
presso gli operai delle fabbriche dove la diffusione del socialismo
sta dando una diversa e più dinamica coscienza dei propri diritti.
Democrazia Cristiana
All’interno del movimento cattolico negli ultimi anni dell’Ottocento si
sviluppa e afferma un movimento che assume il nome di Democrazia
Cristiana.
È un movimento guidato da giovani cattolici che non hanno vissuto il
travaglio della questione romana, che sentono l’esigenza di operare nelle
società civile portandovi il proprio contributo di idee, che mirano ad un
rinnovamento sociale ed organico delle strutture dello stato liberale.
Il programma del 15 maggio 1899 prevede:
la libertà sindacale, l’introduzione del proporzionale nelle elezioni, il
referendum e il diritto di iniziativa popolare, un largo decentramento
amministrativo, una efficace legislazione sociale, la riforma tributaria
basata sulla giustizia, la lotta contro le speculazioni capitalistiche, la
tutela del diritto di stampa, di associazione, di riunione, l’allargamento
del suffragio elettorale, il disarmo generale.
Alla testa del movimento vi è un giovane prete marchigiano, Romolo
Murri, che per lungo tempo ne rappresenta l’anima.
Diffusione della Democrazia Cristiana
Il movimento dilaga in tutta Italia: circoli democratici cristiani
sorgono ovunque, molto più al Nord che al Sud. In Sicilia è attivo
ad opera di Luigi Sturzo.
Tuttavia incontra l’opposizione dei vecchi esponenti dell’Opera
dei Congressi, legati ancora a una mentalità conservatrice e al
ricordo della vecchia battaglia dell’intransigentismo postunitario.
La crisi si acuisce con l’avvento al soglio pontificio di Pio X.
Mentre il suo predecessore Leone XIII aveva invitato i cattolici
ad uscire “fuori di sacrestia”, a portare in seno alla società civile
il contributo delle loro opere e delle loro idee e aveva loro aperto
la strada all’impegno sociale, Pio X, invece, vuole un laicato
obbediente e sottomesso all’autorità diocesana.
L’Opera dei Congressi in Sicilia
Nell’aprile del 1891, sotto l’impulso di papa Leone XIII, si tiene la prima
conferenza episcopale della Sicilia dove si raccomanda di istituire
associazioni cattoliche.
Il presidente dell’Opera, il veneziano G.B. Paganuzzi, conscio della
diffidenza dell’episcopato siciliano verso le iniziative laicali incarica
mons. Gottardo Scotton di promuovere la diffusione dell’Opera e dei
comitati parrocchiali visitando uno per uno vescovi e diocesi dell’isola.
Il resoconto di Scotton è scoraggiante.
Soltanto a Noto e ad Agrigento trova un ambiente favorevole e fertile
all’iniziativa. Non a caso qui operano i due vescovi più dinamici e leoniani
dell’isola: i fratelli Blandini.
L’alternativa al socialismo
Il moto dei Fasci siciliani (1891-94) scuote la coscienza
di molti membri dell’intorpidita Chiesa siciliana, spinge i
componenti più sensibili all’impegno sociale e accelera il
processo di trasformazione della mentalità del clero e
della funzione della parrocchia in Sicilia.
Una evoluzione che a livello di coscienza inizia con la
Rerum Novarum di Leone XIII ma che si concretizza con
l’intervento della Chiesa nella società dopo l’esplosione
dei Fasci.
Le pie unioni e le confraternite, risultate inefficaci, sono
sostituite dalle associazioni cattoliche laicali, dalle
società operaie e dalle casse rurali.
L’attività assistenziale
Negli anni tra il 1894 e il 1896, dopo l’esperienza dei Fasci siciliani
e dopo la parentesi romana, Sturzo mette in moto la macchina
dell’assistenza sociale promossa dall’enciclica di Leone XIII.
La trasformazione è da condurre all’interno della stessa Opera dei
Congressi rispettando tutte le gerarchie ecclesiastiche e non con la
costituzione di movimenti esterni come aveva proposto Murri.
ll primo passo viene fatto proprio a Caltagirone.
Sturzo qui istituisce una rete di comitati di giovani e operai
all’interno delle parrocchie.
Nel 1896 in un discorso per l’anniversario della fondazione della
Sezione Operai di S. Giuseppe, dimostrando di avere già chiari gli
obiettivi e gli strumenti da adottare, così si pronuncia : “[…] solo
l’onestà dei cattolici, che chiamano il popolo in associazioni di mutuo
soccorso, in cooperative di consumo, in monti frumentari, può
risolvere la crisi sociale”.
Le unioni professionali
Sturzo fa tesoro dell’esperienza delle unioni professionali del
settentrione, ma lo sforzo di adattamento alla fisionomia
dell’economia isolana è notevole.
Le unioni dell’Italia settentrionale operano in una società dove la
realtà predominante è rappresentata dalle grandi industrie e dal
bracciantato della campagne della Val Padana.
Tutto il contrario del meridione caratterizzato dalla quasi totale
assenza di grandi fabbriche e dove le industrie principali, spesso
realtà isolate, sono: pastifici, mulini a vapore, fabbriche di turaccioli,
ecc.
Ritratto che contrasta nettamente con il panorama del Nord e con il
suo capitalismo industriale in pieno sviluppo.
L’artigianato in Sicilia
Al Sud la figura predominante del datore di lavoro è costituita
dall’artigiano: il capo-bottega o capo-mastro che “dispone di qualche
piccolo capitale e assolda a giornata o a cottimo tre, quattro o più
lavoranti (in certi mestieri si fa aiutare dalla moglie o dai figli)”.
L’artigiano lavora “o a ordinazione o ad appalto o per fornire un
piccolo magazzino di manifatturati, che vende a richiesta o per le
borgate vicine, nei giorni di festa o mercato, nelle fiere”.
Per lo più si tratta di lavoro a mano: poche le macchine in uso e queste
molto primitive. Quasi ovunque le condizioni sono precarie a causa
della forte concorrenza delle grandi fabbriche estere o nazionali,
della scarsa disponibilità di capitali, della spietata concorrenza che si
fanno fra loro gli artigiani, pur di non perdere la clientela, e
dell’indebitamento.
I giovani costretti a cambiare spesso occupazione non apprendono
alcuna conoscenza di carattere professionale.
Una difficile esperienza
L’unica soluzione è la creazione di cooperative di credito e di
lavoro.
Ma l’artigiano ha una mentalità restia a riunirsi in corporazioni
ed in più è diffidente verso un clero fino ad allora indifferente
ai suoi stenti.
Anche coloro che sono disposti a riunirsi in cooperative esitano
perché temono di perdere la clientela a favore dei refrattari.
Compreso che la chiave del problema non è da ricercare solo
nella naturale diffidenza dell’artigiano locale ma che bisogna
prendere atto della morsa mortale esercitata dall’industrialismo
settentrionale, Sturzo propone intanto di creare magazzini
sociali per l’acquisto delle materie prime.
Il settore primario
Il divario nord-sud è presente anche nella fisionomia del settore
primario.
Nel meridione non esiste, infatti, un vero e proprio proletariato agricolo.
Diffusissima è invece la figura del contadino, che svolge lavoro salariato,
ma conserva la povera casa e mantiene l’orto.
Inesistente è il fittavolo capitalista, al suo posto il gabellotto fa da
intermediario tra la proprietà e il contadino.
L’azione che Sturzo decide di mettere in moto si articola su
più punti e prevede innanzitutto:
- L’istituzione di un’Unione degli agricoltori per impedire la
concorrenza spietata.
- L’istituzione di cooperative di lavoro fra agricoltori per
eliminare la figura dello speculatore.
- Una riforma dei patti colonici.
- La razionalizzazione delle colture.
Dai comitati operai alla
cooperazione bancaria
Alla Sezione Operai fondata nel 1896 si affianca l’anno successivo
la Sezione Agricola con la Cassa di mutuo soccorso e la Cassa
rurale.
Sturzo vuole uno statuto rigido in modo da impedire eventuali
operazioni finanziarie estranee alle finalità della cassa. Condizione
essenziale per i soci è l’iscrizione al comitato parrocchiale.
La ragione è da ricercare nella volontà di esercitare un rigido
controllo dell’operato dei soci per evitare speculazioni.
Nel 1898 Sturzo istituisce la Federazione delle casse rurali della
diocesi di Caltagirone e progetta una banca centrale, sempre di
carattere confessionale.
In dieci anni lo sviluppo delle casse rurali cattoliche è prodigioso:
nel 1905 la Sicilia è al quinto posto in Italia.
Lezioni di economica sociale
Il fondamento ideologico alla base dell’opera economica di Sturzo è
sintetizzabile nelle lezioni tenute nel 1899 a Milano e un anno dopo a
Caltagirone. Inquadra da un punto di vista storico ed economico-sociale
realtà quali:
- la piccola proprietà contadina autonoma, elemento fondamentale di
ordine, produttività, tradizione attorno a cui ruota tutta la vita
domestica;
- la media proprietà, cellula primaria dello sviluppo che, basandosi su un
rapporto diretto tra il proprietario e il bracciante, non risente
dell’assenteismo che affligge il latifondo.
Assume posizione contro il mercato capitalistico e concorrenziale e
l’industrialismo operaio del Nord che disgrega la società.
Il sistema salariale deve essere sostituito da un sistema
retributivo misto. La partecipazione dell’operaio ai mezzi di
produzione, trasforma così la figura del proletario in quella di
operaio-proprietario. Un gran numero di “operai-proprietari” è
l’elemento che dà meno “spostati” e meno “anarchici” alla società e
ponendo progressivamente sullo stesso piano operaio e
imprenditore risolve il conflitto di classe.
La politica meridionalista
Piccola proprietà, famiglia, autonomia economica, comune,
stato: sono la base della sua politica municipale o della sua
municipalizzazione sociale. Opera una rivoluzione della
finanza locale: comune, profitti, spese.
Non è sensibile alla rivoluzione industriale, al contrario di
Toniolo e pone la sua prospettiva nel mondo meridonale e
rurale auspicando un collegamento tra piccola proprietà
agricola e artigianato. Gli elementi concreti del
meridionalismo sturziano che ha il suo punto di forza nel
programma regionalista sono: Autonomie locali, casse rurali,
cooperative, leghe contadine per la lotta contro i gabellotti
e la riforma dei patti agrari.
Scioglimento dell’Opera
Quando le giovani forze democratiche sembrano avere il
sopravvento sugli intransigenti in seno all’Opera dei
Congressi e trovano, al congresso di Bologna del 1903, un
alleato nello stesso presidente Giovanni Grosoli, il papa
ritiene opportuno sciogliere quello che per trenta anni è
stato l’organismo guida di cattolici militanti.
L’organizzazione cattolica viene ristrutturata in Unioni.
Gli esponenti del movimento democratico cristiano
prendono diverse vie.
Sturzo attende tempi migliori…
Il movimento cattolico si riorganizza
Nel 1905 con l’enciclica Fermo proposito Pio X procede alla
riorganizzazione del movimento cattolico.
Vengono costituiti tre diversi raggruppamenti organizzativi:
- l’unione popolare tra i cattolici d’Italia, con compiti di indirizzo
culturale;
- l’unione economico-sociale, che proseguendo il precedente impegno
svolto nell’opera dei congressi, funge da coordinamento delle attività
sociali;
- l’unione elettorale cattolica, per organizzare l’intervento dei
cattolici nelle elezioni.
Si dà così vita, con il coordinamento delle diverse
direzioni diocesane, direttamente sotto la guida del
vescovo locale, ad una più incisiva e controllabile, da parte
della gerarchia e del Papa, azione cattolica, come appunto
sempre più comunemente venne definita.
.
La teoria giolittiana delle due parallele
Contemporaneamente alla crisi dell’Opera dei Congressi si modificano anche
i rapporti fra Chiesa e Stato.
Pio X è preoccupato per gli eventi francesi: dopo le elezioni del 1902 la
maggioranza al governo con l’appoggio dei socialisti dà vita ad un’offensiva
anticattolica e teme che la stessa cosa possa verificarsi anche in Italia.
Pertanto quando il Presidente del Consiglio francese Luobet viene in visita
in Italia il pontefice lo condanna pesantemente, facendo il primo passo
verso la rottura delle relazioni diplomatiche fra la Santa Sede e la Francia.
Giolitti considera la protesta del Papa una intromissione negli
affari dello Stato e formula la nota teoria delle due parallele.
Chiesa e Stato sono come due parallele che non si devono
incontrare mai: “Libertà per tutti entro i limiti della legge:
questo è il programma”. Ma dichiara anche che lo Stato non
avrebbe mai interferito con le questioni religiose, lasciando al
popolo la più completa libertà sul piano dei culti.
L’unione “fa la forza”.
I cattolici ricorrono per la prima volta all’arma dello sciopero
nel triennio 1901-1903 in occasione della revisione dei patti
agrari che riguarda rispettivamente Palazzo Adriano, il feudo
Stato di Palagonia e Caltagirone. Ma solo per quest’ultima l’esito
è positivo. Dopo due settimane di sciopero nel 1903 si giunge
alla firma del nuovo contratto che prevede condizioni più
vantaggiose per i contadini, i quali per la prima volta fanno
fronte comune mettendo da parte l’atavica diffidenza nei
confronti di forme organizzate di lotta.
Lotte municipali
Le lotte contadine sono legate con quelle per l’autonomia e la
gestione democratica dei comuni.
A Caltagirone due sono i partiti più in vista: uno di orientamento
moderato detto liberal-costituzionale che porta avanti le istanze
dei grandi proprietari terrieri; l’altro di orientamento radicalpopolare.
In realtà le differenze sostanziali tra i due schieramenti sono
esigue ed entrambi adottano sistemi clientelari.
Nel 1899 i comitati parrocchiali e le opere cattoliche
propongono Sturzo come loro candidato a sindaco.
Sturzo però non si presenta con una lista propria poiché i
comitati parrocchiali da soli non avrebbero la forza di
sostenerlo.
Così con una certa abilità inserisce suoi candidati nelle
liste già esistenti in modo da garantirsi in ogni caso la
rappresentanza nel Consiglio comunale.
Sturzo politico
I risultati elettorali sono: 7 seggi al centro cattolico, 19 al partito
moderato, 12 ai radical-popolari.
Nel 1904 Sturzo è nominato prefettizio e nel 1905 ottiene la
maggioranza dei seggi (32 su 40).
Dal 1905 al 1920 tiene insieme la carica di pro-sindaco e di consigliere
provinciale.
Per la prima volta nella storia un comune dell’isola viene amministrato
non come una bottega dove poche famiglie di notabili fanno e disfanno,
arbitrariamente, diritti demaniali, regolamenti, cariche e si rende
conto alla popolazione del bilancio pubblico.
Il “caso per caso”
È la prassi politica adottata a partire dal 1904 con il
benestare di Pio X. Lo scopo è quello di consentire ai cattolici
di votare candidati liberali.
Pur rappresentando un passo decisivo per il superamento del
non expedit, trova in Sturzo un critico severo poiché la
considera la “prostituzione di un voto che nulla significa per
sé, perché non ha programmi, non ha persone che sostengono
questi programmi, non ha vita”.
Da qui l’idea del progetto del partito dei cattolici…
Una progressiva maturazione…
Sturzo va maturando gradualmente l’intenzione di fondare un
partito che funga da strumento di trasmissione di valori, morali e
civili e al tempo stesso di organizzazione delle forze sociali, delle
amministrazioni comunali e di risoluzione dei problemi della gente.
L’ esperienza amministrativa in qualità di consigliere comunale e
provinciale di pro-sindaco, di vicepresidente dell’Associazione dei
Comuni Italiani, nonché l’impegno nell’azione cattolica lo convincono
della necessità di superare la logica dei partiti “personali” e dunque
senza programmi di ampio respiro capaci di incidere sulla vita delle
persone e sull’organizzazione politica della comunità e dell’intera
nazione.
Favorito dal non expedit, che imponeva ai cattolici il disimpegno
politico, elabora la sua idea di partito al fine di educare un
elettorato ancora amorfo e per rispondere ai bisogni del popolo
L’antefatto
L’idea di un partito programmatico, in verità, la sostiene per la
prima volta nel giornale “La voce di Costantino” di cui è direttore,
dopo i risultati positivi della campagna astensionista del movimento
cattolico calatino, per le politiche del marzo 1897, che era stata
promossa per sollecitare le istituzioni liberali ad adeguarsi alle
esigenze dei cattolici. “Accettiamo la costituzione e come esercizio
del nostro diritto ci asteniamo dal voto, per protestare, non contro
le libere istituzioni, ma contro l’attuale lotta dello Stato alla Chiesa.
Non ci sarà mai uno che accuserà i cattolici di volere… che cosa? Il
governo assoluto? Oibò; quel tempo è passato e noi crediamo al
progresso storico. Perciò, vogliamo che la base democratica della
costituzione si allarghi, che la rappresentanza politica sia effettiva
di classe e di interessi e non mai nominale, che vi sia il referendum
popolare… Altro che retrogradi, signori patriottardi!”.
Il pericolo della scristianizzazione
In un articolo del 1900, poi, denuncia la separazione tra
religione e vita politica operata da molti battezzati,
denunciandola come causa di scristianizzazione e continua
dicendo: “poiché la società terrena e la vita terrena sono
ordinate a una società e a una vita migliore, la celeste, la
religione vuole e deve volere che diritto, leggi, educazione,
costumi, amministrazione siano fondati sulla moralità e sulla
giustizia […] Questa è la politica che fa la religione”. Il
partito cattolico diviene mezzo attraverso il quale la Chiesa
può concretamente operare “oggi che la vita politica non
scende più dall’alto ma dal basso”.
…L’attenzione al sociale
All’inizio del secolo Sturzo pensa alla costruzione di un
organizzazione che doveva operare intorno alla Democrazia
cristiana e all’Opera dei Congressi, legata alle unioni
professionali dei lavoratori, con attenzione anche alla piccola
borghesia, al clero, agli studenti e ai professionisti, ma già nel
1901 scrive della necessità di un partito cattolico con un
programma sociale, anche sulla base delle esperienze europee.
Nel 1902 sottolinea l’importanza dell’ispirazione religiosa del
partito come elemento di distinzione, in chiave intransigente,
rispetto alle altre forze politiche ed esorta ad evitare
alleanze con queste nelle elezioni amministrative.
…Verso l’autonomia della politica
Nella relazione al primo convegno dei cattolici siciliani, tenutosi a
Caltanissetta nel novembre del 1902 comincia a comprendere il
rischio che l’elemento religioso degeneri in conservatorismo
cattolico ostacolando la nascita di un partito democratico nuovo. Le
lotte elettorali possono essere vinte solo proponendo un programma
di azione sociale che sia condiviso dagli elettori, piuttosto che le
sole idee religiose se pur approvate dall’autorità ecclesiastica.
Sturzo pensa che il programma e l’organizzazione nazionale del
partito municipale cristiano debba nascere dalla sintesi dei
“programmi” che ciascuna regione avrebbe dovuto elaborare, con
riferimento alle esigenze locali.
Supera, così l’idea di un partito cattolico guidato dalla
Chiesa affermando l’autonomia della sfera politica da
quella ecclesiastica. Tuttavia Sturzo continua a
pensare che il partito dei cattolici deve organizzarsi
nell’ambito dell’Opera dei Congressi.
…Oltre l’intransigentismo
Dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, Sturzo si
allontana gradualmente dall’intransigentismo sottolineando la
necessità di un partito, democratico, popolare e ispirato ai
principi morali del cristianesimo, che nasca dall’analisi storica
della società italiana e non da una meccanica riaffermazione dei
principi della fede o di opposizione agli altri schieramenti
politici. I cattolici pertanto si presentano non come
rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, ma come
promotori di un impegno nella vita civile per informarla ai valori
cristiani. Questa impostazione esclude che la Chiesa eserciti un
controllo diretto e indiretto sul partito anche se ammette che
il magistero della Chiesa debba guidare le coscienze dei
cristiani impegnati in politica. Il partito deve presentarsi, se
pur religiosamente ispirato, con un programma specifico di
carattere politico ed è necessaria una distinzione tra i valori
religiosi e quelli affermati dal programma stesso in modo da
garantire il pluralismo delle opzioni politiche per i cattolici.
Il discorso di Caltagirone
Il 29 dicembre del 1905 presenta la Magna Charta del
partito dei cattolici: pienamente autonomo dall’autorità
ecclesiastica e i cui appartenenti sono “rappresentanti di una
tendenza popolare nazionale, nello sviluppo del vivere civile
impegnato e animato da principi morali e sociali che derivano
dalla civiltà cristiana”. Un partito, dunque, aconfessionale, nel
quale, né la monarchia, né il conservatorismo, né il socialismo
riformista avrebbero trovato spazio. La rivisitazione politica
dei principi cristiani doveva avvenire attraverso le due parole
d’ordine: Democrazia e Repubblica.
In attesa di tempi migliori
Un progetto per il momento irrealizzabile, date le posizioni della
Chiesa, ma che può trovare un buon numero di aderenti nel ceto
medio urbano e rurale (soprattutto meridionale), rimasto fedele
al non expedit e gravemente penalizzato dalla politica
trasformista e protezionista di Giolitti.
Per sensibilizzare il pontefice Sturzo lo porta a conoscenza delle
condizioni del meridione: sopraffazione laica sulla religione,
dipendenza del clero meridionale dai patroni locali, prete dedito
più ad amministrare il patrimonio familiare che a svolgere
attività pastorale… Una battaglia mossa, dunque, per la
purificazione del costume religioso e civile del clero locale, che
avrebbe potuto adoperare come strumento proprio il partito
laico di cattolici.
L’organizzazione politico-elettorale
Nel 1908, divenuto segretario dell’Unione elettorale siciliana, Sturzo
costitusce associazioni comunali di elettori cattolici autonome nelle loro
decisioni dall’autorità ecclesiastica: nelle sedi si discutono liste e
comportamenti elettorali secondo le sue direttive. Una prassi che anticipa
quella che avrebbe adottato per il PPI: i programmi prima delle tattiche,
niente alleanze, niente metodi di lotta.
Di fronte alla proposta della presidenza regionale dell’Unione che i
cattolici (secondo la politica del “caso per caso”) votino gli amici
dell’ordine Sturzo non prende posizione; preferisce lavorare collegio
per collegio acquisendo una buona abilità politica ed elettorale.
Il suo scopo é quello di abituare i cattolici alla politica
in previsione della nascita del suo partito. Con questa
esperienza (piena, comunque, di sconfitte anche per
lui) egli dimostra che è possibile collegare le varie
situazioni locali ad una direttiva centrale.
Il congresso di Modena
Nel novembre 1909 si tiene a Modena la riunione dei cattolici
militanti dopo lo scioglimento dell’Opera. Poiché è in atto un
netto incremento delle adesioni ai sindacati di matrice
socialista, emerge la necessità di convincere l’opinione pubblica
che anche i cattolici possono agire nel contesto sindacale dando
vita ad associazioni che però non mettano le classi sociali le une
contro le altre. Nel contempo però si esclude che possa
nascere un partito cattolico autonomo dalla Chiesa. Lo stesso
Sturzo in una intervista rilasciata subito dopo il congresso
riconosce che è ancora prematuro parlare di partito.
La bufera antimodernista
Il decennio seguente è operoso per Sturzo, ma anche pieno di
insidie: la paura del modernismo impazza nel Vaticano, si abusa
della parola, che assume svariati significati. Modernisti vengono
chiamati anche quei preti che, sentendo la vocazione religiosa
anche come spinta nell’impegno nelle lotte sociali per restituire
al proletariato la sua dignità civile e urbana, (e per sottrarlo
alla propaganda scristianizzatrice dei socialisti), si danno da
fare per fondare leghe contadine, sostenere le cause dei
lavoratori, appoggiare l’attività delle Camere del Lavoro.
I due fratelli Luigi e Mario Sturzo sono anonimamente
denunciati alla Santa Sede a causa dell’alone di rivoluzione che
avevano creato nella zona di Caltagirone e Piazza Armerina.
Vengono etichettati come giovani modernisti murristi, avversi
ai soci anziani e all’antica pietà. Un’udienza che Sturzo ottiene
con Pio X nel 1914 evita il pericolo di una condanna.
Il progetto si realizza
“A tutti gli uomini liberi e forti che in questa grave ora
sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della
Patria, senza pregiudizi, né preconcetti facciamo appello
perché uniti insieme propugnino insieme nella loro interezza
gli ideali di giustizia e libertà. […]”. Questo l’appello diffuso
da Sturzo la sera del 18 Gennaio 1919 da Roma che segna la
nascita del Partito Popolare Italiano: d’ispirazione cristiana,
aconfessionale,
democratico,
sociale,
interclassista.
L’autorizzazione del Papa Benedetto XV nasce dalla
necessità di contrapporre all’egemonia del Partito socialista
sulle masse popolari, un partito cattolico moderato. Per
Sturzo, invece, ostile all’oligarchia liberale, è uno strumento
per attuare un programma di riforme progressiste.
Il programma del PPI
Sistema elettorale proporzionale (ottenuto nello stesso
1919 con l’appoggio dei socialisti).
Decentramento politico e autonomia amministrativa
locale.
Sostegno alla piccola proprietà attraverso una radicale
riforma agraria: distribuzione latifondi.
Tutela della famiglia e delle libere associazioni.
Sistema corporativo.
Legislazione sociale in funzione delle classi più deboli.
Riforma fiscale: imposta progressiva sul reddito.
Il governo Nitti
La collaborazione del PPI con i governi del primo dopoguerra
non è facile. Con Nitti è caratterizzata dalla reciproca
diffidenza.
La riforma agraria, che prevede lo spezzettamento dei
latifondi da distribuire ai contadini, caldeggiata dai popolari, è
disattesa perché Nitti, interessato allo sviluppo industriale,
sottovaluta la pressione che proviene dalle campagne.
Relativamente al rapporto governo-sindacati, inoltre,
preferisce trattare con i sindacati rossi piuttosto che
accettare la collaborazione offerta dai sindacati bianchi.
Al congresso di Napoli Sturzo si dichiara contrario al blocco
protezionistico tra industriali del Nord e proprietari terrieri
del Sud che è storicamente alla base dell’accorto trasformismo
della sinistra liberale. Da questo nasce la “questione
meridionale” con uno sviluppo dicotomico irreversibile tra Nord
e Sud.
L’ultimo Giolitti
Concluso il conflitto mondiale l’Italia deve affrontare insieme il
disastro economico e la protesta sociale che può degenerare da un
momento all’altro. È richiamato Giolitti che chiude la questione
fiumana firmando il trattato di Rapallo e accettando così le condizioni
della pace.
La politica interna, tuttavia, si dimostra sorpassata. Il programma
agrario si limita a rendere obbligatoria la razionalizzazione delle
culture e non tiene fede alle promesse di divisione del latifondo
fatto a coloro che erano partiti per il fronte. Il primo scontro con
Sturzo definito da Giolitti “prete intrigante” scoppia sulla vicenda
dell’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920. Giolitti
secondo prassi consolidata non interviene. L’aver sottovalutato la
dimostrazione operaia ritenendola l’ennesimo sciopero per l’aumento
dei salari e il non aver accettato di discutere la proposta di legge
del PPI è il segnale della inadeguatezza della politica di Giolitti
rispetto alla mutata situazione.
Giolitti e Sturzo a confronto
Giolitti
- Accentramento del potere
- Politica clientelare (trasformismo)
Sturzo
- Lotta per l’autonomia e
l’autarchia regionale
- Sviluppo industriale
- Coerenza programmatica dei
rappresentanti parlamentari
- Collaborazione preferenziale con i
socialisti
-Sviluppo armonico e non
dualistico nord-sud
- Mantenimento del latifondo
- Riforma agraria
Sulla politica economica
(del primo dopoguerra)
Sturzo è contrario a tutti i provvedimenti economici caratterizzati, secondo
lui, da profonda irrazionalità e sordità politica nei confronti di una
popolazione che, vessata dalla guerra, non ha la forza necessaria per
ripartire. Abbandonare la popolazione per Sturzo è il crimine peggiore che
uno Stato possa commettere perché significa farne un’entità superiore al
volere dei cittadini. È un abominio, anticamera di una rivolta popolare che
teme possa seguire le orme della recente rivoluzione russa. Accanirsi
nell’investire tutte le risorse economiche nella riconversione di un industria
che mancherà sempre delle materie prime necessarie è fallimentare.
Il suo ideale è un’Italia agricola con un’industria legata
all’utilizzazione delle risorse della terra e capace di reggersi sulle
sue forze, senza protezione. Come tutti i liberisti meridionali
sostiene che il peso fiscale non può andare oltre l’aumento della
produttività economica.
L’azionariato operaio
Il consiglio nazionale del PPI si riunisce nei giorni culminanti
dell’occupazione delle fabbriche (15,16,17 Settembre 1920) per
discutere una proposta di legge per rendere esecutivo il progetto
dell’azionariato operaio, cioè la trasformazione industriale e
agricola dalla forma capitalistica individuale o anonima alla forma
cooperativa. Una soluzione che poteva consentire, secondo il PPI,
di sconfiggere il rapporto antagonistico tra capitale e lavoro, di
aumentare l’efficienza produttiva che non svantaggiava i datori di
lavoro e avvantaggiava gli operai valorizzandone il lavoro e
svincolandoli dalla forma deprimente del salariato. L’inizio di
quell’economia del benessere che ha come teorizzatore anche il
grande economista e sociologo Pareto.
Giolitti tuttavia tenendo fede al modello liberale decide di non
prendere in considerazione il progetto di legge ritenendolo
irrealizzabile e compromettente.
La fine dello Stato liberale
All’inizio degli anni venti, l’autorità dello Stato è compromessa. Da una
parte la minaccia socialista sembra aver ritrovato nuovo vigore e
compattezza in seguito alla Rivoluzione di Ottobre e preme per il
miglioramento delle condizioni vessatorie del proletariato che ha visto
dissolversi il suo salario di sussistenza sotto il peso dell’inflazione e del
prelievo fiscale che deve rendere conto dei debiti contratti.
Dall’altra il malcontento dei reduci, che hanno creduto nell’impresa
fiumana e nella spartizione delle terre, è accolto da una nuovo soggetto
politico il fascismo che con un manifesto programmatico molto
eterogeneo inneggia alla giustizia sociale, ma non disdegna l’uso della
forza per soffocare le manifestazioni popolari. Attira così non solo il
favore dei poteri forti di cui protegge gli interessi ma infonde fiducia
ad una sbandata classe media che in seguito al conflitto ha perso il
proprio benessere economico e guarda con timore la regressione allo
stato del proletariato o al trionfo socialista.
Congresso di Torino (12-14 Aprile 1923)
Al congresso di Torino (dal 12 al 14 aprile 1923) Sturzo delinea le
ragioni della sua opposizione al fascismo e decide di non collaborare
col governo Mussolini.
Difende l’aconfessionalità del partito, critica i fascisti che ritengono
non necessario un partito cattolico che anzi può intralciare i rapporti
tra Chiesa e Stato, ribadisce l’indipendenza del partito popolare da
quello fascista in contrasto con i clericofascisti che credono che la
funzione del PPI possa essere assorbita dal fascismo.
Afferma con forza che il ruolo di nessun partito può essere
assorbito dagli altri e spiega e illustra le differenze con il partito
socialista e fascista nel campo sociale: no alla concezione
materialistica della vita, alla lotta di classe e alla dittatura
economica e politica di una sola classe (PSI); strumentalizzazione
dello Stato corporativo in funzione della mistica della “nazione
proletaria” (PNF).
La concezione dello Stato
“Altra differenza sostanziale tra noi e tutti i partiti politici
operanti in Italia, e quindi col fascismo, è nella concezione
dello Stato. Siamo sorti a combattere lo Stato laico e lo
Stato panteista del liberalismo e della democrazia,
combattiamo anche lo Stato quale primo etico e il concetto
assoluto della nazione panteista o deificata, che è lo stesso.
Per noi lo Stato è la società organizzata politicamente per
raggiungere fini specifici; esso non sopprime, non annulla,
non crea i diritti naturali dell’uomo, della famiglia, della
classe, della religione; solo li riconosce, li tutela, li coordina,
nei limiti della propria funzione politica. […] Per noi la
nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei
singoli; è il complesso storico di un popolo uno, che agisce
nella solidarietà della sua attività, e che sviluppa le sue
energie negli organismi, nei quali ogni nazione civile è
ordinata”.
L’ostracismo
Il progressivo allontanamento di Sturzo dalla politica
nazionale prende le mosse dalle stesse fila cattoliche.
Viene pubblicato nel 1923 un articolo su “Il giornale d’Italia”
che accusa Sturzo di creare una situazione rivoluzionaria,
accompagnato da un invito al Vaticano ad intervenire. A
questo segue il 25 giugno un articolo di mons. Pucci sul
“Corriere d’Italia” dove si ammonisce Sturzo a non creare
intralcio alla Santa Sede.
Il 30 giugno a Roma viene affisso un manifesto dei cattolici
nazionali che proclamano il loro consenso al fascismo,
esprimendo il loro distacco da Sturzo.
Le dimissioni e l’esilio
Avvengono nel luglio del 1923. Ciononostante l’ex segretario del
partito popolare continua, attraverso l’attività della casa editrice
libraria italiana e di un circolo di cultura, a intervenire nella politica
del partito.
Questo non sfugge ai fascisti: Mussolini, infatti, soprattutto dopo il
delitto Matteotti (1924), rinforza la stretta attorno a Sturzo
minacciando nuovamente il Vaticano se non invita l’odiato prete ad
allontanarsi dal paese. Paga dunque il suo atteggiamento antifascista in
difesa della libertà dei cittadini.
Tradito dai suoi stessi compagni, non ha altra scelta che abbandonare
l’Italia e cercare di dirigere la propria attività politica dalle grandi
città straniere che frequenta in questo periodo (Parigi, Londra e New
York) e delle quali subisce l’influenza.
Oltreoceano
Nell’autunno del 1940 Sturzo lascia Londra e parte per gli Stati
Uniti, obbligato da una salute cagionevole che non gli permette di
sopportare i continui spostamenti per trovare riparo dai
bombardamenti tedeschi che con frequenza giornaliera devastano
la capitale.
È da sottolineare inoltre che dal 10 giugno 1940 (l’ingresso
dell’Italia in guerra) gli Inglesi avevano messo in atto una vera e
propria persecuzione nei confronti degli Italiani all’estero.
Solo grazie alla fama di convinto antifascista Sturzo si toglie da
ogni impiccio.
Il 22 settembre si imbarca da Liverpool per il nuovo continente
lasciando dietro di sé una florida attività propagandistica e
insieme intellettuale.
In Florida
Vi arriva il 3 ottobre ma viene immediatamente ricoverato in
ospedale, la sua dimora per i successivi tre anni.
Se in un primo periodo l’ingresso in guerra dell’Italia gli sembra
segnare il totale fallimento del suo impegno oltremanica a sostegno di
una Italia non fascista e, più in generale, di una società nuova dove
trionfino il diritto e la libertà dei popoli, nel giro di poco tempo
riprende la sua attività con fiducia e speranza.
Il suo temperamento al di là del fisico si dimostra dalle infinite
risorse.
Come a Londra, fonda un’associazione di cattolici democratici la
“American People and Freedom Group” la quale non ha alcun legame
con la Chiesa né velleità di partito.
L’aconfessionalità è una scelta necessaria specie dopo la firma dei
Patti Lateranensi.
Un dialogo tra sordi
Sturzo è invitato dall’amico Sforza a partecipare al Comitato
nazionale antifascista all’estero, tuttavia rifiuta.
La scelta è motivata sia dalla coscienza di non poter rappresentare
alcuna bandiera popolare né democratica cristiana
sia dal fatto che la sua posizione di fervente cattolico, fedele
nonostante tutto alla Santa Sede, non può in alcun modo conciliarsi
con l’ideologia di movimenti che ricorrono spesso e volentieri
all’arma dell’anticlericalismo: lui sostiene che la Chiesa cattolica
aveva mantenuto le distanze dal fascismo e che le sue dottrine
erano conciliabili con la democrazia, gli anticlericali e tra questi
Salvemini tutto il contrario. Da qui le forti accuse di quest’ultimo
che pur condivideva con Sturzo le idee politiche di fondo
(interventismo, liberismo e antigiolittismo).
“Sarà necessario un
sistema economico,
nel quale senza
Negli anni dell’esilio Sturzo intrattiene ottimi
sopprimere la libera
rapporti con le maggiori testate e questo gli permette iniziativa privata,
sia impedito il
di far sentire la sua voce.
Nel Maggio 1941 prevede l'attacco di Hitler all’Unione prepotere della
Sovietica. Ne analizza cause, strategie e conseguenze finanza
internazionale e il
e dissente da chi lo considera l’occasione di uno
capitalismo di
scontro letale tra le due diverse facce del
sfruttamento. La
totalitarismo. “[…] Io non vedo la possibilità che
produzione deve
Germania e Russia si distruggano l’un l’altra; né trovo essere per il comune
che questa sia la via perché il nazismo e il comunismo interesse e non per i
vadano a finire, e sento tutta la ripugnanza spirituale benefici dei
per questo olocausto di milioni di giovani di qua e di là monopoli privati[…]”.
Questo a patto di
a questo fine […]”. Non è la forza lo strumento per
conciliare libertà e
demolire i regimi totalitari ma il trionfo del diritto
legittimato dalla morale. Tutti sono responsabili della democrazia.
L’attività giornalistica
guerra e tutti ne pagheranno le conseguenze: i
capitalisti “guerrafondai”, le classi medie ed operaie
perché non si sono ribellati ai “guerrafondai”.
La pace giusta
Sturzo vuole sfatare la tendenza diffusa nella mentalità
anglosassone ad identificare il popolo italiano con il fascismo. Gli
italiani non ne possono più di un regime che nonostante l’evidente
inferiorità si ostina a combattere una guerra al di sopra della sua
portata. Agli alleati chiede un gesto di liberalità conforme ai principi
della Carta Atlantica e di evitare gli errori di Versailles contro i
vinti causa dello spirito nazionalistico di rivincita.
Dinanzi ai possibili scenari nel 1941 esclude come risolutivo un
sbarco in Sicilia convinto che il popolo per “dignità” e “fierezza”
sarebbe rimasto a combattere a fianco dei tedeschi.
Lo sbarco alleato in Sicilia, la caduta di Mussolini, l'intesa con la
monarchia e il Vaticano, poi, lo vedono impegnato in una battaglia
instancabile per evitare “umiliazioni e mutilazioni” ad un popolo che il
fascismo non lo aveva scelto ma subito per imposizione “dei borghesi
reazionari”.
Sturzo non è ascoltato e la sua ira si scaglia contro gli Alleati ma
anche contro quei politici italiani quali Sforza e De Gasperi incapaci
di fare valere le proprie ragioni.
Contrattempi
Finita la guerra, Sturzo rimanda il suo ritorno in Italia.
Questa scelta è maturata alla luce di diverse constatazioni:
- le sue precarie condizioni di salute non gli permettono di
affrontare il viaggio;
- crede che la sua presenza possa essere di reale aiuto solo
ristabilita la sovranità sul suolo italiano per cui attende la fine
dell’occupazione alleata;
- è consapevole che del soggetto politico da lui creato nel 1919 è
rimasto ben poco e anche questo ha cambiato la sua fisionomia sotto
la giuda di De Gasperi.
La sua voce si fa sentire alla vigilia del referendum istituzionale.
Egli vede l’Italia nella morsa di due spettri: l’uno è quello del colpo
di stato alla Franco, appoggiato dalla monarchia, l’altro il pericolo di
uno stato totalitario social-comunista.
Da sempre portavoce dell’ideale di repubblica polemizza col partito
che abbandonata la sua tradizione centrista ora patteggia per i
Savoia.
Il tramonto dell’era sturziana
I
Il tanto atteso ritorno giunge nel giugno del ’46.
Si stabilisce a Roma centro del dibattito politico nazionale.
Molte cose sono cambiate. La Democrazia cristiana, partito dei cattolici,
fondato nel 1942 a partire dalla storia e dall'esperienza del PPI, sembra
aver smarrito la natura popolare che lui gli aveva impresso e al vecchio
statalismo fascista si è sostituito una nuova forma di statalismo non
sempre conciliabile con i diritti delle persone e con il bene comune. Ma ha
fiducia che lo spirito popolare almeno sia rimasto nella mente e nel cuore
degli italiani. Incrollabile nella fedeltà ai principi sui quali aveva fondato
il PPI, ben presto è messo in disparte in nome di una certa modernità
nella quale il suo progetto di una borghesia media antistatalista e
antiprotezionistica appare superato. Progetto che si è rivelato tanto
profetico da avere ispirato i principi dell'unione europea ed è ancora oggi
attuale.
II
Ultimo e premonitore segnale della sua attività, sempre ad alto livello,
è il tentativo di ridurre le distanze ideologiche tra alcuni partiti al
fine di creare un accordo politico che si opponga al malgoverno e alla
corruzione incipiente. Iniziativa che, però, non ha successo. Ancora
una volta aveva visto bene, chiaro e forte tanto da individuare le “tre
male bestie” nemiche della democrazia che ancora si “aggirano come
spettri” nel sistema politico italiano:
- lo statalismo, in quanto nega la libertà;
- la partitocrazia, in quanto si oppone all’uguglianza;
- l'abuso di denaro pubblico, in quanto impedisce la giustizia.
Nominato senatore a vita nel 1952 rimane per qualche altro anno al
centro del dibattito politico.
Costantemente accompagnato dall’affetto di coloro i quali vedono
in lui oltre il politico, l’uomo che per tutta la vita è rimasto
saldamente ancorato ai principi professati senza mostrare il minimo
segno di incoerenza, si spegne a Roma l’8 agosto 1959.
Giuseppe Toniolo
Sociologo ed economista è una figura di rilievo all’interno dell’Opera.
Nel 1889 fonda a Padova l’Unione Cattolica per gli Studi Sociali in
Italia.
Nel 1894 elabora il Programma dei Cattolici di fronte al Socialismo
presentando proposte dai toni decisamente rivoluzionari:
“[…] ricomporre possibilmente i patrimoni collettivi degli enti morali,
delle corporazioni religiose, della Chiesa che furono ritenuti sempre
quasi un tesoro riservato al popolo, cui possano aggiungersi i beni e le
proprietà collettive dei comuni, delle province dello stato che
debbano conservarsi e fruttare a beneficio pubblico o cedersi per la
coltivazione ai proletari”.
“[…] restringere la classe precaria e misera del semplice salariato; é
perciò, ammesso primamente il salario giusto, cioè corrispondente al
prodotto del lavoro, concedere all’operaio una parte di codesta
remunerazione, piuttosto che in forma fissa, sotto forma di
partecipazione agli utili”.
“[…] riprodurre nelle forme ammodernate la repressione legale delle
usure – sottoporre le borse ad una legge severa sopra le operazioni”.
Il Sillabo
Nel 1864 Pio IX pubblica l’enciclica Quanta cura che contiene
un‘articolata denuncia degli errori più comuni del tempo; errori poi
evidenziati in un secondo documento il Sillabo (parola di origine
greca che significa elenco, raccolta, catalogo) formato da 80
proposizioni ritenute errate.
Il Sillabo risulta per molti aspetti un documento, anche per la
formula scelta, disorganico, in cui la condanna si abbatte
indistintamente su numerosi e tra loro molto diversi argomenti.
Vengono così condannati: il panteismo, il naturalismo, il razionalismo,
la morale laica, il liberalismo, il socialismo e il comunismo, la
separazione tra Stato e Chiesa, il non ritenere più la religione
cattolica come religione di stato, il sostenere che l’abolizione del
potere temporale potesse giovare “alla libertà e alla prosperità della
chiesa”, la libertà di culto, la piena libertà di pensiero e di stampa.
Come sintesi conclusiva di tutte le proposizioni ritenute errate, con
l’ultima proposizione si condanna la convinzione secondo cui il papa
può e deve riconciliarsi col progresso, col liberalismo e con la
modernità.
Giovanni Blandini
Riceve la consacrazione episcopale da mons. Dusmet a Catania ed
inviato a Noto vi resta per 38 anni.
È tra i principali iniziatori e animatori del Movimento Cattolico
Sociale e dell’Opera dei Congressi nell’isola.
La sua azione si svolge su due fronti:
1) Migliorare la “struttura chiesa” con la sua modernizzazione.
A tal fine rifonda il seminario di Noto e si adopera perché aumenti il
numero delle vocazioni. Ha speciali attenzioni per la formazione di
un clero religiosamente e culturalmente preparato e pronto alle
battaglie sociali.
2) Ricollegare la Chiesa alla società.
Cosciente della condizione di estrema povertà in cui versa la società
siciliana di fine Ottocento e della situazione esplosiva che sfocerà
nei Fasci siciliani, chiede alla Chiesa di aprirsi ai nuovi tempi e ad un
maggiore coinvolgimento nella questione sociale.
L’indagine di Scotton
Offre uno spaccato del clero e della società siciliana.
Con l’unificazione, ai mali che da sempre affliggono il clero
meridionale
(ordinazioni numerose ma poco sincere, ignoranza diffusa tra i preti,
ingerenza dell’autorità politica nell’esercizio del potere ecclesiastico,
organizzazione della proprietà ecclesiastica che trasforma il prete in
un proprietario terriero), si aggiunge un profondo mutamento degli
atteggiamenti del tessuto sociale in materia di religiosità.
La povera gente del contado conserva inalterati i buoni costumi e la
pietà.
Nelle città è crescente il clima di diffidenza verso il clero che in
seguito all’introduzione dell’istruzione pubblica perde il controllo sui
giovani.
In molti comuni ai parroci, al contrario di quanto avveniva prima
dell’unità, non vengono comunicate né le nascite, né i decessi e ciò
avviene perché il popolo teme che le notizie date al parroco possano
servire al governo per le tasse e per la leva ormai obbligatoria per
legge.
Fasci siciliani
Movimento politico di artigiani, operai, intellettuali e soprattutto
contadini, sviluppatosi in Sicilia tra il 1891 e il 1894.
Sorge sulla base delle antiche corporazioni di mestiere, vivificate
dal successo delle idee socialiste e anarchiche, e si estende
rivendicando il diritto dei contadini alla terra, la revisione dei patti
agrari e migliori condizioni di lavoro nelle miniere.
Il movimento si collega al nascente Partito socialista siciliano,
dotandosi di strutture politiche che allarmano la classe dirigente e
le autorità dello stato.
Viene represso da Francesco Crispi, presidente del Consiglio, che
nel 1893 ordina l'intervento dell'esercito e proclama lo stato
d'assedio, soffocando nel sangue i tumulti agrari scoppiati nell'isola.
La Rerum novarum (1891)
- Denuncia gli effetti del capitalismo.
- Rifiuta le teorie socialiste e collettivistiche che propugnano
l’abolizione della proprietà privata.
- Invita lo Stato ad intervenire per promuovere la pubblica
utilità e rimuovere le cause del conflitto tra operai e padroni.
- Richiama l’operaio ad ottemperare ai suoi doveri derivanti dal
patto di lavoro stabilito di comune accordo con il padrone.
- Ammonisce il padrone a ricordare che la legge della domanda e
dell’offerta soggiace anch’essa ai limiti imposti dalla norma
morale.
- Condanna la lotta di classe ed esorta alla collaborazione.
- Riconosce la legittimità delle organizzazioni sindacali di soli
operai.
L’enciclica di Leone XIII è uno strumento
formidabile per i cattolici impegnati a superare i
limiti del vecchio linguaggio canonico, per coloro
che non vogliono uno stato assenteista e per quanti
chiedono che i cattolici si impegnino di più
nell’organizzazione dei mezzi di difesa degli operai
dalla legge inesorabile del profitto.
[…] dei capitalisti
questi sono i
doveri: non tenere
gli operai come
schiavi; rispettare
in essi la dignità
umana […], quello
che veramente è
indegno è abusare
d’un uomo, come di
cosa a scopo di
guadagno […], non
imporgli lavori
sproporzionati alle
forze, o mal
confacenti all’età e
al sesso.
Si distingue per varie visite
pastorali, per la riorganizzazione del
seminario e della congregazione
Figlio di un fabbroferraio di
sacerdotale diocesana “S. S. Apostoli
Caltagirone, finiti gli studi di diritto Pietro e Paolo”, per l’impulso dato
a Napoli diviene parroco nella città all’azione cattolica e alla diffusione
natale per diversi anni, poi vescovo della “buona stampa”, per la
di Piazza Armerina e infine di
sensibilità verso iniziative a
Caltagirone (1887). Nel 1895
carattere sociale dovuta anche alle
convoca il primo sinodo diocesano.
sue modeste origini.
Quando alla fine degli anni ’80, anche a causa della politica
economica protezionista del governo centrale del 1887 che fa
crollare i prezzi dei prodotti agricoli isolani, nasce il malcontento
popolare che sfocia nei moti dei fasci siciliani, il vescovo spinge alla
carità cristiana e al ricorso al credito attraverso il Consiglio di
Amministrazione della Pia Opera di Gravina.
Gerbino
Tale iniziativa, pur movendosi in una prospettiva che Luigi Sturzo
un decennio dopo definirà “conservatrice” è ben lontana dal
conservatorismo ecclesiastico tradizionale. Prende inoltre
numerosi provvedimenti contro l’usura, male a quel tempo molto
frequente.
Gabellotto
L’onere del gabellotto consiste in una rendita annua fissa prevista dal
contratto col proprietario.
Il suo margine di speculazione è dunque elevatissimo.
In questa situazione il potere contrattuale del contadino è pressoché
nullo dato l’elevato tasso di disoccupazione che genera una sfrenata
corsa al ribasso pur di avere garantito un reddito.
Su questa figura infuria la polemica di Sturzo che la giudica quanto
mai deleteria:
“[...] gran male è l’assenteismo dei padroni, che crea necessariamente
il tipo del gabellotto sfruttatore”, “il gabellotto [...] ha il margine di
una larga speculazione, perché anche fra i contadini, vi è una
sfrenata concorrenza, scegliendo sempre tra la disoccupazione e il
lavoro, quest’ultimo anche a condizioni angariche”.
Murri: il prete ribelle
Punto di riferimento della corrente
democratico-cristiana durante il
pontificato di Leone XIII, fonda le
riviste Vita Nova e Cultura sociale.
Entra in contrasto con i cattolici
intransigenti e poi con il Papa Pio X
che diventa insanabile in seguito allo
scioglimento dell’Opera (1903).
Decide, quindi, di continuare per la
sua strada e fonda la Lega
Democratica Nazionale, movimento
politico autonomo dalla gerarchia
ecclesiastica. Sostiene la necessità
di superare il paternalismo del
tradizionale cattolicesimo sociale
convinto della conciliabilità dei
principi della democrazia con il
cattolicesimo. Solidarizza
pubblicamente con il modernismo
condannato con l’enciclica Pascendi
del 1907.
Nello stesso anno viene la sospeso a
divinis e scomunicato nel 1909, in
seguito alla sua elezione in
Parlamento sostenuto dai radicali e
dai socialisti da cui il soprannome
datogli da Giolitti di “cappellano
dell’estrema”. Si riconcilia con la
Chiesa poco prima della morte
avvenuta nel 1944.
Il Modernismo
È un movimento che sorge all’interno del cattolicesimo europeo tra
Ottocento e Novecento. Si propone una riforma della Chiesa e della
sua dottrina per aprirsi alla cultura del mondo moderno. Questa
esigenza nasce dal disagio di fronte all’affermarsi di una cultura
anticristiana e dall’inadeguatezza con cui la cultura cattolica e le
associazioni ufficiali del movimento cattolico fronteggiano il
processo di secolarizzazione in atto. L’avvicinamento degli esponenti
ai metodi delle scienze sociali e naturali ai recenti sviluppi della
critica biblica, l’affermazione di dottrine lontane dal pensiero di San
Tommaso, il riferimento più o meno esplicito all’esperienza
democratica durante la rivoluzione francese, così come i toni accesi
e radicali, uniti ad una certa insofferenza nei confronti della
gerarchia, spinge il Papa a ritenere il modernsimo “sintesi di tutte le
eresie”. Da qui la condanna e la prescrizione a tutti i sacerdoti del
giuramento antimodernista.
Bibliografia
Gabriele De Rosa, Sturzo: La vita sociale della nuova Italia”, UTET,
Torino 1977.
Alfio Spampinato, L’economia senza etica è diseconomia: l’etica
dell’economia nel pensiero di Don Luigi Sturzo, CISS, Roma 2005.
Michele Pennisi, Fede e impegno politico in Luigi Sturzo, Città nuova
editrice, Roma 1982.
Enciclopedia storica, a cura di M. Salvadori, Zanichelli, Bologna 2000.
Alfio Carrà, Fondamenti sociali ed azione politica in Luigi Sturzo,
Bonanno, Catania 1972.
Manuali di storia
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